5 % perito anr i iitizoniro pe I RR e LE n TATE la tre o ; = ie inte raS5 pricardia ne PET erugima Srto pei sh Tieni PE ia SEE Di ITA sno spore» o atones mor niaini periti PI a o post SIERO RATE 3 mania pete maga > 7 SR % PLL) Ho peri sn #0 S5SOl0,45 ge gi DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. 1897 SImMIVII YI INA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME VI. 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 QUANI NSTI7Ù È SI 7, Sì d Si S dR7 4 SS l tubo non si notò pressione, e distillando nel vuoto a bagno maria l’acid. acet.co for natosi e l'eccesso di anidride acetica, rimase una massa densa vischiosa, ap)ena colorata in giallo-bruno, che col raffreddamento indurisce e si presenta come la colofonia. Questa massa si scioglie a caldo fa- cilmente e completamente nel cloroformio, ed addizionando alla soluzione calda volume eguale di etere di petrolio 80°-100° si separa, col raffredda- mento, sotto forma di un’ olio, che con un disseccamento prolungato nella stufa ad acqua si concreta in una massa solida amorfa. Non sono riuscito ad ot- tenerla cristallizzata e pura, ma ho potuto dimostrare che questa sostanza è l’ anidride dell’ acido CsH,,0;. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Roma. (2) Liebig?s. Ann., T. 236, pag. 225 e T. 256, pag. 314. SR Prima di tutto, per verificare che nel riscaldamento non era avvenuta trasposizione degli atomi di carbonio, ho trattato una porzione di questa so- stanza con acqua, nella quale si scioglie lentamente e stentatamente, ed ho accelerato la soluzione colla quantità teorica di idrato sodico, in modo da avere una soluzione perfettamente neutra, e quindi ho riscaldato con un leg- gero eccesso di soluzione al 30 °/, di cloruro di calcio. S' è depositato il sale di calcio CgH100;Ca, 2H?0 caratteristico che ho analizzato. trovato calcolato H?0 13,66 13,74 Ca 17,74 17,69 Il resto della sostanza ho sciolto in benzina calda ed alla soluzione ho aggiunto un leggero eccesso di #.naftilamina, indi fatto bollire a ricadere per mezz'ora, poi diluito la massa con 5 a 6 volumi di etere, ed estratto l’ec- cesso di naftilamina con acido cloridrico diluito. L'estratto etereo, lavato prima con acqua, venne in seguito agitato ripetutamente con soluzione di carbonato sodico al 10°/, e le acque sodiche, liberate dall’ etere, vennero acidificate con leggero eccesso di acido cloridrico. L'aggiunta dell'acido fa precipitare una sostanza bianca in fiocchi cristallini, che raccolta su filtro e lavata con acqua fredda fino ad eliminazione di cloruri, venne ricristallizzata dall’ alcool diluito bollente. Analisi trovato cale. CisHisNO, C: 69,13 69,00 H 6,94 6,07 N: 4,40 4,47 Si scioglie nei carbonati alcalini ed è insolubile negli acidi; perciò è il P.naftiloacido derivante dall’ anidride dell'acido CgH,:0;; e ne deduco che l'anidride acetica ha reagito secondo l'equazione C.H30 se COOH N 7 X Colla + 5 = 2C,H,0, + Solllc DA COOH Hi c-0 e successivamente ADI . CONH CH; CHn,0K o E ENH Ce Hn0< o COOH Il naftiloacido cristallizza dall’ alcool acquoso in belle laminette bianche, splendenti, untuose, che riscaldate in tubicino di vetro fondono decomponen- dosi a 178° cominciando a raggrupparsi a 168°. Riscaldato a 180° elimina PS acqua e si trasforma nella naftilimide corrispondente, che finora ho potuto ottenere solo sotto forma di una sostanza resinosa e che perciò non ho ana- lizzato. Azione degii idracidi. L'acido C3H,:0; riscaldato in tubo chiuso per 12 ore a 130°-140° con soluzione acquosa di acido cloridrico della densità 1,19 rimase inalterato. La soluzione acquosa di acido bromidrico d:1,50 nelle stesse condizioni dà acido trimetilsuccinico ed ossido di carbonio. L’ esperienza venne condotta nel modo seguente: Gr. 5 di acido C3H,30; si riscaldarono per 14 ore a 120°-140° in tubo chiuso, in cui s'era fatto il vuoto mediante una buona pompa a mercurio, con 50 cm? di acido bromidrico d:1,50. Si aprì il tubo in modo da poter raccogliere i gas e si riconobbe l’ossido di carbonio alla fiamma azzurra, ca- ratteristica, che produce nell’abbrucciare. Nel tubo s'era depositato un acido ben cristallizzato, che raccolto a parte, venne ricristallizzato dall’ acqua. Fonde a 147°-148° come l'acido trimetilsuccinico e l’analisi confermò la sua composizione trovato cale. p. C7H,20, C 02,57 92,50 H 7,65 7,50. Da 5 gr. di acido C3H,:0; se ne ottenne gr. 2,5 e nella soluzione bro- midrica rimase il rimanente acido CyH,,0; inalterato, che si estrasse con etere e si analizzò sotto forma di sale di calcio. Un importanza speciale ha lo studio dell’azione dell'acido cianidrico, perchè l’addizione di HCN è ancora la reazione che caratterizza meglio il carbonile acetonico. L'esperienza si fece nelle condizioni seguenti : Gr. 5 di acido C3H,30; sciolti in 10 cm di acqua ed addizionati di gr. 1,732 di cianuro potassico purissimo, sciolti in 5 cm* di acqua. Le quan- tità adoperate sono nei rapporti dei pesi molecolari. Nel mischiare le due soluzioni si nota un leggero riscaldamento. Si abbandonò la miscela alla temperatura ordinaria per 24 ore in boccia tappata, e non avendo notato cambiamento, si aggiunse poco a poco e raffreddando, cm? 25 di acido clo- ridrico contenente gr. 0,04 di acido per centimetro cubo, cioè la quantità di acido cloridrico necessaria per trasformare in cloruro il cianuro potassico adoperato. Dopo 8 giorni la miscela tenuta in boccia tappata non aveva su- bìto modificazione, se non una leggerissima tinta giallognola. Si versò in ma- traccio, si lavò ripetute volte con acqua distillata ed il tutto si sottomise alla distillazione, raccogliendo nel pallone collettore all'incirca la metà del- l'intero liquido. Il dosamento dell'acido cianidrico, fatto su parte aliquota, dimostrò che nel distillato erano passati gr. 0,695 di acido cianidrico, mentre da gr. 1,732 di cianuro potassico se ne sarebbe dovuto ottenere gr. 0,713, SEN Il liquido rimasto nel pallone distillatore si saturò esattamente con idrato sodico e la soluzione si trattò con cloruro di calcio al 30 °/. Si depositò il sale caratteristico Cg$H100;Ca, 2H,0 Anallsi trovato calcolato H?0 13,61 13,74 Ca 17,85 17,89. Le acque madri concentrate depositarono una nuova piccola quantità dello stesso sale. Analisi trovato calcolato H?0 13,55 13,74 Ca 17,97 17,69. In tutto si ottenne gr. 5,9 di sale secco che corrispondono a gr. 4,9 di acido CsH,:0;, locchè dimostra che nelle condizioni sudescritte l'acido cia- nidrico non si è addizionato. Azione dei composti alogenati del fosforo. Si sciolse l'acido CsH,,0; nel tricloruro di fosforo e sulla soluzione si fece reagire un grande eccesso di pentacloruro di fosforo, indi si trattò il prodotto della reazione con ghiaccio. Riservandomi di pubblicare in dettaglio le modalità dell'esperienza, dirò solo che i prodotti della reazione furono, in gran quantità acido inalterato e piccole quantità di acido trimetilsuccinico. Nello stesso modo seguì l’azione del pentabromuro di fosforo sulla soluzione nel tribromuro dell'acido CsH,30;. Solo in questo caso il prodotto predomi- nante fu l'acido trimetilsuccinico e si riottenne piccola quantità di acido inalterato. In nessun caso si potè isolare un composto alogenato dell’ acido CsH,20;. Conclusioni. Le formole di costituzione proposte per spiegare il comportamento e le trasformazioni svariate della canfora e dell’ acido canforico sono nnmerose [ 26] e non è qui il caso di trascriverle tutte, tanto più che un elenco critico e completo fino al 1895 si trova nella Memoria di Ossian Aschan, Structur und stercochemische Studien in der Camphergruppe (Acta Societatis scien- tiarum Fennicae T 21). Le formole dell'acido canforico che in questi ultimi anni incontrarono maggior favore presso i chimici, e sulle quali s' impegnerà la discussione più viva nel prossimo congresso dei naturalisti tedeschi a Braunsweig, sono quelle proposte dal Bredt (!), dal Tiemann (?) e dal Wa- gner (5). (1) Berl. Ber., 27, pag. 2092. (2) Berl. Ber., 28, pag. 1087. (3) Bull. Soc. chim. de Paris. III serie, T°, 16. pag. 1839. H H CH H H,C C CH, H;C C cup dior, = | | fa £ CH3—CT—CH? CH:—C—CH; CH, 3 | | H,C C CO C CO CH-CT_C—C0 CH; CH3 H, H H : H CH Ù -$ H,C C—C00H C—CO00H cu, 70—0—C00H 3 | | Ss CH3—C—CH; H,C CH;-C-CH3z | CH3 S | Sc | | S HC C—CO00H C—CH?.COOH CH:-C_—_C—C00H CH; CH; ESSE Bredt Wagner Tiemann Mi sia permesso ora riepilogare gli studî, che da quattro anni continuo sulla decomposizione graduale dell'acido canforico, mediante una blanda os- sidazione, e tanto più mi credo in dovere di far ciò, in quanto che il Wagner ha proposto la sua formola per conciliare i risultati ottenuti da me nell’ os- sidazione dell'acido canforico, cogli altri prodotti di ossidazione della can- fora come l'acido canforonico e canfanico. Dopo una serie di tentativi (') ho stabilito che il prodotto principale dell’ossidazione alla temperatura ordinaria dell’ acido canforico col perman- gato potassico in soluzione alcalina è un’ acido Cs H,» 0; (?); inoltre si for- mano piccole quantità di acido canforonico, di acido canfanico, di acido tri- metilsuccinico e di altri acidi non ben definiti. Naturalmente la mia atten- zione si portò sul prodotto principale, che rappresenta il 27-28°/, dell’ acido canforico che subisce l'azione ossidante, e la prima reazione che mi guidò nello schiarire la costituzione di questa nuova sostanza, fu la riduzione con acido jodidrico. In questa reazione si formano due acidi Cs H,, 04 e Cz Hz 04, il primo dei quali per ossidazione col misto cromico dette l'acido dimetil- succinico assimetrico (3). CH; A COOH—CH,—C—C00H CHs L'acido Cs H;: 0, è un’acido lattonico monobasico. (1) Rend. Acc. Lincei, 1892. (2) Rend. Acc. Lincei, 1893. (3) Berl. Ber. T. 27-2135, T. 28-1506. SSA C [MESE In una serie di trasformazioni riuscii a togliere all’acido Cz H,» 0; per mezzo della p-bromofenilidrazina un'atomo di ossigeno e per sovrariscalda- mento del composto azotato una molecola di CO? (!) ed ottenni il mononi- trile della bromanilide trimetilsuccinica, dalla quale facilmente si ottenne acido trimetilsuccinico. Lo stesso acido ottenne il Tiemann per sovrariscal- damento dell'acido Cz H,s 0; (?), ed in questa Nota ho fatto rilevare il pas- saggio semplice, con eliminazione di ossido di carbonio, dall’ acido Cs H,, 0; all’acido trimetilsuccinico sotto l'influenza dell’ acido bromidrico. Tutte queste reazioni ci permettono di stabilire con sicurezza che l’ a- cido C$ H,, 0, è l'acido a-88 trimetilglutarico (acido metil-2-dimetil-3-pen- tandioico), CH; | CO,H—CH—C—CH,--C0,H (oe CH; CH; e che gli 8 atomi di carbonio dell’ acido Cs H,: 0; conservano lo stesso sche- letro dell'acido trimetilglutarico. All’acido lattonico Cs H,, 0, spetterà perciò una delle due formole Petto (0) an (0) — COH—-0-—TCT—CH,—C0 oppure CO—CH-—C—CH—00,H CE, (CH)? CH3 day Stabilito lo scheletro degli atomi di carbonio dell’ acido Cz His 0;, rimane a definire il modo di concatenazione dei 5 atomi di ossigeno. Prima di tutto osservo che il composto Cs H,s 0; è un'acido bibasico, come lo dimostrano gli eteri metilico ed etilico, i sali di calcio, di bario e l'anidride da me preparati; il sale neutro ed acido di ammonio, il sale diar- gontico, ed il saggio alcalimetrico fatti dal Tiemann; perciò il problema si semplifica, essendo quattro atomi di ossigeno contenuti nella molecola sotto forma di due carbossili. Il quinto atomo di ossigeno può essere sotto forma; a) di carbonilo acetonico, non potendosi ammettere un carbonilo al- deidico pell’ origine del composto. 5) lattonica c) ossidrilica d) di ossido alchilico. (*) Gaz. chim. It. 1896, pag. 52; Rend. Lincei, 1897. (2) Berl. Ber. T. 28 pag. 2151. 2g: da La costituzione chetonica dell'acido può solo essere espressa dallo schema CH3 | CO,H—C0—C—CH—C0,H E CH, CH; come quella lattonica dallo schema Torinese —; CO.H—-C—C—CHT—C0 | I | OH (CH;)° CH; non tenendo conto delle isomerie stereochimiche possibili. La costituzione ossidrilica può essere espressa da 6 forme a nucleo tri- metilenico e da 3 forme a nucleo tetrametilenico, che per brevità non scrivo. Finalmente la costituzione ad ossido alchilico può essere espressa dai seguenti schemi. (Vedi 12 linea). Acidi ad ossigeno ad ossido alchilico. I. II III IV V coon COOH COOH COOH COOH I | gf O—CH CH, CH, HC-0 RAS, | | I 6 H©2C=cH, UH. CH So H;C—C-CH, | Gui | Sa iO fa o0 CH-GH, oi COOH COOH COOH COOH COOH Acidi canforici. w COOH H, COOH COOH COOH COOH H.C CH C-CH Î | | | DA CH, CH. HC——CH, CHi—C—CH;| H;C Hood] I | | N C—C-CH; H.C-C-CH.-CH, H3C-C-CH, CH, H.C C—CH; CECSCH, d | TÀ COOH H: | H; HOCSH,; (Bredt) H—C—CH; N Î | C—C-CH;| HC-CH,-CH.| COOH COOH H. COOH COOH La formola lattonica non trova conferma nei fatti, perchè, come ho di- mostrato in questa Nota, l'anidride acetica non dà un’'acetilderivato come fa l'acido levulinico, pel quale il Bredt ammette una costituzione lattonica. Le formole ossilidriche parimenti non trovano un’appoggio nell'azione dei composti alogenati del fosforo. Questi acidi sarebbero dicarboacidi del trimetilene o del tetrametilene idrossilati, perciò non vi è ragione che da essi non si avesse la reazione normale, e quindi produzione di dicarboacidi alogenati. RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. Se La formola chetonica, che è quella sostenuta dal Tiemann e dal Wagner, non trova parimenti una conferma nei fatti. 1° L'acido Cs Hi O; ed il suo etere etilico non si idrogenano coll’ al- luminio amalgamato. 2° Non addiziona acido cianidrico. 3° Dà colla p-bromofenilidrazina un prodotto di addizione, ma il suo etere etilico non reagisce nè coll’ idrossilamina, nè colla p-bromofenilidrazina. La mancanza delle due prime reazioni dimostra nettamente che nella molecola non può essere contenuto un CO chetonico. La reazione 3* è poi una reazione positiva, che dimostra l'esistenza di un' ossido alchilico; l'ossigeno diventa ossidrile ed il residuo della p-bro- mofenilidrazina si salda alla valenza lasciata libera dall’ ossigeno. Le 5 forme di isomeri chimici esprimenti questa funzione si possono ridurre a tre, quando si consideri il passaggio dell’ acido, Cz H,, O; all’acido trimetilsuccinico sotto l’ influenza dell'acido bromidrico. Secondo gli schemi III e IV questo passaggio non è effettuabile, mentre gli schemi I, II e V lo spiegano in modo semplice, dipendente dall’ attitudine addizionante più ma- nifesta nell’acido bromidrico che nel cloridrico COOH COOH | | — Ce ca | COOH COOH COOH | | COOH OLO OS CO Î RAI | | CH;-C-CH; CH,-C-CH, > CH:-0-CH, n ® HBr,CH3-C-CH3 — CO, SL, | H-C-CH, HC-CH; H-C-CH, H C-CH; | | | | COOH COOH COOH COOH usa: COOH DA HeSo ehi | CH:-C:CH;| —- .CH;0:CH; | H-C—CH, H-C-CH; | | COOH COOH i — Anzi, confrontando i due fatti, che colla soluzione di acido bromidrico la scissione di ossido di carbonio si ha alla temperatura di 140°, mentre in presenza di acido cloridrico alla stessa temperatura l'acido Cz H;, O; rimane inalterato, e che coll’acido bromidrico che si sviluppa dall'azione del pen- tabromuro di fosforo la stessa scissione si ha alla temperatura del bagno maria, si sarebbe quasi autorizzato a dubitare che l'acido chetonico non possa esistere libero, ma dia subito, separando ossido di carbonio, l'acido trime- tilsuccinico. Stabilito che i fatti sperimentali portano alla conclusione che soltanto l'ossigeno sotto forma di ossido alchilico, serva a spiegare il comportamento dell'acido Cs His 0;, vediamo quale dei tre schemi sia da adottarsi per spie- gare logicamente le sue relazioni coll’ acido canforico. Ossian Aschan nella Memoria sopracitata ha dedotto dallo studio degli acidi canforici isomeri che: nelle molecole degli acidi canforici le condi- sioni che producono la loro attività ottica sono collegate coi carboni del nucleo (pag. 89), ed una seconda regola ancora più importante: 7’ acido can- forico contiene per l’ assimetria della molecola due atomi di carbonio as- simetrici (pag. 90). Nella linea 2 della tavola sono inscritti gli acidi canforici derivanti dai diversi acidi Cs H,, O; e si vede che solo gli schemi I e V soddisfano alla prima delle due regole dell’ Aschan, ma mentre lo schema I soddisfa pienamente alla seconda regola e fa prevedere l’esistenza di sei acidi canforici stereoisomeri, cioè quattro otticamente attivi e due racemi, il che è conforme all'esperienza, lo schema V, possedendo la molecola un piano di simmetria, il numero degli isomeri viene ridotto a 3, due attivi ed un racemo, non es- sendo ancora ben stabilito in questo caso, se esista un quarto isomero inat- tivo per compensazione interna. Ora dal lavoro analitico dell’Aschan risulta provato sperimentalmente che gli isomeri acidi canforici isolati, sono appunto in numero di sei. Ma un'altro fatto viene ancora in appoggio della scelta dello schema I per l'acido canforico. È molto probabile che la formazione dell’ acido Cs Hi» 0; abbia luogo per disidratazione di un composto Cs H+ 0, che si origina nel modo seguente. COOH COOH COOH per OH-C-H da CH CH; CH; O nn ra ° SCA; H,C——C-CH; OH-C-CH; C-CH; | | | COOH COOH COOH IO — Ora la reazione di ossidazione si porta su tutti e due gli atomi di car- bonio assimetrici e quindi si formano in egual quantità gli isomeri attivi in senso contrario, ossia i racemi, epperciò l’ acido Cz H, 0; che ne risulta dovrà essere inattivo, quantunque derivi da un composto attivo; e difatti la soluzione acquosa al 10 °/, di quest’ acido ed il suo etere etilico sono com- pletamente inattivi. L'esperienza c' insegna adunque che si può spiegare in modo semplice e razionale la formazione dell'acido Cs H,3 0; ed i suoi derivati per blanda ossidazione dell'acido canforico, senza ricorrere a delle ipotetiche trasposizioni molecolari, solo quando si adotti per quest ultimo la formola di costituzione proposta dal Bredt. Geodesia. — Sulla teoria delle proiezioni quantitative. Nota di V. REINA, presentata dal Socio V. CERRUTI. L'elemento lineare dell’ ellissoide di rotazione terrestre, riferito alle coor- dinate geografiche g9, è dato dalla formola ds° = o°dy® | r°d6?, dove 0 è il raggio di curvatura del meridiano, 7 il raggio del parallelo. L'elemento lineare del piano riferito ad un sistema di coordinate ortogonali isoterme vv, è espresso da ds? = X°(dut + dv). Si ottiene, come è noto, una rappresentazione quantitativa dell’ ellissoide sul piano, stabilendo fra uv 0 tali due relazioni o corrispondenze per cui si abbia 1) ew nella quale la costante % rappresenta il modulo di riduzione superficiale. Il modulo di riduzione lineare m della rappresentazione è dato dalla formola (2) mi= senta +ol sen ecosa+ fr costa, dove @ denota l'angolo che l’elemento lineare, spiccantesi da un punto qua- lunque dell’ ellissoide, forma col parallelo passante per quel punto, mentre i coefficienti e/g hanno le seguenti definizioni Rio alii E Le due direzioni principali o, in altri termini, le due direzioni dell’ el- lissoide che si mantengono ortogonali nella rappresentazione, sono definite dai valori di « che annullano la derivata del secondo membro della (2), e sono quindi da ricavarsi dall’ equazione po re Se si vuole che in ogni punto dell’ ellissoide le direzioni principali coin- cidano con quelle dei paralleli e dei meridiani, dovrà essere /=0, ossia dU dU | dV dv (3) dg 30 pr 39 207 0. Questa equazione, congiunta colla (1), definisce quindi le proiezioni quan- titative nelle quali i paralleli ed i meridiani sono rappresentati da un doppio sistema di curve ortogonali. Tali proiezioni vennero già studiate da Korkine il quale fece dipendere il problema da una equazione alle derivate parziali del secondo ordine, della quale effettuò l'integrazione (!). Qui ci proporremo il seguente problema, non contemplato nel lavoro di Korkine, ed al quale sarebbe difficile rispondere in base alle formole ivi stabilite: Ricercare le proiezioni quantitative nelle quali i paralleli ed i meridiani sono rappresentati da due famiglie di linee ortogonali isoterme. Riferendo il piano ai parametri isometrici « e v di tali due famiglie di linee, le equazioni (1) e (3) dovranno essere soddisfatte quando vi si ponga u=u(9) o= (0). Con ciò la (3) risulterà identicamente soddisfatta, la (1) assumerà la forma dudv _ker (4) dg dd — ARRE e questa non potrà essere soddisfatta se non nel caso in cui il secondo membro si riduca al prodotto di una funzione della sola g per una funzione della sola 0 0, ciò che è equivalente, se non nel caso in cui si abbia A = fi) f(0). Perchè l’ assunto sistema di curve ortogonali isoterme del piano sia atto a rappresentare i paralleli ed i meridiani in una proiezione quanti- tativa, occorre che l’ elemento lineare, ad esso riferito, si presenti sotto la forma ds'* = f.(1) f:(0) (du? + do). (1) A. Korkine, Sur les cartes géographiques. Math. Ann., Bd. XXXV 1890. A —- Ora si ottengono tutti i sistemi ortogonali isotermi del piano ponendo atiy= (+10) a—iy=(u—iv), indicandosi qui con w, ciò che diventa la funzione w, quando si cambi ? in —% non solo nell'argomento, ma anche, eventualmente, nei coefficienti della funzione. Differenziando le due relazioni e moltiplicandole si ottiene ds? = da + dy°= wi! ws (du + dv). La funzione w che determina il doppio sistema di linee dovrà dunque esser tale che si abbia y'(ut iv) wi (u—i0v)=f(0) fs(0). Se si pone per semplicità w=u+ tv w=u— iv, si prende il logaritmo dei due membri della relazione e si deriva una prima volta rispetto ad « ed una seconda rispetto a v, si ottiene 2 2 d , d r div? log y(w01) = dat log ws /(w2) . Ma l'eguaglianza fra questi due rapporti, dipendenti da variabili diverse, non può sussistere a meno che entrambi non si riducano a una costante. In- dicandola con 2C e tralasciando gli indici, dovrà dunque aversi, in general e, 2 d IONI Tape 198 VW) = 20, ed integrando y(w) = A {eoe+0 + B. I sistemi ortogonali isotermi del piano atti a rappresentare i paral- leli ed i meridiani, in una protezione quantitativa dell’ ellissoide terrestre, sono dunque tutti e soli quelli definiti dalla relazione (5) pes ty = A [ene d(u Si iv) DE B. Di qui si ricava dl? age + dy? — A? e20?-02) +20" (du? se dv) e quindi la forma necessaria del coefficiente 4? sarà 1) 202 42 Se A? eaucu+Cn e 2Cv 5 e L'equazione differenziale (4) diverrà du dv _ kor dg dé > A?g®u(Cu+0) g=20v e potrà scindersi nelle due alle derivate parziali du (6) ti (4, A:= 15) e7ze0? DD = À, egulcu+C" Se si suppone C=C"=0, la (5) diviene DEIRA 0) I due sistemi di rette paralleli ai due assi ortogonali sono dunque atti a risolvere il problema proposto e le (6) dànno u=A;kfordg+B,, = 0 che sono le formole corrispondenti alle prozezioni cilindriche quantitative (!). Supponendo nella (5) C=0 si ottiene 1 A BEY era —+B 3 ossia, ritenendo per semplicità A=C"=1, B=0 uni Nogi(a.==00) u=log|/a° +y° =logR v=arcig £ —@. Le linee isoterme così definite, atte a fornire una nuova soluzione del problema, non sono altro che i cerchi R = cost col centro nell’ origine, ed i raggi ©= cost uscenti dall'origine stessa. Le (6) diventano in questo caso i. na: (AA: = 1) d el _ A, kor d dp — quindi, integrando, si ottiene e = 2A k fordp+B, DENG RIR. ossia R: =24.6 fordy+3, dla che sono le formole corrispondenti agli sviluppi conici quantitativi (?). (3) Cfr. Matteo Fiorini, Ze proiezioni delle carte geografiche. Bologna 1881, pag. 492. (2) Op. cit., pag. 470. Mg Vano riuscirebbe il tentativo di risolvere il problema proposto cogli altri sistemi più usitati di coordinate curvilinee isoterme (coordinate ellittiche, sistema delle lemniscate e delle iperboli ortogonali ecc.) nessuno di essi rientrando nella relazione (5). Le precedenti conclusioni, enunciate per l’ellissoide di rotazione terre- stre, valgono invariate per ogni altra superficie di rotazione. Fisica. — Sulle cariche elettrostatiche generate dai raggi ca- todici ('). Nota di Quirino MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA. Una delle proprietà più caratteristiche dei raggi catodici, è quella di generare delle cariche elettriche sopra i corpi da essi colpiti. È infatti risa- puto da chiunque abbia sperimentato con dei tubi di Crookes, che le pareti anticatodiche di questi si elettrizzano fortemente, quando essi sono in azione. Basta avvicinare un dito a quelle pareti, per trarne scintille lunghe parecchi millimetri. La lunghezza di queste scintille decresce considerevoimente e può anche annullarsi, deviando i raggi catodici mediante un magnete. Sembra dunque assai naturale attribuire a queste radiazioni, la formazione di quelle cariche elettriche. Il fenomeno indicato è stato oggetto di studio da parte di molti fisici, specie dopo la notevole scoperta di Ròntgen. Secondo l'ipotesi di Crookes, sulla natura dei raggi catodici, che cioè questi debbano essere costituiti da particelle ma- teriali cariche di elettricità negativa, i corpi neutri colpiti da quei raggi, dovrebbero venire caricati negativamente. E difatti le esperienze eseguite da taluni fisici hanno confermato questa semplice supposizione. Così Wiedemann, Perrin, e recentemente McClelland. Ma risultato contrario fu ottenuto in alcune esperienze eseguite da non molto da Battelli e Garbasso, i quali tro- vano che i corpi colpiti dai raggi catodici si caricano positivamente. Da qualche mese io ho intrapreso uno studio sulla determinazione della velocità dei raggi catodici; ed è mia intenzione di trovare il valore di questa velocità, servendomi appunto delle cariche elettriche generate sui corpi colpiti. Non è dunque oggetto questa Nota di conciliare le divergenze delle osservazioni dei varî fisici, ma solo di studiare il fenomeno accennato nelle condizioni in cui mi son posto, per fare la determinazione di cui più sopra ho detto. Dirò dunque ora di risultati che valgono esclusivamente per il caso in cui si sperimenti come verrà indicato, e dopo che in Note posteriori a questa, avrò detto dei risultati ottenuti nella ricerca della velocità dei raggi catodici, mi propongo di studiare definitivamente la questione delle cariche elettriche generate da quei raggi. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto Fisico della R. Università di Roma. 7 Uno dei tubi adoperati per le attuali ricerche, è quello indicato nella figura 1. Esso ha un catodo centrale © costituito da un disco di alluminio | | U i DB { Ud W DU, DL Ù O) Ù 4 Ù 1 2 3 c RTG 1:6 di diametro poco inferiore a quello interno del tubo di vetro. A destra e a sinistra del catodo è disposta una doppia serie di anodi filiformi 1, 2,3... 6. Ad una delle estremità del tubo, che costituiscono le due pareti anticatodiche, sì trova un dischetto di alluminio 4, il quale raccoglie delle cariche elettriche, quando il tubo funziona. Queste cariche vengono esaminate servendosi di un elettrometro di Mascart, il cui ago viene posto in comunicazione col disco 4 e con un estremo di un tubo capillare riempito di alcool assoluto, di cui l’altro estremo è posto a terra. Le due coppie opposte dei quadranti del- l’elettrometro sono poste in comunicazione con i poli di una pila Warren de La Rue di 20 elementi. In queste condizioni, se il tubo di scarica è evacuato, ed è traversato dalla scarica periodica di un rocchetto di induzione, l'ago dell’elettrometro subisce una deviazione costante la quale è dovuta sempre ad una carica positiva; e ciò qualunque sia l’ anodo che venga ado- perato insieme al catodo C. Il valore di questa deviazione è variabile con la rarefazione interna del tubo; e non appena il funzionamento del rocchetto viene interrotto, l'ago ritorna allo zero, grazie all’ uso del tubo capillare con alcool posto a terra. Avrei potuto fare una valutazione del valore assoluto di queste cariche, ma tale studio sarebbe stato talmente legato alle speciali dimensioni del- l'apparecchio, del rocchetto adoperato, e al numero delle interruzioni dato da questo, che non avrebbe presentato nessun interesse di indole generale. Ho quindi preferito cercare e scegliere quelle condizioni per le quali le misure si potessero fare nel modo più possibilmente sicuro e costante da una volta all'altra. Per ottenere ciò ho adoperato un rocchetto di induzione di media grandezza, con interruttore a martelletto animato da 3 o da 4 accumulatori elettrici. RENDICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 3 SS (oli Un primo studio che si può fare adoperando l'apparecchio descritto, è quello della variabilità della carica col cambiare della rarefazione interna. Il tubo di scarica è permanentemente unito alla pompa. Questa è a mercurio, automatica del tipo Raps e ad esaurimento successivo. Benchè pre- senti lo svantaggio di non possedere un manometro indicatore, pure in simili ricerche è assai utile per la rapidità con cui essa lavora. Ma un criterio che, se si vuole non è esattissimo, ma in ogni modo abbastanza approssimato per conoscere la rarefazione interna, è quello che risulta dalle considerazioni seguenti. Come prima operazione il tubo di scarica descritto è stato vuotato sino alle rarefazioni studiate da Hittorf, e successivamente riempito di aria secca. Questa operazione è stata ripetuta più volte (otto o dieci), mentre la scarica del rocehetto circola nel tubo, e ciò scegliendo come catodo sempre il disco C, e come anodo uno qualunque degli elettrodi filiformi 1, 2,3...6,0d anche il disco a. Lo scopo di questo procedimento è stato di scacciare tutte le materie gassose occluse nei varî elettrodi; talchè mentre le prime volte oc- correva che la pompa lavorasse delle ore per procedere alla evacuazione, in fine bastavano pochi colpi di pompa per raggiungere le massime rarefazioni. E in queste condizioni che, con la conoscenza del numero dei colpi di pompa si può determinare la pressione interna nel tubo da vuotare, non intervenendo allora cause perturbatrici. Dalla conoscenza del volume del recipiente della pompa che si riempie di mercurio, e di quello del tubo da vuotare con ac- cessorî (vaso essiccatore, tubi adduttori, ecc.) ho potuto calcolare che la pressione, per ogni colpo del bilanciere automatico di cui è fornita la pompa Raps, si abbassa a */ circa del suo valore. Quindi basta elevare questa quantità ad una potenza eguale al numero dei colpi di bilanciere e molti- plicarla per il valore originario della pressione, per ottenere il nuovo valore di questa. Ora prima che il bilanciere della macchina venga posto in azione, la pressione nell'interno del tubo è eguale a quella data dal manometro unito alla pompa ad acqua, la quale serve ad ottenere la prima rarefazione. Questo valore, nella esperienza di cui ora riporterò i risultati era di 23 millimetri di mercurio circa. Si vede dunque che il numero # dei colpi di bilanciere, necessarî per arrivare ad una rarefazione per esempio di un millesimo di millimetro è dato dalla espressione: 23 . (5/8) = 0,001. Da cui 2x=21, circa. Ciò premesso scegliendo © come catodo, e l' elettrodo 1 come anodo, ho potuto osservare le varie deviazioni subite dall'ago dell’ elettrometro per rarefazioni crescenti. No. — Nella tabella seguente sono riportate le medie di talune delle osserva- zioni fatte, e nell'ultima colonna figurano i valori delle deviazioni stesse, quando sul tratto del tubo compreso tra C ed a si fa agire un potente elet- tromagnete, in guisa che i raggi catodici non investano più il disco «. Colpi del bilanciere pressione deviazioni (parti della scala) mm. senza magnete col magnete 0 23 0 0 6 1,4 3 5) 9 0,33 28 6 12 0,082 93 15 15 0,020 144 18 18 0,0049 185 24 21 0,0011 197 25 24 0,00029 fuori della scala 29 Da questa tabella si deduce che le cariche elettriche generate sul disco «4 dalla scarica elettrica traversante il tubo, vanno rapidamente crescendo col diminuire della pressione nell’ interno dell'apparecchio; e propriamente esse divengono massime, quando la rarefazione è tale che nell’ interno del tubo si abbia una intensa produzione di raggi catodici. L'ultima colonna della stessa tabella conferma la supposizione che quelle cariche elettriche sieno realmente dovute ai raggi catodici. Infatti il valore che esse assumono, è molto minore quando quei raggi vengono deviati con la calamita. Ed è interessante notare che, mentre per la pressione di 1,4 la deviazione dell’ elettrometro è la stessa tanto che il magnete agisca o no, per pressioni minori, e segnatamente per quelle in cui la produzione dei raggi catodici è abbondante, la lettura che si fa sull’ elettrometro può essere anche solo un ottavo quando si deviino i raggi catodici. Risultati analoghi ai precedenti, ma che non occorre riportare, si otter- rebbero adoperando come anodo anzichè l'elettrodo 1, uno qualunque degli altri cinque. Ma il valore assoluto delle cariche elettriche generate sul disco @, oltre che variare con la pressione nell'interno del tubo di scarica, varia con la posizione relativa dell’ anodo. Era sin qui generalmente ammesso che la posizione dell’ anodo non avesse influenza alcuna sul modo di emanazione dei raggi catodici, e sì riteneva che sia in direzione che in intensità, i raggi catodici emanassero sempre alla stessa guisa, indipendentemente dalla posizione dell’ anodo. In una Nota precedente (') feci vedere come non sia vero che la direzione dei raggi catodici non resti perturbata dalla presenza dell’ anodo, e che quindi (2) Rendic. Acc. Lincei, 7 marzo 1897. vi è campo di studiare la deviazione elettrostatica esercitata su quei raggi anche per parte dell’anodo; mi propongo ora di far vedere che oltre la di- rezione, anche la intensità dei raggi catodici può essere modificata a seconda della diversa posizione dell’anodo. Questo studio si può ancora fare servendosi del tubo già descritto. E sarebbe non molto interessante farlo per varî gradi di rarefazione del tubo stesso; mi sono quindi limitato a tenere il tubo in condizioni tali che la produzione dei raggi catodici nel suo interno, fosse ben netta; il che corrisponde ad una rarefazione di circa t/roo00 di millimetro, ovverosia, nelle condizioni di esperimento, a 21 colpi circa del bilanciere della pompa Raps, dopo «aver fatto lavorare al massimo l’ aspiratore ad acqua. In tali condizioni ecco le deviazioni medie subite dall’ ago dell’ elettro- metro adoperando come anodi i varî elettrodi filiformi: anodo 1 2 3 4 5 6 deviazione 123 116 1ll 18 7 16 Questa tabella ci permette di fare due nuove considerazioni. Le cariche elettriche generate sul disco 4 sono più grandi quando l’anodo, pur mante- nendosi dalla stessa parte del catodo, è più vicino a questo. Si osserva in secondo luogo una spiccata differenza tra i valori che si hanno per le devia- zioni dell'elettrometro, a seconda che l' anodo si trova a destra od a sinistra del catodo. Questo fatto è già prevedibile dal semplice esame della distribuzione della fluorescenza del tubo sotto l’azione della scarica. Infatti a seconda che l'elettrodo si trova a destra od a sinistra del catodo, la parte del tubo, che più è fluorescente, è quella di destra o quella di sinistra. Una spiegazione di questi ultimi fenomeni si ricava dalle considerazioni seguenti. Nell'interno di un tubo di scarica, fornito di due elettrodi, positivo l’uno, e negativo l’altro, è noto, per le ricerche di Hertz, che avvengono due fenomeni ben distinti. Da un canto la scarica elettrica segue nell’ interno del tubo, ed a traverso la residuale massa gassosa delle linee (linee di corrente) che congiungono le superficie dei due elettrodi, simili a quelle che si avreb- bero nel caso in cui i due elettrodi stessi fossero immersi in una massa me- diocre conduttrice dell’ elettricità. Se poi la rarefazione nell'interno del tubo è convenientemente spinta, si ha, oltre alla manifestazione del fenomeno predetto, la emanazione dei raggi catodici, da parte dell’ elettrodo negativo. Dalle ricerche di Hertz risulta inoltre, che tale emanazione è indipendente dal percorso delle linee di corrente. Ma mediante il tubo ora studiato, è facile scorgere che ciò non è esatto, giacchè se si diminuisce o se si annullano le linee di corrente in alcune regioni della superficie metallica funzionante da catodo, anche l'intensità dei raggi catodici diminuisce o si annulla. È in- fatti lecito supporre che funzionando in quel tubo il disco © da catodo e uno = GNA dei fili 4, 5, 6 da anodo si avrà sul catodo una maggiore densità di linee di corrente sul lato sinistro della figura, e ciò perchè il disco C è di dia- metro poco inferiore a quello del tubo di scarica, e divide quasi in due parti completamente distinte la massa gassosa contenuta nell'interno del tubo. È dunque condizione alla emanazione dei raggi catodici da un punto del catodo, che su quel punto arrivino delle linee di corrente partenti dall’ anodo. Ho infatti verificato sperimentalmente che se il disco C' abbraccia quasi com- pletamente tutta la sezione del tubo, oltre ad essere invisibile qualsiasi fluo- rescenza sul lato di destra, se l’anodo si trova a sinistra, sono anche tra- scurabili le cariche elettriche generate sul disco 4. Se si vuole dunque che un catodo € (fig. 2) emani dei raggi verso la parete P del tubo, essendo l’anodo situato in A, occorre osservare alcune condizioni costruttive, le quali sodisfino agli enunciati precedenti. Occorre che le linee di corrente partenti dall’ anodo A arrivino sul lato destro del disco €; e per ottenere ciò, deve il disco C essere di diametro notevol- mente più piccolo di quello del tubo di scarica; questa circostanza permette che le linee di corrente seguano il cammino che è ad un dipresso indicato nella figura. Onde evitare una emanazione di raggi dal lato di sinistra del disco C, si deve proteggere questo lato mediante una parete di vetro, mica, ad altra sostanza isolante. Ricordo che queste condizioni furono osservate da Lenard nel suo studio sui raggi catodici, benchè la spiegazione di ciò non fu allora data. È poi interessante notare che se il lato sinistro del disco € non è pro- tetto come ora si è detto, e se le dimensioni del disco stesso sono piccole di fronte al diametro del tubo di scarica, la emanazione dei raggi catodici avviene ancora di preferenza dal lato destro del disco stesso. Frs. 2. Ciò si spiega pensando alla deviazione elettrostatica dei raggi catodici. Infatti il fascio di raggi emanante dal gambo che sostiene il disco, e quello emanante dal lato sinistro di questo disco, sono rispettivamente respinti, e quindi in certo modo impediti nella loro produzione, dal disco e dal gambo. In conclusione posso affermare, che lo studio della fluorescenza delle pa- reti del tubo di scarica, aiutato dall'esame dei valori delle cariche elettriche generate sopra corpi conduttori, porta ad ammettere che non è indifferente SR) ge la posizione dell’ anodo nell'interno dei tubi di scarica, e ciò sotto il ri- guardo del modo di emanazione dei raggi catodici. E in tesi generale si deve ammettere, che i raggi catodici partono dalle regioni delle superficie dei ca- todi, sulle quali arrivano le linee di corrente partenti dall’ anodo, sotto l’ azione della scarica elettrica. Fisica. — Sulla doppia rifrazione elettrica del legno. Nota del prof. DomeNIco MAzzOTTO, presentata dal Corrispondente NACCARI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica fisica. — Sopra la conducibilità termica dei vapori rossi. Nota di G. MAGNANINI e G. MALAGNINI ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Diamo conto in questa Nota di alcune esperienze che si riferiscono al comportamento di un gaz disso- ciabile, l’ipoazotide, per rispetto alla sua conducibilità termica (*). È noto dalle esperienze di Berthelot ed Ogier (3) che il calorico specifico dei gaz, che non obbedi- scono alla legge di Boyle-Gay Lussac, cioè la cui densità varia più considerevolmente colla temperatura, presenta anomalie dipendenti dal lavoro chimico, cioè delle tra- sformazioni molecolari. Così per la ipoazotide la varia- zione di calorico specifico fra 100° e 26°, contrariamente a quanto avviene per la maggior parte dei gaz fino ad ora studiati è molto maggiore che fra 100° e 200° corrispondentemente alla maggiore variazione nel grado di dissociazione. a (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Modena. (2) Io mi trovava nell’ aprile 1896 a S. Margherita ligure in compagnia del mio amico il prof. W. Nernst della Università di Gsttingen, e parlando del comportamento delle sostanze \ dissociabili, stabilimmo che io avrei fatto esperienze sulle pro- prietà termiche dei vapori, in modo particolare di quelli disso- ciabili. Diamo conto in questa Nota preliminare dei primi risultati ottenuti, avvertendo che ulteriori ricerche, più complete ed estese ad un maggior numero di sostanze, formeranno oggetto di una più estesa memoria. G. MAGNANINI. (3) Comptes rendus 94, 916. 9% — Noi abbiamo studiato la conducibilità termica dei vapori rossi, deter- minando la velocità di riscaldamento di uno stesso bulbo termometrico im- merso in differenti gaz, fra i quali l’ipoazotide, contenuti successivamente in uno stesso vaso di vetro munito di rubinetto, come è indicato dalla figura qui annessa (3 nat) (‘). La massa gazosa, a pressione atmosferica, veniva por- tata ad una determinata temperatura (inferiore), immergendo l'apparecchio in un bagno agitato a temperatura costante (acqua od olio). Quando il ter- mometro interno segnava la temperatura del bagno, si chiudeva il rubinetto e sì passava rapidamente in un secondo bagno a temperatura più elevata notando le temperature ed i tempi. I risultati ottenuti si trovano riuniti nelle seguenti tabelle, dove per ciascuna specie di gaz sono indicati i diversi intervalli di temperatura stu- diati, notando accanto ai tempi, le rispettive variazioni. L'ipotesi di raffreddamento del Newton, secondo la quale la quantità di calore dw ceduta in un tempuscolo 44 è proporzionale all’ eccesso di tem- peratura dell’ ambiente: dw=k (3 — 3) dt è applicabile nelle nostre esperienze, tanto per rapporto alla conducibilità propria al vetro ed allo stilo termometrico, quanto per rapporto alla condu- cibilità vera del gaz. La convezione che si sottrae alla legge di Newton, è in prima approssimazione trascurabile. Introducendo la massa termometrica wm, il suo calorico specifico c, si ottiene per integrazione la relazione (*) 1 2a ro E i me” 10 s 1 — è L' espressione +; log | 1 rn r97 una stessa sostanza negli ordinarî intervalli di temperatura ed entro il limite degli errori, è stata calcolata prendendo ogni volta per 4, la temperatura del secondo bagno, e per +, il grado del termometro dopo il 1° minuto di riscaldamento, calcolando a partire da quel tempo per eliminare così le anomalie del primo periodo. 4 sono i gradi termometrici corrispondenti ai diversi valori di {. costante per un medesimo apparecchio ed (1) Metodo di Winkelmann (Wied. Ann. 44, 177). Per temperature più elevate ab- biamo usato un secondo apparecchio avente forma sferica e della capacità di circa 100 c.c. (2) Vedi Nernst e Schonflies, Finfuhrung in die mathematische Behandlung der Naturwissenschaften, pag. 129. [fee eos Keri ei ein 40,0 Aria FE O O 30° — 70° 70° — 110° t 1 gg, I IG TI minuti t log 9 — do 3 È log 9- v É log (e) (0) ] 14,8 — 42,0 = 79,6 2 23,9 = 51,4 0,179 90,0 0,182 8 28,9 0,178 57,7 0,178 97,2 0,187 4 32,4 0,175 61,9 0,179 101,6 0,186 5 34,8 0,171 64,7 0,180 104,2 0,179 6 36,2 0,164 66,7 0,187 106,5 0,187 7 37,4 0,181 67,9 0,189 107,8 8 88,1 0,160 68,7 0,199 108,8 9 88,7 69,3 109,2 10 34,0 69,6 109,4 11 39,9 69,8 109,8 12 39,6 70,0 109,9 13 39,7 110,0 14 39,8 15 39,9 Acido carbonico. Ossigeno. 30° — 70° 20° — 709 t 1 GS 1 ITS 1 tia minuti si A log 3- db ci t log 3 —- do (0) (0) 1 41,0 — 42,2 — 2 50,8 0,164 61,8 0,184 3 56,8 0,163 58,3 0,187 4 61,0 0,164 62,5 0 189 5 63,9 0,165 65,1 0,188 6 65,9 0,167 66,8 0,189 7 67,2 0,166 68,3 8 68,2 69,0 9 68,8 69,6 10 69,2 69,8 11 69,5 70,0 12 69,8 13 69,9 14 700 Idrogeno. Ipoazotide (1). 0° — 40° 50° — 70° 70° — 110° 0° — 40° 50° — 700 Lgs o MR TA, elegge 0 OI rg SO 103: ca I ra o (0) (0) (e) — 58,9 — 93,4 _ 31,8 — 61,4 — 0,575 67,1 0,579 105,2 0,539 8852 0,658 676 0,554 0,547 69,1 0,543 1088. 0,570 393 0,534 694 0,578 69,7 109,9 39,8 70,0 70,0 110,1 40,0 (1) Vapori ottenuti dalla ipoazotide liquida. II. Apparecchio. 150° — 190°. Aria. Idrogeno. Ipoazotide. 1 dd 1 Id 1 dd minuti * ecs: —— dear LI Ni: 176,5 dA 163,5 I 2 177,3 0,292 187,0 0,653 173,3 0,200 5) 183,8 0,301 190,0 179,2 0,195 4 186,8 0,297 182,5 0,182 Òò 188,8 0,329 185,0 0,181 6 189,6 187,0 0,189 7 189,8 188,2 0,194 8 190,0 189,0 9 189,6 10 190,6 î 2a dd de sn SR: Dai valori 7 log ea ottenuti, si vede che l’ipoazotide si comporta o 0 in modo diverso dagli altri gaz. L'aria, l'acido carbonico, l'ossigeno, condu- cono, come si sapeva, notevolmente meno dell’ idrogeno. Nella ipoazotide in- vece a temperatura bassa il riscaldamento avviene più rapidamente che per l'idrogeno, fra 70° — 100° più lentamente che per l'idrogeno ma più ra- pidamente che per l’aria, a temperature superiori (150° — 190°) più len- tamente che per l’aria. Il fatto trova la sua spiegazione nella equazione ter- mochimica : 2N0; = N30, + 129 K per la quale l'energia viene trasportata nell'interno della massa più fredda in parte sotto forma di calorie di dissociazione. Secondo la teoria cinetica le molecole calde dissociate vicino alla parete calda del recipiente, internan- dosi per il fatto dei loro movimenti, nella massa più fredda, si riuniscono con sviluppo di calore e questo trasporto di energia continua fino a che si ha equilibrio di temperatura. Per temperature elevate a cui non esistono molecole doppie dissociabili, l’ipoazotide conduce meno dell'aria. Tenendo conto dei valori K ed a trovati dal Winkelmann (*) per l'idro- geno e per l’aria, si può calcolare dai risultati ottenuti fra 150° — 190° il valore della conducibilità termica assoluta della ipoazotide riferita a milli- metri, milligrammi secondi, e gradi centesimali, per la temperatura di 150° a cui questo gaz è completamente dissociato. Si trova così il valore : K 500 —_ 0,0033. A temperature inferiori i valori di K che si possono ottenere collo stesso calcolo sono assai superiori ma non hanno naturalmente 1’ identico significato cinetico che ha K per i gaz non dissociabili. (1) Landolt e Bornstein. Phys. chem. Tabellen. pag. 374. RenDICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 4 LEGA Chimica. — Sull’azione dell'acido nitroso sopra la canforos- sima. Nota del dott. AnceLO ANGELI, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN. Negli ultimi due anni, assieme al dott. Enrico Rimini, ho descritti alcuni prodotti che si ottengono per azione dell'acido nitroso sopra alcune ossime della serie della canfora (!). Oggi ritorno sopra questo argomento allo scopo di comunicare alcuni nuovi fatti e considerazioni che parlano contro le vedute di Mahla e Tiemann (?) secondo i quali la sostanza C,0 His Nz O» che io ho chiamata perritrosocanfora sarebbe da riguardarsi come una ni/ram- mina della seguente struttura: (CH;),C—CH—CH | CH, | (CH;)HC—CH—C NH . NO; Secondo Mahla e Tiemann, acidificando con acidi minerali le soluzioni acquose del sale potassico della pernitrosocanfora, si ottiene direttamente il composto primitivo che fonde a 43°. Io ho ripetuta più volte e fatta ripetere anche da altri questa esperienza, ed in tal modo non ho fatto che confermare nuovamente quanto io aveva prima trovato. La soluzione acquosa e diluita del sale potassico, infatti, aci- dificata con precauzione e rapidamente per mezzo di acido cloridrico diluito dà un composto colorato in giallo chiaro che fonde verso 57° e che lenta- mente si trasforma nella sostanza incolora primitiva che fonde a 43°. Anche il sale potassico puro è colorato in giallo chiaro; la sua polvere naturalmente è priva di colore, nello stesso modo che appare bianca la polvere p. e. del prussiato giallo. Mahla e Tiemann hanno trovato che il composto dà la reazione di Lie- bermann e da ciò pure deducono che in esso sia contenuto un residuo nitrico. Io però ho notato che le colorazioni che si ottengono sono molto dubbie e che poco hanno di comune con la reazione di Liebermann. Non comprendo poi come da ciò si possa stabilire l'esistenza di un gruppo nitrico, giacchè io ho trovato che il composto non dà la reazione di Thiele per le nitrammine e non si colora con una soluzione solforica di difenilammina. Io aveva detto che la pernitrosocanfora è stabile al permanganato, mentre i citati autori affermano che nella sua molecola deve essere contenuto un (1) Gazzetta chimica. (2) Berl. Berichte, XXIX, 2807. ao e doppio legame giacchè le soluzioni del suo sale potassico riducono immedia- tamente il camaleonte. A questo riguardo dirò che io ho fatto l'esame, come di solito, sopra una soluzione alcoolica di pernitrosocanfora e non già come Mahla e Tiemann suppongono, sopra la sostanza sospesa nell'acqua. Nel caso p. e. degli acidi carbossilici è indifferente esaminare i composti liberi oppure i loro sali; ma quando si tratta di prodotti ossigenati dell’ azoto la cosa è diversa. Io ho trovato, infatti, che nel mentre le soluzioni alcooliche dei nitroderivati, contenenti residui di idrocarburi saturi, come anche delle ossime (e questo dimostra che il doppio legame fra azoto e carbonio è stabile al permanganato) sono indifferenti al camaleonte, le soluzioni acquose dei loro sali vengono immediatamente ossidate. Tale esperienza di Mahla e Tiemann in questo caso non dimostra quindi nulla. Anche i valori trovati per la rifrazione molecolare dimostrano, sempre secondo gli stessi chimici, che nella pernitrosocanfora, assieme al doppio le- game è contenuto il gruppo — NH. NO.,. Io ho già fatto vedere che l'impossibilità di trasformare il nitrato di canferilimmina in pernitrosocanfora, come pure il fatto che la pernitrosocanfora, per riduzione, non fornisce una idrazina (come fanno le altre nitrammine) rendono molto improbabile che nella molecola di questa sostanza sia conte- nuto il residuo della nitrammide. È noto inoltre dalle splendide ricerche di von Pechmann (!) che le ni- trammine del tipo R.NH.NO, reagiscono con violenza sul diazometano con sviluppo di azoto e formazione di composti metilati che variano a seconda della natura della nitrammina impiegata. Questa interessante reazione, come si vede, costituisce un metodo prezioso per la diagnosi delle nitrammine e perciò io ho pregato l’ illustre chimico di Tubinga di esaminare come la pernitrosocanfora si comporta ri- spetto al diazometano. Il prof. von Pechmann, al quale mi è grato di porgere i più sentiti ringraziamenti, mi ha subito comunicato che la pernitrosocanfora non agisce menomamente sopra il diazometano; in una esperienza vennero impiegati gr. 2,5 di pernitrosocanfora; la soluzione di diazometano non venne scolorata e si sono potuti riottenere gr. 2,1 di pernitrosocanfora inalterata. Questo risultato è importantissimo e da sè solo esclude senz’ altro l’ ipo- tesi sostenuta dal Tiemann che nella pernitrosocanfora sia contenuto il residuo : — NH. NO». (1) Berl. Berichte, XXX, 646. Murcogru Fra le diverse probabilità, ancora due anni or sono, io aveva ammesso che nella pernitrosocanfora sia contenuto il gruppo: N—0 SCQUBE 7 No il quale, come si vede, presenta una certa analogia con quello dei perossidi delle gliossime: —C=N—-0 | IE —C=N—-0 Indifferenti al permanganato anche queste ultime sostanze sono stabili rispetto al diazometano (!). Sono invece oltremodo sensibili all’azione degli alcali ed ancora parecchi anni or sono io ho dimostrato come alcuni di questi perossidi, per mezzo degli alcali, si possano con tutta facilità trasformare in sali; però questi sali derivano da composti isomeri. La stessa sensibilità agli alcali viene presentata anche dai pernitroso- derivati, che in tal modo possono dare origine a prodotti che variano a se- conda delle condizioni della reazione. La più interessante è senza dubbio la trasformazione in isomeri. Come io e Rimini abbiamo dimostrato, la bromo- pernitrosocanfora ed il ‘pernitrosofencone forniscono l’ 2sobromopernitrosocan- fora e l isopernitrosofencone, che molto rassomigliano ai composti da cui derivano. La stessa relazione, molto probabilmente, passa anche fra la per- nitrosocanfora (p. fus. 43°) ed il prodotto che da questa si ottiene per azione degli alcali (p. fus. 57°). In questo caso però l’analisi non dice nulla, giacchè il secondo prodotto, quando è secco, si è già trasformato nella pernitrosocanfora primitiva (*). È noto invece che le ordinarie nitrammine per azione degli alcali ed a parità di condizioni, vengono semplicemente trasformate in sali dai quali, con tutta facilità, si possono riavere inalterate. La pernitrosocanfora non presenta quindi nessuno dei caratteri delle vere nitrammine, ed io veramente non comprendo come Mahla e Tiemann conclu- dano col dire che il comportamento della canfenilnitrammina (pernitrosocanfora) corrisponda esattamente a quello delle altre nitrammine. Mahla e Tiemann rivolgono in seguito le loro osservazioni ai derivati che io e Rimini abbiamo ottenuti dalla pernitrosocanfora e dal pernitroso- fencone per azione dell’ acido solforico concentrato. All’ epoca in cui è comparsa la loro Memoria non era ancora pubblicata nella Gazzetta Chimica la nostra (1) Comunicazione privata del prof. von Pechmann. (2) Sopra la cause di queste isomerie mi sembra ancora prematuro il voler fare delle ipotesi. — 99 Nota nella quale si dava la dimostrazione rigorosa dell’ identità dell’ acido Cs H140,, che si ottiene per ossidazione dell’ isocanfora, con l'acido a-isopro- pilglutarico, che più tardi è stato preparato sinteticamente dal Perkin. Gli autori dubitavano che il nostro acido fosse piuttosto stato identico con l'acido f-isopropilglutarico di Schryver e perciò dicevano che ancora era indeciso se l’isocanfora fosse da riguardarsi come un derivato del para o del metacimolo : CH, C3H7 CH CH H,C Ci CH, H,C CH HC Tu (010) H,0 GY C CH, C co CH, Se i miei illustri contradditori avessero esaminato meglio i fatti, avreb- bero subito compreso, che le nostre ricerche escludevano già fin da principio la prima formola per l’ isocanfora. Era appunto a tal fine che io e Rimini ne avevamo preparato il prodotto di riduzione Co Hso O ed il corrispondente chetone saturo Cio His 0. È chiaro infatti che se all’isocanfora spettasse la prima formola, il prodotto C,0 Hso 0 dovrebbe essere stato identico con il carvomentolo ed il derivato C,o Hig 0 identico con il carvomentone. I composti sono invece totalmente diversi. Riguardo ai derivati isomeri che si ottengono partendo dal fencone, dirò che io e Rimini non abbiamo studiata la fenconimmina giacchè il corrispon- dente derivato della canfora venne per la prima volta descritto dal Tiemann ('). Faccio però osservare che a Mahla e Tiemann è sfuggito l’ isopernitro- sofencone, che dal pernitrosoderivato si ottiene con tutta facilità per azione degli alcali. Nella trasformazione in derivati imminici, Tiemann ammette che per azione dell’ammoniaca venga eliminato semplicemente il residuo nitrico, che egli suppone presente; io invece ritengo più verosimile che entrambi gli atomi di azoto del gruppo: DON: 0: vengano eliminati e che al loro posto si porti il residuo dell’ammoniaca. Ma comunque si voglia interpretare questa reazione accennerò al fatto che tanto il pernitrosofencone quanto il suo isomero si decompongono per azione dell'acido solforico concentrato per dare un chetone non saturo isomero al fencone e che ha tutti i caratteri dell’ isocanfora. Mahla e Tiemann du- (1) Berl. Berichte, XXVIII, 1079. e og bitano che l’ isocanfora sia identica con l’ isofencone per il solo motivo che gli isomeri nella serie della canfora presentano spesso una grande rassomi- glianza nelle loro proprietà. Ma io farò osservare che il dott. Rimini ed io abbiamo preparato tanto l'ossima quanto il semicarbazone dell’ isofencone e che le loro proprietà ven- nero trovate perfettamente identiche a quelle dei corrispondenti derivati del- l’isocanfora. Inoltre l'aggiunta di isofenconossima all’ ossima dell’ isocanfora non ne altera menomamente il punto di fusione. A me pare che questi caratteri rappresentino qualche cosa di più che una semplice rassomiglianza di proprietà. Mahla e Tiemann accennano inoltre alla possibilità, in base al valore trovato per la rifrazione molecolare, che l' isocanfora sia un chetone a catena aperta contenente due doppi legami. Io non credo che questo sì possa am- mettere giacchè non si comprenderebbe come da un tale composto Cro His O per ossidazione si possa ottenere un acido bibasico saturo Cs H.40, e per riduzione possa dare l'alcool saturo Cio H:0 0 che può fornire il chetone pure saturo C,o Hg 0. To ritengo invece che questa contraddizione dei risultati forniti dai metodi chimici e dai metodi fisici sia piuttosto da attribuirsi al fatto che il gruppo: —CH=C(CH:)—CO—CH— contenuto nell’ isocanfora possa comportarsi anche secondo la forma tautomera : —CH=C(CH:)—C(0H)=C— . D'altra parte questo non sarebbe un caso isolato e limitato all’ isocan- fora soltanto. Il Brihl (!) infatti ha già osservato, a proposito di alcuni terpeni che- tonici scoperti da Knoevenagel, nei quali il carbonile. è prossimo al doppio legame, che l’aggruppamento chetonico: otticamente equivale alla forma alcoolica: —C=0—-0=C0— | OH. Secondo Brihl è da aspettarsi che per questa via si potrà stabilire se in un chetone terpenico il doppio legame è prossimo al gruppo carbonilico. Anche questo fatto, contrariamente a quanto Mahla e Tiemann suppon- gono, porta una nuova conferma alla formola da me proposta per l' isocanfora. ('*) Berl. Berichte, XXIX, 2913. Spe a LI i $i ra Ln È 2 A Chimica. — Sul comportamento crioscopico dell’ ortonitrofenol. Nota di G. AmpoLa e 0. RIMATORI, presentata dal Socio PATERNÒ. Allo scopo di estendere le nostre cognizioni sul comportamento criosco- pico di que’ gruppi di sostanze per le quali il materiale sperimentale era notevolmente ristretto, abbiamo voluto portare le nostre indagini anche sul- l’ortonitrofenol, nel quale abbiamo sperimentate sostanze di funzione chimica diversa, onde avere un concetto possibilmente completo sull’ andamento generale del fenomeno. Di modo che oltre che del fenol studiato da Eykmann (Zeits. f. phys. Ch. IV, 497) e recentemente da Paternò (R. Acc. Lincei, 1896) e del timol studiato pure da Paternò e di altre sostanze, ora conosciamo anche l'andamento crioscopico dell’ ortonitrofenol e di conseguenza si può omai avere un'idea abbastanza chiara sui solventi di natura fenolica. La sostanza da noi adoperata proveniente da Kahbaum mantenne il punto di fusione a 44°-30, presentava una notevole surfusione, però ripetendo le esperienze procurando di diminuire il grado di surfusione non si avevano differenze sensibili. I. Sostanze varie. Toluene C'H3. PM. = 92 Bromoformio C° CHBr3. PM. — 258 N. Concen- Abbass. Coeffice Abbass. Peso d’ord. trazi t . d’abbass. molecol lecol. NEMO ALA Cogfficioi VA bbagsi tr: Paso or razione termom abbass. molecolare moleco d'ord. trazione termom. d’abbass. molecolare molecol. 24 0,2481020 0.822 75.624 904 [0] € 1 0.3102 0.11 0.354 89.562 210.0 25 0.5381 0.45 0.834 76.728 2 08760 0.50 0.542 86.526 2600.9140 0.72 0.798 73.416 9 2,2384 0.78 0.385 84.755 27 16649. 127 0762 70.104 4 3.7798 1.19 0.814 78.442 28.2.8225 2.06 0.729 67.068 5 6.4142 1.87 0.291 73.623 255.5 29 4.2130 3.04 0.721 66.332 3 6 10.4525 2.92 0.279 70587 80.6.5791 4.86 0.662 60.904 112.8 7 14.3819 3.86 0.269 68.057 8 19.7623 5.08 0.257 64.121 289.4 II. Alcaloidi. Veratrol C°H*(0CH;)?. PM. = 188 VA PI di. 5H5 n 9 0.3239 0.18 0.555 76.590 1340 Pinidina C°B°N. PM. — 79 10 0.9574 0.55 0.574 79.212 : o IO SOMA 6102 31 0.3020 0.28 0.927 78.233 80.2 Ia Rab oe (Moro URSE, 32 0.7681 0.75 0.976 77.104 I O 329 12:002 338 1.5248 146 0.957 75.603 IPO NO: 0509 702222 34 24500 2.18 0.889 70.231 15 9.8347 4.88 0.491 67.758 1514 35 3.5514 8.04 0.856 67.624 9865.6974 4.78 0.838 66.202 Parazxilene C°H*(CH;)?. PM. = 106 37 8.0678 6.46 0.807 63.753 92.1 (0) 16 0.2194 0.16 0.729 77.274 102.0 Anilina C6H°NH?. PM. — 98 17 0.5623 0.42 0.746 79.076 18 1.1116 0.81 0.728 77.168 o 19 2.0984 1.45 0.691 73.246 38 0.4108 0.36 0.876 81.468 84.8 20 3.5523 2.48 0.698 73.988 39 1.0216 0.87 0.851 79.143 21 5.8491 3.35 0.626 66.356 40 18797 148 0.787 73.191 22 7.5871 4.64 0.6J1 64.766 41 3.6485 2.76 0.757 70.401 23 11.0340 6.26 0.567 60.102 131.1 42 5.7049 4.06 0.711 66.123 104.5 III. Fenoli. Trimetilcarbinol C4H*°0. PM. = 74 Fenol C:H>0H. PM. = 94 N. Concen- Abbass. Coeffic. Abbass. Peso d’ord. trazione termom. d’abbass. molecolare molecol- N. Concen- Abbass. Coeffic. —Abbass. Peso E d’ord. trazione termom. d'abbass. molecolare molecol. 65.0.2366 0.24 1.014 75.086 78.3 o 66 0.5841 0.60 1.027 75.998 43 0.3801 0.28 0.848 79.712. 87.7 67 13471 122 0.905 66.970 CAO Mr n e 68 25819 214 0.828 61.272 45 16595 126 0759 71346 faz O 46 25315 185 0.730 68.620 70 5.6398 3.96 0.702 51.948 47 33909 248 0.731 69.714 OA eo FATE 71 13.52971 6.60 0.487 86.038 152.7 49 6.9085 4.56 0.660 62.040 112.6 Alcool benzilico C'H30. PM. = 108 ) IRIS O SENI 150 © Timol C*°H 72.0.3288 0.20 0.609 65.772 122.1 0 50 0.2517 0.13 0.516 77.400 7830.9914 0.61 0.615 66.420 51 05186 0:26 0.506 .75900 Tag. 7 1.6613° 1.02 0,613 66.204 52 1.1627 0.59 0.507 76.050 75 2.6811 1.60 0.596 64.368 53 1.93832 0.96 0.496 74.400 76 40352 2.33 0.577 62.316 54 3.2320 1.58 0.488 73.200 77 5.7208 3.16 0.552 59.616 5 51617 238 0461 69150 78 95442 4.68 0.498 53.784 1493 56 7.9951 3.60 0.450 67.500 57 12.2869 5.18. 0421 63.150 176.6 V. Acidi. IV. Alcooli. Acido isobutirrico C*HS0°. PM. = 88 Alcool isobutilico C4H'°0. PM. = 74 79 02586 016 0.618 54.384 120.3 È 80 0.5074 033 0.650 57.200 58 01894 0.18 0.950 70.300 782 81 09298 0.60 0.645 56.760 59 0.5372 0.52. 0.967 71.558 82 15111 0.84 0.555 48.840 60.1.1013. 1.03 0.955 69.190 83.2.2852 1.22 0.545 47.960 61 1.6272 1.43 0.878 64.972 84 3.2045 1.56 0.486 42.768 62 25208 2.10 0.833 61.642 85 4.6602 2.16. 0.463 40.744 63 3.9501 3.08 0.779 57.646 86 7.3117 3.12. 0.426 37.488 64 6.67083 4.30 0.644 47.656 115.1 87 21.5584 6.74 0.312 27.456 238.3 Acido acetico C*H*0?. PM. = 60 88.0.2391 0.20 0.836 50.160 88.9 89 0.6663 0.52 0.780 46.800 90.1.1862 0.89 0.750 45.000 91 18780 1.36 0.724 43.440 92 2.9876 2.08 0.696 41.760 93 44701 2.92 0.653 39.180 94 8.0146. 4.72 0.588 35.280 95 16.0171 7.24 0.452 27.120 164.5 Da’ risultati ottenuti si scorge che non esiste differenza fra il modo di comportarsi del fenol e quello dell’ ortonitrofenol. Ed invero come nel fenol, così anche nel solvente considerato danno valori regolari le sostanze neutre, le sostanze basiche, i fonoli e gli alcooli, mentre gli acidi si discostano dal valore normale. Dobbiamo notare che l'abbassamento molecolare in nessun caso va aumen- tando con la concentrazione come avviene per il veratrol ossalato d' etile in fenol, ma va sempre decrescendo con una rapidità maggiore di quella che Paternò ha riscontrato per le soluzioni fenoliche; tale fatto però si verifica tanto per le sostanze neutre e basiche, come per quelle contenenti ossidrile. MEO Oa Per il calcolo della depressione molecolare normale non essendo conosciuto il calore latente di fusione dell’ ortonitrofenol, abbiamo fatto la media dei valori presentati dalle sostanze comprese nello specchio seguente: Depressione molecolare media. Toluene TREO SZ Che 712.58 Paraxilene DBA RD... SR 75.86 Veratrol O 3A E, A 75.04 Bromoformio 1. OA io Se 1 RO 76.25 Timol TRES nos pds 606. N an. 74.35 Fenol O A celo, LR 72.66 Anilina Dr UTC io 74.24 Piridina 24 74.04 * Di cui la media generale è 74.37 cifra che proponiamo adottare come costante dell’abbassamento molecolare dell'O : N: fenol. Chimica. — Sopra alcuni derivati del quaiacol. Nota di STEFANO DI BOscOGRANDE, presentata dal Socio PATERNÒ ('). Se si aggiunge del bromuro di etilene al guaiacol sciolto in quantità equi- valente di potassa alcoolica la soluzione si colora in rosso, e per leggiero riscaldamento si separa del bromuro di potassio; adoperando un grande. ec- cesso di bromuro di etilene (circa 5 mol. per 1 mol. di guaiacol) e distil- lando il prodotto della reazione con vapor d’acqua, passa prima l’ eccesso del bromuro di etilene e poscia un olio pesante che dopo poco tempo si rap- prende in lunghi aghi incolori. Questo prodotto si purifica facilmente cristal- lizzandolo un paio di volte dall'alcool non troppo concentrato; è solubile nei comuni solventi organici, e si fonde a 49°. Contiene del bromo, ed all'analisi ha fornito i seguenti risultati : I. gr. 0,3336 di sostanza fornirono gr. 0,2678 di bromuro di argento; II. gr. 0,2234 di sostanza fornirono gr. 0,1819 di bromuro di argento. Cioè per 100 : I II Bromo 34,44 34,62 Questi risultati non lasciano dubbio che si tratti dell’ etere dromoeti!- quaiacolico Cs H,(0CH:) 0 C,H,Br per il quale si calcola : Bromo °/, 34,40. Se in questa reazione non si adopera un eccesso di bromuro di etilene, allora si forma l'etere etilenguaiaacolico che descriverò in seguito. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto chimico della R. Università di Roma. RenpICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 5 Rogi L'etere bromoetilguaiacolico si scioglie facilmente a caldo nell’ acido nitrico e per aggiunta di acqua si precipita una polvere gialla, che raccolta sopra un filtro e cristallizzata dall’ alcool bollente si presenta in minutissimi aghi gialli, fusibili a 120°. Una determinazione di azoto ha dato: gr. 0,156 di sostanza fornirono c.c. 11,5 di azoto misurato alla tempera- tura di 14° ed alla pressione di 753 m.m. Cioè per 100: Azoto 11,64 Si deduce da questa analisi che trattasi di un etere 7rini/robromoetil- quatacolico Cs Hz(NO.)30CHx0C,H;Br, per il quale si calcola : Azoto °/ 11,32 Non mi è riuscito di ottenere un derivato meno nitrato, perchè anche adoperando acido nitrico diluito si forma sempre il trinitrocomposto descritto. Ho sopra detto che per l’azione del bromuro di etilene sul guaiacol in presenza di potassa, sì forma l'etere etilenguaiacolico Cs Hi (0CH:)0C, H, 0(C5H,0CHs3) quando il bromuro di etilene non è adoperato in grande eccesso ; la separazione di questo etere dal derivato bromurato si fa facilmente, perchè esso è difficilmente trasportato dal vapor d’acqua e resta nel pallone sotto forma di un olio che si rapprende pel raffreddamento e si purifica per cri- stallizzazione dall’ alcool. Si prepara pure agevolmente riscaldando una solu- zione alcoolica dell'etere bromurato con una soluzione di guaiacol nella po- tassa alcoolica; si separa bromuro potassico, ed aggiungendo acqua alla soluzione, si precipitano fiocchi bianchi, che si purificano per cristallizzazione dall’ alcool bollente. Si presenta allora in belli aghi bianchi, molto splen- denti e si fonde a 130°. L'analisi ha confermato la sua composizione. Infatti : gr. 0,3401 di sostanza fornirono gr. 0,8781 di CO, e gr. 0,2050 di H:0; ossia per cento : Carbonio 70,39 Idrogeno 6,67 mentre per la formola C,6H,g0, si calcola: Carbonio 70,07 Idrogeno 6,56 Facendo reagire all’ ebollizione, in quantità equimolecolari, l'etere bro- moetilguaiacolico con fenato potassico in soluzione alcoolica, si separa del bromuro potassico e si forma l'etere etilenfenilguaiacolico C, H.(0C0H3) —0C,H,0T—GH;, che si ottiene facilmente puro precipitando con acqua, e cristallizzandolo dall'alcool acquoso. Si presenta in bellissimi aghi di splen- dore sericeo fusibili a 75°. CNR = L'analisi diede i seguenti risultati : gr. 0,3450 di sostanza fornirono gr. 0,9349 di CO, e gr. 0,2075 di H,0. Cioè per cento: trovato calcolato per Cis H15 03 Carbonio 73,82 73,07 Idrogeno 6,66 6,55 Finalmente ho studiato l'azione del percloruro di fosforo sul guaiacol nella speranza di ottenere per disidratazione un salolo; ho invece ottenuto un etere fosforico. Sopra gr. 20 di guaiacol sciolto in benzina, si fece agire un poco più di un equivalente di percloruro di fosforo. La reazione è vio- lentissima e bisogna moderarla raffreddando con acqua; terminata la rea- zione si trova un olio denso sul quale galleggia la benzina; si espelle la benzina a b. m. e poi si distilla in corrente di vapore che trasporta le ul- time tracce di benzina ed il guaiacol inalterato; resta nel pallone una massa verde che pel raffreddamento si rapprende. Cristallizzandola un paio di volte dall'alcool, si ottiene in bei prismi bianchi fusibili a 91°. Una determinazione di fosforo ha dato i seguenti risultati : gr. 0,8137 di sostanza fornirono, col metodo di Carius, gr. 0,0848 di Mg» Ph, 0; cioè: Fosforo °/o 7,48 Per l'etere fosforo-triquaiacolico PhO(0.C,H,, 0CH3); si calcola: Fosforo °/o (045. Patologia vegetale. — L Arodasidium vitis (Viala et Boyer) Prill. et Del. 272 Italia (). Nota del dott. VittoRIO PEGLION, presentata dal Corrispondente R. PIROTTA. Durante lo scorso mese di maggio si è manifestata nei vigneti del comm. B. Placidi a Scrofano, in provincia di Roma, un’ alterazione del fogliame non ancora osservata nei passati anni. Malgrado i trattamenti cupro-calcici che erano stati eseguiti ripetutamente colle consuete cure, sopra varî ceppi di Pinot, le foglie mostravano ampie chiazze di secco che iniziandosi lungo il margine della foglia invadevano quasi l’intera lamina: in corrispondenza di queste chiazze, limitate da un orlo rosso-porpora, i tessuti fogliari sembra- vano per così dire bolliti. Il modo di presentarsi del male ed il suo succes- sivo estendersi facevano sorgere il dubbio che sì trattasse di alterazione paras- (1) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma, giugno 1897. ORE sitaria e tale supposizione venne confermata dall’ esame microscopico eseguito in questo Laboratorio. Le foglie conservate in termostato ad una temperatura di 25°C si rico- prirono, nelle zone disseccate e lungo l’ orlatura confinante coi tessuti sani, di numerosi piccoli ciuffetti bianchi, sparsi irregolarmente a guisa di tanti gru- metti di gesso. Col prolungare il soggiorno alla stufa, i ciuffetti stessi, per- duta la primitiva candidezza assumevano una colorazione giallognola quasi di crema. Conducendo delle sottili sezioni in corrispondenza di questi ciuffetti e sottoponendo le medesime all'esame microscopico, si osservano le caratteri- stiche fruttificazioni di un fungillo che corrisponde all’ Ezobasidium vitis (Viala e Boyer) Prill. et Delacroix, descritto per la prima volta da Viala e Boyer (') sotto il nome di Aureodasidium vitis. Questo fungo forma delle pustole sottoepidermiche, situate quasi esclu- sivamente sulla pagina superiore della foglia; il tessuto epidermico viene disgiunto dal sottostante tessuto a palizzata, sollevato e lacerato da nume- rosissimi filamenti miceliali, tozzi, alcuni dei quali restano sterili, altri invece si differenziano in basidii; quest'ultimi assumono per lo più una forma cla- vata e vi si origina un numero variabile di basidiospore, inserite all'apice, rare volte sui fianchi del filamento per mezzo di brevi sterigmi. Il numero di spore varia fra limiti piuttosto larghi; mentre in alcuni filamenti ve ne sono appena 2 o 3 in altri se ne possono contare fino a 7; queste spore sono perfettamente ialine, rare volte presentano una guttula, ovoidee o cilindriche, spesso leggermente arcuate : hanno dimensioni che variano da 8-11 w di lun- ghezza per 3-4,5 w di larghezza. Nelle sezioni opportunamente rischiarate e colorate sia colla soluzione acquosa di rosso-congo, sia col bleu Poirier all' acido lattico, è facile seguire il percorso dei filamenti miceliali, di diametro variabile, in media di 2 w 5, settati, guttulati, e serpeggianti nel tessuto a palizzata e nello spugnoso. Insi- nuandosi fra le cellule a palizzata, essi si ammassano nel limite superiore di questo tessuto sospingendo l'epidermide; ivi da un intreccio assai lasso di ifi che assai lontanamente ricorda uno strato imeniale, si diramano i fila- menti basidiali quasi sempre semplici, rare volte ramificati e che misurano un diametro trasversale di 5-6 w in media ma possono arrivare fino a 10 w. L'ultimo articolo su cui s' inseriscono le basidiospore ha in media una lun- ghezza di 15-18 wu. Come ho detto questo fungo è stato per la prima volta descritto da Viala e Boyer che lo hanno rinvenuto parassita degli acini d'uva; essi fondarono il (') Viala et Boyer, Une maladie des raisins produite par Vl Aureobasidium vitis. Revue générale de Botanique, 1891. — P. Viala, Les maladies de la vigne. IIIème gdi- tion, pag. 348. SCI genere Aureobasidium collocandolo nella famiglia delle Y7ypochneae. Prillieux e Delacroix (‘) hanno studiato nel 1894 lo stesso fungo, parassita delle foglie e non hanno riscontrato caratteri sufficienti da giustificare l’ istituzione di un nuovo genere: essi hanno riferito il fungo in quistione al genere Zzobast- dium sebbene se ne allontani alquanto per la irregolarità di forma dei basidii e le spore subsessili, e lo hanno designato col nome di Axobasidium vitis. Il Montemartini (*) ha descritto un nuovo fungo parassita della vite, svi- luppatosi sopra foglie e grappoletti di Pinot noir e Cabernet provenienti da Parenzo e da Buttrio (Udine); a tale fungo egli ha dato il nome di Aureo- basidium vitis var. album; esso diversifica all’ Aur. vitis « per gli organi che attacca, per i danni che produce, per la stagione in cui esso si sviluppa, per la forma delle spore che non sono mai curve, e più specialmente per essere ialino e mai del colore biondo dorato espresso dal nome del genere ». Nella parte bibliografica dell’ argomento, il Montemartini non accenna affatto alle ricerche di Prillieux e Delacroix che fin dal 1894 hanno trovato per l'appunto questo fungo parassita delle foglie durante il mese di giugno, e ne hanno stabilita l’ identità colla forma parassita degli acini descritta da Viala e Boyer. Il Montemartini ravvicina il fungillo, oggetto delle sue ricerche, al Microstroma ed a certi ifomiceti tuberculariei e non sarebbe alieno dal riunire assieme queste varie forme in un gruppo autonomo ed intermedio fra basidiomiceti ed ifomiceti; e ad appoggio della sua tesi, relativamente al fungillo parassita della vite, egli invoca l'instabilità nel numero degli ste- rigmi e la frequenza di basidii con produzione di spore laterali, nonchè l’ assenza delle anastomosi laterali (Schnallenbildungen). Le ricerche che ho eseguito intorno al fungo parassita trovato sulle foglie di Pinot mi hanno portato ad accettare le conclusioni di Prillieux e Delacroix e a ritenere giustificato il riferimento del fungo al genere £robasidium. Tale mia convinzione deriva dalle suesposte osservazioni morfologiche, e dalle risul- tanze della coltura del fungo in substrati artificiali. Com’ è noto, Brefeld (3) ha riunito i generi Pachysterigma, Tomentella, Hypochnus, Exobasidium e Corticium nella famiglia delle Tomentelleae, che racchiude in tal guisa le 7Relephoreae più semplici, senza imenio differenziato, nelle quali i basidii hanno diretta origine dal micelio. Sono quindi fuse assieme le due famiglie primitive delle Exobasidieae e delle Yypochneae. Se si considerano i caratteri che presenta il genere Arodasidium non se ne potrà di certo distaccare il fungillo parassita della vite. Infatti se si seminano nel mosto o nella gelatina di mosto le basidiospore di questo fungo, esse germi- (1) Prillieux et Delacroix, La BrUlure des feuilles de la vigne. C. R. de l'Acad. des sciences, CXIX, pag. 106. — E. Prillieux, Maladies des plantes agricoles, vol. I, pag. 298. (2) L. Montemartini, Un nuovo micromicete della vite. Atti dell'Istituto botanico della R. Università di Pavia, 1897. (3) O. Brefeld, Untersuch. aus dem Gesamntgeb. d. Mykol., vol. VIII. STErNSS nano sollecitamente dando origine a numerose gemmazioni alla stessa guisa dell’ Erxodbasidium Vaccinii studiato da Brefeld e da Woronin senza acqui- stare però alcun setto mediano; invece nei generi HYypochnus, Corticium, Tomentella che fanno parte della primitiva famiglia delle /pochneae alla quale Viala e Boyer avevano riferito il loro genere Aureodasidinm, le spore ger- minano direttamente in un tubo miceliale senza dar mai luogo a gemma- zioni. Le colonie formate da queste gemmazioni ingrandiscono rapidamente e liquefanno la gelatina: più tardi questi conidi secondarî germinano dando origine a fili miceliali, assai esili dapprima, ma che ben presto ingrossano assumendo tutti i caratteri di quelli che si riscontrano nei tessuti fogliari amma- lati. Se si trasportano i conidi stessi su fette di patate sterilizzate, essi vi formano una patina prima bianca poi bionda, sulla quale si differenziano in pochi giorni qua e là dei piccoli mammelloni lenticolari costituiti da ife miceliali erette sopra un intreccio assai lasso di filamenti, in guisa da ri- cordare lontanamente uno strato basidioforo. L’incostanza nel numero delle spore portate da ogni basidio ravvicina eziandio il fungo al genere Zrodasidium. In quanto poi alla presenza di basidii con produzione di spore laterali ed alla mancanza delle SchnaZlenbildungen è bene osservare che i primi sono assai comuni in qualche genere di Zomen- telleae (Tomentella) e che le altre mancano costantemente in generi della stessa famiglia come risulta dalle ricerche di Brefeld. Fin dall’ agosto 1894 ho constatato una consimile alterazione delle foglie della vite in un filare di Fiano, nel vigneto della R. Scuola Enologica di Avellino e fin d'allora vi ho riscontrato un fungo i cui caratteri eran iden- tici a quelli dell’ Erobasidium vitis. Mi si è offerta l'occasione di osservare lo stesso fungo nelle foglie di Corvino affette dal così detto 9rs2 nei vigneti della Valpantena (Verona). Ma varie cause mi hanno impedito in ambo i casi di proseguire le ricerche, che mi riprometto di continuare sul materiale che potrò avere da quelle località. Quest'anno oltrechè nelle vigne Placidi di Scrofano ho trovato lo stesso parassita sopra foglie di vite provenienti da Corato (Puglia). I campioni furono inviati dal sig. avv. Lops Viti, che informava che nello scorso anno il vitigno Negroamaro di Brindisi fu violentemente attaccato non solo nelle foglie ma anche nell'uva, nonostante i ripetuti trattamenti a base di rame e di zolfo; gli altri vitigni, uva di Troia, lacrima ecc., restarono immuni. Ho pure osservato lo stesso parassita sopra grappolini appena sfioriti provenienti da Precenicco (Veneto) donde furono inviati dal sig. De Lorenzo e sopra foglie e grappolini provenienti da Frosini. Le traccie della malattia sulle foglie sono le stesse di quelle su descritte; i grappolini sono totalmente od in parte disseccati: gli ovari allegati aderiscono debolmente alla rachide; questa è friabile di color rosso-fulvo, la superficie è screpolata e qua e là 00) SS spuntano i caratteristici ciuffetti bianchi del parassita, assai più numerosi dopo un breve soggiorno del materiale ammalato, nel termostato a 25°. Le ricerche microscopiche hanno rivelato la presenza del micelio e delle fruttificazioni dell'Arobasidium vitis. I caratteri del micelio, riccamente set- tato e privo di austori sferoidali permettono di distinguere questa malattia da quella che è spesso cagionata dalla peronospora larvata dei peduncoli (allessatura). Secondo le informazioni avute dal sig. De Lorenzo, la malattia si è ma- nifestata poco prima della fioritura, coll’imbrunimento e la caduta succes- siva dei grappolini. È probabile che questo parassita, che può attaccare tutti gli organi verdi della vite compresi i tralci, dove è stato trovato da Guillon (!) sia assai dif- fuso (2) e che molte alterazioni che si attribuiscono agli agenti atmosferici siano invece cagionate dall’ Arobasidium vitis. A quanto pare, esso non può arrecare danni serî nelle annate a decorso meteorico normale. Di solito col sopravvenire delle giornate calde si arresta lo sviluppo del male, che infierisce invece durante le stagioni fredde, piovose. I trattamenti cupro-calcici che si usano contro la peronospora della vite pare che non esercitino alcuna azione contro l’ Ezobasidium vitis, poichè le foglie che ho avuto occasione di osservare provenivano da vigneti trattati assai pre- cocemente e le foglie erano tuttora imbrattate di poltiglia. CONCORSI A PREMI Al concorso al premio SANTORO, scaduto col 30 giugno 1896, furono presentati i seguenti lavori : Arnò Riccarpo. 1) n nuovo sistema di distribuzione elettrica del- l energia, mediante correnti alternative. 2) Alcune esperienze sui trasfor- matori a spostamento di fase. 3) Sistema di trazione elettrica con corrente alternativa monofase. 4) Due documenti ed illustrazione. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia danese di scienze e lettere di Copenaghen; la Società di scienze naturali di Emden; il Museo Britannico di Londra; l’Istituto Smithsoniano di Washington; la Scuola politecnica di Delft. (1) J. M. Guillon, Sur les degdts causés par l’Aureobasidium vitis. Revue de Viticulture, n. 131, pag. 617. (2) È stato trovato in Russia, nella Bessarabia (Fo&x e Viala), in Australia (Mac Alpine), nel Portogallo (D’ Almeida e da Molta Prego). Do 4) — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 5 giugno al 4 luglio 1897. Arcidiacono S. — Studio comparativo sopra due termometri normali diver- samente impiantati. Modena, 1897. 8°. Atti della Commissione di vigilanza sui lavori di sistemazione del Tevere. Anno 1896. Roma, 1897. 8°. Battelli A. — Rapporti fra i raggi catodici e i raggi Rontgen. Pisa, 1897. 8°. Boccardo E. C. e Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Disp. 49. Torino, 1897. 8°. Clarke F. W. — The Constants of nature, Part V. A Recalculation of the Atomic Weights. Washington, 1897. 8°. Cohen J. B. — The Air of Towns. Washington, 1896. 8°. Duclaux E. — Atmospheric Actinometry and the Actinic Constitution of the Atmosphere. Washington, 1896. 4°. Gray Th. — Smithsonian physical Tables. Washington, 1896 8°. Holden E. S. — Mountain Observatories in America and Europe. Wa- shington. 1896. 8°. Keller F. — Sull'intensità orizzontale del magnetismo terrestre nei pressi di Roma. Roma, 1897. 8°. Malagoli R. — Intorno alla risoluzione di due problemi di fisica. Firenze, IIS © Manasse E. — Rocce ofiolitiche e connesse dei Monti livornesi. Pisa, 1897. 8°. EMelani P. G. — Scariche elettriche nei gas rarefatti. Pisa, 1897, 8°. Phillips P. L. — Virginia Cartography. A bibliographical description. Wa- shington, 1896. 8°. Relazione dimostrativa dello stato e dell'andamento dei lavori del Catasto dal 1° nov. 1895 al 81 ott. 1896. Roma, 1897. 4°. Riccò A. — Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. Catania, SRO: Id. — Grandi fotografie lunari donate all'Osservatorio di Catania. Catania, 1896. 8°. Id. — Sulla teoria di Wilson relativa al livello delle Macchie Solari. Ca- tania, 1897. 4°. Ròiti A. — A fizika elemei I, II. Budapest, 1895. 8°. Russel F. A. R. — The Athmosphere in relation to human Life and Health. Washington, 1896. 3°. Saija G. — Sulla definizione scientifica dell’orizzonte. Firenze, 1897. 8°. Savastano L. — Esperimenti di esportazione di alcuni frutti ed ortaggi napo- letani per New York. Napoli, 1897. 8°. EA See T. J. JT. — Researches on the Evolution of the steller Systems. Berlin, 1896. 4°. Tonduz A. — Flora de Costa Rica. S. José, 1897. 8°. Underwod C. F. — Fauna de Costa Rica. S. José, 1897. 8°. Vailati G. — Del concetto di centro di gravità nella statica di Archimede. Torino, 1897. 8°. Varigny H. de — Air and Life. Washington, 1896. 8°. Volante A. — Areonautica popolare, una salve all’ing. Andrée. Torino, 1896. 4°. Zona T. — Latitudine del R. Osservatorio Astronomico di Catania. Firenze, 1896. 4°. VETO hI RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 18 luglio 1897. Zoologia. — UWiteriori ricerche sulle metamorfosi dei Mure- notdi. Nota preliminare del Corrisp. B. GRASSI e del dott. S. CALAN- DRUCCIO. 1. Abbiamo seguita la metamorfosi in ceche di parecchi Zeprtocephalus brevirostris colla dentatura larvale ancora intatta. Questa metamorfosi accadde senza che l’animale si approfondasse nella sabbia. È notevole il fatto che le estremità anteriore (testa) e posteriore del corpo hanno già quasi tutti i caratteri di ceca, quando il resto del corpo è ancora lontano dal presentarli. 2. I Leptocefali del Myrus vulgaris sono molto simili a quelli del- l’Ophichthys hispanus (sin. O. remicaudus): 3. I Tiluri si riferiscono con ogni verosimiglianza ai Serrivomer. Così possiamo ormai asserire che conosciamo le larve e le semilarve di tutti i Murenoidi del Mediterraneo, eccetto i rarissimi Chlopsis bdicolor e gli accidentali Muraenesox savanna. Fisica. — Sul! azione scaricatrice dell’aria che è stata attra- versata dai raggi X. Nota del dott. ApoLFo CAMPETTI ('), presen- tata dal Corrispondente NACCARI. A questa Nota hanno dato occasione alcune ricerche del prof. Villari sull'azione dispersiva dell’aria che ha subìto l’azione dei raggi X e in par- ticolar modo lo studio pubblicato di recente, che porta per titolo: Delle (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica dell'Università di Torino, luglio 1897. RenpICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 6 BE jo azioni dell’ elettricità sulla virtù scaricatrice indotta nell’ aria dai raggi X (!). Egli arriva alla conclusione che « l’aria Xata passando sopra « un conduttore elettrizzato vi perde la virtù di disperdere di poi una ca- « rica omologa e conserva quella di disperdere una contraria; passando su due « conduttori con cariche contrarie vi perde ogni virtù scaricatrice ». L'A. suppone, per spiegare tali fatti, che quando i gas vengono attra- versati dai raggi X, si dissocino più o meno ed alcune delle particelle resul- tanti prendano cariche +, altre cariche —. Spingendo cotesta aria contro gli elettroscopî E-+ ed E—, essi attraggono le particelle con elettricità op- posta e li scaricano, mentre respingono quelle con cariche omologhe. Ora si sa che in varî modi può l’aria acquistare la virtù di scaricare i conduttori carichi di elettricità, coi quali viene a contatto, sia perchè ca- rica dei prodotti della combustione (?), sia per l’azione delle scintille (3) ecc. È quindi sembrato opportuno di fare alcune esperienze di confronto tra l’a- zione dispersiva dei prodotti della combustione e dell’aria che ha subito l’ a- zione dei raggi X, coll intento di esaminare se si debba ritenere come pro- babile che la stessa modificazione nel gas abbia luogo nei due casi. Le esperienze relative ai prodotti della combustione, le quali presentano analogia con quelle del Giese (1. c.), furono eseguite così: Un grosso tubo di vetro della lunghezza di circa 40 centimetri e di 10 centimetri di dia- metro, disposto verticalmente, avvolgeva nella sua parte inferiore la fiamma oscura di un becco Bunsen e si aveva così nel tubo una forte corrente ascen- dente di aria, che andava a battere contro una rete o una pallina metal- lica sospesa sopra il tubo. Per istudiare l’azione dell'aria che è stata attraversata dai raggi X, sì rinchiuse il tubo (un tubo focus di Geissler) in una cassa di piombo: nella parete della cassa di fronte alla superficie attiva del tubo era praticato un foro di circa 10 centimetri di diametro, nel quale era adattato un tamburo metallico colla parete rivolta al tubo formata di lastra di alluminio dello spes- sore di 0,33 millimetri circa. L'aria, spinta attraverso al tamburo con un mantice, subiva in esso l’azione dei raggi X e, scorrendo poi in un tubo di vetro della lunghezza di 20 centimetri circa disposto verticalmente, andava a battere contro la reticella metallica o altro conduttore posto sopra la bocca del tubo. Il rocchetto eccitatore era posto in una stanza diversa da quella in cui si fecero le esperienze, la cassa di piombo era in buona comunicazione col suolo: in tali condizioni nessuna azione si aveva sopra un elettroscopio anche posto vicino alla cassa, purchè, si intende, non esposto alla corrente d’aria proveniente dal tamburo. (1) Villari, Rendiconti dei Lincei, maggio 1897. (?) Vedasi per esempio Giese, Wied. Ann. 1882, 17. (3) Naccari, Atti dell’ Accademia di Torino, 1888. MT i In tali condizioni si eseguirono le esperienze seguenti, in cui col nome di aria modificata intendo indifferentemente l’aria contenente i prodotti della 4 VEZZZZEZZA EEA Te rTTrA combustione, e l’aria che ha subito l’azione dei raggi X. £ (fig. 1) è un elettroscopio a foglie d'oro assai sensibile, P una pila secca di Zamboni di circa 1000 elementi. I. La rete 7 è in comunicazione col polo 4- della pila secca, di cui l’altro polo è a terra, la pallina p è stata pure caricata positivamente e allo stesso potenziale: l’aria modificata scarica solo in parte la pallina (Villari). Allo stesso modo si comporta l’ elettricità negativa. II. Se si pongono nella corrente d’aria modificata, una di seguito al- l’altra, due reti in comunicazione l'una col polo +, l’altra col polo — della pila secca, l’aria modificata che le ha attraversate ambedue scarica la pallina molto più lentamente dell’aria modificata che proviene direttamente dal tubo (Villari). III. Se la pallina non è carica e la rete è caricata, l’aria modificata che ha attraversata la rete carica la pallina di elettricità dello stesso nome di quello della rete. IV. Il fenomeno avviene anche se tra la rete carica e la pallina è posta una seconda rete, purchè isolata; non accade più, se questa seconda rete è in comunicazione col suolo. V. Se l’aria modificata attraversa una sola rete posta a terra, conserva la sua virtù scaricatrice. VI. La pallina p (fig. 2) e in comunicazione col polo + della pila secca, di cui l’altro polo è in comunicazione col suolo: la rete è stata pure cari- SN get cata positivamente e allo stesso potenziale; l’ aria modificata scarica solo par- zialmente la pallina. Lo stesso accade per l' elettricità negativa. VIII. La pallina è in comunicazione col polo + della pila secca, la rete è scarica ed è in comunicazione con l'elettroscopio: la corrente d’aria mo- dificata carica la rete di elettricità pure positiva: se si scarica la rete, metten- dola a terra per un istante, la corrente d’aria lo carica di nuovo ecosì di seguito. L'insieme di queste esperienze mostra con grande probabilità che la modificazione subita dall’ aria per l’azione dei raggi X, non è diversa da quella che accompagna il fenomeno della combustione e verosimilmente anche da quella prodotta dalle scintille ecc. Specialmente conviene insistere sulle esperienze VI e VII, perchè esse conducono ad ammettere che anche sotto l’azione dei raggi X il gas diventi conduttore per l'elettricità, come già aveva dedotto dalle sue esperienze il Giese (1. c.) per l'aria carica dei prodotti della combustione. (Vedasi a questo proposito anche Lord Kelvin e M. Maclean, Nature, luglio 1897). Se si ammette infatti che i fenomeni di dispersione siano dovuti alla presenza nel gas modificato di particelle cariche le une di elettricità positiva, le altre di negativa, i resultati delle esperienze I, II, III, IV si spiegano immediatamente: non così quelli delle VI e VII, che invece sono conseguenza necessaria dell’ ipotesi della conducibilità. Per di più, male si comprende come queste particelle cariche di elettricità, che hanno il potere di scaricarsi contro un corpo elettrizzato di nome contrario, non cedano poi la loro elettricità ad un conduttore allo stato neutro in comunicazione col suolo (Esp. V). Quanto poi al fatto che l’aria modificata, dopo avere attraversato due reti cariche di elettricità di nome contrario, perde o almeno diminuisce la sua virtù scaricatrice, giova ricordare che anche il Giese (l. c.) trova che la proprietà dei prodotti della combustione, di condurre l' elettricità viene di- minuita dal passaggio precedente di una corrente attraverso ad essi. In conclusione sembra si possa affermare con grande probabilità come i fenomeni detti di dispersione dell’ aria modificata, sia per l’azione dei raggi X, sia per il fenomeno della combustione, dipendano da un notevole, per quanto temporaneo, aumento della conducibilità elettrica del gas stesso. Botanica. — Osservazioni sul Phyllosiphon Arisari (!). Nota preventiva del dott. Lurcr BuscALIONI, presentata dal Corrispondente R. PIROTTA. Il Kihn fu il primo a segnalare la presenza, nelle foglie dell’ Arisarum vulgare, di uno speciale parassita il quale vi determina la comparsa di macchie arrotondate, isolate o confluenti, di color giallo verdiccio pallido. (1) Il lavoro sarà pubblicato per esteso e col corredo di .tavole illustrative nell° An- nuario del R. Istituto Botanico di Roma. SEA (ge Egli osservò pure che il parenchima fogliare, nei punti ammalati, € attraversato da numerosi tubi non tramezzati, appartenenti al parassita, che decorrono negli spazi intercellulari, e contengono una sostanza verdiccia. Questi tubi allorchè hanno raggiunto un certo grado di sviluppo si riempiono di spore minutissime, ovali e colorate in verde da pigmento clorofillino. Il Kiihn afferma che il parassita in questione appartiene al gruppo delle Alghe e più specialmente alla famiglia delle Sifonee, e lo denominò Phyl- losiphon Arisari. Un anno dopo lo Schmitz rivolse pure l’attenzione su questo parassita, e trovò che i tubi di cui è costituito, nei primordî dello sviluppo, sono pieni di un protoplasma incolore disseminato di nuclei giganteschi. Un po’ più tardi quest'ultimi aumentano in numero e si fanno più piccoli, nel tempo istesso che il protoplasma si suddivide in una quantità grandissima di spore rotonde ed ovali, destinate ad essere eliminate assieme ad una sostanza mu- cilaginosa di color verdiccio che venne dal Kihn erroneamente scambiata col pigmento clorofilliano. Secondo lo Schmitz, il P/y/losiphon Arisari manca affatto di clorofilla e va perciò ascritto alla classe dei funghi. Nel 1881 il Just, avendo avuto l'opportunità di studiare la malattia dell’ Arzsarum, osservò che i tubi giovani del parassita contengono solamente protoplasma, nuclei, microsomi e gocciole di grasso. In un’ epoca un po’ più inoltrata dello sviluppo, comparisce anche la clorofilla e gli strati periferici del protoplasma si dividono in un gran numero di spore, ognuna delle quali porta con sè una certa quantità di clorofilla ed uno o più microsomi. Lo stesso autore, dopo di aver rilevato come lo Schmitz abbia segnalato, in ogni spora, la presenza di un piccolo nucleo, afferma risolutamente che una tale particolarità non esiste e che all’ opposto i grandi nuclei, di cui va fornito il plasma nei primordî del suo sviluppo, son destinati a scomparire nell'epoca in cui i) contenuto dei tubi, in procinto di dar origine alle spore, assume una struttura reticolata. Il Just accenna anche alla presenza di amido nel parassita dell’ Ar%- sarum; questa sostanza comincia a formarsi quando appaiono le prime traccie di clorofilla, e da questo momento va aumentando fino all’epoca della matu- rità delle spore. L'amido si presenta sotto forma di granuli di varia dimen- sione; i più piccoli vengono consumati per la formazione delle membrane che circondano le spore, gli altri, all’ opposto, rimangono fino allo svuota- mento dei tubi ed anzi vengono eliminati assieme alle spore. Queste ultime non contengono mai amido. Il Just, dopo di aver discusso alcune questioni relative all’ origine dei gra- nuli di amido ed all’ influenza che esercita il parassita sulla pianta che lo ospita, descrive il modo con cui avviene lo svuotamento dei tubi. L' elimina- zione delle spore è dovuta al fatto che alcuni strati della membrana cellulare COSTE, ee del parassita, essendo eminentemente mucilaginosi, assorbiscono acqua e deter- minano così la rottura dei tubi in corrispondenza degli stomi della foglia. La massa mucilaginosa sorte dal punto leso e trascina seco meccanica- mente le spore. Queste ultime però non sortono tutte ad un tempo, ma vengono eliminate le une dopo le altre ed in ammassi più o meno grandi, in seguito a ripetute eiaculazioni. Nei fondi ciechi dei tubi rimangon poi sempre alcune spore, le quali continuano a crescere fino a raggiungere dimensioni abba- stanza vistose e vengono messe in libertà soltanto quando la foglia entra in sfacelo. Il Just termina il lavoro rimettendo di nuovo in onore l'antica opinione del Kiihn, secondo la quale il parassita non dovrebbe esser ascritto alla classe dei funghi, bensì a quella delle Alghe. Appena comparve la Memoria del Just, lo Schmitz pubblicò una seconda nota per combattere alcune delle osservazioni di questo autore, affermando innanzi tutto, che le spore nascono non solamente negli strati periferici del protoplasma, ma bensì in tutta quanta la massa del medesimo. Per quanto poi riguarda la questione relativa ai nuclei, ecco come si esprime lo Schmitz: Nelle parti giovani dei tubi i nuclei sono grandi e scarsi: più all’ indietro compaiono anche dei nuclei meno grossi di guisa che il protoplasma presen- tasì ivi disseminato di corpicciuoli rotondi, fortemente colorabili coll’ ematos- silina e di dimensioni variabilissime. I nuclei presentano distinta una membrana ed un nucleolo che in quelli grandi è pure assai voluminoso. Nei tubi ancor più vecchi i nuclei grandi mancano del tutto; quelli più piccoli, invece, sono considerevolmente aumentati di numero, tanto che il protoplasma ne appare addirittura farcito, ed hanno assunto dimensioni pressochè uniformi. Mentre i nuclei si vanno moltiplicando, compariscono pure i granuli cloro- filliani ed amilacei, ed il protoplasma assume una struttura reticolata. Ben tosto si originano anche le spore; ognuna di esse nasce attorno ad un nucleo e si appropria un corpuscolo clorofilliano ed una tenue porzione di protoplasma. L'amido non entra mai a far parte delle spore, le quali appena formate si circondano di una membrana. In questa seconda memoria, lo Schmitz, dopo aver rilevate alcune inesat- tezze in cui cadde il Just a proposito della ramificazione dei tubi e del modo di svuotamento degli stessi, accenna brevemente alla varia grossezza delle spore e conclude pure a sua volta che il Phy/losiphon Arisari, essendo prov- visto di veri granuli clorofilliani, va ascritto alla classe delle Alghe e più precisamente alla famiglia delle Sifonee. Le discordi opinioni che hanno emesso i tre autori che si occuparono del Phyllosiphon Arisari, mi hanno indotto a riprendere lo studio dell'argomento PETITE, pena tanto più che nessuno di essi accenna ai processi di divisione che danno luogo alla moltiplicazione nucleare. Dalle ricerche fatte risulta che negli stadî giovanissimi di sviluppo del parassita, il protoplasma si presenta come una massa nubecolare finamente granulare e cosparsa di vacuoli più o meno grandi. I nuclei sono molto scarsi, tanto che nel campo del microscopio a forte ingrandimento se ne possono talora contare appena due o tre. Essi sono ro- tondi, giganteschi ed hanno un nucleolo pure enorme e spesso fornito di va- cuoli, che fissa energicamente l’ematossilina ad altre sostanze coloranti. Un reticolo nucleare non è sempre visibile, e nei casi in cui è manifesto presentasi molto pallido ed a contorni indecisi. Il nucleo è circoscritto da una membrana nucleare, qualche volta però non troppo distinta. Talora, già in questo stadio, ma più spesso in quelli che susseguono, il protoplasma assume una struttura tipicamente reticolare a fine maglie. Il reticolo non mostra traccia di microsomi o di corpi d'altra natura. Avvenuta questa modificazione, i nuclei non tardano a cambiar di forma e di struttura. La membrana nucleare comincia a farsi indistinta ed il nu- cleolo, che spesso assume una posizione laterale, non di rado si frammenta dando origine a due o tre nucleoli secondarî, piccoli, i quali si spandono nella massa nucleare. Il nucleo intanto ha assunto una forma irregolare ricordante quella delle amebe in movimento ed invia delle digitazioni lungo i reticoli plasmici ai quali è fissato. In questa fase di sviluppo noi cominciamo diggià ad avvertire qua e colà, la presenza di piccoli corpicciuoli fortemente colorabili, i quali trovansi localizzati nel plasma circostante ai grandi nuclei. Siffatti corpi derivano pro- babilmente dai nucleoli frammentati, ma io non ho potuto seguire tutte le fasi della loro evoluzione. Col progredire dello sviluppo dei tubi, i nuclei grandi entrano in attiva frammentazione. Il fenomeno è preceduto da un’ esagerazione di quei muta- menti di forma che abbiamo sopra descritti: i nuclei, cioè, diventano ramosi e contorti, seguendo la via tracciata dai filamenti dei reticoli plasmici. Anche i nucleoli si fanno allungati ed in fine si dividono in parecchi pezzi che si espandono nelle ramificazioni nucleari, le quali ber tosto si iso- lano pure a loro volta per frammentazione. Avvenuta la quale, il plasma mostrasi disseminato di un numero abba- stanza considerevole di nuclei, che riprendono la forma rotonda pur rimanendo contraddistinti per le dimensioni spesso variabilissime. Questo fatto che è una conseguenza della ineguale divisione dei nuclei primitivi, si osserva pure nelle successive moltiplicazioni nucleari, quantunque tenda diventare sempre meno evidente ed anzi in fine a scomparire. I nuclei secondarî hanno naturalmente dimensioni molto minori dei loro progenitori ed anche i nucleoli sono notevolmente diminuiti in grandezza. La LEA massa nucleare riesce qui però abbastanza colorabile coll’ ematossilina, tanto che la si può riconoscere in mezzo al citoplasma anche nei casi in cui la membrana nucleare non presentasi più distinta. I nuclei secondari non tardano a diventar fusiformi, ramosi, stellati ed a dividersi nuovamente per frammentazione. Il processo di moltiplicazione è spesso preceduto dalla frammentazione del nucleolo in un numero più o meno grande di corpicciuoli arrotondati o bastonciniformi. Come sopra ho detto, la divisione nucleare si ripete parecchie volte di seguito ed ha per effetto la formazione di un numero veramente straordinario di piccoli nuclei. Allorchè questi ultimi hanno raggiunto l'aspetto di grossi cocchi o di bacteri, non lasciano più riconoscere con sicurezza uno stroma nu- cleare: tutta quanta la massa del nucleo appare uniformemente colorabile, o tutt'al più mostrasi alquanto più vivamente tinta dai reagenti nella parte centrale. Siffatti nuclei, quando si dividono, sì stirano in sottili filuzzi, alquanto più colorati ad uno o ai due estremi e poscia si rompono. In tutte quante le divisioni nucleari io non ho mai potuto constatare la presenza di figure cariocinetiche tipiche. Ho trovato, è vero, molto spesso delle forme che ricordavano gli stadî di piastra equatoriale e di diaster, ma in questi casi la parte che simulava un fuso acromatico era data dallo stroma nucleare, mentre la porzione cromatica era costituita unicamente dai nucleoli più intensamente colorati dall’ ematossilina. Nelle migliaia di preparati che ho sottoposto all'osservazione non ho mai incontrato uno stadio ben deciso di gomitolo, di aster e via dicendo, e tanto meno ho potuto riconoscere la presenza di cromosomi. È quindi giuocoforza ammettere che nel Phy//osiphon, come in molte altre alghe e funghi, la divisione nucleare è rappresentata piuttosto da una fram- mentazione, anzichè da una vera cariocinesi. Terminato il processo di moltiplicazione nucleare, si veggono i minu- tissimi nuclei, talora accoppiati, od uniti in catenule, ma più di frequente isolati, occupare quasi costantemente i punti nodali del reticolo protopla- smatico. I nuclei definitivi del P7y2/osiphon hanno una grande rassomiglianza coi microsomi, e anzi chi non segue l’ evoluzione di siffatti corpi può in realtà scambiarli colle granulazioni plasmiche, come appunto ha fatto il Just. L' er- rore potrebbe essere reso anche più facile dalla circostanza, che i tratti di protoplasma in cui ha luogo la moltiplicazione nucleare, si colorano più vi- vamente coll’ ematossilina. A proposito dei nuclei, è d'uopo ancora aggiungere che il processo di divisione può colpire pochi nuclei ad un tempo, ma in generale si estende a tutti quanti i nuclei di un tratto più o meno esteso dell’alga. Non sì tosto è compiuto il processo di divisione dei nuclei, compariscono le spore. Ciascuna di esse è fatta da un nucleo avvolto da una porzione di Ri | | protoplasma, così che la massa di quest'ultimo si trasforma in una quantità di corpicciuoli ovali, dapprima nudi, piu tardi rivestiti di membrana cellulare. I nuclei delle spore sono situati alquanto eccentricamente: accanto agli stessi poi si notano molto spesso delle granulazioni colorabili col violetto di genziana Ebhrlich. Avvenuta la sporificazione, le spore vengono eliminate per mezzo del processo di rigonfiamento e di rottura delle membrane già descritto dal Just e dallo Schmitz. Come già ebbe a notare il Just, io ho pure riscontrato dei tubi nei quali le spore continuano a crescere. Io ritengo però che sia del tutto infon- data l'opinione di questo autore, il quale vorrebbe che un tale fatto rappre- senti un’ accidentalità, mentre è un fenomeno normale dell'evoluzione dell’ alga e che si verifica già in un epoca in cui non è ancora avvenuta la eiacula- zione delle spore. Le molte osservazioni che ho fatto a questo proposito mi portano a ritenere che talvolta soltanto poche spore di una ramificazione continuano a crescere, mentre in altri casi tutte quante aumentano di volume fino a raggiungere dimensioni 5 0 6 volte maggiori delle spore piccole. Con adatte sostanze coloranti e con forti obbiettivi, si può inoltre fa- cilmente riconoscere che tali spore grandi o macrospore hanno dapprima un nucleo relativamente grande, fornito di membrana e di nucleolo, il quale però non tarda a segmentarsi ripetutamente per dar luogo a quattro e più nuclei secondarî. La segmentazione, a quanto pare, avviene pel solito processo di frammen- tazione, ma è difficile stabilirlo con sicurezza, date l’ esigue dimensioni dei corpi in questione. Alla divisione del nucleo tiene dietro la segmentazione del citotoplasma della macrospora in altrettante porzioni quanti sono i nuclei, i quali tendono tutti quanti a- star raccolti verso il centro della macrospora. Un po' più tardi le varie porzioni di protoplasma si circondano di una membrana, ed allora le macrospore trasformansi in sporangi. In certi tubi dell’alga, si può assistere a tutti i passaggi dalla macro- spora uninucleata allo sporangio completamente evoluto : in altri punti invece si incontrano soltanto gli sporangi o le macrospore. Va notato però che nei tubi dove compariscono gli sporangi, si incontrano pure le ordinarie piccole spore e che anzi, talora, dei parziali accumuli di queste potrebbero forse essere scambiati cogli sporangi sopra descritti. Gli autori che mi precedettero, hanno indicata la preseza, nei tubi del- l’alga, di goccie di grasso, di corpi clorofilliani e di granuli amilacei. Il materiale che io aveva a disposizione non mi ha permesso di fare delle ricerche nè sui granuli di clorofilla, nè sui corpi grassi; per quanto riguarda invece l’amido, sono riuscito a dimostrare che le osservazioni dello RenpICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 7 — 592 — Schmitz e del Just non sono esatte, poichè le spore, e specialmente le ma- crospore, contengono delle minute granulazioni amilacee che trattate col iodio assumono una tinta bruno rossastra al pari dei corpi analoghi che anch'io vidi, come i due autori citati, disseminati nel plasma. Per mettere in evidenza siffatti corpi è duopo ricorrere all’ azione com- binata dell’acqua di Javelle e del jodojoduro di potassio. 1 granuli amilacei, quando sono un po’ grossi, si colorano anche con certe sostanze come il Carmino al Cloralio e presentano nel centro un ilo. Oltre a ciò essi sono stratificati concentricamente e gli strati più interni fissano energicamente il iodio. Nel protoplasma dei tubi adulti, oltre all’'amido, ho anche veduto dei corpi ramosi disseminati fra le spore ed intensamente colorabili col carmino, i quali probabilmente costituiscono prodotti di degenerazione del plasma stesso. A complemento di queste ricerche debbo aggiungere che, sebbene non mi sia occupato delle alterazioni che il parassita esercita sulla pianta che lo ospita, ciò non di meno ho notato che nelle parti infette i nuclei del parenchima lacunoso delle foglie hanno una spiccata tendenza a presentare delle forme anormali. Patologia vegetale. — Marciume radicale delle piantine di Tabacco, causato dalla Thielavia basicola Zopf. Nota del dott. Virrorio PEGLION ('), presentata dal Corrispondente R. PIROTTA. Varî autori hanno studiato le cause dei deperimenti che avvengono spesso nei semenzai di tabacco e più oltre espongo in succinto i resultati delle loro ricerche. Scopo di questa breve nota si è di descrivere una speciale malattia che ha infierito nei semenzai, posti sotto la direzione dell’ Agenzia dei Ta- bacchi di Sansepolcro, e che ha colpito con maggiore intensità delle altre varietà coltivate, il Kentucky-Borley, ed in minor grado anche il Seed-leaf. Questa malattia consiste in una putrefazione delle radici secondarie e della estremità del fittone, cui segue un rapido ingiallimento della parte aerea della pianta. La parte ancora sana del fittone stesso emette numerose radici avventizie che si sviluppano assai rapidamente, ma che ben di rado possono sostituirsi al sistema radicale normale delle piantine, le quali in breve tempo disseccano e muoiono. Un esame accurato delle radici putrefatte permette di osservare delle chiazze nere, fuligginose che ricoprono zone estese delle radici medesime; (1) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. lin oi Te SS Nes i TT IE l'esame microscopico vi rivela gli apparati fruttiferi di un fungillo che ha tutti i caratteri della Thielavia basicola Zopf. Questo fungillo della famiglia delle Perisporiae è stato accuratamente illustrato dallo Zopf (*), che lo ha riscontrato parassita del sistema radicale di varie piante coltivate, Lupinus luteus, L. angustifolius, L. albus, L. ther- mis, Trigonella caerulea, Onobrychis Crista galli, Pisum sativum, Senecio elegans. Finora il tabacco non figurava fra le piante ospiti di questo fungo che vive eziandio sulle radici di Cyelamer, secondo il Sorauer, e di viola mam- mola, secondo Thaxter, e che analogamente ad altri funghi radicicoli mostra un'adattabilità assai grande riguardo alle piante ospiti, le quali, come ri- sulta da quest’ elenco, appartengono a famiglie molto lontane fra loro. La mortalità delle piantine di tabacco nei semenzai è stata oggetto di accurati studî da parte di J. Behrens (2) ed O. Comes (?). La malattia de- scritta dal primo autore si manifesta coll’ avvizzimento dei cotiledoni e delle prime foglie che diventano in breve tempo molli, glutinose quasi mucillag- ginose; queste parti alterate anneriscono rapidamente in seguito allo sviluppo di una fitta rete miceliale, sulla quale spuntano ben presto le caratteristiche fruttificazioni dell’ Alternaria tenuis, le quali ricoprono di uno strato vellu- tato le piantine morte. Questo fungo, di solito, si comporta da vero saprofita ed è assai diffuso; esso diventa in questo caso parassita perchè trova le pian- tine di tabacco già ostacolate nello sviluppo da sfavorevoli condizioni esterne, e sopratutto dalla eccessiva umidità e dall’ imperfetta aerazione dell’am- biente. Comes ha descritto una estesa mortalità nelle piantine avvenuta nei se- menzai dell'Orto Botanico di Portici « le piantine deperivano in seguito al disfacimento del fittone, il quale cominciava a marcire dal basso in alto . e nelle parti marcite le cellule presentavano colonie numerosissime di mi- crobi fra cui predominavano quelle del Bacterium amylobaceter, talvolta, ma non sempre, accompagnate da un micelio fungino riferibile all’ Alternarza fenuis e da altre ife affatto sterili ed analoghe a quelle della F7bre/laria; talvolta si è ravvisata la presenza anche del Cladosporium herbarum e del- l’ Angquillula radicicola ». Tutti i microorganismi succitati conducono di solito una vita stretta- mente saprofitica, e possono diventare parassiti quando vengano a contatto di piantine già deperite per opera di condizioni esterne sfavorevoli allo sviluppo. Ed anche in questo caso, nel ristagno dell’acqua nel suolo e quindi nella (1) Zopf W., Veber die Wurzelbraine der Lupinen. Zeitschr. f. Pflanzenkrankheiten. Band I, 1891, p. 72. (2) Behrens J., Veder den Schwamm der Tabaksetzlinge. Tbid., 1892, p. 327. (3) Comes O., Mortalità delle piantine di tabacco nei semenzai. Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli, serie 4*, vol. VI, 1895. Agi e insufficiente aerazione dell'ambiente si deve ricercare la causa prima della alterazione; la presenza dei detti microorganismi rappresenta un epifenomeno. È pure ovvio attribuire una notevole importanza a queste condizioni sfavorevoli di sviluppo nella ricerca delle cause della malattia che si è svi- luppato nei semenzai di Sansepolcro, dove può darsi, che la invasione delle piantine per opera della Thielavia basicola sia stata favorita dall'essere la varietà di tabacco piuttosto delicata e dall’ imperfetta preparazione dei se- menzai, come verrà detto, dopo esposti i caratteri del fungo. L'esame microscopico delle radicelle annerite mostra le medesime rico- perte da una fitta trama miceliale di aspetto fuligginoso; questo micelio in- vade la regione epidermica ed i tessuti corticali, distruggendo i contenuti cellulari e dissocciando le cellule stesse: esso è costituito da filamenti ad articoli brevi, assai ramificati di colore olivaceo, che attraversano le pareti degli elementi e si aggomitolano nella cavità cellulare sopratutto negli strati più esterni del parenchima corticale. Da questo micelio si dipartono degli ifi che si diffondono nel terreno circostante sotto forma di cordoni costituiti da pochi filamenti lassamente aggregati in guisa da ricordare le rizomorfe caratteristiche di altri funghi sotterranei. Alla superficie esterna della radice compariscono dapprima due forme diverse di fruttificazioni conidiali: la prima è costituita da conidi ialini che si generano all’interno di filamenti eretti, settati, nei quali il protoplasma che riempie l’ultimo articolo si frammenta e dà origine ai conidi che escono dal filamento attraverso ad un apertura situata all'apice del medesimo. Queste ife endoconidiofore, che hanno ricevuto dallo Zopf il nome assai bene appropriato di « Pistolenfirmige conidienbil- dungen » ricordano le fruttificazioni degli Zndoconidium. I conidi così pro- dotti hanno in media un diametro longitudinale di 6 w. e trasversale di 4 w. I filamenti conidiofori hanno una lunghezza assai variabile in media 60-80 w con un diametro trasversale di 5-5 '/, wu, essi possono produrre 4-5 endoconidî. La seconda forma conidiale si manifesta quando è già avvenuta la diffe- renziazione degli endoconidî: gli stessi filamenti endoconidiofori, oppure delle brevi ramificazioni del micelio producono dei gruppetti di catenelle di spore brune, molto simili a prima vista alle fruttificazioni ibernanti dei Phragmi- dium o di alcuni Helminthosporium, ed invero il Sorokine (!) nel 1876 de- scrisse questa forma come specie a sè sotto il nome di Helminthosporium fra- gile; ogni ramificazione può portare fino a 5 catenelle composte alla lor volta da 4-5 spore ognuna, che a maturità si separano le une dalle altre ed allora misurano da 14-16 u » 10-12. Sono le spore che Zopf considera come or- gani ibernanti o clamidospore. In mezzo ai filamenti conidiofori si formano i periteci: sono corpicciuoli sferoidali, privi di qualsiasi apertura ostiolare, che misurano un diametro (*) Sorokine, Hedwigia, 1876. mr dic medio di 80-100u, a parete piuttosto sottile, dapprima ialina, poscia bru- nastra. Essi contengono un numero variabile di aschi ovoidi, che scompariscono rapidamente ponendo in libertà all’interno del peritecio 8 spore di color bruno-cioccolatte, limoniformi, provvedute di una grossa goccia oleosa cen- trale e misuranti 8-10 w X 4-5. Non sempre i periteci sono superficiali; talvolta essi si formano nello spessore dei tessuti corticali differenziandosi in seno ad ammassi miceliali. Non sono riuscito ad osservare la germinazione delle clamidospore e delle ascospore. Gli endoconidî germinano invece assai facilmente nell’ acqua e si sviluppano assai rapidamente nelle comuni soluzioni nutritive. Io ne ho fatto delle colture in gelatina di mosto acida, in mosto all’agar-agar ed in fette di patata sterilizzate. Nella gelatina al mosto i conidi perdono la forma cilindrica ed ingrossano diventando ovali; essi emettono da ambo i poli dei tubi germinali che si allungano molto rapidamente producendo un ammasso miceliale di aspetto mucoso, immerso nel substrato nutritivo, che viene rapi- damente fluidificato; da questo micelio si dipartono dei filamenti verticali, che sporgono alla superficie del substrato e sui quali si differenziano gli ifi endoconidiofori che presentano la caratteristica forma a pistola. All'epoca della emissione dei primi conidi la coltura è perfettamente bianca, a poco a poco essa assume un aspetto cenerino, ed allora s' inizia la formazione delle catenelle di clamidospore, che maturando sollecitamente, fanno prendere una colorazione brunastra all'intera coltura. Fino ad oggi non ho potuto seguire la formazione dei periteci. Raccogliendo con cura la terra a contatto immediato colle radici pu- trefatte, ponendola in un cristallizzatoio, dopo averla inumidita con acqua distillata, si osserva dopo 24 ore di soggiorno in termostato, un tenue velo miceliale che a guisa di ragnatela avvolge e riunisce i grumi terrosi. Su di esso si differenziano ben presto le varie forme di fruttificazione della 7’hie- lavia basicola; lo sviluppo del micelio è assai vigoroso e numerosi filamenti si dipartono dai grumi di terra diffondendosi lungo le pareti del cristalliz- zatoio alle quali aderiscono fortemente. Siffatto adattamento del fungo alla vita saprofitaria trova riscontro nel modo di vita di altri funghi parassiti radicicoli, e fra questi basti citare la Dematophora necatrix Hart. Dato questo facile adattamento, si comprende che questo fungo possa diffondersi nei semenzai: nella confezione di questi si usano largamente ter- riccio di castagno e letame di stalla, stratificati in guisa da costituire un ambiente caldo e ricco in humus, qual’ è necessario per ottenere un sollecito sviluppo delle piantine che vi si coltivano. Ed a questo punto giova tener presenti le osservazioni fatte da So- rauer (*) a proposito dell’imbrunimento delle radici di Cyelamen; egli ha (1) Sorauer P., Veber die Wurzelbraune der Cyclamen. Zeitschrift f. Pflauzenkrankh. Band. V, p. 18. SLA constatato che la Thzelavia basicola è assai diffusa nei terricci, e nelle terre soverchiamente ricche in humus ed umide, nei quali le piante che vi si col- tivano, acquistano una notevole predisposizione alle malattie parassitarie. Il fungo danneggia soltanto le piante languenti per l'influenza di altre cause, quali sarebbero per l'appunto un eccesso di sostanza organica o le irrigazioni troppo di sovente ripetute. Modificando queste cure colturali e eseguendo le coltivazioni in terreni meno ricchi, Sorauer ha prevenuto lo sviluppo del male. Ora nella preparazione del terreno dei semenzai, onde accelerare lo sviluppo delle piantine, si esagera facilmente nella quantità di letame e nell'uso delle irrigazioni: spesso lo strato di terriccio che ricopre il letame è assai tenue, in modo che le tenere radici delle piantine giungendo a contatto del letame in via di fermentazione molto attiva sono scottate. Tale stato di cose inde- bolendo le piantine, le predispone all'invasione dei parassiti che trovano in siffatto ambiente delle condizioni assai favorevoli ed acquistano una viru- lenza maggiore dell’ usuale. È opportuno perciò di porre in chiaro mediante accurate esperienze quali condizioni siano richieste per lo sviluppo parassitario della Thzielavia bda- sicola sulle piantine di tabacco. Non è improbabile che alla mortalità piut- tosto estesa che si è verificata nei semenzai di Sansepolcro, abbiano contri- buito le condizioni colturali delle quali si è fatto un breve cenno. Con una razionale modificazione del sistema di preparazione dei semenzai attualmente in uso, si potrebbe in tal caso porre un argine al diffondersi della malattia. Sarebbe necessario inoltre di sperimentare i vari mezzi di disinfezione del suolo, già in uso contro altri parassiti consimili, e di studiare contempora- neamente il comportamento delle differenti varietà di tabacco verso il pa- rassita onde stabilire se vi sia un differente grado di resistenza. Gli agri- coltori di Sansepolcro hanno osservato che le piantine di Seed-leaf sono molto meno colpite di quelle di Kentucky-Borley ; ora è bene vedere se le condi- zioni colturali in cui si trovavano le due varietà erano uguali o se presen- tavano delle differenze tali da spiegare la differente resistenza. È da augurare che vengano istituite le ricerche necessarie per risolvere i varî quesiti che riguardano questa malattia, la quale, se trascurata, può arrecare danni assai sensibili ad una delle colture industriali che è bene si diffonda quanto più è possibile nelle varie regioni d'Italia. Zoologia. — Za Scolopendra cingyulata, Latr. è ovr- para. Nota di FiLiPPo SILVESTRI, presentata dal Corrisp. GRASSI. P. Gervais nel volume quarto /nsectes aptères, p. 14 così scrive : « Nous avions fait connaître, d'après Audouin, que les Scolopendres pro- prement dites sont ovovivipares. Cette assertion repose sur l’inspection de jeunes Scolopendres recueillies par MM. Quoy, Gaimard et Dussumier ». Fu dunque primo il Gervais ad asserire che le Scolopendre sono vivipare. Più tardi Lucas (Bull. Soc. Entom. France, 1868, 4° sér., tom. VIII) presentava in una adunanza della Società entomologica francese quaranta pic- cole Scolopendre, che egli diceva partorite a questo stadio, e terminava così la sua comunicazione: « le nouveau cas d’ ovoviviparite que je communique à la Société, vient confirmer ce qui avait été préalablement avancé è ce sujet, et c'est M. Petit, surveillant aux établissements pénitentiaires de la Guyane, qui a observé ce fait remarquable ». Fin da questa epoca passò in tutti i libri la viviparità delle Scolopendre, dei quali, per non citarne altri, nominerò tra i recenti i trattati del Claus, Perrier, Emery. Chi si occupò particolarmente dei Chilopodi, come il Latzel ed altri, sospettarono bensì che le Scolopendre fossero ovipare al pari dei Cryptops e degli altri Chilopodi, ma non poterono provare la verità o meno di ciò. To il 3 luglio dell’ anno scorso trovava sotto una pietra una Scolopendra cingulata, che gelosamente custodiva le sue uova, e quest'anno nel mese di giugno ne ho trovate varie parimenti con le loro uova. Resta così accer- tato che la Scolopendra cingulata è ovipara. Essa custodisce le sue uova accerchiandole con il proprio corpo, e non le abbandona se non molestata violentemente. Le uova si presentano di un colore giallo-pallido, di forma elittica, mi- surano mm. 3 nel diametro maggiore e mm. 2,5 nel minore. Quanto all’ asserzione di Gervais e Lucas forse potrebbe essa essere erronea, tanto più che non è fondata su osservazioni loro (che in questo caso sarebbero state assolutamente esatte), ma su osservazioni di gente, che può aver ben facilmente preso le piccole Scolopendre custodite dalla madre rav- volta su sè stessa, come da essa allora partorite. Non ci sarebbe però nulla a meravigliarsi se realmente qualche specie di Scolopendra delle regioni tro- picali fosse vivipara. PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all’ Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale senatore prof. GIovANNI CANTONI, morto il 15 luglio 1897, e del Socio straniero G. G.S. STEENSTRUP, mancato ai vivi il 20 giugno 1897; appar- teneva il primo all'Accademia dal 7 gennaio 1872, e ne faceva parte il secondo dal 17 aprile 1880. IE 15 i TIE Ri. «$} 1088 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 1° agosto 1897. _————_————F6€TTmTmÈ<4<<4z“<-| Sy cui si muove la piccola calamita sospesa, il tubo €, che circonda il filo di so- spensione, e lo specchietto ,S destinato alle letture. Sulla stessa base è posata una cassa parallelepipeda di rame Z/G/7 aperta superiormente (E7 = 39 c., FG=26c., FF =17c.) entro la quale si trovano il coherer P (tubo di vetro con due elettrodi di rame pieno di limatura di ferro), due coppie a bicromato @Q, Q, ed uno dei rocchetti a lungo filo X del galvanometro, messi in un unico circuito. Il rocchetto è vicinissimo all’ago del galvanometro, ed in opportuna posizione onde agisca su di esso attraverso la parete della cassa. Questa può chiudersi superiormente con un coperchio di rame T. Per far sì che la comunicazione metallica fra coperchio e cassetta fosse buona, sull'orlo superiore di questa fu saldata in giro una specie di doccia di rame, ed il coperchio venne opportunamente incurvato, affinchè l’ orlo del medesimo penetrasse entro la doccia. Il fondo di questa e 1’ orlo del coperchio furono amalgamati, e la doccia fu riempita di mercurio, come vedesi nella sezione Y"GG& della cassa, Con questa disposizione, che assicura la continuità metallica dell’ invo- lucro conduttore n07 si osserva mat il minimo spostamento mell’ago del galvanometro per quanto si faccia agire l’ oscillatore, posto a pochi centimetri da P, mentre è certo che, se la cassa non esistesse, si osserverebbe un’ azione, quand anche la distanza fra l’oscillatore ed il ricevitore fosse di qualche centinaio di metri. Se si ripete l’esperienza dopo avere sostituito al coperchio 7 una lastra di rame non amalgamata, la quale, pur chiudendo la cassetta e toccandone l'orlo, non abbia con questa ovunque buon contatto, si ottiene una fortissima deviazione galvanometrica, tale da far sparire la scala dal campo del cannoc- chiale, non appena una scintilla scocca nell’oscillatore. Si sa poi che, prima di procedere ad una nuova esperienza, occorre dare alla cassetta, o diretta- ag mente al tubo ?, un piccolo urto, per fare sparire la deviazione e restituire al sistema la primitiva sensibilità. Come aveva già osservato il Lodge, basta dunque una fenditura stret- tissima per far sì che le onde penetrzno nell’ interno della cassetta. Invece, un'apertura circolare abbastanza grande (p. es. di 6 c. praticata nel coperchio) non dà luogo che ad una azione debolissima. Occorre però che nessuna por- zione del circuito, di cui fa parte il tubo /, esca dal foro, come pure che nessun conduttore, comunicante o no col detto circuito, esca dalla cassa. Se queste condizioni non sono soddisfatte, l’azione sul tubo P si manifesta, spesso con grande energia. Dunque, perchè l'azione delle onde nell'interno della cassa sia rigoro- samente nulla, è necessario che le lastre metalliche, dalle quali la cassa risulta formata, sieno saldate assieme, od almeno comunichino fra loro ovunque e nel modo migliore. Se questa condizione è perfettamente soddisfatta, nessuna scintilla potrà essere provocata dalle onde nell'interno della cassa, e se questa contiene dei corpi capaci di esplodere, nulla si avrà a temere; invece questa assoluta sicurezza non si avrà, se le pareti della cassa si toccano reciprocamente in pochi punti, quantunque la probabilità che sieno verificate le condizioni necessarie a che delle scintille possano prodursi, sia certamente minima. Che le onde penetrino benissimo nella cassa, quando in questa esistono delle fenditure strettissime, ed assai scarsamente invece, quando la cassa ha aperture di forma circolare o quasi, fu dimostrato dal Lodge, ed io non ho fatto che confermare questo fatto interessante. Secondo me, quando il Lodge parla di penetrazione delle onde nella cassa, egli adopera un linguaggio figurato, e vuole esprimere semplicemente il fatto constatato, dell’azione che si manifesta sul coherer. Il modo nel quale questa azione si produce, resta dunque a specificarsi. Probabilmente si deve qui prendere in considerazione l’effetto delle onde secondarie (*) dovute alle oscillazioni elettriche, provocate nelle varie parti metalliche costituenti la cassa. Soltanto quando queste varie parti comunicano perfettamente fra loro, quelle oscillazioni sono tali che nes- suna azione può manifestarsi nell’ interno della cassa. Fisica. — Su magneti Jamin. Nota di M. AscoLi, presentata dal Socio BLASERNA. I magneti Jamin sono formati, come è noto, da molte lamine magne- tizzate separatamente e poi riunite in fascio. Con ciò si ottiene una magne- tizzazione maggiore di quella che si otterrebbe magnetizzando collo stesso campo il fascio bell'e formato. Generalmente si spiega questo fatto ricor- (1) Z° Ottica delle oscillazioni elettriche, parte 12, cap. II MO, rendo a speciale comportamento magnetico dei corpi. Ma la spiegazione a mio credere è assai più semplice. E voglio qui accennarla come uno dei numerosi esempî nei quali le nozioni che si posseggono sul magnetismo e che furono così lucidamente sintetizzate dai lavori di Warburg e di Ewing bastano per l’interpretazione di fenomeni che in apparenza possono sembrare indizio di nuove proprietà. Immaginiamo di tracciare, per il materiale che si considera, il ciclo di magnetizzazione corrispondente ad una intensità massima OX del campo (v. fig. 1). Nella figura si intende che le ascisse rappresentino le vere forze magnetizzanti e le ordinate le 7r/ezsità corrispondenti del magnetismo indotto. È la linea che si otterrebbe sperimentando sopra un toro o al centro di un cilindro infinitamente lungo. Supponiamo che ciascuna lamina del fascio Jamin abbia una sezione molto piccola rispetto alla lunghezza, la linea trac- ciata ARC varrà anche per ciascuna lamina. L’ordinata O rappresenterà cioè il magnetismo residuo di ciascuna lamina magnetizzata separamente. Se invece riuniamo tra loro molte lamine, abbiamo un prisma di grande sezione in ogni punto del quale diventa sensibilissima la forza smagnetizzante. Per modo che mettendolo nel medesimo campo OZ si ha, ad esempio, al centro, una forza magnetizzante effettiva molto minore di OH; la indichiamo con OH'. Partendo da questo valore estremo tracciamo il ciclo, A"R'C", avente per ascisse le forze magnetizzanti vere. Il magnetismo residuo, in questo caso non è OR’, giacchè quando si toglie il corpo dal campo applicato, esso rimane nel proprio campo smagnetizzante, cioè è soggetto ad una forza ma- gnetica negativa 02; il magnetismo residuo è dunque in questo caso DS, ordinata corrispondente all’ascissa 0D. Siccome la forza smagnetizzante si può esprimere col prodotto di un fattore smagnetizzante per l'intensità del magnetismo, la tangente dell'angolo che la retta OS fa coll’ asse dell / Ro rappresenta appunto il fattore smagnetizzante proprio alla parte centrale del fascio. Torniamo ora a considerare una sola lamina col suo magnetismo re- siduo OR. Riuniamone ad essa una seconda, poi una terza, una quarta ecc. in modo che la sezione vada man mano crescendo. La forza smagnetizzante insensibile per una lamina sola va man mano crescendo, e quindi il magne- tismo va man mano decrescendo dal punto £ verso il punto C. Quando si sarà formato l'intero fascio, la forza smagnetizzante sarà data dal prodotto dell'intensità residua per il fattore smagnetizzante proprio al fascio stesso, ossia saremo giunti nel punto S' dove il ciclo ARC incontra il prolungamente della retta 0S. Ecco dunque che otteniamo, col riunire diverse lamine, una intensità D'Y' (media) della magnetizzazione residua che supera quella (DS) ottenuta sul fascio intero e sta con questa nel rapporto delle due lunghezze OS' ed OS. Nel verificare sperimentalmente e quantitativamente questa teoria s' in- contra qualche difficoltà facilmente prevedibile. Il ragionamento fatto ora si può applicare a ciascun punto del fascio, ad esempio a ciascun punto della sezione centrale. Ora, se l'intensità magnetica fosse uguale in tutti i punti, il ragionamento stesso si potrebbe senz'altro estendere all'intero fascio; ma, come è noto ('), nei magneti corti la distribuzione non è uniforme, ossia fa- cendo descrivere al fascio un ciclo magnetico, ciascun punto della sezione descrive un ciclo diverso, e la serie dei valori medî, che è quella che mi- suriamo col metodo balistico, non coincide in generale con nessun ciclo speciale. Mancando uno studio rigoroso e completo sulla distribuzione del ma- gnetismo residuo, analogo a quello da me fatto sul magnetismo totale, dob- biamo contentarci, nella verifica sperimentale, di operare come se la distri- buzione fosse uniforme, e limitare il confronto dell’ esperienza colla teoria al rapporti piuttosto che ai valori assoluti, giacchè la mancanza di unifor- mità affettando ugualmente i casi messi a confronto apporterà variazioni cer- tamente maggiori nei valori assoluti che nei loro rapporti. Premesso questo, ecco come ho proceduto per la verifica sperimentale dell’ accennata teoria. Ho scelto, per facilitare le esperienze, un fascio di fili anzichè di la- mine. Esso era composto di 200 fili di acciaio lunghi 30 cm. e del diametro di 0,1, collocati in una cunetta di legno a sezione rettangolare e tenuti stretti in essa con anelli di caoutchouc, in modo che il fascio si potesse fa- cilmente scomporre e ricomporre. La sezione rettangolare aveva i lati di 2,0 e 1,0 cm. I. Si è tracciato il ciclo ARS'"C per un solo filo, col metodo balistico applicato nel modo indicato da Ewing e Klaassen (*). L'elice indotta era av- (1) V. diverse Note da me pubblicate in questi Rendiconti nel 1894. (2) V. Lumière électrique, 1894. I, volta sul filo stesso ed aveva 400 spire di filo di 0,01 sopra 4 strati. La spirale magnetizzante era quella adoperata nelle altre mie ricerche e la cor- rente massima usata nel descrivere il ciclo era di = 3 amp. (corrispondente ad H—= 57,5 c.g.s.). II. Pel medesimo filo si è tracciata la curva normale prendendo per ascisse le correnti magnetizzanti e per ordinate le deviazioni balistiche ot- tenute coll'inversione delle correnti stesse. Trattandosi di un filo lungo 300 diametri, si può ritenere che questa rappresenti la vera curva normale del materiale. Le ordinate di queste curve, per esser paragonabili con quelle del ciclo prima tracciato, si devono divider per 2. III. Analoga linea si traccia pel fascio di 200 fili. In questo caso la spirale indotta aveva solo 4 spire. Per modo che le deviazioni balistiche si rendono paragonabili con quelle del caso precedente (in cui la sezione è 200 volte minore, ma il numero delle spire 100 volte maggiore) dividendole per 2. Il confronto di queste due curve e precisamente la differenza delle ascisse che in esse corrispondono ad una uguale ordinata, dà la forza smagnetizzante, la quale divisa per l' ordinata dà il fattore smagnetizzante nelle unità ar- bitrarie qui scelte. Ciò permette di tracciare la retta OS’ (v. fig. 1). Il confronto stesso ci dà direttamente il vero valore della forza magnetica agente sul fascio quando la corrente è di 3 ampère, cioè ha il valor massimo rag- giunto nelle esperienze sul filo unico : si trovò per questo valore 1,07; cioè la forza magnetica è ridotta a circa un terzo. IV. Si traccia per un filo unico (lo stesso prima studiato) il ciclo di magnetizzazione variando la forza magnetizzante tra i limiti # 1,07; è il ciclo A'R'C" della fig. 1. Si hanno così i due segmenti 0,8", OS il cui rapporto, secondo la teoria enunciata, deve essere uguale a quello delle in- tensità residue del fascio magnetizzato filo per filo e del fascio magnettiz- zato dopo formato. V. Si determina quest’ultimo rapporto ponendo al centro del fascio un elica secondaria ed allontanandola rapidamente. L'esperienza si ripete sul fascio successivamente magnetizzato nei due modi, sempre colla corrente di 3 amp. Nei limiti della precisione che qui si può sperare è lecito supporre omogeneo il materiale, e quindi ammettere che tutti i fili singolarmente esa- minati darebbero lo stesso risultato del filo unico effettivamente studiato. Nella tabella I sono raccolti alcuni dei valori che hanno servito a trac- ciare le curve relative al filo unico ed al fascio. La colonna 1 contiene le intensità della corrente magnetizzante espresse in ampère (ascisse); le 2 e 3 le deviazioni balistiche ottenute col filo e col fascio (queste ridotte come è detto sopra) e proporzionali alle intensità magnetiehe medie; la 4 la diffe- renza tra le ascisse delle due linee corrispondenti all’ ordinata della colonna 3; la 5 il rapporto tra i numeri della 4 e quelli della 3, cioè il fattore sma- “A gnetizzante V; quest’ultimo è risultato alquanto variabile, ma pel tratto che ci interessa sì può prendere il valore 0,0074 (!). TABELLA I. 1 i : 9 3 | 4 5 ) | I IL | NI N 0.37 9.0 8.4 0.50 16.8 12.4 0.70 49.1 19.1 0.90 104.8 27.1 1.10 137.9 36.1 0.23 0.0064 1.40 161.0 51.0 0.34 0.0066 1.70 173.5 65,3 0.47 0.0073 3.00 200.8 131.2 0.97 0.0074 4.00 210.9 175.4 1.12 0.0063 (dae (©) (©) DI _ I 00 DO (©) USS =J 7.00 229.5 228.9 La tabella II contiene i dati che servirono a costruire i cicli tra + 3,00 amp. e = 1,06. Le deviazioni d e d' sono ottenute sempre partendo dalla corrente massima (3,0 o 1,06) e invertendola sopra un circuito di re- sistenza decrescente da co fino al valore corrispondente alla corrente mas- sima. I valori di < ed 2’ sono quelli della corrente dopo l’ inversione. TABELLA II. E i g 0.00 15.1 0.000 84 0.20 178 0.118 10.0 0.28 19.0 0.200 112 0.40 220 0.300 13.4 0.58 | 272 0.403 | 16.6 0.67 39.0 0.508 | 217 0.85 112.0 0.600 80.0 1.64 185.5 0.718 59.0 185 | 1885 0.815 92.5 2.10 192.1 0.915 118.7 2.28 198.7 0.973 121.1 2.40 195.9 1.060 128.7 2.70 197.9 2.93 200.0 3.00 | 2010 (1) Le misure di cui qui riportiamo i risultati furono eseguite dall’ing. R. Salvadori. e (66 = I cicli della fig. 1 sono tracciati con questi valori. Il rapporto tra i segmenti 05" ed OS graficamente determinato è 1,24. Magnetizzati poi uno a uno i 200 fili colla corrente di 3 amp. e messi a posto uno a uno con cura nella cunetta di legno, si ottenne estraendo un’ elica indotta di 8 spire (nel modo detto sopra) la deviazione di mm. 59,2; colla medesima elica si ottenne invece pel fascio magnetizzato colla corrente di 3 amp. dopo formato, la deviazione di mm. 47,2. Il rapporto tra questi due numeri è 1,25. La concordanza di questo valore col precedente è tale che la verifica della teoria si può dire riuscita perfettamente. Tuttavia ho ripetuto la stessa serie di esperienze in altre condizioni ottenendo sempre lo stesso soddisfacente risultato. Questa verifica non mi pare senza importanza, perchè mostra ancora una volta che dalle cognizioni che si posseggono intorno al materiale, cioè dalla conoscenza della curva normale e dei cicli di isteresi si può dedurre imme- diatamente l’interpretazione di taluni fenomeni che furono spesso attribuiti a speciali proprietà. In altra occasione darò altri esempi analoghi. Fisica. — Sulla velocità dei raggi catodici (*). Nota di Q. Mayo- RANA, presentata dal Socio BLASERNA. Le differenze che corrono tra la natura dei raggi catodici e quella delle altre radiazioni conosciute, sono ben note. Caratterizzano in ispecial modo i raggi catodici, il peculiare loro modo di emanare dall’ elettrodo negativo, e la loro deviabilità in un campo magnetico. In conseguenza di queste proprietà, molti fisici, specie quelli della scuola inglese con a capo Crookes, appoggiano la teoria materialista dei raggi cato- dici, paragonando questi, a getti di particelle materiali elettrizzate. Contro tale ipotesi si è schierata la scuola tedesca con Goldstein, Hertz, Wiedemann ece., sostenendo che i raggi catodici debbano essere di natura simile a quella della luce ordinaria, cioè vibrazioni eteree. Ricorderò a proposito l’ argomen- tazione di Hertz, il quale equiparava la deviabilità dei raggi catodici nei campi magnetici, alla rotazione del piano di polarizzazione della luce ordinaria, nelle stesse condizioni. Benchè queste due ipotesi sieno già conosciute da quasi un ventennio, pure, sin’ oggi, nessuna delle due è stata definitivamente abbandonata. Ora un dato di fatto che arrecherebbe molta luce sulla interpretazione di questi fenomeni, sarebbe certamente la conoscenza del valore della velo- (') Lavoro eseguito nell’ Istituto Fisico dell’ Università di Roma. Salo — cità dei raggi catodici. Giacchè, se questi dovessero ritenersi costituiti da vibra- zioni eteree, è da aspettarsi che quel valore sia dello stesso ordine di quello della velocità della luce; mentre ammettendo la teoria materialista di Croo- kes, ripugnerebbe alla nostra mente, che particelle pesanti potessero essere dotate di velocità simile a quella di propagazione delle vibrazioni eteree. Devesi a J. J. Thomson (!) il primo tentativo di determinazione di questa velocità; quel fisico osservando la differenza di tempo che intercede tra i due istanti in cui, due tratti diversi di un tubo di scarica situati a diversa distanza del catodo, diventano fluorescenti, sotto l’azione dei raggi catodici, emananti istantaneamente da quello, arriva alla conclusione che quella velocità sia di 190,000 metri a secondo; valore che all’ incirca è ni di quello della velocità della luce. Ma benchè questo valore trovi una coincidenza con altro ottenuto dallo stesso fisico, considerando la curvatura dei raggi catodici nei campi magnetici, esso non offre un grande affidamento. Infatti è noto che i fenomeni di fluorescenza o di fosforescenza sono relativamente lunghi, e può quindi incorrere in errore chi, dalla osservazione di essi, volesse dedurre il valore degli intervalli di tempo esistenti tra le manifestazioni istantanee di agenti che li provocano. Altri tentativi sono stati fatti recentemente da Des Coudres e indi da W iechert (?). Questi fisici servendosi dell’azione del campo magnetico creato dalla stessa scarica che genera i raggi catodici, sono arrivati, con metodi differenti, a cifre poco concordanti tra loro e con quelle di Thomson. Pertanto, volendo io procedere in modo più sicuro alla determinazione della velocità dei raggi catodici, ho abbandonato i metodi sin qui seguiti, ed ho tratto partito da una proprietà ben nota di quei raggi. Voglio dire delle cariche elettrostatiche da questi generati sui corpi posti sul loro cammino. In una Nota precedente (3) ho accennato ad uno studio da me fatto sulla natura di queste cariche; nell'attuale faccio vedere come esse possano venire utilizzate nelle presenti ricerche. Il tubo di scarica da me usato è indicato nella figura 1. pompa (") On the velocity of the cathode-rays. Philos. Magaz., vol. XXXVIII, pag. 358, 1894. (2) Beiblatter, 1897, n. 5, p. 443. (3) Rend. Acc. Lincei 4 luglio 1897. RenpIconTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 9 STIA Il catodo C è posto fra due anodi in forma di anello 4, d. I due anodi sono equidistanti dal catodo; e questo, come si scorge dal disegno, non si trova sulla parte centrale del tubo, ma più vicino al lato di sinistra. Alle due estremità del tubo si trovano due elettrodi 72, #, in forma di dischi, i quali vengono colpiti dai raggi catodici, emananti da €. Per quanto dissi nella mia Nota precedentemente citata, se si vuole che dal disco € emanino dei raggi catodici, tanto a destra che a sinistra, occorre assolutamente adot- tare il ripiego di usare i due anodi a e 2 come è stato indicato. Giacchè essendo il disco € di diametro poco inferiore a quello del tubo, qualora venisse adoperato soltanto uno dei due anodi, la produzione dei raggi catodici ver- rebbe limitata al corrispondente lato del tubo di scarica. Suppongasi ora di unire € col polo negativo di un rocchetto di indu- zione, e 4 e è col positivo; quando la rarefazione del tubo ha raggiunto il dovuto valore, i due dischi 7, x vengono colpiti dai raggi catodici, e grazie alla loro superficie piuttosto grande, si elettrizzano fortemente. Ciò può con statarsi avvicinando un dito ad uno dei fili di platino comunicanti con # 0 con #; si vedrà allora, ad ogni interruzione del rocchetto, una scintilla smilza, lunga talvolta anche un centimetro. Tali scintille sono effettivamente dovute ai raggi catodici, giacchè quando questi vengono deviati con un potente ma- gnete, esse si impiccoliscono e talvolta si annullano. I due dischi m # si trovano a differente distanza dal catodo; e pro- priamente il tratto Cm è più corto di 25 cm. del tratto Cx. Ora è naturale ammettere che, se una scarica veramente istantanea traversa il tubo me- diante gli elettrodi. €, « e d, si abbiano due emissioni istantanee e con- temporanee di raggi catodici alla destra e alla sinistra del catodo; e poichè i due fasci di raggi catodici, per arrivare ai due dischi 72, 7, debbono per- correre cammini di differente lunghezza, le scintille che si traggono da ed 7 con dei conduttori posti in comunicazione col suolo o con delle capa- cità, avverranno in istanti di tempo diversi; e ciò dipendentemente dal fatto che la velocità dei raggi catodici qualunque essa sia, non può essere infinita. La conoscenza dell’ intervallo di tempo compreso fra quei due istanti può quindi condurre alla determinazione della velocità dei raggi catodici. Per studiare questo intervallo di tempo, mi sono servito in principio della disposizione della fig. 2. Una piccola sfera S, posta in comunicazione col suolo, è situata tra due punte di platino P, @, ciascuna delle quali è col- legata con uno dei dischi 72, x, della fig. 1. Quando il tubo descritto è tra- versato dalla scarica di un rocchetto di induzione, appaiono due scintille tra la sfera e le due punte, per ogni oscillazione dell’ interruttore di Foucault. Quelle scintille, guardate direttamente, si presentano come due segmenti rettilinei l'uno sul prolungamento dell'altro; e l'esame di esse con uno specchio girante, potrebbe rivelare se esse avvengano contemporaneamente. Ma l’uso di uno specchio, girante anche con piccola velocità, rivela invece che il fenomeno di — (0 = quelle scintille è molto complesso ed irregolare. Infatti ad ogni interruzione del rocchetto, e quindi ad ogni emissione dei raggi catodici, non corrisponde una sola coppia di scintille, ma una diecina per lo meno, succedentisi ad intervalli di tempo relativamente lunghi : 50 di secondo circa. Inoltre cia- scuna coppia di scintille non è sempre costituita da due tratti rettilinei l’ uno in prolungamento dell'altro, e spesso è facilissimo osservare uno spostamento secondo il senso di rotazione dello specchio, sia di quella di destra che di quella di sinistra. Quest’ ultima circostanza fa dunque supporre che quelle scintille non avvengano immediatamente dopo la formazione delle cariche sopra i due dischi laterali del tubo, ma talvolta esse ritardano, forse in conseguenza della insuf- ficienza delle cariche stesse. Ho allora abbandonato l'uso dello spinterometro descritto, ed ho ricorso ad altro principio. La scarica attraverso un gas rarefatto, specie quando questo presenta la massima conducibilità ('/,0 di millimetro di pressione) può avvenire dentro limiti molto estesi del potenziale del corpo che si sca- rica. Questo fatto mi ha indotto a sostituire allo spinterometro della figura 2, terra JO (DD E i Fie. 2, al naturale. un tubo ad aria rarefatta, di speciale costruzione che indico nella fig. 3. Esso è costituito da due tratti di tubo capillare ce’ saldati oppostamente terra Fic. 3. 1:38 del vero. a forma di croce, su di altro tubo di diametro più grande. I due tratti ca- pillari portano due elettrodi filiformi che vengono posti in comunicazione con i dischi mn della fig. 1, e un terzo elettrodo posto a terra si trova nel IT) ramo a diametro grande. Il tubo è rarefatto ad */,0 di mm. circa. Quando la scarica del rocchetto traversa il tubo della figura 1, i tratti capillari dell'apparecchio ora descritto si illuminano. Deviando nel tubo principale con un magnete, i raggi catodici che colpiscono il disco #2, o il disco x, si oscura in corrispondenza, il tratto di sinistra o il tratto di destra del tubo della fig. 3. Esaminando il fenomeno luminoso che si manifesta in questo tubo, con uno specchio, girante con moderata velocità attorno ad un asse parallelo ai tratti luminosi, si osserva bensì che a ciascuna scarica traversante il tubo principale corrisponde una serie di cariche parziali, ma le due braccia del tubo sì illuminano in guisa che le loro immagini appaiano sempre l'una sul prolungamento dell'altra. Resta così evitato l’ inconveniente accennato nel caso delle due scintille nell’ aria. Ma il tubo descritto presenta il difetto di un potere luminoso assai debole, talchè riesce assai difficile il suo esame già alla distanza di qualche metro con uno specchio girante. Ad evitare quest inconveniente ho dato ad esso la forma della figura 4, dove i tratti capillari ce’ sono paralleli e vicini, e la luce che essi emettono, può venire osservata secondo i loro assi. Con ciò si esamina un feno- meno luminoso più intenso costituito da due cerchietti di diametro eguale a quello dei tubi capillari ce', anzichè da due tratti rettilinei. Ho detto che servendosi, della disposizione accennata, il fenomeno luminoso che si osserva collo specchio girante nei tubi descritti, è sempre multiplo, per ciascuna scarica del rocchetto. Ora sorge il dubbio se questa molteplicità sia dovuta ad una corrispondente molteplicità della scarica originaria che traversa il tubo principale, oppure provenga dallo speciale modo di caricarsi e di scaricarsi dei dischi 7,7. A sciogliere questo dubbio basta esaminare direttamente con lo specchio girante la scarica del rocchetto, facen- dola traversare, oltre che per il tubo principale, anche per un corto spinterome- tro. Si osserva allora che le scintille che scoccano in questo, presentano esatta- mente gli stessi caratteri, osservati nei piccoli tubi sussidiarî descritti. E poichè è chiaro che per l’attuale studio, il fatto di dover esaminare delle scariche multiple, anzichè semplici e ben distinte, implica una maggiore difficoltà di osservazione, così è naturale che io abbia tentato di trovare una dispo- sizione, che fosse priva dell'inconveniente accennato. Lo spazio non mi consente di descrivere tutti i tentativi da me fatti; mi limito quindi a dire, della disposizione che sotto quel riguardo mi ha fornito i migliori risultati. Ho abbandonato l’uso del rocchetto di induzione sostituendovi una macchina di Holtz a 4 dischi. Essa è schematicamente in- dicata in Z (fig. 5), ed è fornita dei soliti condensatori €. terra Fia. 4. 1:83 del vero. PSETT7] E Le armature interne di questi danno delle scintille in S, e la lunghezza di queste scintille può essere variata a volontà. Le esterne sono invece collegate pompa terra Fic. 5. con una resistenza induttiva /, e col tubo principale di scarica descritto 7. La resistenza / ha lo scopo di permettere facilmente, la formazione delle cariche dei condensatori €, e di evitare nello stesso tempo una continua e debole illuminazione del tubo 7. Ad ogni scintilla in S corrisponde un’ unica scarica in 7, e il tubo ausiliario A, collegato con 7 come si è detto, ed esaminato con lo specchio girante G@ e con un cannocchiale, fornisce due unici punti luminosi, che, per qualunque velocità dello specchio, non si scom- pongono in altri. Lo specchio G è costituito da un cubo di 37 mm. di lato, di acciajo, a tutta tempera, portato a pulimento su quattro facce; ed è stato costruito dalla casa Koenig di Parigi. Esso è mosso da un motore elettrico, e può fare sino a 300 giri a minuto secondo. Ma per i risultati che ora ri- porto, è sufficiente che ne faccia solo 150 circa. Si metta in moto la macchina di Holtz, e si regoli lo spinterometro S in guisa che in esso scocchino 4 o 5 scintille al minuto secondo. Ho dovuto convincermi che, con gli apparecchi da me usati e con la disposizione indi- cata, questa è la frequenza più adatta per delle buone misure. Una fre- quenza più grande genererebbe, in conseguenza delle cariche più piccole, un indebolimento nel fenomeno luminoso del tubo A, tale da renderne difficile l'osservazione; mentre una frequenza minore, avrebbe l’ inconveniente di ren- dere meno probabile che l’ immagine riflessa da una delle facce dello specchio G possa essere vista attraverso il cannocchiale X. Operando come si è detto sì osserva, guardando col cannocchiale X, l’immagine dei due punti lu- minosi di 4, ogni 20 o 80 secondi. Se lo specchio fa circa 150 giri a minuto secondo, le immagini dei due punti 7, x del tubo A non si osservano più sulla stessa orizzontale e quella del punto x, è alquanto spostata rispetto all’ altra, secondo il senso di rota- zione dello specchio. Ciò indica evidentemente un ritardo del fenomeno lu- minoso che avviene in x su quello che avviene in m. È difficile apprezzare con grande esattezza il valore di questo spostamento, trattandosi di fenomeni MERO luminosi relativamente deboli, e che sono visibili, solo dopo che l’ osserva- tore si è abituato all’oscurità della sala di esperimento. Anzi a causa della piccola intensità luminosa dei due punti, tutti i tentativi che ho fatto per ottenerne delle immagini fotografiche, sono stati infruttuosi. Pur tuttavia è con. buona approssimazione che posso ritenere che nelle condizioni indicate quello spostamento è di due volte il diametro del punto luminoso cioè di 2,5 mm. Interessa notare che riferendo il valore di quello spostamento, alla grandezza delle immagini dei due cerchietti luminosi, è inutile tener conto dell’ingrandimento del canocchiale 4, e della distanza di questo dallo specchio girante. Per calcolare il valore della velocità dei raggi catodici in base a questo dato, ricorro alla fisura 6. Indichi A la posizione dei due punti lumi- di ea ai _—- € E \ K di Fic. 6. nosi, che possono ritenersi coincidenti; e sia G la posizione dello specchio per la quale il punto A dall'occhio dell’osservatore situato in X viene visto in A,; in tale posizione si ammetta che avvenga il fenomeno luminoso in w. Un istante dopo avviene quello in 7. Intanto lo specchio si è spostato del- l'angolo @, e l’immagine di A sarà in A». Il segmento # rappresenta dunque quei 2,5 mm. che precedentemente si sono apprezzati. Sia n il numero dei giri a minuto secondo dello specchio, d la distanza del tubo A dallo specchio, ed Z la differenza di cammino dei due fasci di raggi catodici nel tubo della fig. 1; è facile riconoscere che la velocità v dei raggi catodici, è data da 4rxdnL v= ——— E Sostituendo in questa i valori delle varie lunghezze espresse in metri e quello di x, sarà 4.,7.3,40.140. 0,25 È metri ioni 0,0025 PASSO secondi Questo valore è notevolmente più grande di quello trovato dai J. J. Thomson; ma è facile. conciliare questa divergenza, tenendo conto delle se- guenti considerazioni. Osservando mediante lo specchio girante l’ immagine dei due punti lu- minosi del tubo A (fig. 5), accade spesso di vedere che esse sono fornite di code luminose lunghe perfino 6 o 7 millimetri, quando lo specchio fa 140 LO 50 giri a 1”. Queste code sono però, molto meno vivaci, in intensità luminosa, che non i punti stessi. Ora è anche agevole osservare che la coda luminosa del punto x (disco più lontano dal catodo) è molto più lunga di quella di 72; e questa alle volte manca affatto. Se dunque si considera il caso di una coda luminosa di 7 mm., sì vede che il valore di s può anche essere scelto di 10 mm. E allora la velocità v risulta eguale a 150,000 m., valore che è aucora più piccolo di quello trovato da Thomson. È dunque da ritenersi che i raggi catodici che si ottengono nei tubi ordinarî di scarica, sieno costituiti da raggi di ve- locità diversa; e che questa può variare tra i limiti abbastanza estesi di 100 e 600 km. a minuto secondo. Un'ultima osservazione può essere fatta. Si faccia agire un magnete non troppo forte sopra il fascio di raggi ca- todici che investe il disco 7 (fig. 5); in guisa però che il tratto capillare del tubo A collegato con x non sì spenga del tutto, e sia ancora abbastanza visibile. Si può allora osservare che l’immagine del punto luminoso del tubo A, data dallo specchio in moto, non è più accompagnata dalla coda lumi- nosa anzidetta. Questo fatto conferma una supposizione molto nota, che cioè i raggi catodici più deviabiti sieno anche ì meno veloci. Fisica. — Sulla doppia rifrazione elettrica del legno ('). Nota del prof. DomenIco MAZZOTTO, presentata dal Corrispondente NACCARI. 1.° Preliminari. Le belle ricerche del Righi (?) (8) (4) e del Mack (5) sulla doppia rifrazione che subiscono le onde elettriche propagantesi nell'aria quando attraversano, trasversalmente alle fibre, degli strati di legno, special- mente d’abete e la facilità con cui si può, usando un mio metodo, in altre occa- sione descritto ed applicato (5) (7), determinare l’ indice di rifrazione elettrica dei solidi, mi invogliarono a determinare con esso metodo, per varie qualità di legno, i due indici principali di rifrazione corrispondenti a vibrazioni perpen- dicolari o parallele alle fibre. E tanto più mi sembrava opportuna questa ricerca, inquantochè i risultati del Righi e del Mack, se si accordano nel constatare il fatto della doppia rifrazione del legno, constatato in seguito anche dallo Spielmann (8) e dal Lampa (°), non si accordano perfettamente sui valori (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Sassari. (*) A. Righi, R. Accademia delle scienze di Bologna, serie 52, tom. IV, pag. 487 (1894). (8) A. Righi, Wied. Ann. vol LV, pag. 389 (1895). (4) A. Righi, L’ottica delle oscillazioni elettriche. Bologna, Zanichelli 1897, $ 50. (») K. Mack, Wied. Ann. vol. LIV, pag. 342 (1895), e vol. LVI, pag. 719 (1895). (6) D. Mazzotto, Nuovo Cimento, serie 4", vol. II, pag. 296 (1895). (7) D. Mazzotto, Rend. Acc. Lincei, vol. V; II sem., serie 5°, pag. 801 (1896). (8) J. Spielmann, Wied. Ann. Beiblatter, vol. XX, pag. 1005 (1896). (9) A. Lampa, Sitzungsbericht der K. Acc. in Wien. vol. CV, 11, pag. 596 (1896). Mg da attribuirsi agli indici principali. Infatti il Mack, che operò con onde di 66 cm. nell'aria trovò per l'abete i valori: n= 1,75 con vibrazioni perpendicolari alle fibre n°= 2,15 con vibrazioni parallele alle fibre con una differenza quindi di 0,40 fra i due indici, mentre il Righi, operando con onde di 10,7 cm. nell'aria, trovò che una lamina d’abete di 13,7 cm. si comportava come una lamina quarto-d’-onda, ed è facile dedurre che, secondo questa determinazione, la differenza fra i due indici di rifrazione sarebbe ne — n= 0,196 cioè metà di quella trovata dal Mack. Nelle mie esperienze credetti utile di aggiungere alla determinazione dei due indici nei casi indicati, anche quella relativa al caso di propagazione in senso parallelo alle fibre. 2.° Apparato. La figura annessa presenta uno schizzo dell’ apparato di Lecher da me usato in queste e nelle precedenti esperienze per la cui descrizione rimando alle mie Note sopra citate ed all'altra mia Nota (1) nella quale sono descritti gli effetti dell’applicazione delle appendici EF, E, F\. L'apparato, senza appendici, quando il 1° ponte era a 50 cm. sui fili secondarî, dava la semionda primaria di 680 cm. e la secondaria di 1I0 cm. In queste esperienze feci sempre uso della vibrazione secondaria. I blocchi di legno da studiare aveano la forma di parallelepipedo GHLM .(GH= 80; GL= 12; LM = 12 cm. all'incirca) cogli spigoli più lungi disposti parallelamente e simmetricamente rispetto ai fili secondarî, ed erano costituiti da tre parallelepipedi di egual lunghezza ed altezza, posti l'uno accanto all'altro e tenuti serrati da morse di legno (non rappresentate nella figura). Il parallelepipedo centrale avea la larghezza di 6 cm. uguale cioè alla distanza dei fili secondarî, e questi erano incastrati in una piccola (1) D. Mazzotto, N. Cimento, serie 4°, vol. III, pag. 74 (1896). scanalatura praticata lungo le facce laterali di esso. I due ponti rettilinei p, e ps mettevano in comunicazione i fili secondarî all’ entrata ed all’ uscita del blocco di legno. Col mezzo della funicella continua //, si facea scorrere il 3° ponte p, lungo il tratto di fili secondarî uscenti dal legno, e fra esso ed il ponte p» era collocato l'esploratore @ costituito da due corti fili metallici fissati sopra una tavoletta i quali, con una estremità, rivolta ad uncinetto, si aggrappano al fili secondarî e ripiegandosi poi orizzontalmente ad angolo retto terminano in due punte distanti circa un centimetro l'una dall’ altra. Se, nell’ oscurità, si appressano a queste punte le estremità delle dita, si scorgono, se il sistema vibrante è prossimo alla risonanza, delle scintilline che presentano un mas- simo quando la risonanza è perfetta. Questo esploratore è molto comodo per l’ istantaneità delle sue indica- zioni, ma sostituendo ad esso un apparato di misura (bolometro, elettrometro o forse meglio una pila termoelettrica) si potrebbe giudicare con maggior sicurezza l'intensità della risonanza. 3.° Metodo di osservazione. Una determinazione consisteva nel misu- rare la lunghezza, 4/2, della semionda nell'aria che corrisponde alla semi- onda 4,/2 nel legno, limitata fra i ponti p, e p2. Per far ciò, lasciati fissi i ponti p, pe, si modifica la lunghezza delle appendici FF,, ed occor- rendo la posizione del blocco di legno, coi relativi ponti, lungo i fili secon- darî, finchè facendo scorrere il ponte p3 compaiano delle scintille all’ esploratore e si cerca la lunghezza da dare alle appendici perchè queste scintille raggiun- gano il massimo di intensità; si notano allora le posizioni dei tre ponti e si allontana ancora il ponte p3 da p:, finchè in una nuova posizione py si ha di nuovo un massimo scintillamento all’ esploratore. Si ha allora la risonanza fra le quattro semionde comprese fra A e pi, Pr e Pr, P2 073 e fra pz e p4; dalle posizioni dei ponti, si determinano, fatte le debite correzioni, i valori 7/2 e 4/2 e da questi il valore dell'indice ri rifrazione x = 4/4,. 4.° Correzioni. Della lunghezza 4/2 della semionda nell'aria si hanno così due valori che servono a reciproco controllo e dei quali si fa poi la media; il primo che chiamerò vero, è dato, senza correzione, dalla lun- ghezza p3 p4, l'altro, che chiamerò corretto, dalla lunghezza p: ps alla quale si deve aggiungere una quantità costante d che rappresenta l’accorciamento della semionda vera prodotto dalla presenza dei ponti e dell’ esploratore. Nelle esperienze attuali d era di 13 cm., il qual valore si ottenne come media di un gran numero di determinazioni, fatte in svariate circostanze, della diffe- renza Py Pa — Pz Po. Il valore 4,/2 della semionda nel legno si ha aggiungendo alla lun- ghezza ps pi del blocco di legno una quantità costante d, dovuta alla pre- senza dei ponti terminali. RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem, 10 ira Per determinare d, presi un parallelepipedo di legno (Pitch-Pine), com- posto come quelli da usarsi nelle esperienze ma di lunghezza doppia del- l’ordinario (/, = 159,6 cm.) perchè contenesse non una ma due semionde, e trovai, nel modo solito, che la semionda nell'aria corrispondente alle due contenute nel legno era di 145,2 cm. Segai poscia il blocco per mezzo, ed operando su di una della metà (1 = 79,7 cm.) riconobbi che la semionda nel- l’aria corrispondente all’ unica semionda ora contenuta nel legno era di 150,3 cm. Fatta la proporzione si trova che se i due blocchi avessero avuto rispettivamente le lunghezze /, = 162,3, ed /t = 78,3, le semionde corrispondenti nel- l’aria avrebbero avuto il valore comune 147,7 cm., media delle due prece- denti. Se non vi fosse correzione pei ponti, > dovrebbe riuscir doppio di l’,, invece non lo è, e la differenza /", — 2 la == 5,7 dà la correzione cercata dì. Questo metodo, all'infuori dei ripieghi resi necessarî dal trattarsi di un corpo solido in seno al quale non si può far scorrere il ponte, corrisponde perfettamente a quello sopra seguito per determinare la correzione d per l'onda nell'aria. Infatti la lunghezza /» può paragonarsi alla ps ps nell’ espe- rienza nell'aria, la /, alla pr p3 e quindi d, a d = Py Ps — Pr Pa = Pa Pa — 2Pa Ps 5.° Dettagli delle osservazioni. Il seguente specchietto riporta, come esempio, i risultati di una determinazione completa col relativo calcolo. Nelle colonne sono registrate le posizioni dei ponti pz e py per le quali le scintille all’ esploratore erano massime, usando appendici delle lunghezze indicate a capo delle colonne stesse. I numeri fra parentesi indicano le intensità rela- tive di queste scintille, espresse con valori che la pratica dell’ apparecchio permette di apprezzare, ad occhio, con sufficiente sicurezza. Rispetto al tempo, si eseguirono prima le osservazioni registrate nella prima riga orizzontale da sinistra a destra (cioè con appendici crescenti), poi quelle della riga successiva in senso inverso (cioè con appendici decrescenti), poi quelle della terza nello stesso senso di quelle della prima e così via. Dallo specchietto si vede che, per ogni lunghezza delle appendici, la posizione di ciascun nodo veniva data dalla media di cinque osservazioni, e l'intensità della risonanza dalla media di dieci. Rappresentando poì grafica- mente la variazione delle intensità medie delle risonanze al variare della lunghezza delle appendici, era facile determinare, con una interpolazione gra- fica, la lunghezza delle appendici, anche intermedia a quelle usate, che avrebbe dato il massimo assoluto di intensità e quindi la risonanza perfetta. Nel- l'esempio citato questa corrispondeva ad appendici di 53 cm. Con appendici più lunghe o più corte di quelle indicate nello specchietto le scintille erano impercettibili; ripetutamente mi assicurai che allungandole od accorciandole ulteriormente non si aveano altri massimi. i — Olivo trasversale : lungl del 1 79,702 em o SSR È V/2= 85,400 Posizione dei ponti fissi DODO correzione di... .° 5,79 Pa a 139,700 OSSERVAZIONI CALCOLO Appendici 45° | 59m | 55% | 60°m | 65% | Appendici... . 45° 50 em 55 em 60cemg5om 3 282 (6)|294 (7)/297 (7)|305 (6) Posizioni ( Pt | 690] 60,0) 60,0 60,0) 60,0 OSIzIONI 2 |286 (7)|290 (8)299 (8)(308 (7) DE: \ pe |139,7|139,7|139,7/139,7139,7 2a del / 3 |286 (6)/293 (7)[301 (8)/308 (6) w | 23 |2844|291,8298,81307,8) — SI PONTI 5 |285(6)[290 (8)|299 (8)|309 (7) i | Pa |441,8/457,41470,4|488,2/509,4 N ‘2 |283 (6)|292 (7)(298 (8)(309 (6 De... a ; È CRC 0908 Ps— Pr . - + . + \144,7|152,11159,1168,1 Medie | 284,4| 291,8| 298,8| 307,8 correzione d . .| 13,0) 13,0] 13,0) 13,0 3 447 (6)\457 (7)\470 (8)\490 (6)|510 (5)| 22 corretto. . . (157,7 165,1/172,1/181,1 2° |437 (6)454 (8)\472 (8)491 (7)|508 (5)| 2/2 vero (pa—p) [157,4 165,6171,61180,4 ci 314 ( Si |f40 (6)(401 (7)472 (2)/482 (6) 514 (A) 2/2 medio: . . . |157,5|165,3|171,8|180,7 5 |442 (6){456 (7)469 (7)|490 (6)/509 (4) @ 443 (6)|459 (7)|469 (7 |488 (7)506 (4) Lungh.® delle appendici 53,00 A i 1 ATOMI (LE SDO) VEE 85,4 Medie | 441,8 | 457,4| 470,4| 488,2| 509,4|| Risonanza N COSO 169,2 Medie (6,1) (7,3) (7,6) (6,4) = À È di Is devoto o 1,981 Per meglio eliminare l’ influenza degli errori di osservazione, le deter- minazioni di 7 si fecero in massima tre volte in condizioni differenti, cioè cambiando di volta in volta la posizione del blocco di legno lungo i fili secon- dari, così che fosse differente in ciascun caso la lunghezza delle appendici occorrenti per la risonanza. 6.° Determinazioni preliminari. Prima di applicare il metodo alle misure definitive, volli studiare esperimentalmente quale fosse l’ estensione da darsi alla massa del legno attorno ai fili secondarî perchè i risultati fossero praticamente equivalenti a quelli che si avrebbero con una massa di legno estesa all’ infinito. Determinai perciò il valore di # usando lamine di abete di spessore (nel senso verticale) man mano crescente. La seguente tabella dà i risul- PROPAGAZIONE PERPENDIC. ALLE FIBRE Spessore Semionde Indici del corrette | airifra| POSIzIone legno nel legno nell'aria | ,jone delle fibre 2 cm. 85,9 | 180,4| 1,519| orizz.li id. 86,4 | 125,6 | 1,454 [verticali 4 cm. 86,1 | 146,0| 1,700| orizz. id. 86,6 | 143,9 | 1,660 |verticali 6 cm. 86,5 | 1585| 1,882 | orizz. id 86,5 | 148,9 | 1,721 [verticali 18 cm. 86,5 | 156,1| 1,805 | orizz. 27 cm. 86,5 | 151,0] 1,741 |verticali MEO tati ottenuti; da essa risulta che l'indice di rifrazione riesce più basso del vero usando lamine dello spessore di soli due centimetri, ma che già collo spessore di 4 cm. si ottengono valori poco differenti da quelli che si otten- gono con lamine di 18 e 27 centimetri di spessore. Quindi lo spessore di circa 12 cm. da me usato ordinariamente può ritenersi sufficiente. Ho constatato poi che l’avvolgere le lamine di legno con stagnola aumentava di un poco l'indice di rifrazione colle lamine più sottili, ma lasciava inalterato quello delle altre. 7.° Risultati. Nella Tabella A sono raccolti i risultati ottenuti nelle singole determinazioni di . Le tre posizioni in cui erano disposte le fibre dei legni rispetto ai fili secondarî sono indicate così: 1.* Longitudinale: quando le fibre erano parallele ai fili e quindi la propagazione seguiva parallelamente alle fibre e la vibrazione perpendicolar- mente ad esse: 2.* Trasversale a fibre ortazontali: quando le fibre erano perpendi- colari ai fili ma parallele al loro piano, e quindi la propagazione perpendi- colare alle fibre e la vibrazione parallela ad esse. 3.2 Trasversale a fibre verticali: quando le fibre erano perpendicolari al piano dei fili, e quindi tanto la propagazione che la vibrazione erano per- pendicolari alle fibre. I parallelepipedi di ciascuna qualità di legno erano tratti da uno stesso tavolone o travicello, ed erano di un sol pezzo quelli longitudinali e di più pezzi (da 3 a 5) insieme incollati, quelli trasversali.. In molti casi (Abete II, Pero, Pitch-Pine, Elce), i parallelepipedi erano stati composti colla stessa massa di legno, segata ed incollata in modi differenti in modo da dare alle fibre la direzione voluta, e ciò per togliere il dubbio che le differenze fos- sero dovute alle diversità che può offrire il legno in parti differenti di uno stesso ceppo. Ma per togliere ancor meglio questo dubbio, eseguii anche delle deter- minazioni dei due indici principali usando, tanto fra i fili che lateralmente ad essi dei parallelepipedi di legno trasversale, uguali, a sezione quadrata (lato 6 cm.). Dopochè avea con questi fatta la determinazione colle fibre p. es. orizzontali, bastava girarli di 90° per avere il tutto disposto per la determinazione con fibre verticali. Nella tabella A queste determinazioni sono contraddistinte coll’ indicazione (sezione quadrata). PROPAGAZIONE PROPAGAZIONE TRASVERSALE (perpendicolare alle fibre) LONGITUDINALE (parallela alle fibre) FIBRE VERTICALI FIBRE ORIZZONTALI < DI Lunghezza delle | > = Lunghezza delle È 3 Lunghezza delle | » A Sa semionde ES CRIS semionde | £ 3 Gig semionde | £ <' Q ri pa SS Di pa = ha [ai ela a Cc À 3 corrette 3) E È S corrette 2 3 È 5 corrette i ©) DA E) OA 9 1 3 SE E pe nola S È S| | nel | nel- | $ È SE È nel | nel- È è N DAR ‘ar N DI Usi N da ‘n 2 119 iP a; E a legno | l’aria | 5 2 si legno | l’aria | S & È & 140,0 | 40,5 | 89,5 |188,0/1,542| 40,1 | 43,0 | 86,8 [143,7|1,656 AbeteI |49,7|35,0| id. |138,811,550|50,4|38,0| id. |142,5|1,641 59,7|28,5| id. |136,8|1,529| 60,1|33,0| id. |142,6|1,642 40,0 | 39,5 | 85,9 |136,7|1,592]| 40,0 | 45,0 | 87,1 |146,8|1,685|| 40,0 | 48,5 | 87,1 |151,9|1,744 Abete II |50,0|34,5| id. |138,8/1,616|50,0|40,0| id. |146,7|1,684| 50,3 |45,0| id. |151,6|1,740 60,0 | 26,5| id. |135,6 1,580| 60,0 | 35,0 | id. |145,2/1,667|60,0|38,0| id. |148,7/1,707 Abete III (sezione quadrata) 50,0 | 36,0 | 85,7 |137,4|1,604|| 50,0 | 38,0 | 85,7 |142,01,657 Abete IV (sezione quadrata) 50,0 | 49,0 | 86,5 |148,9/1,721||50,0 | 53,5 | 86,5 |158,5/1,832 Pino (sezione quadrata) 50,0 | 33,0 | 85,7 |136,1|1,590| 50,0 | 38,0 | 85,7 |140,1|1,635 39,0 | 44,5 | 89,5 (142,3 1,591] 39,6 | 47,0 | 90,1 |148,0|1,642, Pioppo |48,6|39,0| id. |141,2/1,578|49,6|41,5 | id. |144,7|1,606 59,0:| 34,0| id. |141,8|1,586|59,9/37,0| id. |146,5|1,625 40,0 | 54,0 | 89,8 |159,9|1,780| 39,9 | 53,5 | 88,3 [160,1[1,813|50,0 | 47,0 | 88,0 |158,4|1,800 Pero 90,0 | 50,5 | id. |160,0|1,781||50,0|48,0| id. |156,8/1,776 60,0 | 46,0 | id. |160,2|1,783||60,0 | 45,5 | id. |158,2/1,792 40,0 | 48,0 | 85,4 |150,0|1,756| 50,0 | 50,5 | 87,4 |162,1|1,855| 50,0 | 52,5 | 87,6 |163,7|1,869 Pitch-Pine| 50,0 | 44,0| id. |150,4|1,761|59,6 | 46.5 | id. |159,8]1,829 60,0 |40,0| id. |150,4/1,761|70,0|41,5 | id. |160,1|1,833 40,0 | 59,0 | 89,7 |167,7/1,870 40,0 | 62,5 | 90,3 |175,3|1,941 Noce 50,0 | 54,5 | id. |166,6|1,857 50,0|58.5| id. |173,6|1,922 60,0 | 53,0 | id. |170,1/1,897 60,0 | 56,5 | id. |176,1|1,950 60,0 | 61,5 | 89,7 |184,5|2,057| 60,0 | 53,0 | 85,4 |169,2]1,981 Olivo 70,0 | 58,0| id. |182,6|2,036| 70,0 | 50,5 | id. |172,0|2,014| * i 80,0 | 55,0| id. |185,4/2,068| 80,0 | 45,5 | id. |169,4|1,984 60,0 | 69,5 | 88,7 |198,1|2,235|| 60,0 | 64,0 | 83,7 |188,1|2,249| 80,0 | 60,0 | 83,8 [187,4/2,236 Elce 70,0 69,0| id. |199,9/2,255|70,0|61,5| id. |187,6|2,242 80,0 | 65,0 | id. |198,8/2,242| 80,0 |59,5| id. |189,6|2,266 Nella tabella B sono raccolte, caso per caso, le medie degli indici di rifrazione che si deducono dalla tabella A, insieme ai valori dei pesi specifici dei rispettivi legni, determinati facendo il rapporto fra il peso dei parallele- pipedi di ciascun legno ed il loro volume, calcolato geometricamente. — 0 INDICI DI RIFRAZIONE o RA Propagazione È < 4 S 3 A 2A A p trasversale 7) E longi- S & |tudinal fib 5 "Sa Lo È verticali] +ali I 1,540 | 1,646| — 0,458 \ II | 1,596| 1,679| 1,730| 0,463 Abete | Te ES 604 657) Moz42 Vv — 1,721) 1,832| 0,471 Media | 1,568 | 1,663 | 1,739| 0,458 Pino Be l590) es5. oli Pioppo 1,585 | 1,624| — | 0,567 Pitch-Pine | 1,759| 1,889| 1,869| 0,636 Pero 1,781| 1,794| 1,800| 0,659 Noce 1,875| — |1,988| 0,725 1 a)1,004 Olivo ra Le 150,958 Elce 9,944 | 2,252 2,236 | 1,238 8.° Osservazioni. Discutendo la tabella A si può riconoscere il grado di esattezza da attribuirsi alle singole determinazioni; la discussione dei risul- tati si farà meglio sopra la tabella B. Da questa intanto risulta, che l indice di rifrazione varia considerevol- mente da legno a legno, aumentando all'aumentare del rispettivo peso spe- cifico. Nello stesso legno poi l'indice di rifrazione aumenta gradatamente dal caso della I a quello della II ed a quello della III colonna. Ora, se consideriamo la direzione delle linee di forza elettrica fra i fili dell'apparato di Lecher, riconosciamo che, nel caso della I colonna, esse sono in tutto il loro percorso perpendicolari alle fibre, e perciò i valori in essa registrati dànno l'indice di rifrazione n, (perpendicolarmente alle fibre); invece nel caso della colonna II, le linee di forza che si allontanano alquanto dal piano dei fili, hanno in una parte del loro percorso anche una componente parallela alle fibre e perciò i valori della I e II colonna non coincidono, e la loro differenza indica di quanto l'indice di rifrazione viene nel secondo caso aumentato in causa dell’ imperfetto parallelismo delle linee di forza. Aggiun- gendo tale differenza ai valori della III colonna, si avranno i valori di 7» (parallelamente alle fibre) corretti dell’ errore prodotto dalla stessa causa, giacchè in tal caso l’effetto sarà sensibilmente uguale e di segno opposto. DIES —. Le mie esperienze non mi permettono di fare questa correzione che per alcuni dei legni da me studiati, e per questi risultano i seguenti valori di nn ed n3: Abete Pitch-Pine Pero Elce ni 1,568 1,759 1,781 2,244 No 1,994 1,949 1,813 2,244 Per gli altri legni valgono per x, i valori della I colonna della tabella B e per 7, (approssimativamente) quelli della III. La differenza 2, — n» che pel legno d'abete risulta dalle esperienze è 0,266, valore che si approssima più al valore 0,19 che si deduce dalle espe- rienze del Righi, che al valore 0,40 trovato dal Mack (V. $ 1°). 9.° Conclusioni. Dalle presenti esperienze si possono trarre le con- clusioni seguenti: 1.2 L'indice di rifrazione elettrica varia notevolmente da una specie all'altra di legno e cresce colla densità entro i limiti 1,540 (abete: densità = 0,458) e 2,244 (elce: densità = 1,238). 2.* Nello stesso legno la vibrazione elettrica perpendicolare alle fibre si propaga più velocemente della vibrazione parallela alle fibre, quindi nel primo caso l'indice di rifrazione è minore che nel secondo. 3*. La differenza dei due indici è minore nei legni più densi e com- patti che in quelli più leggeri. Vedremo in una prossima Nota l’ influenza che ha sui detti indici di rifrazione il grado di umidità del legno, e quanto i risultati stessi sieno in accordo colla relazione di Maxwell n° = #. Fisiologia. — Sulle leggi delle scosse muscolari. Precedenti stortet (4). Nota del dott. UseRTO DuTTO, presentata dal Socio LUCIANI. Tra i fisici che contemporaneamente a Volta studiarono gli effetti fisio- logici della corrente elettrica, Pfaff osservò che la direzione della corrente aveva un'influenza sulla scossa del muscolo, nel senso che non era indiffe- rente per avere la scossa di chiusura o di apertura, se la corrente che per- corre il nervo fosse ascendente o discendente, cioè se percorresse il nervo in senso centripeto o in senso centrifugo. Non ricorderò i particolari di questa scoperta di Pfaff (che se ne serviva per conoscere la direzione della corrente nelle pile) sia perchè ciò non si (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma. PRERO la addice all’indole di questo lavoro, sia perchè la storia e la critica della me- desima sono esposte nella classica opera di Du Bois Reymond ('). Sul principio di questo secolo, Ritter formulando una legge delle scosse, tenne per il primo conto dell'influenza che i diversi gradi di eccitabilità del nervo esercitano sulle scosse del muscolo; ed a tale uopo ammetteva sei gradi di eccitabilità. Nel 1829 Nobili (*) confermando nelle parti essenziali le leggi di Ritter, ammise come questi, che oltre la direzione della corrente anche le variazioni di eccitabilità alle quali va soggetto successivamente il nervo del preparato, rappresentassero una parte importante nella produzione dei fenomeni con- trattili. Il fisico italiano ammetteva quattro gradi di eccitabilità; e la diver- genza fra la tavola di Ritter e quella di Nobili consiste in ciò che questi attribuiva al più alto grado di eccitabilità del nervo, quegli effetti che se- condo Ritter erano dovuti ad un grado medio o terzo grado della sua tabella. Era riserbato a due celebri fisiologi, Heidenhain e Pfliger, lo stabilire che la legge delle scosse non era soltanto una funzione della direzione della cor- rente e della eccitabilità del. nervo, ma anche una funzione della intensità della corrente. Heidenhain (8) nei suoi esperimenti adoperava delle correnti molto de- boli, e distingueva quattro gradi di intensità di corrente, per ognuno dei quali, con diversa vicenda, a seconda della direzione della corrente, si aveva o non si aveva la contrazione del muscolo. Pfliuger (‘) col sussidio di una tecnica irreprensibile, adoperando il reo- cordo per variare la corrente, gli elettrodi impolarizzabili, distinse tre gradi di corrente, corrente debole, media e forte. Per ognuna di queste correnti la direzione della medesima influisce, sulla scossa muscolare, nel modo come risulta da questa tabella : Intensità Corrente ascendente | Corrente discendente delagconionto Chiusura | Apertura | Chiusura | Apertura Debole Scossa Riposo Scossa Riposo Media ”» Scossa ” Scossa Forte Riposo ” ” Riposo (!) Du Bois Reymond, Untersuchungen ber thierische Elektricitàt. pag. 307 e seg. (®) L. Nobili, Analyse expérimentale et théorique des phénomènes physiologigues produits par l’électricité sur la grenouille; avec un appendice sur la nature du tetanos et de la paralysie, et sur les moyens de traiter ces deux maladies par l’électricité. Annales de chimie et de physique, 1830, pag. 91. (3) Heidenhain, Archiv f. physiol. Heilkunde, 1857, pag. 442. (4) Pfliger, Untersuchungen ber die Physiologie des Electrotonus, pag. 453. MERO Ma il merito principale di Pfliiger, che con ragione si può ritenere come il creatore di questa parte della Elettrofisiologia, non sta tanto nell'avere gettato basi abbastanza solide alla sperimentazione, stabilendo tre gradi di intensità, ognuno dei quali ha però limiti assai variabili; ma piuttosto ‘ nell'avere saputo interpretare giustamente altri fenomeni di Elettrofisiologia già noti, e fondere questi con altri fenomeni da lui contemporaneamente sco- perti, in un tutto dal quale la spiegazione delle leggi delle contrazioni ri- sultò chiara e soddisfacente. Tra questi fenomeni di Elettrofisiologia che hanno uno stretto nesso colle leggi delle scosse, devono ricordarsi le così dette « modificazioni » ed i fenomeni elettrotonici. Anche di questi due fenomeni accennerò brevissima- mente e per sommi capi quel tanto che è necessario, per far vedere come Pfliger se ne sia valso per spiegare le leggi delle scosse. Prima ancora che Du Bois Reymond introducesse nella scienza la parola Elettrotono, per indicare quel cambiamento di stato che si effettua nel nervo per il fatto che esso è percorso da una corrente continua, Ritter vide che la direzione della corrente influiva sull’ eccitabilità del nervo. Nobili (!) fu il primo ad osservare che quando un preparato di rana, specialmente di rana robusta e grossa, cadeva spontaneamente in tetano, per una causa a lui ignota, il tetano persisteva sotto l’azione di una certa cor- rente, e spariva sotto l’azione della corrente contraria. Era dunque scoperta per opera di Nobili, un'azione che direi statica della corrente continua, in dipendenza dalla sua direzione, diversa da quelle già note a quei tempi, cioè quelle azioni che avvengono nell'atto della chiu- sura e della apertura; e diversa eziandio negli effetti poichè tranquillizzava un preparato che prima era in tetano. Disgraziatamente questa scoperta rimase, per così dire, allo stato embrio- nale, e Nobili, non proseguendo nelle indagini, non seppe dedurne alcuna legge, ma fece soltanto rimarcare che l’azione continua delle correnti elettriche in un determinato senso poteva essere inibitrice del tetano. Gradatamente questa scoperta, per opera di Matteucci, Valentin ed Eckhard fu suffragata di nuovi fatti, ed infine completata per opera di Pfliger. Le classiche esperienze di Pfliger hanno portato a formulare la legge: L'eccitabilità del nervo è aumentata nel territorio del catode, cioè ad ambo 1 lati dell’elettrode negativo, e questo stato di aumentata eccitabilità si dice catelettrotono ; l eccitabilità del nervo è diminuita nel territorio dell’anode, cioè ad ambo i lati del polo positivo, e questo stato di diminuita eccitabilità si dice anelettrotono. E se vuolsi applicare questa legge al caso speciale dei nervi motori, cioè ad un preparato di muscolo e di nervo, si ha, che uno stimolo qualunque () L. Nobili, loc. cit. RENDICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 11 nio 4 portato nel tratto miopolare del nervo, darà l’effetto contrattile massimo se la corrente è discendente, l’effetto minimo se la corrente è ascendente. Restava così per opera di Pfliger conquistata definitivamente alla scienza e bene specificata l’azione statica della corrente continua già intravveduta da Nobili. Ma la corrente polarizzante non determina solamente variazioni di ecci- tabilità durante il suo passaggio nel nervo, ma esercita ancora delle influenze successivamente al passaggio, cioè dopo l'apertura del circuito. Era già noto ai primi Elettrofisiologi che la corrente elettrica lasciava consecutivamente al suo passaggio attraverso un nervo, delle alterazioni che spariscono gradatamente, distinte da essi con il nome di modificazioni ; ed il tetano di Ritter e le alternative di Volta di cui è inutile qui l’ intratte- nerci, sono appunto esempi di queste azioni postume della corrente pola- rizzante. i Pfliiger determinando lo stato di eccitabilità dei singoli punti del nervo dopo l'apertura del circuito, desunto da ciò che ne consegue agli stimoli, dettò le leggi di queste modificazioni. Chiamando la modificazione positiva o negativa, a seconda che rimane, a circuito aperto, l’ eccitabilità nervosa aumentata o diminuita, si ha che l’anelettrotono lascia dietro di sè una modificazione positiva che sparisce poco a poco; all'incontro il catelettrotono lascia una modificazione negativa, di breve durata, alla quale segue una modificazione positiva che dura un po’ più. Queste due serie di fenomeni, l'aumento e la diminuzione di eccitabi- lità, rispettivamente nei territorî del catode e dell’anode, a circuito chiuso, e le modificazioni, dopo aperto il circuito, servirono a Pfliger per spiegare la legge delle scosse nel modo seguente : La corrente elettrica non genera un eccitamento uguale in tutto il tratto percorso, ma determina delle variazioni polari che si manifestano in parte Per quanto riguarda le variazioni polari capaci di generare eccitamento, questo si ha collo stabilirsi dello stato di aumentata eccitabilità; e siccome lo stabilirsi del catelettrotono genera questo stato di aumentata eccitabilità, e lo sparire dell’ anelettrotono genera pure questo stato di aumentata ecci- tabilità (modificazione positiva), così si ha che la corrente eccita il nervo essenzialmente ad un elettrode, cioè colla chiusura al catode, coll’ apertura all’ anode. Per quanto riguarda le variazioni polari capaci di produrre dei fenomeni antagonistici all’ eccitamento, cioè inibitori, si ammette che ci sia una dimi- nuzione di eccitabilità e del potere conduttore del nervo, colla chiusura all’anode, dopo l'apertura al catode. E siccome la produzione di queste azioni inibitrici non procede di pari passo col prodursi delle azioni eccitanti, perchè = "rr per queste già deboli correnti sono sufficienti, mentre le prime si manife- stano solo a partire da correnti di una certa intensità, così diremo, senz’ altro, per queste ultime correnti, che, durante la chiusura l’anode non conduce, subito dopo l'apertura il catode non conduce. Con queste premesse la spiegazione delle leggi di Pfliiger diventa ovvia. Le correnti medie danno sempre scosse perchè l’'inibizione all’ anode che avviene nella chiusura ascendente (CA) non è tale con queste correnti, da ostacolare il progredire dell' eccitamento, sino al muscolo, che proviene dal catode. E viceversa, l’inibizione al catode che avviene nella apertura discen- dente (A D) non è tale da ostacolare il progredire dell’ eccitamento sino al muscolo, che in questo caso proviene dall’anode. Le correnti forti non danno scossa alla CA ed alla AD per il predo- minio delle variazioni polari capaci di inibire l’eccitamento, più sopra ricordato. Infine per le correnti deboli, per le quali non esiste l’azione inibitrice dell’anode alla chiusura, e del catode all’apertura, per ispiegare perchè non si abbia contrazione alla AD e alla apertura ascendente (A A), Pfliger am- mette che l’eccitamento di chiusura sia più forte che quello di apertura, onde si hanno soltanto le scosse nei due momenti di chiusura, dell’ ascen- dente e della discendente. Molto spesso è accaduto ed accade tuttora di osservare delle deviazioni a queste leggi delle scosse, formulate da Pfliiger, sia che si esperimenti nel preparato staccato di muscolo e di nervo della rana, sia che si esperimenti sui nervi non staccati dall’ organismo intatto. Queste eccezioni sono dovute a condizioni intrinseche del nervo, cioè a variazioni di eccitabilità di esso, quando si tratta del preparato staccato di muscolo e di nervo, ed a cause fisiche che discuterò in seguito, quando si tratta dei nervi integri, in situ. L'eccitabilità dei nervi di fresco recisi non è uguale in tutti i punti del nervo stesso. La superficie di sezione del nervo, di recente tagliato, esercita un’ in- fluenza nel senso che nelle sue vicinanze l'’ eccitabilità è aumentata. Onde si spiega se in certi casi, con corrente debole discendente, essendo sufficiente- mente lungo il tratto intrapolare, si ha oltre le contrazioni di CD e di CA, anche quella AD, perchè in questo caso l’anode è situato vicino alla se- zione o estremità centrale del nervo. In altri casi, quando è iniziata la morte'del nervo, si osservano con cor- renti deboli gli effetti delle correnti forti sul nervo fresco, perchè se la metà superiore del tratto intrapolare è già diventato ineccitabile, giusta la legge di Ritter-Valli, allora la debole e la media ascendente non danno più scosse di chiusura perchè il catode giace in un punto ineccitabile. Finalmente quando si vollero verificare queste leggi sugli organismi vi- venti, ed in ispecial modo sull'uomo, la qual cosa poteva avere un interesse Poi = pratico, gli Elettroterapisti osservarono dei fatti molto discordi tanto a pro- posito delle leggi delle scosse, quanto a proposito delle leggi di Pfliger sull’ elettrotono; perchè mentre alcuni esperimentatori confermarono per queste ultime, i risultati di Pfliger, altri trovarono invece una diminuzione di ecci- tabilità al catode, ed un aumento di eccitabilità all’ anode. Siccome le leggi delle scosse sono fondate su quelle dell’ elettrotono, così era necessario conoscere la causa delle contradizioni osservate a proposito di queste ultime, per ispiegare le deviazioni alle leggi delle scosse. Fu Helmholtz (*) che per spiegare perchè Erb (?) avesse trovato nel nervo del braccio l’'eccitabilità aumentata nell’anelettrotono e diminuita nel cate- lettrotono suppose, basandosi sulle leggi della diffusione elettrica e sulla conducibilità relativa dei tessuti, che il nervo dovesse essere sottomesso, non lungi dall’ elettrode, all’azione di un polo di segno opposto, cioè che vicino al catode reale si trovasse sul nervo un anode virtuale, e vicino all’ anode reale un catode virtuale. Infatti Erb facendo tesoro delle parole di Helmbholtz, esplorò l’ eccita- bilità del nervo non nella zona peripolare, ma sotto l' elettrode stesso, e trovò in questo l’'elettrotono dello stesso segno; e De Watteville (3), con un altro metodo, cioè applicando un solo elettrode sul nervo e l’ altro in un punto lon- tano del corpo, e mandando per il primo elettrode le 2 correnti, la polariz- zatrice e la eccitatrice, confermò anche le leggi elettrotoniche nell’ uomo vivente. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La Società Reale di Londra; la Società di fisica e di Storia naturale di Ginevra; la Società di scienze naturali di Emden; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass. ; l’ Osservatorio di Praga. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 5 luglio al I° agosto 1897. Annotationes zoologicae japonenses. Vol. I, 1-2, Tokyo, 1897. 8°. Argtowski H. — La généalogie des sciences. Bruxelles, 1897. 8°. Id. — Materialy do Bibliografii prac naukowych Polskich. Bruxella, 1897. 4°. (1) Helmholtz, Mindliche Mittheilung, Naturh. Medic. Verein. Heidelberg, 1867. (2) Erb, Deutsch. Arch. f. klin. Med. III, pag. 288. (3) A. De Vatteville. Introduction à l’étude de l’electrotonus des nerfs moteurs et sensitifs chez l'homme. Londres, 1883. ea Ar Bech M. — Etude expérimentale sur l' électro-magnétisme. Paris, 1897. 8°. Berthold G. — Ueber den angeblichen Ausspruch Galilei's « Eppur si muove ». So LO PS Boccardo E. 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PS0B: I IRILIt DR î pe i TRS) pani PORRI } bia RE pro | ORIO COTTI b 6 Y pi IOLP PATO MR ta ORI i Sea È i; È Ù NG RELA RUFO I FOWE MO TAIAZINI REA. ì i i italian Mati dn, sti Lu Null: Po Loano A Va QRBBRET TEN pa AAA 04] RAUL, pa Ì MI $ à EN di 3 i ARA 140 TP) ARSA ASSO NES lino ITALO] i DL ) x i Ù Y î (SA " ENTE GEO, DIRO MO { \ TI IE i dI 2 LA! IOBUVATTA 5 i pad: I} NI li gi ; DS I° RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI1 pervenute all’Accademia prima del 15 agosto 1897. nor Fisica. — Sw coefficiente di temperatura delle soluzioni di sali in mescolanze di alcool ed etere ('). Nota del dott. prof. CARLO CATTANEO, presentata dal Socio BLASERNA. Lungo il corso delle mie prime ricerche sulla conducibilità elettrica dei sali in varî solventi (*) mi venne dato di segnalare un fatto interessante e nuovo per le soluzioni saline, il quale a quell'epoca era stato verificato sol- tanto dal Bartoli (3) nella diefilammina e nelle soluzioni degli alcoli C,H2,+50 nei liquidi poco conduttori od isolanti, dal Pfeiffer (‘) nell’ alcool e nell’ etere purchè purissimi e dal Magnanini (°) in certe soluzioni di acido borico e mannite; il fatto allora da me segnalato si riassume in ciò che la conduci- bilità elettrica delle soluzioni saline eteree diminuisce col crescere della temperatura, ossia presenta i caratteri della conducibilità metallica contraria- mente alla legge generale. In questi ultimi tempi, avendo avuto occasione per altri studî sperimentali di rifare alcune determinazioni di quelle condu- cibilità, pensai se non fosse possibile di preparare delle soluzioni di sali in mescolanze di alcool ed etere tali che la loro conducibilità fosse affatto in- dipendente dalla temperatura, almeno entro i li riti ordinarî di temperatura (') Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica del I. Istituto tecnico di Torino. (2) Atti R. Acc. Scienze Torino, aprile, 1895. (3) Nuovo Cimento, Pisa, 1° e 2° sem., 1886. (4) Wiedemann, Annalen, XXVI, 1885. (5) Gazz. Chim. Ital., 1891, fasc. 8°. RENnDICONTI. 1896, Vor. V, 2° Sem. 12 e o) da 0° a 25° entro cui si sogliono eseguire misure di resistenza. Un reostato costituito da una soluzione soddisfacente a questa condizione, o di piccolissimo coefficiente di temperatura, parmi che possa presentare qualche utilità in parecchie ricerche in cui si fa uso di correnti alternative ed in cui si ha bisogno di campioni di grandissima resistenza. Mi accinsi perciò in questi ultimi tre mesi alla ricerca, ed ora, come appendice al mio primo lavoro sopra citato, presento brevemente i risultati a cui sono giunto. Le misure sono state eseguite, al solito, col metodo di Kohlrausch me- diante l’uso del ponte di Wheatstone con correnti alternate e telefono. Le resistenze campioni erano di filo di argentana avvolto bifilarmente a spire ben isolate su tubi di vetro paraffinato; detti tubi erano aperti alle due estremità e quindi nel loro cavo potevasi introdurre un termometro; il tubo di resistenza entro cui si studiavano le soluzioni era espressamente preparato ; consisteva in una provetta cilindrica a piede ed in esso introducevo il sistema di due lamine parallele di platino platinato a ciascuna delle quali era su- periormente ribadito un grosso filo di platino: le lamine rimanevano costan- temente ad una distanza fissa, ed il sistema era rigido essendo i due grossi fili di platino fissati saldamente attraverso il tappo di ebanite che chiudeva a tenuta il tubo di resistenza; la capacità di resistenza del tubo fu ripetu- tamente determinata con una soluzione titolata di cloruro sodico di nota resistenza specifica e fu trovata in media di 0,00000605. Il sale adoperato nella ricerca fu il cloruro ferrico, molto solubile nell’ etere e nell’ alcool; tutte le sostanze adoperate erano state espressamente preparate chimicamente pure ed anidre dalla ditta Merke. Le conducibilità elettriche e furono calcolate colla nota formula C Cp ed i coefficienti « di temperatura coll’ altra 7 ie — CE—d) ove C rappresenta la capacità di resistenza del tubo, R la resistenza in Ohm della soluzione a /° oppure a 7°. Cominciai innanzi tutto dall’eseguire parecchie serie di esperienze nel modo seguente: preparavo espressamente una soluzione eterea con un deter- minato peso di cloruro ferrico e ne studiavo il coefficiente di temperatura, poi aggiungevo successivamente alcool in quantità conosciuta, cercando però di eseguire travasi e pesate in condizioni tali che fosse minima la quantità di solvente evaporata, quindi ad ogni volta ripeteva le misure di resistenza per determinare il valore di «. Tolgo dal giornale delle esperienze alcuni esempi di queste serie di determinazioni; qui sotto, la lettera A vuol signi- sio] = ficare il peso di alcool su 100 di etere, S il peso di sale su 100 di solvente (mescolanza di alcool ed etere), @ il coefficiente di temperatura. Serie A Ss 4 —— | —__[_—_________ ——______________ | — 1.0 10°.Co= 0,238 | 0 0,180 | — 0,0231 11.3| 0,164 | — 0,0182 22.0| 0,150 | — 0,0133 31.9| 0,136 | — 0,0096 40.1| 0,131 | — 0,0060 46.8] 0,125 | — 0,0042 60.0| 0.115 | — 0,0011 109.C,= 6,290 | 73.6] 0,106 0. 2a 0 | 0,180 | — 0,0180 13.2] 0,159 | — 0,0151 27.7| 0,141 | — 0,0098 36.0] 0,132 | — 0,0072 444| 0,123 | — 0,0044 55.0] 0,116 | — 0,0023 61.5] 0,109 | — 0,0018 74.2] 0,101 |-+-0,0009 4.2109. Co = 1,050 109. Co = 85,4 Serie 1,696| — 0,0210 1,558 | — 0,0192 11 | 1,533| — 0,0160 22.3| 1,392| — 0,0131 32.0] 1,289| — 0,0090 41,5| 1,203| — 0,0045 55,3] 1,094| — 0,0015 70,9] 0,995 | + 0,0013 83,8] 0,925 | 4- 0,0038 97,7) 0,860! 4 0,0043 0,183 0,162 0,135 0,123 0,115 0,108 0,101 1,599 1,523 1,415 1,281 1,212 1,091 0,888 0,826 — 0,0211 — 0,0164 — 0,0096 — 0,0061 — 0,0081 — 0,0028 + 0,0002 | — 0,0250 — 0,0221 — 0,0200 — 0,0130 — 0,0098 — 0,0021 + 0,0040 + 0,0046 Tracciate le curve in base a questi dati numerici (l' ascisse rappresentano il peso dell'alcool su 100 di etere, le ordinate il coefficiente di temperatura) si riscontra che per quantità di alcool non troppo rilevanti aggiunte all’ etere, la linea ha quasi un andamento rettilineo e scende abbastanza rapidamente verso l’asse delle ascisse, ma poi la discesa si fa molto lenta, come se la curva tendesse alla fine a diventar parallela alle ascisse; per le prime tre DE (99 — serie di esperienze in cui il per cento di cloruro ferrico è piccolo si ricava approssimatamente che la quantità di alcool la quale aggiunta a 100 di etere dà per la soluzione una conducibilità elettrica quasi indipendente dalla tem- peratura è compresa fra 77 e 72; per le altre due serie in cui il per cento di cloruro ferrico è più forte la detta quantità, si trova all’ incirca compresa fra 59 e 63. Dunque intanto si ricava che è possibile avere una soluzione di coefficiente zero e che il punto a cui ciò si verifica non dipende soltanto dalle proporzioni relative dell'alcool e dell’ etere, ma bensì anche dalla con- centrazione per quanto riguarda il sale disciolto. Le differenze che si riscon- trano nei risultati finali fra la prima, seconda e terza serie, e così pure quelle che si riscontrano fra la quarta e la quinta, non dipendono da errori di 0s- servazione, perchè il metodo adottato è assai sensibile ed esatto; non possono dipendere che dal trovarsi, da una serie all'altra, il solvente in diverse con- dizioni per quanto riguarda le traccie di vapor acqueo assorbito durante i travasi e le necessarie operazioni per le pesate; e per quanto specialmente riguarda l’evaporazione del solvente che in quelle operazioni si può con certe cure attenuare di molto ma non di certo impedire. Ho fatto parecchie prove in proposito ed ho riscontrato che queste cause a cui ora ho accennato hanno una influenza notevole sui risultati; cosicchè i valori segnati nella tabella precedente debbono ritenersi soltanto come valori relativi, i quali se non altro danno una idea dell'andamento del fenomeno. Esempi che attestino la influenza perturbatrice dell’ evaporazione del solvente, si hanno rifacendo delle serie di determinazioni nelle quali si in- cominci con un per cento di alcool già elevato ed in cui il numero delle determinazioni in ogni serie sia piccolo e quindi piccolo il numero dei travasi e delle pesate. A S a A Ss a 71.0 0,172 — 0,0022 67.7 0,293 — 0,0015 74.8 0,168 — 0,0013 74.8 0,284 0,0 77.3 0,164 + 0,0006 54.8 1,082 — 00037 71.5 0,097 — 0,0021 58.7 1,004 — 0,0023 90.8 0,089 + 0,0007 66.4 0,953 — 0,0002 78.5 0,889 + 0,0013 55.3 0,086 — 0,0032 72.1 0,077 — 0,0009 55.6 2,239 — 0,0015 96.5 0,067 + 0,0022 75.5 1,700 + 0,0015 Se si confrontano questi risultati con quelli registrati nella prima tabella, emerge che il punto di coefficiente quasi nullo di temperatura invece di cor- No — rispondere, per piccole concentrazioni di cloruro ferrico, a 71-72 d'alcool su 100 di etere corrisponde invece all'incirca ad 80, e per maggiori concentra- zioni all'incirca a 67 invece che a 59-63. Questo risultato, apparentemente in contraddizione coi primi, trova facilmente la sua naturale spiegazione quando sì pensi che in una lunga serie di determinazioni le ultime soluzioni che si studiano sono, per effetto della inevitabile e prevalente evaporazione dell’ etere, più ricche di alcool di quello che realmente sia segnato nella colonna A, e quindi tendono a dare apparentemente più presto il punto (che potrebbesi chiamare punto neutro) in cui avviene l’ inversione del segno del coefficente di temperatura. i La perturbazione poi provocata dall’assorbimento del vapor acqueo è provata anche dal fatto che basta cambiare i campioni di alcool ed etere per trovare profondamente alterati tutti i risultati; le serie sopracitate sono state eseguite sempre cogli stessi campioni ridistillati ed anidri, ma provai a pren- derne altri chimicamente puri i quali però presentavano un leggero aumento nella densità in confronto dei primi, ed ecco alcuni esempî dei risultati ottenuti dai quali si vede che, quanto meno sono anidri i campioni adoperati come solventi, tanto meno di alcool su cento di etere necessita per arrivare al punto neutro. Campioni anidri Altri campioni A S a A S @ 61.5 0,109 — 0,0018 64.1 0,162 + 0,0113 64.7 0,108 — 0,0028 64.6 0,194 + 0,0023 73.6 0,106 0. 68.9 0,240 + 0,0103 76.2 0,101 + 0,0002 78.8 0,183 + 0,0109 Dissi più sopra che il punto neutro, oltre che dipendere dalle propor- zioni relative dell’ alcool e dell'etere, dipende anche dalla concentrazione per quanto riguarda il sale disciolto. Di ciò oltre che dalla tabella prima si ha una prova da altri risultati che qui sotto riporto; costituita una determinata soluzione di piccola concentrazione, dopo di averne determinato il coefficiente di temperatura, aumentavo la concentrazione stessa aggiungendo un peso cono- sciuto di sale e lasciando tutto il resto inalterato; questa nuova soluzione dava tosto un coefficiente di temperatura ben diverso dal primo e la varia- zione era sempre nel senso più sopra indicato, come vedesi dagli esempî seguenti : Mto4 A S @ A 66.5 0,968 + 0,0005 66.5 1,019 0. 0 66.5 2,727 + 0,0031 66.5 4,500 + 0,0019 77.3 0,164 + 0,0006 74.8 0,284 — 0,0007 77.8 2,460 + 0,0048 74.8 4,500 + 0,0042 76.2 0,101 + 0,0002 69.5 0,240 — 0,0023 76.2 2,500 + 0,0035 69.5 2,300 + 0,0009 In base a tutto quanto ho testè esposto io stimo che se uno sperimen- tatore in una data ricerca avesse bisogno di ricorrere a campioni di grandis- sima resistenza e di coefficiente di temperatura pressochè nullo, potrebbe ben riuscire nell’ intento e con piccola perdita di tempo nel modo seguente: « pre- parerà una mescolanza di alcool ed etere più che sia possibile anidri con circa il 75 di alcool su 100 di etere, aggiungerà piccole tracce di cloruro ferrico (le soluzioni poco concentrate si conservano di resistenza invariabile molto più a lungo) ed a seconda del risultato ottenuto pel coefficiente di temperatura in una determinazione preliminare, potrà per tentativi ed in breve regolarsi coll’ aggiunta di goccie di alcool o di etere, sino ad ottenere il punto neutro; il numero delle goccie maggiore o minore dipenderà specialmente dalla qualità dell'alcool e dell'etere che lo sperimentatore avrà a disposizione ; detta soluzione chiusa a buona tenuta nel tubo di resistenza, si manterrà invariata per parecchio tempo ». Io ho esperimentato, nel corso delle mie esperienze, parecchie di queste soluzioni così preparate, e verificai delle differenze insensibili (quando la con- centrazione era piccola) nel periodo di quindici giorni. Oltre che al cloruro ferrico, si potrebbe ricorrere al cloruro di oro, al cloruro di platino, al cloruro di mercurio; è presumibile però che il punto neutro debba variare anche al variare del sale, e specialmente al variare del suo stato per quanto riguarda la maggiore o minor secchezza del sale stesso. Da qualche esperienza eseguita con cloruro aurico emergerebbe, ad esempio, che con questo cloruro si raggiunge il punto neutro con minore quantità di alcool che adoperando il cloruro ferrico. — “CA Fisica. — Za relazione di Maxwell fra le costanti elettriche del legno d’abete. Nota del prof. Domenico MazzoTtTO ('), presen- tata dal Corrispondente NACCARI. 1°. In una recente Nota (?) mi occupai della determinazione dell'indice di rifrazione elettrico di varî legni, con metodo basato sulla misura diretta delle lunghezze d'onda trasmesse lungo fili paralleli, dalla quale risultò, conforme- mente a quanto avevano trovato altri autori con onde trasmesse nell'aria, che esso è maggiore per vibrazioni parallele alle fibre che per vibrazioni ad esse perpendicolari. La nota relazione di Maxwell, 2= //K, che stabilisce 1’ eguaglianza fra l'indice di rifrazione di una sostanza e la radice quadrata della sua co- stante dielettrica, fa prevedere che nel legno, in correlazione cogli indici di rifrazione principali, si abbiano anche due differenti costanti dielettriche; mi proposi perciò di verificare detta previsione determinando le due costanti die- lettriche principali nel legno d’abete, come quello che mi aveva dato una maggiore differenza negli indici di rifrazione. 2°. Per determinare le costanti dielettriche colle oscillazioni rapide, im- piegai lo stesso apparato di Lecher che mi avea servito alla determinazione degli indici di rifrazione. Nella figura corrispondente (vedi Nota 1*) non si ha che da togliere il blocco di legno GM e le appendici EF, E, F, ed applicare alle estremità libere dei fili secondarî (lunghi 6 metri) le armature di un condensatore circolare, le quali nel caso attuale aveano un diametro di 8 cm. e poteano spostarsi parallelamente a sè stesse in grazia di un movi- mento micrometrico agente sulle colonnette di vetro che le sostenevano. I legni erano tagliati in lamine quadrate di 25 cm. di lato e di tre differenti grossezze (0,955; 1,85 e 2,60 cm.), per ciascuna delle quali si aveano due lastre: l’ una, di un sol pezzo, colle fibre perpendicolari alla gros- sezza della lamina; l’altra di quattro pezzi incollati assieme, colle fibre pa- rallele a detta grossezza. Le lamine di legno venivano collocate ad una ad una fra le jarmature del condensatore in modo che queste cadessero sulla loro parte centrale; le armature non erano rigidamente collegate colle rispettive colonne di soste- gno, ma, lasciando qualche passo libero alle vite di congiunzione, si dava ai piatti una certa mobilità per cui potessero meglio adattarsi sulla superficie (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica della R. Università di Sassari. (®) D. Mazzotto, Rend. R. Accad. Lincei, serie 5%, vol. VI, pag. 73. Questa Nota si indicherà in seguito con Nota 1°. Meigg — delle lamine interposte quando venivano serrate contro di esse dall’ avvici- namento delle colonne di sostegno. La distanza delle armature era data dalla grossezza delle lamine inter- poste, accuratamente misurata in precedenza. Nelle prime esperienze collocai l’ esploratore della risonanza, che era lo stesso descritto nella Nota 1%, $ 2°, a piccola distanza dal condensatore ter- minale, e, facendo scorrere il ponte mobile lungo i fili secondarî, determinai le posizioni dei punti nodali delle vibrazioni per le quali avea luogo la ri- sonanza di tutto il sistema. Fui stupito al riconoscere che quei nodi conservavano le stesse posizioni, sia che fra le armature del condensatore si trovasse la lamina a fibre per- pendicolari o quella a fibre parallele alle armature, e più ancora quando vidi persistere quella immobilità anche dopo aver sostituito quelle lamine con altre di differente grossezza; non tardai allora a riconoscere che i nodi osservati erano sensibilmente gli stessi che si aveano mettendo a diretto contatto le armature stesse. Era a temere che, dopo questo risultato, il quale potea far credere che le lamine di legno mettessero in corto circuito le armature del condensatore, fosse impossibile determinare con questo metodo la costante dielettrica del legno; al contrario, avendo applicato l’ esploratore direttamente sulle arma- ture del condensatore, vidi comparire dei sistemi nodali, che mutavano di posto colla sostituzione di un legno all'altro, indicanti che fra le lamine del con- densatore si trovava una sostanza isolante di costante dielettrica relativamente bassa. Le scintille all'esploratore erano in questo caso più deboli di quanto lo fossero quando fra le armature si trovava una lastra di vetro, e più deboli si avevano quando le fibre del legno erano perpendicolari al piano delle arma- ture e ciò in causa della maggior quantità di energia trasmessa in questo caso per conduttività; ad ogni modo esse erano sufficienti all’ esecuzione delle misure. Nelle esperienze definitive l’ esploratore si applicava quindi direttamente alle armature del condensatore. Ho ricordato questi fatti perchè mi sembrano un bell'esempio della coesistenza delle correnti di conduzione e di polarizzazione. 3°. Le esperienze si eseguivano facendo scorrere il ponte mobile, lungo i fili paralleli a partire dal condensatore terminale, e determinando la posi- zione di esso quando l'esploratore dava scintille di massima intensità, cioè, quando si trovava nei nodi dei sistemi in risonanza. Per determinare quali di questi nodi fossero fra loro corrzspondenti, cioè appartenenti ad uno stesso sistema nodale, si collocava un ponte fisso su uno dei nodi già determinati, edi massimi di intensità all’esploratore si aveano in tal caso solo quando il ponte mobile passava sopra i nodi corrispondenti a quello munito del ponte fisso. Nel caso delle mie esperienze potea distinguere in generale, tre sistemi nodali; l’uno avea lungo i fili secondarî un unico nodo, la cui distanza dal IO condensatore indicherò con d,; un secondo avea due nodi, l'uno ad una di- stanza d, < d, del condensatore terminale e l’altro a piccola distanza dallo zero della scala; il terzo che avea tre nodi, l'uno ad una distanza d3 ; 0,030 16 0,030 9 0,060 | 10 0,060 34 | 0,060 18 | 0,100 18 0,100 61 | 0,100 31 | 0400 76 0,400 | 284 | 0,400 134 | 0,700 134 0,700 ! 531 | 0700 | 252 | 1,000 192 1,000 | 781 | 1,000 361 | 1,800 | 257 1,500 | 1014 | 1800 | 464 | 1,600 | 318 1,600 | 1240 | 1,600 571 | 3,04 671 1,995 | 1680 i 1,995 785 | 4,76 1061 3,360 | 2863 ! 3360 | 1334 | 6,61 1480 4,760 | 3983 | 4,760 | 1876 | 9,68 2184 632 | 5215 | 790 | 3147 [1391 3048 7,90 | 5785 |1089 | 4302 9,30 | 6028 |14,57 5516 Coi dati delle due tabelle I e II si sono costruite separatamente due serie di curve colle ascisse # e le ordinate ®; le ordinate ®, danno la linea normale del corpo. Da questi dati si dedussero le ascisse che nelle diverse curve corrispondono ad una medesima ordinata. Le differenze tra queste ascisse e la prima di esse (ZA = co ) rappresen- tano le forze smagnetizzanti. Queste sono esprimibili mediante il prodotto NI di un fattore smagnetizzante N per l'intensità I della magnetizzazione. I numeri ® si possono ritenere con grande approssimazione proporzionali a quest'ultima. Onde dividendo per ® le dette differenze, si otterranno numeri proporzionali ad N. Li indicheremo con x. I loro valori sono raccolti nelle seguenti tabelle : TABELLA III. Fasct. == 600 0,0001383 | 0,00047 | 0,00128 | 0,00277 | 0,00517 44 800 14 129 281 521 1000 14 43 129 281 520 1200 16 43 129 289 520 1400 16 46 129 283 519 1600 16 46 129 283 921 1800 IZ 48 130 284 519 2000 15 5) 130 283 520 iii GRRSI RM i RE vela Medie . . | 0,00015 | 0.00047 | 0,00129 | 0,00282 | 0,00520 TaseLLA IV. — 133 — Cilindri. 400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000 4200 Medie . A=83,0|4=500 | 4=16,7| 2=10,0| 2=6,7 Na No 0,000075 | 0,000175 185 190 190 190 190 190 190 175 180 170 0,000075 | 0,000184 Ng Na 0,00120 | 0,00245 120 130 120 115 115 115 115 115 115 120 255 245 245 245 245 250 250 250 250 245 0,00118 | 0,00247 Ns 0,00470 435 450 450 445 440 450 0,00443 Come si vede la concordanza dei rapporti x per ciascuna lunghezza è molto soddisfacente. Riduciamo i valori medi delle tabelle III e IV in misura assoluta c. g. s. Le intensità espresse in ampère si riducono in unità c. g. s. di forza ma- gnetizzante applicata col fattore 19,16 (!). Per ottenere l’induzione magne- tica in misura c. g. s. si deve moltiplicare la deviazione per 6,351 nel caso dei fasci e per 3,344 in quello dei cilindri. Dividendo poi per 477 si ha, con grande approssimazione, l'intensità I. Con queste riduzioni otteniamo: Fasci À N 68,2 0,0057 40,8 0,0178 22,7 0,0489 13,6 0,1067 9,1 0,1981 À 83,0 90,0 16,7 10,0 6.7 Cilindri N 0,0056 0,0132 0,0350 0,1771 0,3190 Nella figura ho preso per ascisse i valori di 4 relativi sia ai fasci che al cilindri, per ordinate i corrispondenti valori di N. punti segnati con pic- cole croci si riferiscono ai fasci, quelli segnati con circoletti ai cilindri; ri- sulta, con un’ evidenza anche maggiore di quella che si potesse sperare, che tutti quei punti stanno sulla medesima linea, cioè che non vi è, sotto questo punto di vista, alcuna differenza tra fasci e cilindri massicci. I valori se- (1) V. la mia citata Memoria, N. C., 1896. — 1341 — gnati con grossi punti sono quelli che il Dubois (!) dedusse dalle esperienze di Ewing; essi non si allontanano molto dalla mia linea e ne seguono l’iden- tico andamento. Le differenze probabilmente dipendono dalla insufficiente pre- cisione nella riduzione in misura assoluta sia nelle mie esperienze che in quelle di Ewing, ma non ne viene menomamente modificata la nostra con- clusione. Questa conclusione non è in disaccordo con quella dell’ altro studio com- parativo da me fatto tra fasci e cilindri e citato in principio di questa Nota, giacchè il fattore smagnetizzante è indipendente dalla qualità del materiale e vi può essere una differenza di permeabilità pur essendo uguali i fattori smagnetizzanti. Fisica. — Sulla conduttività elettrica del legno d’abete €). Nota del prof. D. MAzzorto, presentata dal Socio A. NACCARI. 1° Introduzione. Dalle ricerche da me ultimamente pubblicate (8) sugli indici di rifrazione e le costanti dielettriche principali del legno d'abete, risultò concordemente che le dette costanti hanno un valore più elevato quando la forza elettrica vibra parallelamente alle fibre che non quando vibra per- pendicolarmente ad esse, e risultò inoltre che i valori di dette costanti, de- terminati su campioni di legno a quello stato di secchezza che dirò naturale, (1) V. Dubois, Magnetische Kreise, 1894. (2?) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Fisica della R. Università di Sassari. (3) D. Mazzotto, Rend. Acc. Lincei, serie 5°, vol. VI, pag. 73 e pag. 95. n e = — — 135 — quello cioè che assumono dopo lunga esposizione all'aria negli ambienti ordinarî, subiscono una rapida e graduale diminuzione quando i campioni stessi vengono sottoposti ad essiccazione artificiale in ambienti ad aria calda a temperatura man mano più elevata. i Ora è da osservare che i casi nei quali le dette costanti presentano valori più elevati, nello stesso legno, sono appunto quelli nei quali la con- duttività elettrica del legno è maggiore; infatti dalle esperienze del Villari (!) risulta che i legni, parallelamente alle fibre, presentano una conduttività elettrica considerevolmente maggiore che non perpendicolarmente ad esse; inoltre è ovvio, e risulta dalle esperienze stesse del Villari, che detta con- duttività aumenta pure coll’aumentare del grado di umidità dei legni. D'altra parte la teoria dimostra che, tanto gli indici di rifrazione quanto le costanti di elettriche dei corpi imperfettamente isolanti, presentano, quando vengono misurate coi metodi da noi seguiti, dei valori apparenti che superano tanto più i reali quanto più elevata è la conduttività specifica, e che la stessa relazione di Maxwell n=]|K che collega queste costanti, deve modificarsi quando si debba tener conto della conduttività. Mi sono quindi domandato se la conduttività dei legni da me usati non fosse tale da poter in tutto od in parte giustificare, colle sue variazioni, le differenze fra i valori di n e di y/ K che risultarono dagli esperimenti, 0, in altre parole, mi domandai se eravamo innanzi a differenze reali di dette costanti od a differenze apparenti causate dai differenti gradi di conduttività. Fui da ciò condotto a determinare teoricamente quale era il grado di conduttività al di sopra del quale la sua influenza sarebbe stata sensibile sui miei risultati entro i limiti di precisione delle mie esperienze, e poi a determinare esperimentalmente la conduttività elettrica dei legni da me usati per vedere se quel grado fosse o no raggiunto. 2° Effetto della conduttività. Esaminiamo anzitutto le relazioni teo- riche fra le quantità in questione. La relazione di Maxwell modificata pel caso di corpi imperfettamente isolanti, la riscontrai per la prima volta in una Memoria del Cohn (*) ed è la seguente : K= n° — (0à;c)? nella quale K rappresenta la costante dielettrica, n il rapporto fra le lun- ghezze d'onde 4 nell'aria e 4, nel dielettrico; o la conduttività del corpo in misura elettromagnetica e c la velocità della luce. Il Drude (3) dimostra per la stessa relazione la formula Te y 7974 RE 1 1 8 0) n yey/itL (1) E. Villari, N. Cimento, serie 18, vol. XXV, 1867. (2) E. Cohn, Wied. Ann., vol. XLV, pag. 375 (1892) (3) Drude P., Abhandlung. der K. Sachs. Gesellsch., vol. XXIII, pag. 111 (1896). — 136 — ; 9 0% : mai = ho quale formula si identifica facilmente con quella del K Cohn. Il Drude poi dimostra in altro luogo (!) che fra la costante dielettrica K di un corpo imperfettamente isolante, e la costante dielettrica apparente K, dedotta col metodo di Lecher, esiste la relazione: (2) K.=K(1+4S?). Da questa formula intanto si vede che la diminuzione di K, e di 7 in seguito all’essiccazione potrebbe spiegarsi colla corrispondente diminuzione della conduttività essendo o ed S fra loro proporzionali, ed alla stessa causa potrebbe attribuirsi il minor valore che presentano x e K nel senso perpen- dicolare alle fibre; inoltre essendo per le (1) e (2) o ca 14 1-+ 48° e siccome 14-V/14- 48° > 2, sarà a (1 “xi Da queste formule risulta che se si confronta, come abbiamo fatto noi, VE, con n sì deve trovare, per corpi dotati di conduttività sufficientemente elevata YK, > x, e la differenza Y/K, — n aumenterà colla conduttività. Dalle (1) e (2) m = cc4 si ha rispettivamente / 2/K 2 i Krk (14428) da cui facilmente K= n' sE mÈ i Kb K, = LIS — 16m° uguagliando e risolvendo rispetto ad m° si ha (3) me Si (VK:(82° + K)—2x—K) Questa formula non è priva di interesse, permettendo essa di calcolare AE UO : È È la conduttività o — 7 di una sostanza imperfettamente isolante, noti essendo c il suo indice di rifrazione n e la sua costante dielettrica apparente K.. (1) P. Drude, Bericht. der K. Stich. Gesellschaft. Seduta 7 dicembre 1896, pag. 26. — 137 — Col mezzo delle formule (1) (2) (3) si calcola rispettivamente che la conduttività assoluta o in unità C. G.S. dovrebbe avere: almeno il valore 9 X 10-13 per produrre una variazione dell'1°/ sul valore di 7; almeno il valore 0,210 X 10-18 per produrre una variazione dell’ 1°/, sul valore di K ; ed almeno il valore 0,055 X 107!* per produrre una variazione di 0,01 sulla differenza Y/K — x. Questi sono i limiti della conduttività raggiunti i quali essa produr- rebbe un'influenza sensibile sui risultati delle mie esperienze, potendosi ap- punto attribuire alle medesime un grado di precisione di circa 1 °/.. 8° Misura della conduttività. Si tratta ora di sapere se la condut- tività dei legni da me usati raggiunge o no i detti limiti. Trattandosi di conoscere la conduttività assoluta, non potei approfittare delle determinazioni del Villari, sopra citate, perchè dirette alla ricerca della conduttività relativa. I soli autori che, a quanto io sappia, si sono occupati della conduttività specifica assoluta dei legni, sono il Miller (!) ed il Peirce (?). Il primo, con un metodo non ben precisato, ma che presumibilmente era un metodo galvanometrico di sostituzione coll’ uso di forze elettromotrici assai elevate, determinò incidentalmente la conduttività del legno di noce secco, trovando, con due differenti campioni di legno, gd = I69AX 10700 ION Il secondo, usando un metodo che dal sunto dei Beiblatter pare fondato sulla misura della differenza di potenziale, avrebbe trovato pel legno di ci- liegio secco o = 16 X 10-°° ed in generale una conduttività dal 20 al 50 °/, maggiore nel senso delle fibre che perpendicolarmente ad esse. Questi dati riferendosi a legni secchi e di qualità diverse da quelle da me usate, non possono applicarsi al nostro caso; perciò mi accinsi alla misura diretta di o. Dirò subito che da queste determinazioni ebbi risultato negativo, nel senso che le conduttività trovate sono di gran lunga inferiori ai limiti pei quali sarebbe sensibile la loro influenza sui valori di x, di K e di {/ Kn, e tralascierei di renderne conto se la scarsezza degli studî fatti su questo argomento non rendesse di qualche utilità una breve relazione in proposito. Il metodo da me seguito si basa sulla misura delle differenze di potenziale alle estremità di una resistenza nota ed a quelle di una lamina di legno, con elettrodi di stagnola, inserite in uno stesso circuito. (1) E. Miller, Elektrotech. Zeitsch., vol. XIII, pag. 72 (1892). (2) B. O. Peirce, Wied. Beiblitter, vol. XIX, pag. 510. Estratto dai Proc. of the Americ. Acad., (1894). — 138 — L' elettrometro a quadranti era il modello modificato da Guglielmo (!) nel quale i quadranti metallici sono costituiti da lamine di stagnola divise in quattro settori isolati ed incollate superiormente ed inferiormente su di una lastra di vetro da specchi; l'apparato era munito di due aghi, l'uno prospi- ciente le stagnole superiori, l’altro le inferiori. L'apparato funzionava bene, e più ancora dopochè sostituii come ammorzatore l’ olio d' oliva all’ acido solforico. Io metteva un paio di quadranti a terra, l’altro paio in comunicazione con uno dei poli di una pila di 12 piccole coppie Bunsen ad acido cromico di cui l’altro polo era pure a terra; l'ago era messo in comunicazione col punto da esplorare col mezzo del suo filo metallico di sospensione. Esplorando coll’ ago il potenziale dei varî contatti di un reostato a roc- chetti inserito nel circuito, si riconobbe che esisteva, con sufficiente approssi- mazione, la proporzionalità fra le deviazioni dallo zero (ago a terra) ed i potenziali del punto esplorato. Trattandosi di dover misurare resistenze piuttosto elevate che non si poteano confrontare direttamente col reostato di 10000 ohm a mia disposizione, le confrontai colla resistenza di un lungo tubo capillare ripieno di acqua aci- dolata con acido solforico (d = 1,825) all'1°/, il qual tubo entrava per due fori laterali in due bicchieri di legno paraffinato ripieni dello stesso liquido. Questo tubo, che chiamerò per brevità « megaohm » avea una lunghezza di 158,2 cm. ed una sezione media (determinata col mercurio) di 3,423 X 103 cm°. La conduttività specifica del liquido che lo riempiva fu da me deter- minata direttamente col mezzo di altro tubo lungo 12,00 cm. e di sezione 2,384 X 107? cm.? riempito dello stesso liquido. Tale tubo, confrontato col me- todo elettrometrico alla resistenza campione di 10000 ohm, presentò una re- sistenza di 11600 ohm; da ciò si calcola che il liquido presentava una conduttività specifica di 4,35 X 107! C. G. S. che ben si accorda con quella data dalle tabelle di Landolt e Bòrnstein per soluzioni di concentrazione analoga. Finalmente dalle dimensioni del tubo megaohm riempito di tal liquido, si dedusse che la sua resistenza era di 1,063 X 10° ohm. Le lamine di legno (abete III e IV) erano quelle stesse che aveano servito per la determinazione delle costanti dielettriche. Esse erano collocate orizzontalmente l'une sopra l'altre fra due piani rigidi di metallo e separate da cuscinetti di panno avvolti con stagnola, così che, caricando di pesi il piano metallico superiore, si veniva a stabilire una discreta aderenza fra il legno ed altre lamine di stagnola che lo ricoprivano sulle due facce. Non ostante queste precauzioni sì trovò che la resistenza variava sen- sibilmente al variare del peso premente, e non si ebbero valori costanti che dopo aver ben spalmate di grafite le superficie del legno aderenti alle stagnole e leggermente umettate quest’ ultime di glicerina. Nel circuito della pila (costituita dagli stessi 12 elementi che ser- vivano a caricar l’ elettrometro) erano in serie: il tubo megaohm inserito col (1) Guglielmo G., Rivista Sc. Industr., 1887, pag. 122. Re °° sl Sea — 139 — mezzo di due lamine di platino immerse nei suoi due bicchierini estremi e le due lamine di legno, una perpendicolare l'altra parallela alle fibre, alle quali, nelle esperienze coi legni secchi, si aggiunse, per controllo, una terza lamina non essiccata. Stabilendo poi opportunamente delle comunicazioni fra le stagnole, era facile escludere dal circuito l'una o l’altra lamina e così poter a volontà confrontare le lamine fra loro, oppure separatamente od in- sieme col megaohm. I potenziali alla superficie delle lamine di legno venivano presi diret- tamente dalle stagnole con essa a contatto, quelli alle estremità del megaohm erano presi, per evitare la polarizzazione, da due elettrodi di platino isolati immersi nel liquido dei bicchierini terminali. Avea prima pensato, per evi- tare gli effetti della possibile polarizzazione delle stagnole, di conficcare nel legno due elettrodi isolati e misurare i potenziali di questi, ma avendo tro- vato, in esperienze preliminari eseguite con cubi di legno, che la resistenza al passaggio fra le stagnole e gli elettrodi era assai piccola, credetti inutile adottare questo sistema che avrebbe introdotto delle complicazioni superflue pel mio caso. 4° Risultati ed osservazioni. Esaminando i risultati delle esperienze raccolti nella seguente tabella, vediamo intanto confermato dall'ultima colonna il fatto della maggior conduttività del legno parallelamente alle fibre, e si vede inoltre che il rapporto fra questa conduttività e quella perpendicolar- È È Dimensioni | Spostamenti dell’ elettro- esistenza Conduttività specifica Sal îa [delle lamine metro fra gli estremi della lamina a fibre nella direzione Ss 5 E . erpen- + o È dEi E e E della lamina a fibre on parallele | perpendicolare parallela 59 ED de È 7 ® Ss | perpen- parallele alle fibre È ® e |a. 20 |dicolari alla corrente 3 = ceo E) ca E alla corrente ( 1 [si natu-|tm?| cm | millim. della scala | milioni di chm unità C. G. S. Abete IV | rale 1497] 2,60| 178 84 34 | 0,504| 0,193 | 110Xx 10719 | 280Xx10712| 1:2,5 Abete III |\3.8$/345|0,57| 71 | 231 | 22 | 3,46 | 0,32 |4,74X10-| 50,2X10-° 1:10,6 id. ChE 3451096} 37 | 262 | 25 | 7,5 | 0,72 |8,71X10-19|38,6X10-!°1:10,4 Abete IV | 3 |497|2,60 |surabile| 285 | 6,8 1:41.9 id. 38 id. | id. | id. esclusa] 360 ) superiore a: inferiore a: _ id. 32 id. | id. id. 359 |esclusa\ 4250 | 106 |0,012X10719] 0,5X10-19 |. — E] la id. s |id.| id. [escluso] 363 9 | 1:40,3 mente alle fibre va rendendosi sempre maggiore coll’ aumentare del grado di secchezza del legno. Riguardo alla conduttività specifica assoluta dell’abete, si trovò per va- lore massimo 280 X 10-!° C.G.S. quando il legno si trova allo stato di sec- chezza naturale, e che essa scema grandemente col procedere dell’ essiccazione del legno. RenpicontI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 18 — 140 — Riguardo al legno completamente secco, le mie esperienze mi posero in grado di determinare solo il rapporto (1:40) della loro conduttività, ma non già il loro valore assoluto, perchè le differenze di deviazione che si aveano . nell’elettrometro, dall’ una all’ altra estremità del megaohm, quando si tro- vava in circuito anche una sola lamina di legno secco, erano tanto piccole ed incerte da non potervi fare assegnamento pel calcolo. Per tentare di avere spostamenti più sensibili si avrebbe dovuto rendere per lo meno 50 volte maggiore la resistenza campione, cosa non impossibile, ma certo assai faticosa ed inutile pel mio scopo pel quale bastava la cono- scenza della conduttività massima. Però dalle esperienze stesse si è messi in grado di assegnare il limite superiore della conduttività dei legni secchi indicato nella tabella. Infatti, dato il grado di stabilità del mio elettrometro, le variazioni della pila, i deboli effetti della polarizzazione ed altre cause d'errore, posso ammettere tuttavia che una differenza di deviazione di 3 divisioni da un estremo all’altro del megaohm mi avrebbe dato di sè indizio sicuro. Si può quindi affermare che i legni secchi da me usati presentavano una resistenza maggiore di quella che corrisponderebbe ad uno spostamento di 3 divisioni nell’ elettrometro. Su questa base calcolai la resistenza minima, e quindi la conduttività massima, da attribuirsi alla lamina a fibre parallele alla cor- rente, e da questi valori potei calcolare quelli dell’altra lamina, essendosi già riconosciuto che la sua resistenza specifica era 40 volte maggiore di quella della prima. i Se confrontiamo ora questi risultati con quelli ottenuti al $ 2°, scorgiamo che la conduttività massima 280 X 10-!° trovata pel legno è ancora 200 volte minore della conduttività minima 0,55 X 10-!8 che sarebbe necessaria perchè il suo effetto si rendesse sensibile sulla differenza Y/K — , mentre ancor maggiore dovrebbe esser la conduttività perchè il suo effetto fosse sen- sibile sui valori di 2 e di K. - I risultati da me ottenuti nelle note sopracitate si possono quindi rite- nere come non influenzati dalla conduttività. Solo si può dubitare che sia almeno in parte attribuibile alla conduttività il fatto che nelle verificazioni della relazione di Maxwell riuscì Y/K leggermente superiore ad 7, poichè, se anche teoricamente si deduce che abbisognerebbe una conduttività 200 volte maggiore di quella trovata perchè la differenza fra i detti due valori si rendesse sensibile, non conviene dimenticare non esser inverosimile che, al- l'atto pratico, la conduttività faccia sentire i propri effetti prima del limite indicato dalle formule teoriche. Infatti queste riguardano il caso di corpi aventi uguali conduttività in direzione fra loro parallele, e questo caso non si verifica, specialmente nel legno in direzione delle fibre, le quali costitui- scono come un fascio di fili conduttori separati da sostanza molto meno con- duttrice. — l4l — Osserveremo finalmente che la forte diminuzione subìta dalla costante dielettrica e dall'indice di rifrazione per l’ essiccazione, non potendosi, per quanto si è detto, attribuire alla diminuzione di conduttività, dovrà a mio credere attribuirsi alla scomparsa dell’acqua igroscopica che agiva, secondo la legge dei miscugli, in virtù della sua costante dielettrica elevatissima. 5° Conclusioni. Dalle misure fatte sulla conduttività dell’abete risulta: 1. La conduttività specifica assoluta nel verso delle fibre fu trovata, pel legho essiccato all’ aria ambiente di 280 X 10-!° unità C.G.S. e discende progressivamente al disotto di 0,5 X 10-!° coll’ essiccazione nella stufa a 100°. 2. La conduttività stessa nel senso perpendicolare alle fibre è sempre minore della precedente e diminuisce essa pure coll’ essiccazione, ma in rap- porto più rapido, così che mentre il rapporto delle due conduttività per legni al grado di secchezza naturale è 2,5, esso diventa 40 per legni essicati completamente a 100°. 8. I valori delle conduttività trovate sono ancora troppo piccoli perchè si possa attribuire alle diminuzioni di dette conduttività sia la diminuzione che subiscono l'indice di rifrazione e la costante dielettrica coll’ essiccazione, come il minor valore che queste costanti presentano perpendicolarmente piut- tosto che parallelamente alle fibre. Fisica — Su//a riproduzione del diamante (*). Nota di Q. Maso- RANA presentata dal Socio BLASERNA. Dal giorno in cui si conobbe che il diamante non è altra sostanza che carbonio puro, molti fecero tentativi per la riproduzione di quella gemma. Ma quasi tutti i metodi seguiti non diedero risultati sicuri. Anzi il Moissan ha fatto vedere che le esperienze di J. N. Gannal, Despretz, Lionnet, Han- nay, erano state interpretate non giustamente dai loro autori; con esse dunque non è da ritenersi che si possa riprodurre il diamante. Il metodo di Moissan è il solo che permetta di ottenere la trasformazione del car- bone, o della grafite, in diamante. Le sue esperienze son troppo note, perchè io ne parli qui; ma ricorderò solo che in sostanza il metodo di Moissan consiste nell’ esercitare una forte pressione e un forte riscaldamento su di un pezzo di carbone. Ecco come può spiegarsi che così operando avvenga la suaccennata trasformazione. Le varietà di carbonio amorfo hanno tutte una densità che è inferiore a 2. La grafite invece ha una densità di 2,5; il dia- mante di 3,5. Ora si sa che un forte riscaldamento genera in un pezzo di car- bonio amorfo un rammollimento. Questo fatto noto per le antiche esperienze di Despretz, può essere facilmente dimostrato arroventando, mediante una cor- rente elettrica di grande intensità, una di quelle verghe di carbone che servono per le lampade ad arco. Quando la verga è portata al bianco ab- (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto fisico dell’ Università di Roma. — 142 — bagliante, può essere piegata se sottoposta ad un piccolo sforzo flettente. Sicchè si deve ammettere che le temperature che si possono ottenere arti- ficialmente, benchè non sieno capaci di liquefare il carbonio, lo pongono in uno stato di plasticità, o di libertà molecolare abbastanza sensibile. Ora non credo che sia troppo ardito ammettere, che appunto in conseguenza di questa plasticità, si possa presumere che una forte pressione esercitata sulla massa possa far passare il carbonio dalla densità di 2 a quella di 3,5, e quindi generare del diamante. La verifica sperimentale di questa previsione è stata data dal Moissan; ma il metodo di questi, benchè ingegnosissimo, lascia il dubbio che il fatto della solubilità del carbonio nel metallo che vien sot- toposto a raffreddamento, sia essenziale. Io mi son proposto quindi di ricercare un metodo più diretto di tras- formazione, il quale avesse in comune con quello di Moissan il principio di sottoporre il carbonio da trasformare, ad altissime temperature e pressioni. Non è facile immaginare un sistema per cui il riscaldamento e la pres- sione vengano esercitate contemporaneamenre; occorre dunque far precedere il riscaldamento, e indi, prima ancora che la particella di carbonio si sia sensibilmente raffreddata, comprimerla fortemente. = LOS TINI Li LI MERO, La sorgente di calore da me adottata è stata l’ arco elettrico; il mezzo di compressione mi è stato fornito da esplodenti. Senza descrivere varî tentativi infruttuosi, che furono tutti guidati dai principî suesposti, dirò ora brevemente della disposizione adottata. L’ apparecchio di riscaldamento, e successiva compressione è indicato nella fig. 1. Il vano cilindrico A è fornito di uno stantuffo S che può scor- rere dalla posizione segnata in figura, verso il basso. La parte superiore di quel vano è fornita di una chiusura ermetica E in ferro. — Questa cavità cilindrica, che costituisce la camera di accensione del- l’ esplodente è stata ricavata in un pezzo cilindrico di acciaio non tempe- rato che è rinforzato da anelli di ferro posti l’ uno sull'altro e dello spes- sore di un centimetro ciascuno. Questi anelli, in numero di 15, ricavati da lamiere di ferro, sono fissati insieme da bulloni di cui due si scorgono nel disegno. Una staffa esagonale K, costituita anch'essa da lamiere di ferro bullonate insieme, abbraccia tutto il sistema. Lo stantuffo S porta un’ appendice cilindrica di acciaio temperato di un centimetro di diametro, a cui è incastrato un pezzo di carbone C, del peso di 2 grammi circa. Immediatamente al disotto di C, si trova un pezzo metallico fornito di una breve cavità centrale, capace di ricevere il pezzo C, quando lo stantuffo S si abbassa. Anche il pezzo P è fornito di anelli di rinforzo. È dunque scopo delle staffe K di resistere contro gli urti che rice- vono il pezzo di chiusura E, e l’altro P. L'apparecchio è stato calcolato per resistere ad una pressione di circa 5000 atmosfere. Esso in tutte le esperienze eseguite ha funzionato assai bene, senza subire deformazîone alcuna. Dall’ esame della figura risulta che l’ appendice di acciaio che porta il carbone C, ha una sezione assai più piccola di quella del cilindro S. Esso deve dunque resistere, quando venga a contrasto col pezzo P, ad uno sforzo unitario ben superiore di quello dello stantuffo S. Quello sforzo, se realmente nelle camere di accensione A si sviluppano 5000 atmosfere, è di circa 50 tonnellate per centimetro quadrato. Ora, benchè quel pezzo di acciaio venga scelto di ottima qualità, pure un tal carico è veramente esuberante; e tanto più ciò è vero, in quanto che esso deve resistere all’ urto dinamico, prodotto dalla breve corsa dello stantuffo S. Ma è da avvertire che una deformazione dell’ appendice dello stantuffo S non ha nessuna conseguenza pericolosa, ed essa in ogni modo non può essere molto grande, perchè buona parte di quell’appendice va ad inca- strarsi nella cavità del pezzo P. Noto poi che la bullonatura della staffa K, nella parte sottostante al pezzo P, deve essere fatta con più abbondanza e accuratezza, che in tutto il resto, se si vuole che in quel luogo lavorino realmente tutte e sei le lamiere della staffa. Il pezzo di carbone C viene riscaldato mediante un doppio arco elet- trico, come può scorgersi nella parte di destra della figura; anzi esso forma da conduttore centrale, necessario per la formazione di questi due archi. Infine l’ accensione dell’ esplodente nell'interno della camera A sì ot- tiene mediante un filo di platino arroventato da una corrente elettrica e che non è indicato in figura. Riflettendo alla eccessiva sollecitazione delle varie parti metalliche dell’ apparecchio, sono stato indotto ad adottare il tipo di costruzione a pezzi multipli che è stato indicato. Esperienze eseguite con apparecchi for- — 144 — mati con pezzi massicci, hanno avuto cattivo risultato, producendo sia la deformazione, sia ancora la rottura o lo scoppio di tutto l' apparecchio. Dirò ora delle esperienze eseguite. Occorreva procedere anzitutto alla scelta del carbone C. E sarebbe stato desiderabile che esso fosse stato co- stituito da puro carbone di zuccaro. Ma non sono riuscito almeno per ora ad ottenerlo abbastanza compatto. Tutti i pezzetti preparati, sottoposti all’ azione dell’ arco elettrico bru- ciavano immediatamente. Ho dovuto dunque rassegnarmi ad adoperare dei pezzi di carbone ricavato dai bastoncini che si adoperano per le lampade ad arco. Essi presentano l’ inconveniente di possedere delle impurezze; ma ciò non impedisce il buon risultato delle esperienze. Ho adoperato come esplodente, la polvere da sparo, a grana piuttosto fina, nella quantità di 70 grammi per ogni esperienza. È da avvertire che malgrado che lo stantuffo S e il pezzo di chiusura fossero lavorati a tenuta perfetta sul cilindro A, pure la veemenza di ogni esplosione era tale, che i prodotti gassosi trovavano in parte modo di sfuggire al di fuori della ca- mera di accensione. Con ciò la levigatezza delle pareti del cilindro e dello stantuffo veniva fortemente danneggiato, e per ogni esperienza occorreva ri- porre al tornio il cilindro A e rinnovare i pezzi S ed E. Ecco ora come si procedeva. Una corrente di 100 volt e 25 ampére si inviava nei due carboni che si vedono nel disegno di destra; i due archi vol- taici che così venivano a formarsi a destra e a sinistra del pezzetto di car- bone C, portavano questo alla temperatura di tre o quattromila gradi. Quin- dici o venti secondi dopo, mentre che gli archi elettrici erano ancora accesi, mediante un contatto elettrico si incendiava la polvere contenuta nella cavità A. Se tutte le parti dell’ apparecchio erano in regola,-una piccola detonazione dovuta ai gas sfuggenti nell’ atmosfera libera accompagnava l' esplosione, e il carbone C, dalla sede dei due archi voltaici, veniva repentinamente spinto e compresso dentro la cavità del pezzo P. Questo pezzo in conseguenza del- l'urto si scaldava notevolmente; e spesso avveniva che esso in conseguenza forse della sua cattiva costruzione si rompesse in quattro o cinque parti, le quali con violenza venivano scagliate a parecchi metri dall’ apparecchio. Se l’esperienza era invece proceduta regolarmente, l’ appendice del ci- lindro S restava fortemente incastrato dentro il pezzo P; ed era malagevole smontare l’ apparecchio in conseguenza dello sforzo che i pezzi E e P con- tinuavano ad esercitare contro la staffa K, anche dopo che tutto il sistema si fosse raffreddato. Smontato l’ apparecchio era poi, in ogni modo impossibile riacquistare il carbone C senza forare o segare tutto il pezzo P. Procedendo a questa operazione si osserva che l’ ammasso carbonioso così ottenuto era più compatto di quello che costituiva il carbone C. Questo dunque aveva dovuto, sotto l’ azione dell’ urto sgretolarsi in minutissimi frantumi, e questi alla lor volta si erano dovuti saldare nuovamente l’ uno sull’ altro, in guisa da riempire la parte — 145 — bassa della cavità di P. Ma una prova più sicura del diverso stato di ag- glomerazione del carbone così trattato, si aveva determinandone il peso spe- cifico. Mentre prima dell’ esperienza esso aveva una densità di 1,52, dopo ne possedeva una di 2,28 (*). Questa densità è assai vicina a quella grafite. Guardando ad occhio nudo l’ aspetto di questo carbonio, si osservava infatti che esso aveva assunto l'aspetto lucente e grasso proprio di certe grafiti, ed. esso si sfaldava facilmente secondo piani normali al senso di compressione. L'aumento di densità subìto da tutta la massa del carbone così com- presso, è naturale faccia presumere che, come vi possono essere nel suo interno delle particelle carboniose rimaste non trasformate, e con eguale densità a quella da esse prima possedute, ve ne possano invece essere altre le quali abbiano densità ancora superiore. In altri termini si può presu- mere che nell’ interno di quel pezzetto di carbone compresso vi sieno anche delle particelle di diamante. Si trattava dunque di separare queste particelle da un miscuglio di car- bonio amorfo, grafite ed impurità, che erano contenute prima dell’ esperienza. La tecnica di questa operazione era già stata indicata, come avverte Moissan, da Berthelot sin dal 1870 (?). Ho dunque proceduto secondo il metodo di Berthelot, modificato dal Moissan, al trattamento del miscuglio ottenuto. I due grammi di carbonio compresso ottenuti in ciascuna esperienza venivano ridotti in piccoli frantumi; questa operazione era necessaria, se si voleva che i trattamenti successivi non fossero troppo lunghi. Essi veni- vano trattati ripetutamente con acido cloridrico bollente al fine di elimi- nare le particelle di ferro che, all’ atto della compressione, potevano essere passate dalle pareti dell’ apparecchio nella massa carboniosa. Si trattava indi con aqua regia, e poi con acidi solforico e fluoridrico alternativamente. Queste operazioni avevano per iscopo di distruggere il car- bonio amorfo. Successivi trattamenti con clorato di potassa e acido nitrico fumante eliminano il carbonio allo stato di grafite. Infine dopo un ultimo trattamento con acido fluoridrico, e acido solforico bollente, si lavava e si seccava il residuo, Questo, che era del resto per ogni esperienza piccolissimo, era costituito da diverse qualità di carbonio. Mediante il bromoformio, e il joduro di metilene che hanno per den- sità il primo 2,9, e il secondo 3,3 si separano da esso delle particelle pesanti che si esaminavano al microscopio. Esse erano costituite in gran parte da particelle nere opache alla luce, ma possedenti dei punti o faccette che riflettevano la ‘luce in modo assai marcato. Fra le particelle opache accade talvolta di scorgerne qualcuna trasparente, e che sembrava possedere (1) Queste cifre si riferiscono ad una delle esperienze eseguite. (*) Berthelot, Recherches sur les états du Carbone. Annales de Chimie et de Phy- sique, IV ser., vol. 19, p. 392. — 146 — un forte potere rifrangente. Inoltre guardate con luce polarizzata, esse si presentavano come particelle assolutamente isotrope. Se si pone una piccola parte di quella polvere sopra una lamina, di rame e vi si strofina sopra una faccia ben lavorata di rubino, in senso nor- male alle linee di polimento, è facile osservare mediante una lente di in- grandimento che quella pietra resta graffiata. Fra le particelle opache ne ho scorto taluna che presenta degli spigoli a simiglianza di un cristallo cubico. Essa è indicata nella fig. 2. Qualche altra presenta invece una forma mammellonare, fig. 3. Le fig. 4 e 5 indicano due cristalli trasparenti rinvenuti in mezzo alle altre particelle opache. La inattaccabilità agli acidi, la densità, la durezza, la struttura cri- stallina delle particelle esaminate, sono proprietà del vero diamante, sia esso trasparente o nero. Kiraha2i Fic. 3. Fic. 4. Scala 300:1 Fic. 5. Ma è noto che una delle proprietà più caratteristiche del diamante è quella di bruciare nell’ ossigeno ad una temperatura compresa tra 700 e 900 gradi. Rimaneva dunque, per completare le precedenti ricerche, di assicurarsi che realmente le particelle osservate al microscopio fossero combustibili. Anzi sarebbe stato desiderabile poter pesare i prodotti di combustione, 0s- servando se ad ogni parte di sostanza bruciata corrispondessero realmente 3,666 parti di acido carbonico. — 147 — Ma la quantità eccessivamente tenue di cristalli da me ottenuti non mi hanno permesso di procedere a questa verifica, e ho devuto contentarmi di osservare la sparizione di quei cristallini nell’ aria libera, quando venivano portati alla temperatura accennata. Ma vi è anche un mezzo per riconoscere che particelle assai piccole sono costituite da diamanti trasparenti. Ed esso consiste nell’ osservare il modo con cui avviene la sparizione, quando esse vengano riscaldate. È infatti assai caratteristico il comportamento di un diamante posto su di una lastrina di platino portata al rosso aranciato. Esso comincia ad impiccolirsi, come se sublimasse, e ad intervalli si staccano delle particelle tenuissime che tremolando nell’ aria rovente che circonda il cristallo finiscono per sparire. Non credo che esista altra sostanza che esa- minata in tal guisa possa confondersi col diamante. Questo esame si può anche fare su particelle eccessivamente piccole. Occorre allora porre la lamina di platino sotto il campo del microscopio, e porvi sopra il cristallino da bruciare che può anche essere di 1/100 di millimetro. Inviando una corrente elettrica nella lamina, se la particella è diamante comincia ad impiccolirsi tremolando quando la lamina è al color rosso acceso. Sottoponendo a questo trattamento molte delle particelle di cui ho detto più sopra, sia nere che trasparenti, ho potuto sempre constatare che esse si comportano come il diamante. È dunque a ritenersi che il mezzo di compressione da me adottato, conduce come quello di Moissan alla trasformazione del carbonio amorfo in grafite o in diamante. Chimica. — Azzone fistologica dei cloridrati di dicanfanazina, dicanfanessanazina e canferammina. Nota di D. Lo Monaco e G. Oppo, presentata dal Socio LUCIANI. Uno di noi (') per l’azione della idrazina sulle seguenti due sostanze: CH—HC\, CsH Cs$H 8 EA n sHi4 dicanfora e CH—-HC I I CH CO OC C,H,3 VILLAR dicanfanessandione (") Gazz. Chimica ital., 1997, I, 164 e 172. RenpiIcoNTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 19 — Ig ottenne le due basi: Cir 30 CH——HC Cs H NGH ZA TS 3 ENG GA ò De e (Cleo U=N N10 (CAF Noli L | | peg N-—=N dicanfanazina dicanfanessanazina i cui sali, di sapore molto amaro, sono solubilissimi nell'acqua ed abba- stanza stabili. Disponendo di una buona quantità di questi sali, ci sembrò non privo d'interesse studiarne l’azione fisiologica. Nel fare ciò abbiamo voluto ricer- care quale relazione esistesse tra il comportamento di queste sostanze e quello della canfora dalla quale esse provengono; o in altri termini, se la loro gran- dezza molecolare, la sostituzione dell'ossigeno chetonico con l'azoto e la formazione di nuovi nuclei ciclici biazotati, potessero influire e in quale senso nel modificare l’azione fisiologica della canfora. Era pure nostro intendimento vedere se queste nuove sostanze dotate come sono di proprierà fisiche molto opportune, avessero potuto avere appli- cazioni terapeutiche. Esponiamo brevemente le nostre esperienze. Cloridrato di dicanfanazina e di dicanfanessanazina. Ricerche sulle rane e sui mammiferi. Una rana esculenta di gr. 30 circa, alla quale venga nel peritoneo iniet- tato 1 ce. di soluzione 1 °/, di cloridrato di dicanfanazina, cade in paralisi dopo appena 6-8 minuti. Si osserva allora perdita dei riflessi generali e del corneale e arresto di respiro. Aperto il torace, il cuore batte regolarmente; le pulsazioni però sono rare (11 in 30” ) ma ampie e con sistole vigorosa. Dando dosi di mezzo centigrammo, la paralisi avviene lo stesso dopo una mezz'ora circa, e allora in questo periodo la rana sì mostra abbastanza eccitabile e pre- senta leggiere scosse convulsive. Tanto il muscolo che il nervo sono eccitabili, e nelle rane, con i vasi che vanno agli arti inferiori legati, l’ iniezione della sostanza fatta nella regione degli arti anteriori produce paralisi in tutto il corpo. Col cuore scoperto, una rana esculenta con dosi di 0,5 cgr. di cloridrato di dicanfanazina mostra subito una riduzione piuttosto notevole del numero delle pulsazioni cardiache, le quali diventano, come si è già notato, più ampie e con sistole rinforzata. La diminuzione di battiti da 70 va a 40 al minuto, ed è con la dose suddetta duratura; dopo, il cuore si ferma in diastole. 149 — Con l'apparecchio di Williams questi fenomenà vengono confermati. Un cuore che normalmente faceva il seguente tracciato red dopo l'aggiunta al liquido, in cui il cuore sta immerso, di sei sole goccie della soluzione suddetta, scrive in quest'altro modo: neo 2 Aggiungendo ancora altra quantità di soluzione il cuore si ferma e rimane ineccitabile agli stimoli meccanici. Nei mammiferi l’azione della dicanfanazina è completamente differente da quella osservata nelle rane; però bigogna notare che i cani sono molto più sensibili all'avvelenamento con questa sostanza dei conigli e delle cavie. In una cavia alla quale in più volte si iniettò sotto la cute e nel peri- toneo 0,30 gr. di dicanfanazina, sì notò un atteggiamento sonnolento. Questo periodo durò parecchie ore, per dare indi luogo ad arresti convulsivi. La cavia il giorno appresso fu trovata morta. Nei conigli bastano 10 egr. per provocare forti convulsioni; però essi si rimettono subito e, facendo le iniezioni con intervalli, sopportano dosi ab- bastanza forti di dicanfanazina. Nei conigli lo stato di sopore che sì osserva nelle cavie, non sopravviene. Nel cane il quadro dell’ avvelenamento è molto più imponente e rammenta quello della canfora. In un primo periodo con dosi di 50 cgr. si osserva un poco di irrequietezza e una salivazione abbondantis- sima. Dopo aver ripetuto la dose il cane presenta dei forti accessi epiletti- formi. Questi accessi non sono continui, ma tra ano e l’altro corre un lungo intervallo. È veramente poi impressionante come i cani avvelenati con questa so- stanza danno grida di angoscia e minacciano di soffocare ogni momento. Finiti gli accessi il cane resta abbattuto ed entra in una specie di torpore che dura parecchie ore. Degna di nota è l’azione della dicanfanazina sulla circolazione nei mammiferi (cani). Con iniezioni sottocutanee al di sotto di gr. 0,50 sì nota un leggiero aumento di pressione poco duratura, accompagnato da dimi- nuzione nella frequenza delle pulsazioni e da maggiore ampiezza di esse. — 150 — L'azione fisiologica della dicanfanessanazina non differisce da quella della dicanfanazina. Essa produce al pari di questa paralisi nei batraci e accessi convulsivi nei mammiferi. Anche il cuore presenta le medesime fasi quando venga influenzato da quest'altra sostanza. L' unica differenza apprezzabile ri- siede nella dose, inquantochè con la dicanfanessazina bisogna adoperare dosi doppie della dicanfanazina per avere gli effetti su descritti. Mettendo in rapporto queste due sostanze fra loro in riguardo alla loro formula di costituzione, siamo condotti ad ammettere che per composti di costituzione analoga col crescere del numero dei nuclei diminuisca l’attività fisiologica, fatto che è stato anche constatato studiando comparativamente i com- posti dei gruppi della benzina, della naftalina e del fenantrene (!). Poichè mentre la dicanfanazina contiene un solo nucleo essaciclico dl | NE N che la rende paragonabile ad una piridina idrogenata, la dicanfanessanazina pre- senta un doppio nucleo essaciclico C C CE n_n-d N paragonabile a quello che si ammette nella tropanina, che però contiene un solo atomo di azoto ed è completamente idrogenata. Considerando poi d'altra parte l'azione fisiologica della canfora con quella delle due sostanze da noi studiate, troviamo che esse non differiscono fra loro, se si eccettua che queste ultime sono un poco più attive della can- fora dalla quale provengono. Il gruppo azzzico quindi se viene a conferire a questi corpi proprietà basiche, non cambia nè modifica le loro proprietà biologiche. Similmente è stato osservato per l azobenzolo, i sali di diazoniobenzolo e la benzina (?). A complemento di questo lavoro abbiamo voluto studiare anche l’ azione fisiologica dell’amminocanfora CH.NH, CH < | \co (1) Oddo G., Relazione fra la costituzione chimica e l’azione fisiologica dei com- posti della serie aromatica. Gazz. Chim. ital., 1892, II, pag. 237. (2) Curci, L'azione biologica dell'azoto; La terapia moderna, 1891, V, pag. 515. — 151 — nella quale l'ossigeno cffetonico della canfora è ancora conservato, ma l’ azoto è primario. Era anche qui interessante vedere quale influenza sull’ azione fisiologica spiegasse il nuovo gruppo amminico. Questa base fu ottenuta da Claisen e Manasse (') per riduzione del- l’isonitrosocanfora; l’ ottenne anche recentemente uno di noi (*) per riduzione della bis-canfanonazina con polvere di zinco e acido acetico: C-=N—N=C CH . NH; A Noi Dogs — avine i Site ni VOS ta 2 5 Sh Una breve notizia sull'azione fisiologica del suo cloridrato è riportata nella Memoria di Claisen e Manasse, i quali affermano che in essa il prof. Filehne ha riscontrato una debolissima azione curarica e rapidamente passeg- giera e una diminuzione nella pressione sanguigna. Più numerose esperienze noi abbiamo eseguito con questa sostanza, e da esse possiamo dedurre che nelle rane essa è meno paralizzante delle altre due sostanze sopra studiate e della canfora stessa. L'azione curarica non è stata da noi potuta confermare, ed ha sul cuore poca influenza; infatti non si rinforza la sistole, nè si osserva una notevole diminuzione dei battiti cardiaci. Nei mammiferi invece gli accessi convulsivi si sieguono con più brevi intervalli e sono più intensi di quelli osservati con le altre due sostanze. Si nota pure abbondante salivazione anche prima della comparsa degli effetti convulsivi e una grande irrequietezza dell'animale. Le dosi che occorrono per ottenere il quadro dell’ avvelenamento sono intermedie fra quelle delle due azine. L'azione al solito è più energica nel cane che non sia nel coniglio e nella cavia; e la pressione sanguigna, come ha notato il Filehne tende ad abbassarsi. Anche qui in rapporto alla sostituzione chimica della amminocanfora, possiamo confermare un fatto già da molti provato, che il gruppo NH, con- ferisce sempre al radicale a cui si unisce proprietà eccitanti. Nel nostro caso infatti mentre diminuisce l’azione paralizzante che il gruppo della canfora esercita sulle rane, rinforza l’azione eccitante che si nota nei mammiferi av- lenati con i varî derivati della canfora. Possiamo quindi concludere che sebbene la canforammina sia una base primaria a molecola semplice, mentre le due azine contengono la molecola doppia dei derivati della dicanfora e l’ azoto terziario, pure eccettuate leggiere variazioni il tipo d'azione è uguale per tutte e tre le basi ed è simile a (1) Ann. d. Chemie, 274, 88. (2) Oddo G., Gazz. Chim. ital., 1887, fascicolo di luglio. — 152 — quello della canfora. Esse difatti producono paralisi nelle rane e convulsioni epilettiformi nei conigli e nei cani. L'azione che è duratura nelle rane, è invece passeggiera nei mammiferi i quali dopo parecchi accessi epilettici possono benissimo rimettersi in poco tempo. Lasciando poi da parte l’ am- minocanfora, noi vediamo che le due azine per la loro azione sulla funzione cardiaca, per la loro solubilità nell’acqua e per la loro possibile rapida in- troduzione in circolo per la via sottocutanea, possono prestare pronti ed eccel- lenti servigi alla terapia e in molti casi sostituire con molto vantaggio la canfora, anche avuto riguardo che sono inodori. Ci proponiamo infatti di continuare questi studî sugli ammalati, per avere così la prova diretta delle eccellenti qualità finora riscontrate nei mammiferi. Chimica fisica. — Sopra l’ energia di alcune basi a funzione mista. Nota di G. CarRARA e U. Rossi, presentata dal Corrisp. NASINI. Per basi a funzione mista intendiamo quelle che hanno nella stessa molecola un gruppo a funzione acida e un gruppo a funzione basica, come gli ammido acidi e composti analoghi. Queste sostanze in generale manifestano ora deboli proprietà basiche, ora deboli proprietà acide e qualche volta sono neutre per effetto, si dice, di una salificazione interna che avviene tra il gruppo a funzione acida e quello a funzione basica. Esempi di questi tipi di sostanze sarebbero: CH,-NH CH.-NH, HO CH; HO AVIS i \n/0H sg INCH, | \CH, COOH CH,-S0;H CH?-COOH CH,-C00H ac. ammidoace- ac. ammidoetilsolfo- betaina dimetiltetina tico o glicocolla rico o taurina La glicocolla mostra ora un leggero carattere basico con la formazione di un cloridrato per addizione di HCl, ora un leggero carattere acido for- mando dei sali baritici. Malgrado ciò Erlenmeyer e Sigel (!) credono le spetti la formola chiusa che sotto esporremo. La conducibilità elettrica della glicocolla è piccolissima e tale da ritenerla dovuta all’ acqua solvente (per v= 128. un = 0,306). Ostwald dice che non si può chiamare acido nè ritenerla tale dal suo comportamento (*), il quale sarebbe piuttosto quello di un sale neutro. Più recentemente I. Sakurai (3) confermava questo modo (1) Liebig*s Annalen, CLXXVI, pag. 351. (2) Journal fiir prakt. Chem., XXXII, 369; Zeitschr. f. Physikal. Chem., III, 189. (3) Chem. Central Blatt, 1894, I, 1150. — 153 — di vedere e riteneva egli pure la glicocolla come un nucleo chiuso ed esten- deva questo modo di vedere, come avevano fatto del resto anche Erlenmeyer e Sigel, ad altri ammidoacidi come l’acido asparaginico e l'asparagina. I. Walker (!) appoggiandosi alla conducibilità elettrica di alcuni suoi derivati, come il cloridrato, la fenilglicocolla ecc. e Tilden e Forster (?) alla reazione della glicocolla col cloruro di nitrosile, ritennero avere la glicocolla la formola aperta. I. Sakurai (3) però ritiene non sia stata detta ancora l’ ultima parola sopra la conducibilità elettrica dei derivati della glicocolla, perchè questi per addizione d’acqua possono dare la catena aperta. Ci siamo estesi un poco sopra questa sostanza che rappresenta uno dei tipi delle basi a funzione mista delle quali intendiamo occuparci. La taurina, contrariamente a quanto fa la glicocolla, non forma sali con gli acidi, ma si comporta come un debole acido essa stessa, formando sali con ossidi metallici. Anche per essa è stata proposta e oramai accettata generalmente la formola chiusa. La betaina e la tetina hanno un comportamento neutro perchè se si fa agire sopra i loro cloruri o bromuri l’ossido d'argento, si ottiene una solu- zione neutra, e se si lascia questa soluzione spontaneamente nel vuoto sopra l’acido solforico ad evaporare, si ottiene cristallizzato non più l idrato di queste basi, ma l’ anidride. In ultima analisi è lo stesso fenomeno che si ammette succeda nella glicocolla e nella taurina solo che queste derivando dall’ ammoniaca, il nucleo chiuso per effetto della salificazione interna può formarsi per semplice ad- dizione senza supporre la formazione intermedia dell’acqua, mentre invece nella betaina e nelle tetine che derivano dagli ammonii o solfonii la sali- ficazione interna non si può immaginare senza supporre una eliminazione di acqua. Così dunque si vengono ad avere, invece delle basi a funzione mista, dei nuclei chiusi colle formole seguenti: CH,-NH CH O CH,-NH ca i N | Culi lunsoh Ng O-NCCH, | \g_ CH Voi | | NOE; CEST CH»-S0, CO-CH, CO-CH» glicocolla taurina betaina tetina A conferma di questo modo di vedere abbiamo alcuni fatti, e cioè che il peso molecolare della glicocolla determinato da Curtius (4) e quello delle tetine determinato da uno di noi (°) porta ad ammettere per queste sostanze (1) Chem. Central Blatt, 1894, I, 1151. (2) Chem. Central Blatt, 1895, II, 30. (3) Chem. Central Blatt, 1896, I, 800. (4) Berichte XXIII, 3041. (5) G. Carrara, Gazzetta Chimica ital. XXIII, 1° 500. — 154 — in soluzione acquosa il peso molecolare semplice. Ciò indica che in queste sostanze nor c' è ionizzazione, mentre se si volessero ammettere le formole prime sopra scritte ci sarebbero dei gruppi che, almeno per le tre ultime, dovreb- bero dare una apprezzabile dissociazione e perciò un peso molecolare più piccolo di quello trovato. Dal punto di vista della teoria della dissociazione elettrolitica questo fenomeno di salificazione interna si presentava di un grandissimo interesse. Nel fenomeno della dissociazione degli elettroliti noi ci troviamo di fronte al fatto che la molecola si può, per la carica elettrica, dividere in due parti aventi cariche eguali ed opposte IS mentre la molecola di queste sostanze oltre che queste due parti ne con- tiene una terza neutra FIG La teoria può fino ad un certo punto prevedere il comportamento di queste interessanti sostanze in soluzione acquosa. Difatti, se prendiamo il caso pratico della betaina, per esempio, che supponiamo allo stato di clori- drato avremo - + | gl | N(CH?),.CH: 000 | H | da una parte il cloro trovandosi unito ad un gruppo elettropositivo tenderà a staccarsi per assumere lo stato di ione e la molecola si dissocierà, come avviene nei cloruri e nei cloridrati di forti basi; dall’ altra anche l'idrogeno acido del carbossile tenderà a staccarsi per assumere esso pure lo stato ionico. Cosicchè il residuo centrale si troverà nelle stesse condizioni in cui si trovano il residuo di un acido e di una base, quando sono in presenza nella stessa soluzione formando acqua oH + H|01 — HOH + C1 Na cioè un non elettrolite. Nel caso della betaina sarà invece il sale interno o l'anidride quello che si formerà per effetto della reciproca neutralizzazione delle cariche elettriche uguali ed opposte. Eliminato questo termine medio Na — 155 — dall’equilibrio elettrico, l’ionizzazione (!) proseguirà rapidamente e sarà so- stenuta dalle cariche elettriche eguali e contrarie del Cl e del H. Il risul- tato finale sarà la presenza in soluzione acquosa dell'acido cloridrico e del- l'anidride. Se poi supponiamo che per un momento in soluzione acquosa possa formarsi l’idrato di betaina, subito per effetto dell’ionizzazione si formerà acqua e anidride non elettrolite. Queste le previsioni: della teoria le quali darebbero ragione delle for- mole dedotte dal comportamento chimico di tali sostanze. Queste basi, dal punto di vista della loro energia in relazione col fenomeno della salifica- zione interna, sono state poco studiate con mezzi chimico-fisici. Senza par- lare di alcune fatte incidentalmente e con intendimenti del tutto diversi, accenneremo solo alle determinazioni di conducibilità elettrica fatte da Bredig (2) del cloridrato di betaina. Il Bredig, avendo egli pure esami- nato incidentalmente il cloridrato di questa sostanza, fa rilevare in una Nota l'interesse speciale che presentava la sua molecola; di avere cioè in- sieme una carica negativa e positiva che si neutralizzano mutuamente. Uno di noi (3), descrivendo una nuova serie di composti del selenio, le selenetine, analoghe alle tetine, accennava all'importanza delle due opposte funzioni esistenti sulla molecola e si proponeva un confronto quantitativo. Col presente lavoro abbiamo impreso appunto a studiare l’ energia di qual- cuna di queste basi, allo scopo di vedere quanto vi fosse di vero nelle previsioni della teoria, cercando poi, dal confronto con altre nelle quali non si poteva ammettere il fenomeno della salificazione interna, di vedere anche quale in- fluenza questo fatto apportava all'energia della base e se fosse possibile stabilire con metodi chimico-fisici un criterio diagnostico di questa salifica- zione interna. Lo studio dell’ energia delle basi in generale è stato oggetto di nume- rose ricerche per parte di molti sperimentatori; rammenteremo i lavori di Warder (4), Reicher (5), Ostwald (6), Will e Bredig (7), Walker (8), Bu- (1) Il vocabolo ionizzazione lo adopero per indicare la formazione degli ioni secondo la teoria della dissociazione elettrolitica nel senso di Arrhenius, Ostwald, Nernst, e non nel senso usato da Lodge, Fitzgerald, Traube (vedi a questo proposito Berichte, XXV, pag. 2989) contrario ad essa. G. C. (2) Bredig, Zeitschrift f. Physikal Chem., vol. XIII, pag. 323 (vedi nota). (3) G. Carrara, Gazzetta chimica ital, XXIV, II, 1894, (4) Amer. Chem. Journal, III, 5 e Berichte d. D. Chem. Gesell., XIV, pag. 1861, an. 1881. (5) Liebig*s Annalen, CCXXVIII, 257. (6) Journal f. praktische Chemie, XXXV, 112. (7) Berichte d. D. Chem. Gesell., XXI, 2777. (8) Zeitschrift f. physikal. Chem., IV, 319. RenpICcONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 20 — 156 — gayzki ('), Lellmann e suoi scolari (2), Bredig (3), Walker e Aston (4), Myers (°) ecc. I metodi adattati nelle determinazioni sono diversi, ma quelli che hanno dato i migliori risultati per le basi deboli, come appare principalmente dai lavori di Ostwald, Walker, Bredig sopra citati, sono la misura della condu- cibilità elettrica e quella dell'idrolisi dei loro sali valutata per mezzo della catalisi dell’ acetato di metile, o la velocità di saponificazione degli eteri con le basi stesse. Quest'ultimo metodo però per le basi molto deboli, come sì dimostravano quelle che noi imprendevamo a studiare, non era applicabile. Ci siamo attenuti perciò ai primi due; abbiamo, cioè, prima deter- minato la conducibilità elettrica molecolare delle basi e di alcuni loro sali, cloruri e bromuri; usando il solito metodo di Kohlrausch delle correnti alternate e telefono; poi la catalisi dell’acetato di metile per mezzo dei sali di queste basi. Le sostanze vennero preparate in laboratorio, ad eccezione del cloridrato di betaina che proveniva dalla fabbrica Kahlbaum; tutte vennero analizzate per garanzia della loro purezza. Una vera difficoltà si incontra nella prepa- razione delle basi dai loro cloruri e bromuri con ossido d’argento umido. Per eliminare le ultime tracce di alogeno occorre sempre un piccolo eccesso di ossido d’argento, il quale si scioglie un poco nella soluzione della base, e se si tenta di precipitarlo con la corrispondente quantità di acido clori- drico, si arriva ad un punto nel quale, forse per la solubilità del cloruro 0 bromuro d’argento nella base, una piccola quantità di cloro o d’ argento permane. In questo caso noi lasciavamo evaporare la soluzione nel vuoto sopra l'acido solforico e il residuo lo riprendevamo con alcool assoluto, al- lora l'argento restava indisciolto. CONDUCIBILITÀ ELETTRICA. Assieme ai nostri risultati riporteremo quelli che si trovano nella let- teratura sopra queste basi. Indicheremo con v il numero di litri in cui è sciolta la grammimolecola; con M, la conducibilità molecolare osservata sottraendovi prima quella che spetta all'acqua solvente. Per il calcolo ab- biamo adoperato la formula adottata da Bredig e della quale diamo ragione più sotto. La conducibilità direttamente osservata di un sale idroliticamente dis- sociato M, è uguale alla somma delle conducibilità della parte del sale non (1) Ib., VIII, 398. (2) Liebig*s Annalen, CCLX, CCLXIII, COCLXXIV. (3) Zeitschrift f. physikal. Chem., XIII, 289. (4) Journal of Chem. Soc., an. 1895, 576-586. (5) Rec. trav. chim. Pays-Bas XII, 315-329. — 157 — idrolizzato e della conducibilità della parte di acido idrolizzato. Se # è la frazione idrolizzata, e «, la conducibilità del sale per quella diluizione, si avrà, nel caso che si studi un cloridrato, essendo &gc; la conducibilità limite dell'acido cloridrico (!) M=(1-2)W&w+ 4% cioè È chi M,—-u, a) Maci — Wy Ora l'espressione dell'equazione fondamentale di Guldberg e Waage sopra le masse attive, cioè che il coefficiente di affinità è proporzionale alle masse attive K.p.g= KP dove K e K, sono le costanti d’ affinità e p 9719. sono le masse attive, si può trasformare nell'altra: i coefficienti di affinità o di dissociazione sono proporzionali alla dissociazione nell'unità di volume. Nel caso dell'idrolisi di un sale le masse attive, o dissociazioni attive, sono quelle dell'acido e della base formatisi, del sale non scomposto e del- l'acqua. Perciò (2) K (acido attivo) 4 (base attiva) = K, (sale attivo) 4 (acqua attiva) K _ sale att. # acd. att. K, ac. att. x base att. E poichè l'acido e la base variano nello stesso rapporto rispetto alla mole- cola salina, l'equazione è stata ridotta da Arrhenius alla formola generale Toi (8) Di 2 2) (1) in cui v è la diluizione dei cloridrati o dei bromidrati in litri per grammi- molecola; x il grado di idrolisi per una molecola di sale; Ks la costante d'affinità o di dissociazione della base debole sotto forma di cloridrato 0 di bromidrato; K, la costante d'affinità o di dissociazione dell’acqua. In- troducendo nella (II) il valore di x che, come vedremo, si può avere dalla (I) potremo calcolare il rapporto n che deve essere costante. 4 (1) Veramente sarebbe meglio introdurre il valore della conducibilità molecolare dell’acido cloridrico a v; ma, essendo gli acidi cloridrico e bromidrico acidi quasi com- pletamente dissociati anche a piccole diluizioni, si può introdurre un valore medio, o, come abbiamo fatto noi, il valore limite. (2) Walker, Zeitschrift f. physikal. Chem., IV, pag. 317. (*) Bredig, Zeitschrift f. physikal, Chem., XII, pag. 331, — 158 — Nella (I) esiste l’incognita w, conducibilità del sale supposto non idro- lizzato. Questa conducibilità, in alcuni casi studiati da Bredig, venne deter- minata aggiungendo un eccesso di base libera al sale per impedire l’ idrolisi. Noi l'abbiamo calcolata basandoci sopra l’ osservazione fatta per la prima volta da Ostwald (') per gli anioni e confermata da Bredig (?) per i cationi, che ioni aventi un numero superiore a 12 atomi possiedono una velocità di migrazione, la quale non dipende in modo apprezzabile dalla natura degli atomi, ma solo dal loro numero e le differenze sono tanto più piccole quanto più grande è il numero d'atomi. Cosicchè si può ritenere che la velocità di migrazione dei cationi delle basi da noi esaminate oscilla di poco intorno a 35. Esiste qualche eccezione specialmente per il primo termine delle serie, il quale ha ordinariamente una velocità di :nigrazione più elevata; così per esempio N(CH3), — 43.6 mentre N CH;(C,H;),H = 35.8, N(C.H;), = 32.8. Questo caso ci si presentava per la dimetiltetina; però noi abbiamo girato la difficoltà nel seguente modo. La velocità di migrazione del betainione dedotta dai numeri di Bredig è 42.8, quella del tetrametilammonione corrisponde a 43.6; lo stesso rap- porto probabilmente esisterà fra il dimetiltetinione e il trimetilsolfinione e sì avrà perciò S(CH3); = 47.6 S(CH;).-CH, COOH = 46.7 La velocità di migrazione del catione addizionata a quella dell’ anione, per il CD = 70.2 e per il Br=73, ci diede la conducibilità limite, e da questa, tenendo conto delle diminuzioni medie apportate alla conducibilità limite dall’aumentare della concentrazione nei sali sodici e nei cloridrati delle basi studiate da Bredig, si ricavarono i valori di &,. Nei lavori di Bredig pel valore di uyc, venne preso 383, in quello di Walker 375. Noi, malgrado l'osservazione fatta in nota precedentemente, abbiamo preso il valore che risulta dalla somma della velocità di migra- zione degli anioni CI o Br con quella dell’H che è 325. In altri termini noi abbiamo adottato il valore 395.2 per HCl e 398 per HBr invece che i valori sperimentali medî adottati da Walker (375) e da Bredig (383). I valori di x riescono così un po’ più piccoli; ma le conclusioni generali non variano; molto più che si tratta di calcoli approssimati. Sia che si calcoli uc come valore medio o come valore limite, sia che si ottenga w, impe- dendo l’idrolisi con un eccesso di base o che si calcoli in base alle regolarità osservate da Ostwald e Bredig, non si può mai tener conto dell'azione re- ciproca delle due sostanze, acido e sale, avente un ione a comune: azione che diviene ancora più complessa quando la base contiene a sua volta un idro- geno acido. (!) Zeitschrift f. physikal. Chem., II, 850, (2) Loco citato. — 159 — CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La R. Società delle scienze di Upsala; la Società zoologica di Londra; la Società di scienze naturali di Emden; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; l'Osservatorio di Parigi; la Biblioteca Reale di Berlino; le Università di Leida, di Oxford e di Giessen. Annunciarono l’ invio delle proprie pubblicazioni : La Società di scienze naturali di Francoforte s. M.; l Università di Leida. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 2 agosto al 5 settembre 1897. Auguste Daubrèe 25 juin 1814 — 19 mai 1896. Macon, 1897. 8°. Baculo B. — Cuna-termostata. Napoli, 1897. 8°. Id. — Interruttore a ruote dentate Marey-Verdin, modificato. Napoli, 1897. 8°. Id. — Sulla cura del tetano. S. 1. 1897. 8°. Bunte H. — Wissenschaftliche Forschung und Chemische Technik. Karlsruhe. 1896. 8°. Cocchi I. — L' uomo fossile dell’Olmo in provincia d’ Arezzo. Parma, 1897. 8°. Id. — Protezione delle sorgenti e dei bagni idrici. Firenze, 1897. 8°. Fergola E. — Novella determinazione della costante dell’ aberrazione e della latitudine di Napoli da osservazioni fatte nel R. Osservatorio di Capodi- monte negli anni 1893-94. Napoli, 1897. 8°. Ferrari D. — Contributo allo studio di correnti elettro-organiche e di elettri- cità di minima quantità e tensione da esse svelata. Genova, 1897. 8°. Flores E. — Sul sistema dentario del genere Antracotherium Cuv. Roma, SOT ER lritsche H. — Ueber die Bestimmung der Coefficienten den Gaussischen allge- meinen Theorie des Erdmagnetismus fur das Jahr 1885 &. S. Petersburg, IS9NAN80 Le Jolis A. — Remarques sur la nomenclature algologique. Paris, 1896. 8°. Lussana S. — Contributo allo studio della resistenza elettrica delle solu- zioni, considerata come funzione della pressione e della temperatura. Pisa, liS9798802 Id. — Osservazioni sismiche fatte nei mesi di aprile-luglio del 1895 presso l’Istituto fisico della r. Università di Siena. Siena, 1897. 8°. Id. — Sul calore specifico dei gas. Venezia, 1897. 8°. — 160 — Pittei C. — Terremoto del 18 maggio 1895. Firenze, 1895. 8°. Raddi A.— Alcune osservazioni sul terremoto del 18 maggio 1895 in Firenze. Palermo, 1897. 8°. Socolow S.— Des planètes se trouvant vraisemblablement au delà de Mer- cure et de Neptune. Moscou, 1897. 8°. Stok v. der F. P. — Wind and Weather, Currents, Tides and Tidal Streams in the Indian Archipelago. Batavia, 1897. f°. (Dono del Governo Neer- landese). Torossi G. B. — La sezione scientifica all’ Esposizione internazionale di Bruxelles. Treviso, 1897. 8°. Trinchera B. — Nuovo sistema per rendere più facile l'antico metodo di fondare con calcestruzzo ecc. Napoli, 1897. 8°. Valenti G. — Sopra i primitivi rapporti delle estremità cefaliche della corda dorsale e dell’ intestino. Pisa, 1897. 8°. Verson E. La evoluzione del tubo intestinale nel filugello X. Padova, MESEY SP, PB: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 19 settembre 1897. Matematica. — Sul postulato della continuità. Nota del Cor- rispondente G. VERONESE. Nella introduzione dei miei Yondamenti di Geometria ho dato due ipo- tesi (VI e VIII) per stabilire la continuità relativa e la corftinuità assoluta della forma fondamentale (che corrisponde alla retta nella geometria), vale a dire la continuità in un campo finito, per tutti i segmenti del quale vale il postulato d’Archimede, e la continuità quando si ammettono i segmenti infiniti e infinitesimi attuali (!). Nei Yondamenti ho detto che il continuo intuitivo non si definisce, ma che pel geometra basta definire il continuo come un gruppo di punti assoggettato a certe proprietà. In qual modo si formi in noi l'intuizione del continuo è un problema che spetta al psicologo risolvere, se pure può essere risolto; come si determini il continuo come un gruppo di punti spetta al geometra. Il metodo più naturale per determinare (!) Le critiche dei sigg. G. Cantor, W. Killing e L. Schénflies contro la mia teoria degli infiniti e infinitesimi non sono esatte. Nulla ho da mutare sostanzialmente alla mia teoria. I miei critici stessi non sono d’accordo sui punti che essi credono difettosi della teoria stessa. Il sig. Killing trova possibile ciò che per G. Cantor non era possibile; il sig. Schénflies critica le osservazioni critiche del sig. Killing, ma il sig. Schònflies erra anche lui sostenendo che non è possibile la moltiplicazione coi miei numeri transfiniti e infinitesimi, perchè i numeri da lui scelti non appartengono al mio sistema, e non è vera la distinzione che egli fa tra i miei numeri e quelli del sig. Levi-Civita. Infine non è esatta l’asserzione che non si possa stabilire una geometria proiettiva con segmenti infi- niti e infinitesimi attuali. RenDICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 21 - 04, questo continuo è appunto quello che ricava le varie proposizioni fondamentali (postulati o ipotesi) dall'osservazione, di guisa che esse o esprimano dei fatti semplici da tutti osservati, sia pure facendo astrazione da alcune qualità degli oggetti a cui si riferiscono, oppure esprimano delle proprietà che non contraddicano a quelle le quali servono a costruire o a determinare la figura corrispondente al campo della nostra osservazione. Determinando il continuo rettilineo mediante i numeri reali ordinari stabiliti per via di simboli, a partire da un punto come origine, oltre che si introducono nel concetto del continuo geometrico altri concetti ad esso estranei, si subordina il continuo a quello dei numeri ordinari, assoggettando così il continuo rettilineo al postulato d'Archimede. Nei Fondamenti ho fatto vedere che anche ammettendo gl’ infiniti e infinitesimi non si contraddice alle proposizioni ricavate direttamente dal- l'osservazione e necessarie per dimostrare la proprietà della figura corrispon- dente allo spazio fisico. Ma ho anche osservato che non ho bisogno di am- mettere l'esistenza fisica di segmenti infiniti o infinitesimi attuali, nello stesso modo che non ho bisogno di supporre che lo spazio fisico sia conte- nuto in uno spazio materiale a un numero maggiore di dimensioni per giu- stificare la concezione dello spazio generale che ha un numero infinito di dimensioni ('). La questione sulla validità dei postulati e da me accennata nei Fonda- menti e altrove (?), è questa: Dato un primo postulato semplice A (vale a dire non scomponibile in parti) (*), un altro postulato B è compatibile o non col postulato A, in modo cioè che da A e B non si deduca qualche contraddizione? Nei Fondamenti ho sostenuto che tale possibilità ha mag- giore sicurezza quando è dimostrata logicamente; ma in difetto di tale di- mostrazione possiamo contentarci dell'esperienza quando i postulati A e B sono tratti dalla diretta osservazione interna od esterna, la quale ultima si estende ad una sola parte dello spazio fisico. Ammessi universalmente per veri i postulati che si osservano direttamente sugli oggetti esterni, la que- stione è ridotta a provare per via logica che la estensione dei detti postu- lati a tutto lo spazio, costruito ad es. mediante le rette illimitate passanti per un punto 0, come l'ammissione di altri postulati, è logicamente possi- bile; e che lo è anche geometricamente in quanto agli enti contenuti in S, anche se S è il nostro spazio generale, possiamo applicare l'intuizione spa- ziale e quindi anche il metodo geometrico costruttivo. (1) La confusione fra lo spazio geometrico e lo spazio fisico senerò alcune critiche di filosofi e anche di matematici contro la mia concezione dello spazio, che non hanno alcun fondamento. (2) Osservazioni sui principî della geometria. Atti della R. Acc. di Padova, 1894. (3) Ad es. il postulato che una retta è determinata da ogni coppia dei suoi punti, contiene tante parti quante sono le coppie di punti della retta. — 163 — Le ipotesi VI e VIII dei Zondamenti le ho giustificate brevemente mediante i numeri stessi che da quelle ipotesi si ricavano, supponendo come è possibile che quei numeri siano poi stabiliti indipendentemente da quelle ipotesi. Ma nella mia Nota: Intorno ad alcune osservazioni sui segmenti infiniti e infinitesimi attuali, ho accennato ad un metodo diretto e geome- trico più generale per dimostrare la possibilità di quelle ipotesi ('). Un tale metodo mi permette anche di dimostrare che per stabilire i fondamenti della geometria non è necessario dare un postulato per la continuità della retta. Ciò chiarirà ancora meglio la indipendenza del continuo dal postulato d’Archimede, mentre dal postulato del continuo del sig. Dedekind si trae tosto quello d’Archimede, appunto perchè, per formulare il suo postulato, De- dekind si fonda sulla corrispondenza dei punti della retta ai numeri reali ordinari. Questo metodo sarà svolto interamente nell’Appendice dei miei £/e- menti di Geometria (*), ma per l’importanza che ha nella matematica il concetto del continuo non parmi inopportuno di comunicare intanto in questi Rendiconti i risultati della mia ricerca. 1. Le ipotesi VI e VIII dei Yondamenti sono riunite negli Elementi nel post. XI, cioè: A. Se un segmento (XX) sulla retta cogli estremi sempre variabili in verso opposto diventa indefinitamente piccolo, esso contiene almeno un punto distinto dagli estremi. Il segmento viene qui considerato in quanto esso diventa indefinitamente piccolo, e quindi possiamo supporre che i punti X si mantengano sempre da una stessa parte dei punti X' e viceversa. Indefinitamente piccolo significa che il segmento diventa e rimane da un certo suo stato più piccolo di ogni segmento scelto ad arbitrio. Al detto postulato sono premessi nei Mondamenti e negli Zlementi: I) il post. I: esistono punti distinti; II) il post. II secondo il quale: dato un punto qualsiasi A nella retta, esistono in un dato verso due segmenti l’ uno col primo l’altro col secondo estremo nel punto A ed equali ad un segmento XY nella stessa retta e nel verso dato. Negli Elementi ammettiamo semplicemente (post. VI) e nei Mondamenti implicitamente nel concetto di eguaglianza che un segmento non è eguale od una sua parte (3). (1) Math. Annales, vol. 47, 3. (2) Padova, ed. Drucher, 1897. (3) Nel post. II degli Elementi è ammessa per ragioni didattiche la invertibilità del segmento, cioèù AB= BA, mentre nei Mondamenti è dimostrata. Essa non ha del resto al- cuna influenza sulla questione di cui qui ci occupiamo. — 164 — Oltre alle prop. I) e II) dobbiamo ammettere pure quest’ altro postulato : III) in ogni segmento (AC) a partire da un punto A in un dato verso della retta, vi è almeno un punto distinto dagli estremi (1). Colla prop. II) si dimostra la prop. III) per ogni punto della retta. Dalla II) si deducono facilmente i teoremi della somma e della diffe- renza di due e più segmenti, dei multipli e summultipli di un segmento (2). Dalla II) e dalla III) si deduce facilmente che la somma di due segmenti che diventano indefinitamente piccoli diventa pure indefinitamente piccola. Dalle prop. I), II), III) non si deduce senza la A che il segmento è di- visibile in # parti eguali, e per ciò non possiamo far uso, anche volendo, dei numeri frazionarî. Posto ciò procediamo così: Der. I. Dicesi purto improprio ogni segmento (XX) che ha gli estremi sempre variabili in versi opposti sulla retta e diventa indefinitamente piccolo. I punti dati dal post. I si chiamano punti propri. Secondo questa definizione il punto improprio è determinato non tanto dalle serie dei punti X e X' quanto dal fatto che (XX') diventa indefinitamente piccolo; vale a dire scelto uno dei segmenti (XX) piccolo ad arbitrio, i seg- menti (XX') in esso contenuti determinano lo stesso punto improprio. Ogni punto proprio è determinato da un punto improprio. Der. II. Due punti dati (XX') e (YY?), tali che X, X', Y e Y' si se- guono nel verso da X a X', si dicono coincidenti, quando ogni punto proprio X sia un punto Y o compreso fra punti Y; ovvero ogni punto X' sia un punto Y' o compreso fra punti Y'. Ciascuna di queste condizioni ha per conseguenza l’altra. Tale definizione è verificata da tutti i punti improprî che determinano lo stesso punto proprio, o da due punti improprî che determinano due punti proprî coincidenti. Osservo ancora che quando i due punti (XX), (YY') coincidono non può essere che fra punti Y vi siano punti X'. Dalla def. II segue inoltre che il segmento (XY) resta maggiore di un certo segmento e, se i due punti (XX'), (YY') sono distinti, e inversamente. Der. III. Due punti improprî (XX'), (YY') sì seguono in un verso della retta, quando considerati i detti punti determinati da segmenti (X, X1'), (Y, Y;) abbastanza piccoli (def. I), i punti X,, X;', Y,, Y}/, si seguono nel verso dato. In virtù di questa definizione valgono per l'ordine dei punti improprî le stesse regole che pei punti proprî. (1) Questa prop. è contenuta con la prop. A nel post. XI degli Elementi ed è invece dimostrata nei Mondamenti mediante le ipotesi sugli infiuiti e infinitesimi. (2) Vedi Elementi, nn. 7, 8, 9, 10: se non si fa uso della prop. AB= BA, allora bisogna tralasciare il teor. I del n. 8; vedi anche Fondamenti (nn. 72, 78, 74 e 79). — 165 — Der. IV. Per segmento di due punti impropri (XX'), (YY') s' intende la coppia delle due serie di segmenti proprî (XY), (X'Y') e che indicheremo col simbolo [(XX'), (YY')]. Per la determinazione del segmento basta considerare quei punti X e X', Y e Y' tali da essere contenuti in due segmenti (X, X,') e (Yi Y\') piccoli a piacere, e tali dunque che (X'Y) si mantiene superiore al segmento dato (Xx Ya). Se i punti (XX'), (YY') determinano due punti proprì L e L', il seg- mento [(XX') (YY')] determina il segmento (LL'), e viceversa. Ogni segmento proprio (LL') può essere considerato come un segmento che unisce due punti improprî. Der. V. Due segmenti [(XX*) (YY*)], [(XxX) (Y1Y')] si dicono eguali se la differenza di (X' Y) e (X,' Y) diventa indefinitamente piccola. Per ciò, se ad ogni segmento (X' Y) è eguale un segmento (X.' Y,) e vi- ceversa, 1 due segmenti improprî sono eguali. Der. VI. Il segmento [(XX') (YY')] dicesi mizore 0 maggiore del seg- mento [X, X,') (Y, Y;')], se si può dare un segmento e tale che la differenza (XY) — (XY) oppure (X.' Ya) — (X' Y) diventi e resti maggiore di s. Mediante le premesse definizioni si dimostra: a) Ogni segmento improprio non è eguale ad una sua parte. d) Dato un punto (AA) e un segmento [(XX') (YY')] in un dato verso esistono în questo verso due segmenti impropri l’uno col primo estremo l’altro col secondo estremo în (AA) equali al segmento dato. La prop. II) è così completamente verificata anche dai punti impropri, e quindi anche i teoremi sopra citati della somma, differenza e dei multipli e summultipli dei segmenti (!). Si dimostrano inoltre queste altre proposizioni : c) Dato un segmento qualunque [(XX') (YY')] esiste in esso un punto improprio distinto dagli estremi. E date le definizioni di segmento improprio variabile e di segmento im- proprio che diventa indefinitamente piccolo come pei segmenti proprî sì ha: d) Se un segmento improprio [(XX') (YY')] cogli estremi sempre variabili in versi opposti diventa indefinitamente piccolo, esso contiene un punto improprio distinto dagli estremi. Questa prop. corrisponde al postulato A della continuità dato nei ox- damenti e negli Elementi pei punti proprî. Se si ammette pei segmenti proprî anche il post. d’ Archimede (post. XII degli Elementi) allora si dimostra la stessa proposizione anche pei segmenti impropri. (1) Se si ammette la prop. AB= BA nella II), come negli Elementi, allora si dimostra facilmente mediante la def. V che la stessa prop. vale pei segmenti impropri. — 166 — Con questi postulati si dimostra la divisibilità del segmento in 7 parti eguali. I postulati fin qui dati per la retta riguardano la retta in sè, e con essi, eccettuato il post. d' Archimede, estendendo il concetto del punto si può evitare di dare un postulato per la continuità della retta. 2. Ma ammessi gli altri postulati necessarì per stabilire la geometria dello spazio, si può evitare di dare un nuovo postulato per la continuità della retta ? Negli Elementi questi postulati sono per la geometria Euclidea i postu- lati III, IV, VI,, VII e X (') che sono indipendenti dal postulato d’ Archi- mede ed anche dai concetti d' infinito e infinitesimo, come lo è la prop. A. A tale scopo dobbiamo rendere il concetto del punto improprio indipendente dalla retta. A tal proposito osserviamo che se due rette hanno un punto proprio O in comune, supponendo determinato questo punto nelle due rette da due punti improprî (XX'), (YY') nel senso della def. I, n. 1,i segmenti (XY), (X'Y') diven- tano pure indefinitamente piccoli, perchè gli altri due lati nei triangoli OXY, OX'Y' decrescono indefinitamente. Per la stessa ragione diventano indefinita- mente piccoli i seguenti (XY), (X'Y). Dunque diremo: Der. I. Date due serie distinte qualunque di punti (X) (X') tali che il segmento (XX') diventi indefinitamente piccolo e in quanto esso diventa indefinitamente piccolo lo chiameremo punto improprio. Questa definizione comprende come caso particolare quella del punto improprio del n. 1. ì Der. II. Due punti dati (XX'), (YY') si dicono coincidenti se il segmento (XY) diventa indefinitamente piccolo. Da ciò segue che tutti i segmenti determinati dai punti X e X' coi punti Y e Y' diventano indefinitamente piccoli. Der. III. L'insieme delle rette proprie che si ottengono congiungendo due punti proprî (XX'), (YY') lo chiameremo retta impropria. E per segmento improprio dei due punti (XX), (YY') intenderemo l' in- sieme dei segmenti proprî determinati dalle stesse due serie di punti (XX), (10) Se i punti (XX'), (YY') determinano due punti proprî L e M, la loro retta impropria determina la retta propria LM. In tal caso i due punti im- proprî a cui danno luogo nella retta i punti L e M coincidono rispettiva- mente coi punti (XX), (YY') (def. II). La eguaglianza e la diseguaglianza di due segmenti improprî si defini- scono come precedentemente (def. V e VI, n. 1). (*) I rimanenti postulati III, V, VIII, IX, XIII e XIV possono essere dimostrati mediante i rimanenti, come dirò nell’appendice degli Elementi, e ammessi i postulati I, II, IV, VI, VII e X in un campo € corrispondente al campo della nostra osserva- zione, essi possono essere ammessi o dimostrati per tutto lo spazio $. — 167 — Così si dimostrano in modo analogo le proposizioni 4) 2) c) 4) del n. 1, e ammesso che sia il postulato d' Archimede pei segmenti proprî, lo si di- mostra pei nuovi segmenti improprî, onde resta dimostrato che ogni segmento improprio è divisibile in 7 parti eguali. Oltre a ciò si dimostrano i postulati IV, VI, VII e X sopra accennati. Per i punti improprî così stabiliti non è dunque necessario stabilire la prop. A della continuità con un postulato, e si può svolgere la geometria per essi come per i punti proprî, senza bisogno di tener più conto della distinzione fra punti proprî e punti improprî. 8. Ciò che precede non solo conduce a questo risultato ma anche a quello che la prop. A applicata ai punti proprî mediante un postulato (ip. VI e VIII dei Fondamenti o post. XI degli Elementi) non può condurre ad alcuna contrad- dizione, perchè essa equivale alla prop. d) che fu dimostrata pei punti improprî. La differenza sta solo in ciò: che colle ipotesi suddette o col postu- lato XI degli Elementi imaginiamo intuitivamente che come ogni punto proprio può essere considerato come un punto improprio, inversamente ogni punto improprio determina un punto proprio. Ma tale intuizione non ha alcuna con- seguenza sullo svolgimento logico della geometria che è lo stesso tanto pei punti improprî come pei punti proprî pei quali si dà la prop. A senza dimo- strazione. Passando poi dalla teoria alle applicazioni pratiche, non occorre dare alcun postulato pratico, come abbiamo dovuto darlo per le tre dimensioni dello spazio fisico e per il movimento senza deformazione, perchè ogni punto improprio determina un punto nello spazio fisico, e quindi i risultati ottenuti coi punti improprî si applicano senz'altro anche in questo spazio nei limiti deli’ osservazione. Un'ultima avvertenza. Il post. XI dei miei Elementi o la prop. A accennata in principio di questa Nota ha il vantaggio rispetto all’ ip. VI e VIII dei Yondamenti di essere indipendente da qualunque considerazione sui segmenti finiti, infiniti e infinitesimi, e di porre quindi tale questione sotto un altro punto di vista. Dai post. I-X dei miei Elementi (di cui, come dissi, aleuni sono conseguenza degli altri) non si può dimostrare il postulato d'Archimede (post. XII). Ciò risulta sia dai Fondamenti, sia dai numeri del sig. Levi-Civita (1). Costruita colla prop. II) una scala a partire da un'origine A sulla retta con un segmento (AB) come unità, i segmenti (AC) maggiori di (AB) e compresi nel campo della scala soddisfano rispetto ad (AB) ii post. d' Archimede, e tali segmenti li ho chiamati /i%%. Per i segmenti (AC) minori di (AB) può esservi o non un numero 7 tale che (1) (AC) #> (AB); (!) Atti del. R. Istituto Veneto, 1894. — 168 — nel primo caso (AC) e (AB) sono finiti, nel secondo (AC) è infinitesimo rispetto ad (AB), e (AB) è infinito rispetto ad (AC). Considerando il solo campo dei segmenti finiti rispetto ad (AB), quando un segmento (YY') di questo campo diventa indefinitamente piccolo, vuol dire che non diventa già più piccolo di ogni segmento scelto ad arbitrio, come diventa il segmento (XX') della prop. A, ma diventa e rimane più piccolo di ogni segmento finito scelto ad arbitrio. Se ammettiamo il postulato d’ Archimede per tutti i segmenti della retta, allora i due segmenti (YY') e (XX) si confondono e quindi i punti Y,Y' determinano un solo punto. Ma se si ammette che il postulato d' Archimede non valga per tutti i segmenti della retta (come risulta appunto possibile dai postulati I-X sopra citati) allora il segmento (YY') determina un campo di punti che sono estremi di segmenti infinitesimi. E costruendo una scala in questo campo si può ripetere la stessa considerazione, di guisa che si viene a costruire così degli infinitesimi di un ordine sempre inferiore ai precedenti. E così si possono immaginare costruiti degli infiniti di ordine diverso rispetto alla unità (AB). La differenza che c'è fra il mio sistema di infiniti e infinitesimi e quello del sig. Levi-Civita nel campo dei segmenti infiniti e infinitesimi d'’ ordine finito, è questa: che mediante la ipotesi IV dei Nondamenti, io ammetto che esista un primo segmento infinitesimo rispetto ad (AB), così che ho i segmenti infinitesimi di 1°, 2°... 7°... ordine edi segmenti infiniti di 1°, 2°...7"°... ordine rispetto ad (AB) (e così rispetto ad un qualunque segmento dato), mentre gli ordini d' infinitesimo o d' infinito del sig. Levi-Civita corrispondono a tutti i numeri reali ordinari. Il mio sistema di segmenti e di numeri è compreso in quello del sig. Levi-Civita, ma forma un gruppo nel senso che colle operazioni fondamentali dell’aritmetica ordinaria esso sì trasforma in sè medesimo. È possibile dunque in questo campo una geometria proiettiva contraria- mente all’asserzione del sig. Schonflies. Matematica. — Su alcuni punti singolari delle curve alge- briche, e sulla linea parabolica di una superficie. Nota del Cor- rispondente CORRADO SEGRE. 1. Sia dato un punto, il quale stia, con singolarità qualunque, su una o più curve algebriche. Si soglion considerare per esso certi numeri invarianti per trasformazioni proiettive: come le multiplicità, immediate e successive, gli ordini dei vari rami completi, le loro classi, ecc., i contatti fra questi rami, ecc.: numeri da cui dipendono i caratteri plùckeriani delle curve, le loro multiplicità d’intersezione nel punto nominato, ecc. All'infuori di questi — 169 — vi sono altri invarianti delle singolarità, i quali si presentano in altre que- stioni, pure importanti. Limitiamoci, per brevità, alle curve piane: sebbene, come il lettore vedrà, la considerazione seguente si possa subito estendere alle curve sghembe. Prendiamo in un piano due rami parziali di una stessa curva algebrica, o di due curve algebriche diverse, i quali abbiano la stessa origine O e la stessa tangente /, ed abbiano inoltre con questa un contatto ugualmente ele- vato, cioè u-punto, o d'ordine u — 1, dove w indichi un numero intero 0 fratto, maggiore di 1. Assumendo coordinate cartesiane #y con O per origine e % per asse delle x, lo sviluppo di y in serie di potenze di x sarà pel 1° ramo parziale (1) y=aat+-, e pel 2° ramo (1') y=daat Similmente, se si prende un altro sistema di coordinate cartesiane XY, differente da quello solo pel cambiamento dell'asse delle y, si avrà pel 1° ramo (2) Y=AXH+.., e pel 2° ramo (2') VENAX+... Ora le formole che legano i due sistemi di coordinate siano : a=pXH qY y=rY. Sostituendole nella (1), viene rY=a(pXH qY)} +; e qui ponendo per Y in ambi i membri lo sviluppo (2), e poi confrontando i termini simili, cioè con le stesse potenze di X, si hanno relazioni che pos- sono servire a ricercare gl’invarianti sopra nominati. Limitandoci qui al con- fronto dei termini più bassi, cioè dei termini in X*, otteniamo subito ME. P Analogamente pel 2° ramo, dagli sviluppi (1’) e (2’) si trae Ausl r Quindi AIAR Tax: RenpIcONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 22 — 170 — ossia: il rapporto « : 4' relativo agli sviluppi (1) e (1’) è indipendente dalle coordinate (cioè dalla scelta dell'asse delle y). D'altra parte quel rapporto ha un significato geometrico assai semplice: esso è il limite del rapporto y :y' delle ordinate di due punti situati sui due rami e corrispondenti ad una stessa ascissa 4, quando questa diminuisca indefinitamente. Abbiamo dunque il seguente risultato: se una trasversale condotta secondo una direzione as- segnata (diversa da quella della tangente) taglia i due rami mei due punti P, P' e la tangente nel punto T, e la si fa variare in modo che venga a passare per l’origine O dei rami, il rapporto dei segmenti TP, TP tende ad un limite ben determinato, indipendente dalla direzione di quella trasversale. Evidentemente il limite del rapporto TP : TP' è lo stesso che quello del birapporto (MTP'P), ove M indichi un punto qualunque della trasversale, il quale rimanga a distanza finita dai tre punti P, P', T, infinitamente vicini tra loro. Dunque: quel limite, indipendente dalla direzione della trasver- sale, si può anche definire come il limite del birapporto (MTP'P), essendo M un punto qualunque che rimanga ben distinto dall’ origine O dei rami. Di qui appare che: esso è un invariante, per trasformazioni projettive, del sistema dei due rami. Possiamo ancora dare allo stesso rapporto una forma metrica notevole. Assumiamo per asse delle y la normale in O a #; e consideriamo le curva- ture dei due rami nei due punti P,P' corrispondenti ad una stessa infi- nitesima. Se facciamo i calcoli trascurando sempre gl'infinitesimi superiori, possiamo anzitutto riguardare come uguali fra loro (e uguali ad #) gli archi infi- nitesimi OP, OP' dei due rami. Quindi il rapporto delle curvature nominate, in P, P, sarà uguale al rapporto degli angoli (di contingenza) delle tangenti ai due rami in P, P' con la #. L'angolo che fa con / la tangente in P al 1° ramo sì può sostituire con la propria tangente trigonometrica di cioè, in causa della (1). con wax®; e similmente l'angolo di : colla tangente in P' al 2° ramo verrà uguale a ua": onde il rapporto dei due angoli sarà 4 : d/. Dunque: la quantità invariabile per trasformaziani projettive, a cui sti riferivano gli enunciati precedenti, è il limite al quale tende il rapporto delle curvature dei due rami in due punti infinitamente vicini all’ ori- gine O, situati su una stessa perpendicolare alia tangente t. — Le curvature dei due rami in P, P', cioè uaxt7®, ua'x-?, acquistano valore (limite) nullo od infinito quando quei punti vengono in O, se è u = 2; mentre seu= 2 le curvature in O prendono i valori finiti ua, ua'. Nel caso di u= 2 l’îin- variante considerato si può definire brevemente come il rapporto delle cur- vature dei due rami nella loro origine comune. 2. Se son date una o più curve di un piano, passanti per O, basterà accoppiare in esse (ove esistano) rami parziali uscenti da O, i quali facciano — 71 parte di cicli (o rami completi) diversi ('), ma abbiano comune la tangente e l'ordine di contatto con questa: formando per tutte queste coppie di rami parziali i rapporti invarianti definiti nel n. 1 si otterranno degl’invarianti relativi alle date curve ed alle singolarità che esse hanno in O. Così se O è un ordinario punto di contatto per due curve, oppure è ‘punto di contatto per due rami lineari (di 1° ordine e 1* classe) di una stessa curva, otteniamo come invariante il rapporto delle curvature in O delle due linee o dei due rami. La proposizione che stabilisce il carattere projet- tivo di questo rapporto è dovuta. pare, al sig. Mehmke (?), ed anche al sig. Wolffing (3): quest'ultimo vi fu condotto da un'osservazione anterior- mente fatta, e che citerò tosto, su un particolare punto di contatto di due rami. — Prima però consideriamo, più in generale, una curva / avente in O un punto doppio con un'unica tangente 7, e con due rami a contatto u-punto con #, essendo « un intero qualunque => 2. Assumendo ancora 0 come ori- «gine delle coordinate e # come asse delle x, l'espressione di /, ordinata se- condo le potenze crescenti di y, e (subordinatamente) di 4, sarà 0) (=(00t +) + yet +) +g7+-9+; ove @y+ 0, mentre # potrà anche esser nulla. Gli sviluppi in serie che rap- presentano i due rami saranno dati dalle (1) e (1°), ove 4 e &' son le ra- dici dell'equazione in a a+ fa + ya° = 0. Quindi l'invariante «:@' del n. 1 viene in questo caso ad esprimersi mediante il rapporto #° : @y formato coi coefficienti di /; e però anche questa quantità #° : «y (la quale, diminuita di 2, darebbe la somma dell’ invariante primitivo col suo reciproco) sarà un invariante della curva /; il che sì ve- rifica anche direttamente trasformando la (3). Supponiamo ora che nella (3) sia 8= 0: ciò si può interpretare geo- metricamente dicendo che la curva 1% polare di un punto generico del piano rispetto ad /. invece di avere in O con 7 incontro u-punto, ha incontro più elevato. Da 8=0 seguirà @:4 = — 1. Dunque: una trasversale che tagli { in un punto T infinitamente vicino ad O incontra i due rami in due (®) Due rami parziali di uno stesso ciclo non darebbero evidentemente nulla di utile : l’invariante 4: a’ si ridurrebbe per essi ad una radice dell’unità. (®) Zinige Sùtze diber die riumliche Collineation und Affinitàt, welche sich auf die Krimmung von Curven und Flichen beziehen (Zeitschr. f. Math. u. Phys., t. 36, 1891). Qui anzi la proposizione è data (fra molte altre della stessa natura) in generale per curve sghembe. In una Nota successiva, dello stesso volume, essa viene estesa a trasformazioni puntuali più generali che quelle projettive. (3) Das Verhiltniss der Krimmungsradien im Berihrungspunkte zweier Curven (Zeitschr. f. Math. u. Phys., t. 38, 1893). — 1722 — punti P, P' infinitamente vicini ad O, i quali sono equidistanti da 0; 0, se la trasversale è perpendicolare a ‘, sono simmetrici rispetto a #. Più breve- mente: nell’ intorno di O i due rami sono disposti simmetricamente rispetto alla tangente £. Oppure, sotto forma projettiva, profittando della rappresentazione di a: a come birapporto (n. 1): nell'intorno di O i due rami si possono riguardare come corrispondenti in un’ omologia armonica di asse # e col centro in un punto arbitrario esterno a 7. Se è u=2, l'equazione (3), 0, se si vuole, (4) ICE PIP dove le g sono forme di «, y, degli ordini indicati dai loro indici, rappre- senta una curva che ha in generale in O un facrodo ordinario, punto di con- tatto di due rami completi di 1° ordine e 1® classe. La supposizione che nella (3) sia 8=0, cioè che manchi il termine in x°y, sicchè l'insieme dei termini di 3° grado contenga il fattore y*, dà un particolare tacnodo, che si può chiamare facnodo armonico 0 tacnodo simmetrico. Quest'ultima de- nominazione è usata dal sig. Wòlffing, il quale s' è imbattuto in questa sin- golarità, nello studio del covariante Hessiano, rilevando che : mentre un tacnodo ordinario di una curva / è triplo per la Hessiana di /, un tacnodo nel quale le due curvature siano uguali e opposte è quadruplo per la Hessiana ('). Avvertiamo, di passaggio, che ha luogo la seguente proposizione più gene- rale (*): Se una curva f ha in O un punto s-plo coll unica tangente t, la sua Hessiana, la quale avrebbe în generale in O multiplicità 38 —3, avrà invece una multiplicità maggiore solo quando nell'equazione di f riferita ad O come origine e a t come asse y=0 manchino tutti quei termini di grado s+4-1 che non contengono il fattore y°; vale a dire quando la po- lare d'ordine s4-1 di O rispetto ad f contiene la retta t contata s volte [cioè ha un punto (s-+ 1)-plo P]; ossia quando O è punto (s + 1)-plo per una 1° polare di f [la 18 polare del punto P ora nominato] (3). Ritornando al tacnodo simmetrico, per esso si hanno, in quest'ultimo enunciato, ponendo s = 2, le seguenti proprietà caratteristiche : che la cu- bica polare del punto stesso si spezza nella tangente contata due volte ed un'altra retta; o che il tacnodo simmetrico è un punto doppio per Y e triplo per una certa 1 polare. Converrà ricordare anche l' interpretazione già accen- nata della condizione # = 0, vale a dire: mentre un tacnodo ordinario è sem- (1) Wolffing, Veber die Hesse' sche Covariante einer ganzen rationalen Function von terniren Formen (Math. Annalen, t. 36, 1889-90), pag. 119. (2) La si può trovare, ad esempio, in un mio lavoro che comparirà in un prossimo fascicolo del Giornale di Battaglini. (3) Sotto l’ultima forma questo teorema è contenuto in quello con cui finisce la Me- moria del sig. E. Kotter, Die Hesse sche Curve in rein geometrischer Behandlung (Math. Ann., t. 34, 1888-89). — 173 — plice punto di contatto per la rete delle 1° polari, un tacnodo simmetrico O di f è punto d' inflessione con la tangente fissa 4 per la rete delle 1° polari. Ed aggiungiamo ancora che: se O è un tacnodo ordinario con la tangente 4, la 18 polare di un punto generico di £ ha O per punto doppio con ura tan- gente in #; mentre se O è un tacnodo simmetrico, erxtrambe le tangenti in esso alla 1 polare di un punto generico di { cadono in ‘. 8. I tacnodi simmetrici delle curve piane si presentano nello studio della linea parabolica di una superficie. Si ha cioè il seguente teorema : Affinchè un punto semplice di una superficie algebrica F sia doppio per la linea parabolica, è necessario e sufficiente che per la curva intersezione di F col piano tangente nel punto questo sia un tacnodo simmetrico, oppure sta un punto triplo. Sia in fatti O un punto semplice di F, situato nella superficie Hessiana, e quindi sulla linea parabolica di F; in modo che il piano 7 tangente in O ad F seghi questa secondo una curva / avente in O un punto doppio (non triplo) con un’ unica tangente £ (tangente principale di F). Nel piano 7 la traccia del piano tangente in O alla Hessiana, cioè la tangente in O alla linea parabolica di F, sarà, com' è noto, quella retta # la quale con 7 separa armoni- camente tutte le coppie di tangenti in O alle prime polari dei punti di % ri- spetto ad /; o, ciò che è lo stesso, la congiungente di O all'unico flesso (diverso da questo punto) della cubica polare di O rispetto ad / ('). Nel caso ordinario, in cui O è una cuspide di 1 specie per /, la retta #' è ben determinata e diversa da /. Se poi O è per f un tacnodo ordinario, la tan- gente #' alla linea parabolica coincide colla tangente principale £: perchè allora la prima polare di un punto di / rispetto ad 7 ha in O come una tangente la #. La retta # diverrà indeterminata solo quando in # cadono entrambe le tangenti in O alla 1* polare di un punto generico di { rispetto ad f: ossia (v. la fine del n. 2) quando O è per / un tacnodo armonico. In questo caso dunque il piano tangente in O all’ Hessiana coincide con 7, vale a dire la curva parabolica di F ha in O un punto doppio. Si può ottenere un teorema più generale col seguente calcolo, già ini- ziato dal sig. Rohn (?). Si prenda come origine il punto O, semplice per la superficie F, e come piano <=0 il piano tangente ad F in O; e suppon- gasi che questo piano intersechi F secondo una curva avente in O un punto s-plo (s= 2). Si potrà porre P=(e+ e +) +++ + +++ (1) Si trova questa proposizione (enunciata nel 2° modo) a pag. 21 della Memoria di Clebsch: Zur Theorie der algebraischen Flichen, 1863 (Crelle J., t. 63). V. anche le dimostrazioni più geometriche dei sig. Cremona e Sturm nelle loro Memorie premiate sulla teoria delle superficie cubiche; ed una proposizione più generale alla fine di questa Nota. (2) A pag. 102 dello scritto: Das Verhalten der Hesse’ schen Fliche in den viel- fachen Punkten und vielfachen Curven einer gegebenen Flàche (Math. Ann., t. 23, 1883-84). — 174 — ove le a,#,y,... sono forme di « e y degli ordini (crescenti) indicati dai loro indici. Formiamo il determinante Hessiano di F 6 sviluppiamolo, ordi- nandolo, come F, secondo le potenze ascendenti di <, e, subordinatamente, secondo gli ordini nella coppia di variabili x,y. Si trova, se # è l'ordine di F, il prodotto di -— (n — 1)? per aerea), dove le p,w,y,... sono forme di x e y degli ordini indicati dai loro in- dici. E precisamente si vede (come già osservò il sig. Rohn) che gas, è la forma Hessiana binaria di @;; e che (qui c' importa aggiungere) gas-3 ha la seguente espressione : s_—- 2 1UPN22 DI LI TICINO. Prs-3 = 2 IIRISISIE] P, Posa “e CRGAITA un INS) — 2a, ERI O dove gli apici superiori 1,2 indicano derivazioni rispetto ad x,y. Quindi Se 5-4 s annulla identicamente, pel fatto che, ad esempio, as = y°, rimane È SD aa (peo EI CR e però »,-3 s'annullerà anch'essa solo quando @;,, sia del 1° grado rispetto ad x. Premesso ciò, e venendo alla curva parabolica di F, osserviamo che essa è l'intersezione di due superficie; l'una delle quali, F, ha in 0 un punto semplice, col piano tangente = =0 che dà una sezione / avente O s-plo; mentre l'altra, H, è tale che in essa la 2 a prima potenza è molti- plicata per forme di x,y di ordini =s—2, e che il pianos=0 la sega secondo una curva /" avente in O multiplicità s =2s—4,2s—3,2s—2,... a seconda dei casi. Orbene da queste condizioni in cui si trovano le due su- perficie è permesso conchiudere che nei tre casi s' = 2s — 4, s'=2s—3, s=2s—2 il numero s' dà la multiplicità in O della linea d’ intersezione, e che nei primi due casi le tangenti in O a questa sono le tangenti in O ad /' ('). Applicando anche le osservazioni precedenti otteniamo dunque i seguenti risultati. 1°) Se le s tangenti principali di F in O non coinei- dono tutte in una, la linea parabolica ha in O multiplicità 2s — 4 e per tangenti l Hessiano binario del gruppo di quelle s tangenti principali (Rohn, loc. cit.). 2°) Se le s tangenti principali di F in O coincidono in una retta t, la linea parabolica ha in generale in O multiplicità 2s — 3 e per tangenti: la retta t contata s—2 volte, e le s — 1 rette costituenti (1) Ciò si dimostra segando con un piano qualunque passante per.0, e in partico- lare con un piano passante per una di quelle tangenti di //, e calcolando la multiplicità d’intersezione in O delle sezioni fatte da quel piano nelle due superficie. Cfr. il n. 12 della mia Memoria già citata del Giornale di Battaglini. SE — la 2° polare di un punto qualunque di t rispetto alla curva polare d' ordine s+14d70 rispetto ad f (essendo f la traccia di F sul piano tangente in O), ossia le s—1 rette che congiungono O ai flessi di questa curva d’ ordine s+1. 3°) Perchè il punto O sia multiplo almeno secondo 2s — 2 per la linea parabolica è necessario e sufficiente che, oltre a coincidere in una retta t le s tangenti principali di F, la retta t contata s volte faccia parte della curva d'ordine s+1 dianzi nominata, cioè che O sia punto (s+ 1)-plo per una curva 1° polare rispetto ad f. Chimica fisica. — Sopra alcune recenti leggi riguardanti il volume molecolare dei liquidi. Nota del Corrispondente R. NasInI. Da più anni il prof. I. Traube pubblica nei più accreditati periodici di chimica e di fisica tedeschi numerosi lavori sui volumi molecolari delle sostanze in soluzione e di quelle liquide, lavori certo degni di considerazione per le molte determinazioni in essi contenute, per i molti calcoli e gli inge- gnosi ravvicinamenti che l’autore istituisce. Con queste Memorie egli crede di aver dimostrato che ai liquidi, e precisamente prendendo in considerazione i volumi molecolari determinati col solito mezzo, dividendo cioè il peso mo- lecolare per il peso specifico, e riferiti alla temperatura di 15° e di 0°, sono applicabili le leggi del Gay-Lussac, del Mariotte e dell'Avogadro, onde con una sola determinazione di peso specifico si potrebbe stabilire il peso molecolare ; resultato quant'altro mai interessante e sorprendente. Sino da principio a me non parve che i lavori del Traube avessero il significato e soprattutto la portata che egli successivamente volle loro attribuire, e m' immaginava che, in qualche rivista dei suoi lavori, ciò sarebbe stato messo in rilievo: invece egli seguita a pubblicare dando forma sempre più apparentemente rigorosa alle sue deduzioni, cosicchè riesce ormai difficile di rintracciarne l'origine, ed esse cominciano già a introdursi nei trattati, come p. es. in quello assai prege- vole del Reychler ('). Per queste ragioni, e anche perchè di questo argomento mi sono dovuto occupare quest'anno nel mio corso di chimica fisica e perchè da più parti mi è stato domandato quello che pensava di questi lavori, ho creduto opportuno di esporre le mie idee su di essi. Sarò ben lieto se mi si potrà mostrare che io ho errato nei miei apprezzamenti, almeno nella parte fondamentale; la chimica fisica avrà così una importante serie di leggi di più. Se poi sono nel vero, reputo di aver fatto opera utile alla scienza impedendo che passi nel suo patrimonio, sia pure per non molto tempo, ciò che, per lo meno, non resulta ben fondato (2). (1) Les T'héories physico-chimiques par A. Reychler. Bruxelles, Lamertin, 1897. (2) Credo opportuno, perchè si possano fare i necessarî confronti, di dare l’ elenco dei lavori del Traube. Ueber Molecularvolumina gelùster Stoffe. Ber. 25, p. 2524 (luglio 1892).} — 176 — Nella sua Memoria riassuntiva pubblicata nel 1896 negli Annali di Liebig il Traube così stabilisce i valori dei volumi atomici, che ricava dalle sostanze in soluzione, ma che poi, come vedremo, applica anche per calcolare i volumi molecolari dei liquidi. Il volume molecolare in soluzione — moleXulare Lòsungsvolum vm — si ri- cava nel seguente modo dove mm è il peso molecolare, d il peso specifico della soluzione e d è il peso specifico dell'acqua. Come è noto si era visto che v, assumeva valori di- versi colla diluizione, colla natura del solvente; qualche volta si avevano per esso anche dei valori negativi. Il volume molecolare di soluzione delle sostanze organiche disciolte nell'acqua differisce più o meno dal volume molecolare del liquido (V,n): pel solito è minore e coll’ aumentare della concentrazione v, tende a diventare uguale a V,,. Confrontando sostanze omologhe si vede che per una differenza Ueber die Molecularvolumina gelòster Alkali-Salze und Sauren, und deren Beziehungen zu dem Atomvolumen der Elemente. Zeitschr. fir anorg. Ch. 3, p. 11. Das atomare und moleculare Lòsungsvolumen. Zeitschr. fùr anorg. Ch. 8, p. 12. Die Grundlage eines neuen Systems der Elemente. Zeitschr. fùr anorg. Ch. 8, pag. 77. Das atomare und moleculare Lòsungsvolumen. Ber. 27, p. 3173. Die Grundlage eines neuen Systems der Elemente. Ber. 27, p. 3179. Ueber die Ursache des osmotischen Druckes und der Jonisation. Zeitschr. fùr anorg. Ch. 8, pag. 323. Molecularbestimmung fester, flissiger und gelòster Stoffe. Zeitschr. fiir anorg. Ch. 8, p. 388. Methode der Moleculargewicht- und Constitutronsbestimmung. Ber. 28, p. 410. Ueber das moleculare Lòsungsvolum und Molecularvolum organischer Verb. Lieb. s Ann. 290, pag. 43. Ueber das Molecularvolum. Ber. 28, p. 2722, 1895. Molecularvolumetrische Methode der Moleculargewichtsbestimm. Ber. 28, p. 2728. Molecularvolumetrische Methode der Moleculargewichts- und Constitutionsbestimmung. Ber. 28, pag. 2924. Ausdehnung der Gesetze von Gay-Lussac und Avogadro auf homogene Fhissigheiten und feste Stoffe. Ber. 28, p. 3292. Molecularvolumetrische Methode der Moleculargewichtsbestimm. Ber. 29, p. 1023. Veber Racemie. Ber. 29, p. 1394. Lichtbrechung und Dichte. Ber. 29, p. 2732. Ueber Atomrefractionen von Kohlenstofi, Wasserstoff, Sauerstoff und Halogenen. Ber. 30, pag. 39. Ueber Atomrefraction des Stickstoffs. Ber. 30, p. 265. Ausdehnung des Gesetzes von Bayle, van Waals, Gay-Lussac auf homogene Fhissig- keiten. Wiedemann®s Annalen, 61, p. 380. Zur Kinetik der fhissigheiten. Wiedemann's Annalen 61, p. 391. Ausdehnung des Gesetzes von Avogadro auf homogene Flissigkeiten. Wiedemann's An- nalen, 61, p. 396. — 177 — di CH, c'è una differenza costante nel volume molecolare di soluzione: il Traube ammette che il valore più giusto per questa differenza sia quello di 16.1 che ricava dagli acidi grassi: i valori estremi per CH, sono 17.7 e 14.0. Presso a poco la stessa differenza trovò Horstmann per i volumi mo- lecolari dei liquidi a zero. Il valore dell'ossigeno ossidrilico lo ricava togliendo, sempre per con- centrazioni corrispondenti, dal volume molecolare di soluzione di un alcool poliossidrico quello di un alcool con meno ossidrili (glicol—alcool etilico, gli- cerina—alcool propilico etc.), oppure da quello di un acido il corrispondente del chetone (acido propionico—acetone), da quello di un fenolo biossidrilico il corri- spondente del monossidrilico (pirocatechina —fenolo), da quello di un ossiacido il corrispondente dell'acido (acido lattico —propionico, lattato sodico—propionato sodico): trova due valori medî il primo di 0.4; il secondo di 2.3. Inoltre, poichè la differenza pirocatechina—fenolo dà 1.0 e quella idrochinone—fe- nolo 2.8, resorcina-fenolo 2.9, così il Traube suppone che « due ossidrili uniti ad atomi di carbonio contigui hanno volume molecolare più piccolo che quando sono lontani ». Per il primo ossidrile che entra in una combinazione ammette il va- lore 2.3; per i successivi il valore medio di 0.4 se si trovano uniti ad atomi di carbonio contigui. Si hanno oscillazioni per queste differenze tra 0 e 2.9: talora anche differenze negative: l'acido succinico ha un volume molecolare uguale almeno a quello dell'acido tartarico, sebbene contenga due ossidrili di meno. Calcola poi il valore dell'ossigeno etereo confrontando un etere coll’acido isomero: si ha una differenza che oscilla da 4.3 a 6: in media ammette 5.0, a cui aggiungendo il numero 0.4 proprio dell'ossigeno ossidrilico si ha 5.4. per l'ossigeno etereo. Per l'idrogeno confronta composti che differiscono per due o più atomi di idrogeno; cioè derivati paraffinici con derivati oleffinici o acetilenici: am- mette che il doppio e il triplo legame non abbiano influenza sui volumi molecolari di soluzione; come valore medio prende 6.2 per H., quindi 3.1 per H: i numeri oscillano tra 5.4 e 7.2 e soltanto 12 coppie di sostanze sono prese in considerazione. Essendo 16.1 il volume di CH, e 6.2 quello di H, si ricava per C il vo- lume di 9.9: confrontando composti oleffinici con quelli paraffinici corrispon- denti che contengono solo un atomo di carbonio in meno (alcool allilico, alcool etilico etc.) si ha un numero che oscilla tra 8.5 e 12.4: in media 9.83. Sino a qui non c' è altro che la solita deduzione delle costanti atomiche da quelle molecolari, come fece il Kopp, il Landolt e gli altri. La parte propria del Traube viene adesso. Il Traube (Veber die Molekularvolumina gelòster Alkali-Salze und Sauren, und deren Beziehungen su dem Atomvolumen der Elemente. Z. f. RenpIcoNTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 23 — 178 — anorganische Chemie III, pag. 11, 1898) confrontando i volumi molecolari di soluzione degli acidi cloridrico, bromidrico, nitrico, clorico e perclorico con quelli dei corrispondenti sali sodici, aveva visto che c'era quasi ugua- glianza, onde ne aveva dedotto che l'idrogeno e il sodio avevano nelle loro combinazioni uguale volume atomico. Confrontando invece i volumi molecolari di soluzione di acidi poco dissociati con quelli dei corrispondenti sali sodici, si notano delle differenze che oscillano in media intorno a 12.2 per acidi monobasici, a 24.4 per acidi bibasici: onde il Traube dedusse la regola: la differenza H — Na per ugual grado di ionizzazione dell’ acido e del sale sodico è uguale a zero, mentre confrontando un sale quasi completamente tonizzato con l'acido non tonizzato in media si ha nei volumi molecolari una differenza di 12.2 (Z. f. anorganische Ch, VIII, pag. 323. Veber die Ur- sache des osmotischen Druckes und der Jonisation). Il Traube ammette che normalmente acido e sale sodico dovrebbero avere lo stesso volume: se qui non lo hanno è perchè l'acido sciogliendosi senza ‘ionizzarsi ha dato luogo a una contrazione metà di quella del sale sodico, che è composto di due joni o di due pezzi di molecola ('): quindi la regola: Per ogni grammiequivalente di un jone monovalente si ha la con- trazione di 12.2 cm. E per analogia, e basandosi sopra certo suo modo di intendere la pres- sione osmotica, egli generalizza la regola in questo modo: Anche ogni molecola di una sostanza non ionizzata deve produrre sull'acqua una uguale attrazione corrispondente alla contrazione di 12.2 e. c. Come prova in appoggio alla sua regola, egli dà una tabella in cui ci sono, per sostanze non jonizzate, le differenze V,, — vm: queste sono date per 31 sostanze: le differenze cominciano da 1.4 e vanno sino a 11.9: soltanto per 10 sostanze si hanno delle differenze maggiori di 9. Malgrado ciò il Traube crede che la sua regola sia dimostrata, giacchè: si vede, che queste differenze convergono verso il numero 12! (aber man sieht, dass dieselben in der That nach der Zahl 12 hin convergieren). Nella Memoria pubblicata negli Annali di Liebig invece del numero 12 adotta il numero 13.5 ricavato da un maggior numero di esperienze (sempre differenze tra l’acido non jonizzato e il sale sodico) e dice che, probabilmente, questo adottato è sempre un nu- mero troppo piccolo. In tal modo si verrebbe intanto a stabilire che V,= vm + 13.5 c. G., dove 13.5 è la costante molecolare di dilatazione per l’acqua: il volume mo- lecolare del liquido dovrebbe essere di 13.5 unità maggiore di quello che sì ricava dalle soluzioni acquose. (1) A proposito della contrazione di volume che ha luogo ‘quando un elettrolite si scioglie nell'acqua, il Nernst e il Drude hanno svolto delle importantissime considerazioni nella loro Memoria sulla elettrostrizione degli joni. Certo però il fatto che anche i non elettroliti sciogliendosi danno luogo a contrazione di volume, toglie un po’ di importanza alla conferma esperimentale delle vedute del Nernst e del Drude. — 179 — Facciamo un'altro passo avanti. Dice il Traube (Liebig's Annalen, T. 290, pag. 88): Zutti coloro che hanno lavorato in questo campo sono partiti dalla supposizione che il volume molecolare di un composto deve essere uguale alla somma der volumi degli atomi. Una simile ipotesi non va in nessun modo. (Die bisherigen Bearbeiter des hier vorliegenden Gebietes sind stimmtlich von der Annahme ausgegangen, dass das Molekularvolumen cine Verbindung gleich sein misse der Summe der Atomvolumina. Eine solche Annahme ist aber keineswegs eutreffend). Ed ecco come lo dimostra. Il più piccolo valore del volume molecolare di soluzione per l'alcool metilico fu trovato essere 37. Il volume calcolato C+4H+0=9.9+4X3.1+4 2.3 = 24.6. Da 37 sottraendo 24.6 si ha una costante = 12.4. In modo analogo sottraendo dai volumi molecolari di so- luzione quelli calcolati in base alle costanti atomiche trova delle differenze (per i diversi alcool, glicoli, glicerina, eritrite) che non sono molto lontane da 12.4: 12.4 sarebbe anzi anche la media per questa costante, che egli chiama costante molecolare di dilatazione: quindi la regola: Nella formazione di una qualsiasi molecola dagli atomi ha sempre luogo una dilatazione. La costante molecolare di dilatazione è uguale 0 quasi uguale per tutte le sostanze. Essa alla temperatura di 15° per i volumi molecolari di soluzione in acqua è di 12.4 c. c. per la grammi-mo- lecola: per i volumi molecolari = 12.4 + 13,5 = 25.9. È notevole che il Traube per stabilire la sua costante prenda proprio in considerazione gli alcool che sono i composti più soggetti a quella terri- bile associazione, alla quale poi così spesso ricorrerà per spiegare le eccezioni. L'introduzione delle due costanti 13.5 e 12.4 e anche della loro somma costituisce la parte del lavoro di Traube che non trova riscontro negli altri prima eseguiti sopra i volumi molecolari. È ciò che dice egli stesso (pag. 89): Die Aufstellung obiger beiden Constanten ist weitaus das beachtenswer- theste Ergebniss vorliegender Arbeiten. Die Lòsung einer ganzen Rethe von Fragen, welche bisher in Dunkel gehillt waren, wird nunmehr ermoglicht. Vor allem kònnen jetst die wahren Atomvolumina der Elemente in thren Verbindungen bestimmi werden. Il Traube dice poi che forse ci sarà da meravigliarsi che nessuno dei tanti che hanno lavorato sull'argomento dei volumi molecolari abbia sco- perto queste costanti, specialmente quelle di dilatazione. La causa di ciò crede che sia prima di tutto quella di aver voluto determinare i volumi mo- lecolari alla temperatura di ebullizione, poi di aver comparato composti della serie alifatica con quelli della serie aromatica (*), e finalmente, soprattutto, (1) Quasichè il dedurre il valore del restringimento dovuto al nucleo benzolico sot- traendo dai volumi molecolari la parte calcolata in base alle costanti di C e di H, dedotte dalla serie alifatica, non implichi il confronto fra le due serie! E non è il primo il Traube che cade in questo errore. — 180 — di avere messo tutte sul conto delle costanti atomiche le differenze prodotte dalle differenze di temperatura, mentre vanno messe per la massima parte su quello della costante di dilatazione. Stabilite queste costanti il Traube passa alla valutazione dei volumi atomici dell'ossigeno carbonilico, del cloro etc. Per l'ossigeno carbonilico de- duce dal volume molecolare di soluzione la somma che spetta agli altri atomi e la costante molecolare di soluzione: ciò che resta rappresenta la parte spet- tante all’ossigeno carbonilico: in media trova 5.5, ossia un numero uguale a quello dell’ ossigeno etereo. Dalle differenze S—O (solfidrato potassico—idrato potassico, solfourea—urea etc.), CI — H (acido monocloroacetico—acido ace- tico, etc.), Br— H, I— Br calcola i volumi atomici dello zolfo, del cloro, bromo, iodio, e, sempre con sistemi analoghi, quello dell'azoto nei diversi casi, del fosforo ecc. Calcola poi anche la costante della catena benzolica nel modo seguente: compara il volume trovato di un composto aromatico, fenolo, pi- rogallolo ete., col volume calcolato: trova che quest'ultimo eccede il primo di 8.1 in media: ne deduce che succede una contrazione di c. c. 8.1 nella formazione del nucleo: calcoli analoghi, in base a pochissimi dati esprimen- tali, fa per gli altri nuclei. Riassumo i dati relativi alle costanti atomiche e costitutive. Contrazione molecolare nell’ acqua ) A (13.5 Dilatazione molecolare ia la SE o az Carbonio... (0 teo I 0 RA OO, Idrogeno, sodio p.ti i AO LO oi Ossigenoossidrilico.i ti NARO OTO E Ossigeno)icarbonilico = ir Ae (00 Oo Zolfo. (Solfidrile ve fcarbonile) Se eee oo Zolfo (Composti ossigenati) .... . . . . . + circa 10-11.5 Cloro, is Gute ee A A Bromo;=. ii De | RI e. SOM ee Todio; 3 Ti Ubi rn e ao Cianogeno . . . SM IERI NAl 352 Azoto trivalente (i Imi ud SU AI RIRO Azoto pentavalente (Ammonii ete.). . . . . . circa 10.7 Azoto. nei nitrocomposti. it (Rito NANNA Fosforo .(Fosfinerte analoghi) 0. e ica 0 Fosforo{(Fosfonio). re . circa 28.5 Decremento nucleare: benzolo, oftalina: aio fenan- trene, esametilene, per ciascun nucleo . . . . 8.1 Ho voluto riportare queste costanti per mostrare quanto nei suoi lavori posteriori il Traube le abbia dovute modificare. — 181 — In pubblicazioni successive così il Traube espone la sua legge per i li- quidi, che sono quelli che più ci interessano mentre le espressioni usate prima di lui si possono ridurre alla forma Wa = AG dove 3x C è la somma dei prodotti delle costanti atomiche o costitutive per il numero degli atomi o di quelle speciali particolarità di struttura che si trovano e si riscontrano nella molecola: 25.9 è la costante molecolare di dila- tazione. Nella Nota, Molekularvolumetrische Methode der Molekulargewichts- und Constitutionsbestimmung (Berl. Berichte XXVIII, 2924, 1895), al nu- cleo esametilene attribuisce il decremento 8.1, ad ogni legame etilenico quello 1.7, onde il decremento pel nucleo benzolico sarebbe 8.1 + 3 X 1.7 = 13.2, al legame acetilenico il decremento 2 X 1.7. Il Traube cerca di giu- stificare questa radicale modificazione delle primitive costanti per i legami multipli e i nuclei, dicendo che peri volumi molecolari di soluzione nell’ acqua certe influenze non si facevano sentire. È inutile il dire che se fosse vera la legge che, quando una sostanza si scioglie nell'acqua, il suo volume dimi- nuisce sempre di 13.5, le costanti che servono per i volumi molecolari do- vrebbero servire anche per quelli di soluzione. Se il Traube si fosse limitato a proporre la sua espressione Xx C + 25.9 invece di quella generalmente adottata per esprimere le proprietà additive, poco vi sarebbe da objettare; salvo forse la inutilità di una simile espres- sione e la previsione che essa per i primi termini delle serie doveva dare resultati meno buoni che l’altra, come meglio diremo a suo tempo. Ma in- vece il Traube credette di avere scoperto una vera legge di natura, di aver trovato il modo di estendere ai liquidi le leggi generali dei gas, compreso quella di Avogadro, e di potere quindi stabilire il vero peso molecolare dei liguidi. Nella sua Nota Ausdehnung der Gesetze von Gay-Lussac und Avo- gadro auf homogene Flissigleiten und feste Stoffe (Berl. Ber. XXVIII, 3292, anno 1895) egli comincia col dire che l’espressione Vn= n C+ 25.9 non è altro che la legge di Avogadro estesa nel campo dei liquidi. Come è noto, se si considera un volume V di una massa gassosa, una parte, assai piccola per i gas perfetti, sarà occupata dalle molecole, l’ altra sarà il volume in cui le molecole si muovono: onde nelle diverse espressioni in cui entra il volume di una massa gassosa, se si vuole rendersi conto delle deviazioni dalle leggi fondamentali, si usa introdurre invece che V, V—d, dove d è — 182 — un multiplo del volume totale occupato dalle molecole senza spazî intermo- lecolari. La legge di Avogadro si esprimerebbe (') secondo il Traube V—b= costante per uguali pressioni e temperature; l' espressione di Traube Vn— ZnC= costante ha, come si vede, la stessa forma dell'altra: Xx C sarebbe il volume delle molecole senza spazî intermolecolari, V,, il volume totale; 25.9 sarebbe il volume in cui le molecole si muovono, il covolume molecolare. In verità non so quanto esattamente possa dirsi: il volume in cui le molecole si muovono, visto che spesso questo covolume è una piccola frazione del vero volume molecolare; come una molecola che ha il volume di 200 o 300 centimetri cubi possa muoversi in uno spazio di 25.9 centimetri cubi non è facile a comprendersi; piuttosto sarebbe da intendersi come uno strato sempre di uguale grandezza che involge le molecole, ma il significato fisico della legge di Avogadro è difficile a rintracciarsi. Ad ogni modo così enuncia il Traube la sua legge di Avogadro: a uguali condizioni di temperatura e di pressione gli spazî in cui le molecole si muovono sono uguali. L' enun- ciato è giusto, ma non mi sembra che corrisponda alle premesse. Cerca poi di dimostrare anche la legge di Gay-Lussac facendo vedere che tra 0° e 100° il coefficiente di dilatazione del covolume molecolare è 0.00366 come pei gas. Il metodo che tiene è questo: quasi tutta la dilata- zione del liquido l’attribuisce al covolume e allora trova per gli idrocarburi dei numeri successivamente decrescenti da 0,0048 per C, His a 0,0034 per Cie Hs4; per gli eteri degli acidi grassi ottiene poi dei numeri che diminui- scono da 0,0053 per C. H, 0, a 0,0032 per Cs H3s O.: invoca ancor qui l'associazione, ma è noto che nè gli idrocarburi nè gli eteri degli acidi grassi sono associati. Per gli acidi e gli alcool si hanno valori molto bassi, che il Traube non cita, e che condurrebbero a un valore medio di 0.0025. Se stando così le cose si possa dire che si verifica pei liquidi la legge di Gay-Lussac. Covolume molecolare t = 24.5 (1 + 0.00366 4) = 0.0090 T, g. cm. lascio a chi legge di giudicarne. Aggiungasi poi che per l’ associazione si dovreb- bero avere valori troppo piccoli, come si hanno per gli alcool e per gli acidi, non mai troppo elevati, per il coefficiente di dilatazione. (1) Veramente mi sembra che l’espressione della legge di Avogadro sarebbe: Volume costante (quello che effettivamente occupa il gas) = Volume in cui si muovono le molecole + volume occupato dalle molecole (b); quindi V = costante = vol. intermolecolare + vo- lume molecolare. In altri termini costante è il volume apparente totale, mentre, per i li- quidi, il corrispondente valore V,, è incostante. — 183 — Come si debba utilizzare questa così detta legge di Avogadro estesa ai liquidi per determinare i pesi molecolari lo mostra il Traube in una successiva Memoria: Molekularvolumetrische Methode der Molekulargewichtsbestim- mung (Berl. Ber., 29, 1023, anno 1896) nella quale anche modifica le costanti atomiche del bromo e del jodio, adottando il numero 17.7 pel primo e 21.4 pel secondo e introduce come decremento pel gruppo tiofenico la costante 11.4. Ecco ciò che dice il Traube: « Il peso molecolare è da determinarsi in modo che il volume mole- colare SO uguale alla somma dei volumi atomici aumentata del covo- lume molecolare. IL covolume molecolare per la maggior parte delle sostanze è presso a poco costante, în media 25.9 c.c. a 15°. Per le combinazioni associate (specialmente contenenti metile 0 ossi- drile) il covolume molecolare è più piccolo del valore medio; i numeri oscillano per lo più tra i limiti 15 e 22. Per combinazioni terziarie (ammine, composti con più atomi di alogeni, eteri a peso molecolare elevato) il valore del covolume invece è più grande di quello medio; i numeri oscillano tra 30 e 32 e in pochi casi eccezionali, per le ammine terziarie raggiungono anche valori più elevati. Questo metodo non conduce sempre in nessun modo a resultati eleganti, ma è generalmente applicabile, estremamente semplice e sicuro. Si rifletia che un raddoppiamento del peso molecolare avrebbe per conseguenza una differenza di 25.9 c.c. in media tra il volume molecolare trovato e quello calcolato: Le più grandi deviazioni a causa della associazione ece. raggiungono invece solo in casi eccezionali, del tutto isolati (ganz vereinzelten), 10 @ 11 unità. » Il vantaggio del metodo di calcolare del Traube rispetto a quello solito per le proprietà additive consisterebbe in questo: se si ammette VWi= SV non si può in nessun modo decidere sul volume molecolare vero e quindi sul peso molecolare: infatti supponiamo di avere una combinazione C, Hp: il È M volume molecolare sarà 7F=@4XC+4bXH: se supponiamo la molecola S doppia n = 2aXC+205XH; quindi non possiamo dir nulla. Col metodo del Traube avremmo nel 1° caso: M g=d XC+b5XH+ 25.9. Nel 2° 2M = 24X0+20xH+25.9 — 184 — mentre se il peso molecolare fosse M raddoppiando troveremmo 2a XC+25X H+ 51.8 e se fosse 2M nell’ ipotesi che fosse M troveremmo aXC+9XH+12.9. È evidente tra le altre cose che la regola del Traube non permette a due combinazioni polimere di avere una il volume molecolare esattamente mul- tiplo dell'altra, come pure è evidente che data l’ oscillazione dei covolumi in molti casi non potremo decidere nulla. Ma di ciò diremo meglio a suo tempo. Fisica. — Aicerche sull'azione delle radiazioni attive sulla natura della scarica. Nota del dott. A. SELLA, presentata dal Socio BLASERNA. La distanza esplosiva, cioè la massima distanza fra gli elettrodi di uno spinterometro, per la quale scocca una scintilla, quando essi vengano portati ad una determinata differenza di potenziale, dipende, come è noto, da un grande numero di circostanze, tra le quali in misura molto spiccata dall’ es- sere l’uno o l’altro dei due elettrodi, a seconda dei casi, illuminato da ra- diazioni ultraviolette o Roòntgen. Così mentre coll’ illuminare il polo negativo per distanze piccole ed elettrodi a grande raggio di curvatura, si allunga la distanza esplosiva, illuminando il polo positivo per distanze grandi ed elettrodi piccoli, la distanza esplosiva diminuisce (vedi A. Sella e Majorana, Rend. Acc. Lincei, V, 1, pag. 323, 1896). Ma l'azione di quelle radiazioni attive non si fa sentire solo in quanto essa può provocare od impedire la produzione della scintilla, ma anche nel- l'alterare la natura della scarica stessa, quando si regoli la distanza esplo- siva in modo che la scintilla scocchi in ogni caso. Così Hertz (Wied. Ann. 34, pag. 168, 1888) nel corso delle sue ri- cerche sulla propagazione delle onde elettriche aveva notato che scompare la scintilla nel risuonatore, appena si illumini la scintilla dell’ oscillatore con luce a piccola lunghezza d'onda, cioè accendendo in vicinanza di quella un pezzo di filo di magnesio od un arco voltaico, ovvero esponendola all’ azione delle radiazioni emananti da un'altra scintilla di scarica. E. Wiedemann ed Ebert (Wied. Ann. 33, pag. 241, 1888) studiarono in dettaglio le alterazioni qualitative del carattere della scarica nel circuito di chiusura di una macchina elettrostatica, quando si illumini con luce pro- veniente da uu arco voltaico il tratto di scintilla inserito nel circuito. Così facendo passare la scarica in un tubo di Geissler essi trovarono che quando la luce ultravioletta dell’arco agisce sul polo negativo della scintilla, si ha nel tubo quella che si chiama la scarica normale, cioè eguale a quella che si avrebbe sopprimendo il tratto di scintilla, diversamente da quando non — 185 — c'è l’azione della luce ultravioletta; avendosi da una volta all'altra grandi differenze nella luminosità del tratto capillare del tubo di Geissler, come pure nelle luci anodiche e catodiche di questo. Inserendo inoltre nel circuito un telefono, essi notarono a scintilla illuminata un suono puro e netto con altezza ben definita, a scintilla non illuminata invece più che un suono, un rumore, e ciò a parte il cambiamento di altezza da una volta all'altra do- vuto al diverso numero di scintille scoccanti nell'unità di tempo. Gli stessi autori poi (Wied. Ann. 48, pag. 521 e 49, pag. 2, 1898) mostrarono come la luce ultravioletta agendo sopra la scintilla di un cir- cuito primario aumenti lo smorzamento delle oscillazioni nel risuonatore. Così sono a ricordarsi le esperienze di Elster e Geitel (Wied. Ann. 57, pag. 401, 1896) sull’influenza della luce ultravioletta sulla forma della scarica di una macchina elettrostatica ad influenza. Finalmente in una pubblicazione di Sella e Majorana (Rend. dei Lincei, vol. V, pag. 389, 1896) venne mostrato con numerose esperienze che se il circuito di scarica di un rocchetto d’induzione si divide in due rami, conte- nente l'uno un tubo di Crookes e l’altro un tratto di scintilla, si hanno pro- fonde alterazioni della scarica nei due rami, quando si illumini il tratto di scintilla coi raggi Rontgen generati dal Crookes stesso o con raggi ultravio- letti; e che queste alterazioni si invertono, secondo se la distanza e le dimen- sioni degli elettrodi sono tali da corrispondere ad un'azione favorente od impedente delle radiazioni attive. Questi risultati di carattere qualitativo mi invogliarono ad affrontare la questione di determinare con misure quantitative l'influenza dell’illumina- zione del tratto di scintilla sulla natura della scarica e volli dapprima cer- care in quale senso e con quali metodi si potesse tentarne la soluzione. I risultati che ora espongo sono perciò da considerarsi più che altro come frutto di esperienze intese a ricercare l'attendibilità di essi metodi e la loro utilità dal punto di vista propostomi. E giova premettere che sinora mi sono occupato solo del caso, in cui la disposizione sperimentale corrisponde ad un'azione favorente della radiazione, in cui il polo, che importa sia illumi- nato, si è il negativo. Supponiamo che ad una scarica si offrano due vie, cioè un filo metal- lico avente resistenza induttiva ed un tratto di aria p. e. quello compreso fra gli elettrodi di uno spinterometro. Se la scarica è rapidamente oscillatoria è noto che l’ ostruzione prodotta dalla resistenza induttiva è tale che si ha il passaggio di una scintilla nello spinterometro; la scarica si divide allora nei due rami derivati e si hanno delle ricerche sul modo con cui avviene questa ripartizione, quando si variino le condizioni, per così dire, dei due rami (Cardani, Nuovo Cimento, 3, 36, pag. 142, 1894). Mantenendo ora costante ogni cosa nei due rami, è naturale pensare che il valore relativo dell'energia assorbita dai due rami nell'atto della scarica RenpIconTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 24 — 186 — varierà coll’ illuminare o non il tratto di scintilla mediante radiazioni attive. Ed un modo semplice di verificare la cosa consiste nel misurare il riscalda- mento del filo nell'un caso e nell'altro, purchè si abbia una disposizione sperimentale, la quale assicuri che l'energia totale che si sviluppa nei due rami resta costante. I due elettrodi di una macchina elettrostatica ad influenza sieno riuniti colle armature, che diremo primarie, di due condensatori. Le armature se- condarie vengono collegate da un circuito, che comprende due rami in derivazione, cioè lo spinterometro PP e la resistenza induttiva 7, di cui si è detto prima. Se ora facendo funzionare la macchina la differenza di potenziale fra le due armature primarie si eleva al punto che scocchi una scintilla in uno spinterometro S.S ad esse collegato, allora si avrà pure una scarica nel circuito chiuso sulle armature secondarie. Mantenendo ora fissa la distanza fra gli elettrodi dello spinterometro SS ed operando con tutte le necessarie cautele affinchè la scintilla scocchi per una determinata ed in- variata differenza di potenziale, si può essere certi che l'energia di carica dei condensatori resta costante e quindi anche l’ energia consumata dalla scarica che ha luogo nel circuito secondario. D'altra parte la funzione di illuminare con luce ultravioletta la scintilla passiva viene riempita dalla scintilla AA stessa, che potremo quindi chia- mare l' attiva. Non resta quindi che di misurare la quantità di calore svolta per la scarica nella spirale Y a seconda dei casi, cioè quando la scintilla passiva PP è colpita o non dalle radiazioni emananti dalla scintilla attiva AA. Nelle prime esperienze presi una macchina ordinaria di Holtz a due dischi, con cui caricavo nel modo sopra descritto due bocce di Leyda di media grandezza; la scintilla attiva era fornita dall’ eccitatore stesso, che è unito alla macchina. La scintilla passiva scoccava fra gli elettrodi di uno spinterometro di precisione, in cui cioè la distanza dei due elettrodi poteva venire variata con una vite micrometrica. La spirale / formata da un sottile filo di argentana era immersa in un cilindro di vetro chiuso, ripieno di petrolio e munito di un tubo capillare destinato a svelare cogli spostamenti della estremità della colonna liquida nel capillare le variazioni di volume avvenute nel liquido per il riscaldamento comunicatogli dal filo nell’ atto delle scariche; dunque esattamente il termometro del Cardani (1. c. e Memorie successive esi Wi — 187 — nel Nuovo Cim.) adoperato pure dal Magni (Nuovo Cim., IV, 4, pag. 321, 1896); ed identico era pure il modo di osservare e di tenere conto delle va- riazioni dovute all’ influenza di temperatura dell’ ambiente. Immediatamente il fenomeno, che io ricercava, comparve molto netta- mente; la quantità di calore svolta nella spirale era per uno stesso numero di scariche molto minore, quando la scintilla passiva veniva illuminata, che non quando si interponeva uno schermo opaco ai raggi ultravioletti fra le due scintille; da cui si poteva appunto concludere essere avvenuta una variazione nella ripartizione di energia consumata nei due rami. Ma per misurare con precisione la quantità di calore svoltasi nel tubo calorimetrico bisogna che il numero delle scariche sia ragguardevole, ove non si voglia crescere di molto la capacità delle boccie o la distanza esplosiva nello spinterometro principale, rendendo allora necessario l’uso di una mac- china ad influenza assai più potente, che io non avevo a mia disposizione. Per cui, date le mie condizioni, preferii di cercare una disposizione, che mi permettesse di riconoscere e di misurare il fenomeno con una scarica sola; e quindi di sensibilizzare il calorimetro. D'altronde operando con una scarica sola è possibile che si ottenga una maggiore precisione per il fatto noto che quando si lasciano scoccare a breve intervallo l’ una dall’ altra parecchie scin- tille successive, le ultime non hanno più luogo per una differenza di poten- ziale eguale a quella delle prime; ed è inoltre raccomandabile di ripulire gli elettrodi dopo ogni scarica. Nell’ apparecchio calorimetrico sopradetto, la quantità di calore svolta nel filo viene misurata dal corrispondente aumento di volume prodotto nel liquido che lo circonda ed a cui esso cede il suo calore. Questo aumento di volume è indipendente, come si vede subito, dalla quantità di liquido adoperata; ma passando da una sostanza ad un'altra, il rapporto fra i due aumenti di vo- r ù CAO CRANE È i; 3 i Ì lume è dato da un in cui @ ed &’, d e d', c e c' sono rispettivamente i (040086) coefficienti di dilatazione, le densità, i calori specifici a pressione costante delle due sostanze. Si vede quindi senz'altro l'enorme vantaggio che sì ot- tiene operando con aria invece che con petrolio e separando l’aria interna dall’ esterna con una colonnetta liquida. Si cade così in un apparecchio che con quello del Riess ha molta ana- logia, ma se ne differenzia in quanto con esso si misurano aumenti di volume a pressione costante, mentre in quello del Riess si misurano piuttosto aumenti di pressione a volume costante. Se adesso le dimensioni del recipiente, ossia la massa d'aria chiusa, non importano, si dovrà fissare quelle coi seguenti criterî; il recipiente non dovrà essere troppo piccolo, perchè allora si ha la causa di errore, che si scalderanno pure le pareti di esso; non dovrà essere troppo grande; o la forza, cioè la differenza di pressione, che spinge la bolla liquida nel tubo capillare, diventa troppo debole. La piccolezza poi della — 188 — sezione del tubo capillare raggiunge presto un limite a causa delle forze ca- pillari, ed a causa del troppo lento movimento dell’aria che avverrebbe nel tubo stesso. Un apparecchio del genere ora descritto sarebbe però talmente sensibile alle variazioni della pressione barometrica, da non potere servire. Le varia- zioni lente della pressione barometrica e le variazioni della temperatura potreb- bero essere ridotte a non influire sui movimenti della bolla, se si mettesse in comunicazione il recipiente interno coll’ aria esterna mediante un tubo a sezione piccolissima (un tubo termometrico eventualmente stirato alla fiamma) e se in qualche modo si provvedesse, che ci sia una piccola forza, che tenda a man- tenere la bolla in una posizione fissa, giacchè attraverso a quel tubo sottile sì eguaglierebbero le pressioni interna ed esterna, mentre le variazioni rapide di pressione dovute al repentino riscaldamento del filo in una scarica agireb- bero solo sulla bolla. Ma è noto che si hanno continuamente nell'aria atmo- sferica (sopratutto quando soffia un po’ di vento) delle variazioni assai brusche nella pressione barometrica, come risulta, p. es., dalle ricerche di Langley sulle pulsazioni del vento o dagli studî di Hefner-Altneck, che per registrare le variazioni rapide della pressione barometrica ha appunto costruito un appa- recchio simile in ogni cosa a quello che ora descriviamo. Se ora la bolla, che limita l’ aria contenuta nel recipiente, invece di essere in contatto con l'aria esterna è in contatto con l’aria di un altro recipiente chiuso; allora è chiaro che sebbene la sensibilità venga a diminuire, pure gli spostamenti della bolla daranno sempre una misura del calore svolto nel filo. Ed in questo modo lo strumento sarà sottratto alle variazioni della pres- sione atmosferica. Volendolo pure sottrarre alle variazioni della temperatura, sarà bene che i due recipienti, il calorimetrico propriamente detto e quello di contrasto, per così dire, sieno sensibilmente eguali, affinchè seguendo così gli involucri dei due recipienti nella stessa misura la temperatura dell'ambiente, avvenga una compensazione. Però l'apparecchio così costruito presenterebbe ancora l’ inconveniente che la bolla una volta spostata torna troppo lentamente alla sua posizione primitiva corrispondentemente al lento raffreddarsi del recipiente e quindi, a meno di dare una grande lunghezza al cannello, non è comodo fare delle letture successive. Mettiamo invece entrambi i recipienti in comunicazione coll’ aria esterna mediante capillari sottilissimi; la pressione interna si eguaglierà lentamente coll’ esterna nei due recipienti e si potrà anche ottenere che durante il raf- freddamento del recipiente la bolla non sì sposti; conviene quindi introdurre una leggera forza che riconduca sempre la bolla allo stesso punto, ciò che è possibile grazie ai tubi capillari che fanno comunicare l’aria dei recipienti coll’ esterno. — 189 — Ecco la disposizione finale adottata in queste mie esperienze preliminari. Il recipiente V, di litri 5,5 contiene la spirale metallica e comunica mediante un cannello lungo 30 cm. e del diametro di mm. 0,6, che ha un lungo tratto orizzontale, coll’ identico recipiente V,. I due capi della spirale sono sal- dati a due grossi fili di rame, che entrano con chiusura ermetica mediante ma- Fie. 2. stice in due cannelli di vetro aperti all’ esterno, in cui si può versare del mercurio ed inserire poi la spirale nel circuito di scarica. Nel cannello è mobile una bolla di alcool, i cui spostamenti possono venire letti sopra una scala lineare situata posteriormente. In mezzo è attaccato un filo, che porta un piccolo peso P destinato a dare una leggerissima curvatura in basso a tutto il cannello. affinchè la bolla tenda a porsi sempre nella medesima posizione. C, e Cs sono i due tubi capillari sottilissimi che permettono, come abbiamo spiegato, una comunicazione molta lenta coll’ atmosfera esterna. Quanto al resto della disposizione sperimentale è a ricordare che ado- perai ora due condensatori composti ciascuno di due grosse bocce in quantità aventi una capacità dell'ordine di 5000 unità elettrostatiche. Lo spintero- metro principale comunicava mediante grossi fili colle armature interne (pri- marie), ed il tratto di scintilla era con ogni cura difeso da cause che potes- sero influire sul potenziale di scarica ed in modo che non vedesse alcun tratto del circuito di scarica scoperto, onde impedire le azioni secondarie degli ettluvî. Parallelamente a questo spinterometro c' era lo spinterometro passivo; ad una distanza di 20 cm., in modo che si potesse interporre uno schermo, opaco alle radiazioni ultraviolette e che non perturbasse colla sua presenza le scintille. = 190 — Finalmente le dimensioni dei conduttori dalle armature secondarie ai due circuiti derivati erano tali che la somma delle energie consumate in questi ultimi restasse sensibilmente costante anche variando le condizioni di uno di questi. Delle molte serie fatte riporterò qui solo una con distanza esplosiva nel primario costantemente di 16 mm. Gli elettrodi dello spinterometro pri- mario erano palline di ottone del raggio di 11 mm.; gli elettrodi del secon- dario palline di ottone del raggio di 14 mm.; (4) indica la distanza esplosiva secondaria; le osservazioni, fatte alternativamente con o senza schermo sono riportate in linee orizzontali ed i numeri rappresentano in millimetri gli spo- stamenti della bolla. La spirale era costituita da un filo di platino lungo 2 metri, spesso mm. 0,1, ed avvolta in un centinaio di spire. Si faceva avvenire una scarica facendo girare lentamente la macchina, poi si attendeva che la bolla fosse ritornata alla sua posizione primitiva: 2 1 senza schermo 21 21 QI 05205 22222 0) 21 21 ) media 21 “con ”» OCISMINO O OSO OO 2 2 Dl 3308 >) senza schermo, 23. 23. 23423 24 22) 22 24 © 28) 23 )media #23 Ae (con ”» 270.27. 2600260 28 27 2502800028 MO por o senza schermo 25 25 25 24 24 DARN2 524 25 24 | media 24,5 7° con ” 28 29 ZI, SO FO ZO 30 80 30 ; ” 29,5 ] A) senza schermo 46 46 46 47 46 45 46 46 46 46) media 46 TGCOM ” 61 62 62 62 61 61 62 62 61 6l ” 61,5 ; (senza schermo 75 74 74 74 oo Tar qa 75 74 Ì media 74,2 È 29) ga ” 125 124,5 124 125,5 125,5 124 125 124,5 125,5 1254 » 124,9 Come si vede dai numeri riportati ed il cui andamento si copre con quelli forniti da- altre serie fatte variando la sostanza esplosiva anche nello spinte- rometro primario, cambiando natura delle palline, spirale, ecc., ecc., l'azione della luce ultravioletta sulla scintilla influisce in misura grandissima sopra la distribuzione della scarica nei due rami, sopratutto quando la distanza esplosiva si avvicina alla massima. Più non si può concludere per ora dalle cifre riportate, poichè per giungere a conclusioni definite, bisognerà sceverare tutti i fattori del fenomeno, studiare partitamente l’ influenza delle condizioni, sia generali del circuito come p. e. capacità, resistenze, autoinduzioni di tutte le parti, sia le speciali cioè p. e. sino a ehe punto è battuto dalle radiazioni attive il punto dell’elettrodo negativo dello spinterometro secondario, da cui parte la scintilla, ecc.; come pure fare uno studio sperimentale accurato del calorimetro proposto. Ma ho creduto non privo di interesse il comuni- care questi primi risultati. Giova ancora fare osservare che si potrebbe adoperare il calorimetro in modo differenziale, ponendo p. e. il ramo contenente la scintilla nel secondo — 191 — recipiente Vs, che avesse una parte delle sue pareti trasparente ai raggi ultra- violetti. Oltre che dal punto di vista della ripartizione dell'energia di scarica nei rami derivati di un circuito, ho intrapreso anche uno studio quantitativo per determinare lo smorzamento nelle oscillazioni prodotto dall’ illuminazione con radiazioni attive della scintilla dell’ oscillatore. Il metodo tenuto è quello svolto dal Bjerknes, il quale riconduce la determinazione del decremento loga- ritmico a misure dell'effetto integrale elettrico nel risuonatore. Le mie ricerche non sono ancora terminate, ma ci tengo a rendere noto che il metodo si presta assai bene e le deviazioni elettrometriche si mostrano estremamente sensibili alle perturbazioni generate dalle radiazioni attive. Fisica. — /n/luenza della trazione sulla torsione (*). Nota dei dott. M. CANTONE ed E. MicHELUCCI, presentata dal Socio BLASERNA. Il sig. Tomlinson nel suo pregevole lavoro: The influence of stress and strain on the action of physical forces, si è occupato fra l’ altro dell’ influenza che esercita la trazione sui fili metallici contorti permanentemente, ed ha tro- vato che non tutte le sostanze si comportano allo stesso modo, sebbene per lo più si avesse con la trazione un aumento dell'angolo di cui era torto il filo, ed una diminuzione in valore assoluto presso a poco uguale quando il carico era soppresso. Egli cercò di spiegare il fatto ammettendo che per lo stiramento del corpo, già deformato dai pesi torcenti, nelle due direzioni di massima e minima dilatazione risultino le lunghezze alterate non nello stesso rapporto, ma in alcuni casi nel senso corrispondente ad uno scorrimento mag- giore ed in altri in senso opposto. Indipendentemente da qualunque interpretazione teorica del fenomeno a noi è parso che la questione meritasse un esame più esteso, interessando di vedere se una influenza della stessa natura di quella trovata dal Tomlinson per le torsioni permanenti, si avesse anche collo temporarie. Ben è vero che in questo studio una grave difficoltà si presenta, in ispecie usando metalli molto pastosi; vogliamo parlare dell’azione disturbatrice che potrebbe derivare dalla elasticità di seconda specie. È da pensare infatti che l'applicazione dei pesi necessari a produrre il carico di trazione, dando luogo d’ordinario a qualche scossa nel filo, possa fare ricomparire gli effetti di quelle azioni anche quanto sembra raggiunto l'equilibrio definitivo delle particelle. Però non è del tutto esclusa la possibilità di avere risultati i quali permet- tano di fare un apprezzamento sicuro sulla natura del fenomeno, se si ha cura di esercitare gli sforzi di trazione gradatamente e senza produrre scosse. Questo non si può garentire in modo assoluto, giacchè, pur servendosi per la trazione dell’afflusso dell’acqua in un recipiente attaccato al filo, non (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di fisica della R. Università di Palermo. 192) — si è autorizzati a dire @ pr/0r% che i leggieri tremiti dovuti al liquido che giunge nel serbatoio non generino le azioni susseguenti di cui avanti si par- lava; tuttavia noi abbiamo il mezzo di assicurarci che si è operato nelle con- disioni opportune, se arriviamo ad ottenere che colla detrazione si producano effetti in senso opposto e quasi eguali in grandezza a quelli avuti con la trazione, imperocchè se la causa disturbatrice che ci preoccupa è così grande da mascherare in tutto o in parte l influenza in esame, si dovrebbe avere sia alla trazione che alla detrazione un aumento dell'angolo di torsione; non potendo nel secondo caso mancare quelle scosse che mettono in giuoco l'elasticità di seconda specie. Per ciò che riguarda l’ indole teorica del problema, è da notare che con la trazione variano le dimensioni del filo, ed in modo da dovere conseguire un aumento dell'angolo di torsione in una misura facile a prevedere; ma bisogna tener presente che il comportamento elastico reale dei metalli non è quale d'ordinario si suppone, vuoi per un probabile difetto di isotropia, vuoi per la nota deviazione della legge di Hooke, onde non recherà meravi- glia se i risultati dell'esperienza, per l'ordine di grandezza o per il senso delle variazioni, saranno diversi da quelli che si dovrebbero avere per le modificate dimensioni. Disposizione sperimentale e metodo tenuto nella ricerca. — L'appa- recchio è quello stesso adoperato da uno di noi per altro genere di esperienze ('). Il filo da cimentare era saldato agli estremi a due cilindri di ottone dei quali il superiore veniva assicurato da una mensola, l’altro si collegava mediante viti ad un pezzo portante una puleggia con due gole per esercitare gli sforzi di torsione nei due sensi e nella parte più bassa una ruota d' ottone la cui periferia è divisa in gradi e mezzi gradi. Ad evitare che il filo si flettesse sotto l’azione degli sforzi torcenti, il cilindro inferiore passava attraverso un foro praticato in una lastra di ottone fermata al muro. Di questa sì poteva fare a meno quando non occorreva eser- citare sforzi di torsione ora in un senso ora nell'altro; poichè in tal caso, avvolgendo i fili sulla puleggia nello stesso verso ed usando ogni volta pesi uguali dalle due parti, veniva ad eliminarsi la flessione del filo in espe- rimento. Al disotto della ruota che portava la graduazione circolare era attaccato un recipiente della capacità di litri quindici, dove si faceva venire l'acqua per esercitare la trazione a mezzo di un sifone che lo collegava con un altro recipiente situato alla stessa altezza e tenuto fisso. Provocando una differenza di livello del liquido di questi due vasi, col movimento opportuno di un terzo serbatoio in comunicazione con quello dei (1) M. Cantone, Influenza della torsione sul magnetismo del nichel. Nuovo Cimento, vol. V. — 199 — precedenti che restava fisso, si aveva l’effetto voluto senza produrre scosse sensibili. Per vedere quale parte avesse nel fenomeno il fatto che colla trazione variano le dimensioni del corpo (!), al pezzo di attacco superiore ne veniva saldato un altro dello stesso metallo che portava alla parte terminale un indice in guisa da potersi riferire la posizione di questo al bordo di un pezzetto di stagnuola attaccato al filo in esame per mezzo di un cannoc- chiale munito di micrometro oculare. Con una scala graduata in millimetri posta accanto alla mira si determinò una volta per tutte il valore di una divisione del tamburo. Le misure degli angoli di torsione si sono fatte direttamente sul disco gra- duato servendosi di un secondo cannocchiale, ed assumendo come linea di rife- rimento il filo del reticolo che in esso si aveva. Per le variazioni dell'angolo dovute al peso tensore, occorrendo una maggiore sensibilità, abbiamo tratto profitto dal metodo dello specchio e scala, e poichè la posizione dello specchio doveva essere cambiata quando si passava da un peso torcente al successivo, si è attaccato lo specchio stesso ad una delle facce di un piccolo parallele- pipedo che si adattava sulla puleggia, orientandolo opportunamente perchè si avesse l’immagine della scala nel campo del cannocchiale. Le esperienze procedevano come ora verremo ad indicare. Si cominciava coll’ esercitare la trazione sul filo non deformato, e per lo più non si ave- vano in questo caso tanto alla carica che alla scarica variazioni nella let- tura fatta per mezzo dello specchio. Ma se la bocca di efflusso del sifone era vicina alle pareti del recipiente, sì generava un moto di rotazione del liquido in un senso o nell'altro a seconda che il peso tensore cresceva o de- cresceva, moto che come è naturale si comunicava in parte al serbatoio, donde una causa di errore. Bastava per eliminarla che si portasse l’ estremo del sifone nella parte centrale del recipiente, e così fu sempre fatto. Per quanto riguarda l'influenza della trazione sulla torsione temporaria si operò nelle ricerche preliminari nel seguente modo : applicato il primo peso torcente e determinata la posizione del cerchio graduato rispetto alla mira si poneva a posto lo specchio sulla puleggia, e si notavano le letture sulla scala e quelle fatte al micrometro oculare prima della trazione, in seguito a questa e dopo il ritorno dell’acqua al livello primitivo. Le stesse operazioni si ri- petevano per le successive torsioni prodotte in principio con pesi crescenti e poi con pesi decrescenti. Però in tal modo si avevano risultati poco regolari, in quanto, anco ope- rando entro limiti di deformazione piuttosto ristretti e con fili poco pastosi, (1) Le variazioni del raggio si potevano dedurre in modo approssimato da quelle di lunghezza, supponendo il coefficiente di Poisson uguale ad 1/;. RenpIcONTI. 1897, Vol. VI, 2°, Sem. 25 — 194 — si producevano sia alla trazione che alla detrazione aumenti dell'angolo di torsione, e, sebbene nel secondo caso l’effetto fosse meno marcato che nel primo e si avesse per ciò un accenno ad una influenza dello stiramento sulla torsione, pure nessuno apprezzamento sicuro poteva farsi sull’ entità del feno- meno che formava l'oggetto della nostra ricerca. Il particolare di cui ora ci siamo occupati, per la circostanza che si verificava quando nessuna traccia di elasticità di seconda specie si rendeva palese dopo l'applicazione del peso torcente, dava a pensare che l'assetto delle particelle nel filo contorto non fosse del tutto stabile e che per il mec- canismo stesso della trazione e della detrazione dovessero provocarsi sposta- menti ulteriori nell'interno del corpo. E questo sospetto sorgeva spontaneo per i fatti osservati da uno di noi (!), fatti che avevano mostrato appunto la difficoltà di raggiungere condizioni stabili in un primo ciclo di deforma- zioni; e poichè nei citati lavori si ebbe modo di accertare che ad un assetto definitivo si arrivava ripetendo più volte i cicli, è venuta a noi l’idea che fosse utile produrre nel filo questa accomodazzione per ottenere risultati più regolari. L'esperienza mostrò che non c' ingannavamo, poichè, quando per ogni peso torcente invece di limitarsi ad una sola trazione se ne producevano parecchie di seguito tutte dello stesso valore, già alla seconda si avevano con la sca- rica deviazioni alla scala in senso opposto a quelle relative alla carica, e bastava una terza e qualche volta una quarta applicazione del peso tensore per ottenere coll’ uscita dell'acqua dal recipiente il ritorno alla lettura fatta avanti l’ultima trazione. A questo si è potuto arrivare coi metalli meno pastosi, anche senza ri- durre di molto la grandezza delle deformazioni, senonchè col rame e con l'argento per ottenere una completa accomodazione si riconobbe la necessità di portare entro limiti assai ristretti i valori del carico tensore e dei pesi torcenti. Si credeva così di poterci spingere all’alluminio ed allo zinco, però ci si dovette convincere che per la natura del nostro apparecchio non era consentito di estendere di tanto il campo della ricerca. Ci contentammo quindi di cimentare fili di ferro, nichel, ottone, rame ed argento nello stato ricotto, e gli ultimi due anche nello stato crudo. I campioni usati avevano tutti presso a poco la lunghezza di trentacinque centimetri ed il diametro di due millimetri; ci dispensiamo perciò dall’ indi- care le dimensioni dei fili nella esposizione dei risultati, tanto più che le piccole differenze da un campione all'altro non erano per l'indole del lavoro tali da essere posti in rilievo. Risultati delle esperienze. — Seguono i risultati delle esperienze nelle annesse tabelle, dove si denota con 7 il carico tensore in grammi, con 7° (1) V. Rend. Accad. dei Lincei, vol. II, 2° sem., p. 386. Nuovo Cimento, vol. IV, p. 296. SO — l'angolo di torsione, con d e d, le variazioni definitive di 7 alla trazione e alla detrazione, ottenute col processo di accomodamento avanti indicato ed espresse in divisioni della scala (!), con 4/ in fine l'allungamento dovuto al peso tensore e dato in parti del tamburo del mierometro oculare, ossia all' incirca in ottantamillesimi della lunghezza dei varî campioni. Per limitare quanto più fosse possibile lo spazio destinato alle tabelle invece di segnare per ogni valore di 7 quello corrispondente del peso torcente, ho notato in testa a cia- scuno dei quadri relativi alle diverse serie di esperienze il carico torcente massimo che indico con P,; avvertendo poi che i pesi coi quali si produceva la torsione stavano come 1, 2, 3, 4, 3, 2, 1 si comprende che col valore dato di P, si poteva fare a meno della colonna dei pesi torcenti. Essendosi compiute per taluni fili delle serie speciali allo scopo di esten- dere la ricerca alle torsioni permanenti elevate, riportiamo anche i risultati di queste serie osservando che nelle tabelle ad esse relative i valori entro parentesi indicano i pesi che provocano le torsioni permanenti. Ti | d d, Il Ti d d, Al P T d d, Al Fey ric. n=2700 P,=80|Fey ric. 1a=5500 P,=80| Hey ric. nr =5500 P,= 80 0.0 0,1 0,0| 8 2.0 0,3j;— 0,2| 19 2.7 2,3[— 2,1) 19 2.14 19 Leo 4.15 3,7, — 3,4) 16 4.15 ASD ESA NT) 6117 5.20 2,4! — 2,8 lA 6.10 6,01 6,6 14 6.8 65|— 6,4) 14 8.8 4,1|—3,9| 5 7.45 9,3|— 9,0| 10 de 89/— 8412 11.40 5,9|—5,5| 8 9.40 13,5|— 13,0) 8 9.35 | 13,7|— 12,5| 11 9.2 2,6.(— 2,5) 7 7.55 9,9|— 9,8) 9 USS 85|— 8,3 11 6.9 1,3/|—1,2) 8 6.14 8,0|— 7,5) 10 6.10 7,2|— 7,0) 15 2.30 1,3|—1,8| 9] 4-20 5,2/— 4,9) 14 415 5,2 |— 4,8) 19 0.40 | — 5,6 Ai iE== 2.8 | 3,1] 7 9.10) — 4,2 4,0| 16 Few rice. 1=2700 P,=200|{Few ric. 1a=5500 Pi=200| Few ric. a= 5500 0.5 0,8|— 0,9) 12 0.20] 1,2 1,1) 18 deform. perman. 245 5,6|_— 5,5) 10 3.10| 7,8 |— 7,1| 18 || (100) | 0.25 0,6] — 0,3| 16 5.30 8,9/— 8,5! 9 6.15] 10,6 !'— 10,5] 15 || (200) | 0.30 0,9| — 0,7| 18 8.25| 121.—118| 7| 90 | 144 | 13,9 13| (800) 035] 03|—02]| 16 11.20 16,1.— 15,8| 8 || 11.45| 17,8 |— 17,1) 13 || (400) | 0.37 Mg 8.30 10,6 _— 10,4 8 | 9.10) 13,7 |— 13,4| 17 | (600)| 0.40 — 1,3 1,0! 15 5.32 8,6:-— 8,3) 10 6.20 9,8 |— 9,0| 17 2.50 6,7|— 6,5) 9 3.20| 6,4 |— 6,4| 18 OI2.0) EMI 4,0| 11 0.30] 0,4 |— 0,9] 17 Nim ric.1=5500 P,=200 Nim rIC. 1=5500 P,=200 Ni ric. mu = 5500 0.0 0,1|—-0,1| 10 0.50 [— 1,4 1,4 | 11 deform. perman. 4.30| — 1,7 1,5| 11 5.0 |— 1,6 1,7|]14|(200)| 1.10|)—4,0| 3,7 | ll 900 — 97 2,9 12) 9.28/— 24 2,9 | 15 | (400)| 25 |—4,7| 5,0 8 13.15 | — 2,1 2,3 | 16.|| 13.54:/— 1,1 1,0 | 16 | (600) | 12.35| — €,3| 5,9 | 10 18.10) — 0,3 0,0 | 14 || 18.15 2,4 | 2,6 | 17 14.5 |—- 2,7) 2,6) 13 || 14.15|/— 2,6 2,4 | 15 940) — 1,3 21M 9.55 |— 1,9 2,0| 1 5.20| — 2,2 2,0| 10 || 5.30|— 2,9 2,5 | 10 0.50 | — 3,9 gi O 1.0 |—- 2,8 AS IIO (1) Una divisione della scala corrisponde a minuti primi 0,7. — 196 — T 0) d; Al T l) d, Al P T d d, 4l Niw ric. n=5500 P.=80|Nuw ric. 1=2700 P,=80| Miw ric. 1=5500 P.=200 — 0,1 0,0 5 0.10 | — 3,7 da. 8 05 |—- 2,2) 2,1 13 1.50| — 0,7 0.6 6 140|—3,1 2,9 10 4.25 — 1,3 0) 14 3.05. — 0,6 Oh 7 3.959 |—2,3— 2,4] 12 Ue =) 18. | 16 5.0 0,1 0,0) 7 5.0 | 1,2 I,4| 13 O] I MESE TS RI 6.35 0,6|— 0,5| 9 6.35 | — 0,8 0,6| 14 16.30) — 0,4| 0,4 | 18 5.9 0,2|—0,2| $ a 15 200) 1285|—L4| 1,3 16 4.0 |} — 0,8 0,9| 6 94029207 2,7| 10 840| — 1,9) 1,9 | 13 1.55. — 1,6 105) INNO, 9:30 36 ‘ot RO, 445 9] RON 2 OUIOl— 252 DI OO) (E=285 3,0] 8 0.40 —4,L| 3,6 0 Ot ric. a=2700 P.=80|0tw rie. 1=5500 P:=80| Otw rie. a = 5500 — 0,0/— 0,1) $ 0.50): 0,3 |-=- 0,3 13 deform. perman. 4.35 3,9/— 3,9| 10 4.40) 5878 — 5,0) 12. | (25) OQUIi=268 | 20 9.50 7,8|— 7,8! 10 9.52 11,7 I'--11,6 9 || (50) PR ESS0) SONO 15.15 | 14,7/— 14,5) 7 | 15.388| 179 |— 17,7) 8 | (75) o z40 0 10 21.50] 21,0/— 20,9] 6 | 22.20| 25,1 (—25,0| 8 | (100) | 28.30) —9,0| 9,0 | — JA 1912)|(— N30 84161774240 RS 13710 12.13 9,8/— 8,3 10 || 12.35 | 101 |— 9,8) 13 7.10 oo, Mot MII? QOILO = gh 1.13 Oi OE Wo 02 > VW I Cuy crudo a=2700 P,=120|Cuy crudo 1=2700 P,=80| Cuy crudo 7n=2700 0.32| 1,1 | 0,9| 11 0.37 1,9 | — 2,0) 14 | deform. perman. 6.37 1,6 |(— 1,8) 8 4517 2208 = 20018) (00) 1,0. — 0,5) dll EX LES IIS] 8 8-97) 2498 979] 190200) 322 ga 519 Coe Ei niZi Segaito.l PASO), Ot LO 16.170} 19.6 = 9,7 1971759 IS 15,911 | (400) 14344 er As DD Db = 235 8:|13552) AS = AI I 1.24 0,9 | 0,8| 10 8.55| 3,5 |— 3,0) 12 | 4:52) Sn = 4 (113 01591 Ao o 102 3 Cuv ric. 1=1000 P,=40|Cuyv ric. 1=1000 P,=40| Cuvn ric. 72=1000 0.0 0,0 0,0) 11 0.0 0,0 0,0| 15 | deform. perman. | IS To ct= 709 1.26.80 | — 7,515 (10) | 021| 43 |- 40 11 340| 105 | 105] 6| 334|135 |-13,1 18] (20) | 0.28) 58 5600 6.0 | 15,0 | 150) S| (6.17| 158 153) 13 (go) 148] vile 8.15 | 25,6 |— 25,6| 11 8.35 | 21,5 |-- 20,4] 13 || (40) 7.58 | 15,2. | 15,019 7.30 | 14,0 |— 14,0) 11 6.50 | 17,7 | 17,7) 11 4.56, 10,5 |— 11,0) 12 457) O 1157 VAT NEO SEO NO 2.59| 5,2 |— 5,7) 14 OOO - = 1.10| — —. | | Arg. crudo n=5500 P.=60|Arg. ric. a=2700 P,=40| Arg. ric. n=2700 0.0 0,0 0,0/—()| 0.0 |- 5,0 4,5| 25 | deform. perman. | 2:40) 19,0 |— 18,5| — 1.45 2,0|/— 2,0) 22 || (10) 0.40|— 2,0) 2,0 | 14 Bio 0740 2al018 Me= 3.45 44 | 4.4 14 | (20) 130/— 3% 4,2 | d7 7.40) 3,5 |— 3,0) — 635| 12,0|—11,0} 13 | (30) 135) 150 507 10.58| 10,0 |— 6,5) — 845| 100|- 9,5] 11 || (40) 1.55. 5,0| 45 | 25 9.1 DIO N SMS MES 7.14 9,0|/— 9,0) 7 6.30) 10,0 |/— 10,0) — 430 Dio 25.08 io Nba aaa 2.20 24|—- 24| 14 | Dalla conformità dei risultati relativi a fili della stessa sostanza e dal- l'essere i valori assoluti di d e d, presso a poco eguali, a nostro modo di (1) In questa serie si trascurò di fare la misura delle variazioni di lunghezza del filo. — 197 — vedere resta escluso il sospetto che nel caso della torsione temporaria possano intervenire cause disturbatrici rilevanti, anzi si è in grado di constatare che, ove non si ecceda molto nelle due specie di deformazioni, relativamente alle condizioni di postosità del corpo, vi è un certo andamento regolare nei ri- sultati con accenno ad un aumento graduale delle d al crescere di 7. Che sia questo aumento dovuto del tutto alla circostanza che variano con la tra- zione le dimensioni del filo è da escludere, poichè le variazioni di 7, calcolate in base ai valori di //, sono assai piccole di fronte a quelle che fornì l’ espe- rienza. D'altronde è giusto notare che siamo molto lontani da una legge di proporzionalità fra le d e le 7, atteso il fatto che d'ordinario coi metalli meno pastosi quando si va alle torsioni più grandi le d e d,, pur mantenendosi fra loro eguali in valore assoluto, in luogo di crescere col carico torcente, diminuiscono. Si credette pertanto che coll’ aumentare di 7 fosse possibile otte- nere l'inversione dei segni di d e d,, ma tutte le prove in proposito mostrarono che al di là di un certo limite del peso torcente acquistavano il sopravvento i fenomeni di elasticità di seconda specie, pe: cui la nostra aspettativa restò delusa. Solo col nichel, almeno per torsioni non molto elevate, si ebbe un com- portamento eccezionale per ciò che riguarda !' influenza della trazione sulla flessione essendosi ottenuta alla carica diminuzione dell’angolo ed aumento alla scarica. Questo particolare, nel mentre elimina ogni dubbio di azione estranea inerente al nostro metodo sperimentale, offre un valido appoggio all’ opinione che vi sia un legame fra il comportamento elastico e magnetico dei corpi, essendo risaputo che il nichel, rispetto al ferro, presenta per le proprietà magnetiche delle anomalie rilevanti che si palesano in ispecial modo nei fe- nomeni magnetoelastici. L'esame dei nostri risultati ci ha permesso poi di porre in rilievo altri fatti che meritano di essere menzionati. Dai valori 4/ riportati nell’ ultima colonna di ciascuna tabella si vede che gli allungamenti dovuti al peso tensore non si mantengono costanti, ma in generale presentano una diminuzione al crescere ed un aumento al dimi- nuire di P. In taluni casi il fenomeno si apprezza nettamente, e di prefe- renza coi metalli pastosi, in altri l'andamento delle 4/ è alquanto incerto, ma vi è sempre quanto basta per ritenere verificato il fatto. Ed è ancora da osservare che per la torsione pare si abbia un piccolo accorciamento del filo non stirato; infatti la distanza fra la mira attaccata ad esso e la lastrina di riferimento legata al filo di confronto, misurata @ mezzo del micrometro oculare, si è trovata sempre più piccola a misura che cresceva il peso torcente. Nè possiamo tralasciare di aggiungere che per i due fatti ora accennati, il nichel si comporta al contrario degli altri metalli. — 198 — Ci occuperemo in ultimo delle deformazioni permanenti. I risultati avuti per tal riguardo mostrano che, nei fili i quali alla soppressione del carico torcente presentano una torsione residua, questa viene alterata per la trazione, e però in taluni casì in un senso, in altri in un senso opposto. Si tratta qui probabilmente di azioni dovute all’ elasticità di seconda specie, e a tale con- gettura siamo indotti dall'aver visto nello studio relativo alle deformazioni temporarie che per valori di P decrescenti prima ancora di essere pervenuti a P== 0 sì avevano spesso alla prima trazione valori di d e d, rispettivamente negativi e positivi; ma che poi con le successive applicazioni del carico tensore sì perveniva all'andamento normale, e che solo in questi casi si avevano per P==0 anche dopo l'accomodazione valori negativi per d e positivi per dì. Era facile però persuadersi che non si aveva allora un assetto detinitivo delle particelle, tanto vero che col riposo di un giorno spariva quasi del tutto l'influenza della trazione sulla torsione permanente. Del resto in qualunque modo si voglia interpretare la cosa, a noi interessa di osservare che lo studio riguardante le deformazioni permanenti può darci talune modalità del fenomeno in esame, ma che per una indagine la quale mira a produrre nuovo materiale per la conoscenza esatta delle proprietà ela- stiche dei corpi non è bene restare entro un campo tanto ristretto. Il Tomlinson ha creduto di trovare nel suo studio una varietà di effetti che secondo i nostri risultati non sarebbero caratteristiche delle singole sostanze, ma piuttosto dipendenti dai processi di deformazione subìti dai corpi; una sola differenza sostanziale esiste a nostro giudizio fra i corpi studiati, ed è quella rilevata parlando del comportamento anomalo del nichel. RP. (BD: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia prima del 3 ottobre 1897. ________<———t6-EnC0/22380 dovrebbe essere = d, cioè = è a 0°. Invece i confronti li fa per la temperatura critica modificando i valori 2nC in base alle variazioni osservate tra 0° e 100° per il gruppo CH; e supponendo che gli altri elementi variino nello stesso modo. Ora mi sembra evidente che i confronti essendo fatti alla temperatura critica non ha più ragione di essere il coefficiente 7° andrebbe convenien- temente modificato l'altro . Invece c’è un discreto accordo, bene in- Il 22380 teso sempre accontentandosi al solito di approssimazioni molto grossolane, tra 1 valori 104 3 e È 10! SO Accordo che a mio parere dimostra una cosa sola, e cioè che tra i numeri esprimenti i volumi molecolari e tra i valori è c'è una certa proporzionalità, la quale poteva prevedersi sino a un certo punto a priori, dato che una certa proporzionalità vi è tra i volumi molecolari e le rifrazioni molecolari rispetto alla formula n, le quali, per il loro signifi- cato fisico secondo la teoria di Clausius-Mossotti sono così vicine ai valori 4: aggiungasi poi che per i lavori di Heilborn (Zeitschr. f. physikal. Chemie 7, pag. 601, 1891) e più per quelli di Altschul (Ibidem 11, p. 577, anno 1893) si è riconosciuto essere le costanti 2, dentro certi limiti, di natura additiva, cosicchè a una differenza di CH; nella formula molecolare corrisponde una dif- ferenza più o meno costante nel valore d: ora quando ciò si verifica per due pro- : 5 1 dI: 3 >>; 7 prietà fisiche, è prevedibile sempre la relazione costante, o 270 = a 2n'C. 2008 3n'0 3nC e Zx'C sono il simbolo di proprietà fisiche additive, cioè tali che la costante molecolare sia la somma di quelle atomiche. Niun dubbio che introducendo i valori dei volumi molecolari invece che quelli di Xx del Traube si sarebbero ottenuti analoghi resultati solo modificando i coefficienti. E la ragione principale di tutto questo sta sempre nel fatto che in queste relazioni seriali ciò che predomina è la influenza del gruppo CH», cosicchè il rapporto per passare da 2 a 27'C è assai prossimamente uguale al rap- porto tra i numeri che esprimono il valore presso a poco costante dell’ in- cremento CH, per quelle proprietà fisiche che si considerano. Esaminati così attentamente i lavori del Traube esporrò ora le ragioni per le quali mi sembra che egli sia caduto in una grande illusione, una delle molte a cui ha dato luogo lo studio delle relazioni seriali. Le relazioni seriali sono caratterizzate da questo fatto: i valori mo- lecolari (prodotto della costante fisica pel peso molecolare) presentano costanti differenze, oppure sono uguali per composti che presentano alla loro volta co- stante differenza di composizione. Tutte le volte che ciò si verifica più o meno — 204 — esattamente, è possibile, con approssimazione minore o maggiore a seconda che si introducono oltre i valori atomici meno o più valori costitutivi, di espri- mere il valore molecolare mediante la somma dei valori atomici e costitu- tivi: quanti più numeri costitutivi si introducono e tanto più le regolarità trovate si discostano da una vera legge e tanto più è facile di avere a che fare con apparenze di regolarità invece che con delle vere e l’ accordo mag- giore tra l'esperienza e il calcolo va perdendo talvolta di ogni valore. Pur troppo assai spesso i diversi esperimentatori, spinti da quella naturale ten- denza che ha lo spirito umano a generalizzare e a fondare leggi anche in base a pochi dati numerici, si sono creduti autorizzati a stabilirne delle assai comprensive: alle quali poi troppo rincrescendo loro di rinunziare, ancor quando l'evidenza dei fatti glielo imponeva, hanno cercato piuttosto di ne- gare importanza alle esperienze che non andavano d'accordo colle loro regole, e hanno proposto impossibili modificazioni di pesi molecolari e di formule di costituzione, o hanno invocato cause perturbatrici e influenze occulte! Grave danno questo per la scienza, alla quale assai più giova, sempre in quest'ordine di studî seriali, il tener conto di tutte le particolarità di strut- tura, esprimendole per mezzo delle variazioni della costante fisica che si considera: non si hanno così le seducenti leggi, nemmeno qualche volta delle regolarità, ma si accumulano materiali preziosi per decidere per analogia in casi dubbî sopra alcune particolarità di struttura, e per stabilire su basi si- cure il capitolo della dipendenza delle proprietà fisiche dei corpi dalla loro costituzione chimica. Spesso queste così dette leggi, oltre che di tanti altri inconvenienti, sono anche causa di quello gravissimo che gli esperimentatori si accontentano nelle loro determinazioni di approssimazioni assai minori di quella che i mezzi esperimentali consentono; e così, per uno studio più ap- profondito, un materiale, che sarebbe stato prezioso, viene ad essere inutile e deve tutto ricostituirsi. Per i composti organici, c'è poi da notare nello studio di estese serie l’influenza del gruppo CH». Possiamo rappresentare le serie organiche colla seguente espressione generale: a+ CH. Così gli idrocarburi della serie C, H2n4s: con H, + 2CH, quelli delle serie C, Han, Cn Hon-n Cn Hon-s ete. con nCHs,C+4xCH.,3C+4(2+2)CH;: gli alcool con H;0 + aCH;, gli acidi con 0, + nCH3 — 205 — le ammine con NH; + #CH, e così via. Nel gruppo 4 possiamo introdurre anche il valore o i valori costitutivi (ossigeno alcoolico, aldeidico, etereo, legami multipli ecc. ecc.). Ora è evidente che per i termini superiori delle serie ciò che predomina è l’ influenza del gruppo CH», onde il fatto generalissimo, in parte dipendente anche da altre cause, che le eccezioni alle regole stabilite, cioè il disaccordo tra il valore molecolare tro- vato e la somma di quelli atomici e costitutivi, si manifestano più spiccata- mente per i primi termini delle serie. Darò due esempî per mostrare come si calcolino per le relazioni seriali le costanti atomiche. I volumi atomici degli elementi in base a quelli molecolari il Kopp li stabilì in base ai seguenti fatti: 1°. Differenza costante nei volumi molecolari per la differenza costante di CH, nella composizione e ciò per qualsiasi serie. 2° Uguaglianza nel volume molecolare degli isomeri. 3°. Uguaglianza nei volumi molecolari di composti che differiscono per contenere l'uno 20 in meno e l'altro 4H in più. Ricavati così i valori atomici di C e H,, per sottrazione potè ricavare quelli degli altri elementi. Le rifrazioni atomiche sono dedotte nel modo seguente e basandosi sopra questi fatti. 1° Differenza costante nelle rifrazioni molecolari per la differenza co- stante di CH, nella composizione e ciò per qualsiasi serie ; 2° Uguaglianza nelle rifrazioni molecolari degli isomeri ; 3° Differenza costante tra la rifrazione molecolare di un acido e quella dell’aldeide corrispondente, onde la rifrazione atomica di 0'; 4° Differenza costante tra la rifrazione molecolare di un’aldeide e quella della somma dei CH; in essa contenuti, onde la rifrazione moleco- lare di 0”; 5° Differenza costante tra la rifrazione molecolare di un alcool C, H2,+20" e la somma delle rifrazioni (CH), + 0', onde le rifrazioni atomiche di H e di C(CH, — H.). In modo analogo conoscendo le rifrazioni atomiche di C, H, 0', 0" si deducono poi quelle degli altri elementi e le variazioni dovute a modifica- zioni di struttura. Ora tutte queste relazioni e simili in cui si tratta di differenze costanti o di uguaglianza nei valori molecolari per costanti differenze di composizione, è evidente che si troverebbero ugualmente e le regolarità sarebbero ugualmente soddisfatte se da tutti i valori molecolari togliessimo o aggiungessimo lo stesso numero: i composti che hanno p. es. volume molecolare o rifrazione mole- colare uguale seguiterebbero ad averla, quelli che presentano una differenza — 206 — costante seguiterebbero a presentarla e così via. Non verremo, come è natu- rale, agli stessi valori atomici e costitutivi, salvo che per il gruppo CH, che conserverà il suo valore: quanto agli altri subiranno delle modificazioni, di- venteranno più piccoli e più grandi, più o meno, a secondo del numero che si sottrae o si aggiunge: ma sarà sempre possibile di dedurre dei valori atomici e costitutivi. D'altra parte supponiamo di avere in un modo qual- siasi calcolato delle nuove costanti atomiche, bene inteso sempre tenendo conto del valore stabilito di CH,, e che colla loro somma per un dato composto che ha il valore molecolare A si raggiunga quello di A —d: queste nuove costanti soddisfaranno più o meno appossimativamente quando da tutti i va- lori molecolari degli altri composti si tolga la stessa quantità 2: quindi po- tremo così esprimere la nuova relazione : i C, = costanti atomiche e costitutive + numero costante; O, — X co- stanti atomiche e costitutive = numero costante. Naturalmente si potrà prevedere che a seconda della grandezza della quantità che si sottrae, quelle costanti atomiche e quel valore fisso o non potranno in nessun modo rappresentare i primi termini delle serie, o almeno, in generale, l'accordo sarà meno buono per questi primi termini. Di ciò ab- biamo uno splendido esempio appunto nei lavori del Traube: per l’acqua il volume molecolare è addirittura minore del covolume; per l'alcool metilico tolto il covolume non resta nemmeno ciò che è necessario pel gruppo CH», e così via discorrendo. Il Traube è appunto caduto in questo errore di credere di avere sco- perto una legge, mentre invece non ha fatto che proporre un modo diverso di calcolare i volumi molecolari in base alle costanti atomiche e costitutive : egli ha dedotto in modo indipendente e traendoli dai volumi molecolari delle sostanze in soluzione questi valori, poi ha cercato con essi, cioè colla loro somma, di rappresentare i volumi molecolari di un liquido: vide che tra il calcolato e il trovato c'era una differenza di circa 25 e, replicando i calcoli per composti analoghi, trovò una differenza presso a poco uguale; onde la sua espressione della quale sopra ho reso conto, che non include nessuna legge. Qualunque proprietà di simile genere permette un analogo modo di calcolo. Se si prendessero in considerazione le rifrazioni molecolari, si potrebbe per esse trovare un covolume ed esprimerle con una formola analoga a quella di Traube: come pure il Traube avrebbe potuto prendere pel suo covolume un altro numero qualunque, modificando bene inteso le costanti e sempre tenendo fermo il valore CH,, e le stesse regolarità gli si sarebbero manifestate in ugual modo e forse anche, se pel covolume adottava un numero più piccolo, in grado maggiore. Dato questo, che è, mi sembra, piuttosto lampante che evidente, una critica dei lavori del Traube nelle loro particolarità la credo superflua. L' ac- cordo tra i valori calcolati e i trovati, specialmente essendosi introdotte di- — 207 — verse costanti costitutive e ammettendo in esse e in quelle atomiche così grande variabilità, è a considerarsi assai, assai meno soddisfacente di quella che si ha colle costanti del Kopp, di R. Schiff e del Lossen. Il Lossen (') per mezzo di formule in cui non entrano che i valori atomici e due costitutivi, per ben 407 combinazioni appartenenti a serie differentissime potè avere un eccellente accordo tra l’esperienza e il calcolo, giacchè assai di raro le diffe- renze si elevano al 7 °/0: ammettendo oscillazioni nei valori atomici sarebbe assai facile ottenere un accordo migliore. E sufficiente accordo si ha pure cogli steri dello Schroeder e si avrebbe con altre costanti differentissime, giacchè non bisogna dimenticarsi che l'espressione generale di queste rela- zioni seriali è quella di una serie di x equazioni a due o tre incognite; ma, se si trascurano i primi termini e ci si contenta di grossolane approssima- zioni, si riducono in fondo a una sola C--H,= a, che è del tutto inde- terminata. Per ciò che riguarda la legge dell’ Avogadro, come la intende il Traube, mi pare di aver detto abbastanza e credo inutile di insistere sulle tante dif- ficoltà che presenterebbe il concetto fisico di quel covolume. Quanto alla legge del Gay-Lussac sono i calcoli stessi del Traube che dimostrano la sua ine- sistenza e credo inutile di aggiungere esempi per far vedere che per molte altre sostanze si hanno per @ valori o eccessivamente grandi o eccessivamente piccoli, e che tra 0° a 100° e la temperatura di ebollizione essi non si mantengono affatto costanti o sono molto diversi da 0.0037. Per l'etere @, tra 0° e 35°, sarebbe 0.0064; per il cresolo tra 0° e 206° (punto di ebulli- zione) 0.0054 ecc. ecc. La determinazione dei pesi molecolari con questo metodo è affatto illusoria. Coll’ introduzione del covolume fisso, il calcolo costringe a una forzata deter- minazione di peso molecolare: ma conoscendo il nessun significato fisico di qnesto covolume, la sua arbitrarietà e nel tempo stesso la sua mutabilità, i pesi molecolari che così venissero a determinarsi non vi è nessuna ragione per credere che fossero i veri: a priori si può escludere che si possano de- terminare in tal modo i pesi molecolari dei primi termini delle serie, a meno che non si sieno utilizzati proprio essi per calcolare il volume atomico e co- stitutivo, dato, bene inteso, che il volume molecolare fosse abbastanza grande per poter sottrarre da esso il covolume e il volume dei CH, in esso conte- nuti. Così ad esempio il metodo è inapplicabile per decidere sulla formula dell’aldeide e della paraldeide, giacchè per la prima si dedurrebbe una mole- cola doppia: così se vogliamo applicarlo ai derivati furanici, furano, furfurolo, alcool furanico, eteri dell’ acido piromucico, troviamo i resultati i più strani, lo stesso è a dirsi per molte ammine, composti non saturi, contenenti azoto e zolfo e così via. D' altra parte se si riflette che il valore del covolume può (1) Lossen, Liebig*s Annalen 254, pag. 42, anno 1889. ReENDICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 27 — 208 — variare da un numero negativo sino a 40 e più, si comprende subito la im- possibilità che si possano avere buoni resultati. Nè giova come fa il Traube di invocare l'associazione: ciò avrebbe potuto farsi dimostrando in base ai fattori del Ramsay e dello Shields, gli unici insieme forse con quelli del Guye, che possano darci un'idea quantitativa dell’associazione, che realmente i valori troppo piccoli del covolume stanno con essi in relazione e in rapporto quan- titativo: ed anche poi bisognava trovare una spiegazione pei valori eccessi- vamente elevati. Invece, come ho fatto già rilevare, non c’ è nessun accordo tra i coefficienti di associazione del Traube con quelli del Ramsay e dello Shields. Il Traube gira la questione commettendo l'errore logico di adoperare i suoi numeri per calcolare la costante di associazione. Il prof. Guye comparò i volumi molecolari di molte sostanze da lui esaminate con quelli calcolati se- condo la formula del Traube, e trovò che l'accordo non c'era. « Sans en rechercher la cause, nous constatons que les deux valeurs ne concordent pas toujours très bien » (*). Infatti le differenze assai spesso sono superiori a 10! Tutto considerato io credo che i lavori del Traube non costituiscano altro che un modo diverso da quello tenuto sin qui per calcolare i volumi mole- colari in base alle costanti atomiche e costitutive; metodo non preferibile agli altri, anzi ad essi inferiore per la poca esattezza dei resultati finali, per la incertezza nei valori fondamentali, per tutti i cambiamenti che si è costretti a fare, per tutte le ipotesi che bisogna immaginare quando il disac- cordo fra l’esperienza e il calcolo è troppo grande. Di vere leggi non c’ è da parlarne: e per i liquidi quella di Avogadro e quella di Gay-Lussac sono ancora da trovarsi e i soli modi per determinare la grandezza molecolare sono per ora quelli fondati sulle costanti di capillarità e, qualitativamente, quelli che si posson dedurre dalla teoria di Van der Waals. Chimica fisica. — Conducibilità elettrica di alcune basi a funzione mista e dei loro cloridrati. Nota di G. CARRARA e di U. Rossi, presentata dal Corrispondente NASINI. Esponiamo qui sotto i risultati ottenuti con la misura della conduci- bilità elettrica molecolare delle sostanze di cui abbiamo parlato nella Nota precedente (2): ad essa si riferiscono pure i simboli adoperati. CH, Betàina RN <# \CH,-C00H (1) Ph. Guye e L. Chavanne, Htude sur la dissymétrie moléculaire — Recherches sur le pouvoir rotatoire des corps actifs homologues. Bull. Soc. Chimique, 5 Mars 1896 (8°, XV-XVI, pag. 275). (2) V. pag. 152. — 209 — I valori di M, II e w, sono quelli esposti da Bredig nel suo lavoro più volte citato; M, I sono i valori per le conducibilità molecolari trovate da Nasini e Costa ('). I valori di 7 però non sono quelli calcolati da Bredig, ma quelli da noi calcolati adottando per l'acido cloridrico la conducibilità limite 395 invece che 383; cosicchè sono diversi anche i valori Sa . Dob- 4 biamo però osservare che i valori di #4 che si trovano nel detto lavoro di Bredig sono diversi da quelli che si calcolerebbero con la formola «= Tn ) DTT O anche adottando uyc.="383, perchè probabilmente l’autore ritenne uga — W costante per tutte le diluizioni di uno stesso cloridrato. Questo non porta grande differenza, quando si tratta di cloridrati poco idrolizzati come quelli delle quattro basi da lui esaminate insieme al cloridrato di betaina, ma nel caso di quest'ultima, dove l’idrolisi è molto forte e, nelle soluzioni più di- luite, quasi completa, la differenza nei valori di 4 è sensibile. Così pure K; K,° questione, non è più così costante come apparisce col primo metodo di cal- colo. Le maggiori differenze si trovano appunto nelle diluizioni più forti. sensibile è l'influenza che ne subisce il valore il quale, nel caso in Cloridrato di betaina. Ki v My Un Ha K, I II 16 189.63 — — — _ 32 DATI —_ — — — 64 268.93 273 103 0.582 78.9 128 308.99 308 106 0.699 78.9 256 339.46 339 108 0.804 77.6 512 360.41 361 110 0.880 79.8 1024 —_ 373 111 0.922 (93.9) Media 78.7 Bromidrato di betaîna. v M, Un x Da 16 198.6 100 0.331 98.2 82 228.8 103 0.430 98.5 64 269.0 106 0.556 92.0 128 294.4 109 0.641 112.0 256 819.1 111 0.734 (129.8) 512 837.6 113 0.791 — 1024 347.6 114 0.826 —_ 2048 349.2 — —_ — Co —_ 115.8 — — Media 100.2 (*) Sul potere rifrangente e dispersivo dello zolfo nei suoi composti — Tip. R. Acc. dei Lincei Roma, 1891, pag. 101. — 210 — "Ap Ta Dimetiltetina R-S_-CH3 \CH, COOH Cloridrato. 240.9 101 0.476 277.7 103 0.596 309.3 107 0.702 997.7 109 0.300 349.5 111 0.840 358.5 113 0.870 357.9 115 = 897.5 —_ —_ — 116.9 — Bromidrato. 261.7 108 0.530 293.7 110 0.637 329.8 112 0.758 957.4 114 0.857 874.5 116 0.916 390.4 118 0.970 390.0 ni — 390.2 — — —_ 119.7 — xa. As Dietiltetina R-S—C.H; È CH, C00H Cloridrato. M, Uv DA 227.9 91 0.450 268.4 93 0.580 292.0 95 0.656 518.4 97 0.742 333.4 99 0.791 943.5 101 0.824 344.6 103 — 845.1 — — — 105.2 —_ Media 26.5 Media 50.0 — 211 — Bromidrato. CH; Media 40.3 Dimetila propioniltetina eh soon , Cloridrato. 91 93 95 97 99 101 103 105.2 Bromidrato. Uy 93 Media 36.4 Media 34.4 — 212 — Lo Dimetil# propioniltetina R-S—CH CH,- CH;- COOH Bromidrato. 16 109.8 93 0.055 (5040) 32 123,8 95 0.095 3280 64 140.8 97 0.172 1827 128 162.0 99 0.210 2298 256 188.4 101 0.301 1988 512 220.7 103 0.399 1935 1024 248.9 105 0.491 2162 2048 249.2 — — — 00 —_ 108 — _ È Media 2248 G4a AZ Dietilselenetina R-Se 4 \GE COOH Bromidrato. 16 99.2 93 0.020 39200 32 106.5 96 0.034 17920 64 113.5 98 0.051 23360 128 124.1 100 0.081 19605 256 129.2 102 0.091 29100 512 137.5 103 0.117 32999 1024 142.8 105 0.129 — 2084 144.8 — — = (o) _ 108 —_ —_ Media 27030 I valori = in causa della piccolissima idrolisi sono più oscillanti. Ki AE Etere etilico della dimetiltetina R-S_-CH \CH,-C00 CxH; Abbiamo ritenuto di notevole interesse studiare anche la conducibilità molecolare di questa sostanza nella quale, per mezzo dell’ eterificazione del gruppo carbossilico, viene a mancare l'idrogeno acido. E importante osser- vare come questo bromuro dell'etere si comporti quale un sale di una base assai più forte, che non subisce idrolisi. Un confronto interessante è quello che si può fare tra la conducibilità del bromuro dell'etere tetinico e — 213 — quella del cloruro di trietilsolfina tolta dai dati di Bredig. Come appare dai numeri che qui sotto riporto, se si tien conto che la velocità di migrazione del bromo è 73 in confronto di quella del cloro che è 70.2, le due serie di numeri sono coincidenti; il che dimostra essere le velocità di migrazione dei due kationi uguale e perciò giustificato il metodo di calcolo di u, preceden- temente adottato. Inoltre appare che nelle basi tetiniche, e probabilmente anche nelle betainiche, sostituendo l'idrogeno ionizzabile con un gruppo non ionizzabile, l'energia della base aumenta cosicchè non si ha idrolisi. Il bro- midrato dell'etere di dimetiltetina ha una conducibilità che si avvicina 2 quella del cloruro di trietilsolfina, quantunque, bene inteso, non si possa per questo fatto dire che la base libera debba avere la stessa energia. Ecco i risultati ottenuti e i valori della dissociazione =. (e) Bromuro dell'etere Cloruro di trietilsolfina v Uv m Uv 16 85.65 0.793 —_ 32 91.60 0.848 89.7 64 95.22 0.881 93.6 128 97.02 0.898 96.8 256 98.95 0.916 99.2 512 100.56 0.931 100.5 1024 103.93 0.962 102.2 2048 105.45 0.985 DI 00 108 — 105.8 A conferma dei risultati avuti nella misura della conducibilità dei clo- ridrati, abbiamo determinato la conducibilità delle basi libere Idrati di Etere eti- lidimetil- Dietil- |Dietilse-| Dimetil a o |ezina | Linerlma tetina |lenetina |propioniltetina 1 16 1.685 | 1.96 sE 2.016 5.93 | 8.816 3.75 2.44 32 1.703 | 2.20 0.862 | 2.466 7.19 | 4.048 4.00 2.74 64 1.735 | 2.81 0.988 | 2.802 8.92 | 4.76 4.77 2.86 128 | 1.792 | 2.56 1.129 | 8.015 | 10.66 | 5.70 5.60 3.04 256 | 1.804 | 2.08 1.455 | 3.054 | 11.85 | 6.86 6.30 8.10 512 —_ — — — 13.22 | 7.42 7.20 = (1) Nasini e Costa, 1. c. p. 100. — 214 — Insieme agli altri idrati abbiamo tentato la preparazione e l’ esame del- l’idrato dell'etere etilico della dietiltetina, usando nella trasformazione una quantità insufficiente di Ag»0 umido; ma i nostri risultati confermano quanto avevano già osservato Letts e Collie (!), che per i primi ne prepararono il bro- muro, che cioè avviene una saponificazione quando si cerca di sostituire l'alogeno con l'ossidrile, e il risultato finale è la formazione dell’idrato di dimetiltetina. I numeri che riportiamo sopra sono con tutta probabilità quelli dovuti a questa base, forse con tracce di ossido d’argento disciolto. Così pure non abbiamo potuto, malgrado i ripetuti tentativi fatti, otte- nere l’idrato della dietilselenetina perchè, come già uno di noi ebbe a os- servare (?), questa base si scompone con grande facilità. Dall'esame dei risultati esposti appare che i cloridrati e bromidrati di betaina, dimetil e dietiltetina e dimetila propionil tetina hanno conducibi- lità che sono assai prossime, specialmente nelle soluzioni più diluite, a quelle degli acidi cloridrico e bromidrico, come appare anche dai valori di x. Infatti per questi due acidi si hanno le conducibilità molecolari seguenti : = 8 16 32 64 128 256 512 HCI. fl 0. 855 MS621 869, SA 0088 a SEBri ssi... 961 567 378 03470 (330 n Diversamente si comportano la dietilselenetina e la dimetil@ propionil- tetina e l'etere della dimetiltetina. Queste sostanze sono meno idrolizzate e l’ultima poi non lo è affatto. Il comportamento degli idrati conferma pienamente quello dei sali, perchè si osserva appunto che sono le basi meno idrolizzate quelle che hanno la maggiore conducibilità allo stato di idrato, mentre le altre hanno una conducibilità piccolissima, tale da poter quasi rientrare, per alcune, negli errori d'osservazione. Di più la loro conducibilità non varia quasi con la diluizione. La formula proposta da Arrhenius è applicabile per le soluzioni nelle quali non si ha un’idrolisi troppo spinta, forse perchè in questi ultimi SO : mr, 5 di 4 . K3 casì risente più fortemente l'influenza degli errori d'osservazione. I valori —- 4 per le soluzioni non troppo idrolizzate si mostrano discretamente costanti, ma in generale oltre l’idrolisi dell'80 °/, non si mantengono più tali. Rias- i : Mu Jc : i sumendo le medie dei valori di =*° avremo la misura relativa della gran- 4 dezza dell’ affinità delle basi esaminate: Beta ROSS age e cloridrato 78.7 ” RR RS. 0. bromidrato RM (d002) (1) Jahresbericht ib. d. Fortschritte d. Chem., 1878, 683. (2) G. Carrara, Gazzetta chimica, XXIV, II, 1894. — 2l5 — Dimetiltetina Me. iiclonidrato 38.1 ” e e. bromidrato, 26.0 Dictltehn ai RS Ret... Jeloridrato 50.0 ” Me... ; fbromudrato 40.3 Dimetil propioniltetina. . . . . cloridrato 36.4 ” MN... Mpromidrato 34.4 Dimetil 8 propioniltetina. . . . . bromidrato 2248.0 Dietilselenetina. . . +. . . . . bromidrato 27030.0 Ania Re So. cloridrato: 141000) D I. 29000( $ È To Monia, e ’ 55000 g SA fs MOTTA: 6 o oo IS ” 132000/ A © Le differenze che si osservano fra le costanti ottenute dal cloridrato e dal bromidrato sono da attribuirsi all’ approssimazione dei valori di u» ed al fatto che non si può assolutamente escludere che, nella trasformazione del cloridrato in bromidrato specialmente per la betaina, avvenuta formando prima l'idrato e poi, per azione dell'acido bromidrico, il bromidrato si abbia qualche traccia di prodotto secondario che l’analisi non riesce a rivelarci. Riteniamo perciò, il valore del cloridrato di betaina più attendibile. Quanto alla grandezza dei valori trovati, una interessante osservazione si può fare confrontando la dimetil a propioniltetina e la dimetil 8 propionil- tetina: questi due isomeri hanno un'energia basica molto diversa, cioè tale che sta come 1 a 61, ed è appunto l’allontanarsi del gruppo a funzione elettropositiva da quello a funzione elettronegativa che fa aumentare così l'energia della base. Un fatto pure di un certo interesse si è l’ osservare come la sostituzione dello solfo con il selenio aumenta l'energia della base da 1 a 1000. Oltre alle basi citate esaminate da Bredig esistono altre basi deboli studiate da Walker (’) le quali subiscono un idrolisi nei loro cloridrati al- trettanto grande e anche maggiore di quelle da noi esposte. Di alcuna di queste riportiamo qui sotto i valori delle conducibilità molecolari per una diluizione di v= 50 e quelli delle basi da noi studiate per v = 64. so Mes Propionitrile . . . 373.4 Clor. dimetil a propioniltetina . 310.2 Ebiowrea 0. 371.9 Clortdimetilto tima fi, se n 309.6 Acetammide. . . . 369.9 Clorswdieti tetano. 292.0 Ure 368.6 Cloredi betana Eee o 273.0 Tioidantoina. . . . 233.2 Brom. dimetil 8 propioniltetina . 140.8 (1) Zeitschrift f. physikal. Chem., IV. RenpIcoNTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 28 — 216 — Uso Usd Acido asparaginico 226.0 Brom. dietilselenetina . . . . .. 113.5 Asparagina . ... 217.0 Brom. etere etilico dimetiltetina 95.2 GilicocollafAfzaTae 195.3 Tlazol'Ss. 189.8 Bir dina sO 108.1 ARI IR ASTE 99.4 Le tetine e la betaina sarebbero dunque basi più deboli della glico- colla, dell’asparagina e dell'acido asparaginico e più forti dell’ acetammide, tiourea e propionitrile. ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alle elezioni di Soci e Corrispondenti dell’Accademia. Le elezioni dettero i risul- tati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Fu eletto Socio nazionale: Nella Categoria IV, per la Zoologia e Morfologia: Grassi GIOVANNI BATTISTA. Fu eletto Corrispondente : l Nella Categoria IV, per la Zoologia e Morfologia: Fano GiuLIO. Furono inoltre eletti Soci stranieri: Nella Categoria I, per la Matematica: WEBER EnRIco e ReEvE Troporo; per la Meccanica: DARWIN GiorGIio Howarb; per la Geografia matematica e fisica: HeLmeRT FEDERICO RoBERTO. Nella Categoria III, per la (Geologia e Paleontologia: GAUDRY ALBERTO. Nella Categoria IV, per la Misiologia: KRonEckER UGo e ScHMIE- DEBERG OsvALDO. L'esito delle votazioni fu proclamato dal Presidente con circolare del 23 luglio 1897; e le elezioni del Socio nazionale e dei Soci stranieri furono approvate da S. M. il Re, con decreto in data del 23 agosto 1897. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La R. Scuola navale superiore di Genova; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Sydney; l'Osservatorio di Upsala. — 217 — Annunciarono l’ invio delle proprie pubblicazioni: Il Ministero d' Agricoltura, Industria e Commercio ; l'Accademia di scienze, iscrizioni e belle lettere di Tolosa; la R. Accademia delle scienze di Sto- ckholm; la Società di scienze naturali di Kiel; le Università di Cambridge e di Halle a. S. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 6 settembre al 3 ottobre 1897. Adams J. Couch. — The Scientific Papers. Vol. I. Cambridge, 1896. 49. Bradford G. — Table of Depths for Channels and Harbors, Coasts of the United States. Washington, 1897. 4°. Carazzi D. — Contributo all’ istologia e alla fisiologia dei Lamellibranchi. Leipzig, 1897. 8°. Carta idrografica d' Italia. Veneto. Roma, 1897. Catalogue de l’Observatoire de Paris. — Positions observées des étoiles 1837-81. T. III. — FEtoiles observées aux instruments méridians de 1837 è 1881. Egli Paris tl 896045 Ceballos Dosomantes J. — Théorie sur les rayons invisibles (cathodiques et X). Mexico, 1897. 8°. Ceélébration du 300° anniversaire de la naissance de René Descartes (Société des mathématiciens tchèques). Prague, 1897. 8°. Marchesetti C. — Flora di Trieste e de’ suoi dintorni. Trieste, 1896-97. 8°. Petényi J. S. v. — Pastor roseus L. Budapest, 1896. 8°. Saija G. — Il reticolato della projezione ortografica meridiana ed i problemi della nuova navigazione astronomica. Roma, 1897. 8°. Salmojraghi F. — Alpinismo sotterraneo. Torino, 1897. 8°. Id. — Geologia ed ingegneria. Milano, 1897. 8°. Sars G. O. — An account of the Crustacea of Norway. Vol. II Isopoda, p. 7, 8. Bergen, 1897. 8°. Stok (van der) J. P.— Wind and Weather, Currents, Tides and tidal-streams in the East Indian Archipelago. Batavia, 1897. f.° RAD: Uni eo, DA MONTA T 10.6 L, RES 103 1 ' A di Do i VOTE MERE mu GILRLAL TONE figa VI î ì LE AN NA I} RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 17 ottobre 1897. Chimica fisica. — Catalisi dell’acetato di metile per mezzo dei sali di alcune basi a funzione mista. Nota di G. CARRARA € U. Rossi, presentata dal Corrispondente NASINI. Fra le basi da noi studiate e la glicocolla, asparagina, ecc. esistono delle analogie di costituzione per le quali sembrerebbe che per esempio la betaina, appunto perchè contenente il residuo del tetrametilammonio dovesse essere una base più energica che non la glicocolla che contiene solo il re- siduo dell'’ammoniaca. Abbiamo perciò ritenuto opportuno anche uno studio sopra la costante d' affinità col metodo della catalisi dell’ acetato di metile; il quale metodo, quantunque meno esatto, pure si prestava bene per i con- fronti con le basi accennate studiate anche in questo modo da Walker (1). Abbiamo seguìto presso a poco lo stesso metodo di questo autore, solo che noi abbiamo operato sopra soluzioni decinormali, anzichè sopra soluzion normali di cloridrati e bromidrati delle basi. Il nostro modo di operare era il seguente. Soluzioni decinormali dei cloridrati o bromidrati delle diverse basi, vennero poste nella proporzione di 10 cc. di soluzione a 1cc. di acetato di metile in palloncini che furon tenuti in un termostato a 25°-26°, e di tempo in tempo si prelevava 1 cc. della soluzione e si titolava con una soluzione (1) Zeitschrift f. physikal. Chem., IV. RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 2°, Sem. 29 — 290), — decinormale di idrato di potassio, usando la fenolftoleina come indicatore. Applicando la nota formola delle reazioni monomolecolari 1 A t lg prio si poteva avere il valore della costante AC che rappresentava il coefficiente d’affinità dell'acido idrolizzato; x è la quantità trasformata nel tempo % espresso in minuti, ed A la quantità di sostanza (acetato di metile) origi- naria. E poichè per i risultati è lo stesso riferirsi all’acetato di metile o all’acidità che dall’acetato di metile proviene, i valori di A e di 4 sono corrispondenti al numero dei ce. di KOH “/ impiegati, diminuito di quelli che originariamente erano necessarî per la neutralizzazione prima della catalisi. Il logaritmo dovrebbe essere il logaritmo naturale; ma, come si è fatto da quasi tutti gli sperimentatori, diamo qui sotto il logaritmo volgare che, come è noto, moltiplicato per 2.3025 dà il logaritmo naturale. Oltre ai sali abbiamo fatto nello stesso modo la catalisi con-soluzioni decinormali di acido cloridrico e bromidrico con risultati coincidenti, allo scopo di poter applicare le formole di Walker. I valori per le AC che noi abbiamo così ottenuti, sono circa il decimo di quelli trovati da Walker, il quale usò soluzioni normali, mentre le nostre, come abbiamo detto, erano decinormali. Il calcolo per le costanti di affinità della base è stato fatto nel modo istesso usato da Walker (!); cioè deducendo la formola dalla equazione ge- nerale di Guldberg e Waage, come è stato accennato in principio della pre- sente Nota. Soltanto che invece di costante di dissociazione andava posta la costante di affinità dell’ acido idrolizzato. Poichè le soluzioni esaminate sono tutte decinormali, v sarà eguale a 10 per tutto, e la formola II diviene Ke bi Kg Ka, chiamando K, la costante d'’ affinità avuta con l’ acido cloridrico o bromidrico soli moltiplicato per 10; con K,s la costante d’affinità ottenuta con il sale idrolizzato, pure moltiplicato per 10; 7 sarà la costante d'’ affinità della base, anche qui, si sottintende, in rapporto con quella dell’acqua. Acido cloridrico e bromidrico. A = 9.20. A 270 1.5 0.0772952 0.000286 1290 5.10 0.3510035 0.000272 1680 6.10 0.4724200 0.000281 1890 6.50 0.5324231 0.000281 2730 7.80 0.8165790 0.000299 4170 8.70 1.2648178 0.000307 Media 0.000286 (1) Ibidem, I. c. 2280 2700 2880 3870 9040 59510 9730 6570 7140 2280 2700 2880 3340 4170 5040 95310 9370 6600 7140 8160 8560 Bromidrato di dimetiltetina. A=9.6. 5.40 0.3410386 5.90 0.4140704 6.00 0.4259579 7.10 0.5843312 7.95 0.7692813 8.20 0.8361405 8.40 0.9030900 8.70 1.0280016 8.85 1.0721000 Media 286 — 152 i = 159? = 0.00571 Cloridrato di dimetiltetina. AG % lg TE, 6.00 0.4336418 6.45 0.4979519 6.60 0.5153174 7.55 0.6876895 7.70 0.7224470 8.25 0.8808131 8.40 0.9363277 Media 286 — 157 = To — 0.00523 Cloridrato di betaina. ANL9R2. 0} 3.90 0.2393996 4.30 0.2735799 4.50 0.2916796 5.40 0.3839948 5.80 0.4322957 6.45 0.5244351 6.55 0.5405297 6.90 0.6020600 7.35 0.6966195 7.55 0.7462994 8.00 0.8846028 8.05 0.9030900 Media DAG ER gi 103° 0.000149 0.000152 0.000147 0.000151 0.000152 0.000157 0.000158 0.000157 0.000150 0.000152 AC 0.000156 0.000156 0.000153 0.000158 0.000155 0.000159 0.000161 0.000157 0.000105 0.000101 0.000101 0.000100 0.000103 0.000104 0.000101 0.000105 0.000105 0.000104 0.000108 0.000105 0.000105 Bromidrato di betaina. AN1930% 2280 3.90 0.2360836 0.000103 2700 4.30 0.2695129 0.000100 2880 4.50 0.2872417 0.000100 4200 5.80 0.4244079 0.000101 5300 6.60 0.5371136 0.000101 9720 6.90 0.5705429 0.000100 6570 7.25 0.6567209 0.000100 7190 7.60 0.7380270 0.000102 8175 8.05 0.8715729 0.000106 8560 8.15 0.9077878 0.000106 È o Media 0.000101 Gi RE Mio: =— 0.0181 Bromidrato di dimetil a propioniltetina. A = 9.50. 2280 5.20 0.3442547 0.000151 2700 5.80 0.4095105 0.000151 2880 5.95 0.4274861 0.000148 3870 6.95 0.5711729 0.000147 9280 7.95 0.7873896 0.000148 5730 8.20 0.8637807 0.000150 6570 8.55 1.000000 0.000152 7140 8.75 1.0482864 0.000147 sc Media 0.000150 286 — 150 K= mis 0.00604 Bromidrato di dimetil B_propioniltetina. 3660 1.45 0.0880652 0.000024 3930 1.60 0.0982629 0.000025 4360 1.75 0.1087341 0.000024 5200 2.05 0.1304624 0.000027 5760 2.30 0.1494347 0.000026 6210 2.80 0.1899393 0.000030 8640 3.30 0.2348715 0.000027 11520 4.30 0.3413158 0.000029 16770 5.35 0.4910814 0.000029 Media 0.000027 roi e 27° Mliooo — I risultati ottenuti con la catalisi confermano quelli avuti con la condu- cibilità anche per le basi da noi esaminate. Infatti disponendo le costanti d'affinità da noi trovate insieme con quelle trovate da Walker (') secondo l'ordine decrescente di energia, si hanno i seguenti valori di %: Basi Roure Ns e. a 1 010.00030 Propionibr legge sg 0.00047 AAC eta mmimoiId ese sei ae e 0:000/79 WUircaReoneanesorosi 000400 DimegiltetinaeNdaleel'orig Meet Sin e 0-00523 ” dalibromidesgiroto o eee 0057A1 Dimetil @ propioniltetina: dal bromid.. . . . 0.00604 Betamafidaleclo nd eee ae (001720) ” dalspromidemieamete 0 ee i 001810 Afcetossima meg sai e COLOLO0 AcidoMasparaginicomi . “See (0 0-23000 ; loda utoma are. e 1024300 Dimetil $ propioniltetina: dal bromid. . . . 0.35500 Asparaginarms sereno. Sg. (I 040000 Giicocollagsetene nt. Sa 1074000 azoto a 086000 Etere etilico della dimetiltetina . . ... . — dai quali apparisce che le basi tetiniche e betainiche danno anche con questo metodo delle costanti d'affinità che le dimostrano più energiche dell’acetam- mide, dell'urea e della tiourea, e meno energiche della glicocolla dell’ace- tammide e dell'acido asparaginico. La stessa eccezione si ha per la dimetil # propionil, la quale mostra con questo metodo un'energia, in confronto del suo isomero dimetil « propioniltetina, che sta nel rapporto di 59 a 1, mentre con il metodo della conducibilità elettrica questo rapporto è di 61 a 1. L'accordo fra le costanti d’affinità della stessa base, a seconda che si deduce dalla catalisi del cloridrato o del bromidrato, è più soddisfacente che ni: a questo riguardo dobbiamo notare che per la natura stessa di queste basi, per la facilità con la quale, sia durante i trat- tamenti per trasformarle in anidride o in cloruro, sia restando in soluzione o nel vuoto per diverso tempo danno dei prodotti secondarî, come solfine ecc. ('), sono spiegabili i maggiori disaccordi nei valori dedotti con il metodo più sensibile qual’ è quello della conducibilità elettrica. non quello dei valori di (1) G. Carrara, Rendic. Accad. dei Lincei, vol. II, 1° semestre, 1893. Gazzetta Chimica ital, vol. XXIII, pag. 493. — 224 — Rammenteremo ancora che le maggiori differenze tra le conducibilità calcolate con i coefficenti d'affinità e quelle effettivamente trovate, come appare . dal lavoro di Walker, si hanno appunto nei cloridrati dell'acido asparaginico e dell'asparagine sostanze che hanno una certa analogia con quelle da noi studiate. Dai risultati esposti si vede che le previsioni della teoria sono confermate da tutto il comportamento di queste basi e dei loro sali in soluzione. Difatti si osserva che le basi libere hanno una conducibilità piccolissima in soluzione acquosa e tale che, pei primi termini della serie come, betaina, dimetil e dietiltetina, non variano quasi con l'aumento della diluizione; per il termine più complesso, dimetil @ propioniltetina, la conducibilità è un po’ più elevata, pur essendo sempre assai piccola. Queste piccole conducibilità noi riteniamo che si possano anche attribuire a tracce di impurezze o di prodotti secondarî che, come uno di noi ha già osservato in precedenti lavori, si formano con facilità dai composti tetinici. Fra le numerose basi studiate da Bredig, nessuna ha una conducibilità inferiore a quella della prima da noi citata: le più deboli come l’ammoniaca a v= 256 danno un valore di u= 17.88 e l'idra- zina wu = 5.14, mentre, come abbiamo visto per la betaina, wu, = 1.804 per la dimetiltetina u,= 1.45, e fa eccezione la dimetil « propioniltetina il cui valore u,= 6.3 e la dietilselenetina che ha un valore w= 11,89; CH ma, come ripetiamo, la facilità con cui avviene la reazione (0-CH =a | CH, Capi H,0 = (0; HO-S_ Dr 2 Vo th non ci permette di fare di queste sostanze una vera eccezione. Data perciò questa piccolissima conducibilità si puo ritenere che almeno i primi termini più caratteristici non sieno elettroliti; ora questo fatto CH; non bene si accorderebbe coll’ ipotesi che la formula fosse HO-S—CH3 dove \CH-C00H 6a esiste un gruppo NOS: che sarebbe il residuo del solfonio base CH, assai energica, la cui conducibilità a 2560 è w= 207. La supposizione più semplice per ispiegare il fatto, sarebbe di ammettere che anche in soluzione acquosa non esista l’ idrato di queste basi, ma si abbia l'anidride che, del resto, è l’unico prodotto che riusciamo ad isolare dalla soluzione. Conclusione questa che la teoria ci aveva fatto prevedere. Se invece osserviamo i risultati avuti nelle misure di conducibilità elet- trica e catalisi dell’acetato di metile dei sali constatiamo, come la teoria prevedeva, una fortissima idrolisi la quale raggiunge già a v = 16 circa il — DI 50 °/, del sale, mentre per basi pure assai deboli come l'anilina, toluidina ecc., alla stessa diluizione si ha un’ idrolisi intorno al 2 °/ (!). Fra le basiche, quelle che per l' idrolisi assai spinta si possono parago- nare a quelle da noi studiate, sono la o.nitroanilina, il propionitrile, l’ urea, la tiourea e l’'acetammide. Queste, come abbiamo precedentemente esposto, sarebbero anche più idralizzate delle nostre. Secondo le esperienze di Walker (?) le soluzioni a v= 50 dei cloridrati di queste basi hanno conducibilità molecolari superiori a quelle da noi trovate a v= 64, non solo, ma, per una di esse, la o.nitroanilina, la conducibilità molecolare è superiore a quella dell’ acido cloridrico pure alla stessa diluizione. Anche fortemente idrolizzati, ma in un grado minore delle tetine e della betaina, sono l'acido asparaginico, l’asparagina, e la glico- colla ecc. In ciò niente di strano, perchè se l’ idrolisi, come è intesa ordinariamente e come si calcola con le formole di Walker, Arrhenius ecc., è dovuta alla azione dell’acqua dissociata sopra il sale e conseguente formazione dell’ idrato della base e acido libero, non si può escludere che avvenga talvolta anche per vera scissione in acido e base libera indipendentemente dall’ azione del- l’acqua, come succede per esempio nei sali di nicotina nell’ alcool ecc. Oltre a ciò, per qualcuno di questi sali più idrolizzati è possibile esista nella molecola una disposizione che permetta l’esistenza di un gruppo a fun- zione acida e uno a funzione basica, che sarebbe, secondo la nostra ipotesi, una predisposizione ad una forte idrolisi. Nel caso che l’idrolisi dipenda dalla ionizzazione si dovrà avere che questa procederà di pari passo con quella; cosicchè, quando il residuo acido sarà unito al residuo di una forte base, l’ ionizzazione e perciò 1’ idrolisi sarà più grande a parità di diluizione che quando il residuo acido è unito al re- siduo di base più debole. E questo si verifica appunto. C,H,NH; CI Il cloridrato di glicocolla | è meno idrolizzato del cloridrato COOH PAGE di betaina CDI —- N CH; CH; N CH, COOH Dalla catalisi dell’acetato di metile si deduce che il valore di K per la glicocolla è K= 0.74, mentre per la betaina è K=0,0172. Cosicchè la glicocolla, secondo queste misure, sarebbe una base molto più energica betaina. (1) Bredig, loco citato. (2) Loco citato. — 226 — Ora mentre la glicocolla deve la sua basicità al residuo dell’ ammoniaca la cui costante d' affinità dedotta con la catalisi è K = 3.0, la betaina invece deve la sua basicità al residuo del tetrametilammonio, la cui costante d’af- finità è altrettanto energica quanto quella della soda K = 162 ('). Da qui una contraddizione che scompare tosto con l'ipotesi fatta, perchè è naturale che il cloro essendo unito ad un residuo di basicità minore nella glicocolla, si ionizzerà meno di quando è unito ad un residuo di più forte basicità come nella betaina; perciò la maggior formazione di HCl nel secondo caso, così effettivamente la minore energia del gruppo (RHNH.) in confronto di (RN(CH;):) diminuisce l' idrolisi aumentando per contro l’ energia di tutta la base. Per cui sembrerebbe giustificata la conclusione che queste basi a funzione mista sono tanto meno energiche quanto maggiore è l’ energia del gruppo basico dal quale provengono. Naturalmente se il fenomeno idralitico non proviene più o solo in pic- cola parte dall'azione dell’acqua dissociata, si capisce che le formole basate sopra questo fatto non possano più rappresentare esattamente il fenomeno e così si possano anche spiegare qualcuna delle differenze osservate. Dobbiamo aggiungere un altro argomento in favore dell’ ipotesi che in queste basi il fenomeno dell’ idrolisi è causato o grandemente aiutato dal- l’elettrolisi. Abbiamo osservato nel corso del presente lavoro che i due bromidrati delle basi isomere dimetilpropioniltetina nei CH; È CH; BESiCHI re #<=z>yzy—-—y}—#*° z Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del ? novembre 1897. F. BrioscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano mel 2° e 3° trimestre del 1897. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all'Accademia i risultati delle osservazioni solari fatte nel 2° e 3° trimestre del corrente anno all’ Osservatorio del Col- legio Romano. La stagione fu favorevole, così che il numero dei giorni di osservazione è rilevante in ciascun mese. Ecco i risultati per le macchie e per le facole. 1897 ® E E | =È ss sen ao E ZO E 2 MESI Sos | SE SE Sl EST, | See Ea en ES En S > To DÈ TS D° $..5 |Bfo | 829 55 | E5 Se ES | ASS |&Ss | &tg $3 $2 } i = 9 È =] | ri Aprile ... 25 4,20 6,24| 10,44| 0,12 | 0,16 | 3,28 | 30,08| 67,71 Maggio. . . 25 1,88 3,84| 5,72) 0,20 | 0,00 | 1,56 | 29,48| 55,44 Giugno. . . 29 1,59 1,55 8,14| 0,81 0,00 1,14 | 13,13] 48,10 2° trimestre 79 2,51 376) 16;27 | 0,2280005. 1,95. | 23,63 || 56581 ras se sl 3,26 | 4,90) 8,16) 0,00 | 0,00 | 2,48 | 21,26| 66,13 Agosto. . . 28 2,71 3:71 6,42) 0,00 (0,00 | 1,61 | 31,11 73,75 Settembre . 28 4,93 | 14,50] 1943) 0,00 | 0,00 | 4,72 | 43,86 | 65,39 9° trimestre 87 3,62 7,61 11,23) 0,00) 0,00 | 2,92 | 85,26| 68,35 RENDICONTI. 1897, Vol. VI, 2°, Sem. 32 — 242 — Il fenomeno delle macchie solari ha continuato a diminuire nel 2° tri- mestre, risultando le medie tutte molto inferiori a quelle relative al 1° tri- mestre 1897; in corrispondenza. di ciò si fece maggiore la frequenza dei giorni senza macchie e senza fori; nelle facole invece la diminuzione è piccola in confronto alla precedente serie. Le osservazioni furono eseguite da me in 65 giornate, in 12 dal sig. Vezzani e in 2 dal sig. Palazzo. Nel 3° trimestre il fenomeno delle macchie presenta un aumento in con- fronto del 2° trimestre, come pure sì verifica un aumento nell'estensione delle facole; è dunque da rimarcarsi il minimo secondario avvenuto nel mese di Giugno. Nel 3° trimestre le osservazioni furono fatte da me in 57 giorni £ in 50 dal sig. Vezzani. Per le protuberanze il numero delle giornate di osservazione è pure rilevante come vedesi nella seguente tabella. Medio numero ci Pool Numoxo delle Media altezza | Estensione DIOUO Mena MESI dei giorni ip ; . delle massime altezza di osservazione Lera Mi" DSL AGLOTnO Mon altezze osservata per giorno | n PR HU 9 ‘L ell || Aprile . .. 21 3,86 34,9 1,4 40,1 65 Maggio. . . 23 3,90 39, 1,4 59,4 60 RNA R a G | Giugno... | 28 4,00 36,6 Ih4 ASI 74 | 2° trimestre 12 3,4 55,0 1,4 41,1 VA Il | Luglio... 30 2,97 2939 Il 36,0 SO Agosto . . . 27 3,96 36,1 15) 49,9 140 i Settembre . 26 5,23 37,2 113) 50,7 90 3° trimestre 83 3,84 34,2 155) 45,1 140 Nel 2° trimestre anche nel fenomeno delle protuberanze solari si verificò una diminuzione e nessuna protuberanza fu osservata degna di speciale men- zione. Le osservazioni furono eseguite da me in 56 giorni ed in 16 dal sig. Palazzo. Ben poca è la differenza fra le medie ricavate pel 3° trimestre e quelle relative al 2°, così che si può dire che il fenomeno delle protuberanze si mantenne pressochè stazionario tanto per la frequenza per giorno che per l'estensione. Un minimo secondario ebbe luogo nel mese di Luglio. La sola protuberanza degna di rimarco per altezza (140) fu quella osservata nel giorno 24 Agosto al bordo orientale. In questo trimestre le osservazioni spet- troscopiche furono eseguite da me in 57 giorni ed in 26 dal sig. prof. Palazzo. pe Fisica terrestre. — registratore sismico a doppia velocità in occasione del terremoto delle Marche del 21 settembre 1897. Nota del Socio prof. P. TACCHINI. La prima volta che funzionò questo apparecchio ('), ideato dal mio assistente G. Agamennone ed applicato ad un nuovo tipo di sismometrografo (2) in funzione da qualche anno a scopo di esperienze sulla torretta del Collegio Romano, fu in occasione del terremoto calabro- messinese del 16 novembre 1894. Anzi, nella seduta del 18 dello stesso mese io ebbi l’ onore di commu- nicare all'Accademia il diagramma che se ne ottenne e che fu inserito nei Rendiconti di quella seduta (*). Dopo allora, lo stesso strumento non mancò di funzio- nare in parecchi altri terremoti sia italiani, sia prove- nienti dall’ estero; ma è ovvio che uno studio proficuo dei diagrammi sebbene per quanto completissimi, che se ne ricavarono, non è stato mai possibile a causa della oscillazione propria della torre in seguito al vento ed al movimento cittadino. Allo scopo di ottenere diagrammi immuni da queste cause d'errore, ho già fatto collocare da qualche tempo i un altro consimile strumento nei sotterranei del Col- legio, dove l’ esperienza ha mostrato che coll’ attuale moderata amplificazione degli stili scriventi diviene insensibile tanto l' influenza del vento quanto quella del movimento cittadino. Questo secondo strumento ha funzionato assai bene in occasione del terremoto indiano del 12 giugno passato, il quale, abbenchè non sia stato menomamente sentito dall’ uomo in Europa, pure mise in sì grande e prolungata oscillazione il pendolo sismo- grafico del nostro istrumento che il registratore a doppia velocità scattò una ventina di volte di seguito e fornì (1) Agamennone G., Sopra un nuovo registratore di ter- remoti a doppia velocità. Rend. della R. Acc. dei Lincei, s. 5°, vol. I, p. 247; seduta del 2 ottobre 1892. (2) Agamennone G., Sopra un nuovo tipo di sismometro- grafo. Boll. della Soc. Sism. Italiana, vol. I, (1895), p. 160. (3) Tacchini P., Terremoto calabro-messinese del 16 no- vembre 1894. Rend. della R. Accad. dei Lincei serie 5°, vol. III, p. 275; seduta del 18 novembre 1894. — 244 — un diagramma assai lungo e particolareggiato per la durata di più di mez- z ora e che verrà a suo tempo studiato. Quantunque nel recente terremoto delle Marche il registratore a doppia velocità non abbia scattato che una sola volta, appunto a causa della minor durata del movimento sismico, pure il diagramma che oggi ho l’ onore di sottoporre all'Accademia, mi sembra assai importante sotto molti punti di vista e specialmente per dimostrare che 1’ apparecchio risponde bene nella pratica e che solo, senza bisogno di alcun sismoscopio, è in grado di fornire tutti gli elementi per uno studio completo dei fenomeni sismici. Da un ispezione al diagramma si vede che la grande velocità non ha cominciato che quando il movimento del pendolo ha raggiunta una sufficiente elongazione; ed è certo che senza il grande aumento della velocità della zona di carta, sarebbe stato impossibile discernere i vari movimenti del suolo in mezzo alle oscillazioni pendolari, poste già così bene in evidenza dalla lunghezza di otto metri del pendolo. Senza la grande velocità di circa 10 metri all’ ora, con cui si è svolta la carta durante buona parte del terre- moto, si sarebbe facilmente caduti in errore, attribuendo al movimento del suolo tutta la larghezza delle tracce che si sarebbero ottenute a piccola velo- cità. Quando la zona scorre a debole velocità, e cioè in ragione di soli 390 centimetri all’ ora, come si vede nel principio e nella fine del diagramma e dove le tracce sono così serrate da sovrapporsi perfino luna all’ altra, si è nell'impossibilità di fare una buona analisi; ed è evidente che sì urterebhe sempre contro lo stesso ostacolo anche quando si volesse raddop- piare e triplicare, siffatta velocità e cercare di assottigliare il tracciato delle penne. Chiudo col far notare che la durata della 1* parte del diagramma re- lativa alla piccola velocità, è per lo meno di un minuto; che la parte di mezzo, ottenutasi quando la carta si svolgeva rapidamente, è di circa un mi- nuto e mezzo; che infine la durata dell’ ultima parte del diagramma, otte- nutasi di nuovo a piccola velocità, non è certo inferiore a tre minuti. Astronomia. — Osservazioni della cometa Perrine (ottobre 16). Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. La cometa fu scoperta al Lick Observatory dall'astronomo Perrine il 16 ottobre. È un oggetto telescopico con una piccola coda, la quale rapidamente ruotava, diminuendo di sera in sera l'angolo di posizione, la cometa passando dall’opposizione alla quadratura. Potei fare quattro posizioni, per una delle quali la stella di riferimento è in posizione soltanto approssimata. — 245 — L'orbita è inclinata di circa 69° sull'eclittica, e la distanza perielia è circa 1.4, così che l’astro potè essere scoperto intorno all'opposizione. « apparente cometa dapparente cometa P coda 1897 ottobre 24 11"38m 165 RCR 2h 8m59512 (91770) 77°56/40”.5 (0.717) 180° ” ii 2 6 a » 1 50 44 87 (0:337n) 78 51 27. 3 (9.892) 175 » n 1026116, 42121 ni 1 23 27.03 (0355n) 79 52034..9) (0.240n). 170 La quarta posizione è riferita alla stella BD+- 800.24, la cui posi- zione è soltanto conosciuta approssimatamente. Sc (cometa meno Sd (cometa meno P coda stella) stella) 1897 ottobre 27 6 34 0 RCR + 40 95.48 320 = 150° circa. Fisica. — Nuovo indicatore di onde elettriche. Nota del Cor- rispondente AucusTo RIGHI. Ho altra volta dimostrato che, quando si congiungono gli elettrodi di un tubo contenente aria ad un conveniente grado di rarefazione coi poli di una pila, la cui forza elettromotrice sia troppo piccola o appena sufficiente per determinare il passaggio dell’ elettricità nel gas, si producono certi cu- riosi fenomeni, fra i quali il seguente, e cioè che, mentre per piccole di- stanze fra gli elettrodi la propagazione dell’ elettricità non ha luogo od è debolissima, essa diviene improvvisamente energica allontanando l'uno dal- l’altro i due elettrodi ('). In occasione di queste esperienze ebbi campo altresì di osservare, che quando la propagazione non ha luogo in modo sen- sibile, per essere la f. e. della pila qualche poco inferiore al bisogno, ba- stano cause minime, come per esempio l’ avvicinamento della mano al tubo, perchè questo si illumini e la corrente tosto si stabilisca. Mi è venuta ora l'idea di esaminare se le onde elettriche generate da una scintilla possano produrre un fenomeno analogo, e le esperienze all’ uopo istituite mi hanno mostrato che, sotto determinate condizioni, ciò difatti ha luogo. Quantunque queste mie ricerche sieno appena iniziate, ho potuto già constatare che in certi casì la propagazione dell’ elettricità in un gas rarefatto resta profondamente modificata, allorchè si fanno scoccare scintille fra i con- duttori di una macchina elettrica, posta a distanza dal tubo connesso alla pila. A seconda della pressione dell’ aria nel tubo, e della forma, posizione e distanza dei due elettrodi, ho visto accadere che le scintille non producono effetto, oppure determinino il passaggio dell’ elettricità, sia in modo tempo- (1) Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. VI (1890), pag. 83. L'esperienza, sotto altre forme, è stata descritta anche in altre mie pubblicazioni posteriori. — 246 — raneo, sia in modo permanente, se prima il passaggio stesso non aveva luogo, od anche che le scintille stesse favoriscano, oppure impediscano più o meno la propagazione dell’ elettricità nel gas rarefatto. Fra i molti tubi, ad elettrodi fissi o mobili, che ho già costruito, alcuni presentano in particolare il fenomeno seguente. Se la f. e. della pila è ap- pena inferiore a quella necessaria perchè la propagazione dell' elettricità nel tubo abbia luogo, non appena scoccano le scintille il tubo s' illumina, ed un galvanometro posto nel circuito devia fortemente. Al cessare delle scintille il galvanometro torna a zero. Naturalmente, a questo istrumento potrà sostituirsi un relais, per mezzo del quale si chiuda una corrente in un campanello elet- trico o in un ricevitore telegrafico. Questi strumenti daranno così un segnale, ogni volta che le scintille vengano prodotte. Con tale disposizione si raggiunge una sensibilità che mi sembra poco differente da quella che si ottiene adoperando un cohere7; ma si ha il van- taggio che non vi ha più necessità di dare una scossa al tubo, perchè, dopo l’azione delle onde elettriche generate dalle scintille, esso ricuperi la primi- tiva sensibilità. L'azione delle onde sembra aver luogo, come nel caso del coherer, non già direttamente sul tubo, ma sui conduttori coi quali esso è in comunicazione. I tubi, coi quali ottengo questi risultati, sono costruiti come segue: Essi sono piccolissimi, di forma sferica o quasi, e portano due elettrodi fili- formi ed accuminati di platino, ciascuno dei quali è piegato ad angolo retto verso l'estremità, in modo da formare i due lati attigui di un ‘rettangolo. La punta di un elettrodo è quindi rivolta, ad angolo retto, contro la parte cilindrica dell’ altro, rimanendone lontana per qualche decimo di millimetro. La pressione dell’aria interna è presso a poco quella, per la quale è minimo il numero di coppie necessario perchè il passaggio della elettricità nel gas possa aver luogo, ed il numero di coppie (rame-acqua-zinco) da impiegare è di 300 a 600. Matematica. — Sul! integrazione per serie. Nota del prof. Ce- SARE ARZELÀ, presentata dal Corrispondente VOLTERRA. Matematica. — osservazione sull’ estensione dei teoremi di Eulero e Meusmier agli iperspazii. Nota di Tvici BERZOLARI, presentata dal Socio BELTRAMI. Queste due Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 247 — Matematica. — (Sopra alcuni invarianti puntuali delle equa- zioni alle derivate parziali del secondo ordine. Nota del dott. P. MEDOLAGHI, presentata dal Socio V. CERRUTI. Gli invarianti puntuali per le equazioni alle derivate parziali del secondo ordine si determinano (') nel modo seguente: si estende la trasformazione intinitesima generica: (1) da = a(xy2) dt dy= P(xyz) di dz = y(4Y3) dé alle derivate p,g,7,5,%, cioè si calcolano le variazioni dp, dg, 07. ds, dt; nelle espressioni che così si ottengono entrano, oltre 4, ,3, le quantità PoUgPgBgbo Imaginiamo ora di avere la equazione alle derivate parziali del secondo ordine sotto la forma: AIAR) 05 per comodo conveniamo di rappresentare le derivate con indici in basso, cioè poniamo: Si calcolano dF,,,...0F,, osservando che OdE =ddF, quindi: dif =F,dde +-+ F ddt + dFx.de + + dF,. di . da cui: I a dI in dI dî, d «BABE, BI dI dI dI (2) dF, AAA VIE a F, ddr _RNEA F, BILI dI dI dI Così si ottengono le espressioni di dF,... SF, in funzione di 4,%,%,),%, F,s,t,F,,...F;. Bisognerebbe poi formarsi le espressioni sempre più com- plicate di 0F,,...0Fx,0F.xe,.. fino al punto in cui il numero delle va- riazioni calcolate supera il numero delle derivate di @,,y che si vengono col calcolo introducendo. Ciò avviene, come si riconosce subito, per le deri- vate terze della F; il calcolo, anche degli invarianti più semplici, si pre- (1) Lie, Veber Differentialinvarianten. Math. Ann. Bd. 24. — 243 — senta dunque molto complicato; questa forse è la ragione per cui nessuno si è accinto ad esso. Più semplice assai del problema generale è questa ricerca più limitata : determinare gli invarianti che contengono soltanto le derivate di F nISpettonst tetti. In questa Nota ed in quelle che la seguiranno mi propongo appunto di studiare questa classe di invarianti. 1. Partendo dalle relazioni de=pdx + q dy dp=rdx+ s dy dg=sdx + t dy che devono rimanere invarianti, e con le regole del calcolo delle variazioni, si determinano le variazioni di p,g9,7,s,% per la trasformazione (1). Po- nendo, se / è una funzione di 4, ,%: ph = È + pÈ Met a O, e (E si trova (!): dp=(Yx) —p(ex) — (fa) dg = (1) —Pp(@) —q(hy) (3) { OF — dr = (Yaa) — P(Cx0) — d(Lrx) — 2F. (27) — 25(62) | ds = (Yen) — P(&oy) — IP) —F(@)—s(3,) — s(2) — 02) dt = (Yu) — P(Cw) — IP) — 25(2,)) — 28). Poichè dunque nelle espressioni di d# , dy, dz, dp, 99, non entrano le quantità F,s,f, si ha dalle (2): dd 7Às 20% dre 20F Der, ) È Dom PI) dS ds ds QOF ds ddf di CC CS piclea Fi dd FP, di Fi dI (1) Nelle espressioni delle variazioni ometto d'ora in poi, per brevità di scrittura, il fattore costante dt, non portando ciò nessun inconveniente — anzi facendone evitare. Ld- ec e" DE pie gl (8) (e) (e) Fr. DE (€) F:— (8a) S Sa) dd dY da db La Sr _ 3 P de q de — 2(8,) o Si ha dunque, sostituendo questi valori nelle espressioni per dF, dF.: (4) ( 0F,= (0,) (095 Sp 2F) + 3(8,) = (cx) | lia 2(8x) ( dF,=(@)) F;F.+-2}(8) — (a) Fr+ (8) F.. Nelle espressioni di dF;, 0F, non entrano, come si vede. oltre le va- riabili ©, Y,4,2,9 che le quantità F,, F.. Per le variazioni delle derivate di ordine superiore si verifica la circostanza analoga; ciò si dimostra per induzione ed osservando che se è F® una derivata di ordine /, ed F®, F® le sue derivate rispetto s e /, si ha: dFA — QIF* 53 pr ds — Fn PLL i ds ds ds FE — IO Rea dds — Fi — ddt s di DI di Il fatto che le variazioni delle derivate di F prese rispetto s e / si esprimono in funzione, oltre che di 2,y,5,9,9, delle derivate di F_ri- spetto s e #, spiega e giustifica la limitazione che ci siamo imposta da principio nella ricerca degli invarianti. Calcoliamo ancora le variazioni delle derivate seconde. Si ha: TC dn ss (@,) ( stss + st) = ( 2(8,) x + p Si (/ az ds | ss 2Ps = (2) (RF.Es + 2F1+ FF.) +)3(8) — (©) Li: +00+ d +9 SE IPu+ (8) Fs le (e) (ET +2EF) + s'e +0°+ +9 È IF +28) Pu. RenpiconTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 98 — 250 — Poniamo ora: D de I (a) =, (fx) =M2,(P)— (0) =M, 2) > +p = +9 2 =73 essendo @,8,y, funzioni interamente arbitrarie, le #2, , 72,13, 44, s0N0 anche esse quantità arbitrarie. Nelle variazioni che abbiamo fin qui calco- late entrano d'altra parte soltanto le dette quantità arbitrarie; se fosse P(ESPBBERE:: E st Fi) un invariante, dovrebbe dunque essere dpg=0 qualunque siano 1, , #2, 7#3,M. Esprimiamo questa condizione : IP sn di dp =; MRS? gpl. pe e Ponendo per dF;,dF,,... 0F, le loro espressioni ed eguagliando a zero ì coefficienti di 7, ... 724, si hanno le quattro condizioni seguenti per g: | 0= X:(g)=(F +2F, mi F, n ma (EDI 4) ) 3 AD) + (2F,F, + 2Fy + F4 PF) dv + EFa+-2E:P) o î Ur, = ) d ) (5) /0=X@)=— SEI DI +20 e È I 31 % 0= Sia X;(g) = st i È O=X(9) = Fs + Fat +e. Queste rappresentano anche le condizioni sufficienti perchè sia g un in- variante. In altre parole: un invariante si determina integrando il sistema completo (5) di quattro equazioni in cinque variabili. Alla equazione X,f=0 si può sostituire la equazione: Yf= Xif + Fi Xaf — Fs Xaf — Fs Xuf= 0. Si ha: Yf= (FP, Fa+2Pu) SE La FREL FF) —L E (ORARIE dFu dI =0i dFEx ‘ Le soluzioni di questa equazione si determinano facilmente; esse sono: ni 2 ° E ISIO) F, , Da = F, BE Ge E, F, = F,, , De F% A, DES F, È) — 251 — le soluzioni comuni di Yf=0 ed X,f=0 sono: RR ’ F, ’ i; le soluzioni comuni ad Y/= 0, Xif=0, X3f= 0 sono: D; Di D 6 Tp? hi 515 ri SUUE 4 e finalmente la soluzione del sistema (5) è: DE Do (Fî + 4F.) ” Di ossia, ponendo: vw, = Fi 4 4F, (6) A= n: Dunque: l’invariante puntuale più semplice per le equazioni alle derivate parziali del secondo ordine è la espressione: (Fi + 4F,) (E To RE F,) = (F, Es Lama? F; Fs “a F,)? 2. In questa Nota mì fermerò a studiare l’invariante A, ed i polinomi che entrano nella sua formazione. Dirò peso di una derivata di F il numero degli indici s, aumentato del doppio del numero degli indici /; così Fs è di peso uno, F, di peso Quest... Dirò poi peso di un prodotto di derivate la somma dei singoli pesi; peso di un quoziente la differenza dei pesi. Se in un polinomio tutti i ter- mini sono di egual peso, questo peso comune si dirà peso del polinomio. Così i polinomi: F5 + 4P, ’ F, Fs Gas F; Fu o; Pu ’ BE e RS F, sono rispettivamente di peso due, quattro, sei. L'invariante A è di peso sero. Il polinomio &, = Fî + 4F, è un invariante relativo. Si ha infatti: dw, = 2F, dF, + 40F, = (2F;m + 2783) WI; la equazione w, —=0 è dunque invariante per tutte le trasformazioni pun- tuali; essa ha un significato geometrico ben conosciuto: essa esprime che i due sistemi di caratteristiche coincidono su ogni superficie integrale. — 252 — Anche i polinomi: i wi = BF — Fi — Fu We — BE a RSS Fu sono invarianti relativi. Si ha infatti: dw, = (3A im + 2mn3 + Mm) DA dw, = (4Fs im + 2m3 + 21) © Il sistema di equazioni: oy=0 ©j=0 è invariante; cioè ogni equazione per cui sia nello stesso tempo: (7) Fi, —FsFiy=0 FFs_ FF F=0 è cambiata da ogni trasformazione puntuale in una equazione della stessa classe. Si interpretano facilmente le condizioni (7). Tra le equazioni alle derivate parziali del secondo ordine che hanno con una equazione del primo ordine infinite superficie integrali in comune, non dipendenti soltanto da un numero finito di costanti arbitrarie, vi è una ca- tegoria caratterizzata da questa proprietà (!): se è /(2yzpg7st)=0 una equazione di quella categoria esiste una funzione 0(2y 2 » 0,22138 | 0,1788 || 0,1894 | 0,1910 ” 8°» 0,2216 | 0,1778 0,1884 1.1920 | _ : » 4% n 0,2213 0,1771 0,1892 0,1918 Media | 0,2215 | 0,1774 | 0,192 | 0.1916 Coeffic. di conducibilità | 0,307 0,309 0,312 0,913 Per vedere se la quantità di petrolio impiegata fosse sufficiente per realizzare la condizione delle superfici, che sì era supposta, si aumentarono (1) Il valore assunto per il prodotto c.g è 0,505 X 0,920 come è generalmente am- messo nei trattati e formularî. — 2609 — le dimensioni del cubo. Infatti un cubo maggiore sì raffredda molto più len- tamente, quindi il liquido a contatto delle superfici deve asportare nell’ unità di tempo una minore quantità di calore; dovrebbe quindi bastare assai meno liquido. Siccome però si impiegò la stessa quantità di petrolio ed i risultati non furono dissimili dai precedenti, si può ritenere che nelle prime esperienze il pe- trolio fosse già sufficiente per mantenere le superfici alla temperatura voluta. I risultati di tre esperienze eseguite su di un cubo della prima specie di ghiaccio, avente cm. 7,306 di lato, sono i seguenti: o: SO REI Decremento logaritmico | Coefticiente sen di aaa al PS] di Media || conducibilità Il 12 esperienza | 22 esperienza | 3 esperienza 0,1600 0,1608 0,1601 0,1608 | X = 0,304 Altre misure su ghiaccio omogeneo di diverse provenienze condussero sempre a risultati compresi fra 0,30 e 0,31. Credo di poter quindi, come riassunto di questo breve studio, affermare che il coefficiente di conducibilità termica del ghiaccio è una quantità non del tutto invariabile, però generalmente compresa fra 0,30 e 0,31, essendo scelte come unità fondamentali il centimetro, il grammo, il minuto ed il grado centigrado. Fisica terrestre. — Risultati delle determinazioni magnetiche in Sicilia, e cenni sulle perturbazioni nelle isole vulcaniche e nei dintorni dell’ Etna. Nota di Lurcr PALAZZO, presentata dal Socio TACCHINI. Chimica. — Due nuovi derivati del quaiacol. Nota di S. DI BoscoGRANDE, presentata dal Socio PATERNO. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Istologia vegetale. — Sul! albume e sul sospensore dei Lupinus. Nota del dott. L. BuscALIONI, presentata dal Corrispondente R. PirortA (*). L' Hofmeister, parlando dell’ embriogenia del Lupinus, aveva accennato alla presenza nei semi di uno speciale sospensore facilmente dissociabile nei suoi elementi cellulari. L' Hegelmaier, alcuni anni dopo, avendo ripreso lo studio dello istesso argomento venne a conclusioni diametralmente opposte a quelle del suo pre- decessore. (1) R. Istituto Botanico di Roma. — 270 — Egli trovò, infatti, che in molte specie di Zwp777s, l embrione, privo di sospensore, si forma in un punto assai discosto dalla regione micropilare del sacco embrionale, nella parte, cioè, dilatata di quest’ultimo. Non sì tosto si è abbozzato l'embrione, nel tratto di endosperma interposto fra l' estremità micropilare del sacco, ove si trovavano le sinergidi ed il punto occupato dall’ embrione, compaiono due singolari ammasi di nuclei, circondati da plasma, che egli denominò Nedencellenapparat e Begleitenzellenapparat. Se si esaminano attentamente siffatti ammassi nucleari, dice l’autore, si ri- conosce che ogni singolo nucleo forma come il centro di una raccolta globosa di plasma, per cui si potrebbero in certo qual modo paragonare ad aggrup- pamenti cellulari, malgrado però che una vera membrana non sia presente alla periferia delle sfere protoplasmatiche. Il Nedenzellenapparat trovasi alquanto discosto dal Begleztenzellenap- parat, ed inoltre la sua estremità rivolta verso il calaza trovasi a contatto dell’ embrione. Oltre alle sopra indicate formazioni, l' Hegelmaier ebbe anche ad osser- vare la presenza di grandi sfere plasmiche, farcite di nuclei, le quali sono situate in vicinanza di uno degli ammassi. Tanto i globi a molti nuclei, quanto i due apparati testè descritti spic- cano in mezzo alla massa plasmica dell''endosperma per la struttura e la forma dei nuclei e del citoplasma. I primi, infatti, sono assai grandi e quest’ ultimo è grossolanamente granuloso, mentre l’albume è fornito di piccoli nuclei e di plasma assai finamente granulare. i A misura che l'embrione si ingrossa, gli ammassi plasmici si dilatano a loro volta, diventano ramosi ed al fine si circondano di una membrana distinta. Solo i globi a molti nuclei pare che non siano destinati a subire un' ulteriore evoluzione. Le strane particolarità descritte dall’ Hegelmaier hanno indotto lo Stras- burger ed il Guignard a riprendere la questione. Lo Strasburger trovò che la spiegazione data dall’ Hegelmaier riposa sopra una falsa interpretazione dei fatti. Nei Zupinus, secondo lo Strasburger, la cellula ovo si forma come negli altri ovuli, in corrispondenza dell'estremità micropilare del sacco, al di sotto delle sinergidi. Avvenuta la fecondazione, si inizia il processo della divisione della cellula ovo, in grazia del quale viene a costituirsi 1’ embrione. Le divi- sioni si compiono in modo che hen tosto viene a differenziarsi una catena di cellule, più o meno lunga, rappresentante il sospensore, il quale allungandosi con una certa rapidità finisce per portare l'embrione nel mezzo del sacco embrionale ad una distanza più o meno grande dall’ estremo micropilare. È a questo speciale modo di sviluppo del sospensore che deve ascriversi il fatto della presenza dell’ embrione in un punto affatto anormale del sacco embrionale. — 271 — Le cellule del sospensore, raggiunto che hanno un certo grado di sviluppo, si dissociano, si isolano l’ una dall’ altra (almeno in alcune specie di Zup?1us) e raccogliendosi disordinatamente in gruppi, riescono a formare il Nedersel- lenapparat ed il Begleitenzellenapparat di Hegelmajer. L'origine di questi due apparati andrebbe adunque ricercata, secondo lo Strasburger, in una speciale metamorfosi che subisce il sospensore, e non già in una condensazione di protoplasma proprio dell’ albume attorno a deter- minati nuclei, come vorrebbe l’ Hegelmaier. Lo Strasburger osservò pure i globi a molti nuciei segnalati dall’ Hegel- majer, ma non seppe con precisione indicare quale sia la loro origine, pur ritenendo che possano nascere da una delle cellule isolate del sospensore. I globi multinucleati son destinati più tardi a scomparire, mentre all’ op- posto le cellule del sospensore continuano a crescere e diventano ramose. Il Guignard nel suo lavoro sull’ Embriologia delle Leguminose tocca pure la questione relativa ai Zupirus, venendo alle stesse conclusioni dello Stras- burger. Egli poi. si sofferma particolarmente a parlare dei globi plurinucleati, i quali talvolta nascono lungo il percorso dello strano sospensore, talora invece traggono origine in punti differentissimi dell’endosperma e senza alcuna rela- zione col sospensore. Il plasma di siffatti d4//ozs, come chiama Guignard i globi a molti nuclei, è finamente granulare e non è rivestito da membrana cellulosica: i nuclei poi di queste strane produzioni si moltiplicano per divisione e più tardi scompaiono. Finalmente, l'autore francese afferma di aver trovato talora due dallorns in un unico sacco embrionale, e viene alla conclusione che gli stessi nascono probabilmente da una o più cellule dissociate del sospensore. Dai fatti esposti risulta adunque evidente che le idee formulate dal- l’Hegelmaier sull'origine degli accumuli plasmici endospermici sono atfatto erronee, e che, in conseguenza, l’ antica opinione dell’ Hofmeister è forse ancora attualmente la più giusta. Nelle ricerche che io avevo intrapreso sulla formazione dell’ Albume nella Vicia Haba e sui curiosi processi di divisione nucleare che ivi hanno luogo, mi era occorso di osservare che l'endosperma intercotiledonare, anzichè presentare una struttura omogenea nelle varie parti, mostrasi all’ opposto costituito da una quantità variabile di ammassi plasmici grossolanamente granulari, più o meno grandi, quasi sempre ramosi, i quali giacciono in un'atmosfera di plasma meno denso. Se si studia lo sviluppo di siffatte produzioni, si nota che in principio l'endosperma intercotiledonare è uniformemente costituito da plasma finamente granulare e disseminato di piccoli nuclei. Bentosto, però, cominciano a mo- strarsi, qua e colà, delle aree in cui il protoplasma assume una struttura più densa. Queste aree ingrandiscono, ed emettono dei prolungamenti ramosi, nel — 272 — tempo istesso che il plasma di cui sono costituite si scava di enormi vacuoli e si riempie di grosse granulazioni, che spiccano al primo colpo d' occhio sul plasma circostante assai più finamente costituito. In un epoca più inoltrata dello sviluppo del seme, gli ammassi sopra indicati, che io ho creduto denominare Psewdo-cellule, sì incistidano in una membrana più o meno robusta e non subiscono più ulteriori evoluzioni, mentre il circostante protoplasma si va organizzando in tessuto per un processo di divisione nucleare abbastanza strano che fu appunto oggetto delle mie ricerche. Un particolare degno di nota che presentano le psewdo-cellule si è che i loro nuclei sono molto più grandi di quelli della massa plasmica circostante ; oltre a ciò hanno un reticolo più denso e fortemente colorabile colle aniline, presentano un nucleolo assai voluminoso ed infine non sono più capaci di dividersi per cariocinesi, ma solo per frammentazione. Colpito dalle strane produzioni che si osservano nella fessura intercoti- ledonare della Vieza Faba, ho voluto estendere le osservazioni anche ai Lupinus per stabilire se per avventura le Medernsellen e le Begleitenzellen di Hegelmajer, come pure i 2a//ons di Guignard, anzichè del sospensore, traessero origine da uno speciale processo evolutivo dell’ endosperma. A tale scopo io ho seguito lo sviluppo di alcune specie di Zupzaus, tanto fornite di sospensore dissociabile nei suoi elementi, quanto di sospensore stabile, come si osserva ad esempio nei Zupinus albus e pilosus. Nei Zupinus a sospensore dissociato l’ embrione viene da questo portato nella parte dilatata del sacco embrionale: più tardi, gli elementi del sospen- sore si isolano, si ingrandiscono e diventano ramosi, come giustamente ebbero ad osservare lo Strasburger ed il Guignard. Il protoplasma delle cellulle dissociate, dapprima analogo per struttura a quello dell’'endosperma, diventa ben tosto grossolanamente granulare e si scava di uno o due grandi vacuoli, nel tempo istesso che il nucleo ingrandisce a sua volta e si mostra costituito di un reticolo denso a grossi filamenti. Se si esamina attentamente la struttura di siffatte cellule del sospensore non si tarda a riconoscere che dessa ha molta analogia con quella delle Psex- docellule della Vicia Faba. di cui sopra ho tenuto parola. Oltre alle cellule del sospensore noi troviamo però che anche l' endo- sperma stesso, nella regione occupata dal sospensore dissociato, si raccoglie in ammassi simili in tutto e per tutto alle sopra ricordate psendo cellule della Vicia ed agli elementi del sospensore. Data 1’ analogia di struttura che presentano le due sorta di protoplasmi, quello cioè dell’ endosperma perisospensoriale e quello delle cellule del sospen- sore se si vuole stabilire, nei casi dubbî, se un dato accumulo debba essere considerato come appartenente al sospensore o non piuttosto all'endosperma, occorre prendere per guida i seguenti caratteri: MOT), — Le cellule del sospensore si trovano; nelle specie da me esaminate nel tratto interposto tra il micropilo e l’ embrione; le pseudo cellule all'opposto, possono riscontrarsi anche tra l’ embrione e il calaze, od in altro punto qual- siasi della cavità endospermica e senza alcun rapporto col sospensore. E vero però che le cellule del sospensore essendo ramose possono inviare dei prolungamenti al davanti dell'embrione, verso il calaze, come pure sulle facce laterali del seme, per cui nelle sezioni un po’ sottili questi appariscono come formazioni individualizzate indipendenti dal sospensore. Ma a queste obbiezioni è lecito opporre i seguenti fatti; 1’ Hegelmajer aveva trovato che le ramificazioni laterali delle Begleztenzellen e delle Neben- zellen, verso la maturità del seme, si segmentano ed allora ogni segmento contiene un nucleo. Orbene, nelle numerose ricerche che io ho fatto in pro- posito, non mi fu mai dato d'incontrare il più piccolo accenno di divisione nelle cellule dissociate del sospensore ed io ritengo quindi che nel caso attuale, anzichè d’' una divisione delle cellule sospensoriali seguita dalla divisione del nucleo, si debba trattare di un semplice accollamento accidentale di una pseudo cellula ad un ramo di una cellula qualsiasi del sospensore. Un altro criterio, alquanto più sicuro, lo abbiamo nella forma degli elementi. Le cellule del sospensore hano contorni abbastanza netti, poichè sono avvolti da una membrana; le pseudo cellule invece presentano dei contorni sfumati e non essendo fornite di membrana, si avanzano nel protoplasma cir- costante per mezzo di esili prolungamenti, talora numerosissimi, che sì per- dono nell’ endosperma, senza che l’ osservatore, anche coi più forti ingrandimenti, riesca a distinguere il punto in cui cessa l'uno e dove comincian gli altri. Non è poi infrequente il caso che tali ammassi si risolvano in reticoli abbastanza ampî, ed allora torna ancor più malegevole stabilire il limite di siffatte pseudo cellule. In alcuni esemplari di Lupinus hirsutus che io aveva a disposizione, era poi tale la quantità di siffatti ammassi ramosi che non era assolutamente possibile ritenere che tutti quanti derivassero da metamorfosi del sospensore. Del resto, per convincerci di quanto asserisco, basta semplicemente pra- ticare dei tagli perpendicolari alle facce del seme ed al piano di simmetria di questo. Siffatti preparati sono oltremodo istruttivi poichè dimostrano che una gran parte dell’endosperma è disseminata da ammassi a struttura gros- solanamente granulare, troppo numerosi per trarre origine dalle ramificazioni delle poche cellule del sospensore. Potrei ancora aggiungere che in due casi di semi anomali, nei quali si aveva un'enorme cavità endospermica, mentre l'embrione era ridottissimo e spostato dalla sua posizione normale, la formazione di pseudo cellule era evidentissima ed occupava gran parte dello spazio interposto fra l’ embrione ed il calaze. Così pure ho avuto più volte occasione di vedere le cellule del RenpICONTI. 1897. Vor. VI, 2° Sem 36 — 204 — sospensore quasi avvolte da un manto formato appunto da ammassi di endo- sperma e struttura grossolanamente granulare. Assai più evidenti sono i fatti nei Lupinus a sospensore non dissociato, poichè quivi non riesce difficile trovare delle grandi masse plasmiche, ramose e fornite di nuclei più o meno voluminosi, le quali traggono, senza dubbio, origine dall’ endosperma. Egli è oltremodo interessante l’ osservare come lo sviluppo da nuclei di queste produzioni vada di pari passo aumentando colle dimensioni delle pseudo cellule. Gli ammassi piccoli hanno infatti nuclei di piccole dimensioni; quelli grandi, all'opposto ne presentano di quelli veramente colossali. Qui non è più il caso di parlare di cellule del sospensore quali elementi produttori degli ammassi ramosi, poichè, come sopra è stato detto, il sospen- sore è integro e trovasi incarcerato in una massa di endosperma in via di organizzazione in tessuto. A questo proposito mi giova ricordare che le cellule del sospensore in- carcerato nell’albume organizzato in tessuto conservano la loro tipica forma e struttura, per cui riescono facilmente riconoscibili. Quando, infatti, sono dis- sociate nell’ endosperma si trovano pure dissociate nell’ albume, e quando hanno già assunta forma ramosa nei giovani stadi di sviluppo dell’endosperma pre- sentano pure dei prolungamenti che si avanzano fra le cellule dell’ albume. Non tutte, però, le cellule grandi e ramose, a pareti robuste, a protoplasma grossolanamente granulare ed a nucleo voluminoso che si trovano incurvate nell'albume in via di organizzazione, vanno ascritte ad elementi dissociati del sospensore. Secondo il mio modo di vedere le cellule che rimangono incastrate nel- l’albume in corrispondenza dell’apice o sui lati dei cotiledoni debbonsi rite- nere come vere pseudo cellule, mentre sono da considerarsi quali elementi dei sospensori quelli che si trovano sparsi fra la punta radicale e l'estremità micropilare del sacco. Debbo però confessare che lo scarso materiale dei semi inoltrati nello sviluppo che aveva a disposizione non mi ha permesso di ri- solvere in modo assoluto la questione. Per quanto concerne gli ammassi globosi a molti nuclei (Ballons di Gui- gnard), noi sappiamo di già che tanto lo Strasburger, quanto il Guignard ritengono che essi derivano probabilmente da una o più cellule dissociate del sospensore, appoggiando la loro opinione nel fatto che tali produzioni si trovano quasi sempre sul tragitto del sospensore e che mancano nei Zupinus a so- spensore continuo. Una prova però decisiva in favore di una tale ipotesi non venne però riportata nè dall'uno nè dall’ altro da questi osservatori, i quali hanno, anzi, persino rilevato che talora i Ballons possono originarsi più 0 meno lontani dal sospensore, verso il calaza o nelle facce laterali del seme. Neppure io ho avuta la fortuna di risolvere la questione, poichè 1 Zupinus che possedevo conservati in alcool (M2rsutus, Aruztschanski, albus, peren- — 275 — ris (')) non mi hanno mostrata traccia di « Ballons » nei giovani stadî di sviluppo. Tuttavia in alcuni preparati gentilmente inviatimi dall’ illustre pro- fessor E. Strasburger, al quale mi è grato di esprimere qui le mie più vive azioni di grazie, ho avuto l'opportunità di trovare le sfere polimuleate situate talora lungo il tragitto del sospensore e tal'altra più o meno lontane da que- st ultimo. Ad onta che il materiale poco adatto non mi habbia concesso di esten- dere le mie ricerche, pur tuttavia credo utile di segnalare qui una partico- larità abbastanza interessante la quale può portare molta luce sulla formazione dei « Ballons ». In un seme già abbastanza inoltrato nello sviluppo ed in cui l' albume si era già organizzato in tessuto tutt’ all’ ingiro del sospensore e dell’ embrione, mentre dal lato del calaze formava ancora una massa plasmica indivisa, si avevano, in corrispondenza del limite fra le due porzioni dell’albume, delle cellule lassamente congiunte le une alle altre, e di forma irregolarmente rotonda. Esaminando con un po d'attenzione siffatte cellule, non tardai a rico- noscere che molte contenevano da 2 a 3 nuclei raccolti in piccoli gruppi. Accanto poi a queste cellule si trovavano dei grandi elementi rotondi forniti di una robusta membrana e liberi del tutto nella massa plasmica indivisa i quali racchiudevano persino 20 a più nuclei, simili in tutto e per tutto a quelli delle cellule multinucleate dell’albume testè descritte. Era adunque evidente che su questo caso tali sacchetti o Ba//ons a molti nuclei derivavano dalle cellule periferiche dell'albume in via di organizzazione, le quali si erano staccate dal resto del tessuto ed avevano continuato a cre- scere ed a moltiplicare i loro nuclei nella massa plasmica ancora indivisa dall’ endosperma. Negli stessi preparati dove si avevano i « Ballons » multinucleati, si incontravano poi ancora al limite fra le due porzioni di endosperma, delle grosse pseudo cellule contenenti i nuclei ed i vacuoli caratteristici. Prima di porre termine a questa rassegna sull’ albume del Zup7nus credo utile aggiungere che nelle divisioni nucleari dell’endosperma si incontrano spesso delle anomalie caratterizzate da cariocinesi tripolari o da fusi croma- tici ed acromatici irregolarmente orientati. Talora vi ha anche la frammen- tazione, ma io non so se a questo processo tenga dietro la formazione di cellule, poichè come è noto gli elementi situati alla periferia dell’albume organizzato presentano talora molti nuclei. Anche abbastanza originale è talora la forma e la struttura dei nuclei in riposo negli ammassi plasmici e nelle cellule dissociate del sospensore, allorchè hanno raggiunto uno studio avanzato (1) I semi sopra accennati vennero raccolti in differenti Orti Botanici, cd io quindi non posso esser sicuro dell’ identità della specie studiata. — 2760 — di sviluppo. Tali nuclei rotondi, ovali od allungatissimi e contorti, presentano una robusta membrana pieghettata che racchiude un tenuissimo reticolo in- capace di fissare ì ruttivi coloranti. Nel centro poi del nucleo vi ha, come sopra è stato detto, un enorme nucleolo, spesso vacualizzato o in via di fram- mentazione. i Alcuni di tali nuclei (quelli racchiusi nelle pseudo cellule più volumi- nose) raggiungono l’ enorme dimensioni di 500 per mm., e rappresentano quindi, coi nuclei del Phaseolus e della Faba da me altrove descritti, i giganti della specie. Un ultimo particolare pure interessante è la forma che assume il so- spensore non dissociato in alcuni semi forse non destinati a progredire nello sviluppo. Le sue cellule invece di dividersi costantemente secondo una data direzione per formare una specie di catena, si segmentano disordinatamente in vario senso, per cui sì origina un sospensore ramosissimo formato da pic- coli elementi pieni di grossi plastidi disposti in catenula. In conclusione la forma ramosissima ed i contorni sfumati di alcuni ammassi dell’endosperma, i loro nuclei e vacuoli caratteristici, l' analogia strutturale e morfologica che presentano colle pseudo cellule dell’ endosperma della Vicia Faba, Vl ubicazione loro non sempre in relazione col decorso del sospensore, ed infine la presenza loro in Lupini forniti di sospensore non dissociato, sono condizioni atte a dimostrare che essi traggono origine dal protoplasma stesso dell’endosperma anzichè dal sospensore. Patologia vegetale. — Sopra un nuovo blastomicete, parassita del frutto del Nocciuolo. Nota del dott. Virrorio PEGLION ('), presentata dal Corrispondente R. PIROTTA. I contadini del mezzogiorno d’Italia chiamano « ammannate » quelle nocciuole guaste che si riconoscono all’ esame macroscopico per avere il guscio annerito ed il seme guasto nella parte periferica. Tali nocciuole si rinvengono assai di frequente, e se sfuggono all’ occhio i suddetti caratteri, il sapore ama- rognolo, disgustoso, rende palese l'alterazione da cui sono colpite. Ho avuto occasione di studiare un certo numero di queste nocciuole « ammannate » inviate in esame alla R. Stazione di Patologia vegetale di Roma dal prof. A. Derisi; esse provenivano da Roccanova di Basilicata dove pare che l'alterazione in parola sia piuttosto diffusa, ed è attribuita dai contadini del luogo alle nebbie che sopravvengono durante l’ epoca dell’allegamento dei frutti del nocciuolo. Se sì sguscia una nocciuola ammalata, si nota a prima vista l'aspetto anormale del tegumento seminale, spesso leggermente bernoccoluto e disgiunto (1) Lavoro eseguito nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. — 277 — qua e là dai sottostanti cotiledoni. Verso la regione micropilare sì osservano frequentemente delle depressioni, in corrispondenza delle quali i tessuti dei cotiledoni rivelano al tasto una flaccidezza tutta speciale; le stesse depres- sioni sono diffuse lungo la periferia del seme nel caso in cui l'alterazione sia di molto avanzata. Sezionando il seme in direzione di queste depressioni i cotiledoni si mostrano alterati: i tessuti periferici sono molli, spugnosi, di colore bianco-cenerino, screziato di giallo e separati dalla parte sana da una orlatura bruna. Siffatta alterazione, che può occupare l’intera periferia dei cotiledoni, si interna irregolarmente verso il centro per uno spazio di alcuni millimetri. L'esame microscopico delle sezioni permette di rilevare delle numerose cavità lisigeniche, disperse nella massa dei tessuti del cotiledone, le quali limitano degl'isolotti di tessuto i cui elementi, sebbene ancora saldamente riuniti, sono leggermente imbruniti ed hanno i contenuti cellulari in via di alterazione: le goccie oleose ed i granuli di aleurona sono in gran parte scomparsi, tanto che nelle cellule confinanti colle cavità rimane solo l’ avanzo del plasma fondamentale. Nelle sezioni montate in glicerina, senza alcun previo trattamento, si riesce a scorgere con una certa difficoltà, nei limiti delle cavità anzidette dei fascetti di sporule filiformi, assai rassomiglianti a gruppi di rafidi o a fasci di spore di alcuni pirenomiceti scolecosporei. Onde studiare meglio questi gruppi di spore, nonchè gli aschi in cui sono racchiuse, è necessario asportare totalmente le goccie oleose ed anche l'aleurona dalle sezioni, poichè quasi tutti quegli organi sono conglobati da gocciole oleose e quindi assai poco appariscenti. Ho posto le sezioni non molto sottili in un miscuglio a parti uguali di olio di ricino ed etere, lasciandovele per mezz’ ora circa. Indi le ho ripe- tutamente lavate con etere e poscia con un miscuglio di alcool ed etere. Da questo miscuglio le ho passate in alcool assoluto e poscia parte, traspor- tate in olio di garofano, le ho direttamente chiuse in balsamo del Canadà, e parte le ho trattate con soluzione lattica di bleu Poirier o con soluzione acquosa di bruno Bismarck, montandole poscia in glicerina, o in balsamo del Canadà. In tal modo è facile vedere i tessuti circostanti alle cavità lisigeniche completamente infarciti di sporule isolate, riunite a fascetti o racchiuse in numero di 8 in aschi cilindracei. Quando scarseggiano le sporule e gli aschi si trovano invece abbastanza abbondanti degli elementi saccaromicetiformi, le cui cellule offrono delle variazioni assai notevoli sia come forma, sia come dimen- sioni. Si trovano cellule ovoidali o sferoidali poco diverse da quelle del Sac- charomyces ellipsoideus ed altre cilindracee simili alle cellule del Schizo- saccharomyces Pombe, ma assai più grandi di queste. Ho potuto facilmente coltivare questo organismo nei comuni substrati artificiali. Ho asportato colle dovute precauzioni antisettiche, dei piccoli fram- 208, — menti di polpa alterata che ho inoculato in tubi di gelatina di brodo. Si è costantemente sviluppato un mieroorganismo unicellulare che si moltiplica per gemmazione; le cellule dapprima ovoidi, si allungano, diventano cilindracee ed allora ai due poli della cellula si differenziano due fasci ognuno di 4 spore filiformi, leggermente affusolate, continue che vengono poste in libertà per gelificazione della tunica dell’asco in cui sono avvolte. Le dimensioni delle cellule sono assai varie; il periodo di gemmazione s inizia quando misurano 4-5 w di lunghezza; quando avviene la sporifica- zione, le cellule misurano 60-70 w di lunghezza e 5-7 4 di larghezza le spo- rule misurano 50-52 » 2-8 w. I caratteri offerti da questo microorganismo, cioè la moltiplicazione per gemmazione e la produzione endogenetica delle spore, permettono di ricono- scere un saccaromicete. Ora fra i saccaromiceti conosciuti non v'ha alcun genere a cul possa riferisi questo microorganismo. I generi Saccharomyces e Schisosaccaromyces hanno spore ovoidali o sferoidali. Il genere Mono- spora ha spore filiformi, ma il carattere fondamentale del genere stesso, stando alle descrizioni di Metchnikoff ('), si è la presenza di una sola spora nell’asco, laddove il microorganismo che ho descritto ha gli aschi costante- mente octospori. Si può pertanto ritenere il blastomicete isolato dalle nocciuole « amman- nate » quale tipo di un nuovo genere della famiglia dei Saccaromiceti, carat- terizzato dall'aver gli aschi octospori e le spore filiformi, ed io proporrei in base ai caratteri sporologici di denominarlo Nematospora; siccome tale blasto- micete è stato per ora trovato sul solo Corylus Avellana, così si potrebbe specificarlo col nome di Vematospora Coryli. In un prossimo lavoro mi riserbo di illustrare ampiamente questo bla- stomicete, dal punto di vista morfologico e biologico. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrioscHi dà il doloroso annuncio della perdita fatta dalla Classe nella persona del Socio straniero RopoLro HEIDENHAIN, mancato ai vivi il 183 ottobre 1897; apparteneva il defunto Socio all’ Accademia sino dal 4 agosto 1892. Il Segretario BLASERNA dà poscia comunicazione delle lettere di ringrazia- mento, per la loro recente nomina, inviate dal Corrispondente GIuLio FANO, e dai Soci stranieri: DARWIN HowaArp, GaupRY, HELMERT, KRONECKER, ReYE, SCHMIEDEBERG, WEBER. (1) E. Metchnikoff, Veber cine Sprosspilekrankheit der Daphnieen. In Virchow's Archiv, 1884 t. 96, p. 177 PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci FERGOLA, TARAMELLI, TopARro, RòITI, RIccÒ, BoussinesQ; e dai signori Doneux, Le Joris, BALL. Presenta inoltre il vol. 7° delle Opere complete di Christian Huygens, dono della Società olandese delle scienze di Harlem; il vol. 2° delle opere di G. Lejeune Diri- chlet, dono della R. Accademia delle scienze di Berlino; il primo volume delle opere di J. Couch Adams, dono della Università di Cambridge; e infine una Commemorazione del Socio straniero A. Daubrée, pubblicata per cura della famiglia del defunto. Il Socio Mosso presentando all’ Accademia il suo libro Fisiologia del- luomo sulle Alpi, annuncia che per iniziativa di S. M. la Regina si sta costruendo un Osservatorio sulla vetta del Monte Rosa a 4560 metri. Fino dal 1895 si costituì un Comitato del quale fanno parte i Socî Blaserna, Tacchini, Naccari, il prof. Giacosa, Porro, Alfonso Sella, l'ing. Gaudenzio Sella e l'avv. Grober presidente del Club Alpino. L’anno scorso la stagione fu tanto cattiva che non si potè spianare la roccia della punta Gnifetti e preparare le fondamenta. Quest'anno fu fatta questa prima parte del lavoro, e speriamo che l’anno prossimo sarà costruito l'Osservatorio accanto alla capanna attuale, il quale avrà quattro stanze destinate esclusivamente alle ricerche. L'importanza di questo Osservatorio non occorre neppure accennarla: basta pensare alla meteorologia, alla fisica terrestre e all’ astronomia e ri- cordare che abbiamo un altro Osservatorio sull’ Etna a 3000 metri, per dire che nessun altro paese possiederà un campo così vasto di studî nelle regioni elevate dell’ atmosfera quanto l'Italia. Il Comitato del Monte Rosa sta ora preparando il progetto ed i mezzi per una stazione alpina a 3100 metri, fra mezzo ai ghiacciai del Monte Rosa ed accessibile per mezzo di una strada mulattiera. La stazione alpina che sorgerà poco lontana dalla Capanna Gnifetti, servirà come di base per gli studî che si compiranno nell’ Osservatorio « Regina Margherita » a 4560 metri. Questo nuovo edificio comprenderà probabilmente venti stanze, che ser- viranno di Laboratorio per la fisica terrestre, la meteorologia, la fisiologia, la botanica, la biologia, ed una stanza più grande sarà destinata all’ astronomia. La parte rimanente della stazione alpina servirà alla biblioteca, alle colle- zioni, agli alloggi, alla cucina ed ai magazzeni. Il Socio Mosso è lieto di presentare all’ Accademia il suo libro, /szo- logia dell'uomo sulle Alpi come il primo frutto che diede alla scienza la — 280 — Capanna « Regina Margherita ». Egli è certo che verranno altre opere migliori, quando siano resi più facili gli studî sperimentali a grandi altezze, e spera che anche dall'estero gli studiosi saranno attratti sul Monte Rosa, perchè in nessun luogo troveranno maggiori comodi per dimorare a lungo sulle Alpi con poca spesa, nè maggiori mezzi per le ricerche scientifiche. Il Socio BLASERNA appoggia caldamente le osservazioni fatte dal col- lega Mosso, riguardo al nuovo Osservatorio, che sorgerà accanto alla Capanna « Regina Margherita » sulla punta Gnifetti, appartenente al gruppo del Monte Rosa. Anch' egli è del parere, che una stazione alpina, a 3.100 metri di altezza, sarà utilissima, e servirà a risolvere molti problemi di tecnica me- teorologica e fisica, che sulla punta Gnifetti presentano gravi difficoltà. Questi impianti acquistano una singolare importanza dopo il grande tentativo, fatto dalla Francia, di creare un Osservatorio in cima al Monte Bianco, dove molto sì è speso, ma con un esito finale assai dubbio; perchè non è proba- bile che quell’Osservatorio, fondato sul ghiaccio, per la mobilità di questo e per le enormi pressioni e trazioni ivi esistenti, possa avere lunga vita, Il Socio BLASERNA coglie questa occasione, per appoggiare le osservazioni fatte dal collega Tacchini sui lavori, che il dott. Palazzo si propone di fare in Sicilia. Dice, che oltre ai lavori risguardanti il magnetismo terrestre, il dott. Palazzo coadiuverà il prof. Riccò nelle misure sulla gravità, che si inizieranno in quest'anno. Tutti gli studi recenti, fatti specialmente col mezzo dell'apparecchio di Sterneck, hanno dimostrato quanto sia interessante e com- plicato il problema della gravità nei vari punti della superficie terrestre. Questi nuovi studi sorsero per iniziativa dell’ammiragliato austriaco di Pola e si estesero anche sopra due regioni italiane. Il So cio Blaserna è lieto di poter dichiarare, che col liberale ajuto della marina austriaca, noi potremo continuare tali studi in Italia, facendoli eseguire dai nostri bravi osservatori, ed esprime la speranza, che il Governo vorrà favorire questa importante impresa. Il Socio BeroccHi presenta il volume degli Atti del 3° Congresso inter- nazionale degli architetti, che fu tenuto a Parigi nel 1889. CORRISPONDENZA Il Segretario BLAsERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società. di scienze natu- rali di Emden; la Società geologica di Calcutta; la Società geologica di Sydney; l' Istituto Teyler di Harlem: le Università di Giessen, di Tiùbingen e di Tokyo; la Biblioteca Reale di Berlino. — 281 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA nella seduta del 7 novembre 1897. Ball R. — Further development of the relations between impulsive serews and instantaneous screws. Dublin, 1897. 4°. Boccardo E. C. e Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pratica, disp. 51. Torino, 1897. 4°. Boussinesg J. — Théorie de l'écoulement tourbillonnant et tumultueux des liquides dans les lits rectilignes è grande section. Paris, 1897. 4°. Bunge N. A. — Corso di chimica tecnologica (in russo). Kiew, 1897. 8°. Congrès international des Architectes. 3° Session tenue è Paris du 17 an 22 juin 1889. Compte-rendu et notices. Paris, 1896. 8°. Doneux A. — Blectricité et Magnétisme terrestres. T. I-II. Paris, 1894. 16°. Huygens Ch. — Oeuvres complètes publiées par la Société hollandaise des sciences, T. VII. Harlem, 1897. 4°. Langley I. P. — Memoir of George. Brown Goode, 1897. 8°. Lejeune Dirichlet G. — Werke. Bd. II. Berlin, 1897. 4°. Lemoine E. — Mélanges sur la géométrie du triangle. Paris, 1895. 8°, Id. — Questions relatives è la géométrie du triangle, è la géométrographie et è la transformation continue. Paris, 1896. 8°. Leonardi Cattolica P. — Determinazione della latitudine dell’ Osservatorio della R. Accademia Navale di Livorno fatta nel 1897, secondo il metodo di Talcott. Genova, 1897. 4°. Marson L. — Sui ghiacciai del Massiccio del Monte Disgrazia. Roma, 1897. 8°. Masoni U. — Di alcune determinazioni sperimentali sui coefficienti di fil- trazione. Napoli, 1896. 4°. Id. — Sulla espressione approssimata del coefficiente di attrito interno nei tubi di condotta. Napoli, 1897. 4°. Id. — Sul moto dell’acqua attraverso i terreni permeabili. Napoli, 1895. 4°. Mosso A. — Fisiologia dell’uomo sulle Alpi. Milano, 1897. 8°. Passerini N. — Esperienze sul potere assorbente delle lettiere per il car- bonato ammonico. Firenze, 1897. 8°. Raddi A. — L'acqua potabile per la città di Chiavari. Chiavari, 1897. 16°. Saija G. — Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivo- luzione. Catania, 1997. 4°. Salvioni E. — Sul passaggio della elettricità attraverso interruzioni estrema- mente piccole. Perugia, 1897. 8°. Setti E. — Nuovi elminti dell’ Eritrea. Genova, 1897. 8°. Todaro F. — Marcello Malpighi. Discorso. Roma, 1897. 16°. GATE i ‘alta eta Fato N ve a i 5 in # eat Lr ? LÌ 4 3 li x } i RKRENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI nn <=<=*<| e COS (Ci IR2REZISDE uo == — È sen VA Ui == COS le quantità + Yner Gr so) (0 colla condizione ARE + Ra, e le Y0,%1,%-3%n-1 SÌ possono assumere come coordinate di Weierstrass del punto e entro l'iperpiano Z. Eesguaniitag (A ia ea, AZIO Ani; Ania) SONO le coordinate di # — 1 iperpiani A, ..., A” passanti pel punto <, per- pendicolari fra loro a due a due e perpendicolari anche a Z; inoltre gl’ iper- piani A ,..., A? passano per la normale in 4 a V. Date le quantità 4;;. ossia dati gl'iperpiani A ,..., AV, resta individuate l'iperpiano Z; in- vece, dato Z, si hanno infiniti sistemi di quegli iperpiani: per costruirne uno qualunque, basta considerare il piano individuato dalle normali in 4 a V ed a Z, e per esso far passare x — 2 iperpiani qualunque A°°,... AM? fra loro perpendicolari a due a due, indi per la normale in # a Z condurre l’ iper- piano A” perpendicolare ai precedenti. L'angolo g formato da Z colla normale in # a V è uguale all'angolo di A coll’ iperpiano tangente a V in 4, epperò, essendo —, 3 lata NI le coordinate di quest’ ultimo, si avrà: Ar otlo + Ani, Fi + sar + CI (11) cosg= S Ora sia D(Y0,Y1, + Yn-1) ciò che diventa la F quando al posto delle «, si sostituiscono ì secondi membri delle (10), così che, entro Z, sarà P(Yo »Yi 1000 Un IE40 l'equazione della sezione di V con Z. Ponendo ID d°P RO. @= —, ®;= —— (i,j=0,1,..,n—1), di Yi Yi Di = Le + Di | IRR + DAR . sì avrà: ®Po=Fh%+F1 a, +-+ Fd Ù) = Fado + Front: 4 Fado (=1,2,..,n_-1), — 288 — ossia, pel fatto che il punto 4 sta sopra V e per le (9) e la (11), ®=® => =D,,=0, O =Scosg, e quindi: o=Scosg. Inoltre: Pio => Fja;a;=0, Pom = x Bo Om Cie10 (EER ® mm = D Bi Umi Umj Di qui e dalle (6) e (11) si ricava, per la curvatura della sezione di V con Z nel punto x, l’espressione: (12) Mae (D Fij Qri 413) (dI Fi; 4a, 495) EG (I Fij On-2,i Un-2,3) n n_2 $ ia Fi; dress) 0) Se Z passa per la normale a V in 4, l’iperpiano AV coincide con quello che è tangente a V in x, sicchè: 12 == k An-1,0 a F, 2% Fi BE È > nr S geco Anerin IS ’ e la curvatura della sezione in 4 viene espressa da: pes (I Fi; Q1i 013) (DI Hi; d0: d3;).. (Si Ran) qu? Bi Confrontando questa colla (12) e facendo uso della (11), risulta: Di h cos? gp 1 ’ che è ciò che sì voleva dimostrare. 4. Proponiamoci ora di confrontare fra loro le curvature delle sezioni iper- piane normali passanti per uno stesso punto di V; a tal fine, come nel n. 2, prendiamo per origine O il punto fissato, e per iperpiano 2, = 0 quello che è tangente a V in O, indi scegliamo gli altri iperpiani coordinati in guisa che l'equazione dell'indicatrice (Killing, 1. c., pag. 204 e 207) contenga sol- tanto i quadrati delle coordinate. L'equazione di V (posto #,= 1) avrà al. lora la forma: (13) 2 Un A, Ti + SRO +A,1 GA + P . dove alcune delle A possono anche esser nulle. Sia f una retta qualunque tangente a V in O, e siano g,, 2, --- Sn gli angoli da essa formati cogli — 289 — assi 071,02, .., 0-1 (cioè cogli assi dell’ indicatrice). Se nell’ iperpiano tangente x, =0 consideriamo lo spazio S,-» passante per O e perpendicolare a t, esso coll'asse Oz, individua un iperpiano, la cui equazione è: (14) Li COS P1 + + #21 COS Pa =0: e questa, entro z, = 0, è pure l'equazione del detto spazio S,-s. Nello stesso iperpiano #,==0 cambiamo gli assi 0; , ..-,0%,-1, assumendo come nuovo spazio S,_s rappresentato da y,-,="0 quello che ha l equazione (14), ossia poniamo (15) dz Va Ya + Vie Y2 Se Sin + Vir Yn-1 (@=d1e266,% —DE dove y;; è il coseno dell'angolo formato da «;=0 con y;=0, epperò in particolare (16) pei lcostpan(d dl, 2): Sostituendo le (15) in (13) e ponendo poscia y,-1= 0, risulta come equazione della sezione di V coll’iperpiano (14): Zaen= D_ Bigi to ((,j=1,2,.., 0-2), avendo posto : (17) Bi; =À Vii Yij + LO V2i V2j + se + AGSTI Yn-1i Yn-1,j * La curvatura di questa sezione in O, dedotta dalla (6), è data dal se- condo membro della (8), in cui al posto delle A;; siansiì sostituite le B;;. Se ora in luogo di queste ultime si pongono le loro espressioni (17) e si svolge il determinante come somma di altri determinanti formati colle sue colonne, si riconosce che ciascuno dei determinanti non nulli che così risultano è il prodotto di 2 —2 fra le quantità Ai, A», ..., An, per il quadrato di un minore d'ordine 7 — 2 tratto dal determinante ortogonale | Vil Yiz «ee Y1,ne1 | .|=1% |Vai Ya=mna Yann minore che è quindi uguale al proprio complemento algebrico. Avendo pre- senti le (16), la curvatura cercata risulta espressa come segue: INGRAG. An1 COSÌ Pi + A, Az... An 608° P2 + <"% + Ai Ap... An-a 008° Pn > e ciò fornisce l'estensione, che avevamo in vista, della nota formola di Eulero. Di qui segue che /a curvatura in O delle sezioni iperpiane normali ha un massimo od un minimo, quando la traccia dell’iperpiano secante — 290 — sull’iperpiano tangente a V in 0 è uno degli spasti Sn-> principali del- l’indicatrice. Inoltre, se si considerano n— 1 iperpiani qualunque normali in O alla data varietà e fra loro perpendicolari a due a due, la somma delle cur- vature delle rispettive sezioni in O è costante. Ecc. Matematica. — Sul integrazione per serie. Nota del prof. Ce- SARE ARZELÀ, presentata dal Corrispondente VoLTERRA ('). 1. Sia f(x, y) una funzione delle due variabili reali x e y definita nell'intervallo 4 .... è sopra ogni retta y=%1, y="%2; «0: Yo Ya... essendo un gruppo di numeri che hanno per numero-limite il numero yo. Sia /(4, ys), per ogni y; fisso, (s=1,2,3,...), finita e atta all’ integra- zione definita fra @ e è e in ogni punto x ivi sia determinato e finito f(@, y)=lim. /(2, Ys). Us=%o Nella Nota, Sul! integrabilità di una serie di funzioni, pubblicata nei Rendiconti di cotesta Accademia per l’anno 1885, è data la proposizione (a): affinchè la f(x, yo) sta tra a e db atta all'integrazione, è necessario e sufficiente che fissati ad arbitrio uno qualunque dei numeri ys e altri due numeri positivi 0 e e, si possa sempre separare nell’ intervallo a .... dei tratticelli v,, ta, ... tp în numero finito e di somma minore di «, în modo che la porzione rimanente si possa percorrere mediante un numero finito ‘di tratti presi su rette del gruppo Y=Ys+1, Ys+a, --.., dn ogni punto dei quali si abbia VR) RT 20 Sarà y=%, ! equazione della linea spezzata formata coi tratti ora detti. Questo modo di convergere della /(4, ys) alla (2, yo) al tendere di Ys 2 Yo lo abbiamo denominato convergenza uniforme a tratti in generale. Siano vo(7), (4), v:(®), .... funzioni della x e si faccia (e, 9)= Yu) è fe, po) = Yuna): la proposizione di dianzi ci dà subito la condizione d'integrabilità di una serie di funzioni integrabili. 2. Nell'altra Nota successiva, Sul! integrazione per serie, pubblicata negli stessi Rendiconti, tenute ferme le precedenti ipotesi per /(4, ys) e f(, Yo) è enunciata la proposizione: (2) la condizione necessaria e suffi- (!) Presentata nella seduta del 7 novembre 1897. O — 291 — ciente affinchè, presupposta l’ integrabilità di f(x. ys) e f(&. yo), sia per ogni a (1) {re Yo) ili. Ji, Yys) da a YUs=zYo Va è che lim. fre y)de=@®(&, Yo) Us=Uo esiste, per ogni x, finita e continua. Su questo enunciato abbiamo da fare alcune osservazioni. Anzitutto è da distinguersi il caso in cui è, per ogni 4 e per ogni y,, I/(2, g) un(a) abbia la convergenza uniforme LI a tratti in generale. Nell'altro caso poi in cui non è sempre | f(@ DIE la convergenza uniforme a tratti in generale della /(4#, ys) verso la /(4, 0) è la condizione dell’ integrabilità di questa, come è detto alla proposizione (4); ma la continuità di ® (4, yo) non è sempre sufficiente perchè sia valida la (1), come ha mostrato con un esempio il sig. Osgood nella Memoria, Non-Uniform Convergence and the Integration of Series Term by Term. (American Journal of Mathematics, vol. XIX). In una prossima Nota, mi riserbo di trattare appunto il caso ora men- zionato in cui non è possibile assegnare un numero finito L tale che sia sempre | f(c, Ys) | = Fisica. — Intorno ad un modo di diminuire notevolmente lo spazio nocivo nei termometri ad aria. Nota di G. GUGLIELMO, pre- sentata dal Socio BLASERNA. Negli apparati, nei quali occorre conoscere con esattezza il volume e la pressione d'un gas e si misura questa mediante un manometro ad aria libera (o idrostatico) a mercurio, sarebbe utile che il ramo del manometro che comu- nica direttamente col gas suddetto fosse capillare, perchè in tal caso si potrebbe determinare con maggior esattezza il volume di esso gas. Nei ter- mometri ad aria, il vantaggio che ne risulterebbe, sarebbe ancor maggiore, perchè si potrebbe così render minima la quantità d’aria che si trova alla temperatura dell'ambiente, diversa da quella che di solito si vuol misurare, e che perciò richiede una correzione, e produce una complicazione non lieve della formula che dà la temperatura cercata. È noto però che diminuendo il diametro del tubo del manometro, s' intro- duce nella misura della pressione un errore di capillarità tanto maggiore quanto minore è il diametro del tubo, e che per uno stesso tubo, è ben lungi da esser costante e noto. Tuttavia anche quest’ errore di capillarità si può facilmente evitare, qua- lora il ramo del manometro, che comunica col gas di cui si vuol misurare la pressione, termini superiormente in forma di cono, col vertice in alto e colle generatrici facenti un angolo di circa 45° coll’asse del cono, e che si faccia arrivare il livello del mercurio fino ad un punto qualsiasi del cono stesso: come di solito la pressione del gas si potrà equilibrare facendo variare l’ altezza del mercurio nell’ altro ramo. — 293 — L'angolo di raccordamento del mercurio col vetro essendo di circa 45° (nell'aria), ed essendo il vetro già inclinato di 45° colla verticale, la superficie del mercurio a contatto del vetro formerà un angolo di 90° colla verticale, e sarà quindi all'incirca piana e orizzontale in tutta la sua estensione. Ne risulta quindi anzitutto che la componente verticale della tensione superficiale del mercurio, ossia la depressione capillare, sarà nulla, e quindi saranno senza inftuenza le possibili variazioni della tensione superficiale, e ciò qualunque sia il diametro del tubo nel punto considerato; inoltre il volume dell'aria essendo limitato da una superficie piana, di piccola estensione, potrà essere conosciuto con molto maggior esattezza, che non nel caso solito in cui esso volume è limitato dalla superficie del mercurio estesa e soggetta a cam- biar forma. Importa tuttavia notare che le cause d'errore prodotte dalla tensione superficiale del mercurio non sono completamente eliminate, perchè rimangono le possibili variazioni dell'angolo di raccordamento del mercurio col vetro, le quali possono rendere la superficie del mercurio concava o convessa, ed anzi un semplice calcolo, che credo inutile riportare, dimostrerebbe che ammessa una determinata variazione dell'angolo di raccordamento, o della freccia del menisco, la variazione che ne risulta nella misura della pressione è un po’ maggiore nel caso d'una superficie piana, che non nel caso d'una superficie avente un piccolo raggio di curvatura. Questa causa d'errore però se è reale, dipende molto dal modo col quale il mercurio perviene alla posizione d’ equi- librio e si potrà evitare avendo cura di far giungere il mercurio ad essa posi- zione, con un movimento nello stesso senso, e con ugual velocità, o ripetendo parecchie volte la lettura della posizione del livello, dopo averlo ripetuta- mente spostato leggermente dalla posizione d' equilibrio. Prima d’applicare questa disposizione ad apparecchi complicati, soggetti a cause d'errore di vario genere, credetti necessario assicurarmi che essa fosse sufficiente ad eliminare l’ errore di capillarità, oppure verificare fino a che grado d’esattezza ciò si poteva ottenere. Costruii perciò varî tubi ad U molto corti, di cui un ramo era cilindrico di circa 2 cm. di diametro, e l’altro era cilindrico di 1 cm. di diametro alla parte inferiore, ma superiormente era assottigliato in modo da formare un cono colla generatrice a 45° dall’ asse, e terminava poi con un tubo capillare. Per comodità di costruzione i due rami erano congiunti per mezzo d'un tubo di diametro minore e talvolta da un tubo di gomma. In questi tubi, che talvolta erano stati accuratamente lavati con acido nitrico ecc. e talora no, versai del mercurio più o meno completamente purificato, in modo che esso arrivasse fin verso la metà del tubo conico ed osservavo la la diffe- renza di livello del mercurio nei due rami, e ripetevo molte volte tale deter- minazione dopo aver spostato i livelli in tutti i modi possibili, lasciando riprendere la posizione d' equilibrio in un senso, oppure nell'altro, lentamente. rapidamente, togliendo il mercurio dal tubo e riversandovi lo stesso mercurio _ og4 — o altro mercurio, cercando di ottenere piuttosto le massime che le minime diffe- renze. In tutti i casi la differenza di livello osservata fu molto piccola, e per uno stesso tubo e per una stessa quantità di mercurio (cioè allorquando il mercurio giungeva allo stesso punto del tubo conico) la differenza di livello osservata si mantenne quasi affatto costante, e le differenze del valor medio furono appena superiori agli errori di osservazione. Usando però tubi diversi o facendo giungere: il mercurio a diverse altezze nel cono, le differenze di livello osservate nei due rami, sebbene piccole, furono sensibili, sia perchè i tubi costruiti imperfettamente da me, non erano regolarmente conici, sia perchè il vetro non uniforme produceva errori di rifrazione diversi. Sebbene la costruzione di simili tubi sia facile, e sia facile quindi ad ognuno verificare fino a che grado l'eliminazione dell’ errore di capillarità avviene, credo utile trascrivere qui una delle molte serie di esperienze. Il tubo conico non doveva essere sufficientemente conico, perchè la superficie del mercurio in esso appariva leggermente ma ben chiaramente convessa verso l’ esterno. Misuravo le differenze ai livello del mercurio nei due rami con un cateto- metro e con un forte ingrandimento, sollevando o abbassando il cannocchiale mediante la vite micrometrica. Il livello del mercurio nel tubo cilindrico era reso nettamente visibile, come di solito, con una cartina bianca e nera collo- cata dietro il tubo, in modo che la retta di separazione del bianco dal nero fosse un pochino inclinata sull’orizzonte e tagliasse la linea del mercurio; il livello nel tubo conico era reso visibile in un modo simile, ma collocando la cartina a tale altezza che il menisco leggermente curvo apparisse ben distinto ; le letture sono espresse in duecentesimi di millimetro a partire dallo zero della vite che aveva una scala discendente. Leggevo succesivamente un livello, poi l’altro e poi il primo, dopo spostavo i livelli nei modi sopraindicati, e ripetevo le letture nello stesso ordine; le rette verticali separano le osservazioni fatte dopo spostati i livelli, le rette orizzontali quelle fatte in epoche diverse, in ispecie l’ ultima linea si riferisce ad osservazioni fatte 15 giorni dopo le prime, nel qual intervallo il tubo col mercurio era rimasto esposto all’ aria libera. 85 80 9 Td: ‘conicor.® | 50 SO 84 | 81 82 | 81 84 | 83. 86 36 42 42 43 Tubo cilindrico Tubo cilindrico | 87 83 | 87 85 | 82 88 | S88_ 88.| 82 76 Id. conico . :| 47 46 47 Tuborcilindrieo,.|i72f7498 73750739754 590770072845 Id. conico. . 25 23 25 28 25 Tubo cilindrico 127 130 130 — —_ TAM Oni CORR 9502 ROOT OSO | [iso] do — La differenza di livello secondo le prime due linee risulta di 0,22 mm., secondo la terza di 0,25 mm. e secondo l’ultima di 0,16 mm.;il diametro del tubo conico nel punto ove giungeva il mercurio era esternamente di 6 mm., quindi internamente doveva essere fra 4 e 5 mm. È da notare che sebbene la superficie del mercurio nel tubo conico fosse convessa e dovesse quindi subire una lieve depressione, tuttavia essa appariva più elevata della superficie nel tubo cilindrico, tanto osservando al cannocchiale che ad occhio nudo, per ettetto della rifrazione. Risulta da queste osservazioni, come da molte altre, che la differenza di livello apparente nei due rami è piccola e potrebbe facilmente esser resa nulla, ma, ciò che più importa, questa differenza è costante e le variazioni sono comprese nei limiti degli errori di osservazione per misure fatte ad intervalli di tempo non molto grandi; ed anche dopo due settimane la suddetta diffe- renza aveva variato meno di 0,1 mm. È utile che il tubo sia non troppo conico, in modo che la superficie del mercurio sia leggermente convessa, altrimenti cesserebbe dall’ esser visibile, e sarebbe visibile solamente e non bene la linea di intersezione del vetro col mer- curio, la quale obbedisce meno a piccole variazioni di pressione e dà risultati meno concordanti, che ho creduto inutile riferire. Ho cercato di togliere l’ errore di rifrazione circondando il tubo conico con un tubo cilindrico pieno d'acqua 0 d'altro liquido più rifrangente ed osservando la linea d’ intersezione suddetta, ma in complesso non ho trovato molto vantaggio con una simile disposizione. Ho cercato altresì di ottenere il tubo conico soffiando una bolla di 9 a 10 mm. di diametro in un tubo capillare a pareti spesse e comprimendo questa bolla nel senso del tubo, mentre il vetro era ancor molle, ma queste bolle mi è parso che offrissero al mercurio varie posizioni d’ equilibrio, le quali possono indurre in errore, e ho trovato molto preferibile costruire i tubi conici scaldando nel mezzo e tutt attorno un tubo, a pareti non troppo sottili, di circa 1 cm. di diametro, lasciando fondere e inspessire il vetro, e regolando poi la trazione alle due estremità, e interrompendola per lasciar ispessire il vetro, e se occorre comprimendo un poco il tubo nel senso della sua lunghezza in modo da otte- nere l'angolo desiderato. Facilmente il tubo riesce poco conico; lo si riduce nel modo voluto staccando l’altra estremità, e scaldando il cono col dardo della fiamma, lasciando ispessire il vetro ed esercitando una lieve compressione. Applicando la disposizione in discorso al termometro ad aria, il volume d'aria alla temperatura dell'ambiente riuscirà piccolo e meglio determinato; sarà quindi possibile, senza pregiudizio dell’ esattezza, di usare bulbi molto piccoli, ciò che in taluni casì può riuscire di non poca utilità, e qualora sì usino bulbi della grandezza solita, si potranno trascurare le variazioni di tem- peratura dell'ambiente e si potrà semplificare la formula che dà la tempe- ratura. Difatti questa in tal caso diviene: MEI Oo, _) LisE «Hy bis iena) 096 — essendo T la temperatura cercata in gradi centigradi, H, ed H le pressioni dell’aria del termometro a 0° e a T, 3% ed @ i coefficienti di dilatazione del vetro e dell’aria, V e v le capacità a 0° del bulbo e della parte del tubo che trovasi alla temperatura dell’ ambiente. Il termine v: V non può esser reso completamente nullo, ed inoltre ciò non semplificherebbe molto la formula; è invece utile rendere v:V tale che sia Sk v Il Il 2 N Lal — 100 ossia, siccome approssimativamente 3//e = 1/150, è utile renderev/ V= 1/300. In tal caso chiamando 6 il valore approssimato di T che s’ avrebbe appli- cando la semplice formula di Gay-Lussac (ossia i) sì avrà: Ho 10HI T=0d-— 60. 100 Ho Ho applicato con risultati soddisfacenti il manometro sopra descritto a due forme di termometri ad aria, che credo non superfiuo descrivere poichè ) Fre. Î. sono facili a costruire, differiscono un poco dalle forme solite e presentano qualche particolare che può essere utile. Nella prima disposizione ho cercato di eliminare l'inconveniente dei vapori che facilmente si sviluppano dal tubo di gomma, e che in un tempo più o meno lungo rendono umida l’aria del bulbo. Essa consiste del bulbo A, del tubo capillare 8 di0,1 mm. di diametro interno e circa 20 cm. di lunghezza e di un corto manometro a mercurio 40 chiuso in fondo da un robinetto a tre vie e del quale il ramo 4 termina superiormente conico a 45° dall’ asse. Il ramo d — poi comunica superiormente mediante un tubo di gomma con un altro mano- metro, cd. Volendo misurare con questa disposizione, non del tutto nuova, la temperatura del bulbo A, si solleva o abbassa il tubo 4 finchè il livello del mercurio in « arrivi alla punta o segno d'affioramento e si misura il disli- vello nei manometri ab e cd. Si può però regolare la quantità di mercurio del manometro 4 in modo che quando esso affiora in « il dislivello sia nullo, tuttavia ciò non è sempre del tutto esatto. perchè per una data quantità di mercurio il dislivello varia colla forma del menisco in 4; avrei potuto costruire il ramo è del manometro simile a quello 4, cioè conico superiormente e ren- dere così entrambi i menischi piani. Si può altresì evitare la doppia lettura (e doppia causa d'errore) del dislivello sopprimendo il tubo di vetro €, riem- piendo interamente di mercurio il manometro unico avente i livelli in « e d: la bolla e dovrebbe servire per trattenere le bollicine d'aria possibilmente umide trascinate dal mercurio, ma l'esperienza mi dimostrò che essa è poco efficace e sarà utile invece servirsi del robinetto per interrompere la comu- nicazione fra bulbo e manometro quando il termometro non si adopera. È utile, che come usano varî costruttori, il bulbo A termini inferiormente con un tubo capillare da chiudere alla lampada quando si costruisce il ter- mometro; in tal modo non solo è facile lavare e asciugare il bulbo, ma si può verificare se il dislivello del mercurio nei rami 4 è quando entrambi comu- nicano coll’atmosfera è realmente nullo, e quando non lo fosse, tener nota del valore di esso; sebbene questo essendo di solito piccolo e non avendo influenza sulla differenza H— H, ma solo sul denominatore H, non produce, anche quando sia trascurato, un errore notevole. Nell’altra disposizione che ho usato e che ho trovato comoda, il mano- metro col robinetto a tre vie funziona come una buona pompa a mercurio, per cui senza apparati accessorî, senza smontare il termometro nè toglierlo dal bagno, si può rapidamente farvi un ottimo vuoto, riempirlo di gas secco di cui si potrà determinare la pressione alla temperatura voluta e poscia a 0°, e si potrà altresì porre entrambi i rami del manometro in comunicazione coll’atmosfera e verificare il valore del dislivello prodotto dal tubo conico. Questa disposizione consiste del bulbo 4 comunicante col tubo capillare 5, che nella seconda piegatura ha un robinetto a tre vie X, di cui la via superiore comunica coll’ atmosfera e l’ inferiore col tubo del manometro. Questo tubo C può esser cilindrico, o avere la forma di palloncino di capacità uguale o non molto minore di quella del bulbo A, deve terminare superiormente in cono a 45° dall'asse, ed inferiormente deve terminare con un tubo ricurvo all'insù. Questo tubo poi presenta un rigonfiamento 2) che è chiuso superiormente da un robinetto S, e che ha saldato lateralmente un tubo in cui s' adatta il tubo di gomma che conduce all’altro ramo del manometro funzionante altresì da pallone mobile della pompa a mercurio. NO og, — Ò Per fare il vuoto con questa pompa-manometro si procede come colle solite pompe a mercurio, cioè si stabilisce mediante il robinetto & la comu- nicazione € atmosfera e si solleva il tubo £ scacciando così l’aria da €, si è Mie chiude la comunicazione coll’ atmosfera, si abbassa il tubo Z in modo da for- mare il vuoto in Cl e si stabilisce la comunicazione CA e così di seguito colle avvertenze ovvie per evitare urti del mercurio, o che questo acquisti troppa velocità. Due particolarità di questa pompa sono le seguenti. Occorre anzitutto scacciar l’aria dal rigonfiamento D facendo uso del robinetto S e bisogna aver cura di ripetere questa operazione ogni qualvolta l’aria che sì svi- luppa dal tubo di gomma e che si raduna in esso rigonfiamento impedisca il regolare andamento della pompa. Inoltre quando si volesse produrre in A il miglior vuoto possibile bisognerebbe, quando il tubo £ è in basso e ripieno di mercurio, congiungerlo mediante un tubetto di gomma a pareti spesse colla via libera del robinetto £; in tal modo sollevando il tubo Z vi si forma il vuoto, e così la minima quantità d’aria residua che si vuol scacciare dal tubo € viene spinta non nell'atmosfera ma nel vuoto suddetto. Esperienze numerose fatte con altre pompe di questo sistema, mi hanno dimostrato che il vuoto che si ottiene in A è sufficiente per la produzione dei raggi Rontgen; e la rapidità colla quale si ottiene questo vuoto è molto vicina a quella teorica basata sulla legge di Boyle (purchè il tubo 4 non sia bagnato), vale a dire che essendo le capacità dei tubi A e € ugnali fra loro, p. es. di 30 cm, dopo dieci colpi di pompa si ha una pressione inferiore ad un 1 mm. di mercurio du - — 299 — e 10 altri in condizioni buone sono sufficienti ad ottenere la rarefazione dei raggi Rontgen. Fatto il vuoto nel bulbo e riempitolo di gas secco, si procede nel modo solito per misurare la temperatura. Credo inutile riferire i risultati delle determinazioni fatte con questi apparecchi, le quali essendo state fatte a solo scopo di prova, con apparecchi provvisori, non darebbero un'idea adeguata dell’ utilità degli stessi. Il grado d'esattezza che si ottiene colla modificazione essenziale è dimostrato dalla tabella sopra riportata, facile del resto a verificare. Un altro caso in cui sarebbe utile la disposizione per eliminare gli errori derivanti dalla convessità del menisco, sarebbe quello della misura delle de- viazioni di un gas dalla legge di Boyle; ho costruito un apparecchio che raddoppia esattamente ed automaticamente la pressione, ma non ho ancora fatto esperienze col medesimo. Un altro caso sarebbe quello del barometro sensi- bile da me descritto, ma anche con questo non potei ancora eseguire esperienze. Fisica. — Sulla conducibilità termica del ghiaccio secondo differenti direzioni. Nota di PaoLO STRANEO, presentata dal Cor- rispondente FAveRrO ('). N Spesso il ghiaccio non è completamente amorfo, ma, come osservai nella prima parte delle mie ricerche sulla sua conducibilità termica, esistono specie di ghiaccio che presentano, secondo la direzione verticale, proprietà differenti che secondo le direzioni orizzontali, riferendoci come precedentemente alla posi- zione dell’ acqua mentre si congelava. Lo scopo di questa seconda ricerca è di determinare se i coefficienti di conducibilità termica, secondo le dette dire- zioni, differiscano fra di loro. Si tagliarono quindi da grandi lamine di ghiaccio piccoli cilindri, aventi gli assi alcuni in direzione verticale, altri in direzione orizzontale. Ognuno di questi cilindri veniva posto in un apparecchio semplicissimo, che permet- teva di mantenere la base inferiore e l’aria che avvolgeva la superficie cilin- drica ad una temperatura costante, che si assumeva come zero e la base supe- riore ad una temperatura C, di alcuni gradi inferiore allo zero. Come nel- l’esperienza precedente, si fece uso di grandi quantità di petrolio per mantenere costanti le temperature delle superfici. Quando ogni punto del cilindro aveva raggiunto uno stato termico stazionario, si portava repentinamente la tempe- ratura della base superiore a zero e si misuravano le variazioni della tempe- ratura in un punto interno opportunamente scelto. Dal decremento logaritmico di queste si poterono dedurre i coefficienti desiderati. Consideriamo primieramente un cilindro tagliato coll’ asse verticale. Siano a l altezza ed R il raggio del cilindro; %, e #» i coefficienti di conducibilità (*) V. pag. 262. RenpICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 39 — 300 — termica del ghiaccio parallelamente e perpendicolarmente all'asse del cilindro, ed % il coefficiente di conducibilità esterna fra la superficie cilindrica e l'aria. Stabilendo il sistema di coordinate cilindriche 4,7, in modo che l'asse delle # coincida coll’ asse del cilindro ed il piano = 0 colla base inferiore, l'equazione differenziale dello stato stazionario della temperatura U sarà: 23°U TL Dt Id Op cà nea 33) Considerando che lo stato della temperatura dovrà essere indipendente dall'angolo g, l'equazione della temperatura si ridurrà alla seguente più semplice : (1) tia boa tl DS dp ; i) Si avranno relativamente alle basi le seguenti condizioni: (2) per «x=0 sarà U=0 per tutti gli 7 (3) per «= sarà U=C per tutti gli 7 Relativamente alla superficie cilindrica si avrà poi: (4) — ky (=) EMO) d7 /rer Posiamo con Euler U= X.R, intendendo per X una funzione della sola variabile 4 e per R una della sola variabile 7. Si avrà separando le variabili : Dex, I (hu, "Xda? 00 RA r dr Perchè questa equazione sia verificata è necessario e sufficiente che i due termini che la compongono siano identicamente uguali ad una stessa costante arbitraria, che assumeremo positiva ed indicheremo con @?, esclu- dendo però il valore zero, che condurrebbe ad una soluzione fisicamente as- surda. Si hanno allora per determinare le funzioni X ed R le due equazioni differenziali note: DEI GE 1dR a sn Lia iii (02 x La soluzione della prima è: X=A.e*yr°+B.e vr”, essendo A e B costanti arbitrarie; quella della seconda è M.I, a + NY, cs To ni in cui M ed N indicano costanti arbitrarie ed I, (2) e Yo (Fe) ri- Vks 2 — 301 — spettivamente le funzioni cilindriche di primo e secondo genere, di modulo r 9 : aOTVENNE i =. Perchè la soluzione resti finita per 7 — 0 bi- leo sogna che N sia nullo. La temperatura U dovrà quindi avere la forma zero e di argomento t= aa Va). La condizione (4) esige che sia Ar Uol A (i dr r=R E al i Vi i dl,(g7) _ TRAD 01 ed applicando l'identità : — q1,(gr), ove I,(g7) indica la fun- zione cilindrica di primo genere, di modulo 1 e di argomento 97, si avrà: te: aR Zi ak Vi ks Li) = fs (E): Quest’ equazione determina @; essa possiede un'infinità di radici che si trovano facilmente servendosi delle tavole di Messel (!). Sostituiamo a %s il suo valore approssimato 0,31, ad % il valore pure approssimato 0,01, che vale per tutte le sostanze solide in contatto coll’aria; essendo R = 2 cm. si troveranno facilmente le seguenti radici: cn103102eMio2lE0 0, c32_418950ecc! L'espressione della temperatura assumerà quindi la forma: SL +e --iLa CAVA +0 E (029 A& ta ina )i(E)+ (4,6 fa ora Hesn Le condizioni (2) e (3) determinano le costanti A e B. La (2) esige che sia: Aj.= — B, , As=— Bs ecc. La condizione (3) prenderà allora la forma: bis Carla CA oo (CS) 0E24G 2emp(- :) Io( 22) +A-2 sem (2 °) TR (2) + Per determinare una costante 4, di ordine qualunque si moltiplica ogni termine dell’ equazione (8°!) per 7 (22 ) dr e si integrano tra i limiti 0 2 (*) Abhandl. der Kònigl. Preuss. Akademie der Wissensch. zu Berlin, 1888. = ci ed R. Applicando i seguenti teoremi relativi alle funzioni cilindriche (*) SIo(ar) L(tar). 1. de =0 sem 0 ’ = “| (L@9) + (1. (0)? | sem= ft r dr —L I,(na), 0 I) sì deduce: iù |A o) = Via «n Rsno(# 0) [>(25) | [u( _ —_—____________— —_________———_—__°—_ o@re—(e|(\— ak . 2 ask 3 ah 3 “(70) FE E) — Agi son (2 2) + Assen (Ce) t Moltiplicando per sen 5 xdx ed integrando fra o ed a si avrà per una costante d'ordine 7 la seguente espressione: ;R ha ie ArenVks ] Ti sc CCR» {5 Edi +|5 fat Anche lo stato variabile della temperatura è quindi completamente deter. minato. L'espressione (6) in pratica si può molto semplificare. Infatti gli espo- nenti negativi di e crescono rapidamente in direzione sia orizzontale che ver- ticale; il valore della funzione I(m7) diminuisce rapidamente col crescere dell'argomento; basterà quindi che sia trascorso un tempo assai breve dal principio dell’ esperienza, perchè la funzione w sia espressa con sufficiente esattezza dai due primi termini delle due prime serie orizzontali. Se inoltre Th 3 3 3 : a noi misureremo la temperatura in un punto le cui coordinate siano &@ == DÈ r= 1,26 cm., si raggiungerà una semplificazione ancor più grande. Infatti, in conseguenza di aa valore di 7 e del valore precedentemente stabilito ”. della funzione cilindrica della seconda serie oriz- : %9 di «,, l'argomento Vi ka zontale prende il valore 2,40, per il quale la funzione cilindrica di modulo o : i ; Gi 5 3 ; SA si annulla. Siccome poi per il valore « = 9 Si annullano i secondi termini — 305 — di tutte le serie orizzontali, l’ espressione della temperatura nel punto scelto del cilindro assumerà dopo un certo tempo dal principio dell’ esperienza la forma semplice: mia ki 4 u= À,, Sen (Cal e (e) c-p* cp) Io sata 0) V ko Formando come d'ordinario il decremento logaritmico: 2 2 Un TT TA (041 l0gnat 7, G C.0 ded, NHE Ok (0) si vede immediatamente la possibilità di dedurre dall'esperienza il coefficiente %, . L'uso del valore approssimato di %» per dedurre la costante @,, che figura elevata in quadrato nel decremento logaritmico, non può produrre fisi- 2 RI N +. IMC, : camente un errore sensibile, essendo il termine Bo che dipende dal valore ; 2 : n° k of ted di %,, solo la ventesima parte circa della somma — —— + =, cui è pro- COVO porzionale il decremento logaritmico. Per analoga ragione non sviluppai la teoria per i cilindri coll’ asse per- pendicolare a quello dei precedenti, perchè non essendo più la soluzione indi- pendente dall'angolo y, le formole sarebbero state assai più complesse, senza apportare fisicamente maggiore esattezza. Feci invece uso della formola pre- cedente, sostituendo solo %» a X,. Studiai specialmente le due specie di ghiaccio descritte nella prima parte delle mie misure, cioè un ghiaccio per- fettamente omogeneo ed amorfo ed un ghiaccio pure omogeneo, ma più facil- mente fendibile secondo la direzione verticale. I risultati sono contenuti nella seguente tabella: Ghiaccio della prima specie | Ghiaccio della seconda specie Omogeneo ed amorfo Omogeneo ma non amorfo Asse del cilindro nella di- ; ; ; = TIE CRETE verticale orizzontale verticale orizzontale Altezza in cm. . . . . 5,080 5,270 4,870 4,999 g| 12 serie di osservazioni 0,12206 0,11343 0,13851 0,12190 E S, OR ”» 0,12205 0,11332 0,13820 0,12132 o 8g È SD D) 0,121S6 0,11324 0,13902 0,12092 È SMMedia: >; 00, 0,12199 0,11334 0,13858 0,12138 Coefficiente. . . . . .| Xi=0,312| Xa=0,308 k,= 0,828 ka = 0,301 — 306 — Una seconda serie di misure su due cilindri di ghiaccio della seconda specie condusse ai seguenti risultati: £, — 0,325 = 0,808. Come risultato di questo studio si può enunciare: 1° che solo il ghiaccio non completamente amorfo presenta qualche piccola differenza del potere conduttore termico a seconda della direzione. 2° che il valore del coefficiente di conducibilità termica per il ghiaccio amorfo, trovato uguale a circa 0,31 col metodo esposto nella prima parte delle mie ricerche, è pienamente confermato Chimica. — Due nuovi derivati del Guaiacol. Nota di S. pi Bo- SCOGRANDE, presentata dal Socio PATERNÒ ('). Composto coll’ acido picrico. Sopra gr. 5 di guaiacol sciolto in alcool si fece agire in quantità equimolecolare l'acido picrico. Il liquido si colorò intensamente in rosso ranciato e fu tenuto all’ ebollizione per circa due ore. Indi svaporato a b. m. si cominciarono a separare degli aghetti di colore rosso ranciato. Questi sono solubilissimi in tutti i solventi ordinarî ed anche nell'acqua, dalla quale cristallizzano in minutissimi aghetti splendenti, di colore rosso ranciato; fondono a 80°. Una determinazione di azoto ha dato i seguenti risultati : gr. 0,2200 di sostanza fornirono cc. 24,2 di azoto misurati alla temperatura di 27° ed alla pressione di 756 mm.: cioè per cento Azoto 12,07 Per il picrato di guaiacol C$H,.0CH;.0H.CH2(N0); OH si calcola per cento Azoto 11,90 Questo picrato si decompone lentamente alla luce diffusa, perdendo il colore rosso ranciato per diventare giallo, aumentando man mano il suo punto di fusione. Se alla soluzione in benzina di questo picrato si aggiunge dell'etere di petrolio, precipita una sostanza gialla che, cristallizzata dall’ alcool, fonde a0l2108: All’analisi diede i seguenti risultati : gr. 0,2506 di sostanza fornirono cc. 40,5 di azoto misurati alla temperatura di 25° ed alla pressione di 761 mm. Cioè per cento Azoto 18,05 (?) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Roma. Presentato nella seduta del 7 novembre 1897. 307 — mentre per l'acido picrico si calcola per cento Azoto 18,26. Derivato benzilato. Gr. 50 di guaiacol furono messi a reagire con gr. 50 di cloruro di benzile ed un poco di tornitura di zinco (*). Riscaldando leg- germente si manifesta subito forte sviluppo di HCl, ed il liquido diventa di colore molto scuro e molto denso. Il prodotto così ottenuto da varie pre- parazioni, decantato dalla tornitura di zinco, fu distillato in corrente di ani- dride carbonica fino alla temperatura di 210° per separare il guaiacol ed il cloruro di benzile inalterati. Quindi il rimanente fu distillato nel vuoto raccogliendo assieme tutto quello che distillava fino a 300°. Fino a quel grado il termometro non accennò mai a fermarsi. Questa porzione fu ridistillata in corrente di vapor d'acqua; sul principio passa insieme al vapor d'acqua piccola quantità di un olio incoloro; dopo, quando il vapor d’acqua non trasporta più nulla, la porzione rimasta nel pallone fu estratta con etere. Scacciato il solvente rimase un residuo liquido denso, poco colorato, che fu prima disseccato completamente nel vuoto in pre- senza di acido solforico, e finalmente venne rettiticato per distillazione a bassa pressione. Passa allora quasi tutto fra 269°-270° alla pressione di 436 mm. Questa porzione è leggermente colorata in giallo chiaro ed offre una bella fluorescenza. Il suo peso specifico fu trovato di 1,1380 a 13° rispetto all'acqua alla stessa temperatura. All’analisi ha dato i seguenti risultati : gr. 0,2523 di sostanza fornirono gr. 0,7293 di CO, e gr. 0,1501 di H:0; cioè per cento Carbonio 78,39 Idrogeno 6,57 Quest’ analisi prova che si tratta di guaiacol benzilato Cs H30CH3 OHC; H; CH, per il quale si calcola per cento: Carbonio 78,50 Idrogeno 6,94. (1) Paternò e Mazzara, Gazz. chim. it. 1878, vol. VIII, p. 803. [ PESO, Ji o SAR IT ir Dc WR RNAORA ) RIMINI TETS SA VS TA ROSARIA e CIARA î ut ODIA EAOR dr AO; VASI RIMOSSA TI I TR cesti ii DONA ; ataltanot LEos OUR iii ne ) (Aa } ì DI a h li pifi bu à Ne O x Ù i #08 60 PEER RR RAIPTR I “9 PALO TONER ETNA i) dato { } II 40°Tr4 140 19 DU DONELLI, f AN Li i, ) 1 Sas UO n ida ei e I, TO ACILIA 0 sagilo D WAIT OIL LAT OSIO RO EST sd dl 3 se 19% UMM i GU THOSE (01 OE i $ f (IL Ì È 1 DI {Tg i i Î sd li 4 d IRIS : ds LONTANE 4 }, 4 Ù Ò î DI ta) i Li x E È s u | \ M è i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCE} _—_—_————m “ Fu Dunque: Xo(y)=0, XY) =%, No) =0, X(y)=%- Invece delle y»,%4, prendiamo dunque le variabili: a=Fsyn+ 2%, Gg = 295 Ya + 24 che sono soluzioni di X:7= 0. Otterremo allora : Y(yi)= 221, Y(81) =2w0, Yi Y(Y3) = & — dD4Y1 ’ Y(83) = Wdy Y3 Se: 8w04 81 . Siamo dunque ridotti a dover integrare l'equazione: d È d d 281 a + 20:7Y1 + (3014) 4 (da) Lo. Le soluzioni di questa equazione si determinano senza difficoltà; sono: a=sî— Ds, Yi B= 2 ws VE + 69w,(/1 83 — Y3 81) y = (D2Y1Y3 — 8183) — W2(Y1 88 — Ys 4) — A — DI Yi). Queste tre espressioni non soddisfano alle equazioni X3/=0, X,f= 0; ma da ognuna delle a, #,y, si può giungere ad una soluzione anche di queste equazioni, moltiplicando ogni volta per un fattore convenientemente composto con le w3, 04,9. Si giunge così agli invarianti: UA) 2 DI D9 pl Dl gent Di DI Do — 317 — Gli invarianti B, C sono effettivamente del terzo ordine ed indipendenti tra loro. Resta però a dimostrare che essi sono distinti dagli invarianti D(A), D.(A). Negli invarianti B, C le derivate del terzo ordine non compariscono che nelle combinazioni %3,%4, 0, ciò che è lo stesso, nelle combinazioni: u. v|0; ma si ha appunto: d04 dw4 u=-Z, rto=— ds di dunque in B, A le derivate del terzo ordine non compariscono che nelle com- binazioni se —. Nelle D;(A). D.(A), esse compariscono invece nelle c SE SS O) PSI DETTI D[B,C, i D:(A)] _ DIRSI rtsst, Fui ’ Fu] . Si ha ora: dOv4 dI dI dI ___D[B,C,D:(A),D(A)] | | dé 90 A LE dwaq PILE A DIESARBRS E ad] TO SATO AT) STEIO) il secondo fattore del secondo membro è diverso da zero, pel primo fattore si ha: __D[B,C,Di(A), DALL di Ta Si DEB, CH ra; II DAL D RIcor = Pi - = De IS 9 ») 0) b] poichè ognuno dei fattori del secondo membro è effettivamente diverso da zero, gli invarianti B,C, D:(A), D:(A), sono indipendenti tra loro. Applicando una volta i parametri differenziali D;(g), D.(g) agli inva- rianti B,C,D:(A),D.(A), si formano tutti gli invarianti del quarto ordine; e così procedendo si formano tutti gli invarianti di ordine superiore. Il pro- blema che mi ero proposto al principio della Nota già citata, la determina- zione cioè degli invarianti puntuali che contengono soltanto le derivate di F rispetto s e 7, si può considerare come completamente risoluto. Una ricerca analoga a questa si potrebbe istituire prendendo a fonda- «mento il gruppo delle trasformazioni di contatto. La determinazione degli in- varianti di ordine % dipenderebbe in questo caso da un sistema completo di sette equazioni: vi sono dunque due invarianti di terzo ordine, cinque del quarto ordine, ... X7-- 1 dell'ordine %. Delle sette equazioni che definiscono gli invarianti, quattro sono appunto quelle da cui dipende la determinazione degli invarianti puntuali: ne segue che noi possiamo approfittare della ricerca già istituita per questi ultimi invarianti, onde giungere più presto alla inte- grazione delle sette equazioni. Ne segue anche che sussiste per gli invarianti rispetto alle trasformazioni di contatto la proprietà di essere di peso zero. RenpIcONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 41 — 318 — Matematica. — Sur les nombres transfinis de Mr. Veronese. Nota di A. ScHOENFLIES, presentata a nome del Socio CREMONA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Storia della matematica. — 4vangelista Torricelli e la prima rettificazione di una curva. Nota di Gino LORIA, presentata a nome del Socio CREMONA. Di Evangelista Torricelli sono assai noti tre scritti pubblicati a Fi- renze nel 1644 sotto il titolo di Opera Geometrica: qual ne sia il valore è dimostrato dal contenere uno di essi quelle ricerche sulla cicloide che al di là delle Alpi tanta invidia destarono e sì fiera polemica fecero divam- pare, e dal fatto che un altro bastò a mettere in luce come il ben noto metodo delle tangenti che dal Roberval prende nome, sia stato immaginato, indipendentemente dal celebre professore di Parigi, dal più geniale dei di- scepoli di Galileo (*). Molte altre opere compose il Torricelli; e quando nel 1647 a soli trentanove anni lo colse improvvisamente la morte, egli or- dinò (2) che la cura delle pubblicazioni di esse fosse affidata a Bonaventura Cavalieri e a Michelangiolo Ricci. Ma la morte del primo accaduta nel me- desimo anno 1647, e la preoccupazione della dignità cardinalizia a cui aspi- rava il secondo (e di cui venne poi effettivamente insignito) vietarono che venissero soddisfatte le legittime aspirazioni del Torricelli. Nè miglior esito ebbero le fatiche che, auspice Ferdinando II Granduca di Toscana, spese attorno ai manoscritti torricelliani, Vincenzo Viviani. Soltanto una raccolta di Zezioni accademiche venne nel 1715, benchè in minima parte, a cal- mare i desiderî di coloro i quali pretendevano che il mondo civile fruisse dei ritrovati di colui, che tanta ammirazione accese in chi lo conobbe, da meritare, vivo, l’ epiteto di Archimede della Toscana. Se non che tale pub- blicazione ebbe virtù di rendere, per altra ragione, più intensi tali desiderî: giacchè nella prefazione delle Zezioni accademiche (anonima, ma che si sa essere di Tommaso Bonaventuri) si legge un /Zndice particolareggiato delle opere inedite del Torricelli, scritto da lui medesimo, dal quale emerge quale immenso contributo avrebbe arrecato alla geometria delle curve e delle su- (1) F. Jacoli, Evangelista Torricelli ed il metodo delle tangenti, detto metodo del Roberval. (Bullettino di Bibliografia e Storia ece., t. VIII, 1875, p. 265-304). (2) V. i documenti pubblicati a p. 58-50 e 63 dell’ opuscolo: Lettere fin qui inedite di Evangelista Torricelli, precedute dalla vita di lui scritta da Giovanni Ghinassi. (Faenza, 1864). — 319 — perficie la pubblicazione integrale delle sue investigazioni. E quasi per ren- dere più tormentosa tale brama, il Fabbroni, in appendice al suo elogio del Torricelli ('), non soltanto pubblicava un elenco completo delle sue opere edite ed inedite, ma faceva conoscere al mondo degli scienziati l’ interes- santissimo Racconto d' alcune Proposizioni proposte e passate scambievol- mente tra Matematici di Francia e me dall’ anno 1640, in quà (?). Non è mia intenzione, poichè il luogo nol consente, di esporre qual flutto di sapere geometrico sgorghi da queste pagine: osserverò soltanto come esse provino che il Torricelli abbia scoperte molte delle proprietà generali delle parabole e delle iperboli d'ordine superiore che stanno tra i più bei titoli di gloria del Fermat e del Wallis, e che egli abbia avvertita (3) quella relazione interessante fra l’ arco di una parabola qualunque e l’ arco di una spirale convenientemente scelta che va nella storia della geometria col nome di Fermat (‘). Ma nel Racconto medesimo vi è un passo che, se non m' inganno pos- siede una eccezionale importanza, e sul quale i biografi del Torricelli non fissarono a sufficienza l’ attenzione degli storici della matematica. Reputo per ciò necessario di qui riferirlo per farlo seguire da qualche parola di commento : « Fu da me ritrovata un'altra sorte di spirali maravigliose, delle quali dò la definizione per via del moto, ed in un'altra maniera. Tralascio la de- finizione del moto, e darò l'altra per via delle medie proporzionali. Definizione. Sia (fig. 1) una linea retta AC segata in B in qualunque ma- niera, e si alzi la perpendicolare BD media proporzionale tra AB, BC. Di più mes ila seghisi l’ angolo DBC per mezzo della BE, che sia media proporzionale tra (1) Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et AVILI floruerunt. t. I, (Pisis, MDCCLXXVIII), p. 845-372 (2) Di tal racconto l’esistenza ed un passo erano noti a tutti coloro che lessero l’opuscolo di Carlo Dati intitolato: Lettera a Filaleti di Timauro Antiate della vera storia delle cicloide, e della famosissima esperienza dell’ argento vivo. (Firenze 1662): v. specialmente p. 18 e 26. (8) Cfr. anche una lettera scritta dal Torricelli a Michelangiolo Ricci il 24 Agosto 1644 e pubblicata dal Ghinassi (1. c. p. 18). (4) Oeuvres de Fermat publiés par les soins de P. Tannery et C. Henry, +. I, (Paris, 1894), p. 203; t. II (Paris, 1894), p. 441 e t. III (Paris, 1896), p. 178. — 320 — DB, BC. E di nuovo seghisi l’ angolo DBC per mezzo della BF, la quale sia media tra DB, BE e così si faccia sempre segandosi per mezzo gli an- goli con linee medie proporzionali. Se si troveranno molti punti come A, D, F, E, C ecc. per i quali pas- serà una linea spirale chiamata geometrica, la quale fra l’ altre ha questa proprietà, che avanti di arrivare al suo centro B deve fare intorno ad esso infinite rivoluzioni, nulla di meno questa linea quantunque sia curva e com- posta d' infinite rivoluzioni, sì prova eguale ad una linea retta, come nel presente teorema dirò. TroRrEmA I. Se sarà (fig. 2) CO tangente della spirale geometrica, il cui centro sia B, e l'angolo CBO sia retto, sarà la tangente istessa CO eguale Fic. 2. a tutta la linea spirale, cominciando dal contatto C fino al centro B, non ostante ch’ ella sia composta d' infinite revoluzioni. TrorEMA II. Si dimostra anco qualunque arco, ovvero parte della spi- rale geometrica eguale ad una linea retta. TrorEMA III. Se sarà la spirale geometrica di cui sia centro B mas- simo raggio BC, e tangente CO sarà il triangolo BOC doppio dello spazio contenuto tra la retta BO e tutte l' infinite revoluzioni della spirale, ov- vero se sulla base BC faremo il triangolo isoscele BDC, questo sarà uguale allo spazio di tutte le infinite revoluzioni ec. idem enim est etc. ». La definizione ora riferita, se serve a costruire infiniti punti della « spi- rale geometrica », non li somministra tutti; ma a questa mancanza sopperisce « la definizione per via del moto » che leggesi nell’ /ndice dianzi citato sotto la seguente forma: » In Spiralibus vero quarum radii, temporibus aequalibus in geometrica ratione procedunt, ostendetur ipsam spiralium lineam, licet ex infinitis nu- mero ravolutionibus constet, antequam ad suum centrum perveniat, suae tan- genti aequalem esse. Spatium vero etsi infinitis numero revolutionibus com- ponatur, cuidam triangulo isosceli aequale demonstrabitur, cujus trianguli lateribus, ipsa etiam spiralis linea aequalis apparebit » (). (1) Lezioni accademiche d' Evangelista Torricelli. (Firenze, MDCCXV), p. XLI. O — Da questo passo scaturisce ad evidenza che /a spirale geometrica di Torricelli non è che l ordinaria spirale logaritmica, cioè la curva rap- presentata da un'equazione della forma seguente: (1) = 6 È il Torricelli l’ inventore di questa curva? Per rispondere a tale do- manda notiamo in primo luogo che non è possibile determinare esattamente l'epoca in cui il nostro connazionale concepì e studiò la curva di cui è parola, essendoci giunta senza data la lettera a Pietro Carcavy che ad essa sì riferisce ('). Ricordiamo in secondo luogo che come inventore della spi- rale logaritmica si suole (?) ordinariamente considerare Descartes, il quale ne tenne parola in una lettera scritta al P. Marsenie addì 12 settembre 1638 (3), considerandola come trajettoria obliqua di un fascio di raggi, e tal modo di considerare la curva sembra essersi conservato dal momento che, assai più tardi, Giacomo Bemoulli osservava che « ipsam etiam esset loxodromia, si terra plana foret » (‘). Quella lettera di Descartes fu stam- pa v : doppia rifrazione positiva. 5. Fenil (1) cloro (8) pirrodiazolo C*H° CI N3. Isomero col composto precedente da cui differenzia solo per la posizione del cloro nel nucleo triazolico. Con nessun solvente si ottennero cristalli atti a discrete misure gonio- metriche. Solo da una soluzione in etere acetico si ottennero delle lamine sottilissime, o più spesso dei fini e lunghi aghi incolori raramente terminati e sempre longitudinalmente striati. Sopra alcuni di questi furono istituite delle misure che hanno peraltro un valore molto re- lativo. Sistema trimetrico. Il rapporto parametrico è: ONORI IOPAZEISO n: ONORE Forme osservate: (010) (001) (011) (101) sempre in una sola combinazione (v. fig. 5*). — 341 — Gli angoli fondamentali approssimati sono i seguenti : angolo 101: 101 = 62° TIMO IONI — ‘quo I cristalli sono talora laminari secondo (010): più spesso allungati nella direzione dell'asse «. Non presentano distinta sfaldatura. Il piano degli assi ottici è parallelo a (100). Bisettrice acuta _I_ (010). Dispersione o > v. Doppia rifrazione positiva. Riassumendo, per quanto inesatte ed approssimate sieno le misure isti- tuite su questo composto causa la cattiva qualità dei cristalli, servono tut- tavia a dimostrare all'evidenza la differenza che intercede fra esso ed il suo isomero precedentemente descritto nelle proprietà cristallografiche, e ad avva- lorare così le conclusioni del chimico. 6. Fenil (1) metil (3) cloro (5) pirrodiazolo C°H*8 CI N*. Cristallizza facilmente da una soluzione in etere acetico : i cristalli sono piccoli incolori splendenti. Sistema trimetrico. O80%: CAMPANI TT A6ALA Forme osservate: (001) (010) (101) (011) (412) (414). Combinazioni osservate: 1°. (001) (010) (101) (011). 2°. (001) (010) (101) (011) (412) (414) solo in alcuni cristalli (v. fig. 6°). Misurati Differenze Angoli n Calcolati | medie | limiti | | esp. — cale. 001 : 101 15 44° 55/30” | 44°48/— 45° 1’ — = 011 : OIL 12 111 20 111 8-111 28 — = 101 : 011 1 66 30 = 66° 28” Da 001 : 412 4 64 47 64 43 — 64 49| 64 48 — 1 412 : 414 6 18 2 80 17.51 — 18 25| 18 4 — 130” 101 : 414 1 14 27 — 14 31 30” — 430 001 : 414 1 46 46 = 46 44 2 L'abito dei cristalli è variabilissimo : molte volte prismatici secondo (011) e (101): talora tabulari per maggior sviluppo del pinacoide (001). Subordi- natamente e solo in qualche cristallo le piccolissime facciette delle 2 pira- midi (412) e (414). Non fu osservata sfaldatura distinta. RenpICONTI. 1897, Vor. VI, 2° Sem. 44 — 342 — Il piano degli assi ottici è parallelo a (100): la bisettrice acuta nor- male a (010). Dispersione forte 0 > v. Doppia rifrazione positiva. 7. Fenil (1) bicloro (3.5) pirrodiazolo C8H° Cl? Nî.. I cristalli limpidi, trasparenti, bellissimi, si otten- gono facilmente da una soluzione in etere acetico. Sistema trimetrico. OEIDIACIMAST2IAE A 03238 Forme osservate: (100) (010) (110) (101) (414) (214). Combinazioni osservate: 1*. (100) (110) (101). 2°. (100) (010) (110) (101) (414) (214) (v. fig. 72). Misurati Differenze Angoli n Calcolati medie | limiti esp.— cale. TOSO | 10. EI 55 90 — 55017 = = 101 : 101 7 | 800 SIG ei s09 e su 110 : 101 208 557 65 54 — 66 0| 65958 — i 414 : 414 SE BIRTA8 SHAbl OR 76210 87027 =.0 414 : 100 2| 46 20 ‘46 18 — 46 22| 46 18 414: 101 Zago Malo = Mall md 8 518207 414 : 010 2 760 7598 = 95 el 75 7 4 214: 214 3 elise. (0 sen 2. SI 214: 2I4 | SRO de 36 7 — 414 : 214 DG 8 sessi ni 1-0 907 — 3 80 L'abito dei cristalli è variabile: da una soluzione si ottengono general- mente dapprima dei cristalli in cui i 2 prismi (110) (101) predominanti sono sviluppati soltanto da un lato, in modo da dare nell'assieme l'aspetto di una emipiramide, e in seguito dei piccoli cristalli tabulari secondo (100) con le forme (414) e (214) subordinate. Non si è constatata sfaldatura distinta. Il piano degli assì ottici è parallelo a (001): la bisettrice acuta _|_ (100). Dispersione 0 > v: doppia rifrazione positiva. È degna di nota la grande somiglianza nella forma cristallina e nel rapporto parametrico fra questo composto e il fenil (1) metil (3) cloro (5) pirrodiazolo precedentemente descritto. Nei cristalli di ambedue predomina la combinazione di due prismi i cui angoli differiscono rispettivamente fra di loro di circa 1° soltanto : 89° 51’ e 111° 20' per il fenilmetilcloropirrodiazolo e 89°0' e 110° 22' per il fenilbicloropirrodiazolo: dai quali angoli derivano i 2 rapporti parametrici : 1,4679:1:1,4641 1546321416143 7950)! (1) Si ha questo rapporto per il fenilbicloropirrodiazolo orientando il cristallo come nel fenilmetilcloropirrodiazolo, scambiando cioè gli assi 2 e 2. — 343 — In ambedue i composti entrano talora in combinazione coi prismi 2 pira- midi di ugual simbolo e con angoli molto vicini (si noti che il simbolo (214) della piramide del fenilbicloro pirrodiazolo diventa (412) orientando il cri- stallo come nel fenilmetilcloro pirrodiazolo). Nè può sorgere il dubbio che si tratti nei due casi dello stesso composto : 1° perchè la differenza negli angoli dei 2 cristalli, sebbene non rile- vante, non è tuttavia attribuibile a inesattezze di misura trattandosi di ma- teriale abbastanza buono e non oscillando di più di 20’ i limiti delle os- servazioni; 2° perchè l'orientazione ottica nei 2 cristalli è diversa: coincidono bensì ì piani degli assi ottici quando i cristalli sieno egualmente orientati, ma non coincidono con gli stessi assi le bisettrici acute; e inoltre, sebbene per la piccolezza dei cristalli e la mancanza di lamelle di sfaldatura adatte non sì sia potuto misurare l'angolo degli assi ottici, pure questo appare di gran lunga più ampio nel fenil bicloro pirrodiazolo che nel fenil metil cloro- pirrodiazolo ; 3° perchè a togliere ogni dubbio furono di nuovo nei cristalli dei 2 composti verificati i punti di fusione, che risultarono di 84° per il fenil metil cloro pirrodiazolo e di 96° per il fenilbicloro pirrodiazolo. Non resta dunque che a notare il fatto per lo meno strano che lo scambio di un cloro o di un metile a sostituire lo stesso atomo di idrogeno del nucleo triazolico non influisca ad alterare sensibilmente l’ assetto cristal- lino delle molecole di esso nucleo: fenomeno questo di cui, come di molti altri consimili, arduo è tentare la spiegazione con gli elementi che allo stato attuale della scienza noi possediamo. 8. Iodio etilato di fenil (1) metil(3) pirrodiazolo C°H°N?.C?H'I. T cristalli ottenuti da una soluzione in alcool e acqua sono piccoli, in- colori, trasparenti: all’aria secca diventano subito opachi di un color bianco porcellana, prestandosi ancora sufficientemente a misure goniometriche, ma non ad indagini ottiche. Sistema monoclino. dA T902371 109972 B= 68° 51 Forme osservate: (100 (001) (110) (011) (301). Combinazioni osservate : 12. (100) (001) (110) (011) (v. fig. 8). DE, (100) (001) (110) (011) (201) rarissima, Fis. 8. osservata in un solo piccolo cristallo. 1) — 344 — Misurati Differenze Angoli n Calcolati medie | limiti esp. — cale. 100 : 001 8 68°51/30” 68944" — 68°54 —_ — 100 : 110 8 60 35 30. |60 27 — 60 41 — — 001 : 011 9 45 43 30. |45 39 — 45 47 ts — 100 : 011 1 75 20 _ Li TA — 5 110 : 011 2 41 34 41 32 — 41 386 | 41 38 — 4 110 : 011 1 59 57 —_ 59 59 30” — 2 30” 001 : 201 1 61 49 —_ 61 36 13 100 : 201 1 49 20 - 49 32 30 — 12 30 Generalmente i cristalli presentano sviluppate le forme dei due prismi, come nella fig. 7; in qualche raro cristallo soltanto l'abito è tabulare se- condo (100) e in tal caso le faccie del prisma verticale sono ridottissime. Non fu osservata sfaldatura. Per la completa opacità dei cristalli non furono possibili indagini sulle proprietà ottiche. Chimica. — Preparazione del bicarbonato di carbonatotetra- mincobalto ('). Nota di A. MroLaTI, presentata dal Socio S. CAN- NIZZARO. I sali di carbonatotetramincobalto | 00 STo furono preparati e 3 studiati per la prima volta da Vortmann (?); più tardi il Jorgensen (*) li sottopose ad uno studio accurato, dando di ognuno l'esatta preparazione e descrivendone le proprietà principali. In questi sali il residuo dell’ acido car- bonico non si rivela con una soluzione neutra di cloruro di calcio; esso fa parte del radicale basico monovalente, che nella formola soprascritta fu messo tra parentesi. I sali di carbonatotetramincobalto appartengono alla cosidetta serie violea, a cui corrisponde una serie isomera la prasea, avente ambedue la formola generale di costituzione | 00 ed wi X, la quale esprime che uno 2 solo dei tre residui acidi, quello posto fuori della parentesi, è rivelato dai suoi reattivi caratteristici, mentre gli altri due fanno parte del residuo basico e non sono rivelati dai loro reattivi caratteristici, cioè si comportano come i gruppi cianogeno nei ferrocianuri. (1) Lavoro eseguito nel R. Ist. Chimico dell’ Università di Roma. (2) Berichte der deut. chem. Gesellsch. X, 1451; XV, 1895; XXII, 2649. (3) Zeit. f. anorg. Chemie II, 279. — 345 — Per la preparazione dei sali di carbonatotetramincobalto Jòrgensen tratta un sale cobaltoso con ammoniaca e carbonato ammonico, in debite propor- zioni, ossida la soluzione con una corrente d'aria, ed evapora poi il liquido rosso sanguigno risultante a piccolo volume aggiungendo frequentemente car- bonato ammonico per impedire la scomposizione del sale. Dalla soluzione concentrata per raffreddamento o per aggiunta di alcool, si separa il sale di carbonatotetramincobalto corrispondente al sale cobaltoso da cui si è partiti. Con questo metodo il Jorgensen preparò direttamente il solfato, il nitrato, il cloruro, il bromuro e il joduro. In occasione di alcune ricerche su composti ammoniacali del cobalto ebbi occasione di applicare questo metodo anche alla preparazione del fluoruro, finora sconosciuto, e ne ebbi buoni risultati, poichè ottenni facilmente il com- posto ricercato | 00 Sol Fl1+ 3H:0, che verrà descritto assieme ad altri 3 composti, in un'altra occasione. Volendo però preparare il solfocianato cor- rispondente, ottenni un sale benissimo cristallizzato che con mia sorpresa non conteneva residui di acido solfocianico e che poi si è rivelato essere il dicar- bonato di carbonatotetramincobalto. Per la preparazione precipitai una soluzione di solfato cobaltoso con la quantità calcolata di solfocianato di bario e trattai poi la soluzione di sol- focianato di cobalto così ottenuta, nello stesso modo come il Jorgensen con- siglia di operare per preparare il solfato. Ridotta a piccolo volume la soluzione che conteneva il sale tetraminico e, non cristallizzando nulla, aggiunsi ad essa alcole ordinario fino ad incipiente intorbidamento. Jorgensen precipita in questo modo il cloruro ed il nitrato. Il sale precipitato fu purificato sciogliendolo in poca acqua tepida e ripre- cipitandolo coll’ alcole. Si ottennero così bellissimi prismetti rosso-cupi, bril- lanti, i quali non contenevano il residuo dell’ acido solfocianico e che analizzati diedero risultati corrispondenti alla formola del bicarbonato di carbonato- tetramincobalto. Infatti: 1) 0,4247 gr. di sale diedero trattati a caldo con acido cloridrico diluito 0,1406 gr. di anidride carbonica corrispondenti a 0,19173 gr. di CO; ; 2) 0,3995 gr. di sale trattati nello stesso modo diedero 0,1323 gr. di CO; cor- rispondenti a 0,1804 gr. di CO; ; 3) 0,5274 gr. di sale trattati come sopra diedero 0,1742 gr. di CO; corrispondenti a 0,2375. gr. di C03; 4) 0,3706 gr. di sostanza evaporati con acido solforico concentrato, lasciarono un residuo di 0,2154 gr. di Co SO, contenente 0,08205 gr. di cobalto ; 5) 0,4563 gr. di sale trattati con idrato potassico a caldo, diedero 0,1172 gr. di NH; raccolti sull’ acido solforico decinormale. — 346 — Esprimendo i risultati analitici per cento, si ha: Calcolato Trovato per [| c0 ‘500. | CO.H + H,0 1) 9) 3) 4) 5) CO; — 45/07 45,12 45,16 45,04. — DI Co = 22,19 Lo Sa RARO Nb NH; = 25,62 = — —_ — 25,49 Vortmann ha preparato per la prima volta questo composto, saturando una soluzione concentrata del carbonato neutro (che si ottiene indirettamente dal joduro e carbonato d'argento di fresco precipitato), con anidride carbo- nica e precipitando poi con alcole. Le proprietà del composto da me ottenuto combinano con quelle date dal Vortmann, solamente non posso confermare quanto questo autore dice riguardo al comportamento del composto ad ele- vata temperatura. Il Vortmann afferma che il sale perde nella stufa una molecola d’acqua; io ho invece trovato che il sale nella stufa ad acqua bol- lente (98°) si scompone lentamente e perde molto di più che la percentuale cor- rispondente ad una molecola d’acqua. La formazione del bicarbonato di carbonatotetramincobalto in luogo del corrispondente solfocianato è a tutta prima alquanto strana. Io credevo in principio che per l'azione prolungata dell’ ammoniaca, prima a freddo nel trattamento ossidativo, poi a caldo nell’ evaporazione con carbonato ammonico, il gruppo solfocianico fosse andato distrutto ('); ma la ricerca delle acque madri dimostrò che queste contenevano rilevantissime quantità di acido solfocianico. Il residuo solfocianico non era andato dunque distrutto, ma era rimasto in soluzione. La causa della precipitazione del bicarbonato in luogo del solfocia- nato deve ricercarsi quindi nei rapporti di solubilità, nel medio acquoso-alcoolico, dei corpi contenuti in soluzione. I solfocianati sono in generale molto solubili non solo nell'acqua, ma anche nell’ alcool, così p. es. il solfociato di potassio, d'ammonio, di bario. È possibile perciò che la stessa cosa valga anche per il solfocianato di carbonatotetramincobalto. Ora nella soluzione acquosa, che venne precipitata coll’ alcool, devesi ammettere la presenza dei joni | 00 oi , NH,, SCN, CO;, eventual- 8) mente anche CO;H, oltre a molecole non dissociate ed a molecole d' ammo- niaca. L'aggiunta dell'alcool deve diminuire la dissociazione elettrolitica e determinare la formazione di quelle molecole non dissociate che nel medio ac- quoso-alcoolico sono meno solubili. Nel nostro caso le molecole meno solubili (1) Cfr. Zeitsch. f. anorg. Chem. XV, 200. — 347 — erano quelle del bicarbonato, mentre nei casi in cui il Jorgensen ha operato similmente, erano quelle del nitrato e del cloruro. Approfittai dell’ occasione di avere il bicarbonato allo stato puro, e volli studiare il comportamento elettrolitico di esso. Le determinazioni di condu- cibilità elettrica furono fatte col metodo ordinario alla temperatura di 25°. I numeri ottenuti sono i seguenti: v ti Ho 32 59,45 84,45 64 62,83 83,83 128 65,09 81,08 256 68,31 80,31 572 72,92 80,92 1024 79,18 85,18 Ar024-12 = 19,73 nu, = 82,6 Il comportamento elettrolitico di questo sale è interessante. Esso non pare sia scomposto idroliticamente come risulta dai valori di u, che si calcolano dai valori di w,. La differenza tra le conducibilità a v = 1024 e v= 32 è di 19,73, cioè essa accennerebbe che nella soluzione acquosa esisterebbe il sale di un acido bibasico con una base monovalente ; fondan- dosi appunto su tale risultato, furono calcolati i valori di us . Per accordare il comportamento elettrolitico coi risultati analitici, biso- gnerebbe ammettere che in soluzione esistesse il pirocarbonato di carbonato- tetramincobalto (NE AME, L (NH;) | 00 dor ]— co. —0 — co.| 000° ; Un confronto col comportamento dei bicarbonati alcalini non è possibile di farlo, perchè la loro conducibilità elettrica non è stata determinata. La preparazione del bicarbonato di carbonatotetramincobalto da me de- scritta può riuscire in qualche caso di una certa utilità, quando si tratti, p. es., di preparare sali della serie tetraminica, potendosi poi con un acido qua- lunque acido eliminare facilmente l'anidride carbonica. Chimica. — Sopra : comportamento elettrolitico di alcum fluosali e fluossisali complessi. Nota di A. MioLatI e U. ALvISI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 343 — Chimica. — Azzone della potassa sull’ epicloridrina în pre- senza degli alcooli. Nota del dott. V. Zunino, presentata dal Socio PATERNÒ. Il metodo generalmente adoperato per la preparazione degli eteri della glicerina, è quello col quale Reboul preparò il bietilico ed il biisoamilico e Kischner il biallilico e che consiste nel fare agire i diversi alcoolati sodici sulla dicloridrina. Con questo metodo però il rendimento è scarso e sì ottengono prodotti secondarî. M. Mencheutkine (Deuts. Ch. Ges. XII, 1882) nel suo studio sull’ eteri- ficazione degli alcooli ha dimostrato che il rendimento diminuisce sempre a misura che s' adoperano alcooli primarî, secondarî o terziarî. Guidato da queste esperienze mi sono proposto di preparare gli eteri della glicerina per azione della potassa alcoolica sull’ epicloridrina, ed infatti li ho ottenuti con il rendimento proporzionale all'alcool impiegato giusto l’esperienze di Mencheutkine. Htere bietilico. Si ottiene versando a freddo in proporzioni equimolecolari, 1’ epiclori- drina in una soluzione al 10 °/, di KOH in alcool etilico; il liquido si ri- scalda fortemente si colora in giallo e si separa in KCL. Eliminato I eccesso di alcool, si ottiene per distillazione frazionata l’ etere bietilico. Esso è un liquido incoloro mobile insolubile nell'acqua che bolle fra 190°-191. Densità 0,920 a 21°. All’analisi diede i seguenti risultati: gr. 0,3251 di sostanza fornirono gr. 0,6794 di CO, e gr. 0,0315 di H. 0: cioè per cento. trovato calcolato per C7H,s Og C 06,47 06,75 H 10,76 10,81 La determinazione del peso molecolare col metodo di Raoult, operando in soluzione benzolica, mi diede i seguenti risultati : abbassam. coefficiente abbassam. Concentraz. termometr. d’abbassam. molecol. PM 1,0558 0,330 0,312 46,17 158 1,9969 0,600 0,300 44,40 147 4,9372 1,215 0,280 41,44 137 Questi risultati confermano la formola essendo il PM calcolato 148. — 349 — Etere bimetilico. Questo composto fu ottenuto nelle stesse condizioni del precedente, ado- perando alcool metilico invece dell’ etilico. Bolle a 169°. La sua densità è e di 0,915 a 21°. All’analisi: gr. 0,3004 di sostanza fornirono gr. 0,5500 di CO, e 0,0269 di H,0; cioè per cento : trovato calcolato per C;H,20; C 49,93 00,00 H 9,93 10,00 La determinazione del peso molecolare in soluzione benzolica diede i seguenti risultati : abbassam. coefficiente abbassam. PM termometr. d’abbassam. — molecol. 1,1242 0,425 0,378 45,36 185 2,0413 0,715 0,350 42,00 171 4,0347 1,310 0,324 38,98 159 7,9689 2,175 0,287 54,44 140 12,8908 2,295 0,255 30,60 125 19,6078 4,570 0,238 29,96 114 Concentraz. Anche questi dati ne confermano la formola essendo il PM calcolato dell'etere bimetilico di 120. Etere lipropilico. Si ottiene nelle identiche condizioni dei precedenti, adoperando però alcool propilico; bolle a 215°-217°. Il rendimento fu del 60 °/, circa. All’ analisi diede : gr. 0,3822 di sostanza fornirono gr. 0,8642 di CO, e gr. 03849 di H, O cioè per cento. i trovato calcolato per Cs Ha0 03 C 61,61 61,81 H MISTO 11,30 Etere diallilico. Questo prodotto si ottenne adoperando alcole allilico nelle medesime con- dizioni dei precedenti. Esso bolle a 225°-227°, è incolore, insolubile nell’ acqua e corrisponde perfettamente a quello preparato da Richner. RenpIcONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 45 — 350 — All'analisi gr. 0,2407 di sostanza diedero gr. 0,5499 di CO, e gr. 0,2004 di H,0 cioè per cento. trovato calcolato per Cs Hg 03 C 62,41 62,79 H 9,22 9,30 La sua densità alla temperatura di 21° è di 0,991. Etere biisoamilico. Anche questo fu preparato come gli altri sopra descritti, adoperando però alcool isoamilico. Bolle a 269°-270 ed è identico a quello preparato da Reboul. L’ analisi diede : gr. 0,2762 di sostanza fornirono gr. 0,6914 di CO, e gr. 0,2552 di H:0 cioè per cento. trovato calcolato per C13 H24 0: C 68,30 68,42 H 10,27 10,52 La sua densità a 21° è di 0,912. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono segna- lando quelle inviate dai Soci: ScHIAPARELLI, CoccHI, PINCHERLE; e dai signori: BasHrort e BLasIus. Presenta inoltre due volumi pubblicati dalle Università di Upsala e di Lund, in occasione del 25° anniversario dell’ as- sunzione al trono del Re Oscar II. CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La Società di scienze naturali di Emden; il Museo di zoologia com- parata di Cambridge Mass.; il Museo nazionale di Buenos Aires; l’ Univer- sità di Albany; il R. Osservatorio di Edinburgh. Annunciano l’ invio delle proprie pubblicazioni: La Società di scienze naturali di Braunschweig; la Scuola politecnica di Berna; le Università di Freiburg, di Marburg e di Tokyo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 dicembre 1897. Barone G. — Les Biélides de 1895. Paris, 1897. 8°. Bashforth F. — A mathematical treatise on the motion of projectiles foundet chiefly on the results of experiments made with the Author's Chronograph. London, 1873. 8°. Id. — Tables of remaining velocity, time of flight and energy of various projectiles. London, 1871. 8°. Berg C. — Memoria del Museo Nacional de Buenos Aires 1894-96. Bue- nos Aires, 1897. 89, Boccardo E. C. e Baggi V. — Trattato elementare completo di Geometria pratica, f.° 52. Torino, 1897. 8°. Boegen E. — La Grotta di Corniale. Trieste, 1897. 8°. Bonetti F. — Mammiferi fossili dell’ Antico Lago del Mércure (Calabria). Microflora fossile. Catania, 1897. 4°. Braunschweig im Jahre Mpcccxcvu. Festschrift den Theilnehmern an der LxIx Versammlung Deutscher Naturforscher und Aertze gewidmet von der Stadt Brunnschweig. Brunnschweig, 1897. 8°. Brizzo G. B. — La durata dello splendore del Sole sull’ orizzonte di Torino. Torino, 1896. 8°. Burattini T. L. — Misura universale. W. Krakowie, 1897. 4°. Burman E. O. — Bidrag till en Lefnadsteckning òfver Carl von Linné. V. VI. Upsala 1897, 8°. Cocchi I. — Sulla necessità di analisi rigorose delle acque minerali e ter- mali. Firenze, 1897. 8°. D'Achiardi G. — Anomalie ottiche dell’ Analcima di Montecatini in val di Cecina. Pisa, 1897. 8°. ; Id. — Museo di mineralogia della R. Università di Cagliari. Roma, 1896. 8. Id. — Museo mineralogico d'Iglesias. Roma, 1896. 8°. D’ Alfonso N. R. — Sensazioni vibratorie. Roma, 1897. 8°. De Toni J. B.— Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. IV Flo- rideae. Patavii, 1897. 8°. Dutto U. — Alcune ricerche calorimetriche su una marmotta. Recensione. Leipzig, 1897. 8°. Fritsche H. — Observations magnétiques sur 509 lieux faites en Asie et en Europe pendant la période de 1867-1894. S'. Pétersbourg, 1897. 8°. Gaudry A. — La dentition des ancétres des tapirs. Paris, 1897. 8°. Id. — Le Congrès géologique international de S°. Pétershbourg. Paris 1897. 4°. — 352 — Geijer R. — Upsala Universitet 1872-1897. Festskrift med anledning af Konung Oscar IIS. tjugofemàrs regerings Jubileum den 18 sept. 1897. Upsala, 1897. 4°. Lombardini L. — Sulla placenta. Pisa, 1897. 4°. Lussana S. — A proposito della Nota del dott. Q. Campetti: « Della in- fluenza della temperatura sulla velocità degli joni ». Firenze, 1897, 8°. Id. — Sul calore specifico dei gas. Pisa, 1897. 8°. Lussana S. e Cinelli M. — L'attrito interno e l'attrito elettrolitico. Siena, LS9/7AS0I Montanelli A. — La distruzione delle formiche. — La malattia delle violac- ciocche. Cortona, 1897, 8°. Pincherle S. — Appunti di calcolo funzionale distributivo. Milano, 1897. 9°. Id. — Mémoire sur le calcul fonctionnel distributif. Leipzig, 1897. 8°. Porro F. — Osservazioni di stelle variabili eseguite a Torino e a Superga. Torino, 1896. 4°. Schiaparelli G, V. — Rubra Canicula. Nuove considerazioni circa la mu- tazione di colore che si dice avvenuta in Sirio. Rovereto, 1897. 8°. Schottelius M. — Denkschrift zur Einweihung des Hygienischen Instituts der Univ. Freiburg i B. am 9 Januar 1897. Freiburg 1897. 4°. Talko-Hryncewicz J. de. — Le climat de Toitzkossavsk-Kiakhta en rapport à l'hygiène. Irkutsk, 1897. 8°. Tégner E. — Lunds Universitét 1872-1897. Festskrift med anledning af Hans Majestàt Konung Oscar IIS regerings jubileum 1872-1897. Lund, 1897. 4°. P. B. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 dicembre 1897. A. MessEpAGLIA Vicepresidente. Il Vicepresidente MesseDAGLIA, levatosi in piedi, legge la seguente commemorazione del compianto Presidente dell’Accademia, Francesco Brioschi, mancato ai vivi il 13 del corrente mese. Egregi Colleghi! Oggi è sotto un velo di lutto profondo, lutto nostro, della scienza, del paese, che s'apre questa nostra adunanza, che io dovrò pregarvi fra qualche momento di sciogliere, in ossequio agli angosciosi sentimenti da cui andiamo tutti compresi. Vogliate solo consentire a me qualche breve parola di cordiale rimpianto e ricordo alla memoria dell’ Uomo illustre che abbiamo così inopinatamente perduto, il Presidente dell’Accademia nostra, Prof. Sen. Brioschi, mancato il giorno 13 or ora trascorso, sullo scorcio de’ suoi 73 anni, essendo egli nato il 22 decembre 1824. Era entrato a far parte dell'Accademia sino dal 7 gennaio 1872, giusta l'originaria costituzione di essa, ampliata bentosto per iniziativa e merito di Quintino Sella, il quale con alto concetto, raccogliendo in intimo consorzio ed unità pressochè tutti i rami dello scibile, e dando vita a questa Classe delle scienze morali, storiche e filologiche, accanto all’ altra consorella delle scienze fisiche, matematiche e naturali, ne preordinava il comune ufficio in modo cor- rispondente alle sorti rinnovellate, e qui in Roma compiute, della nazione. E allorchè in un momento non men doloroso del presente, si è pur dovuto pensare al più degno fra noi che potesse raccogliere la preziosa eredità del Sella, e porgere sicuro affidamento di procedere con costante alacrità sulle orme da lui divisate, gli è sul nome già tanto illustre del Brioschi che venne — 354 — tosto a concordarsi, e poi in ogni successiva ricorrenza a ripetersi, con sempre maggior favore, il comune suffragio. Eletto presidente dell’Accademia nel 1884, veniva poi confermato in tale ufficio pei tre quadrienni seguenti, nel 1888, 1892, 1896. Era quale un faro luminoso, che succedeva a quello eccelso del Sella, e che anche al cospetto dei più reputati istituti congeneri d'altri paesi (a molti dei quali il Brioschi già andava o stava per andare egli medesimo ascritto), diveniva per noi nuova impromessa ed auspicio di viemaggior lustro, decoro ed autorità. E noi tutti conosciamo quanto debba l'Accademia nostra alla sua intel- ligente e sagace iniziativa, nonchè alla saggia e solerte di lui gestione, altresì in circostanze talvolta difficili della nostra non mai troppo larga, e a quando travagliata economia. Uomo di scienza nel più eminente significato della parola, matematico insigne, a niuno secondo, e che molti fra i più celebrati nostri si onorano di ricordare a proprio maestio, allo spirito originale e profondo della più astratta speculazione teoretica il Brioschi accoppiava, con mirabile chiaro- veggenza, il senso corretto e preciso della realtà positiva; Professore insuperato, per evidenza, castigatezza, opportunità e misura di concetto, di eloquio, di metodo; Ordinatore e direttore di istituti d'insegnamento superiore, quali il Politecnico di Milano, che ben potea dirsi in lui stesso personificato, con altre scuole a quello consociate, e che ne pigliano qualità e ne. risentono l'indirizzo, egli vi educava un’ intera generazione di alunni, nei quali la elevata e forte cultura scientifica e professionale ridonda altresì a fattore massimo di nazionale prosperità, e che egli poi non cessava di curare e coadiuvare, con as- sidua sollecitudine, nella loro propria carriera; Tempra (direi così) adamantina d’ingegno, per chiarezza, potenza di penetrazione e saldezza; Carattere, temperamento morale altrettanto saldo, consistente ed ener- gico, rigido puranco nella sua rettitudine, e tuttavia disposto, per ingenita bontà d'animo, ad equa indulgenza. Ond'è pure che alla sua scuola, per entro all'ambiente da lui creato, com'ebbe non ha guari ad attestare uno dei più eletti fra i suoi discepoli, non si attingeva soltanto la scienza, ma anche il carattere e la dignità personale. E come nella sfera della scienza e nell'àmbito della scuola, così nel più vasto campo della pubblica vita, venivano in pari tempo ad esplicarsi e ridursi ad atto il sapere e l'indefessa attività del Brioschi, uomo ad una volta, per eccellenza, di dottrina e d'azione; e con una intensità e perduranza di lavoro, da riuscire per poco meravigliosa: — sorretto pure qual egli era da una complessione fisica, che nella sua apparente esilità, in quella asciutta e slanciata di lui persona, racchiudeva però una vigoria mirabile di resistenza, qual di una fibra (se mi passate l’immagine) di acciaio schietto; e con essa — 359 — un'elasticità, e a quando una gaiezza di spirito, specie fra gl'intimi, o in amichevoli convegni, che le più serie preoccupazioni non riuscivano del tutto ad attutire, e faceva in lui un simpatico singolare contrasto coll’ austerità dell'aspetto e l’abituale ritegno delle maniere. Così non avesse egli troppo fidato da ultimo, con generosa imprevidenza, in quella sì tenace sua tempra, che oggi con tanto rammarico noi depioriamo così di subito infranta! Ingente la mole del contributo dal Brioschi apportato, per funzioni e missioni diverse, e spesso le più importanti e gelose, con non mai stanca 0 deficiente operosità, oltrechè nel Senato del Regno, a cui apparteneva fino dal 1865, e dov'egli godeva di concorde ben dovuta considerazione ed autorità, in pressochè tutti i compartimenti dei pubblici servigi; in istituzioni od imprese di generale interesse; e segnatamente qui in Roma, quale Consigliere di Luogotenenza per l’ Istruzione dopo il 20 settembre 18370; Ingente purtroppo, alla medesima stregua, la lacuna che oggi lascia la dolorosa sua perdita, e che sì durerà assai fatica a competentemente riempiere. La scienza, in cotanta ressa e molteplicità d'incombenze, che lo tenevano in continuo movimento e incessante dispendio di sè, e a cui non pertanto il Brioschi, altresì per senso di vivo ed operoso patriottismo in lui radicato ed educato sino dalla prima giovinezza, faceasi coscienza di non mai ricusare, imparzialmente, il proprio concorso: — la scienza, dico, è però sempre rimasta il suo alto intatto ideale, lo spirito informatore dello stesso suo spirito, e insieme il rifugio inconcusso, e il conforto salutare nelle più penose vicissitudini della sua Vita. E Voi, Egregi Colleghi, in questo momento di sopraffazione dell'animo, vogliate pur compatire alla insufficienza di questi miei cenni, dettatimi oltrechè da ammirazione profonda, dall’affetto di antica amicizia, fattasi col lungo decorso degli anni ognor più salda ed intima; e spetterà poi ad altri, in più solenne plenaria adunanza, di tratteggiarci degnamente, con competenza pari all'alto subbietto, quell'eminente personalità: — doveroso, riconoscente tributo da parte dell’Accademia alla venerata memoria del compianto e indimen- ticabile suo Presidente. Il Vicepresidente MesseDAGLIA annuncia poscia che ai funerali del Presidente BRIOSCHI a Milano assistette una rappresentanza dell’Accademia formata dai Segretari Monaci e Tommasi-CRUDELI, alla quale furono invitati ad unirsi gli Accademici residenti in Milano. Lo stesso Vicepresidente invita il Segretario MonacI a dar comunica- zioni delle lettere e dei telegrammi di condoglianze pervenuti all’ Accademia da Soci e da Istituti scientifici. Dopo questa comunicazione l’Accademia, in segno di lutto, levò la seduta. st DEA Si DI I dai da fi pot i 1 STO UR Het ere î a) LAP” RR pra MIELE 19 i î Y Ì Ma DIS È I ' ; Ì i i i ATE MERITI ALIA P mar ' { 3 Lia: | Li n dj 9 È Ir fi LI il Ì L! Up ti 4 Î {Li Paid a Le RS s\ ETRE SUO RS x pon 5 fit; Fo" i i n LA Mii È fi È i VIA TT: Î È" DÒ hi; î Yu Î i i 11 PI ) Aa I) do f NL; — 397 — MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia per la seduta del 19 dicembre 1897. Matematica. — Sugl spazi a curvatura costante. Nota del dott. REMIGIO BANAL, presentata dal Socio BELTRAMI. $ 1. Col nome di spazzi 4 curvatura costante si sogliono indicare le due varietà a tre dimensioni, d’elemento lineare: 1, 2 di 2 2) (1) de=— mill i } (a= cost.) etto) 2 (2) d= il (de? + dy° + de?) (a= cost.) a curvatura costante positiva la prima (spazio di Riemann), a curvatura co- stante negativa la seconda (spazio di Lobatschewsky). Ma questo nome ap- partiene altresì ad un'altra varietà, fin qui, ch'io mi sappia, non studiata, definita dall'aver due curvature eguali e costanti e la terza nulla; ad essa fu, per la prima volta dal mio maestro prof. Gregorio Ricci (!), assegnata per l'elemento lineare la forma 8) de GOL i ee gd (cos) e da me l'altra: (4) de? da? + dy? + de? — (a+ y° +22) (') Ricci, Di un punto della teoria delle forme differenziali quadratiche ternarie; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. V. In questa Memoria l’autore si propone di determinare le condizioni affinchè in una varietà a tre dimensioni esistano uno o più sistemi tripli ortogonali di superficie a due dimensioni intersecantisi secondo linee di curvatura della varietà stessa. Fra le varietà nelle quali esistono infiniti di tali sistemi, trovasi appunto quella d’elemento lineare (3). — In una mia Memoria, comparsa nell’ an- nata 1896 degli Annali di Matematica pura e applicata, nella quale mi proposi di deter- minare tutte le varietà con due curvature eguali e la terza nulla, ritrovo la (3) e ne do qualche cenno. — 358 — Io mi propongo qui di constatare la sostanziale diversità geometrica fra questo, che io chiamo spazio di Ricci (!), e gli spazî di Riemann e di Lo- batschewsky. Il punto saliente di tale diversità sta, a mio avviso, in ciò che mentre questi ultimi non sono deformabili, cioè sono solo suscettibili di moti rigidi nello spazio piano a quattro dimensioni che li contiene, avviene il contrario del primo, il quale ammette tante configurazioni, quante ne ammette nello spazio euclideo la sfera a due dimensioni; essendovi anzi corrispondenza uni- voca e reciproca fra ciascuna configurazione dell'uno e ciascuna dell'altra. Di ciò mi occupo nei primi sette paragrafi. Nell’ ottavo stabilisco una esten- sione di queste proprietà ad un’altra classe di superficie ch'io ebbi occasione di studiare nella Memoria citata. Meriterebbe di mettere in rilievo l'interesse che possono avere queste considerazioni sul problema, tanto importante e tanto poco studiato, della deformazione della sfera; ma ciò, che oltrepasserebbe i limiti e lo scopo di questo, spero poter fare in altro lavoro. I La deformabilità degli spazî di Riemann e di Lobatschewsky. $ 2. Aftinchè una forma differenziale quadratica 3 = N04 VAR AN 1 a discriminante |a| positivo, possa rappresentare l' elemento lineare ‘di una varietà a tre dimensioni immersa nello spazio piano a quattro dimensioni, si richiede e basta che esista una seconda forma 3 y=D_ blade, 1 1 cuì coefficienti soddisfino alle equazioni algebriche (A) |a] NSDAIOE by49 s+a — Dr4+15+2 Orta sti (2). (1) Il Ricci dà a questa varietà il nome di cilindro retto a tre dimensioni. Certa- mente vi sono molte analogie tra essa e le superficie cilindriche a due dimensioni dello spazio euclideo; ma v'è una diversità sostanziale: la varietà (8) non è sviluppabile sullo spazio piano. Tale denominazione quindi converrebbe forse meglio ad una varietà con due curvature nulle e la terza costante. Cfr. anche Killing, Die mnichi-euklidischen Raumformen, $ 12. — Comungne ciò che importa è questo: la varietà (3) non è appli- cabile su alcuna delle varietà note. Ciò è sufficiente a stabilire l’interesse di queste ricerche. (2) In questa formola e nelle successive considereremo come identici due indici che differiscano per un multiplo di 3. e alle equazioni differenziali (B) Byosi = bris dove è posto das S+1_,9+2 days S+2,r7+2 E al\-at9 = iti — —_—PT luili ( ) | | i CIRO OHIZI © Sp (AR) + Li ap OS (dr-+15+2;h As+1r+2,}; 4Ar+15+1,1 dr-+2.5+2,k) die de da 6 Upg E 7 O) TA Oi U” dae, © de; Abs (PO) dai "a DE ati (4rt,p dsa sla Ust,p dg) (7) Dyst = Le a“° sono note col nome di simboli di Riemann, le 4,s, col nome di simboli di Christoffel relativi alla forma @, e le bd, sono le derivate covarianti (') rispetto a 4 degli elementi del sistema d,;. Le (A)e(B) chia- mansi equazioni fondamentali della varietà g, e costituiscono la genera- lizzazione delle note equazioni di Gauss e di Mainardi-Codazzi. Come per una superficie a due dimensioni, la geometria di una varietà a tre dimensioni è già perfettamente definita dall'espressione g del suo ele- «mento lineare. Tutte le proprietà di essa che non si alterano col deformarla, dipendono soltanto dai coefficienti di g, e reciprocamente; la forma w in- terviene soltanto a determinare ciascuna delle configurazioni di cui la varietà è suscettibile. Ora è da notare come le equazioni (A) definiscano i coeffi- cienti di w in funzione delle a‘°, e quindi dei coefficienti di g, in tutti i casi nei quali il determinante |2| è diverso da zero. Quindi: Una varietà a tre dimensioni, per cui il discriminante della seconda forma fondamen- tale sia diverso da zero, non ammette che un'unica configurazione. Un interpretazione geometrica semplice e importante dell'annullarsi del determinante |2| si ottiene considerando l’ equazione di + WA) bai + WA, Dar + WA31 Di + 0412 Doo + 0Wd39 D3o + Was, | = 0 bia + 0413 baz + 0423: b3a3 + 0433 le cui radici ©,,©s,w3z rappresentano le tre curvature principali della va- rietà considerata. Sviluppandone il primo membro, la si ottiene sotto la forma: A o 9 2 (19 (9) 08 + w DA ATI Drs + Dial ODIO (1) V. Ricci, Résumé de quelques travaua sur les systèmes ecc. Bulletin de Sciences math., giugno 1892. 000 dalla quale si riconosce che i tre invarianti Jbl Nat bri Dre lr AID a] —__TS ie presi il primo ed il terzo con segno — e il secondo con segno +, rap- presentano rispettivamente le quantità 0, + 09 + 03 (curvatura media) 0,0, + 0,03 + 030, (curvatura di Gauss) 0) Dy 03 (curvatura totale) della varietà considerata. Perciò, se si tien anche conto che l’espressione della curvatura di Gauss dipende soltanto dai coefficienti dell'elemento li- neare, potrà dirsi che: Affinchè una varietà a tre dimensioni sia deformabile, deve avere eguale a sero la curvatura totale. Verificata tale condizione, ogni sua deformata sarà pure a curvatura totale nulla, e conserverà in ogni punto per la curvatura di (rauss i valori che questa assume nei punti della varietà data. Ma è noto che la condizione citata non è sufficiente. Della ricerca delle ulteriori condizioni che, nel caso generale, devono ancora essere soddisfatte, sì occupa altro mio lavoro. Qui ci limiteremo ad esporre alcune considera- zioni sulle varietà a curvatura costante nominate sopra. $ 3. Premettiamo alcune formole che semplificheranno assai i calcoli successivi. Si consideri l’ elemento lineare ds? — H°(da* + dy° + dz?) nel quale H indica una funzione di x), x», 3 finita e diversa da zero as- sieme alle sue derivate prime e seconde. Proponiamoci di esprimere i sim- boli di Christoffel e di Riemann relativi a tale elemento per mezzo di queste derivate, nel modo più semplice. Eseguendo nei secondi membri delle (6) ! le sostituzioni Gael >. ug=0 (9), otteniamo immediatamente per i simboli di Christoffel le espressioni seguenti : dB SLI deo Aps,t = 0 6 Ars = — Ary,s E H con 7,8, distinti. Partendoci dalle (5), osservando che — 361 — e giovandoci delle precedenti, giungiamo con facili calcoli alle seguenti espressioni per i simboli di Riemann: 2 2 ; 2 2 2 Ar ge RT (3 +( Li i CE dazio day darsi dagrss dH dH dH H 6 (RO) H sE e e — na <= da dx, da, das Gel e si riconosce facilmente che esse possono mettersi sotto la forma: i ia LA e Su dI das at -d&Xr D SE ue I, che è la richiesta. Cio premesso, calcoliamo per mezzo delle formole ora trovate i simboli di Riemann per gli elementi lineari (1), (2) e (4). Nei tre casì devesi fare in esse rispettivamente Il 555 VOR ERE Hel at-egt ba? 1° PO lo spazio di Riemann; H-?° — per lo spazio di Lobatschewsky; SO) H- = c(a° 4+y° + 2)? per lo spazio di Ricci. Eseguendo i calcoli troviamo: N Le 1 = SALINE CN DO nta ia io o GIO per lo spazio di Riemann 2 3 IE 2A GUISA om == SEGRE) per lo spazio di Lobatschewsky AAA am = 04 at ; a9 = e*xrds per lo spazio di Ricci dalle quali discende che il valore del determinante |a| è rispettivamente 5 TEANO Ntce A a(e+# +5): mi per le tre varietà considerate. Se si considera ora che, come si deduce dalle (A), e da teoremi sui determinanti reciproci, l' annullarsi del determinante |a| trae con sè quello del determinante |d| e inversamente, e se si ricorda un teorema del prece- dente paragrafo, potrà asserirsi che: Lo spazio di Riemann e quello di Lobatschewsky non sono de- formabili. RenDICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 47 — 362 — Essi non possono assumere dunque, senza uscire dallo spazio piano a quattro dimensioni che li contiene, che movimenti rigidi; e tali sono ad es. quei movimenti dello spazio di Riemann, già studiati da parecchi geometri ('), che sono noti col nome di scorrimenti, caratteristica dei quali è che tutti i punti, eseguito il movimento, hanno la medesima distanza dalle loro ri- spettive posizioni iniziali. Per concludere sulla deformabilità dello spazio di Ricci, occorrono però ulteriori considerazioni, che formeranno oggetto dei paragrafi seguenti. Notiamo ancora come dalle (A) si possano dedurre, per |d| diverso da zero, le formole : a |e|=|b|? |bl GEA = |af} (ele al+25+2) — qg(7+15+2) g(7+25+1) ) per mezzo delle quali si possono calcolare, per gli spazî di Riemann e di Lobatschewsky, le d,s e conseguentemente le espressioni delle loro curvature totale e media, che risultano entrambe costanti e diverse da zero. La curvatura di Gauss & invece, tanto per gli spazî di Riemann e di Lobatschewsky, come per quello di Ricci, si può avere calcolando l’ inva- riante DI U;s &9 per mezzo delle espressioni delle a‘ testè ottenute. Così ad es. si trova subito che Lo spazio di Ricci è a curvatura di Gauss costante e positiva = c?. Matematica. — Sur les nombres transfinis de Mr. Veronese. Nota di A. ScHOENFLIES, presentata a nome del Socio CREMONA. 1. Des études approfondies des nombres transfinis de Mr. Veronese m'avaient conduit au résultat que ces quantités ne permettent pas à tout égard la multiplication, ainsi qu'il n'existe pas pour eux la géometrie projective (*). Mr. Veronese, dans une Note qui vient de paraître (5), prétend que mon avis soit erroné; il dit que les quantités alléguées par moi ne font pas partie du système de ses nombres, et que, par cette raison, mes raisonne- ments ne touchent pas sa théorie. Cependant, il n’en a pas donné aucune démonstration (4). Voici les remarques qu'il me faut y opposer. D'abord je pourrai citer Mr. Veronese contre lui-méme; dans une Note des Fondamenti on trouve les mots suivants (°): (1) V. p. es. Bianchi, Sulle superficie a curvatura nulla in geometria ellittica. An- nali di Matematica pura e applicata, 1896. (2) Jahresber. d. deutsch. Math. Vereinig. V, pag. 75. (3) Questi Rendiconti (5), VI, pag. 161. (4) Voir aussi $ 4 de cette Note. (3) Fondamenti di geometria, pag. XXVI della prefazione. A — 363 — «I nostri numeri infiniti e infinitesimi sono in fondo numeri complessi « speciali con infinite unità, tali però che il prodotto di due di esse non si « esprime linearmente mediante le altre, e perciò per questi numeri vale il « teorema che se il prodotto di due di essi è nullo, deve esser tale anche uno dei fattori, come vale pei numeri complessi ordinarî e pei quaternioni di Hamilton ». Mais je préfère donner, moi-méme, une démonstration directe de /° 77- possibilità de la multiplication. Mr. Veronese a maintenu que les nombres cités dans mon article (1) n'appartiennent pas à son système. Cette assertion quand'est-elle fondée? Elle le serait seulement, si Mr. Veronese pouvait démontrer qu'on n’arrive jamais aux quantités de mon article, quelques fois qu'on soumette les nombres définis par lui aux opérations élémentaires de l'addition et de la multi plication. Mais il n'est pas possible de donner une telle démonstration; au contraire il est bien facile de voir qu'on n’a besoin que des combinaisons très simples pour parvenir a mes quantités, en opérant avec les quantités contenues dans les Fondamenti. Voilà que je n'ai pas cru nécessaire d’en donner l’ explication autrefois. 2. Pour bien faire comprendre mes raisonnements, je veux citer textuelle- ment les théorèmes des Yordamenti dont il me faut m'occuper. C'est d'abord le théorème du $ 121° qui contient la possibilité de la multiplication : $ 121° « I numeri reali finiti infiniti e infinitesimi fino all’ ordine w com- « presi tutti quelli i cui ordini sono tiniti col numero «, formano un gruppo « che si trasforma in sè medesimo mediante le operazioni fondamentali appli- «“ cate a due numeri qualunque del gruppo » (pag. 201). La définition du nombre transfini w se trouve à la pag. 107, je la fais suivre comme voici. Remarquons.d'abord que Mr. Veronese a formé la série sulvante des nombres finis ou infinis: LS » UAi2E zi. oi 0100 00 1e 200 1,209, 20,4-1,.. coi x Cd 2209! 5 000 MON 2» Cd EMIR et plus généralement les unités 2 n 00 ca) i esper CI s6o CU vos (CN 9000] SOCIO et nous pouvons dire que w est un nombre quelconque formé avec les unités nommées. (Voir page 101 et 107). C'est cette classe, qu'il nomme la classe (II), GE UL en chiuso (1) Voir $ 3 de cette Note. — 364 — « Ogni numero di questa classe si può esprimere col simbolo: Ea EE er IE Rpom+r = È Ma+r 5 « OVE 71; N2; ---Nu+1 Sono numeri qualunque dati della classeI» — c'est à dire des nombres finis et entiers — « che possono essere tutti o in parte = 0; «u è un numero di (I) o uno dei numeri infiniti di (II) ottenuti precedente- « mente dallo stesso simbolo Z ». En second lieu je cite les passages qui contiennent la définition arithmé- tique des nombres transfinis mais finis, au moyen des unités fondamentales, , x . . 2 1 1 oa c'est à dire des unités —, —- etc. Il y en a surtout deux. La première 1 00) se trouve dans le $ 103 où il est question de la construction de la « scala » en partageant les segments par moitié et qui voici: « Così continuando si ottengono gli elementi della divisione assoluta « per metà nell'unità fondamentale (A A,) che saranno indicati dal simbolo: al a (0) mi la® a i) GRATE ”) (017) + +f22)+- (UO) sede (Opa (A +(E4 « dove le « non sono tutte zero e sono numeri uguali a 0 e a 1, aualunque « sia 2. S' intende che 7 e 7' devono essere numeri finiti dati etc. » (pag. 155). Ici les nombres x 7 et 7° sont des nombres finés et entiers; mais pour avoir les nombres transfinis les plus généraux il faut que Mr. Veronese se délivre de cette restriction. En effet quelques pages plus tard, il donne la définition suivante : « Def. I. Chiameremo elementi della divisione assoluta successiva per « metà di (A A.) quelli ottenuti colle regole precedenti dal simbolo Z, « quando w è un numero dato qualunque della classe (II) (*) anche se le x « e le 7 sono infinite (00) » (pag. 157). En outre il me faut citer une partie du $ 121d: (1) Cette classe est analogue è la classe (II) de Mr. Cantor. — 365 — « Ogni numero reale positivo (') può essere rappresentato dal simbolo: (0) (0) (0) (1) (1) (04) (05) (02 °° UO (04) x, p p° p' 0, \ p p' To) ) A IIO SA My / (04) An, ra Moy=-r, (04) (047) OI CH AI? 6 SOB / TARE (MU) (E) E: cf \ Li « ove p è un numero finito intero positivo qualunque, le « sono uguali a «0,1,2..p—1;le x e le 7 ecc. sono numeri interi positivi finiti dati « oppure infiniti (x = 00) e w è dato o infinito in senso assoluto (u = £) » (pag. 199). Tl est bon de remarquer que les 72 sont toujours des nombres finis (voir p. e. pag. 107) et que £ est analogue au premier nombre de la classe troisiéme de Mr. Cantor. Enfin je cite un exemple donné par Mr. Veronese pour le théorème précé- dent. D'ailleurs c'est le seul exemple de ce genre contenu dans les Fondamenti; mais enfin en faisant l'addition de ces deux nombres nous aurons une quantité, qui ne permet pas la multiplication par ure quantité pareille, et dont j'ai parlé dans mon article. Voici les expositions de cet article qui s'y rattachent: « Der Ausdruck av (0.0) 1-04 Lao + a+ L+-+ stellt dann und nur dann eine bestimmte transfinite Zahl im Sinne Vero- nese’ s dar, wenn sich zu jedem gegebenen Index # oder » der zugehòrige « Coefficient @, resp. 4 als gewohnliche endliche positive oder negative Zahl bestimmt angeben lifst. Man sieht nun sofort, dafs Addition und « Subtraction zweier bestimmter transfiniter Zahlen stets ausfùhrbar sind, auch « gelten die Gesetze der Addition resp. Subtraction ungeindert fort. Anders « steht es jedoch mit der Multiplication, sobald die zu multiplicirenden Zahlen a al Aia + pino ++ T+++ + db bl IE = 000 (})yp CI i DIR 00 a AP + CS CS ® oo CS allgemein sind, d. h. nach beiden Seiten sich ins Unendliche erstrecken. « An und fir sich ist es natilrlich gestattet, als Product von A und 2 eine « Zahl c® OE one Rea « so zu detiniren, dafs man fiùr jeden Coefficienten e) ein Bildungsgesetz ge- « màfs einer Functionalgleichung Ci = fa (4, db) « statuirt und dieses Bildungsgesetz nàher zu bestimmen sucht. Aber da dieses « Gesetz doch fi: alle betrachteten transfiniten Zahlen das gleiche sein mufs, « so mufs es auch gelten, wenn von den transfiniten Zahlen eine oder beide eine — 367 — « endliche Zahl von Gliedern haben oder sich nur nach einer Seite ins Unend- « liche erstrecken. Das Multiplicationsgesetz kann daher kein anderes sein, « als das triviale, wonach die Einheiten sich wie Potenzen multipliciren und « die Zahlen selbst wie sanze Iunctionen dieser Einheiten. In Wirklichkeit « ist dies auch das Gesetz, mit dem Veronese wie mit etwas selbstver- « stàndlichem operirt (vgl. z. B. $ 93). Wenn nun aber die beiden Zahlen A «und B mit unendlich vielen Einheiten gebildet sind und sich iberdies « nach beiden Seiten ins Unendliche erstrecken, so stellen sich die e, durch « ein Aggregat von unendlich vielen Producten 40, dar und koònnnen « daher nicht in der genannten Weise angegeben werden. Die Multiplica- «tion ist daher innerhalb des zu Grunde gelegten Gebiets «nicht allgemein ausfihrbar. 4. Je crois bien qu'on connaîtra clairement que les passages précédents de mon article cité sont tout è fait exactes; pour avoir les nombres les plus simples, j'ai laissé de còté les puissances co, —7, etc. D' ailleurs je re- marque expressément que mes objections ne se sont jamais dirigées contre les considérations aussi subtiles qu'importantes que Mr. Veronese a publiées sur l’axiome d’Archimède. Ni mes objections ne touchent non plus les théo- rèmes réimprimés dans la Note dernière de Mr. Veronese; il est clair que ces théorèmes existent dans la mème forme pour la théorie ordinaire du nombre irrationel. Mais voslà que ces théorèmes ne prouvent rien pour la question si les nombres transfinis permettent la multiplication ou si Mr. Veronese en a donné une preuve. Dans le passage cité de mon article j'ai dit qu'il est bien permis d'in- troduire le produit A B comme un nombre en définissant directement le nombre C par l équation C= AB. Voilà le sens qu'il faut aussi attribuer au passage cité en haut (!) où Mr. Veronese définit les nombres transfinis comme des nombres complexes à unités infinies. En effet, soit pour == 1,2... WI: ASit Bi= Siae; et posons C=AB= Za;Pré er. Si maintenant nous supposons, qu'il soit toujours e; ex = e!,. où el, est une unité nouvelle, il est clair que de l’équation C = 0 il s' ensut A=0 ou B=0. Mais il faut dire qu'un nombre C introduit comme voici, existe en soi-méme seulement par raison de notre vol/onté; au moins il n'est pas possible de le comparer aux autres nombres et de le soumettre aux lois du calcul. 5. Qu'il me soit permis, d'ajouter encore une remarque sur la démonstra- tion du théorème $ 121°, cité en haut. Dans les Fondamenti on en est (1) Voir $ 1 de cette Note. — 368 — renvoyé à la démonstration d'un théorème pareil du $ 93°. Mais à cet endroit Mr. Veronese dit seulement que pour les produits en question on peut fixer l’ordre de l'infini, tandis que l'existence du produit s entend de soi-méme. Aussi dans les autres démonstrations du $ 93, l’existence de la somme ou du pro- duit est toujours soutenue par ce seul raisonnement que l’operation avec des segments géométriques donne nécessairement un segment géométrique. Par exemple, pour dériver la loi distributive, il se trouve le passage suivant: « Se sì ha un numero determinato di (II), cioè (1) col 7 cotta E 0008! Nm lt Mur È 01 Mu, È Nuti « e lo si moltiplica per un numero 1, ciò significa che il numero (1) si somma «n volte» (pag. 121). Ici n peut étre un nombre transfini, par exemple un nombre de la méme forme que (1). Il va sans dire qu'un tel procéde ne peut pas servir de fon- dementi suffisant pour le calcul. On peut demander pourquoi les nombres transfinis de Mr. Cantor per- mettent la multiplication, tandis que les nombres de Veronese n’en ont pas. La cause en est le symbole co. — m, introduit par Mr. Veronese et — il faut le dire — nécessalrement démandé par sa définition de la droite. La mème chose forme la différence entre les nombres de Veronese et ceux de Mr. Levi Civita. Aussi la méme chose donne-t-elle la raison pourquoi chez Veronese toutes les lois de la multiplication continueraient è valoir, tandis que les types d’ordres « (Ordnungstypen) » de Mr. Cantor obéissent seulement aux lois associatives. Fisica. — La magnetizzazione dell'argilla colla cottura in relazione colle ipotesi sulla fabbricazione del vasellame nero etrusco. Nota del dott. G. FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLA- SERNA. È noto, che l'argilla naturale non è punto magnetica, od almeno lo è tanto poco, che avvicinata ad un piccolo ago calamitato liberamente sospeso ad un lungo e sottilissimo filo senza torsione (di cui si possano vedere le deviazioni dalla posizione normale con cannocchiale e scala), non esercita su di esso alcuna sensibile azione. Anche dopochè l’ argilla naturale è stata col- locata in un energico campo magnetico uniforme, non mostra alcuna azione sull’ago. Invece se l'argilla viene riscaldata ad elevata temperatura, essa diventa una calamita permanente ed in molti casi anche abbastanza forte: di più essa perde la sua plasticità, ed ha luogo la dissociazione del suo car- bonato di calce ecc. — 369 — Ho cercato di determinare per alcune specie d'argilla la temperatura, alla quale esse incominciano ad essere sensibilmente magnetiche, allo scopo di portare un po' di luce su una questione, che ancora si agita presso gli archeologi, e che non è stata peranco completamente risoluta: si tratta di stabilire, quanto siano plausibili in base alle proprietà fisiche dell’ argilla alcune ipotesi fatte sul processo tenuto dagli antichi vasai per annerire, i vasi conosciuti col nome generico di buccheri etruschi. Questa specie di vasi è fatta di argilla fisulina annerita con del carbone, come risulta dalle analisi chimiche. La superficie esterna è per lo più lucida, e si crede, che per renderla tale sia stata spalmata di cera o resina senza mi- scela di alcun colore per non coprire quello del fondo del vaso. Se si rompe un bucchero, e si esamina la frattura, si scorge che il colore nero talvolta è penetrato in tutta la massa in modo uniforme, talvolta invece dall’ esterno all’interno si passa da una colorazione nera al bruno ed al grigio. Aggiun- gerò, che tutti i buccheri sono magnetizzati con magnetismo permanente, e che lasciati anche per lungo tempo nell'acqua, l'argilla non si spappola. Di rado cogli acidi danno sviluppo di anidride carbonica. Le ipotesi fatte sul modo di preparare e cuocere l'argilla, perchè dopo la cottura essa rimanesse così intimamente mescolata al carbone, sì possono raggruppare nelle tre seguenti : 1° Che esistesse dell’argilla naturale speciale, colla quale venivano lavorati tali vasi. 2° Che nella preparazione della pasta fosse stato mescolato all’ argilla del carbone triturato o del nero fumo, e che i vasi fossero stati cotti a tem- peratura poco elevata, affinchè non bruciasse il carbone. 3° Che gli oggetti siano stati anneriti dopo la loro foggiatura. o an- che dopo la loro cottura, collocandoli in recipienti chiusi con del carbone o legna, talvolta pure spalmati od imbevuti di sostanze organiche, e riscal- dando i recipienti ad alta temperatura. I. Alla prima ipotesi chiaramente risponde il comm. Barnabei (!), che non è vero, che esista argilia speciale con cui si fabbrichi il bucchero: e l’esperienza gli dà completamente ragione, perchè se i buccheri vengono por- tati solo a 380° perdono il nero, mentre, come vedremo in seguito, l'argilla diventa magnetica ad una temperatura più alta. II. La seconda ipotesi è fondata, si può dire esclusivamente, sui risul- tati delle analisi chimiche fatte sui buccheri e sul fatto, che se si ricuo- ciono questi vasi nelle nostre fornaci, acquistano il colore rosso late- rizio (*). (1) F. Barnabei, Dei fittili scoperti nella necropoli di Narce. Monumenti antichi vol. IV, 1894, pag. 293. (2?) F. Barnabei, opera citata, pag. 296. RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 1° Sem. 43 — 370 — È bensì vero, che l’analisi chimica ha dimostrato, che la sostanza colo- rante dei buccheri è carbone (!), ma il fatto che questi ad alta temperatura perdono la sostanza colorante, non può da se solo nè convalidare l'ipotesi nè invalidarla : bisogna invece determinare la temperatura, alla quale deve necessariamente essere stata portata l'argilla per acquistare le proprietà ma- gnetiche, che ora possiede, e per perdere la sua plasticità naturale. Ora se il carbone dei buccheri brucia a temperatura più bassa di quella necessaria, perchè essi abbiano potuto acquistare tali proprietà, l'ipotesi evidentemente cade; se invece l'argilla perde la sua plasticità, e diventa magnetica prima ancora, che sia raggiunta la temperatura di combustione del carbone, l'ipotesi può essere ancora sostenuta. Ho cercato di risolvere questa questione facendo delle opportune espe- rienze. A tal uopo mi sono procurato tre diverse qualità di argilla : una pro- viene dalla Valle dell'Inferno dietro il Vaticano, ed è assai ricca di carbo- nato di calce; le altre da due diverse cave poste nella località detta Poggio dell'Ovo a tre chilometri da Corneto sulla strada provinciale per Toscanella. Esse furono con cura spappolate nell'acqua, levigate ed asciugate lentamente fino a formare la pasta atta alla foggiatura degli oggetti. Ad una porzione di ciascuna delle tre specie, mentre ancora si trovava allo stato di emulsione, ho aggiunto e mescolato del nero fumo in modo, che la pasta è divenuta completamente ed uniformemente annerita. Mi preparai in seguito sia colle argille naturali, sia con quelle annerite dei cilindri cavi alti da 50 a 55 mm., del diametro di mm. 60 circa e dello spessore di 5 mm.; di più feci anche dei sottili bastoncini parte anneriti, parte no, che mi dovevano servire, dirò così, per gli assaggi, per vedere cioè, come alle varie temperature veniva modificata la plasticità, come era il carbone distribuito nell'interno della massa ecc. ò L'intensità magnetica venne misurata dalla deviazione, che gli oggetti producevano sopra un ago calamitato a ‘cui erano avvicinati ; il processo, le norme e le precauzioni usate furono di già descritte in una mia Nota (?). Devo qui solo avvertire, che gli oggetti furono sempre tenuti durante la cot- tura col loro asse parallelo alla direzione del campo magnetico terrestre, in modo, che l'intensità magnetica risultasse eguale in tutti i punti attorno la periferia delle due basi. Per riscaldare i cilindri ad una determinata temperatura e per ottenere un uniforme riscaldamento collocai entro un forno (8) un recipiente cilindrico (1) Alex. Brongniart, 7raité des arts céramiques ou des poteries, 8° edizione, vol. I, pag. 414, Paris 1877. A. Klitsche de la Grange, Sulla tecnologia del vasellame nero degli antichi, lettera al comm. W. Helbig, Roma, Tip. I. Artero, 1884. (*) Vedi questi Rendiconti. Vol. V, 2° sem. 1896, pag. 131. (8) Queste ricerche furono eseguite nell’ Istituto fisico della R. Università di Roma con un forno Perrot già descritto in questi Rendiconti, vol. V, 2° sem. 1896, pag. 129. — 371 — di rame riempito d'arena silicea pura, e vi disposi dentro gli oggetti in modo, che fossero completamente coperti: di più mediante reti di ferro poste in fondo al forno impediva, che il bagno a sabbia venisse direttamente av- volto dalle fiamme. Il riscaldamento così era più lento ma più uniforme, e regolando opportunamente la fiamma ho potuto mantenere entro il bagno la temperatura voluta abbastanza costante per parecchie ore. La temperatura fu determinata in due modi diversi: per mezzo di ter- mometri e per mezzo di una pinzetta termoelettrica platino-palladio: aveva a mia disposizione un termometro a mercurio Golaz colla scala fino a 350° ed un termometro di Baly e Charley colla graduazione da + 100° a + 600°. Ho avuto così il mezzo di controllare il secondo coll’ aiuto del primo fino alla temperatura di 300° e più. La pinzetta termoelettrica fu graduata fino a 300° col termometro di Golaz e a temperature più alte col mezzo del punto di fusione di alcuni metalli (!). Ecco ora il processo tenuto nelle mie ricerche: tutti i cilindri furono avvicinati al magnetometro, il quale non subì alcuna deviazione sensibile. Però, perchè non possa sorgere il dubbio, se anche nell’'argilla non cotta esista della sostanza magnetica ma disorientata, ho creduto opportuno di collocare gli oggetti in un campo magnetico capace di produrne l' orienta- zione (#): ma anche dopo averne subìto per 2° l’azione magnetica essi si mostrarono privi affatto di magnetismo. I cilindri furono in seguito riscaldati e tenuti per tutto un giorno alla temperatura di circa 250°: lasciati raffreddare ed avvicinati al magnetometro non mostrarono traccia di magnetismo, e diedero lo stesso risultato anche dopo avere subìto l’azione magnetizzante della spirale. Messi nell’ acqua dei (') Nella determinazione di alte temperature si possono commettere degli errori ab- bastanza grandi sia per le indicazioni inesatte dei termometri, sia per l’incertezza che regna sul punto di fusione di metalli, che contengono sempre delle impurità, anche se provengono dai più accreditati laboratorî chimici. Ma gli errori nel valore della tempe- ratura non hanno nel caso mio alcuna influenza sull’esattezza delle conclusioni, perchè qui si tratta di studiare una serie di fenomeni di natura affatto diversa, ma dipendenti tutti dal riscaldamento, e di vedere quali di essi si manifestino e quali no a determinate temperature: piuttosto è importante, che la temperatura rimanga costante per un tempo lungo per avere la certezza, che tutta la massa degli oggetti si trovi nelle medesime condizioni termiche, e che i varî fenomeni concomitanti abbiano avuto tutto il tempo necessario per prodursi. (2) Il campo magnetizzante era prodotto da una corrente elettrica, che circolava per una spirale di filo di rame: questa era a due strati, con dieci spire per centimetro e per strato e lunga circa cm. 20, più del triplo cioè della lunghezza dei cilindri d’ argilla. La corrente adoperata fu di 27 ampère, per cui l’ intensità del campo era 678 unità C. G.S. (ossia circa 1500 volte l'intensità totale del campo magnetico terrestre), di gran lunga superiore a quella necessaria per orientare e magnetizzare la sostanza magnetica dell’ar- gilla, perchè con una corrente di soli 10 ampère ho potuto invertire la polarità nelle argille cotte. 02 — pezzetti dei bastoncini preparati dalle diverse argille e pur essi cotti alla stessa temperatura, si spappolarono completamente. Coll’ acido cloridrico da tutte le argille si ebbe sviluppo di anidride carbonica. I cilindri anneriti conservarono completamente il loro colore. Identici risultati si ebbero per la temperatura di 310°. Riscaldai in se- guito a 350°; a questa temperatura il carbone incomincia a bruciarsi, lasciando sulla superficie annerita delle piccole macchie del colore naturale dell'argilla. I cilindri avvicinati al magnetometro non mostrarono traccia di magnetismo, e lo stesso risultato si ebbe, dopochè furono collocati nell’ interno della spirale magnetizzante. Nell’acqua l'argilla di Corneto si spappolò in breve tempo; non così quella della Valle dell’ Inferno, la quale dopo sei ore aveva conservato la propria forma, ma confricata fra le dita mostrò di essere ancora comple- tamente plastica. Coll'acido cloridrico si ebbe da tutte e tre le specie di argilla sviluppo di CO». Riscaldai gli oggetti fino a 380°. Con essi misi nel forno anche alcuni pezzi di bucchero provenienti da tombe di Chiusi. Raffreddato il forno. trovai che il colore nero era quasi completamente sparito sia dalla superficie degli oggetti da me anneriti, sia dalla superficie dei pezzetti di bucchero; però nell’ interno della massa il carbone non era stato bruciato, come potei consta- tare spezzando i bastoncini anneriti. Al magnetometro tutti i cilindri si mo- strarono privi di magnetismo; ma dopochè furono sottoposti all'azione ma- gnetizzante della spirale, produssero una piccola deviazione, che variava per i diversi cilindri da 0‘,2 a 0,5. Nell'acqua l'argilla di Corneto si spappolò dopo breve tempo, e quella della Valle dell'Inferno ha bensì conservato la propria forma anche dopo 24 ore, ma cedeva alla pressione fra le dita. An- che i pezzi di bucchero furono messi nell'acqua e lasciati per più giorni, ma essi nè insudiciarono l'acqua, nè mostrarono alcuna traccia di plasticità. Coll’ acido cloridrico ebbi il solito sviluppo di CO;. Riscaldai il forno a 420°. A questa temperatura il carbone è scom- parso completamente sia dalla superficie, sia dall'interno della massa. L' ar- gilla della Valle dell’ Inferno ha perduto la sua plasticità, invece l'argilla di Corneto si spappola ancora, come se non fosse stata mai riscaldata. La intensità magnetica in tutti i cilindri è sensibile, ma nissuno produce una deviazione superiore ad 1’. Sotto l’azione del campo della solita spi- rale, attraverso la quale feci passare una corrente di 12 ampère, l'intensità magnetica è cresciuta notevolmente. Coll’ acido cloridrico ebbi ancora il so- lito sviluppo di CO,. Anche alla temperatura di 460° l'argilla di Corneto si spappolava nel- l’acqua in poco tempo (alcuni minuti primi), e dovetti riscaldarla alla tem- peratura del rosso incipiente per ottenere una massa compatta e dura anche sotto acqua. A questa temperatura si ha ancora effervescenza coll’ HCl con tutte e tre le specie d'argilla. — 373 — Riscaldai finalmente i varî cilindri esponendoli entro il forno diretta- mente all’azione della fiamma fino alla temperatura del rosso ciliegio inci- piente (circa 800°). Il carbonato di calce si è dissociato, perchè l'argilla coll’ HCl non dà più effervescenza, e l'intensità magnetica è di molto cresciuta. Nella tabella seguente riassumo le intensità magnetiche ottenute. Nella 1° riga sono notati secondo il numero progressivo: tre cilindri di argilla di Roma, due cilindri di una cava d'argilla di Corneto e due cilindri dell’ altra cava. I cilindri corrispondenti ai nn. 1, 2, 4, 6, erano stati impastati col nero fumo. Nelle diverse colonne sono segnate le deviazioni prodotte sull’ ago del magnetometro dal magnetismo indotto nei varî cilindri dal c. m.t., quando essi furono riscaldati alle temperature segnate nella 1° colonna 1 2 3 d 5) 6 7 3509 01,0 05,0 0,0 04,0 01,0 04,0 00 380 07,0 0,0 04,0 04, 0,0 07,0 00) 420 0,3 07,5 0,3 05,7 OLO 089 059 460 2,5 4,0 SI OIEI0) 84,0 8,0 SEO 800 IRSA ORSI rnaio 70 Bis E089750) 34,0 Dall’ esposizione dei risultati delle mie esperienze si ricava: 1° che il carbone mescolato all’ argilla incomincia a scomparire già a 350°; che a 380° è scomparso quasi completamente dalla superficie, e che a 420° è scomparso completamente anche dall'interno della massa argillosa. Anche nei pezzi di bucchero il colore scompare dalla superficie a 380°; 2° che coll’ aiuto di un energico campo magnetizzante si può consta- tare, che è avvenuta una trasformazione chimica delle sostanze ferruginose non magnetiche in magnetiche, quando l'argilla è stata portata alla tempe- ratura di 380°; ma la magnetizzazione dell'argilla per l’azione induttrice del campo terrestre non è sensibile prima che non sia stata raggiunta la temperatura di cottura di 420° (*); (*) Richiamo alla mente, che qui si tratta di stabilire, a quale temperatura abbia luogo la magnetizzazione dell'argilla per potere dedurre un limite inferiore della tem- peratura, alla quale necessariamente devono essere stati riscaldati i buccheri. È na- turale quindi, che per le mie ricerche devo adoperare lo stesso magnetometro e nelle stesse condizioni, nelle quali esaminai l'intensità dei vasi etruschi. Per dare un’idea dell’intensità magnetica trovata in questa specie di vasi riporto qui alcuni valori, che si riferiscono ai buccheri da me esaminati nel Museo etrusco del conte E. Faina in Orvieto : Bucchero italico n. 382 1° 13’ Bucchero etrusco n. 226 0° 24” ” ” 383 1 39 ” È) 229 6 D) ” 884 0 37 ” » 230 22 ” ”» 885 0 49 ” ” 231 27 » D) 891 0 39 ” ” 232 23 Bucchero grigio n. 225 1 1 ” ” 283 9 D) etrusco 214 0 27 ” ”» 284 25 D) ”» 216 0 18 E) D) 290 283 — 374 — 3° che l'argilla della Valle dell’ Inferno assai ricca di carbonato di calce non perde la sua plasticità prima di 420°; l'argilla figulina di Cor- neto la perde ad una temperatura un po’ superiore a 500°. Ne consegue da tutto ciò, che non è possibile ammettere, che nella fab- bricazione dei buccheri siasi usato di impastare l'argilla con nero fumo 0 carbone triturato, e di cuocerla (senza speciali precauzioni) nelle fornaci co- muni, perchè il carbone si sarebbe bruciato molto prima, che venisse rag- giunta la temperatura necessaria, affinchè la pasta diventasse magnetica e perdesse la sua plasticità. Dal fatto poi che raramente i pezzi di bucchero danno cogli acidi svi- luppo di anidride carbonica, mentre le analisi fatte mostrano, che essi con- tengono calce in quantità discreta, si deve concludere, che la temperatura di cottura dei buccheri non è stata molto più bassa di quella, alla quale furono cotte le altre specie di vasi, perchè il carbonato di calcio si è po- tuto dissociare. III. La terza ipotesi ammette, che la sostanza colorante sia stata in- trodotta nell’ argilla dopo la foggiatura e forse anche dopo la cottura dei vasi. Secondo il Depoletti (') e Klitsche de la Grange (?), il processo a tal uopo usato consisterebbe nella calcinazione del carbone, in mezzo al quale sarebbe stato collocato il vaso da annerire. Ecco come il Klitsche in pro- posito sì esprime: I buccheri « sembra venissero preventivamente cotti e « quindi affumicati entro recipiente o vaso chiuso. Per la quale operazione « semplicissima ed alla portata dei più rozzi artefici servir potea un vaso « qualunque, che a metà riempito di minuzzoli o segatura di legname resi- « noso desse luogo a contenere nell’ altra metà superiore le stoviglie, che « volevansi abbrunire. Cotal vaso ermeticamente otturato veniva in seguito «“ esposto a fortissima temperatura di fuoco, e le figuline in esso contenute « ne uscivano quindi completamente annerite; compenetrando il colore nero « l'intera grossezza del coccio ». John (*) ha voluto in certo modo stabilire il processo, tenuto dagli antichi vasai per far penetrare e depositare il carbone nell'interno della pasta, dall’ aspetto che questa presenta. Dal fatto che in molti vasi la tinta va successivamente sbiadendosi dall’ esterno all'interno egli deduce, che anche la sostanza colorante sia penetrata nella massa dall’ esterno all’ in- terno, e perciò escluderebbe, che il carbone sia stato impastato nell'argilla plastica; per i vasi che presentano nella frattura un nero uniforme, egli am- (1) Sul modo usato a tingere di nero le stoviglie di Chiusi. Bullettino di Corrì- spondenza archeologica, 1837, pag. 28. (2) Vedi Nota citata. (3) John Ih. Fr., Die Malerei der Alten von ihrem Anfange bis auf die christl. Zeit- rechnung. Berlin 1836, pag. 166 — 375 — mette, che siano stati impregnati di sostanze organiche ('), e che siano stati cotti in uno spazio chiuso riempito di fumo, a cui era impedito l’ accesso dell’ aria. In fondo la terza ipotesi ammette, che gli antichi vasai abbiano cono- sciuto il processo di calcinazione, e l’ abbiano utilizzato per carburare l’ ar- gilla allo stesso modo, che al presente si carbura il ferro per ottenere 1’ ac- ciaio di cementazione. Sta il fatto, che colla calcinazione si può portare il carbone a tempe- rature elevatissime, perchè manca il comburente, ma d' altro canto è noto, che mentre il carbone ottenuto dalle solite carbonaie si accende tra 360° e 380°, quello sottoposto a forte calcinazione esige di essere riscaldato a tem- peratura molto più elevata per accendersi e bruciarsi (2). Questa proprietà del carbone costituirebbe una prova contro l'ipotesi in esame, perchè, come ho fatto notare più sopra, i buccheri perdono il loro carbone alla stessa temperatura, alla quale lo perdono i vasi da me preparati col nero fumo. Tuttavia ho voluto fare una serie di ricerche allo scopo di esaminare : 1° quali sono le migliori condizioni, perchè il carbone s' infiltri, e si depositi nella massa dell’ argilla; 2° se l'argilla in tal modo carburata perde il suo carbone alla tem- peratura di 380° od a temperatura più elevata. Collocai nel forno diversi cilindri parte d’ argilla naturale, parte cotti e parte imbevuti di olio di ulivo, e riscaldai con fiamma riducente impe- dendo con reti metalliche, che la fiamma potesse investire gli oggetti, e chiu- dendo la sortita dei prodotti della combustione dal forno. Spenta la fiamma trovai gli oggetti coperti di una pellicola di nero fumo, che col semplice soffio si staccava e lasciava pulita la superficie dell’ argilla. Negli oggetti imbevuti d' olio la pellicola era lucida ed abbastanza consistente ma stac- cata dalla superficie dell’ argilla da bolle d'aria interposte. La sostanza vegetale era uscita dalla massa. Riuscito così negativo questo tentativo, collocai in un recipiente di rame varî oggetti parte d’ argilla naturale, parte d'argilla cotta e parte intonacati di bitume; li circondai di carbone ben pesto fino a riempire tutto il recipiente, che venne poi chiuso con un co- perchio, e riscaldai al rosso per tutta una giornata. Esaminati in seguito gli oggetti, trovai che quelli di già prima cotti avevano conservato il loro pri- mitivo colore, ma al microscopio si scorgeva nell’ interno della loro massa qualche particella di carbone: quelli crudi presentavano una tinta grigio (1) I. Szombathy crede, che per la cottura dei vasi neri sia necessaria la tempera- tura, alla quale vengono portati i mattoni, e che in quelli fosse stato messo un colore rosso, che colla fiamma fuliginosa era convertito in bruno o nero. Vedi Mittheilungen der Anthropologischen Gesellschaft in Wien. Neue Folge, Bd. V, 1885. Ho provato a riscal- dare dei pezzi di bucchero con fiamma fuliginosa, ma verso i 400° il nero è sparito. (2) Fr. Selmi, Enciclopedia di Chimica, vol. III, pag. 711. — 376 — oscura uniforme, sia alla superficie, sia nell'interno della massa per il car- bone depositatovi: finalmente gli oggetti tanto crudi, che cotti, che erano stati intonacati di bitume erano perfettamente neri sia alla loro superficie, sia in tutta la loro massa. Da ciò appare, che per ottenere l’ annerimento non è sufficiente riscal- dare l' argilla in uno spazio chiuso pieno di carbone, ma bisogna aggiungervi una sostanza organica, la quale possa entrare per capillarità nell’ interno della massa, e lasciarvi il suo carbone quando venga carbonizzata. Per rispondere al secondo quesito presi gli oggetti anneriti, li collocai nel recipiente di rame riempito di arena silicea, e tenendolo aperto lo ri- scaldai alla temperatura di 380° per tutto un giorno colle stesse precauzioni usate nelle precedenti esperienze. Essi conservarono bene il loro colore nero, mentre dei pezzi di bucchero riscaldati assieme lo perdettero completamente. In realtà dunque il carbone infiltrato nei pori dell'argilla col nfetodo di carburazione, brucia a temperatura più elevata di quello, che trovasi nei buccheri. In conclusione nissuna delle ipotesi dibattute tra gli archeologi per ispiegare l'annerimento dei buccheri regge di fronte ai risultati dell'esperienza. Non voglio aggiungere altre ipotesi, ma solo dirò, che se un vaso di argilla di già cotto viene intonacato con del bitume, e si colloca poi in un ambiente, che abbia la temperatura di circa 300°, esso diventa alla super- ficie lucido e nero senza bisogno di alcuna vernice, e nell'interno della massa la tinta va sbiadendosi come nei buccheri. Con questo processo assai semplice, facilmente eseguibile anche contemporaneamente su grande quan- tità di vasi, l'argilla conserva le proprietà fisiche, che si riscontrano nei vasi etruschi neri. Chimica. — Sopra < comportamento elettrolitico di alcumi fluosali e fluossisali complessi. Nota di A. MrioLatI e U. ALVISI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Lo studio comparativo di numerosi composti inorganici complessi ha condotto A. Werner (!) ad ammettere, che anche quando il potere di un dato atomo di collegare altri atomi parrebbe, secondo la sua valenza, esaurito, esso può possedere ancora la proprietà di partecipare alla formazione di molecole complesse e formare nuovi collegamenti atomici ben determinati. (1) Confronta Zettschr. f. anorg. Chem., III, 267; VIII, 153 e 189; IX, 382; XIV, 21, 28; XV, 1, 123, 243; Vierteljahrsschrift der Naturforschenden Gesellschaft eu Zi- rich 1896. Jubelband: 254. — 377 — Così p. es. il cloruro platinico Pt Cl, (corrispondente a Pt 0, — Platino tetravalente) ha la proprietà di riunirsi a due molecole di acido cloridico o di cloruro alcalino per dare i composti ben definiti Pt Cl; H, e Pt Cl; Ki; nei quali il residuo (Pt Cl;) funge da radicale bivalente e si comporta, tanto fisicamente quanto chimicamente, come un' unità. Si deve ammettere perciò che in esso il platino tenga riuniti tutti i sei atomi di cloro, cioè un nu- mero maggiore di atomi che non esprima la sua valenza. L' atomo centrale di un dato complesso può essere non solo unito ad altri atomi semplici, ma anche a gruppi atomici o a molecole sature, come l’ammoniaca, l’acqua ecc., e dare così radicali complessi la cui natura chi- mica e valenza varia a seconda della natura degli atomi o residui uniti al- l'atomo centrale. Si hanno così p. es. i composti metallammoniacali, quelli con acqua di costituzione e di cristallizzazione, i sali doppî ece. | 00 (NH): ] Che [00 al cl: [00 Se] cl, : | 00 Ere [Pe GE] K; [ox (E; 0): | Cl, ecc. In questi composti, gli atomi tra le parentisi quadre, formano un solo gruppo, che passa da molecola a molecola intatto senza subire alterazioni. Il numero che esprime quanti atomi o gruppi atomici possa tenere uniti, un dato atomo, viene chiamato da Werner numero di coordinazione, il quale per un dato atomo può variare a seconda della sua valenza (atomicità, stato d’ossidazione) ed anche a seconda della natura degli elementi ad esso uniti. Così p. es. [Pt(NH3)g] CL, ; [Pt Ck] K» Platino tetravalente. Num. di coord. 6 [Pt (NH3),] Cl:; [PtCL,]K. =» bivalente anna niisn it 4 ERro genre ne de a Mrbravalentei «> (inlnb |» [Fe (CN);]K3 . . . . . Ferro trivalente CRIS SRI CR IICINO RESO eo » bivalente naerarlin Dba In base a concetti stereochimici e per spiegare certi casi di isomeria osservati in alcune classi di questi composti inorganici complessi, Werner ammette che nei radicali in cui l’ atomo centrale ha un numero di coordi- nazione sei, gli atomi o gruppi atomici siano disposti nello spazio simmetri- camente attorno ad esso, essi occuperebbero cioè i vertici di un ottaedro rego- lare il cui centro sarebbe occupato dall’ atomo fondamentale. (Numero di coordinazione nello spazio). A questa classe di composti ne corrisponde una seconda, in cui il numero di coordinazione sarebbe quattro, e nei quali tanto l'atomo centrale quanto i quattro altri atomi o gruppi sarebbero disposti in uno stesso piano. (/Vu- mero di coordinazione nel piano). RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. 49 — 378 — Per gli atomi a volume atomico piccolo quali il boro, il carbonio, l'azoto, Werner ammette un numero di coordinazione nello spazio eguale a quattro ed un numero di coordinazione nel piano eguale ‘a tre. Per il Werner il numero massimo di gruppi o di atomi che un dato ele- mento può collegare, sarebbe più che altro una questione di spazio. Esso ammette però che sei sia il massimo numero di gruppi o atomi che un deter- minato elemento possa riunire uniformemente attorno a sè. È questo un con- cetto che il Werner cerca sempre di porre in rilievo, e quando qualche fatto parrebbe ad esso contrario, egli cerca con opportune ipotesi secondarie di porre il fatto in accordo al concetto principale. Così egli fa per i solfati che cristallizzano con sette molecole d’acqua Me SO, + 7 H30, per i cloruri di cromo e cesio preparati da Wells e Boltwood ed anche ultimamente per il composto Cr (NH). (H,0), (SON); di natura neutra, non jonizzabile, in cui ammette, che una doppia molecola d'acqua occupi un sol posto. È fuori di dubbio che i concetti di Werner sono oltremodo seducenti, proficui e capaci probabilmente di ulteriore sviluppo: essi si accordano con numerosissimi fatti, e li coordinano in un modo geniale. Ma essi, come tutte le nostre ipotesi, devonsi considerare come una rappresentazione comoda di un determinato numero di fatti, non come la verità assoluta e perciò devonsi discutere, rilevare e studiare le contradizioni coi fatti sperimentali, le quali sono sempre della massima importanza quando si voglia giudicare della vitalità di un' ipotesi. i È per questo che, sebbene uno di noi abbia cercato, assiemo al Werner, di portare un contributo sperimentale a favore delle ipotesi su esposte (!), ci è sembrato opportuno di rivolgere la nostra attenzione anche su quei fatti che non sembrano accordarsi con quelle. Difatti se noi consideriamo un po’ i sali complessi fluorurati di alcuni elementi, troviamo un numero abbastanza notevole di casi, nei quali l’ atomo fondamentale, che fa parte del gruppo negativo, trovasi unito a più di sei altri atomi. Senza voler dare un elenco completo di tali composti, citiamo ì seguenti (Mo O; Fl;) (NH,):; (Ur O, FI;) K3; (Ur 0, FL;) (NH); (Nb O FL) K3; (Nb O FL) (NH); ; Si FI, (NH); ; Ti FL (NH); ; Zr Fl, (NH.)3 ; Zr Fl, K3; Ta FI, K;; Ta FI, Na, + H;0; Ta FL Na; ; Ta FI, (NH); (Ta 0 Fk)(NH,);; ecc. In questi composti il gruppo negativo (aloico) è composto di un atomo centrale unito a più di sei atomi (fluoro, o fluoro e ossigeno), cosicchè si do- vrebbe ammettere per quelli un numero di coordinazione superiore a sei (sette od otto). (1) Gazz. Chim. Ital. 1893, II, 140; 1894, II, 408; 1897, I, 299. — 379 — Era nostra intenzione di studiare la conducibilità elettrica dei composti suddetti, ma ci siamo dovuti limitare a farlo solamente per alcuni di essi a causa della scarsità di mezzi di cui disponevamo. La conducibilità elettrica doveva dimostrarci se il sale in soluzione acquosa si scindeva nettamente nel gruppo negativo e nei gruppi positivi; in caso affermativo si doveva allora ammettere che l'atomo centrale del gruppo negativo trovavasi stabilmente unito ad un numero d'atomi maggiore di sei. Naturalmente questo potevasi conchiudere solamente, quando i composti da studiare non erano scomposti idroliticamente dall’acqua. Tra i pochi composti che ci fu possibile studiare, i fluossiuranati hanno dato risultati non eccepibili, gli altri sono scomposti dall’ acqua, poichè l'aumento della conducibilità colla diluizione è molto più grande di quello che non si debba aspettare per composti che vengono dal- l’acqua normalmente dissociati. IG 1/3 Mo 0, Fl:,9 (NH) Fl = 1/3 (Mo (075 Fl;) (NH): (1) DA_MZ 64 128 256 n= 10755 VILZAS) 133.4 143.2 u è la media di tre determinazioni fatte con sostanze di preparazioni diverse. Il sale è dissociato idroliticamente. II. 1/3 (NH,)s Si FI; v= 32 64 128 256 512 u=1145 1240 135.8. 1578 200.5 Il sale è pure dissociato idroliticamente. Jai 1/3 (Ur 0, Fl;) Kg (2) L Mi Ma U3 32 97.58 97.81 97.67 64 104.8 104.8 104.8 128 109.5 109.7 109 6 256 115.0 115.2 115.1 512 119.0 119.4 11922 1024 127.3 127.3 127.3 diese ZEHO WEB (1) Analisi: 0,4515 gr. di sale, calcinati, diedero 0,2325 gr. di Mo 03 ossia 34,33 °/o ; 0,8660 gr. di sale diedero come residuo della calcinazione 0,4520 gr. di Mo O; ossia 34,80 °/o. Calcolato 34,66 °/o. (®) Analisi: 1,7178 gr. di sale, diedero 1,5606 gr. di una mescolanza di uranato potassico e di fluoruro potassico. Ur 04 K. —+K FI, ossia 90,85 °/, di residuo. Calcolato = 90,91 °/o. — 380 — IV. 1/3 (Ur Os FI;) (NH): v tl, tuo I 32 97.23 96.75 96.99 64 1044 103.5 104.0 128 109.7 109.5 109.6 256 = 1154 115.8 115.6 512 119.0 119.6 119.8 1024 126.1 126.0 126.1 Aroz4-s2 = 29.1 uoo=183.1 Come si vede chiaramente dalle differenze delle rispettive conducibilità a v= 1024e v=382, i due fluossiuranati, si dissociano in soluzione acquosa normalmente ; il potassico p. es. secondo lo schema (Or 0; FI)" +K+K+K La conducibilità massima dei due composti, fu calcolata per mezzo di una tabella data da G. Bredig (!); dai valori ottenuti si può calcolare la velocità d’emigrazione dell’anione trivalente (Ur O; Fl;)"”, che risulta in media eguale a 62,8. Il comportamento dei due fluossiuranati conduce ad ammettere che l’uranio del gruppo acido tenga uniti stabilmente più di sei atomi, cioè un numero maggiore di quello che il Werner ammise come limite massimo. Con questo solo risultato non crediamo di poter infirmare assolutamente le ipotesi svolte da Werner nei suoi lavori, però crediamo di poter attri- buire anche a questo solo risultato un certo valore, perchè mostra nettamente quanto sia inopportuno di dare una forma troppo dogmatica a certe ipotesi. Anche qui si potrebbe ammettere per stare in accordo coll’ ipotesi del Werner che nell’ anione (Ur 0; Fl;) due atomi fungessero come un solo gruppo, come il Werner ha fatto per le due molecole d’acqua nel composto sopra- citato. Però crediamo una simile ipotesi troppo arbitraria, e preferiamo am- mettere che un atomo possa tenere uniti per formare un residuo stabile, anche più di sei atomi. Questa piccola ricerca fu fatta già da parecchio tempo e non mai pub- blicata nella speranza di poterla completare collo studio dei composti di niobio, zinconio, e tantalio sopracitati. Siccome però non siamo ancora in grado di poterlo fare, così ci siamo dovuti limitare a pubblicare questa breve (1) Zeitschr. f. phys. Chemie, XIII, 198. — 381 — Nota. Avevamo studiato anche il comportamento di altri fluosali, ottenuti o come prodotti intermedî o preparati per confronto; quali Ti Fl; (NH); Mo (0) Fl, (NH.); Mo 0; FI, (NH.)z; Mo 0; FI, Ko; WO, FI, JR ma i risul- tati delle determinazioni di conducibilità elettrica dimostrano che l’acqua li decompone più o meno notevolmente, di modo che i numeri ottenuti hanno poco valore. PARB* i IRATESONI na E È TULA TORO Tute essi tao SOM ca Hue VODA — 383 — INDICE DEL VOLUME VI, SERIE 5°. — RENDICONTI 1897 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A Arvisi. V. Miolati. AmMpOLA e RimatoRI. « Sul comportamento crioscopico dell’ ortonitrofenol ». 31. AnGELI. « Sull’azione dell’ acido nitroso sopra la canforossima ». 26. ARZELÀ. « Sull’integrazione per serie ». 246; 290. AscoLI. « Sui magneti Jamin ». 61. — «Sul fattore smagnetizzante nei fasci e nei cilindri di ferro ». 129. B BaLBIano. « Sulla costituzione dell’acido canforico ». 3. BanaAL. « Sugli spazi a curvatura costante ». 324; 357. BERZOLARI. « Un’osservazione sull’ esten- sione dei teoremi di Eulero e Meusnier agli iperspazi ». 246; 283. BrroccHI. Presenta il volume degli Atti del 3° Congresso internazionale degli architetti, tenuto a Parigi. 280. BLASERNA (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 280; 350. — Comunica le lettere di ringraziamento dei Soci di nomina recente. 278. BLASERNA (Segretario). Presenta le pubbli- cazioni dei Soci: Boussinesq. 278; Coc- chi.350; Fergola.278; Pincherle.350; Riccò, Roiti. 278; Schiaparelli. 350; Taramelli, Todaro. 278. — e dei si- gnori: Ball. 278; Bashforth, Blasius. 350; Doneux, Le Jolis. 278. — Presenta il volume 7° delle Opere com- plete di Christiaan Huygens, il vol. 2° delle opere di G. Lejeune-Dirichlet, il 1° volume delle opere di J. Couch Adams, e una Commemorazione del Socio straniero Daubrée. 279. — Presenta due volumi pubblicati dalle Università di Upsala e di Lund, in oc- casione del 25° anniversario dell’assun- zione al trono del Re Oscar II. 350. — « Osservazioni relative al nuovo Osser- vatorio ed alla Stazione alpina sul Monte Rosa, ed ai lavori che si faranno in Sicilia per la misura della gravità ». 280. BrIoscHI. Annuncio della sua morte e sua commemorazione. 393. Brizi. « Etiologia della Malsania del Cory- lus Avellana L.». 227. Buscanioni. « Osservazioni sul Phillosiphon Arisari ». 46. — Sull’albume e sul sospensore dei Lu- pinus n. 269. — 384 — C CaLanpruccio. V. Grassi. CAMPETTI. « Sull’azione scaricatrice del- l’aria che è stata attraversata dai raggi X ». 43. Cantone e MicHeLuccr. « Influenza della trazione sulla torsione ». 191. CantonI G. Annuncio della sua morte. 57. CARRARA e Rossi. « Sopra l'energia di alcune basi a funzione mista ». 152. — « Conducibilità elettrica di alcune basi a funzione mista e dei loro cloridrati ». 208. — « Catalisi dell’acetato di metile per mezzo dei sali di alcune basi a fun- zione mista ». 219. CATTANEO. « Sul coefficiente di temperatura delle soluzioni di sali in mescolanze di alcool ed etere ». 89. D Darwin. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. De AnGELIS D’Ossat. «I dintorni di Ra- polano (Siena) ». 113. Di BoscoGranpE. « Sopra alcuni derivati del guaiacol ». 33. — «Due nuovi derivati del guaiacol ». 269; 306. Dini. « Una applicazione notevole della teoria dei residui nelle funzioni di variabili complesse ». 311. Durto. « Sulle leggi delle scosse musco- lari. Precedenti storici ». 81. — « Sulle leggi delle scosse muscolari. Nuove ricerche ». 100. F Fano. È eletto Corrispondente. 216. — Ringrazia. 278. FoLGHERAITER. « La magnetizzazione del- l’argilla colla cottura, in relazione colle ipotesi sulla fabbricazione del vasel- lame nero etrusco ». 368. G GaLkgoTTI. V. Lustig. Gaupry. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. Grassi. È eletto Socio nazionale. 216. Ip. e CaLanpRUCCcIO. « Ulteriori ricerche sulle metamorfosi dei Murenoidi ». 43. GucLieLMmo. « Sulla velocità molecolare dei liquidi e sulle sue variazioni per effetto della pressione ». 254. — Intorno ad un modo di diminuire note- volmente lo spazio nocivo nei termo- metri ad aria ». 292. — «Intorno ad alcune nuove forme di pompe di Sprengel e ad alcune forme semplici di tubi Rontgen ». 324. H HerpENHAIN. Annuncio della sua morte. 278. j HrLmert. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. k KronEcKER. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. L Lo Monaco. « Sulla formula di costituzione dell’ossisantonina ». 107. Ip. e Oppo. « Azione fisiologica dei clori- drati di dicanfanazina, dicanfanessana- zina e canferammina ». 147. Loria. « Evangelista Torricelli e la prima rettificazione di una curva ». 318. LusriG. « Risultati delle ricerche fatte in India sulla vaccinazione preventiva con- tro la peste bubbonica e sulla siero- terapia n. 282. Ip. e GaLkoTTI. « Sulla possibile trasmis- sione per eredità o per allattamento della immunità acquisita verso la peste bubbonica n. 238. — 385 — M MacnanINI e MaLAGNINI. « Sopra la condu- cibilità termica dei vapori rossi ». 22. Mayorana. « Sulle cariche elettrostatiche generate dai raggi catodici ». 16. — «Sulla velocità dei raggi catodici ». 66. — « Sulla riproduzione del diamante ». 141. MaracnINI. V. Magnamni. Mazzorto. « Sulla doppia rifrazione elet- trica del legno ». 22; 73. — «Larelazione di Maxwell fra le costanti elettriche del legno di abete ». 95. — « Sulla conduttività elettrica del legno d’abete ». 134. MepoLagHI. « Sopra alcuni invarianti pun- tuali delle equazioni alle derivate par- ziali del secondo ordive ». 247. — « Nuove ricerche sopra alcune invarianti puntuali delle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine ». 313. MresseDAGLIA. « Commemorazione del Pre- sidente. Brioschi ». 353. MicueLucci. V. Cantone. MiLLosevicH E. « Osservazioni della cometa Perrine (ottobre 16) ». 244. — « Osservazioni degli ultimi pianetini sco- perti fra Marte e Giove ». 311. MicLosevicH F. « Studio cristallografico di alcuni derivati del pirrodiazolo ». 337. MroLatI. « Preparazione del bicarbonato di carbonatotetramincobalto ». 344. Ip. e ALvISI. « Sopra il comportamento elet- trolitico di alcuni fluosali e fluossisali complessi ». 347; 876. Mosso Presenta una sua pubblicazione. 279. — « Notizie sulla costruzione del nuovo Osservatorio e della stazione alpina sul Monte Rosa ». 279. N Nasini. « Sopra alcune recenti leggi riguar- danti il volume molecolare dei liquidi». 17599 ICb 0 Oppo. V. Zo Monaco. RenpICONTI. 1897, Vol. VI, 2° Sem. P PaLazzo. « Risultati delle determinazioni magnetiche in Sicilia, e cenni sulle perturbazioni nelle isole vulcaniche e nei dintorni dell’ Etna ». 331. PeGLION. « L’Exobasidium vitis ». 35. — « Marciume radicale delle piantine di Tabacco, causato dalla 7hielavia ba- sicola Zopf. ». 52. — « Sopra un nuovo blastomicete, paras- sita del frutto del Nocciuolo ». 276. R Reina. « Sulla teoria delle proiezioni quan- titative ». 12. ReyE. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. RIGHI. « Sulla penetrazione delle onde elet- triche nello spazio racchiuso da una lamina metallica ». 59. — « Nuovo indicatore di onde elettriche ». 245. RimarorI. V. Ampola. RortI. « Sei raggi X esistano già nel fascio catodico che li produce ». 123. Rossi. V. Carrara. S ScumiEDbEBERG. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. ScHOENFLIES. «Sur les nombres transfinis de Mr. Veronese ». 318; 362. SeGRE. « Su alcuni punti singolari delle curve algebriche, e sulla linea para- bolica di una superficie ». 168. SELLA. « Ricerche sull’azione delle radia- zioni attive sulla natura della sca- rica». 184. SiLvesTRI. « La Scolopendra cingulata Latr., è ovipara ». 56 STEENSTRUP. Annuncio della sua morte. 57. StRANEo. « Sulla conducibilità termica del ghiaccio ». 262; 299. 50 — 386 — T TaccHini. « Sulle macchie, facole e protu- beranze solari osservate al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel 2° e 3° trimestre del 1897 ». 241. — «Il registratore sismico a doppia velo- cità in occasione del terremoto delle Marche del 21 settembre 1897 ». 243. — «Sulle Leonidi osservate nel mese di novembre 1897 ». 309. — «Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano durante il 2° e 8° trimestre del 1897 ». 310. Vv VERONESE. — « Sul postulato della con- tinuità ». 161. W WEBER. È eletto Socio straniero. 216. — Ringrazia. 278. Z Zunino. « Azione della potassa sull’epiclo- ridrina in presenza degli alcooli ». 348. — 387 — INDICE DELLE MATERIE A AstRONOMIA. Osservazioni della cometa Per- rine (ottobre 16). 4. Millosevich. 244. — Osservazioni degli ultimi pianetini sco- perti fra Marte e Giove. /d. 311. — Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2° e 3° trimestre del 1897. P. Tacchini. 241. — Sulle Leonidi osservate nel mese di novembre 1897. /d. 309. — Sulla distribuzione in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano, durante il 2° e 8° trimestre del 1897. /4. 310. B Boranica. Osservazioni sul Phyllosi- phon Arisari. £. Buscalioni. 46. C CrÙimica. Sull’azione dell’acido nitroso so- pra la canforossima. D. Angeli. 26. — Sulla costituzione dell’acido canforico. L. Balbiano. 3. — Sopra alcuni derivati del guaiacol. S. di Boscogrande. 33. — Due nuovi derivati del guaiacol. /d. 269; 306. — Sulla formula di costituzione dell’ossi- santonina. D. Lo Monaco. 107. — Azione fisiologica dei cloridrati di dican- fanazina, dicanfanessanazina e canfe- rammina. /d. e G. Oddo. 147. — Preparazione del bicarbonato di carbo- natotetramincobalto. A. Miolati. 344. CÒimica. Sopra il comportamento elettroli- tico di. alcuni fluosali e fluossisali com- plessi. /d. e U. Alvisi. 847; 376. — Azione della potassa sull’epicloridrina in presenza degli alcooli. V. Zunino. 348. Chimica-Fisica. Sopra l'energia di alcune basi a funzione mista. G. Carrara e U. Rossi. 152. — Conducibilità elettrica di alcune basi a funzione mista e dei loro cloridrati. Id. Id. 208. — Catalisi dell’acetato di metile per mezzo dei sali di alcune basi a funzione mista. /d. Id. 219. — opra la conducibilità termica dei vapori rossi. G. Magnanini e G.Malagnini. 22. — Sopra alcune recenti leggi riguardanti il volume molecolare dei liquidi. A. Va- sini. 175; 199. Commemorazione del Presidente Bri0- schi. 353. Concorsi a premi. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio Santoro pel 1896. 39. Corrispondenzarelativa al cambio degli Atti. 39; 86; 159; 216. CrISTALLOGRAFIA. Studio cristallografico di alcuni derivati del pirrodiazolo. F. Millosevich. 337. E Elezioni di Soci dell’Accademia. 216. F Fisica. Sui magneti Jamin. I. Ascola. 61. — Sul fattore smagnetizzante nei fasci e nei cilindri di ferro. /d. 129. — 388 — Fisica. Sull’azione scaricatrice dell’aria che è stata attraversata dai raggi X. A. Campetti. 43. — Influenza della trazione sulla torsione. M. Cantone ed E. Michelucci. 191. — Sul coefficiente di temperatura delle soluzioni di sali in mescolanze di alcool ed etere. C. Cattaneo. 89. — La magnetizzazione dell'argilla colla cottura, in relazione colle ipotesi sulla fabbricazione del vasellame nero etru- sco. G. Folgheraiter. 368. — Sulla velocità molecolare dei liquidi e sulle sue variazioni per effetto della pressione. C. Guglielmo. 254. — Intorno ad un modo di diminuire note- volmente lo spazio nocivo nei termo- metri ad aria. /d. 292. — Intorno ad alcune nuove forme di pompe di Sprengel e ad alcune forme sem- plici di tubi Rontgen. /d. 324. — Sulle cariche elettrostatiche generate dai raggi catodici. Q. Majorana. 16. — Sulla velocità dei raggi catodici. /d. 66. — Sulla riproduzione del diamante. /d. 141. — Sulla doppia rifrazione elettrica del le- gno. D. Mazzotto. 22; 73. — La relazione di Maxwell fra le costanti elettriche del legno di abete. Id. 95. — Sulla conduttività elettrica del legno d’abete. /d. 134. -- Sulla penetrazione de'le onde elettriche nello spazio racchiuso da una lamina metallica. A. Righi. 59. — Nuovo indicatore di onde elettriche. Id. 245. — Se i raggi X esistano già nel fascio catodico che li produce. A. Roiti. 123. — Ricerche sull’azione delle radiazioni at- tive sulla natura della scarica. A. Sella. 184. — Sulla conducibilità termica del ghiaccio. P. Straneo. 262; 299. FISICA TERRESTRE. Osservazioni relative al nuovo Osservatorio ed alla stazione alpina sul Monte Rosa, ed ai lavori che si faranno in Sicilia per la misura della gravità. P. Blaserna. 280. Fisica TERRESTRE. Notizie sulla costru- zione del nuovo Osservatorio e della stazione alpina sul Monte Rosa. A. Mosso. 279. — Risultati delle determinazioni magneti- che in Sicilia, e cenni sulle perturba- zioni nelle isole vulcaniche e nei din- torni dell’ Etna. L. Palazzo. 331. — Il registratore sismico a doppia velocità in occasione del terremoto delle Mar- che del 21 settembre 1897. P. Z'ac- chini. 243. FisroLogia. Sulle leggi delle scosse musco- lari. Precedenti storici. U. Dutto. 81. — Sulle leggi delle scosse muscolari. Nuo- ve ricerche. /d. 100. G GroLogra. I dintorni di Rapolano (Siena). G. De Angelis d’ Ossat. 113. I IsroLociA veGETALE. Sull’albume e sul so- spensore dei Lupinus. ZL. Busca- lioni. 269. M MATEMATICA. Sull’integrazione per serie C. Arzelà. 246; 290. — Sugli spazî a curvatura costante. A. Ba- nal. 324; 357. — Un’osservazione sull’estensione dei teo- remi di Eulero e Meusnier agli iper- spazi. ZL. Berzolari. 246; 283. — Una applicazione notevole della teoria dei residui nelle funzioni di variabili complesse. UV. Dini. 311. — Evangelista Torricelli e la prima ret- tificazione di una curva. G. Loria. 818. — Sopra alcuni invarianti puntuali delle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine. P. Medolaghi. 247. — Nuove ricerche sopra alcuni invarianti puntuali delle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine. /d. 313. — 389 — MatEMmaTICA. Sulla teoria delle proiezioni quantitative. V. Reina. 12. — Sur les nombres transfinis de Mr. Ve- ronese. A. Schoenfies. 318; 362. — Su alcuni punti singolari delle curve algebriche, e sulla linea parabolica di una superficie. C. Segre. 168. - Sul postulato della continuità. G. Vero- nese. 161. N NecRoLOogIE. Annuncio della morte dei Soci: Cantoni G., Steenstrup.57; Heidenhain 278; Brioschi. 353. P PatoLOoGIA. Risultati delle ricerche fatte in India sulla vaccinazione preventiva contro la peste bubbonica e sulla sie- roterapia. A. Lustig. 232. ParoLogra. Sulla possibile trasmissione per eredità o per allattamento della im- munità acquisita verso la peste bub- bonica. Id. e G. Galeotti. 238. PATOLOGIA vEGETALE. Istologia della Mal- sania del Corylus Avellana L. U. Brizi. 227. — L’Exobasidium vitis. V. Peglion. 35. — Marciume radicale delle piantine di ta- bacco, causato dalla Thielavia ba- sicola Zopf. Id. 52. — Sopra un nuovo blastomicete, parassita del frutto del nocciolo. /d. 276. Z ZooLogia. Ulteriori ricerche sulle meta- morfosi dei Murenoidi. G. B. Grassi e S. Calandruccio. 43. — La Scolopendra cingulata Latr. è ovipara. F. Silvestri. 56. sei glad AI e pi gdo aragoste "MdA DIR fi; CAPANNA AA TIZIONO) ‘MIO si «Lab 'allshesizo tota pane dl È AEEIARRATAII ira SI) pd. PA (NOA QU At EI uti isp dr (ai e 1 SLI VISA IT RITA >. AR RENEE Fede 1 3 TEMI RA a aree A du tana trono Mali dim a tt VEC cei lean; dol TRA MRO * DO 1 Si (CA ii co ST litedlà ghe et BILE RRENA LR ni ; vata i; GAS CAMBIA: È i ni d fatta MIRA TE shork vi EA MICI - \ LAO IRE Min «m i Rpg Arte ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. oz SIE; BBEN: "TA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume VI. — Fascicolo 1° | I 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 4 luglio 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE TR Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. I È è | sr nb RIT "salt x n Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE delia Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3: — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (a, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — ReNpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 52 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fase. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 8° e 4°, MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £0; per ghi altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Luglio 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 4 luglio 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Balbiano. Sulla costituzione dell’ acido canforico .. . . TR on Reina. Sulla teoria delle proiezioni quantitative (pres. dal su. di) CERO ” Majorana. Sulle cariche elettrostatiche generate dai raggi catodici (pres. dall Socio Riario 5) Mazzotto. Sulla doppia rifrazione elettrica del legno (pres. dal Corrisp. Naccar?) (8). . » Magnonini e Malagnini. Sopra la conducibilità termica dei vapori rossi (pres. dal Socio de MICI) NO 5 \ i a DIE SCR CS SARRERCA Angeli. Sull' azione dell ui so sopra di rissa i 10). BE Ampola e Rimatori. Sul comportamento erioscopico dell’ ortonitrofenol (pres. dal Socio Paternò) SIR ; ROME TRO I SR” Boscogrande. Sopra fio Stan del A io Td) Re n Peglion. L' Exobasidium vitis (pres. dal Corrisp. Pirotta) MR) CONCORSI A PREMI Elenco dei lavori presentati al concorso al premio Santoro scaduto il 30 giugno 1896.» CORRISPONDENZA Corrispondenza srelativa fa lNcambrofdeglh Atti MRO Re BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 39 Dl gl DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. 189% STERERIERERÌ QUINN LA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volu:nve VI. — Fascicolo 2° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 18 luglio 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI TSI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Uol 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- sìiche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente. dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da. estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. 1 5 i ET n Pubblicazioni della R. Aecademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delia Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali. 8* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche VOlELVeRVocVISeViIt VEIL Serie 3* — TransuntTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — HII-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 3° e 4°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HoeeLi. — Milano, Pisa e Napo. RENDICONTI — Luglio 1897. INDICE Classe di scienze fisibhe, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 18 luglio 1897. MEMORIE K NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Grassi e Calandruccio. Ulteriori ricerche sulle inetamorfosi dei Murenoidi . . . . . Pag. 43 Campetti. Sull'azione scaricatrice dell'aria che è stata attraversata dai raggi X (pres. dal Corrisp. Maccari) ; ”» » Buscalioni. Osservazioni sul Phyllosiphon Arisari (pres. dal Corrisp. Pirotta) . . » 46 Peglion. Marciume radicale delle piantine di Tabacco, causato dalla Thielavia basicola Zopf (pres. Mii e VEC, ET Silvestri. La Scolopendra cingulata, Latr., è ovipara (pres. dal Corrisp. Grassi) . » 56 PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio nazionale Giovanni Cantoni e del Socio straniero G. G. S. ISTOCASIRUDI A SS o Ra » 57 AT'RI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. SDA SERE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume VI.: —_ Fascicolo 8° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’Accademia prima del 1° agosto 1897. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1397 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie queta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia in sunto 0 in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. ‘ 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche VOISSENNAEVISSVIIS VEDI Serle 3 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 3°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 3° e 4°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napo. RENDICONTI — Agosto 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 1° agosto 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Righi. Sulla non penetrazione delle onde elettriche nello spazio racchiuso da una lamina me- Tallica. ne AR e DI e O O I SERENO o Ascol Sulimagnentgamini(presidal® Socio /a5e770 Ro Majorana. Sullarvelocitàdeltraggilcatodici (pres. VO) ONOR Mazzotto. Sulla doppia rifrazione elettrica del legno (pres. dal Corrisp. Naccari). . . . » Dutto. Sulle leggi delle scosse muscolari. Precedenti storici (pres. dal Socio Zucian?) . . » CORRISPONDENZA Corrispondenza relativalalicambio (deli ARR eee: BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 59 6l 66 13 81 86 oli DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. 1597 SEE O, UBEN TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 15 agosto 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI Volume VI.° — Fascicolo 4° 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Je Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica. nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE dela Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche VolESRVaiV0 VI VITSVEL: Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — ReNpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 5° e 6°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della A. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : "2.200 Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Agosto 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 15 agosto 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Cattaneo. Sul coefficiente di temperatura delle soluzioni di sali in mescolanze di alcool ed etere (pres. dal Socio Blaserna) . . i... . MI rn Mazzotto. La relazione di Maxwell fra le costanti elettriche del legno d’abete (pres. dal Corrispi Naccari)i ae OE I E RE OO o) Dutto. Sulle leggi delle scosse muscolari. Nuove ricerche (pres. dal Socio Zucian?) . . . n 100 Zo Monaco. Sulla formula di costituzione dell’ossisantonina (pres /d.). <.<... ++» 107 De Angelis d’Ossat. I dintorni di Rapolano (Siena) (pres. dal Socio Capellini). . . . . » 113 dl dl REALE ACCADEMIA DEI LINCKI ANNO CCXCIV. ISS SE QUIYUPEN LA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume Vi. — Fascicolo 5° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 5 settembre 1897. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro: posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie în più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. i 2° MEMORIE delta Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VIL VIII Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84) MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — II-XIX. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologeche Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 5°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 5° e 6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE. MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1897. MNSD'ICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 5 settembre 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Roiti. Se i raggi X esistano già nel fascio catodico che li produce . . . ...... + Pag. Ascoli. Sul fattore smagnetizzante nei fasci è nei cilindri di ferro (pres. dal Socio Blaserza) » Mazzotto. Sulla conduttività elettrica del legno d'abete (pres. dal Socio Naccar?), . . . » Majorana. Sulla riproduzione del diamante (pres. dal Socio Blaserna) . /./0/.0/0.0 Lo Monaco e Oddo. Azione fisiologica dei eloridrati di dicanfanazina, dicanfanessanazina e canferammimna: (pres. dalUSocio 224000 VOI, EE Carrara e Rossi. Sopra l’energia di alcune basi a funzione mista (pres. dal Corrisp. Was) » CORRISPONDENZA Corrispondenza; relativaltal'icambio; degli VAI: CRAC o BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 123 129 134 141 147 152 159 4 DITE REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXGCIV. 1597 SHRIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume VI. — Fascicolo 6° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del A9 settembre 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VII. Serie 3 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 6°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 5° e 6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napokh. co “.l. all Ascalimia prima del 19 settembre 1897. RA È nu he “sont E NOrE oi 0) PRESENTATE DA SOCI i. I s U pi) ui sw zona . Pag. 161 1 e sero, e sell nea parola di na : dt. . RAMO w irene n LS i i le scarica (pres. del Seo po . SIR to RI I A Ti) ia Aa REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCXCIV. ISS SEE EC) Ullery IA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volunie VI. — Fascicolo 7° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 3 ottobre 1897. ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme ‘seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro* priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in-seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, «Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. «Serie 3° — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — INI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. «Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 7°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 5° e 6°. MemMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della E. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. #9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Ottobre 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 3 Ottobre 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Nasini. Sopra alcune recenti leggi riguardanti il volume molecolare dei liquidi. . . Pag. Carrara e Rossi. Conducibilità elettrica di alcune basi a funzione mista e dei loro clori- drati (pres.dal'Corrispi Nas) RR o ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomine dei signori: Grassi Giov. Battista a Socio nazionale; Fano Giulio a Corrispondente; Weder Enrico, Reye Teodoro, Darwin Giorgio Howard, Helmert Federico Roberto, Gaudry Alberto, Kronecker Ugo e Schmiedeberg Osvaldo a Socîì stranieri... ....» CORRISPONDENZA Corrispondenza relativatal“cambioNdes]1WA tti IRR RE E e o BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 199: 208. 216 0 REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO GCXCIV. 1897 ssphuseg dee OIBUREEN: TA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume VI. — Fascicolo 8° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 17 ottobre 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia der Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. tti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. erie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VII. Serie 3 — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — RenpIcoONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 8°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fase. 5° e 6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della AR. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Horpri. — Milano, Pisa e Napo. s dC Se aes Ù Nn Fe: RENDICONT PT — Ottobre. 1897. / 3 i sei: Eu di, Pro di IDICE. == sac Pene Rin i pi Classe di scienze Astche, mavimatioi () naturali. — | go, Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima dol . ro I Liga, sr i Du, Risultati delle ricerche fatte in India sulla vaccinazione e pani contr bonica e sulla sieroterapia (pres. dal sn Bizzozero) . i Lustig e Galeotti. Sulla possibile trasmissione per eredità 0 per. acquisita verso la peste bubbonica (pres. uf: E EE \y rr ee. ATUIFI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CEXCIV. 1897 SEE DIUREN TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 novembre 1897. Volume VI. — Fascicolo 9° 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE il Col 1892 si è iniziata la Serze quarta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci e da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un rumero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori. Pi) Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3? MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3- — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-34). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 9°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 7° e 8°. MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-V. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della fr. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscaer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Novembre 1897. INDICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del ? novembre 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Col- legio Romano nel 2° e.8° trimestre del 1897. . . . . . Pag. Id. Il registratore sismico a doppia velocità in occasione del Ano dall Litunto del 21 settembge 1897. . . . . IE e SD Millosevich. O vervazioni della O, Persi. (io 16). a n Righi. Nuovo indicatore di onde elettriche . . . . Ra Arzelà. Sull’integrazione per serie (pres. dal Corrisp. ono © VR VAI IVO, AIA) Berzolar:i. Un’osservazione sull’estensione dei teoremi di Eulero e Meusnier agli iperspazii (pres.daliiSocio eran) O : » Medolaghi. Sopra alcuni invarianti puntuali delle equazioni He deritato ini del si ordine (pres. dal Socio Cerruti). . . . 3 ) » Guglielmo. Sulla velocità molecolare dei linai e Qu sue variazioni per effetto della pres- sione (pres. dal Socio Blaserna). . . ; A) Straneo. Sulla conducibilità termica del glio 5 dal oi Foe): BORE Palazzo. Risultati delle determinazioni magnetiche in Sicilia, e cenni sulle perturbazioni nelle isole vulcaniche e nei dintorni dell'Etna (pres. dal Socio Tacchini) ©). 0/0.» Di Boscogrande. Due nuovi derivati del guaiacol (pres. dal Socio Paternò) (8)... 00» Buscalioni. Sull’albume e sul sospensore dei Lupinus (pres. dal Corrisp. Perotta) . . » Peglion. Sopra un nuovo blastomicete, parassita del frutto del Nocciuolo (pres. /d.), . . » PERSONALE ACCADEMICO Brioschi (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero Rodolfo Heidenham. » Blaserna (Segretario). Dà comunicazione delle lettere di ringraziamento, per la loro recente nomina, inviate dal Corrisp. Giulio Fano, e dai Soci stranieri: Darwin Howard, Gaudry, Helment, Rronecker WReyeSchmiedeber Meter ERO E) PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dai Soci Mergola, Taramelli, Todaro, Roiti, Ricco, Boussinesg; e dai signori Doneua, Le Jolis, Ball. Presenta inoltre il vol. 7° delle Opere complete di Christiaan Huygens ; il vol. 2° delle opere di &. Lejeune Dirichlet; il primo volume delle opere di J. Couch Adams e infine una Commemorazione del Socio straniero A. Daubrée . . ....» Mosso. Presenta la sua pubblicazione: « Fisiologia dell’uomo sulle Alpi » e dà alcune notizie sulla costruzione del nuovo Osservatorio e della Stazione alpina sul Monte Rosa...» Blaserna. Aggiunge alcune osservazioni alla comunicazione precedente, e parla delle misure sulla gravità terrestre che saranno eseguite dal Corrisp. Acco e dal dott. Palazzo. » Betocchi. Presenta il volume degli Atti del 3° Congresso internazionale degli architetti . . » CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. . . . >» BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. a er REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIV. 22.77 SEEN O, UsEeN? IE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume V!. — Fascicolo 10° 2° SEMESTRE Seduta del 2A novembre 1897. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell° Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa‘a carico degli autori. I Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1% — Atti dell’Accaderma pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delva Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche. Volvo Vo VI. VII. VIIE Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. XIII Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 9° e 10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MEMORIE: della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE Al RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. #90; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Wrrico Horprri. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Novembre 1897. UNDICI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 novembre 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Berzolari. Un’osservazione sull’estensione dei teoremi di Eulero e Meusnier agli iperspazii (pres, dal Socio. Beltran) gt 0 RE RO LO A o Arzelà. Sull’integrazione per serie (pres. dal Corrisp. Volterra). . /./ 0/00. 0 Guglielmo. Intorno ad un modo di diminuire notevolmente lo spazio nocivo nei termometri ad..aria, (pres. dal-Soc10BIAS2R70)\ 1 VR RE Re ANNA Straneo. Sulla conducibilità termica del ghiaccio secondo differenti direzioni (pres. dal Corrisp. Favero) in a MER EIA OO SARE E OR IAS AO AIN Di Boscogrande. Due nuovi derivati del suajacol (pres. dal Socio Paternò). . . /.° 0.» 288 290 292 299 306 o REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CEXCIV 159 SEDE QIRETN TT A - RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 dicembre 1897. Volume VI. — Fascicolo 11° 2° SEMESTRE ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE iÈ Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa: della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI s 22 MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIIL Serie 3* — TransuntTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — IN-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fase. 11°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VI. (1892-97) Fasc. 9° e 10°. — MEmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I MemoORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendicovti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. l'Lrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napol:. RENDICONTI — Dicembre 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 dicembre 1897. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle Leonidi osservate nel mese di Novembre 1897... ........ Pag Id. Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Col- legio Romano durante il 2° e 8° trimestre del 1897... . . SMR, Dini. Una applicazione notevole della teoria dei residui nelle funzioni di ‘variabili ct 7 ” Millosevich. Osservazioni degli ultimi pianetini scoperti fra Marte e Giove... . ” Medolaghi. Nuove ricerche sopra alcuni invarianti puntuali delle equazioni alle derivate par- ziali del secondo ordine (pres. dal Sotio Cerruti) . . Rei) Schoenflies. Sur les nombres transfinis de.Mr. Veronese (pres. a nome sua Socio or ... (45) » Loria. Evangelista Torricelli e la prima rettificazione di una curva (pres. /d.) ././ 0. » Banal. Sugli spazii a curvatura costante (pres. dal Socio Beltrami) (8). . . x...» Guglielmo. Intorno ad alcune nuove forme di pompe di Si e ad alcune forme semplici di tubi Rontgen (pres. dal Socio Blaserna). . . Reino) Palazzo. Risultati delle determinazioni magnetiche in Sicilia, e cenni dn port nelle isole vulcaniche e nei dintorni dell'Etna (pres. dal Socio Z'acchimi) . . . . ” Millosevich F.Studio cristallografico di alcuni derivati del pirrodiazolo (pres. dal Socio Street » Miolati. Preparazione del bicarbonato di carbonatotetramincobalto (pres. dal Socio Canniz24r0) » Id. e Alvisi. Sopra il comportamento elettrolitico di alcuni fluosali e fluossisali complessi (Prestine i . STA Zunino. Azione della potassa ill'epiott a in nola, degli leoni Ci i Socio Paternò) ...» BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi, delle Memorie. (**) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. 350) SARTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI MNNOCCECNSSIV. 1897 Stab Er, UBEN "TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 dicembre 1897. Volume VI. — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1897 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il avoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. s6 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accadema pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2% MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche NOISE IVEOVi VISSVIE VILLE Serie 3* — TransontI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. (1892-97) 2° Sem. Fasc. 12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VI. (1892-97) Fase. 9° e 10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IV. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINOFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Dicembre 1897. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 dicembre 1897. Messedaglia (Vicepresidente). Annuncio della morte e Commemorazione del Presidente del- 1VAlccademia ‘ArancescOMBNIOSChi °° NS OSIO AA ANT E PT ERI ac) Monaci (Segretario). Dà comunicazione dei telegrammi e delle lettere di condoglianza inviate all'AGcademia*dal/fSocitetda Istituti scie Oo MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute alla Presidenza per la seduta del 19 dicembre 1897. Banal. Sugli spazii a curvatura costante (pres. dal Socio Beltrami). . . . ... + Pag Schoenflies. Sur les nombres transfinis de Mr. Veronese (pres. a nome del Socio Cremona) . » FRolgheraiter. La magnetizzazione dell'argilla colla cottura in relazione colle ipotesi sulla fab- bricazione del vasellame nero etrusco (pres. dal Socio Blaserna) . . ./ 0.» Miolati e Alvisi. Sopra il comportamento elettrolitico di alcuni fluosali e fluossisali com- plessi. (pres'idaliSocio NOZ220220#0) 0 ARM I Indice del''vol: VI, (2% semafi89ti e 400 E OR I RT, 308 395 357 362 368 876 388 su) } l TAO Kos Î Î MI} | i | | } MAMMA 088 01356 863