r ù nei: SICURE AIA A ni n EZRA ba “ dò dieta remi ch E ES IATA nta pr voi ee ro Rita ina e cnc can Der Ai DE ie ie ra ritira gr 4, È nonni SITA za cino nene la - rien inn Lear segna ta 2: di = air rette AUPES "i ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 590) SERIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME IX. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 vai di CRI n RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI AS Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7? gennaio 1900. Presidenza del Socio anziano A. BETOCCHI. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2° e 3° trimestre del 1899. Nota del Socio P. TACCHINI. Dalle latitudini calcolate per 286 protuberanze, per 202 gruppi di fa- cole e 33 gruppi di macchie ho ricavato le seguenti cifre per la frequenza relativa dei diversi fenomeni nelle diverse zone al nord e al sud dell'equatore solare. 20 trimestre 1899 30 trimestre 1899 Latitudine AIR ì Protuberanze Facole | Macchie Protuberanze | Facole Macchie 90-80 |0,026 0,006 80+ 70 |0,018 0,017 70+60 |0,018 0,017 60+50 |0,061 0,006 50+ 40 |0,061/0,237|0,000 0,058 0,313|0,031) 40+ 80 [0,009 0,007 0,041, 0.059) 30 +20 |0,000 0,035)0,431 0,046 0,0880497 20+10 |0,085 0,125 0,050) 0,064 0,1 s) 0,000) ,985 10. 0 |0,009 0,264 0,200; 250 0,058 0,160 0O35A 0-10 |0,053 0,257 0,3500.750 0.070 0,171 0,294) 0,765 10 — 20 |0,088 0,173 0,400)” (0,098 0,150 0,471 20 _ 30 da 0,090\0,569 0,105 0,1040503 30—40 |0,097, 0,042 0,145 0,078 40— 50 |0,175,0,763 0,007 0,19270,687/0,000" 50— 60 [0,061 0,058 60— 70 |0,044 0,012 70— 80 |0,079 0,012 80— 90 10,035 0,000 e gia: Tutti i fenomeni solari furono dunque più frequenti nelle zone australi. Le protuberanze figurano in quasi tutte le zone col massimo di frequenza nella zona (—40° — 50°) in ciascun trimestre; le facole sono contenute entro i paralleli + 50° e — 50° col loro massimo intorno all’ equatore; le macchie infine sono limitate alla zona equatoriale (0 = 20°) come nei precedenti tri- mestri e col massimo nella zona (— 10° — 20°) come nella precedente serie, cioè nel 1° trimestre dell’anno. Botanica. — Osservazioni sulla Biologia del Tartufo giallo (Terfezia Leonis Tul.). Nota preventiva del Corrispondente prof. R. PrrortA e del dott. Augusto ALBINI. È hen noto oramai a tutti essere opinione antica e popolare che i Tar- tuti e le altre Tuberacee nascono sulle radici degli alberi o almeno che le radici degli alberi — di speciali alberi o piante legnose — siano le nutrici dei tuberi. Tuttavia si è ben lungi dall’ aver dimostrato, per tutti i Tartufi, che questa opinione ha fondamento in un fatto scientificamente assodato ; perchè, in verità, pochissimi sono i casi, nei quali i rapporti fra il tubero del Tartufo e le radici della pianta superiore sia stato osservato e constatato. Il primo che stabilì i veri rapporti, con osservazioni accurate e confer- mate più tardi, fu Boudier nel 1876. Egli trovò che in certi Z/aphomyces la fossetta, nella quale è incassato il fungo, è tappezzata da un fitto reticolo di radicelle degli alberi circostanti, modificate nella loro costituzione e nel modo di ramificazione ed invase all'esterno da filamenti micelici del tubero, che si trovano anche nel terriccio circondante la rete delle radici. Osservò pure che nel terreno si trovano dei piccoli gruppetti di queste radicelle, che rap- presentano forse la culla, nella quale si sviluppano più tardi nuovi tuberi. Parecchio tempo dopo, nel 1880, e meglio nel 1885, la questione fu ripresa da Max Rees, il quale con maggiori particolari e più accurate osser- vazioni confermò i rapporti fra il tubercolo e le radici degli alberi, stabi- lendo non esservi dubbio alcuno che la massa dei tessuti del ricettacolo spo- rifero dell’ E/aphomyces granulatus e la guaina di micelio che avvolge la radice dei Pini, appartengono allo stesso fungo. Nel 1886 B. Frank afferma, per il primo, di aver osservato un rapporto diretto, cioè unione, tra il micelio che avvolge a modo di guaina la radice di certe Cupulifere ed il tubero dei veri Tartufi. E Max Rees insieme a C. Fisch, nel 1887, espone con maggiori particolari i risultati ottenuti prima e dopo le sue precedenti pubblicazioni. Trova che negli Z/aphomyces i ricettacoli maturi sono avvolti da un rivestimento reticolato di radici di piante arboree, che questo involucro è fatto da un intreccio di radici vive e morte, granelli di sabbia e pezzetti di varie sostanze tra loro tenuti insieme » — ID da ife miceliche, e che il micelio è distribuito nel terreno, dove forma anche sottili cordoncini, uniti coi giovanissimi ricettacoli. Nello stesso anno 1887 O. Mattirolo, quantunque non abbia potuto esat- tamente seguire sotto al microscopio i filamenti micelici in tutto il tragitto dalle radici al ricettacolo sporifero o tubero, stabiliva tuttavia da una parte i rapporti dei fasci rizomorfici coi tessuti del ricettacolo dei veri Tartufi (Luber), dalla escavazione basale dei quali (p. es. nel 7uber exrcavatum Vitt., 7. lapideum Vitt. etc.) parte il micelio a fasci per diffondersi nel terreno, e dall'altro lato la continuità di questi fasci scorrenti nel suolo col micelii periradicali, colle radici quindi degli alberi, che stanno in vicinanza dei tuberi. Egli stabiliva dunque per i 7uber rapporti analoghi a quelli constatati da Boudier e da Rees per gli Z/aphomyces. Sono questi i soli due casi, ben studiati, finora noti di rapporti certi fra i ricettacoli delle Tuberacee e le radici di piante più elevate, di Fanero- game gimnosperme o angiosperme. Noi possiamo aggiungere ora un terzo caso molto istruttivo ed interes- sante, anche per alcuni fatti che ci sembrano muovi. Si tratta della 7’er/esza Leonis Tul., o tartufo giallo. una Tuberacea che appartiene ad un gruppo diverso e da quello dei Tartufi propriamente detti e da quello degli £/a- phomyces, benchè molto più affine a questi ultimi, che ai primi. Noi abbiamo trovato fin dal 1895 in una località non lontana da Porto d'Anzio una nuova stazione del Tartufo giallo e da allora ci siamo occupati con cura della sua biologia. Benchè i risultati delle nostre osservazioni e ricerche non siano ancora tali da permetterci di offrire completissimo, come noi desidereremmo, il ciclo biologico del fungo. tuttavia ci permettono di tracciarlo nettamente in questa comunicazione preventiva, riserbando al la- voro per esteso, che comparirà fra non molto nell'Annuario del R. Istituto botanico di Roma, la esposizione particolareggiata di tutti i fatti da noi osser- vati in questi cinque anni intorno al detto fungo ipogeo. Il terreno dove noi abbiamo trovata la Z'er/ezia è sabbioso, ma abba stanza compatto; non è coperto da vegetazione legnosa, arborea od arbustiva, ma vi crescono abbondantemente le erbe. Fra di esse non manca mai, di solito in gruppi di parecchi, molti o moltissimi individui, il comunissimo Helianthemum guttatum Mill. e precisamente la varietà ‘nconspicuum Th. I tuberi della Zeryezia non si trovano che dove vive questa varietà del- l'Melionthemum suddetto. Il che era ben noto anche prima che i botanici sì occupassero dello studio biologico dei Tartufi e dei Funghi ipogei in genere. La erfezia Leonis è forse il tartufo più anticamente conosciuto e pel quale da lunghissimo tempo si hanno indicazioni circa i rapporti con una fanero- gama ospite. Clusius, Dalechamps, Bahuinus ed altri anche più antichi lascia- rono infatti scritto, che in parecchi luoghi gli Z/elianthemum sono chiamati dagli abitanti con nomi che richiamano l'idea che la loro presenza fa cono- Sg scere il posto dove sono i Tartufi, ed una specie di questo genere di Fane- rogame ha anche oggidì il nome di 7uberarza. Facendo un salto dai tempi antichi a quelli recentissimi, ricorderemo che Chatin in una serie di lavori sulle 7erfezie e in una specie di inchiesta istituita in questi ultimi anni sulla loro distribuzione geografica e sul loro habitat, conferma pienamente l'opinione popolare riportata e ripetuta dagli scrittori antichi e moderni, che i tuberi della 7er/ezia nascono dove cre- scono individui appartenenti a specie del genere Melianthemum (e forse anche di Czstus ad essi molto affini), i quali ricevono i nomi volgari di pro- duttori di tartufi, nutrici di tartufi. Per la Terfezia Leonis poi ha potuto stabilire, che in tutte le numerose località dalle quali egli l’ha avuta (Italia meridionale, sue grandi isole, Marocco, Algeria, Tunisi, Smirne, Cipro ecc.) cresce sul soprasuolo l’el7anthemum guttatum e precisamente la sua varietà. Ma queste constatazioni, anche recentissime, nulla dicono intorno ai rapporti possibili tra gli Mel:anthemum e la Terfezia. Con lunghe ed accurate ricerche noi abbiamo potuto stabilire, che l'epoca della comparsa e della scomparsa del tubero della 7erfezia, e la sua durata è in rapporto diretto con l'epoca della comparsa, della scomparsa e colla durata in vita dell'Zelzanthemum, che è pianta erbacea annuale. Se infatti verso la fine di marzo si scava con cura il terreno in vicinanza dei cespuglietti dell’ elzanthemum, che sono da poco formati ed hanno le loro rosette di foglie di un bel verde distese sul terreno, non si trovano ancora tuberi di 7erfezia. Se però si ricerca con cura nello stesso terreno, ad una certa profondità dal livello del suolo, variabile dagli 8 ai 20 cm., si riscontrano, costantemente sotto le piante di Ze/zanthemum, dei corpi cilin- droidi, brevi o lunghi (da 4 a 12 cm.), grossi da 1-2 cm., diritti o più o meno ricurvi o come tubercoluti o distintamente ramificati, del colore della sabbia stessa, e che sembrano fatti da sabbia più compatta, come certe sorta di concrezioni ben note altrove. Questi corp: speciali sono abbastanza duri, ma specialmente quando sono secchi, anche fragili, e rompendosi lasciano vedere, che oltre alla sabbia vi è in essi una specie di scheletro reticolato o fascicolato, nel quale si riconoscono facilmente sottili radici. In un epoca un po più avanzata. quando l'Z/elianthemum è molto più sviluppato, negli stessi luoghi, ma a minore profondità, e talora anche affio- ranti al suolo, si trovano i tuberi della 7erfezia. Se allora con molta cura sì smuove il terreno attorno ad essi, si osserva che i tuberi medesimi sono sempre attaccati alla estremità superiore dei corpi speciali poco sopra descritti i quali, se sono ramificati, possono portare altri tuberi alla estremità dei rami. Più tardi ancora, verso i primi di giugno, quando la parte soprasuolo della pianta dell'//el:anthemum, volge oramai al secco, rarissimi si riscon- trano i tuberi della 7erfezia, perchè essi sono in gran parte scomparsi. Nel terreno però, dove essi stavano, restano ancora i corpi speciali sopra descritti, Sr i quali vi si riscontrano più o meno frequenti anche durante il periodo, che corre dall'epoca del disseccamento totale a quello della ricomparsa delle pianticelle di Helzanthemum, cioè dalla metà di giugno fino verso i primi di aprile, vale a dire durante il periodo in cui manca l’Helianthemum e nel quale i tuberi non si trovano. Fino dal 1851 R. C. Tulasne aveva scritto, e per la Z'erfesia Leonis e per le Zerfezia in generale, che spesso la base del ricettacolo sporifero o tubero porta una protuberanza ottusa, e lo ripeterono Frank, Fischer ed altri; ma tutti ritengono si tratti dell'impianto del tubero sul micelio (particola- rità frequente in altre Tuberacee) e nulla dicono del corpo speciale da noi descritto, che ci sembra sia sfuggito fino ad ora alle ricerche dei botanici che fecero soggetto di loro studio la biologia delle Tuberacee. Estraendo dal terreno i tubercoli della 7erfezia insieme al corpo che li sostiene, si asportano anche alcune piantine di Zelianthemum, le quali colle loro radici aderiscono tanto alla parte esterna inferiore del ricettacolo, quanto, e più specialmente, al corpo di sostegno del ricettacolo stesso. L'esame del corpo speciale ci mostra, che esso è costituito da numerose radici fine e ramificate e da abbondanti filamenti micelici spesso riuniti in fascio o cordoncino, che intrecciandosi insieme formano come un reticolo, le cui maglie trattengono, allacciano, conglutinano per così dire le particelle del terreno. Alla superficie si trovano numerosi fili, che sono in maggioranza radici. Di esse alcune si vedono in diretta continuazione con quelle che par- tono dalle vicine piante di Z/elianthemum guitatum, e ad ogni modo lo studio comparativo ci ha dimostrato che esse appartengono sempre @ questa mede- sima pianta. Seguendo poi con cura i filamenti micelici che si trovano nel corpo speciale, si può facilmente convincersi, che da una parte essi si staccano dalla base del ricettacolo della Terfezia Zeonis, col quale sono in diretta continuazione, e quindi dal punto in cui questo ricettacolo si stacca dal corpo speciale, dall’ altra percorrono in ogni senso il corpo speciale medesimo e si dirigono sulle radici dell’ /7elzanthemum coinvolte nella sua costituzione. Però specialmente dalle diverse parti della superficie del corpo speciale (ed anche dalla base del ricettacolo) i fili del micelio si vedono penetrare nel terreno, nel quale o circolano liberi, ovvero arrivando in contatto con gio- vani radici di Melianthemum, vi si addossano, vi scorrono sopra ed anche vi penetrano, costituendo i così detti micelii periradicali, dei quali diremo particolareggiatamente nel lavoro per esteso. I fili micelici, che si vedono attaccati al ricettacolo della Zer/ezza e che sono in diretta continuazione col suo interno, quelli che percorrono il corpo speciale, quelli che scorrono nel terreno e quelli infine che corrono sopra e per entro alle radici dell’Helianthemum, e la continuità organica dei quali noi abbiamo potuto ben constatare, sono eguali nella forma, nelle dimen- sioni, nella struttura, nel colorito. Sal A noi sembra pertanto di avere nettamente stabilito, che anche nella Terfezia Leonis, come negli Maphomyces e nei Tuber finora studiati, esi- stano rapporti diretti tra il fungo e la fanerogama, perchè il micelio del primo passa, direttamente dal tubercolo o più spesso indirettamente attra- verso al corpo speciale, sulle radici dell’ e//anthemum. Mentre però nelle altre Tuberacee finora ricercate, la fanerogama ospite è una pianta legnosa ed ha quindi radici persistenti, nella 7erfezia Leonis la fanerogama ospite è una piccola pianta annuale, ed anzi di durata quasi effimera. Nel primo caso il micelio del fungo perdura sulle radici dell'ospite, nel secondo non può farlo, perchè queste muoiono. Ma a raggiungere lo stesso scopo della perduranza del micelio ci pare servano precisamente i corpi speciali da noi trovati. Essi si possono rassomigliare, fino ad un certo punto, alla pera fungaja del Polyporus Tuberaster, la quale perdura nel terreno e produce periodicamente i ricettacoli sporiferi del fungo, come nella Terfezia Leonis il corpo speciale servirebbe a conservare il micelio fino al nuovo periodo di produzione dei ricettacoli o tuberi. Nelle Tuberacee i ricettacoli sporiferi o tuberi nascono dal micelio, col quale si mantengono in rapporto durante lo sviluppo, e anche dopo, con una parte più o meno ampia della loro superficie. Questo micelio alla sua volta, è oramai assodato, entra in rapporto con una pianta superiore, avvolgendone e penetrandone più o meno profondamente la parte giovane delle radici. Gli studî finora compiuti intorno a questi rapporti ci permettono di distinguere tre modi o tipi. Nel primo, egregiamente rappresentato negli Mlaphomyces, micelio e radici formano una specie di feltro, che costituisce un involucro, dentro al quale si sviluppa il tubero, che ne resta quindi avviluppato. Nel secondo tipo presentato dalla 7erfezia Zeonis, il micelio e le radici formano insieme al terreno dei corpi speciali, che alle loro estremità sviluppano il tubero o ricettacolo sporifero. Nel terzo tipo infine, riscontrato in certi Tar- tufi veri (7uDer), il micelio, generalmente a fasci, parte da luoghi determi- nati della superficie del ricettacolo sporifero o tubero, si diffonde attraverso il terreno e, in parte, arriva ad attaccarsi alle radici dell'ospite. Fra questi tipi vi sono certamente tutte le forme di passaggio, come esporremo nel lavoro per esteso; fino ad ora però ì casi meglio studiati sono i due primi, cioè quelli offertici dagli 4laphomyces e dalla Terfezia Leonis. Tralasciamo, per ora, di occuparci della parte fisiologica dei rapporti, che intervengono fra il fungo e le radici delle piante superiori (rapporti rite- nuti dalla maggioranza come una forma di saprofitismo simbiotico od olosa- profitismo), perchè fra breve dovremo trattare questo argomento in appoggio, con fatti nuovi, delle conclusioni, alle quali tendono le ricerche di Woronin, Bruns, Ed. Fischer, Johow, Noack, Mac Dougal e di altri parecchi, a sta- bilire cioè, che rapporti analoghi a quelli delle Tuberacee con piante supe- riorì esistono anche in altri gruppi di funghi sotterranei od ipogei (Pezizacee, Licoperdacee, Agaricini, ecc.). Mineralogia. — Sopra la perowskite di S. Ambrogio in valle di Susa. Nota di GrovaNnnI BoERIS, presentata dal Socio STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Intorno ad alcuni modi per correggere e per evi- tare l'errore di capillarità negli areometri a peso costante e 0 volume costante ed intorno ad alcune nuove forme dei medesimi. Nota II (!) di G. GueLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. 4. Arcometri misti a pesi e scala. — Gli areometri attualmente in uso, come è noto, sono di due specie, a peso costante ossia con scala, ed a volume costante ossia a pesi; i primi dànno direttamente ed automaticamente la densità cercata, di solito però senza grande esattezza, ì secondi sono su- scettibili di grande precisione ma richiedono un'operazione simile a una pe- sata, ma meno facile ed esposta a peripezìe che colla bilancia non sì pro- ducono. i Credo che in ciascuna di queste specie di areometri si potrebbe intro- durre utilmente il principio che serve di fondamento e di pregio all'altra, e così gli areometri a peso costante e scala, potrebbero guadagnare in esat- tezza senza perdere la semplicità di costruzione e di determinazione, quando se ne facesse variare opportunamente il peso, e negli areometri a volume costante, senza perdere di precisione si semplificherebbe notevolmente la de- terminazione qualora si lasciasse che l'affioramento potesse prodursi in un punto qualunque determinabile su apposita scala. «) Gli areometri a scala, dei quali si può correggere l'errore di capil- larità nei modi sopra indicati, per essere sensibili devono necessariamente avere una scala lunghissima e quindi suddividersi in molti areometri par- ziali (talora oltre 20), ciò che rende incomodo e costoso lo strumento e ri- chiede la verifica delle molte scale parziali ed un apposito registro per segnarvi le correzioni. Invece un solo areometro con una sola scala della lunghezza solita può servire per tutte le densità, quando se ne faccia variare convenien- temente il peso. A tale scopo i pesi immersi nel liquido appesi con uncini sono troppo incomodi ad usarsi, € soggetti a rompersi se di vetro, ma colla disposizione rappresentata nella figura si evitano tutti questi inconve- nienti. Il recipiente col liquido nel quale s' immerge ll areometro è collocato sopra un cilindro di legno o un sostegno qualsiasi poco più largo del fondo (1) V. questi Rendiconti, 2° sem. 1896, fasc. 12°. RenpIcoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 2 SEI del recipiente, e sull’areometro si può fissare mediante un cappelletto d’ ot- tone un lungo filo metallico poco flessibile ripiegato in forma d'U capovolto e colle estremità ripiegate ad uncino al quale si possono appendere dei pesi. Se P è il peso dell’areo- metro e P' quello del peso addizionale ora descritto e se la scala dell’areometro vale per il peso P, quando l’areometro col peso addizionale affiorando in un liquido indica la densità 4, la densità d'’ esso liquido in realtà sarà: d' = d (P + P'):P ossia d(1-+P'/P); si potranno scegliere P_e P' tali che P:P' sia un numero semplice e facile a calcolare e rammentare, p. es. 0,1, 0,2, ecc. Un solo peso in forma di U non potrà certo sostituire i 19 areometri residui d'una serie, ma uno solo di essi, e gli altri potranno essere sosti- tuiti coll'aggiunta di pesi all'uncino suddetto, sim- metricamente disposti per non rovesciare l’areometro. Giova notare che la costruzione di questi pesi è senza paragone più facile di quella degli areometri che so- stituiscono, e che inoltre la combinazione dei pesi diminuisce notevolmente il loro numero. Credo utile per il calcolo, che la scala dia direttamente le densità da 1,000 p. es. a 1,100 e dia le altre densità colla formula sopra indicata. Ho trovato qualche difficoltà per ottenere che l’areometro così costruito fosse stabile; se il peso addizionale ad U è molto lungo riesce non solo in- comodo, ma anche o troppo pesante o troppo flessibile; se poi è corto solleva troppo il centro di gravità dell’areometro che immerso nel liquido si ro- vescia; tuttavia è possibile rimediare a questo inconveniente, come dimo- strano le seguenti esperienze con areometri di tre dimensioni diverse, dalle quali sì può avere un indizio delle dimensioni che si possono adottare. Usai anzitutto un densimetro colla scala 0,700-1,000 pesante 18 gr. e avente un tubo di 8,5 mm. di diametro; collocatovi sopra un filo d’ottone di 1 mm. di diametro formante un U capovolto alto 85 cm. largo in media 8 cm. e pesante col cappelletto 6 gr. l’arcometro affiorava nell'acqua alla divisione 0,750; quindi in tali condizioni per avere la densità vera dovevo aggiungere alla densità osservata 0,750, un terzo del suo valore e similmente per le altre divisioni, e la scala valeva per le densità da 0,933 ad 1,333. Appendendo alle due estremità del filo due pesi ciascuno di 3 gr. oppure di 6 gr. alla divisione osservata, si sarebbe dovuto aggiungere ?/; o 3/3 del suo valore e la scala avrebbe servito dalle densità 1,167 od 1,166 oppure 1,400 a 2,000 rispettivamente. È da notare che questi pesi aggiunti au- menterebbero la stabilità già sufficiente. SE a Sperimentai quindi con un areometro provvisorio, senza scala nè za- vorra. cioè formato semplicemente da un tubo di vetro lungo 18 cm. di 4,05 mm. di diametro cui era saldato a un’ estremità un bulbo cilindrico e pesante in tutto 9 gr. Esso galleggiava stabilmente nell'acqua quando nel modo anzidetto lo caricavo d’un filo d'alluminio di 2 mm. di diametro for- mante un fg alto 35 em. largo in media 10 cm. e pesante circa 2 gr. Finalmente un piccolo areometro con zavorra pesante 10 gr. con tubo lungo 10 em. e di 2,5 mm. di diametro, galleggiava stabilmente affiorando alla base del tubo quando era caricato con un filo d' alluminio di 0,4 mm. di diametro formante un f alto 25 cm. largo in media 10 cm. È dubbio se sia più utile costruire la parte di vetro di questi areo- metri con zavorra o senza; nel 1° caso si ottiene più facilmente che gli areo- metri galleggino stabilmente e si richiede minor rigidità nel filo che forma il peso addizionale, nel 2° caso l'areometro è più facile a costruire più leggiero e meno fragile; in questo caso agisce come zavorra la parte inferiore dei pesi addizionali. b) Per gli areometri a volume costante ossia a pesi, sarebbe pure utilis- simo che come punto d' affioramento potesse prendersi non già un punto fisso, ma bensì un punto qualsiasi dell'asta dell’ areometro provvisto di apposita scala. Difatti sebbene l'operazione per ottenere l' affioramento sia simile ad una pesata precisa, essa però è di gran lunga meno facile e più incomoda, poichè mentre le bilance precise sono sempre provviste di pesi a cavaliere che fa- cilmente si possono spostare lungo il giogo e così facilitano grandemente l'uso e lo scambio dei pesi inferiori al centigrammo, negli areometri ciò non è possibile; qualora, inoltre, si voglia sopprimere il menisco, avviene fa- cilmente che un urto nel regolare i pesi faccia sì che il liquido oltrepassi l'orlo tagliente al quale deve aderire, ed allora occorre sollevare l’areo- metro, asciugare accuratamente il tubo o asta dell’areometro, e ricominciare l'operazione della pesata, che così richiede molto più tempo e molta più attenzione d'una pesata ordinaria. Ora questi inconvenienti sono in massima parte evitati qualora si lasci il liquido affiori in un punto qualsiasi dell’asta graduata, e se ne deduca con semplice calcolo il peso cercato che produrrebbe l’atfioramento in un punto determinato e costante, p. es. a metà dell'asta. Se p. es. l’affioramento av- viene n divisioni sopra o sotto il punto suddetto ed è v il volume d'una divisione, il peso che converrà aggiungere 0 togliere sarà vd essendo d la densità del liquido che per questo calcolo basterà conoscere approssima- tivamente. In tal modo non solo si evita l'uso dei piccoli pesi, ma inoltre l'equilibrio s'ottiene automaticamente. Se p. es. l'asta ha una sezione di 2 mm° e una lunghezza utile di 50 mm., il suo volume sarà 100 mm? e nell'acqua basterà regolare i pesi fino al decigrammo perchè 1’ affioramento cada sul- l’asta e se ne possa dedurre il peso esatto fino circa al milligrammo. La correzione 0 soppressione del menisco potrà effettuarsi facilmente con uno dei due metodi sopradescritti. 5. Bilancia idrostatica. — Già i primi fisici che idearono l’ areometro videro la possibilità d’ usarlo come bilancia (alla quale propriamente spet- terebbe la qualifica di idrostatica); però gli areometri di Nicholson o di Fahrenheit erano troppo incomodi e troppo poco precisi per poter essere usati con qualche utilità. Un perfezionamento importante fu quello di Tralles, il quale prolun- gando e ricurvando l'asta dell’areometro, portò il piattello dei pesi al di- sotto del recipiente che contiene il liquido e il galleggiante, e così assicurò completamente la stabilità dell'areometro e rese inoltre impossibile che i pesi cadessero nell'acqua. Nel 1894 ho descritto (Atti dell’Acc. dei Lincei) una bilancia di questo genere che poteva pesare fino a 300 grammi, e nella quale avevo aumentato la sensibilità e diminuito l'errore di capillarità, e quindi anche le sue va- riazioni, che solo hanno influenza, rendendo l’asta dell'areometro, che era d'acciaio, molto sottile (circa 1 mm.), ed inoltre avevo reso più facile e spedita la pesata giovandomi, limitatamente, della variabilità del punto di affioramento. La necessità di render piccolo l'errore di capillarità e quindi anche le sue variazioni costringendomi ad usare un'asta sottile e quindi necessaria- mente corta, limitava molto la variabilità del punto d' affioramento e la sua utilità; se però l'errore di capillarità viene soppresso facendo uso del di- schetto scorrevole, si può usare l'asta più spessa e più lunga. Così p. es. se l'asta avesse la sezione di 5 mm? e la lunghezza immergibile di 100 mm., il suo volume sarebbe di 500 mm? e basterebbe regolare i pesi fino al mezzo grammo perchè il punto d'affioramento cadesse sull'asta e la bilancia desse automaticamente il peso esatto fino oltre il milligrammo. Una prova che i vantaggi di questa bilancia sono reali, può dedursi dal fatto che anche il Lohnstein ha recentemente descritto una bilancia di tal genere applicandovi il suo metodo per sopprimere il menisco, ma privan- dola dell'utile derivante dalla variabilità del punto d’affioramento. Egli ad- duce, o ripete, le stesse ragioni da me addotte in favore della bilancia, e adotta il doppio piattello pure da me usato. L'asta dell’areometro potrebbe pure essere utilmente di ferro smaltato. I vantaggi di questa bilancia sono: 1° Che essa non contiene nessun pezzo di precisione e quindi può esser facilmente costruita, e non è soggetta a guastarsi nè col tempo nè per cattivo uso; alla rottura del pallone, posto che sia di vetro, si rimedia coll’uso di un altro pallone. 2° La pesata riesce più facile e più breve che non colle bilancie a giogo perchè si evita l’uso dei piccoli pesi, il cui valore è dato automaticamente dallo sporgere o affon- dare dell'asta dell’areometro. 3° Ciononostante la sensibilità. qualora si sopprima l'errore di capillarità col dischetto scorrevole, può facilmente ol- trepassare il milligrammo. Chimica fisica. — Sopra un fenomeno che si verifica nel raffreddamento delle sostanze sovraffuse. Nota di R. MORESCHINI, presentata dal Corrispondente R. NaAsInI. Nell'esame del punto di congelamento di varî miscugli di acidi grassi, preparati dal sevo, confermai coll'esperienza quanto altri hanno osservato, cioè, che essi presentano nettamente il fenomeno della soprafusione, e che i ri- sultati ottenuti variano a seconda del metodo seguito. Le divergenze nei risultati sono varie e di vario ordine, in alcuni casì poi troppo sensibili, per poter essere imputate a semplice errore personale di osservazione. E la prova di tal fatto si può facilmente desumere dai clas- sici lavori sulle sostanze grasse del Ridorff (') e del Wimmel (*), sulle os- servazioni dei quali sono in massima fondati i metodi più importanti poste- riormente proposti per tale determinazione (3). Fra le varie fasi dell’ esperienza (vale a dire l’ aspetto della sostanza, le condizioni ambiente, l’agitazione ecc.) volsi specialmente l’attenzione sul- l’andamento della colonna del termometro, o più propriamente sul modo con cui avveniva il raffreddamento. E cominciai dall' osservare la velocità colla quale la colonna del ter- mometro discende, mentre la sostanza si raffredda. Misurando il tempo che la colonna di mercurio impiegava a percorrere una divisione della scala del termometro ('/, di grado), osservai che il movimento discendente viene ri- tardando in modo notevolmente uniforme e regolare. Così per es. a 55°, !/: di grado è percorso in 6 minuti secondi, a 54°,8 in 6/”,3,a 54°.4 in 6”,5,a 53° in 6”,10 ecc. Le frazioni di minuto secondo sono date in ventesimi. Con tale progressione si scende regolarmente, sup- poniamo, fino a 46°,6 dove la colonna del termometro percorre una divisione della scala in 8”. A questo punto, giusta le premesse, si potrebbe prevedere che la divisione successiva a 46°,2 venisse percorsa in 8,5 circa. Invece si trova che la colonna del termometro a 46°,2 percorre '/5 di grado in 10", presentando così un notevole rallentamento. Dopo questo rallentamento la colonna riprende il movimento regolare, sebbene con andamento più ritar- dato che prima non fosse; e per tornare al caso pratico si ha che a 450,8 (1) Poggendorff’s Annalen CXL. 420 — CXLV. 279. (2) Ibidem., CXXXIII 121 — CXLII. 474. (8) Delican-Benedikt-Ulzer, Analyse der Fette, pag. 99; Wolfbauer, ibidem, pag. 101; Norman Tate, 7he ecamination of Tallow (pubblicazione privata); M. A. Girard, 7% trage des Suifs. Rapport è la Chambre Sindacale, Paris, 1888; Shukoff. A. A., Che- mische Revue iber die Fette ecc.; Industrie, pag. 11, 1899; Freundlich. I., Chem. Zeit., pag. 1014, 1899. Bee una una divisione della scala è percorsa in 10,10, a 459,4 in 11”, a 45° in IMZAIOMeccs Determinato il punto di congelamento nelle condizioni che saranno po- scia descritte, si trova che esso avviene costantemente vicinissimo od uguale alla temperatura in cui si è constatato il rallentamento dianzi descritto, a se- conda delle varie sostanze. i Questo rallentamento è un fenomeno che si ripete ad un dato momento, tanto per gli acidi grassi e loro miscugli, come in genere per le sostanze cristallizzabili nelle quali avviene soprafusione, sia essa proprietà specifica come nel timolo e nell’ anetolo, sia provocata come nell’acido acetico. Nelle sostanze che non hanno la proprietà di restare soprafuse, il ral- lentamento non può essere avvertito altrimenti che provocando la soprafu- sione. _ Una circostanza che mi sembra notevole accennare, è che nelle sostanze pure, aventi o no soprafusione, il punto di congelamento ed il rallentamento avvengono alla stessa temperatura, mentre nei miscugli di acidi grassi, spe- cialmente in presenza di molto acido oleico, il punto di congelamento è di circa 09,15 inferiore alla temperatura iu cui si è osservato il rallentamento. Nella tabella seguente sono esposti alcuni dati che dimostrano la coin- cidenza del punto di rallentamento con quello di congelamento di varie so- stanze. Punto Punto di di Differenza rallentamento | congelamento Miscuglio di acidi grassi A 4880 48 65 + 0,15 Td. id. B 45 60 45 60 - 0,10 Id. id. C 40 95 40 80 + 0,15 Td. id. D 17 65 17 50 + 0,15 TIMmologsto tear e. MRC 49 40 49 35 -- 0,05 AME TONO RENO 0 Ste > SPE 18 50 18 45 + 0,05 Acido acetico... . 13 10 13 10 -— 0,00 È inoltre da rilevare come per il Timolo, l'Anetolo e l'acido acetico, il punto di rallentamento osservato coincida con il punto di fusione, trovato rispettivamente a 49°,40 — 189,50 — 13°,10. Le sostanze che non congelano nei limiti di una temperatura facile a raggiungere, e quindi comunemente ritenute incristallizzabili, come l' alcool, l'essenza di trementina, il cloroformio, esaminate nelle stesse condizioni delle sostanze cristallizzabili, non presentano anomalie durante il raffreddamento, e la colonna termometrica discende sempre con moto regolarmente ritardato. Qui è da notare che allorquando la temperatura interna è molto vicina alla temperatura ambiente, l'irradiazione del calore diviene sempre più lenta ie in modo che la misura della velocità della colonna termometrica riesce spesso assai malagevole e quindi poco esatta; da ciò la condizione indicata in se- suito, di avere nell’ esperienza un certo dislivello fra la temperatura am- biente ed il punto «di congelamento della sostanza. Siccome dopo avvenuto il rallentamento, lasciando la massa in quiete si osserva che la colonna riprende un movimento ritardato ma regolare, sì potrebbe supporre che in quell’ istante succeda un movimento interno nella posizione delle molecole. Nel variare il loro aggruppamento si produrrebbe un lavoro e conseguente sviluppo di calore, in modo da turbare la regolare emissione del calore d’irradiamento, osservata prima del fenomeno. Al momento in cui si osserva il rallentamento, la massa è fusa e non si scorge che vi sia formazione di cristalli, chè generalmente questi com- paiono dopo un certo tempo, in ispecie poi trattandosi di sostanze che pre- sentino molto accentuato il fenomeno della soprafusione, eccettuati però i mi- scugli di acidi grassi. Come è facile prevedere, l’ irradiazione del calore e per esso la velocità di discesa della colonna termometrica varia, per una data temperatura, a se- conda della sostanza, e così per es. a 39°8 una divisione della scala è per- corsa per l’acqua in 177,15, per l'alcool in 10”, per l'essenza di trementina in 8”. Nei diversi miscugli di acidi grassi, in vicinanza del punto ove av- viene il rallentamento. una divisione della scala viene percorsa in 10" circa. Una identica influenza, in senso inverso, viene esercitata sulla velocità di discesa della colonna termometrica dalla natura del mezzo ambiente, a seconda che esso sia acqua, alcool od aria ecc. Perchè il fenomeno del rallentamento sia ben netto, e facilmente e con precisione si possa determinare, ho trovato molto conveniente adoperare come ambiente l’aria, tenuta costantemente per mezzo di un bagno esterno a 15 gradi circa sotto il punto di congelamento della sostanza esame. Mantenendo in tuite le esperienze tale condizione, ho ottenuto che tutte le sostanze si trovassero rispettivamente nello stesso rapporto di temperatura con l’ambiente al momento in cui avviene il congelamento. Inoltre le sostanze esaminate sono state sempre riscaldate in modo che al principio dell esperienza aves- sero una temperatura di 15 gradi circa superiore al loro punto di congela- mento, ottenendo così identiche circostanze di ambiente interno ed esterno. Tuttavia è da notare che le piccole oscillazioni di questi estremi fissati, non portano influenza apprezzabile sia nel fenomeno del rallentamento, sia nel punto di congelamento: ciononpertanto io ho sempre curato che sl ve- rificassero le condizioni di temperatura dianzi fissate. Sembra quindi che il complesso dei fatti accennino realmente ad un fenomeno interno ben determinato, ed il rallentamento della colonna termo- metrica, testè descritto, non sia accidentale, nè tanto meno sia prodotto da un'anomalia nell'irradiamento del calore dipendente da cause esterne. eine: Le esperienze sono state eseguite in un apparecchio simile a quello adoperato dal Girard. e dal Wolfbauer, formato cioè di un vaso esteriore cilindrico piuttosto largo e della capacità di circa un litro, e munito di un termometro. Per mezzo di un turacciolo sospendevo nel vaso un tubo da as- saggio del diametro di 22-25 mm. che doveva contenere la sostanza da esa- minare. Nelle esperienze ho adoperato sempre 20 grammi di sostanza. Per altro un aumento nella quantità di essa come le dimensioni del tubo d'as- saggio non hanno variato sensibilmente i risultati finali, ed il fenomeno del rallentamento avviene regolarmente come sempre. Messa la sostanza nel tubo d’assaggio immergevo in essa un termometro normale con scala a '/; di grado, ed osservando che le condizioni dianzi esposte fossero soddisfatte, collocavo il tubo d’ assaggio nel vaso ambiente, avendo cura che la sostanza si trovasse nello spazio centrale del vaso am- biente, ed il bulbo del termometro interno fosse al centro della massa. Messo così a posto l’ apparecchio, esaminavo la velocità della colonna del termometro, lasciando la massa in quiete fino a che non osservavo il noto rallentamento. A questo punto agitavo la massa col termometro in tutti i sensi, fino a che la colonna del mercurio raggiungeva un massimo di abbassamento. Appena cominciava una nuova risalita della colonna, a causa del calore che si svolge per la cristallizzazione, sospendevo l’ agitazione, e data al termo- metro interno la posizione primitiva, attendevo che la colonna del mercurio avesse raggiunto il punto massimo di innalzamento, ove rimane stazionaria anche per due minuti primi. Leggevo questa temperatura, che tenevo come punto di congelamento. i Si potrebbe anche praticare l'agitazione continua durante tutta l’ espe- rienza senza per questo turbare in nessun modo il fenomeno del rallenta- mento; ma per i miscugli di acidi grassi specialmente, i risultati migliori si ottengono con un’agitazione solo temporanea e nel modo descritto. Morfologia. — Cambiamenti morfologici dell’ epitelio intesti- nale durante l'assorbimento delle sostanze alimentari. Nota di Pro Mincazzini, presentata dal Socio ToDARO. In un precedente lavoro (!) ho dimostrato che le ventose delle Anoplo- cefaline durante l'assorbimento delle sostanze alimentari, subiscono nella superficie interna, nei punti in cui un tal fenomeno avviene, dei mutamenti istologici e morfologici molto evidenti, che si presentano sotto forma di ri- gonfiamenti speciali, dovuti al riempimento degli spazî intermuscolari della (1) Ze ventose delle Anoplocefaline sono organi di assorbimento; în: Ricerche Labo- ratorio Anat: Roma e altri Lab. biologici, vol. VII, fasc. 2, 1899. Sg ventosa col materiale da questa assorbito. Questo fatto, che finora non era stato constatato per gli elementi assorbenti dell’ intestino, ha richiamato la mia attenzione sui processi di assorbimento di questi ultimi, e mi ha per- messo di constatare in essi un fenomeno abbastanza simile, il quale si ve- rifica in grado maggiore o minore negli elementi assorbenti dei diversi Ver- tebrati e che ho potuto nel miglior modo osservare nell’ intestino tenue della gallina, del quale mi occupo esclusivamente nella presente Nota. Infatti l'intestino tenue della gallina è quello che finora mi ha dimo- strato colla maggiore evidenza questo fatto, perchè sono riuscito a fissare l'intestino nel momento in cui il processo di assorbimento avveniva entro le cellule epiteliali; cioè 1’ alimento era stato assorbito e gli elementi cellulari del tratto di intestino tenue da me esaminato, si trovavano per l'appunto nella fase in cui avevano il loro corpo ripieno di sostanza alimentare assorbita e raccolta nella metà interna della cellula, cioè nella porzione di questa inter- posta fra il nucleo e l'estremità cellulare che poggia sulla membrana ba- sale. È dunque evidente che un tal fatto non è possibile sempre di osservarlo, poichè per la sua constatazione è necessario che l'intestino venga sorpreso nel momento dell’assorbimento interepiteliale. Di più va anche osservato che l'assorbimento non succede contemporaneamente su tutta la superficie dell’intestino tenue, ma in tratti più o meno estesi di questo; si deve per conseguenza, allorquando si vuol constatare questo fatto, fare sezioni in di- diversi punti. Devesi altresì badare in questa ricerca, di adoperare un liquido fissa- tore buono, che mantenga cioè inalterate le diverse strutture dei singoli elementi e dei loro prodotti, ed io ho ottenuto risultati soddisfacenti dal liquido fissatore composto secondo la formola da me data in altri lavori; inoltre è necessario che la colorazione sia completa per i diversi tessuti e differenziale per i varî elementi, ed a questo scopo mi è stata sufficiente una colorazione tripla ottenuta con ematossilina, carminio ed acido picrico, usando la colorazione doppia in foto con ematossilina Ebrlich e carminio litico, e co- lorando le sezioni nel momento di scioglier la paraffina con acido picrico sciolto in xilolo. Ho creduto opportuno di dare questi avvertimenti, giacchè essi sono ne- cessari per ottenere preparazioni valevoli allo studio di questo argomento interessante e sul quale ancora non esiste, si può dire, alcun dato, tranne per quanto si riferisce all’assorbimento del grasso ('). (1) Ved. A. Oppel, Lehrbuch der Vergleichenden Mikroskopischen Anatomie der Wirbeltiere. IL Theil. Schlund und Darm; Jena, G. Fischer, 1897, p. 511, che si esprime nel seguente modo: « Von den aufgenommenen Stoffen ist unter dem Mikroskope am lei- « chtesten das Fett; die folgenden Angaben beziehen sich daher zum grossen Teil auf « die Resorption des Fettes, wihrend iùber die Thétigkeit der Epithelzelle bei der Resor- « ption anderer Stoffe fast nichts bekannt ist ». Vedasi anche: W. Mòller, Anatomische RenpIcONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. B; SAR L'aspetto dei villi nelle diverse fasi della digestione si può presentare in due maniere fondamentalmente distinte. Una è quella universalmente conosciuta dagli anatomici, e le cui figure sono riportate in tutti i trattati di Anatomia, che io chiamerò aspetto del villo nello stadio di riposo, in- tendendo sotto questo nome quella fase in cui esso non mostra i suoi elementi epiteliali in attività di assorbimento. Questo stadio è caratterizzato FiGura 1. — Villi nello stadio di riposo nell’ intestino tenue di gallina (Microfotografia di un preparato istologico). da una regolarissima disposizione degli elementi epiteliali del villo, i quali sono all'incirca tutti uguali fra loro sia per altezza e forma, sia per costituzione; i loro nuclei sono posti tutti allo stesso livello, cioè verso il terzo interno o alla metà della cellula. Il protoplasma è pure uniformemente colorabile, ovvero assume una tinta più carica verso l'estremità libera al disotto dell’ orlo cuticolare, e leggermente più sbiadita verso la parte basilare al disotto del nucleo. A causa di ciò le cellule formano uno strato che generalmente coi suol due contorni interno ed esterno è parallelo al contorno dello stroma connettivale del villo (fig. 1). Beitràge sur Frage von den Sekretion und Resorption in der Darmschleimhaut in: Zeitschr. Wiss. Zool., 66 Bd., 1 H., Juni 1899 il quale conclude nel seguente modo il suo lavoro: « Nach Brobachtung, die bei der Untersuchung des Schafdarmes gemacht worden « sind, scheinen die Leukocyten die Aufnahme und den Trasport eines gewissen Nahrungs- « materials (Eiweisstoffen ?) zu vermitteln ». Roe L'altra maniera di presentarsi del villo è quella che io chiamo stadio funzionale del villo stesso, nel quale mentre lo stroma connettivale mantiene la sua forma e le dimensioni dello stadio di riposo, il rivestimento epiteliale subisce invece profonde modificazioni, che fanno cambiare moltissimo l' aspetto che il villo presentava nello stadio di riposo. Infatti il contorno abbastanza regolare si perde, e il villo assume una configurazione irregolare, variamente Fieura 2. — Villi nello stadio funzionale dell'intestino tenue di gallina; nei due a destra si vedono le cellule in via di graduale trasformazione nella parte basilare, in quello a sinistra esse già sono decomposte alla loro base e si vede il prodotto della secrezione interna sotto forma di un precipitato forma reticolare. Il villo nel quale la secrezione si è trasformata in sostanza liquida (quello a sinistra) si mostra molto più lobato da un lato di quelli nei quali le cellule sono nell’ inizio della secrezione (Microfotografia di un preparato istologico). lobata. dovuta unicamente alle modificazioni che subiscono le cellule epite- liali durante l’ assorbimento (figg. 2. 3, 4). Tali modificazioni sono le seguenti : a) In una fase primordiale l'estremità basilare degli elementi cilin- drici perde l' uniformità di struttura col resto del protoplasma e sì mostra invece occupata da una sostanza jalina, leggermente granulosa, che assume una leggera tinta giallastra coll’ acido picrico. In tal modo sì vengono è MERO E stabilire due distinte zone cellulari: una granulosa ben colorabile, coi carat- teri dello stadio di riposo e che può chiamarsi esterna, l' altra jalina legger- mente tingibile dall’acido picrico, che può chiamarsi zona interna (fig. 2). 6) Estendendosi ulteriormente la modificazione suddetta, si viene a tra- sformare tutta la porzione cellulare posta internamente al nucleo nella zona interna o jalina; questa trasformazione, che fa allungare la base dell’ elemento Figura 3. — Villi nello stadio funzionale dell'intestino tenue di gallina con secrezione interna e leucociti (Microfotografia di un preparato istologico). pel maggior volume occupato dalla sostanza jalina rispetto al protoplasma primitivo, può anche sospingere il nucleo verso il terzo esterno della cellula. c) Una terza fase è data dalla decomposizione di questa porzione basilare trasformata degli elementi cilindrici, in una sostanza liquida. Così tutto lo spazio primitivamente occupato dalla zona interna delle cellule cilindriche viene riempito da un liquido; e degli elementi epiteliali rimane soltanto la zona esterna contenente il nucleo e ricoperta dall’orlo cuticolare (figg. 2, 3, 4). Il liquido che viene a formarsi per effetto di questa secrezione interna degli elementi assorbenti, si può accumulare uniformemente per tutto il con- torno del villo oppure, quando non si ha la contemporaneità del fenomeno su tutto l’epitelio, vi hanno tratti nei quali si trova, e tratti nei quali manca; quest’ultimo caso è il più frequente, e siccome allora l'epitelio in alcuni punti è trasformato parzialmente ed in altri no, così il contorno del CE a villo prende l'aspetto festonato irregolare, al quale sopra ho accennato. Va però osservato che di prevalenza la porzione apicale del villo subisce questa trasformazione e che gradatamente si verifica con minore intensità lungo le pareti laterali di esso ed in minimo grado verso la sua base (fig. 4). A questo punto conviene domandarsi come questo fatto sia sfuggito tinora all'attenzione dei numerosi ed accurati osservatori che hanno studiato Ficura 4. — Villi nello stadio funzionale dell’ intestino tenue di gallina; uno di essi presenta l’apice ripieno di sostanza assorbita (Microfotografia di un pre- parato istologico). da lungo tempo l’ intestino dell’uomo e degli animali dal punto di vista anatomico e fisiologico. Esaminando i differenti lavori, si scorge facilmente come un tal fatto sia caduto molto spesso sotto gli occhi degli osservatori, ma questi hanno studiato sempre il villo ritenuto normale, come quello che viene riportato fin da tempi ormai già antichi quale lo schema classico di quest’ organo, e molti anche, malsicuri dei loro metodi di tecnica, attribui- vano tutte le altre apparenze presentate dal villo come dovute alle manipo- lazioni varie a cui si assoggettano i pezzi prima di esaminarli al microscopio. To stesso, che per un decennio e più mi sono occupato direttamente e indi- rettamente dello studio del sistema digerente e che ho avuto sotto gli occhi migliaia di sezioni di intestino tenue, non ho mai sospettato un tal fatto, attribuendo sempre a preparazioni mal riuscite quanto si discostava dallo schema normale. Tra i più riputati istologi citerò il von Ebner (!) il quale (1) Ved. Von Ebner, A. Xolliker®s Handbuch der Gewebelehre des Menschen. Leipzig, Engelmann, 1899, III Bd., p. 180-181. i oo nel suo recentissimo trattato sul sistema digerente, riporta una figura di villo intestinale con epitelio staccato dallo stroma connettivale, e tale fatto viene da lui unicamente attribuito al metodo di fissazione, come risulta dalle seguenti parole: « Fixirt man iberlebende Darmstiicke mit Sublimatlosun- « gen und anderen Hartungsflissigkeiten, so zieht sich haufig das Zotten- « stroma auf grossere oder geringere Strecken von den Zottenspitze unter « Austossung einer gerinnbaren Flùssigkeit zuriick, welche den nun wàarend « des Absterbens entstandenen Raum zwischen Epithelmantel und Grenzmem- « bran der Zotte erfùllt (fig. 981) ». D'altra parte va osservato che allor- quando il villo si trova nello stadio di pieno assorbimento come quello dell’ ultima fase da me superiormente descritta, cioè quando fra l’ epitelio e lo stroma connettivale si riscontrano i prodotti della secrezione interna (!) degli elementi assorbenti, cioè un liquido albuminoso, vi è una grandissima faci- lità durante le manipolazioni tecniche, di un distacco di parte o di tutto l’epitelio, soprattutto all'apice dei villi, e questo fatto ha non poca impor- tanza nel far sorgere alla mente dell'osservatore il pensiero che ivi sì siano alterati gli elementi per opera dei reagenti, del calore o del microtomo. Vi è un fatto però abbastanza rilevante che fa scorgere a colpo d'occhio, come in questo caso si tratti di una conformazione reale del villo e non di un accidente di preparazione; vi è infatti la presenza di un nu- mero maggiore o minore di leucociti posti appunto nello spazio intercedente fra l’epitelio e lo stroma connettivale, e che sono distribuiti in tal modo da far subito pensare che siano stati sorpresi ed uccisi % siéu e non spostati per l'azione del liquido fissatore o per altre manipolazioni di tecnica. Questi leucociti appartengono a quelli che già molti osservatori hanno trovato in quantità maggiore o minore fra le cellule epiteliali dell’ intestino tenue, spe- cialmente verso la base degli elementi cilindrici. Essi, allorchè le cellule assorbenti cominciano a segregare verso la loro parte interna, rimangono in sito e quando i prodotti di questa trasformazione sono ridotti ad un liquido, si trovano natanti qua e là nel liquido stesso, dando già la composizione normale al chilo assorbito, cioè di plasma albuminoide e di elementi cellu- lari figurati. Per conseguenza la loro presenza in punti differenti dello spazio occupato dal liquido, basta già a confermare l’idea che qui trattasi di un'ap- parenza reale e non di un prodotto di alterazione. Essi trovansi tanto in mezzo alla base delle cellule già in via di secrezione, e nelle quali si rico- (*) Accenni di questa secrezione sono stati visti fra gli altri da Kultschitzky (Zur Frage uber den Bau des Darmkanals: in: Arch. mikr. Anat., Bd. 49, pag. 7, Il 4pi- thelzellen mit acidophilen Kòrner; fig. 6, 7, 8 taf. II) il quale indicò certe cellule del- l'intestino, granulate e ingrossate alla base, come possibili elementi assorbenti, ma il Moller (loc. cit.) combatte questa ipotesi con ragioni non totalmente plausibili, fra cui quella che i granuli si trovano costantemente alla base dell’elemento. Divenendo la so- stanza assorbita una secrezione dell'elemento assorbente, questa ragione non mi sembra fondata. RIO nosce ancora il limite dei singoli elementi, quanto allorchè la secrezione è in istadio avanzato e per conseguenza essa si riconosce come un precipitato fioccoso più o meno denso, occupante tutto lo spazio interposto fra l' epitelio e lo stroma. Questo liquido, che nel preparato è un precipitato più o meno fioccoso, devesi colorare se si vuole osservare il fatto da me descritto. Sic- come in moltissimi casi non è stato colorato dagli osservatorî (come ad esempio nella figura riportata da Ebner già citata) così le apparenze del villo non sono state ben interpretate quando esso veniva osservato in istadio di assorbimento. Nei miei preparati il detto precipitato era stato colorato in giallo dall’acido picrico. Osservando numerose sezioni di villi intestinali in questo stadio, è facile accorgersi come in taluni l’epitelio sia piuttosto ‘alto, come quello dei villi ritenuti sin qui normali, in altri invece è assai ridotto e le cellule sono molto basse. Queste ultime vanno interpretate come elementi nei quali la secrezione interna è già avvenuta, e che probabilmente trovansi in via di ricostituzione. Infine va notato come anche lo stroma dei villi possa trovarsi sotto aspetti differenti; in taluni casi è formato da tessuto compatto, in altri invece da tessuto lasso; nel primo ha forma regolare, dimensioni, per altezza e spessore, piuttosto piccole, nel secondo invece ha forma irregolare e dimensioni maggiori. In quest’ultimo caso sì tratta forse di un rigonfia- mento del tessuto per opera del chilo assorbito fra gli spazî linfatici dei suoi elementi, rigonfiamento che è posteriore alla secrezione interna delle cellule assorbenti, ma che precede però l’ ingresso del chilo nei vasi chiliferi, e che nel tempo stesso permette allo stroma così rigonfiato di far aderire nuovamente ad esso l’epitelio allontanato per opera della secrezione interna delle cellule cilindriche del villo. In conclusione noi vediamo che gli elementi assorbenti dell’ intestino tenue hanno un’ inversione di funzionalità rispetto alle ordinarie cellule se- cernenti: queste segregano dalla loro superficie esterna o libera, quelle hanno un'ugual secrezione dalla loro superficie interna o aderente al connettivo. I leucociti interposti fra le cellule dell’ epitelio intestinale, che si rinvengono principalmente verso la base delle cellule cilindriche, hanno il significato di elementi che entreranno in funzione dopo avvenuta la secrezione interna del- l'epitelio assorbente, cioè quando la base di questo avrà dato luogo ad un liquido albuminoso, il quale per effetto della loro presenza, rimane composto di plasma e di leucociti. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci Cossa, CoccHi, DELPINo, MILLOSEVICH e dai signori: De Toni, LanciaI, JATTA. Presenta inoltre il tomo 4° delle Vewores complètes di A. CAUCHY. ae e Il Socio CERRUTI presenta il vol. IX della edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei; il Socio Cerruti parla di questo volume che con- tiene gli studî letterari di Galileo. CONCORSI A PREMI Il Segretario BLAsERNA dà comunicazione degli elenchi dei lavori pre- sentati per prender parte ai concorsi scaduti col 31 dicembre 1899. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Chimica. (Premio L. 10,000 — Scadenza 81 dicembre 1899) 1. AnprEoccI AmERICO. 1) Azione della fenilidrazina sull’ acetilure- tano (st... — 2?) Azione della fenilidrazina sull’ acetil-uretano (1) fenil (3) metil (5) piro-diazolone e suoi derivati (st.). — 3) Azione del pentasol- furo di fosforo sul (1) fenil (3) metil (5) pirazolone e sull’ antipirina (st.). — 4) Azione del calore sul cloroplatinato dell’ (1) fenil (3) metil-pirazolo e sui cloroplatinati pirrodiazolonici e pirrodiasolici (st.). — 5) Sintesi dell'acido (1) fenil (3) carbo-pirrodiazolico del (3) metil-pirrodiazolo del- l'acido (3) carbo-pirrodiazolico e del pirrodiasolo libero (st.). — 6) Sul pirrodiazolo e suoi derivati e sopra alcuni derivati del pirrazolo (st.). — 7) Sopra il pirrodiazolo (st... — 8) Sopra alcuni derivati dell’ Uretano (st.). — 9 Sopra alcuni derivati metilati dell'acido Desmotropo-Santonoso (st.). — 10 Sopra un altro nuovo isomero della Santonina e sopra un altro nuovo isomero dell’ acido santonoso (st... — 11) Sull''acido disantonoso (st.). — 12) Sopra un isomero della Santonina ed un nuovo isomero dell’ acido santonoso (st.). — 13) Sopra un isomero della Santonina (st.). — 14) Sulla riduzione della Santonina (st.) — 15) Sulla costituzione della dician-fe- nilidrasina e dei composti triazolici (st... — 19) Studio del dimetil- naftol (st.).. — 17) Sulla Santonina (st.). — 18) Sulla trasformazione del- l'acido desmotropo-santonoso nell’acido levo-santonoso (st.).. — 19) Sulla costituzione del Dimetilnaftol proveniente dagli acidi santonosi (st.). — 20) Sulla octoidro-para-dimetil-etil-naftalina (st... — 21) Sulla struttura degli acidi santonosi (st.). — 22) Sugli acidi Di-santonosi (st.). — 23) Swi quattro acidi santonosi e sopra due nuove santonine (st.).. — 24 Sopra un prodotto d’ addizione della Santonina coll’ acido nitrico. — Azione del- l'acido nitrico sulla desmotroposantonina (st... — 25) Sul solfuro di azoto (st... — 26) Sull'idrogenazione dei pirrodiazoli (2.4) (st... — 27) Sulla costituzione del dimetil-naftol proveniente dalla scomposizione degli acidi santonosi (st.). — 28) JI pirrodiazolo 2.4 ed î suoi deri vati (st.). — 29) Azione dei cloruri di fosforo (penta-tri-ossi) sopra alcuni derivati ossigenati del pirrodiazolo (2.4) (st.). — 30) Azione dei cloruri ed ossicloruro di fosforo sopra alcuni derivati ossigenati del pirrodia- solo (2.4) (st.) — 31) Lodio-etilato e bromoetilato di fenil 1 metil 3 pir- rodiazolo (2 .4) (st.). — 82) Costituzione dei pirrodiazoloni (st.). — 33) Sopra due altre desmotroposantonine. (st.). 34) Stereoisomeria delle desmotropo- santoninve e degli acidi santonosi (st.). 35) Sulla scissione dell'acido is0- santonoso inattivo nei suoi antipodi (st.). — 36) Sopra alcuni composti ossigenati del pirrodiazolo (st... — 37) Sopra un racemo parziale e at- tivo (st... — 38) Sopra alcune relazioni riscontrate fra l’isomeria ottica e la triboluminescenza. 2. BarBIERI NicoLa ALBERTO. Saggro sulla chimica dell'encefalo dei Mammiferi e degli Uccelli (ms.). 3. Giorpano Giacomo. Za Viscosina (ms.). 4. MinunnI Gaetano. 1) Ricerche su taluni derivati dell'acido lapa- cico (in collaborazione col prof. E. Paternò) (st... — 2) Sull'azzone della fenilidrazina sull’acido benzidrossamico. Nota preliminare (st.). — 3) Sur l’azione della pitoluidina e dell'anilina sulla floroglucina (st.). — 4) Muovo modo di formazione dell'anidride benzoica (in collaborazione col dott. L. Ca- berti) (st... — 5) Ricerche sulla costituzione dei derivati ammidici del- l’idrossilammina. I. Costituzione dell'acido bensidrossamico (st... — 6) Sui composti sodici delle anilidi e delle ammine aromatiche (st.). — ?) Studi sui composti ossimmidici. I. Sulla costituzione delle ossime isomere (st.).. — 8) Studi sui composti ossimmidici. II. Sull'azione della fenilidrazina sulle benzaldossime (in collaborazione col dott. L. Caberti) (st.). — 9) Sw tiofene (st.). — 19) Osservazioni sulla memoria di A. Hantzsch « Sul- l'isomeria delle ossime e la sua esistenza nella serie grassa » (st.). — 11) Studi sui composti ossimmidici. IM. Sull’azione della fenilidrazina su talune aldossime isomere (in collaborazione col dott. G. Corselli) (st.). — 12) Studî sui composti ossimmidici. IV. Sopra un nuovo metodo per determi- nare la struttura del gruppo ossimmidico negli eteri delle ossime (in collabo- razione col dott. G. Corselli) (st.). — 13) Studi su. composti ossimmidici. V. Sul- l’azione della fenilidrazina sui derivati benzoilici di talune a-aldossime (in collaborazione col dott. G. Corselli) (st.). — 14) Studi sui composti ossinimi- dici. VI. Sulla formazione del bensonitrile dull’a-benzaldossima (st.). — 15) Studi sui composti ossimmidici. VII. Ricerche sulle ossime del bensile (in collaborazione col dott. G. Ortoleva) (st.). — 16) Studi sui composti 0s- simmidici. VIII. Sulla struttura chimica delle aldossime e delle chetossime isomere (st.). — 17) Sopra un nuovo metodo di preparazione dell'anidride benzoica e sul processo di formazione dell'acido deidroacetico dal cloruro di acetile (st.). — 18) Sull’a-benzilfenilidrazina e sull'ossidazione, degli RenpiIcontTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. LI idrazoni. — 19) Sui prodotti di condensazione della B-benzoilfenilidrazina con le aldeidi. I. Azione della B-benzoilfenilidrazina sull’aldeide benzoica (st... — 20) Sulla struttura chimica delle ossime isomere alifatiche. Ri- sposta ai signori A. Hantzsch e V. Meyer (st.). — 21) Ricerche sulla co- stituzione dei derivati ammidici dell’ idrossilammina. II. Costituzione del- l'acido di benzidrossamico (in collaborazione col dott. G. Ortoleva) (st.). — 22) A proposito di due recenti pubblicazioni sulle ossime del benzile (in collaborazione col dott. G. Ortoleva) (st.). — 23) Azcerche sui prodotti di ossidazione degli idrazoni. I. Ossidazione del benzalfenilidrazone (in col- laborazione col dott. E. Rap) (st.). — 24) Nuove ricerche sulla trasfor- mazione delle a-aldossime in nitrili (in collaborazione col dott. D. Vas- sallo) (st.). — 25) Muove ricerche sulle isomerie dei prodotti di ossida- cina degli idrazoni (st.).. — 26) Su taluni derivati dell’a-benzilfenilidra- zina. (st... — 27) Sull’azione dell'idrossilammina sui chetoni del tipo R. CH :CH.CO.CH:CH.R. (st.). — 28) Sulla costituzione del deidrobenzal- fenilidrazone e sulla sua trasformazione in dibenzaldifenilidrotetrazone (st... — 29) Azzone dei cloruri acidi sugli idrotetrazoni. I. Sulla costitu- zione del dibenzaldifenilidrotetrazone e sulla sua trasformazione nell’osa- sone del benzile fusibile a 225° (st.).. — 30) Sull’ossima del dibenzalace- tone (st... — 31) Sul Dipiperonaldifenilidrotetrazone e sulle sue trasfor- mazioni isomeriche (st... — 32) Sulla sostituzione del gruppo aldeidico R.CH = col radicale benzoile nei derivati dell’idrazina (in collaborazione — col dott. Carta-Satta) (st... — 33) Su talune nuove aldazine e sul loro comportamento col cloruro di benzoile (in collaborazione col dott. C. Carta- Satta) (st... — 34) Sull’ossidazione del fenilidrazone dell’aldeide salicilica (in collaborazione col dott. C. Carta-Satta) (st... — 35) Nuove ricerche sul- l’azione dell’idrossilammina sull’acido deidroacetico (st.).. — 36) Sull' os- sidazione del fenilidrazone dell’ aldeide cinnamica (in collaborazione col dott. G. Ortoleva) (st.). — 37) Nuove ricerche sull'azione del cloridrato di idrossilammina sui chetoni del tipo R.CH :CH.CO.CH :CH.R. i pre- senza di acetato sodico (in collaborazione col dott. C. Carta-Satta) (st.). — 38) Sul nuovo metodo di eterificazione in presenza di piridina (st). — 39) Ricerche sui cloroderivati degli alcaloidi ossigenati. I. Azione del cloro sulla stricnina in soluzione di acido acetico glaciale (in collabora- zione col dott. G. Ortoleva) (st.). 5. Oppo GiusEppE. 1) Sui diacocomposti della serie aromatica (st.). — 2) Sulta decomposizione di alcuni triazoturi (in collaborazione col prof. Pe- ratoner) (st... — 3) Sulla massima temperatura di formazione e la tempe- ratura di decomposizione di alcuni cloruri di diazocomposti della serie aro- matica (st.). — 4) Sulla stabilità di alcuni diazonocomposti (in collaborazione con G. Ampola). (st.). — 5) Sul gruppo della canfora (st.). — $) Stereochi- mica del gruppo della canfora (st.). — ?) Sulla pretesa sintesi della canfora ELMO dal cimene (st.).. — 8) Identità degli acidi canfocarbonici di provenienza di- versa (st... — 9) Trasformazione dell’ acido canfocarbonico in isonitrosocan- fora(st.).. — 10) Sulla isonitrosocanfora (st... — 11) Sul mononitrile del- l'acido canforico e letrasposizioni atomiche dell’isonitrosocanfora (in collabo- razione con G. Leonardi) (st.). — 12) Nuova serie di prodotti del gruppo della canfora-Dicanfochinone, dicanforile, dibornile (st... — 13) Gruppo della 88 dicanfora (st.). — 14) Azione del sodio sulla canfora (st.). — 15) Azione del sodio sulla dicanfora e sul dicanfanessan —1,4— dione e sulla pre- senza del gruppo —A,C—C0—CH= nella molecola della canfora (st). — 16) Notizie su alcune sostanze del gruppo della canfora (st.). — 19) Ricerche sul mentone. — I. Sugli acidi mentonmonocarbonici e mentonbicarbo- nici (st). — 18) Su un nuovo metodo di preparazione di alcune anidridi (in collaborazione con C. Mannetti) (st.).. — 19) Muston: al forno elet- trico (st... — 20) Contribuzione allo studio micrografico di alcuni cementi italiani (in collaborazione col prof. Bucca) (st.). — 21) Polimerizzazione di alcune cloroonidridi inorganiche (in collaborazione con E. Serra) (st.). — 22) Sulla polimerizzazione di alcune cloroanidridi inorganiche (st.) — 23) Sul peso molecolare di alcuni elementi e alcuni loro derivati (in col- laborazione con E. Serra) (st.). — 24) Azione delle anidridi arseniosa e antimoniosa sul protocloruro di solfo (id.) (st.). — 25) Nuovo metodo per la distillazione frazionata a pressione ridotta (st... — 29) Sulla eterifi- cazione dell'alcool benzilico (ms.). — 27) Sulla reazione di Kolbe per la formazione degli ossiacùli aromatici in presenza di un solvente indiffe- rente (in collaborazione con E. Mameli) (ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premî del Ministero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche. (Due premî del valore complessivo di 1. 3400 — Scadenza 31 dicembre 1899). 1. Bonacini CarLo. 1) Sul principio di Vogel (st... — 2 La stampa fotografica tricroma in Italia (st.). — 3) Studio bibliografico (ed altre no- tizie bibliografiche) (st.). — 4) Sulle lastre « Anti-halo» della Casa Lu- mière (st... — 5) A proposito di un nuovo processo di fotografia dei colori (st.). — 6) Una questione di terminologia fotografica (st.). — ?) La foto- grafia dei colori e le ipotesi sulla visione colorata (st.).. — 8) IL nuovo isocromatismo fotografico (st.).. — 9) Su di uno schermo per radioscopia (st.). — 10) Sulla diffusione dei raggi Rontgen (in collaborazione con R. Ma- lagoli) (st.). — 11) Su! modo di sperimentare in radiografia (id.) (st.). — 12) Sul ripiegamento dei raggi Rontgen dietro gli ostacoli (id.) (st... — 13) Sw comportamento dei corpi nella trasformazione dei raggi Rontgen (id.) (st.). — 14) Z4. Id. (risposta al S. Sagnac) (id.) (st.). — 15) Azcerche se l'Bge sperimentali sulla lastra isocromatica — Le applicazioni dell’ isocroma- tismo (ms.). — 16) Sulla luminosità dei colori (ms.). — 17) Sulla fotografia del fondo dell'occhio (ms.). 2. Corpino Orso MaRIo. 1) Ricerche sulla variazione della costante dielettrica per la trazione del coibente (st.). — 2) A proposito della inter- pretazione del fenomeno di Leemann data dal sig. Cornu (st.).. — 3) Sulla variazione della costante dielettrica del cautchoue per la trazione (st.). — 4) Sopra una nuova azione che la luce subisce attraversando alcuni vapori metallici in un campo magnetico (st.). — 5) Sulle modificazioni che la luce subisce attraversando alcuni vapori metallici in un campo magnetico (st.). — 6) Sulla relazione tra il fenomeno di Leemann e la rotazione magnetica anomala del piano di polarizzazione della luce (st... — 7) Sui battimenti luminosi e sull’ impossibilità di produrli ricorrendo al fenomeno di Lee- mann (st... — 8) Sulla dipendenza tra il fenomeno di Leemann e le altre modificazioni che la luce subisce dai vapori metallici in un campo ma- qnetico (st.). — 9) Variazione della costante dielettrica del vetro per la trazione (st.). — 10) Sulla reciprocità nei fenomeni magneto-ottici (st.). — 11) Sull' interruttore di Wehnelt (st.). — 12) Correnti dissimmetriche otte- nute nel secondario di un trasformatore interrompendo nel primario la corrente con V interruttore di Wehnelt (st.). — 13) Nuovo metodo per de- terminare la curva d'’ isteresi magnetica per variazioni comunque rapide del campo magnetizzante (st.). 3. MaLagoLI Riccarpo. 1) Memoria sulla macchina di Atwood (st.). — 2) Sur le décharge de phase produit par un polariseur (st.). — 3) Le leggi dell’elettrolisi a corrente alternante (st.). — 4) Les lois de l'électro- lyse à courant alternatif (st... — 5) Ricerche fotografiche sui coherer (st.). — 0) Sul modo di funzionare del coherer (st.).. — 7) Sul valore delle costanti fisiche (st.). — 8) Intorno alla risoluzione di due problemi di fisica (st... — 9) Di una costruzione grafica delle sup. equipotenziali (st.). — 10) Sul cambiamento di unità fondamentali (st). — 11) Sur le changement des unités fondamentales (st.).. — Sur le méme sujet (réponse à M. Brilinski) (st.). — 12) Sulla diffusione dei raggi Réntgen (in colla- borazione col dott. C. Bonacini) (st.). — 13) Sul ripiegamento dei raggi Rbintgen dietro gli ostacoli (id.) (st.). — 14) Sul modo di sperimentare in radiografia (id.) (st.). — 15) Sul comportamento dei corpi nella diffusione dei raggi X (id.) (st.). — 16) Sur la transformation des rayons X par la matière (id.) (st... — 17) Risposta finale al sig. Sagnac (id.) (st.). 4. PETTINELLI PARISINO. 1) Contributo allo studio dello scambio di ca- lore della terra con lo spazio. — Misura del calore specifico dell’ ac- qua fino a + 300° (st.).. — 2) Un nuovo igrometro normale. — Sulle variazioni di conduttività elettrica dei fili metallici immersi in liquidi cotbenti (st.) — 3) Sull’aspetto presentato da certe scariche attraverso Prog. lamine sottili metalliche (st.). — 4) Sopra alcune proprietà termiche del- l’aria scintillata (st.). — 5) Azione dei raggi X sopra l'evaporazione ed il raffreddamento. (Con ms. accluso) (st.). — 6) Sopra un apparente svi- luppo di correnti termoelettriche in un filo omogeneo (st.). — ?) Un nuovo separatore delle correnti alternate debolissime (st.). 5. Sanprucci ALEssanpRO. 1) Mosforescenza del vetro ed emissione di raggi catodici, cessata l’azione eccitatrice del tubo (st). — 2) Emissione contemporanea di raggi ortocatodici da ambedue gli elettrodi, e proprietà della luce violacea nei tubi di Crookes (st.). — 3) Azione del magnetismo sulla direzione dei raggi catodici e sulla produzione di questi e degli X (st... — 4) Ricerche sul fenomeno residuo nei tubi a rarefazione elevata (st.).. — 5) Nuove ricerche sul « fenomeno residuo » nei tubi evacuati (st.). CORRISPONDENZA Il Segretario BLasERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La Società Veneto-Trentina di scienze naturali di Padova; la R. Acca- demia delle scienze di Amsterdam: il R. Museo di storia naturale di Bru- xelles; la R. Accademia di scienze e lettere di Copenaghen; la R. Acca- demia delle scienze di Lisbona; le Società di storia naturale di Agram e di Buffalo; la Società di scienze naturali di Emden; la R. Scuola navale superiore di Genova; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La R. Accademia delle scienze di Berlino; la Società geodetica di Wa- shington; l'Istituto geografico militare di Vienna. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA nella seduta del 7 gennaio 1900. Cauchy. — Oeuvres. II° série. Tome IV. Paris, 1399. 4°. Cocchi I. — 1 denti (zanne) dell’ elefante africano e il commercio dell’ avorio. Roma, 1899. 8°. Id. — Sul ricensimento della provincia di Arezzo e sulla utilità di accele- rarlo. Firenze, 1892. 4°. Cossa A. — Commemorazione di Carlo Friedel. Torino, 1899. 8°. RI De Angelis d' Ossat G. — Le sorgenti di petrolio a Tocco da Casauria. Torino, 139998808 Della Rovere D. — Hypoplesie des linken Herzens mit regelmàssiger Ent- wicklung des Bulbus aorticus. Jena, 1898. 8°. Id. — Rara anomalia del polmone destro. Decorso anormale della grande vena azigos. Torino, 1897. 8°. Id. — Sul bacillo icteroide (Sanarelli). Napoli, 1898. 8°. Id. — Sulle fibre elastiche delle vene superficiali degli arti. Jena, 1897. 8°. Delpino Y. — Gaetano Licopoli. Parole commemorative. Napoli, 1898. 4°. Id. — Note di biologia vegetale. 2. Apparecchi sotterratori dei semi. Como, 11899: (8°. Id. — Nuove specie mirmecofile fornite di nettarii estranuziali. Napoli, 1598. 8°. Id. — Questioni di biologia vegetale. S. l. 1899. 8°. Id. — Rapporti tra la evoluzione e la distribuzione geografica delle ranun- culacee. Bologna, 1899. 4°. Id. — Relazione e nota della Società africana d' Italia sull’ opportunità d' im- piantare giardini sperimentali di colture tropicali nella Eritrea. Napoli, di599%M80 Del Zanna P.—I Laghi di S. Antonio in provincia di Siena. Roma, 1899. 8°. De Vecchi B. — Osteoma cerebrale. Milano, 1898. 8°. Id. — Sulla patogenesi della epatite suppurativa. Palermo, 1899. 8°. De Toni J. B. — Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. IV. Florideae. Patavii, 1900. 8°. Gàlilei G. — Le opere. Vol. IX. Firenze, 1899. 4°. Ghellini G. — Grandine e spari. Conegliano, 1899. 8°. Goering W. — Die Auffindung der rein geometrischen Quadratur des Kreises. Dresden, 1899. 8°. Guerrini G.— Preliminary account of the influence of fatigue on the structure of the nerve-cells. S. 1. 1899. 8°. Id. — Sugli elementi elastici del tessuto connettivo dei nervi. Roma, 1899. 4°. Jatta A. — Sylloge Lichenum italicorum. Trani, 1900. 8°. Katalog der Bibliothek der K. Leopold. Carol. d. Akademia d. Naturfor- scher. II. 9. Halle, 1899. 8°. Lanciai G. B. — Elementi di fisica ad uso dei Licei e degli Istituti tecnici. I vol. Torino, 1899. 8°. Loria L. — Block-Sistema automatico del prof. G. Ceradini in esperimento presso l’ Amministrazione delle strade ferrate dell’ Alta Italia. Milano, 1882. 4°. Malfatti E. — Il Regime della salute ossia il Fiore della medicina della Scuola di Salerno. Traduzione italiana con comemti. Pistoia, 1899. 8°. Millosewich E. — Sull’ Orbita di (433) Eros in base alle osservazioni degli anni 1898-99. Altona, 4°. LO MVYIIRETOBb H. Marepiayng VIA U3yIEHlid 3EMIETpaACEHII Poccin. C. Ierepsyprs. 1899. 8°. Odessaer (Die) Abtheilung der Nicolai-Hauptsternwerte. St. Petersburg, 1899. 4°. Pfiùger E. — Die Entstehung von Fett aus Eiweiss im neuesten Licht der Schule von Carl von Voit. Bonn, 1899. 8°. Relazione della rappresentanza del Consorzio per gli spari contro la grandine in Conegliano. Conegliano, 1899. 8°. Scartazzi A. — Block-Sistem automatico con nuovi apparecchi a corrente periodica del Dr. G. Ceradini. Milano, 1899. 4°. Tommasina Th. — Sur la constatation de la fluorescence de l’ aluminium et du magnésium dans l'eau et dans l'alcool sous l'action des courants de la bobine d’induction. Paris, 1899. 4°. Troncone A. — Calcolo grafico del 77. Maracaibo, 1899. 8°. Valentini C. — Sulla portata di massima magra dei torrenti alpini. Bologna, 1399. 82. P0b. niente DI N (I84L4 f dReAua ; Aeon ENO arsriigi DD mov agitiatatàoi F. 4 PIO 4 HO} t } se k TeD: MOIOori ccm A RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 gennaio 1900. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle trasformazioni delle equazioni della dinamica a due variabili. Nota di A. ViteRBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Intorno ad alcuni nuovi arcometri ad immer- stone totale, ad inclinazione variabile e a riflessione. Nota I di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Fra i modi ideati da varî fisici per sopprimere negli areometri l' errore prodotto dalla tensione superficiale del liquido del quale si cerca la densità, quello dovuto al Pisati e che consiste nel far immergere completamente nel liquido l’areometro e i suoi pesi e regolare questi in modo che esso rimanga sospeso nell'interno del liquido senza venire a galla nè andare a fondo, è cer- tamente il più sicuro ed il più sensibile. Però l'operazione d'aggiungere o togliere o scambiare i pesi immersi nel liquido non è certo nè comoda nè agevole, e la difficoltà di tale operazione è aumentata dalla grande sensibiltà dello strumento, della lentezza con cui obbedisce alle piccole differenze fra il suo peso e la pressione idrostatica, e dai movimenti dovuti non alle diffe- renze suddette ma alla perturbazione del liquido nel regolare i pesi; inoltre tale metodo non si applica agli areometri a peso costante. Questi inconvenienti sono o del tutto evitati o notevolmente diminuiti nei seguenti areometri, fondati sopra un principio che non ho visto applicato RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. * 5 Mg — a questo genere di strumenti, che si prestano a indicare senza intervento dello sperimentatore e con continuità la densità cercata e le sue variazioni sopra apposita scala, e che inoltre possono funzionare in recipienti chiusi. Credo perciò che questi areometri non solo possano interessare come un nuovo modo possibile per misurare il peso specifico dei liquidi col metodo idrostatico e senza incorrere nell’ errore di capillarità, ma anche in vari casi presentino reali vantaggi sugli areometri attualmente in uso. Sebbene io abbia eseguito molte esperienze con questo genere di areo- metri e con disposizioni diverse dei medesimi, il tempo e la pratica potranno suggerire utili modificazioni nei particolari della loro costruzione e del loro uso, ma tuttavia credo opportuno di esporre frattanto il principio su cui essi si fondano ed i principali risultati delle prove fatte sui medesimi. 1. Areometri a peso costante e a inclinazione variabile; areometri a riflessione. Il principio di questi areometri è il seguente: si abbia uno dei soliti areometri a peso costante, il quale immerso in un liquido, vi sì im- merga completamente e vada a fondo; se il vetro e la zavorra non sono uni- formemente distribuiti attorno all'asse dell’areometro, questo, dopo toccato il fondo coll’ estremità inferiore, s' inclina più o meno e poi rimane in equi- librio, formando col piano orizzontale un angolo che dipende dalla posizione reciproca del centro di gravità, del centro di spinta idrostatica e del punto d'appoggio, e dipende inoltre dal volume e dal peso dell’ areometro e dalla densità del liquido, ma che, quando queste condizioni rimangono invariate, ha un valore notevolmente costante che si riproduce esattamente ogniqual- y Mie volta si ripete l'operazione. Un risultato simile s' ottiene se si ha un areo- metro che galleggi sporgendo in parte dal liquido e che abbia l' accennata dissimmetria nella distribuzione della massa, e lo si obblighi ad immergersi completamente e ad appoggiarsi coll’ estremità superiore contro la faccia in- feriore d'una lastra di vetro orizzontale immersa nel liquido stesso. La relazione fra la densità del liquido e l'angolo che l’asse dell’ areo- metro fa col piano orizzontale è molto semplice, tanto che con una oppor- tana costruzione dello strumento si può far a meno di qualsiasi formula e leggere direttamente la densità cercata sopra un'apposita scala divisa in parti uguali. Sia A il centro dell’ estremità emisferica dell’areometro, la quale ap- poggia contro un sostegno piano ed orizzontale, sia P il centro di gravità e Bor Q il centro di spinta, sia p il peso dell’areometro, g la spinta nell'acqua di densità 1, e sia AP=/,AQ="/'. Perchè l’areometro rimanga in equi- librio occorre anzitutto che il piano del triangolo APQ sia verticale e che il vertice P. sia al disotto del lato AQ; se però A rappresentasse un asse di rotazione perpendicolare al piano della figura, queste condizioni non sarebbero necessarie, ma sarebbero tuttavia utili in pratica per la stabilità dello strumento. Se poi, indichiamo con 0 e 6' gli angoli che le rette AP, AQ fanno col piano orizzontale quando l’areometro è in equilibrio nell'acqua, affinchè questo sussista dev' essere : pl cos0=gl' cosé'. Immergendo l’areometro in un altro liquido di densità 4 nel quale la spinta avrà il valore 94 e le inclinazioni di AP, AQ sull'orizzonte avranno variato d'uno stesso angolo @, per l'equilibrio dovrà essere : pl costa —0)= gl'd cos(la—0") e dividendo quest’ uguaglianza per la precedente s' avrà: 06. cos (a — 0) cos (a — 9) _1+ tang@ tang @ cos 0 cos 6' 14 tang 0 tanga Se l’areometro è costruito o zavorrato in modo che nell’ acqua esso si di- sponga coll’ asse di figura pressochè orizzontale, e quindi tang @' sia nullo o molto piccolo, sarà : d=1-(tang0—tang0’)tanga=14-Xtange. Il valore di X è una costante dell’ areometro ; non sarebbe impossibile determinarlo misurando i valori di 0 e di 0', ma riesce molto più sicuro e più esatto determinarlo misurando l’ inclinazione che prende l' asse dell’ areo- metro prima nell'acqua e poi in un liquido di densità nota 4, la differenza delle due inclinazioni essendo @ si avrà X=(d—1):tange. Osservando poscia per un liquido qualsiasi la tangente dell’ inclinazione dell’ asse dell’ areometro sopra una scala tale che nell'acqua l’ areometro v indichi la divisione zero e nel liquido suddetto la divisione 1—d (ossia tale che la sua unità sia uguale ad 1:k), essa tangente ci davà direttamente di quanto la densità cer- cata differisce dall’ unità. In generale se l’areometro si dispone quasi oriz- zontalmente in un liquido di densità D e la sua inclinazione varia di «, se viene collocato in un liquido di densità D' s' avrà : D'—D(1+4 Ktange) e K si potrà determinare come precedentemente collocando l’ areometro prima nel liquido di densità nota D nel quale si dispone quasi orizzontalmente, e poscia in un altro liquido di densità nota, ed osservando la differenza « delle inclinazioni nei due casi. dog — Prendendo come misura della sensibilità il valore di da:dD ossia costa:KD ne risulta che essa cresce allorchè decresce il valore di K = tang 0 — tang 0", ossia quando le congiungenti il punto fisso col centro di gravità e col centro di spinta si ravvicinano fra loro ed all’ orizzontale ed essa cresce anche, prima rapidamente poi sempre più lentamente, quando @ decresce da 7/2 a zero. Quindi per poter applicare le formule precedenti e per avere una grande sensibilità sarà utile che l’areometro possa prender la posizione orizzontale, e sarà utile altresì che esso possa inclinarsi tanto al disopra che al disotto di essa. Ciò si ottiene facilmente saldando all'estremità dell’ areometro, la quale deve appoggiare, un’ astina di vetro di circa 2 mm. di diametro C (fig. 2) ricurva in forma di uncino o di U capovolto, le cui estremità si trovino sul prolun- gamento dell’ asse dell’ areometro, il cui piano passi per il centro di gravità Fic. 2, e per il centro di spinta, e la cui curva si trovi rispetto all’ asse dalla parte opposta a quella del punto d'applicazione della forza preponderante, sia essa il peso dell'areometro o la spinta del liquido; l’ estremità libera dell’astina, affilata e arrotondata in modo da terminare con una porzione di sfera di circa 0,5 mm. di diametro, appoggia sopra o sotto uno stretto piano orizzon- tale immerso nel liquido, a seconda che l’ areometro tende ad andare a fondo oppure a venir a galla. Per evitare che l’azimut dell’ areometro variasse troppo facilmente, dapprima usai come zavorra uno o più aghi magnetizzati coi poli volti dalla stessa parte; ma il dover disporre l’areometro nel me- ridiano magnetico riusciva non di rado incomodo ed inoltre l’ areometro non obbediva che lentamente e incompletamente alla debole azione magnetica. Usai allora un doppio punto d’appoggio come vedesi in D, dove il ramo libero dell'astina suddetta si suddivide formando un secondo U (!) il cui piano è perpendicolare all'asse di figura dell’areometro e le cui estremità, affilate e arrotondate, si trovano all'altezza di tale asse. In tal modo l’azimut (!) Nella figura, in D, per isbaglio non è rappresentato il primo U e perciò il bulbo risulta troppo alto. Dilioo A dell'areometro rimane costante purchè si evitino gli urti al tavolo o al re- cipiente, e purchè il piano d'appoggio sia ben orizzontale. La forma e le dimenzioni possono variare senza inconvenienti ma altresì senza grande utile; usai ora bolle sferiche zavorrate alle quali era saldata lateralmente un’ asta, talora sottilissima, di peso e volume pressochè trascu- rabili, che terminava all’ estremità libera coll’ uncino che serviva di appoggio, usai altresì bolle cilindriche o periformi saldate. ora longitudinalmente, ora tra- sversalmente all'asta suddetta, collo scopo di variare le posizioni del centro di gravità e del centro di spinta. Evidentemente se l'attrito sul punto d' ap- poggio fosse sensibile, gioverebbe che i momenti delle due forze antagoniste fossero grandi; ma siccome, come risulta da esperienze descritte in seguito, tale non è il caso, l'aumento sia della spinta che del suo braccio di leva risultano pressochè inutili. La forma più semplice è quella che è rappresentata nella figura 2, e che consta semplicemente di un tubo cilindrico di vetro più o meno lungo e largo, chiuso alle estremità, convenientemente zavorrato e munito ad un’ estre- mità dell’uncino suddetto D e all'altra estremità d'una punta che serve da indice; come zavorra servivano pallini di piombo rinchiusi nel tubo insieme a molta cera, i quali si potevano raccogliere e fissare in varie posizioni fondendo e lasciando poscia consolidare la cera. La sensibilità dell'areometro da quanto s' è visto è piccola se i pallini sono raccolti in uno strato col centro di gra- vità per quanto è possibile basso e vicino all’ uncino, ed è molto grande se il centro di gravità è molto vicino all'asse del tubo e lontano dall'uncino, per quanto lo consente la stabilità dell’ areometro. Nel recipiente A che contiene il liquido del quale si cerca la densità, è fissata con ceralacca o altro mastice più conveniente, contro una parete ed a metà altezza, una striscia sottile di vetro da specchi B col suo piano orizzontale e sopra o sotto di essa si appoggia l'estremità dell’ areo- metro. i Due condizioni essenziali per l'applicabilità delle formule e per il buon funzionamento dell’areometro sono che il punto fisso sia esattamente tale e quindi AP ed AQ abbiano valori costanti e direzioni fisse rispetto all’ areo- metro, e che inoltre l'attrito che s’ opporrebbe alla rotazione attorno al punto A sia trascurabile. La 1? condizione è certamente soddisfatta quando le estremità colle quali l’areometro appoggia sopra un piano orizzontale sono sensibilmente sferiche, quali risultano per effetto della fusione del vetro, e di piccolo diametro; i mo- menti del peso dell'areometro possono prendersi rigorosamente rispetto alla congiungente i centri di esse sfere, la quale non partecipa alla rotazione dell’areometro, ed anche se il piano d'appoggio non fosse esattamente oriz- zontale, o fosse sostituito da una superficie leggermente concava, lo sposta- mento di tale retta sarebbe affatto trascurabile. og — Conviene inoltre a questo proposito notare che in questo strumento la fis- sità dell’ asse di rotazione non ha tanta importanza come nel caso della bilancia; in questa la distanza del centro di gravità del giogo dall'asse di rotazione essendo molto piccola (dal calcolo della deviazione che vi produce il peso di 1mgr., con dati approssimativi per le dimensioni e il peso del giogo, essa mi risulterebbe di circa 4 decimo di millimetro), una variazione minima nella posizione di questo asse può produrre una variazione relativamente molto notevole della distanza stessa, e quindi del momento esercitato dal peso del giogo ed equilibrato dalla differenza di peso nei piatti; quindi nel caso della bilancia sarebbe poco esatto il dedurre la differenza di peso suddetta dal- l'inclinazione del giogo, fuorchè nel caso che entrambe queste quantità fos- sero molto piccole. Invece negli areometri ora descritti le distanze dei punti d'applicazione delle due forze che si fanno equilibrio dall'asse di rotazione, essendo di parecchi centimetri, una variazione minima nella posi- zione di questo asse non produrrebbe che variazioni trascurabili nei valori di { ed /", e per di più queste variazioni essendo dello stesso segno, i loro effetti si distruggerebbero più o meno completamente qualora / ed /' fossero non molto differenti. Per assicurarmi che anche la 2* condizione è soddisfatta, cioè che l’ at- trito è realmente trascurabile, usai un areometro della forma rappresentata nella figura, il quale resi molto sensibile, disponendo la zavorra quasi sim- metricamente attorno all'asse del tubo, in modo che il centro di gravità e quindi la AP fosse poco al disotto di tale asse. Di più aumentai ancora la sensibilità osservando le deviazioni col metodo della riflessione, e a tale scopo fissai sull’ uncino uno specchietto, collocai l' areometro in un recipiente pieno d’acqua a faccie abbastanza piane, ed osservai nello specchietto me- diante un cannocchiale distante da esso metri 1,50 l’immagine d'una scala verticale adiacente al cannocchiale; tale immagine non era molto nitida spe- cialmente per raggi obliqui, tuttavia era possibile apprezzare i decimi delle divisioni millimetriche della scala. Per iscorgere se esiste una influenza sensibile dell'attrito sulla posizione d’equilibrio dell’ areometro, usavo successivamente tre modi diversi, cioè prima davo urti ora forti ora deboli al tavolo e al recipiente, per effetto dei quali l’areometro saltellava e si spostava sul suo piano d'appoggio e non di rado ne era sbalzato fuori, poscia deviavo l’areometro dalla posizione d' equilibrio sollevandone o deprimendone l'estremità libera, e finalmente toglievo affatto l’areometro dall'acqua e poi di nuovo lo rimettevo a posto. In tutti tre i casi la divisione della scala coincidente col filo orizzontale del reticolo, pas- sato il periodo di perturbazione, ritornò sempre invariata e solo si spostava da un lato all’altro del campo a causa delle piccole variazioni dell’ azimut dell’areometro; rimane così dimostrato che nelle condizioni accennate l' at- trito non esercita influenza sensibile sulla inclinazione dell’ areometro. meioo; I Temendo che l'attrito potesse diventar sensibile qualora le due sferette colle quali s'appoggia l’areometro avessero un diametro alquanto diverso e quindi la rotazione fosse necessariamente accompagnata da un leggero stri- sciamento di una delle due superficie sferiche contro il piano, aumentai pro- gressivamente il diametro di una delle sferette fino a 2,7 mm. mentre l' altra rimaneva di 0,7 mm. ma anche in questo caso, operando nei modi suddetti, non mi fu possibile constatare l’ esistenza dell'attrito. Un inconveniente che presenta questo modo d'appoggio e che in taluni casi può riuscire molto incomodo, è quello della instabilità; se lo stretto piano sul quale appoggia l’areometro non è orizzontale, in seguito agli urti e alle vibrazioni inevitabili del tavolo, l’ areometro facilmente si sposta e ne cade, e ciò può avvenire anche se il piano suddetto è orizzontale in seguito a scosse un po’ forti, oppure anche senza scosse se il piano è molto inclinato; un apposito riparo può impedire tale caduta, ma spesso può porre un certo ostacolo alla libera inclinazione dell’ areometro. Credo però che si potrà ri- mediare a tale instabilità sostituendo al piano d'appoggio una superficie ci- lindrica concava, p. es. una striscia longitudinale d'un tubo di vetro, oppure due superficie concave nel fondo delle quali appoggino le due sferette terminali dell’areometro, ma non ho sperimentato con queste disposizioni e non so se anche in tal modo l'attrito riesca insensibile. Provai invece altri modi d'appoggio, cercando d' ottenere che l’ areometro fosse più stabilmente e quasi indissolubilmente connesso col suo sostegno, e sostituii all’ uncino D un ago d’ acciaio perpendicolare all’asse di figura dell’ areo- metro e che poteva ruotare sopra un piano di vetro o due tubi coassiali, o entro due anelli pure di vetro che facevano da cuscinetti, oppure fissai il tubo o gli anelli all’areometro e l'ago d'acciaio al sostegno, ma in tutti questi casi, forse in gran parte a causa della costruzione imperfetta, l'attrito era molto notevole, e perciò la posizione d' equilibrio dell’ ago cambiava per effetto degli urti, ed allorchè esso veniva deviato non ritornava più esattamente alla posizione primitiva. Un modo di sospensione che mi parve presentare attrito minimo o nullo, e che è stabilissimo ma col quale feci poche esperienze, si ha colla sospen- sione bifilare, con due fili parallelli un po’ distanti (p. es. 1 cm.) i quali assicurano l’'invariabilità del piano nel quale varia l'inclinazione dell’ areo- metro, ma non impediscono quest'ultima che si può produrre liberamente attorno all'asse determinato dai punti d'attacco dei fili all’areometro. L'uncino della figura era sostituito da una corta astina o ago trasversale alle cui estre- mità legavo i fili; feci alcune prove con fili di bozzolo e con seta da cucire, e l'attrito risultò trascurabile, però l'inclinazione dell'ago variava un poco allorchè variavo l'inclinazione dell’ asse di rotazione, tuttavia mi parve che, colle opportune cure per render fissi i punti d'attacco dei fili, con tale di- sposizione si possano avere risultati soddisfacenti. I — Sulla misura dell’ inclinazione dell’ areometro, sulle cause d’ errore che essa presenta, e sul grado d’ esattezza che si può ottenere senza ricorrere 2 mezzi straordinarî e non giustificati, non ho fatto che poche esperienze, ma credo tuttavia utile accennare ai varî modi che si possono seguire. Si può adattare l'arco graduato sulla faccia anteriore del recipiente il quale dovrà essere a faccie piane, alto, largo e poco spesso; la casa Leybold di Colonia fornisce recipienti di dimensioni svariatissime formati di lastre da specchi o riunite con un mastice resistente agli acidi e adattatissimi per questo scopo. Sarà utile che almeno le principali divisioni dell'arco graduato siano pro- lungate fino ad incontrare la tangente verticale dell'arco stesso, la quale potrà essere divisa nel modo precedetemente indicato. Con questa disposizione sono specialmente nocivi gli spostamenti longitudi- nali dell’areometro, i quali distruggono la necessaria coincidenza dell'asse di rotazione col centro dell'arco graduato, e quindi converrà cercare con qualcuno dei mezzi indicati o con altri mezzi di impedire tali spostamenti. Si potrà al- tresì misurare l'inclinazione mediante un’ alidada, e così gli spostamenti del- l’asse di rotazione dell’areometro riusciranno innocui, purchè si conduca l’alidada ad esser sempre parallela ai lati o all'asse di figura dell’ areometro. Si può anche inclinare il recipiente finchè i suoi lati o una retta qualsiasi tracciata su di esso siano paralleli all’areometro, ed allora sì potrà usare un recipiente qualsiasi purchè trasparente, ma sarà necessario un modo di sospensione più stabile di quello ad uncino. Servendomi della sospensione bifilare e per mezzo di un sostegno Bunsen potei costruire prov- visoriamente una disposizione che permetteva di misurare la densità del li- quido senza toglierlo dalla boccetta nel quale era conservato. La boccetta, quasi piena di liquido, era tenuta solidamente pel collo mediante una delle solite pinze del sostegno suddetto e poteva esser inclinata o fissata in qual- siasi inclinazione mediante una delle solite morsette a rotazione; l' areometro era sospeso pei due fili paralleli le cui estremità superiori erano legate ad un tubo di vetro in forma di T attraversante un tappo di grandezza adatta per la boccetta. Introdotto l’areometro nella boccetta, fissato il tappo nel suo collo, inclinavo questa e la fissavo, quando i lati dell’areometro erano paralleli, a quelli della boccetta e leggevo sopra una scala la tangente dell’in- clinazione, mediante un indice che partiva dall'asse di rotazione. Finalmente si può misurare l'inclinazione dell’ areometro fissando a esso uno specchietto ed osservando in questo con cannocchiale fisso l’immagine d'una scala fissa; l’ effetto della rifrazione subìta dai raggi luminosi, la quale aumenta bensì la deviazione dei raggi stessi e quindi la sensibilità, ma essendo diversa pei diversi liquidi non può essere trascurata, può essere eliminato completamente immergendo la scala nel liquido, oppure quasi completamente, applicandola contro la faccia esterna del recipiente, e disponendo inoltre l’asse ottico del cannocchiale perpendicolarmente ad essa faccia. Si può invece deter- Bego O minare l'indice di rifrazione, e a tale scopo è molto adatto il metodo noto che consiste ad osservare in uno specchio verticale, immerso per metà, le due im- magini d'una scala orizzontale, l'una attraverso l’aria, l’altra attraverso il liquido e determinando lo spostamento rispettivo. Riguardo all'uso di questo metodo è anche da notare che si può far a meno d'un recipiente a faccie piane e trasparenti, purchè lo specchietto si disponga in posizione orizzontale sopra all’areometro e si osservino con can- nocchiale verticale le immagini d'una scala orizzontale, oppure si faccia uso d'uno specchio a 45° collocato al disopra del recipiente e che renda oriz- tali i raggi diretti al cannocchiale orizzontale. La sensibilità di questi areometri può esser resa grandissima; collo- cando opportunamente la zavorra, ho ottenuto facilmente areometri la cui inclinazione nell'acqua variava di circa 40° per una variazione nella tem- peratura di due o tre gradi, ossia di pochi diecimillesimi nella densità (!); siccome d'altra parte il metodo della riflessione permette di apprezzare e misurare frazioni piccolissime di grado, ne risulta che tale sensibilità è reai- mente molto notevole. Con apparecchi così sensibili la scala è necessaria- mente molto limitata in valore assoluto, sebbene gli areometri a riflessione a pari sensibilità abbiano una scala molto più estesa degli altri; converrà quindi avere una serie di areometri adatti alle densità che si vogliono misu- rare, oppure far variare l'inclinazione mediante pesi accessori. Chimica. — Sopra i nitrochetoni e gli ortonitroderivati (0). Nota di AnceLO ANGELI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le interessanti comunicazioni di A. Lucas e di Hantzsch e Veit sopra i nitrochetoni (*) e la polemica fra Hantzsch ed Henry sulla priorità della loro scoperta, mi porgono occasione di far rilevare che ancora cinque anni or sono (4) assieme al dott. Enrico Rimini io ho ottenute sostanze le quali con tutta probabilità appartengono a questa classe di composti. Ancora a suo tempo io ho dimostrato che tanto l’isosafrolo quanto il safrolo possono addizionare una molecola di anidride nitrosa per dare due nitrositi isomeri: R.C:H;N3 03, (1). Tale areometro può quindi servire come termometro molto sensibile per la tem- peratura ambiente; se il bulbo che contiene aria è aperto nella parte inferiore, esso può servire altresì come barometro sensibilissimo. Sull’ uso di questi ed altri areometri e del ludione come barometri, sono in corso esperienze che potranno esser oggetto di una pros- sima Nota. (®) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (3) Ber. 32, pag. 575 e seguenti. (4) Gazzetta Chimica. XXV, II, pag. 188. RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 6 49 dove R, per brevità indica il residuo aromatico. Siccome queste sostanze sono assai poco solubili nella maggior parte dei solventi e facilmente alterabili, finora non mi è stato possibile di determinare la loro grandezza molecolare. A me tuttavia sembra probabile che la formola si debba raddoppiare come nei nitrosocloruri, la cui struttura venne chiarita in seguito alle magistrali ricerche di Adolfo von Baeyer. Sebbene i nitrositi del safrolo e dell’ isosa- frolo sieno senza dubbio costituiti in modo analogo, pure la diversa posizione in cui è addizionata l'anidride nitrosa, impartisce loro una grande diversità di comportamento. Il nitrosito dell’ isosafrolo, per trattamento con alcali dà un composto al quale spetta la struttura R.CH=C(N0,).CH,, che in seguito sono riuscito a preparare anche sinteticamente per condensa- zione del piperonalio col nitroetano. La formazione di questo composto con- durrebbe ad ammettere che nella molecola del nitrosito un solo atomo di azoto fosse direttamente unito al carbonio; invece è molto probabile che tutti e due gli azoti sieno congiunti a due atomi di carbonio vicini, giacchè il nitrosito per semplice ebollizione con alcool perde una molecola d'acqua per fornire un composto al quale senza dubbio spetta la struttura: Il nitrosito del safrolo invece per analogo trattamento, cioè per ebollizione con alcool, si trasforma in modo quantitativo in un isomero il quale, per azione degli acidi minerali diluiti perde una molecola di idrossilammina per dare origine ad un composto che con l'idrossilammina rigenera la sostanza primitiva; questa deve perciò venire considerata come una ossima. Il deri- vato carbonilico quando venga ossidato fornisce acido omopiperonilico R.CH,.C00H, non possiede i caratteri delle aldeidi e perciò si deve considerare come un chetone. Per moderata riduzione in mezzo acido, questo chetone dà origine ad un amminochetone; resta quindi dimostrato che anche il secondo atomo di azoto deve essere unito direttamente al carbonio e perciò la sua formola non potrà essere che la seguente: R.CH,.C0.CH,.NO;; l'amminochetone avrà la struttura R.CH..C0.CH,.NH,; i questo per azione dell’acido nitroso fornisce il diazocomposto N R.CH,.C0.CHX ||. DIN Il nitrochetone dà sali che sono poco sulubili in eccesso di alcali; è pure solubile nei carbonati alcalini, ciò che facilmente si spiega per il fatto che gli atomi di idrogeno sono resi fortemente acidi dalla presenza di due gruppi negativi vicini, il carbonile ed il residuo nitrico. I nitrocomposti ali- fatici, come è noto, non sono solubili nei carbonati. Questa sostanza rappresenta il primo nitrochetone che sia stato prepa- rato. Esso reagisce inoltre con grande facilità anche soora la semicarbazide per dare il semicarbazone corrispondente; a tale scopo si tratta una solu- zione alcoolica del nitrochetone con una soluzione aquosa alcoolica di quan- tità equimolecolari di cloridiato di semicarbazide ed acetato sodico. Dopo breve tempo si separa il semicarbazone formatosi che viene purificato dal benzolo bollente. Si presenta sotto forma di squamme brillanti, incolore che fondono a 151°. Non è facile darsi spiegazione del differente modo di comportarsi dei nitrositi isomeri del safrolo e dellisosafrolo quando vengono trattati con alcool. Si può ammettere che questa diversità sia da attribuirsi ad una diversa confi- gurazione delle sostanze che si formano in una prima fase della reazione. Non è improbabile infatti che, in entrambi i casi, dapprima prenda origine un gruppo nitrico: nel safrolo, come s' è veduto, si forma la nitroossima : R.CH,.C(NOH).CH,.N0;, e forse lo stesso vale anche per il caso del nitrosito dell’ isosafrolo, giacchè anche da questo, per azione degli alcali, con tutta facilità si arriva al ni- troderivato: R.CH = C(NO),.CH;. Tenendo conto delle interessanti ricerche il Hantzsch, si può supporre che in entrambi i casi, tanto cioè dal nitrosito del safrolo come pure da quello dell’ isosafrolo si formino in una prima fase le nitroossime : R.CH,.C(NOH).CH,.N0, R.C(NOH).CH(N0,).CH;, nelle quali il residuo nitrico potrebbe anche assumere, in tutto od in parte, la forma tautomera (') >C:N00H. (1) Ancora nell’anno 1894 io avevo ammessa questa forma tautomera per il residuo nitrico (Gazzetta Chimica II, pag. 59). az È to DE 44 — Nel caso del nitrosito dell’ isosafrolo, che per ebollizione con alcool dà il perossido, si può ammettere che l’anidrificazione avvenga fra i due ossi- drili nitrico ed ossimmico, nel senso rappresentato dallo schema: —C= NOH —Ca=N-0 | | —C=N0.H —C=N-0 in modo perfettamente analogo a quanto avviene nella formazione delle ani- dridi delle diossime (azossazoli): —C=NOH —C=N | pro —C=NOH —Ca=N E siccome nella formazione di questi ultimi ha grande influenza la con- figurazione delle ossime da cui derivano, così si può ammettere che anche la formazione dei perossidi sia subo-dinata alla reciproca posizione dei due ossidrili nelle nitrossime primitive. Questo modo di considerare i perossidi come anidridi di nitrossime, permette di spiegare anche altre reazioni che i perossidi stessi presentano. Come a suo tempo io ho avuto occasione di dimostrare i perossidi delle 0s- sime, in generale, vengono più o meno facilmente decomposti dagli alcali per dare prodotti i quali variano a seconda della natura dei radicali conte- nuti nella loro molecola ed anche a seconda del numero di atomi di cui è costituito il loro anello. Queste reazioni si spiegano in modo soddisfacente ammettendo che in una prima fase avvenga addizione degli alcali con soppres- sione del legame che unisce i due atomi di ossigeno. I perossidi, p. e. della forma per azione della potassa, si trasformano in composti ai quali con grande pro- babilità spetta la struttura R.C.C(NOH).CH, | 9 | N00 si può supporre che in una prima fase avvenga addizione dell'alcali nel senso rappresentato dallo schema dif i e che in una seconda fase si elimini una molecola di acqua fra l’ossidrile nitrico ed un idrogeno del metilico, in modo forse analogo a quanto avviene nella formazione degli acidi metazonici. Analogamente è da intendersi l'eli- minazione di acido nitroso che è stata osservata in alcuni altri perossidi i cui anelli sono costituiti da più di sei atomi. Così dal perossido a 7 atomi si ottiene l' isossazolo, in questo caso con eliminazione di acido nitroso: ngi gg ti SEgue gag i geq I | | | ft] | N.O0—ON NOH NO;H Neo I perossidi contenenti l'anello C,N30, si comportano nello stesso modo. Molto probabilmente sono da riguardarsi come prodotti di addizione al residuo N,0,, i composti che ancora molti anni or sono Pròpper ottenne per azione degli alcali sopra l'etere: (0) —N=C.C00C0,H; | | O—-N=C.C00G;H;. Ammettendo la formazione di composti intermedî di addizione, si riesce del pari a spiegare in modo chiaro e soddisfacente molte altre reazioni che presentano i composti ossigenati dell'azoto. In seguito alla reazione da me scoperta fra l' idrossilammina e nitroderivati (!), ancora nell’anno 1897 io aveva messo in rilievo le grandi analogie di comportamento che esistono fra il gruppo carbonilico ed i residui nitroso e nitrico >C0,—NO;, —NO (1) Questa reazione, assieme a qualche altra che a prima vista sembrano molto di- verse fra loro, tolgono all’ idrossilammina il suo carattere di reattivo delle aldeidi e che- toni. L’ idrossilammina infatti, oltre che col gruppo carbonilico, può reagire col residuo nitrico, col residuo nitroso, col gruppo cianico, coi composti non saturi, ecc. Generaliz- zando e ponendo mente alla loro struttura più probabile 40) 0 —0} NC, — N=0, C=N, >C=C<; ecc. si osserva che tutti questi residui contengono legami multipli (doppi o tripli) fra car- bonio e ossigeno, fra azoto ed ossigeno, carbonio ed azoto, carbonio e carbonio ecc. L° idros- silammina sarebbe perciò da considerarsi come un reattivo dei legami multipli. La reazione procede senza dubbio nello stesso modo in tutti i casi, ed in una prima fase avviene addizione al lesame multiplo. In una seconda fase avviene eliminazione di acquì con formazione di ossime, nitrosoidrossilammina ecc. Quando però il legame multiplo unisce carbonio ed azoto oppure carbonio e carbonio, la reazione si arresta alla prima fase con formazione di amminossime ed idrossilammine. Le ji — ed appunto per mezzo di queste analogie io aveva dimostrato come si pos- sano interpretare alcune reazioni che presentano i nitroderivati, reazioni che fino allora erano completamente oscure. Così io aveva accennato alla strut- tura che si deve assegnare ai sali che taluni nitroderivati aromatici forni- scono con gli alcali. Come è noto Victor Meyer ammetteva che in questi nitroderivati gli atomi di idrogeno del residuo benzolico potessero venire rimpiazzati dai metalli; e come tale egli riguardava il composto intensa- mente colorato in rosso che si ottiene quando sopra il trinitrobenzolo si fa reagire l’alcoolato potassico. Avendo Lobry de Bruyn dimostrato che tale prodotto contiene alcool di cristallizzzazione, io aveva ammesso che esso sia da considerarsi come un prodotto di addizione dell'alcoolato al residuo nitrico : 0 R.N0; + C.H:,,0K = R—N:0K l0C.H,, precisamente come Claisen ha trovato per gli eteri carbonici (!). Ultimamente Hantzsch e Rinckenberger (2) hanno osservato un fatto analogo nel comportamento del trinitroetano rispetto alla potassa alcoolica. Anche in questo caso essi ottengono un prodotto di addizione la struttura del quale, secondo loro « si può difficilmente spiegare quando non si am- metta che il nitrogruppo, in una prima fase, addizioni l’alcoolato come av- viene per il gruppo carbonilico in alcuni eteri, p. e. l'etere benzoico ». All'alcoolato del dinitroetano, e rispettivamente ai suoi sali, spetta allora la struttura CH 40 CH.N-0C,H; NO» X\0K Come si vede, questo alcoolato del dinitroetano rappresenta un termine di una nuova classe di composti dei quali si conoscono altri rappresentanti, almeno sotto forma ‘di sali, quali i prodotti di addizione dell’etilato sodico (1) Berliner Berichte, 32, 5137; vedi anche pag. 629. (2) Recentemente Wohl (Bericte, 32, 3486) si giova delle stesse ipotesi per ispiegare la trasformazione del nitrobenzolo in nitrofenolo per azione della potassa; anche egli ammette la formazione di un prodotto intermedio di addizione degli alcali al residuo ni- irico. Io non ritengo improbabile che come prodotto di addizione degli alcali al residuo nitrico sia anche da riguardarsi il sale che si ottiene per azione della potassa sopra il piperilnitropropilene, al quale io ho accennato in una precedente comunicazione. Tale composto rassomiglia fino ad un certo punto ai nitroderivati aromatici, coi quali ha co- mune l’aggruppamento —CH=C{N0:)— e sopra questo argomento ritornerò in una pros- sima Nota. i — ai polinitroderivati aromatici come p. e. il trinitrobenzolo ecc. È quindi ne- cessario assegnar loro un nuovo nome ece. ecc. ». Hantzsch propone di chiamare questi composti di addizione col nome di nitroacidi (!) e sopra lo stesso argomento ritorna anche in uno degli ultimi fascicoli dei Berliner Berichte (?). Come si vede, sì tratta della stessa ipotesi che io aveva fatta ancora tre anni or sono, e veramente non com- prendo come Hantzsch, il quale conosce la letteratura in modo così esteso e completo, non ricordi quanto io aveva scritto in proposito molto tempo prima. Chimica agraria. — Intorno alla germinazione dell'olivo (8). Nota preliminare del dottor Giovanni SANI, presentata dal Socio KORNER. Da alcuni mesi ho sottoposto allo studio i materiali di riserva conte- nuti specialmente nella corteccia e nei rami giovani di Olivo, in diversi pe- riodi vegetativi, allo scopo di giungere a separare il glucosido da cui pro- babilmente si genera l’Olivile che da tempo il prof. Kéòrner sta studiando; la presenza di questo prodotto pare effimera, perchè finora non raggiunsi lo scopo delle mie ricerche, forse per non avere scelto opportunamente il mo- mento della raccolta del materiale. Ebbi però da incontrare altra sostanza non peranco descritta fra le esi- stenti nelle piante affini all'olivo e della quale sarà argomento in altra nota. Nel contempo mi parve utile il vedere quali prodotti si formano du- rante la germinazione all'oscuro dei semi d'olivo e stabilire in quali rapporti ponderali stiano i materiali di riserva coi nuovi prodotti formatisi, prendendo dapprima in esame le sostanze non azotate, poi quelle azotate. Nel mentre le ricerche qualitative possono valere, in certa misura, a stabi- lire quali relazioni esistano fra i prodotti che si incontrano nella pianta allo stato naturale e quelle che, dalle materie di riserva del seme, si originano nelle piantine eziolate; insieme ai dati quantitativi concorreranno a portare un nuovo contributo allo studio della germinazione dei semi oleosi. Il far germinare i semi di olivo presenta non lievi difficoltà e richiede un tempo molto lungo, inoltre si hanno molti semi infecondi, cosichè il ma- teriale che ebbi fino ad ora a disposizione fu scarsissimo. Presentemente ho (") Questo nome mi sembra poco appropriato perchè si applica anche ad altre sostanze che con queste non hanno nulla di comune. È preferibile designarli col nome di acidi ortonitrici, per indicare le loro relazioni con l’acido ortonitrico. Anche in questo caso però c’è l'inconveniente di poterli scambiare con i nitroacidi aromatici ortosostituiti. (?) Berliner Berichte, 32, pag. 3137. (*) Dal laboratorio di Chimica Agraria del R. Istituto Agrario di Perugia. eee disposto le cose in modo da potere avere parecchie migliaia di piantine in un tempo relativamente breve, ricorrendo ad un artificio che si usa da chi ri- produce gli olivi, cioè rompendo il nocciolo che racchiude il seme e ponendo poscia i semi a germinare su sabbia mantenuta umida, in camera buia, alla temperatura di 30°. La semina poi venne eseguita in modo da potere avere a disposizione buona quantità di piantine della stessa età e per diversi giorni, onde potere così meglio studiare la formazione dei diversì principî immediati o avere con- temporaneamente piantine nei diversi stadî di vita. Analisi dei semi di olivo. Determinai prima l'umidità nei semi mantenendone un dato peso a 110° fino ad avere due pesate uguali, in questo modo: gr. 7,5028 di semi predettero gr. 0,738 di acqua, il che risponde a gr. 9,82 °/ di acqua. Grasst. I grassi vennero determinati esaurendo un dato peso di semi asciutti finamente polverizzati, con etere solforico in un apparecchio Soxhlet e pe- sando l'estratto etereo, essicato in stufa a 110° per due ore; gr. 6,60 di semi asciutti diedero gr. 2,771 di estratto etero °/, 42,00 di grassi. Sostanze capaci di fornire zuccheri riduttori per idrolisi. Queste le determinai facendo bollire per tre ore un dato peso di semi, previa fina polverizzazione, in capsula di porcellana con SO*H? al 5 °/ in eccesso, avendo cura di mantenere il liquido a volume costante con acqua distillata e determinandovi poi gli zuccheri riduttori col metodo Allihn, dopo saturata l'acidità e liberato il liquido dalle sostanze proteiche. 1* Determinazione. Da gr. 2,1155 di semi trattati nel modo indicato ottenni un liquido che filtrato attraverso filtro di amianto, lavando con cura, venne, dopo saturazione e defecazione, portato a 200 cme., di questi prelevai 25 cme. per la determinazione degli zuccheri riduttori: che diedero gr. 0,077 di rame pari a » 0,039 di glucosio che riferito a 100 gr. di semi, dà 14.809° °/, di glucosio. 2% Determinazione gr. 3,7228 di semi trattati come sopra e portato il liquido a 200 cme. ne prelevai 25 cme. per la determinazoine degli zuc- cheri riduttori : ed ottenni gr. 0,1338 di rame pari a » 0,0682 di glucosio che riportato a 100 di semi, dà 14,65 °/, di glucosio. dio: A Non essendo chimicamente definita la natura delle sostanze idrolizzabili dell’ aleurone dei semi di olivo, mi limito a riferire i risultati in glucosio dai dati di Allibn. Sostanze proteiche, Queste vennero determinate dosando l'azoto col metodo Kjeldahl e mol- tiplicando il risultato ottenuto per 6,25. 1° Determinazione. gr. 3,7691 di semi richiesero cme. 7,2 di SO*H? N° pari a gr. 0,1008 di azoto e su 100 gr. 2,674 di azoto che corrisponde a 16,7125°/ di albuminoidi. 2% Determinazione. gr. 3,1086 di semi richiedono cme. 6,1 di SO‘H? normale pari a gr. 0,0854 di azoto che corrisponde a 2,774 gr. su 100 e a 17,83 °/ di albuminoidi. Ceneri. Le ceneri vennero determinate col metodo Schlòsing calcinando un dato peso di sostanza in corrente di O. gr. 1,8228 di sostanza lasciarono gr. 0,0526 di ceneri, il che dà °/, 2,87 di ceneri. Per differenza vennero calcolati il cellulosio e gli altri elementi non determinati. Analisi delle piantine. Le piantine vennero raccolte dopo la prima settimana di germinazione, lavate dalla sabbia ed asciugate con cura; vi si determinò dapprima la sost. secca a 110°: gr. 9,1068 di piantine (50 in N°) lasciarono gr. 0,9684 di sost. secca, che risponde al 10,63 °/, di sost. secca. Grassi. Vennero determinati come pei semi. gr. 1,99 di germogli secchi a 110° diedero gr. 0,159 di estratto etereo che riferito a 100 di sost. secca dà 6,23 °/ di grassi. L'esame della natura dei gliceridi che costituiscono l’ estratto etereo sarà istruttivo, ammesso, con alcuni fisiologi, che in parte, questi materiali possano migrare e ridepositarsi come tali nei nuovi organismi originati dal seme, perchè in essi dovrebbero pre- ponderare quelli ad acidi saturi in rapporto a quelli ad acidi non saturi contrariamente a ciò che è nell’ olio d' olivo, essendo più probabile l'an- teriore scissione di questi per la doppia legatura fra due atomi di carbonio nella catena, ove però anche nei primi periodi di vita delle piantine allo scuro non abbia luogo produzione e deposito di grassi, identicamente a ciò che avviene nella pianta allo stato naturale. RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 7 = Zuccheri riduttori esistenti come tali nei germogli. La determinazione degli zuccheri venne, in ogni caso, anche nei germogli, determinata per via ponderale secondo Allihn. Era naturale di. ricercare dapprima la quantità di materiali riduttori che si trovano nel germoglio come tali, per poi vedere in quali proporzioni nei germogli si formarono prodotti atti a dare materie riducenti, ed è perciò che in un primo saggio sottoposi alla diffusione, come si usa per le barba- bietole, i germogli in acqua fredda e determinai la quantità di zuccheri ri- duttori nel liquido ottenuto e defecato, a norma del solito metodo, ma real- mente non riuscii ad avere dati concordanti su campioni prelevati insieme, e ciò perchè i germogli per la loro struttura si trovano in condizioni assai diverse dalla polpa delle barbabietole oppurtunamente suddivisa. Per questo presi gr. 3,1544 di germogli freschi e tagliuzzati e soppestati li posi in bot- tiglia di Lintner scaldandoli per tre ore a 130°, con 100 di acqua; il li- quido filtrato, lavando opportunamente la parte insolubile lo portai a 200 cme. in 100 dei quali, dopo defecazione, determinai gli zuccheri riduttori presenti ed ottenni: gr. 0,0128 di rame pari a gr. 0,0075 di glucosio; e per 100 di ger- mogli freschi, 0,47 di zuccheri espressi come glucosio; e su 100 di sostanza secca, 4,60 °/, di glucosio. Gli altri 100 cme. dopo investimento diedero : gr. 0,130 di rame pari a gr. 0,0667 di glucosio; è per 100 di ger- mogli freschi, 4,19 di glucosio; e per 100 di sostanza secca, 30,94 di glu- cosio; da cui detraendo gli zuccheri riduttori preesistenti si ha, che gr. 26,34 di zuccheri, espressi come glucosio, risultano dalla idrolisi e dell'amido forma- tosi e solubilizzato sotto 3,5 atmosfere e di altri idrati di carbonio solubili capaci di fornire zuccheri riduttori. Nel seme non esiste amido, esso si pre- senta fra i primi prodotti nella nuova piantina prevalendo nelle foglie rispetto al fusticino. È probabile che la formazione dell’amido sia preceduta da altri prodotti, la cui natura cercherò di definire. Le ricerche qualitative avendomi indicata la presenza di materiali atti a dare furfurolo, determinai nei germogli la quantità di furfurolo valendomi del metodo del Councler e, dal precipitato ottenuto con foroglucina, calcolai il furfurolo e quindi i pentosani: gr. 8, 734 di germogli pari a gr. 0,8279 di sost. secca diedero gr. 0,0954 di precipitato pari a gr. 0,052 di furfurolo rispondente a gr. 0,07877 di pentosani; il che dà per 100 di sostanza secca 9,51 di pentosani in generale. Definirò la natura del pentosano a suo tempo. N] Sostanze azotate. L'azoto nei germogli venne determinato con due diversi metodi, cioè con quello del Kjeldahl nei germogli freschi; i risultati qui sotto scritti, come si vede, si corrispondono: 1° metodo Kjeldahl, gr. 7,817 di germogli freschi pari a gr. 0,8309 di sost. secca richie- sero cme. 2,7 di SO'H? normale pari ad azoto gr. 0,0378 e per 100 di sost. secca 4,58 di azoto. 2° metodo Dumas. Sostanza presa gr. 0,2356 (polvere germogli secchi a 100°) diedero azoto V = 9 cme. temperatura 1 Hol pressione IP. | per cui si calcola azoto a gr. 0,01038 che risponde ad azoto °/, 4,49. La quantità notevole di azoto nei germogli in rapporto a quella con- tenuta nei semi si spiega se si considera che lo spermoderma, povero di azoto, ricco di cellulosio, non prende parte alla formazione dei nuovi prodotti e che inoltre, le prime sostanze a distruggersi per effetto della respirazione saranno naturalmente gli idrati di carbonio, già molto più ossidati e facilmente os- sidabili in confronto alle ammidi e agli ammino-acidi che insieme si gene- rano nella germinazione. Acidità di germogli. Per gr. 1,3286 di germogli trattati con acqua si richiesero cme. 2 di potassa decinormale per saturarne l'acidità. Come si vede l'acidità non è molto rilevante, forse perchè il solvente usato non era adatto per la natura degli acidi presenti. Spero che le ricerche qualitative sulla natura degli idrati di carbonio e dei gliceridi costituenti il grasso dei germogli e il dosamento dei singoli prodotti, ove sia possibile, mi varranno a potere, con qualche attendi- bilità, stabilire rapporti sulla trasformazione dei grassi nella germinazione. Di questo sarà argomento la nota che avrò l'onore di presentare prossima- mente a codesta illustre Accademia. SR Mineralogia. — Sopra la perowskite di S. Ambrogio in valle di Susa. Nota di GrovANNI BorRIS, presentata dal Socio STRUEVER. Non molto numerose sono le località nelle quali è stata finora rinve- nuta la perowskite. Una di queste è nelle nostre Alpi lombarde, giacchè dallo Striver ('), alcuni anni or sono, venne dimostrato che a siffatta rara specie, sono da ascriversi certi cristalli, trovati da D. Lovisato nell’amianto del monte Lagazzolo in val Malenco. Con questi brevi appunti voglio render noto che un altro giacimento italiano di perowskite si può ora aggiungere al testè citato, perchè nelle serpentine formanti, per una gran parte, la montagna sovrastante a S. Am- brogio, borgo situato sul versante destro della valle di Susa, raccolsi ulti- mamente un minerale che della perowskite ha tutti i caratteri fisici e la chimica composizione. Stanno dentro alle dette serpentine delle lenti di granato compatto, di mole non molto considerevole, separate dalla roccia che le involge da uno strato prevalentemente cloritico, di spessore variabile, mai, ad ogni modo, molto grande. In altre serpentine, affioranti in un punto poco discosto da quello dove si riscontra la perowskite, avevo già notata (*), per l’addietro, la presenza di altre lenti granatitiche parecchio somiglianti a quelle pocanzi menzionate, e mostranti esse pure una zona di contatto colla roccia serpentinosa in cui sono rinchiuse, fatta quasi per intero di clorite. Tutte queste serpentine fanno parte di un’ unica formazione che, esten- dendosi, a sud di S. Ambrogio, per le alture rinserranti ad occidente il ba- cino dei laghetti di Trana e di Avigliana, tributari della Dora Riparia, arriva sin presso a Valgioie nella valle del Sangone. Però tra le masse granatitiche trovate per le prime, qualcuna era ab- bastanza ricca di minerali discretamente cristallizzati, del cui studio ebbi già occasione di occuparmi, i quali, nel loro insieme, fino a un certo punto, e in scala modesta, riproducono quanto si osserva, in grande, nei classici giacimenti della valle d’Ala. Quelle invece in cui m'imbattei di poi sopra S. Ambrogio, in fatto di minerali cristallizzati sono povere, ma tuttavia interessanti, perchè, nella zona di contatto fra esse e la serpentina, sonvi dei cristalli isolati e dei gruppi di cristalli di perowskite. La forma loro è quella del cubo. Sono sempre molto imperfetti e, solo (') Atti di questa Accademia, 1880. Transunti, IV, 210. (2) Atti della Re Accademia delle scienze di Torino, XXXII, 670 e XXXIV, 609. 3 e per eccezione in uno o due, si veggono delle facce assai curve, probabilmente di rombododecaedro. Il più grosso sporge dalla matrice per circa tre millimetri, nel senso di uno degli assi cristallografici, e la faccia sua più grande che viene così a presentare di fronte, è lunga 11 e larga 13 millimetri. I più piccoli mi- surano circa un millimetro e mezzo nelle tre direzioni. Il minerale si pre- senta poi ancora in minuti noduli e in sottili e ristrette lenticelle. I cristalli mostrano tracce di sfaldatura secondo le facce del cubo, una frattura minutamente concoide, una lucentezza adamantina sulla frattura fresca, una scalfittura di color grigio traente al giallognolo. La durezza loro è tra 5 e 6 ed hanno un peso specifico trovato eguale a 3,98. Solitamente sono di color bruno giallastro, taluno anche è quasi nero, pochi di color giallo miele. L'esame ottico di lamine sottili tagliate parallelamente alle facce di }100}, rivela che i cristalli sono dati da tre sistemi di lamine, fortemente birifrangenti, incrociantesi ad angolo retto, parallelamente alle facce del cubo. Colle diagonali delle facce di questo coincidono le direzioni d’ estin- zione per modo che gli assi di massima e di minima elasticità dell’ un si- stema di lamine, coincidono rispettivamente con quelle di minima e di mas- sima dell'altro che è normale al primo. Tra il reticolato formato dai due sistemi perpendicolari alla faccia che si considera, si trovano plaghe che dànno colori d’' interferenza sempre molto bassi e dalle quali, a luce conver- gente, esce, quasi perpendicolare un asse ottico, con accenno a forte disper- sione. I nostri cristalli appartengono adunque al tipo ottico di Zermatt e degli Urali. Il minerale è infusibile al cannello. La perla di sale di fosforo svela in esso il titanio. L'acido solforico lo decompone, se in polvere finissima, a caldo. Questa poi si disaggrega facilmente se si fonde con bisolfato potassico. La massa fusa si scioglie completamente in molta acqua fredda. Dalla so- luzione si può precipitare, per ebollizione, l'acido titanico e nel liquido, cogli ordinari reattivi, ci si può accertare della presenza del ferro e del calcio. Ho determinato la composizione centesimale di questo minerale disag- gregandone g. 0,5108 con bisolfato potassico. Per separare l'acido titanico dagli ossidi del ferro e del calcio, feci bollire la soluzione con iposolfito so- dico secondo il metodo di Stromeyer (!). Il precipitato così ottenuto, anche dopo una forte calcinazione, si mantenne bianchissimo. Precipitai poi il ferro, previa ossidazione con acido nitrico, mediante l’ ammoniaca, e la calce con ossalato ammonico. Ricavai così gr. 0,2995 di Ti0., gr. 0,0049 di Fe. 03 e (1) Annalen der Chemie, CXIII, 127. Eri gr. 0,2058 di Ca O. Da questi dati risulta la seguente composizione cente- simale: Tios 58,63 Fe 0 0,86 Ca 0 40,29 99,78 Per un composto Ca Ti0;, in cento parti, si avrebbe Ti 0, 58,86 e Ca 0 41,14. Il materiale che servì per detta analisi venne messo insieme rompendo in scheggie minute alcuni cristalli della colorazione più frequente, esami- nandole una per una alla lente, e scartando tutte quelle cui aderiva qualche poco di clorite e quelle che erano attirate da una comune calamita. La fina polvere in cui poi le dette schegge vennero ridotte, osservata al microscopio, si mostrò del tutto uniforme. Altri minerali che accompagnano la nostra perowskite sono: clorite in lamine di color verde chiaro; apatite in scarse masserelle, biancastra age- volmente riconoscibile alla facile solubilità in acido nitrico caldo, e alla caratteristica reazione dell'acido fosforico; ilmenite e magnetite. L'associazione di magnetite, ilmenite e perowskite fu già osservata altra volta da C. Paneerschinski nella miniera Jeremejew nel circolo di Slatotist (*). L' ilmenite, nel nostro caso, si presenta ordinariamente in piccole croste aderenti alla massa cloritica, e talvolta sono così sottili da formare niente più che una patina. Alcune di tali croste mostrano, nel loro contorno, delle facce assai brillanti, ma poco piane in generale. Di più sono troppo scarse di numero, per poterne misurare le incidenze con risultati esaurienti. Si trovano però anche dei cristalli abbastanza sviluppati, quantunque sempre molto sproporzionati. Del più ricco tra quelli che misurai riporto più avanti i valori angolari. Non sono a dir vero, di una grande bontà, perchè gran parte delle facce in esso presenti, sebbene dal più al meno brillino tutte (alcune anzi sono ampie e lucentissime), dànno riflessi multipli, o altri- menti scadenti. Bastano ad ogni modo per determinare il simbolo delle forme osservate sul cristallo in questione, le quali sono: }111} 5110} {100} }101{ 5111} 3811. Nella seguente tabella i detti valori vengono messi di fronte ai calco- lati in funzione dell'angolo (100):(111) = 57° 56°, assunto come fondamentale per un’altra ilmenite entrante nel numero dei minerali cristallizzati che, come ricordai in principio della presente Nota, ebbi modo di raccogliere in un altro punto della formazione serpentinosa in cui si rinviene la nuova pe- rowskite. (1) Zeitschrift fir Krystallographie und Mineralogie, XVII, 626. i Angoli Mis. Cale. (100):(111) 58° 5° 57°56' (111):(101) 38 45 38 36 (101):(111) 33 30 i ol (111):(010) 49 37 49 28 (101):(100) 42 40 42 47 (100):(101) 47 23 47 13 (100):(311) 26 10 26 4 (&100) (0001) 29 52 29 40 (100):(111) 55192 55 44 (111):(110) 33 45 34 16 (Id) 61 5 61 31 (311):(110) 28 15 28 29 (111):(101) 93 48 93 40 (101):(3Î1) 32000) 32009 (811):(111) d4 33 54 17 Tali cristalli, oltrechè d'aspetto, sono variabilissimi anche di grossezza. Il più grande trovato appare come una lamina lucentissima lunga millimetri 8 e larga 3, per intero adagiata sulla roccia, e contornata da facce splendenti, ma piuttosto imperfette. La magnetite poi è in cristalli rombododecaedrici, ma più spesso è in noduli, talora discretamente grossi, alcuni dei quali contengono piccoli cubi, abbastanza ben fatti e subtrasparenti, di perowskite. Aggiungerò ancora che sempre nello strato di contatto fra granatite e serpentina, vidi un altro minerale che si presenta, non di frequente però, in lunghe liste, strette per rapporto alla lunghezza, di colore a tratti bruniccio, a tratti bianco giallastro, con lucentezza tra la vitrea e la madreperlacea, a struttura laminare e in lamine facilmente separabile. L'estinzione in cotali liste, avviene parallelamente alla loro direzione di allungamento. Dalle lamine da esse cavate, a luce convergente, emerge un asse ottico al margine del campo di vista. Si sfaldano imperfettamente secondo un prisma sulle cui facce una direzione di estinzione fa un angolo di circa 40° collo spigolo di esso. Per tanto il minerale è da ritenersi come un pirosseno monoclino con abito diallagico. do — Geologia — Appunti per la geologia del Viterbese. Nota del- l'ing. EnRrIco CLERICI, presentata dal Socio PATERNO. Da molto tempo è noto che nella regione Cimina si trovi un materiale utilizzato come pietra da taglio e da lastricare, localmente chiamato pepe- rino, e che questo, in molte località, rappresenti il più antico materiale vul- canico della regione e riposi sopra argille plioceniche a fossili marini. Le opinioni degli autori che si occuparono di questa roccia sono alquanto diverse fra loro, e ritengo doveroso accennarle, almeno brevemente, tanto più che questa rassegna semplificherà assai l'esposizione delle mie osservazioni. Il Pianciani (!) in una sua lettera al Procaccini Ricci riferisce che un naturalista ultramontano « non conveniva della vulcaneità » del peperzro. Brocchi (2) ritenne che fosse una lava e, per distinguerlo dal peperino laziale che considerava un tufo, lo chiamò mecrolite a piccoli feltspati. Il Pareto lo disse {rachite (3). Vom Rath (4) in una sezione schematica dei dintorni di Viterbo lo indicò come trachite. Ponzi e Masi (*) lo giudicarono rachete feldspatica con pirosseni neri e squame di mica. Il colonnello Verri (5), nel 1880, concluse che a detta roccia « potrebbe (1) Vedasi Procaccini Ricci V., Viaggi ai vulcani spenti d'Italia nello stato romano, verso il Mediterraneo, viaggio secondo, Firenze 1821, tomo II, pag. 39. (2) Brocchi G., Catalogo ragionato di una raccolta di rocce, ecc. Milano 1817, pag. 156 e seguenti. Brocchi propose il nome di zecrolite grecizzando quello di sasso morto usato al Montamiata per una roccia di analogo aspetto; non già pel fatto che gli etruschi vi scolpirono de’ sarcofagi come credono il Deecke ed il Washington. (3) Pareto L., Ossero. geolog. dal monte Amiata a Roma (Giorn. Arcadico, tomo ©, 1844). (4) Vom Rath, Geognostisch-mineralog. Fragmente aus Italien, Il Th. (Zeitsch. d. d. g. Ges. 1868, XX Bd., pag. 296). (5) Ponzi G. e Masi F., Catalogo ragionato dei prodotti min. ital., Roma 1873, pag. 37. (6) Verri A., / vulcani Cimini, Mem. R. Ace. Lincei, vol. VIII, 1880. A pag. 14 del- l’estr. leggesi «tra il 7° e 1°8° chilometro dalla stazione di Orte, si vede la roccia come iniettata in una fenditura quasi verticale di terreno pliocenico, dove a destra si hanno marne e sabbie con ciottoli calcari, a sinistra sabbie con Pecten varius, Ostrea, Cladocora cae- spitosa. In quel luogo presso la superficie di contatto le ghiaie calcari sono mescolate alla roccia cristallina; lì presso la roccia cristallina è coperta da pochi sedimenti marini con ostriche, e nei sedimenti marini si trova qualche ciottolo della stessa roccia, ma talmente sfatto da sgretolarsi tra le mani ». Da questa osservazione, della quale non so ren- dermi esatto conto, se ne è dedotto (pag. 25) « che l'eruzione del tufo trachitico sin avve- nuta a non molta profondità sotto il mare, e che vi abbia costrutta una specie di isola leggermente rilevata al centro, sulla quale non poterono più salire le acque marine, mentre ne coprirono almeno parzialmente il perimetro ». 2 esserle proprio il nome di ufo (rachitico » e più tardi ('), nel 1889, ritor- nato sull'argomento per rettificare alcune osservazioni del Deecke, ripetè che il peperino gli sembrò più un tufo che una lava e « che fosse stato eruttato così qual'era dal vulcano, e non che fosse stato composto per rimaneggia- mento di materiali trachitici prodotto dalle acque alla superficie del terreno » ma « avvenuto sotto le acque marine ». Dalla presenza di interclusi di roccie trachitiche indusse che « lo spandimento segnasse non un principio assoluto, ma una ripresa di attività vulcanica, concordante col sollevamento che por- tava all'asciutto il fondo marino pliocenico; e che la vulcanicità si fosse manifestata nel territorio fin dai tempi miocenici, e fosse rimasta inattiva durante l'oscillazione discendente del pliocene ». Il prof. Deecke (?) definì il peperino per andesite micacea con piros- seno che, per la frequenza del sanidino, si avvicina alla trachite. Al micro- scopio vi riconobbe feldspato, prevalentemente plagioclasio, accompagnato da sanidini più grandi, biotite bruno-rossastro-scura, e augite marcatamente pleocroica in grani arrotondati. Massa fondamentale torbida, poco trasparente, costituita da vetro incolore con molte globuliti, qualche volta scoriacea e pumicosa. Il prof. Mercalli (*) determinò il peperino come (rachite andesitica quarsifera o dacite felsitica. Al microscopio vi riconobbe « molte segre- gazioni di feldspato plagioclasio e di biotite e pochi granuli di quarzo in una massa fondamentale in gran parte vitrea, in alcune varietà con distinta struttura filamentoso-fluidale >. Egli avverte che esiste anche un tufo peperi- nico formato da pezzi di peperino pomiceo e che vide alla mattonaia presso Viterbo, sotto al peperino, straterelli di « pomici peperiniche le quali poi in diverse località sostituiscono il peperino stesso, mostrando chiaramente l’equi- valenza delle due formazioni ». Il prof. Meli lo ritenne una roccia eruttiva e lo chiamò andesite bio- titica con iperstene (‘). Il prof. Washington (°) dice che il peperino è composto di frammenti di ortoclasio limpido, di plagioclasio basico (prossimo alla labradorite) un poco meno abbondante e mostrante molte lamelle di geminazione; molti cri- stalli di biotite bruna talvolta decomposti e spesso sfrangiati agli orli, e meno numerose augiti verde-grigiastro, il tutto legato in una massa fonda- (1) Verri A., Note a scritti sul pliocene umbro-sabino e sul vulcanismo tirreno. Boll. Soc. Geol. It. vol. VIII, 1889. (2) Deecke W., Bemerkungen zur Entstehungsgeschichte und Gesteinskunde der Monti Cimini. N. Jarb. f. Min. VI, 1889. (3) Mercalli G., Osservazioni petrografico-geologiche sui vulcani Cimini. Rend. R. ist. Lombardo, vol. XII, 1889. (4) Annuario della R. Scuola d’Appl. degl’ ing. di Roma per l’anno scol. 1892-93. (3) Washington H. S., Italian petrological Sketches, IL. Journ. of. Geol, vol. VI, 1896. RenpIeonNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 8 } mentale torbida, mal definita. Egli osserva inoltre che il carattere fram- mentario di tutti i cristalli è marcato al massimo e che in tutti i costl- tuenti vi manca quella definitezza di forma e disposizione che caratterizzano una roccia veramente effusiva. Perciò non dubita punto che sia un tufo deri- vato da una delle peculiari ‘rachi-andesiti di questo distretto vulcanico. Il prof. De Stefani e il prof. Fantappiè, in una nota su / terreni terziari superiori dei dintorni di Viterbo (!), non esprimono esplicitamente la loro opinione sul peperino; mi sembra però che lo ritengano un tufo e costi- tuito in mare. La citata memoria riguarda principalmente il calcare gros- solano rinvenuto al fosso di Arcionello verso la vecchia strada della Quercia e al podere Ravicini sulla via di Vetralla (*), nonchè le argille della mat- tonaia Falcioni in prossimità di detto podere. E poichè in questa nota mi occuperò anche di tali roccie, stimo utile riportarne le loro conclusioni in proposito. — Il calcare grossolano viene riconosciuto di formazione littorale ed attribuito al miocene medio, plaga elveziana. Le argille vengono definite di mare profondo e plioceniche e paragonate a quelle del Vaticano presso Roma, di Nettuno e di Corneto. Quindi gli autori asseriscono che alla mat- tonaia Falcioni, « sopra il piano delle argille da laterizî, fino al sovrastante peperino, succedono 6 0 7 m. di argille bianche nei cui strati si manifestano, e man mano che si sale vanno aumentando, materie vulcaniche. .... quelle stesse materie che secondo gli studî del Deecke e del Washington formano il peperino; sono cioè specialmente frammenti minutissimi, irregolari, di Sanidino, di Augite, di Biotite e di Magnetite...... scarsissimi negli strati inferiori, vanno aumentando superiormente, fino a che nel peperino predo- minano ad esclusione di ogni materia argillosa ». Quindi, messa in rilievo la mancanza dei terreni gessosi caspici del miocene superiore, concludono che dopo la deposizione del calcare grossolano e prima di quella delle argille la regione fu soggetta ad una depressione generale; che « le eruzioni del sistema Cimino cominciarono sul finire del Pliocene; anzi propriamente prima che terminasse la deposizione delle marne Vaticane, e che principiarono sotto il mare od almeno per opera di un vul- cano che lanciava direttamente i suoi prodotti nel mare circostante ». (1) Rend. R. Acc. Lincei 1899, vol. VIII, 2° sem., fasc. 3°. (2) L'esistenza del calcare presso la fabbrica di mattoni era stata indicata anche dal prof. Meli che vi rinvenne” Pecten cfr. opercularis Linn., Cardita, Ditrupa coarctata Brocc. e lo paragonò al macco di Corneto, rilevando che « la posizione di questo calcare è importante, giacchè è sottostante alle marne marine, generalmente ritenute plioceniche, usate per i laterizî, le quali, a loro volta, sono ricoperte dall’ andesite micacea, detta peperino dai viterbesi ». (Sopra alcune roccie e minerali raccolti nel viterbese, Boll. Soc. Geol. It. XIV, 1895). Più tardi lo stesso prof. Meli indicò un’altra località fuori Porta Fiorentina (verosi- milmente l’Arcionello) donde ebbe esemplari di Perna Soldanii Desh. della quale specie riportò una ricca bibliografia (Appunti di Storia naturale sul Viterbese, Roma 1898). ERO, = Finalmente l'ing. Sabatini nella recente Relazione sul lavoro eseguito nel triennio 1896-97-98 sui vulcani dell’Italia centrale e i loro pro- dotti (!), per il peperino dice: « l'esame microscopico rivelerebbe una roccia a struttura chiaramente lavica, con microliti di felspato abbondantissimi e bene sviluppati, una bella oligoclasite con mica nera ». Egli aggiunge che l'aspetto esterno della roccia, quando non è molto alterata, è anche quello di una lava; ma che in favore dell'ipotesi che invece sia tufo stanno i se- guenti fatti: 1° la grande abbondanza di questo materiale e la continuità del giacimento intorno al cratere; 2° assenza di fenomeni di contatto auten- tici; 3° abbondanza degli inclusi; 4° stratificazione sottile visibile special- mente presso la rotabile Vetralla-Cura-Bieda; 5° molteplicità dei coni for- mati tutti di peperino pe' quali si dovrebbero altrimenti ammettere troppe cupole laviche. Quindi per ora conclude che « almeno in gran parte, il pepe- rino è un tufo ». Cosicchè questa questione, che si agita da oltre ottanta anni, resta aperta malgrado il sussidio della petrografia, che anzi ha permesso di giun- gere a conclusioni opposte. Io ho visitato accuratamente la valle dell'Arcionello e non ho potuto constatare in posto la presenza del calcare e tanto meno la sua giacitura al disotto dell'argilla. Per avere de’ campioni del calcare ho dovuto martellare i pezzi, neppur tanto frequenti, esistenti nei muri ed un masso di circa un terzo di metro cubo posato sul terreno vegetale presso una casa colonica e che mi fu detto essere un termine di proprietà. Talchè le cose mi sono apparse presso a poco come erano al tempo del Procaccini Ricci (*) al quale il detto calcare sembrò erratico al disopra dell'argilla e contenente conchi- gliette « non dissimili»nelle specie da quelle tanto comuni in San Giorgio » nelle adiacenze Orvietane (3). Neppure alla mattonaia Falcioni, malgrado vi fosse un profondo scavo, attualmente ricolmato, ebbi la fortuna di vedere che sotto l'argilla vi sia il calcare. Nè in quelle vicinanze vi è una qual- siasi sezione naturale o artificiale che faccia vedere la linea di contatto fra l'argilla da laterizî ed il calcare, il quale del resto esiste effettivemente in posto al podere Ravicini ed in un fondo limitrofo (‘). @ Boll. del R. Comitato Geologico, 1899. A pag. 33 l'ing. Sabatini asserisce che « qualche volta delle formazioni d’acqua dolce sono tra le argille e il peperino ». ma negli esempî che riporta di sezioni da lui rilevate non ve n'è alcuna in cui sia indi- cata la formazione d’acqua dolce fra le argille ed il peperino. ® Viaggi ai vule. spenti. op. cit., t. II, pag. 46-47. (8) Analogamente il Pianciani scrisse di aver riconosciuto « de’ pettini, e qualche nucleo di arca, dentale e nerite » nelle « pietre arenarie piene d’impronte di molluschi e zoofiti che si trovano nella strada vecchia da Viterbo alla Quercia sopra l’ argilla figu- lina bigia » (in Procaccini Ricci, Viaggi, op. cit.,t. I, pag. 159). (4) Questo calcare fu conosciuto anche dal Pianciani che vi osservò un’ ostrica, de’ pettini, un solarium e delle serpole arenarie. Mec) — I prof. De Stefani e Fantappiè nel concludere che il calcare appartiene all’ elveziano hanno dovuto ammettere la mancanza dei terreni caspici del miocene superiore ed uno spostamento positivo prima della deposizione delle argille. Io aggiungo che se l'età del calcare è ben determinata si rende- rebbe necessario ammettere anche un sollevamento tale da permettere alla formazione littorale calcarea di essere parzialmente demolita e ridotta a scogli ai quali, nel successivo sprofondamento, si sarebbero addossate le argille plioceniche. E poichè alla mattonaia Falcioni il peperino giace sulle argille cosidette a polveri vulcaniche, nel podere Ravicini sul calcare grossolano, nella vigna Golasanti sulle argille coll’ intermezzo di una terra rossa già utilizzata nell'industria ceramica, ed al ponte Sodo direttamente sull'argilla, terminata a superficie convessa, località tutte vicinissime fra loro, sembrami che dovrebbesi concludere, e qualunque sia l'età del calcare, che prima della formazione del peperino vi sia stata denudazione e manchi la continuità, nello stretto senso della parola, fra la formazione argillosa marina e quella peperinica. Aggiungo pure che sciogliendo il calcare grossolano in acido nitrico diluito, ho ottenuto, dopo decantazioni e lavature, una sabbia nella quale si riscontrano, a parte le rispettive proporzioni, gli stessi minerali che sono nelle cosidette argille a polveri vulcaniche, di cui parlerò in seguito, e quindi se la presenza di detti minerali nelle argille autorizza a ritenere, come con- cludono i prof. De Stefani e Fantappiè, che le eruzioni del sistema Cimino cominciarono sul finire del pliocene e prima che terminasse la deposizione delle argille vaticane, la constatazione degli stessi minerali nel calcare gros- solano dovrebbe far concludere analogamente che le eruzioni stesse sono avve- nute fin dal miocene medio. Ma delle undici specie di fossili del calcare, completamente determinate dai prof. De Stefani e Fantappiè, otto, cioè: Cupularsa Canariensis, Stepha- nophyllia imperialis, Perna Soldanii, Pecten scabrellus, Pectunculus pilosus, Arca diluvii, Cardita rudista e. Turbo rugosus, sono note come comunis- sime nel pliocene e quattro di queste sono ancora viventi. Soltanto tre specie, cioè: Cassis miolaevigata Sacco, Pecten Malvinae Dub. e Pecten Reussi Hoernes, parrebbero proprie del miocene, ma non ho potuto rinvenirne alcun esemplare benchè il P. Malvinae vi sia stato indicato come « specie abba- stanza comune ». Anzi a riscontro aggiungo all’ elenco il Pecten opercularis Lin. che è la specie più frequente e meglio conservata, specie comune nel pliocene e tuttora vivente. Mi pare dunque che i fossili nel loro insieme depon- gano più a favore della formazione pliocenica anzichè della miocenica ('). (1) La pliocenicità di questo calcare verrà dimostrata con maggiore competenza dal- l'egregio collega dott. Giovanni Di Stefano. Mi astengo perciò di discutere il valore delle singole specie e di aggiungerne altre plioceniche o viventi. Mi igl —- Le analogie litologiche e tettoniche non sono da trascurarsi. In moltis- simi luoghi dell’Italia centrale, alle argille plioceniche di mare più 0 meno profondo si sovrappone una formazione, pur pliocenica, calcarea, littoranea chia- mata, a seconda dei luoghi, macco, calcare ad Amphistegina, tufo, luma- chella. Citerò specialmente, per non uscire dalla provincia, il calcare 0 macco dei dintorni di Palombara Sabina ed alcune varietà di quello di Corneto Tarquinia, che tanto somigliano al calcare del podere Ravicini da potersi scambiare l’ uno coll’ altro, sulla giacitura dei quali niun dubbio può sollevarsi. Anzi il macco di Corneto si presta meglio al confronto perchè lo stesso prof. De Stefani assicura che i medesimi fossili trovati nelle argille della mattonaia Falcioni si rinvengono nelle argille sotto Corneto e perciò esse sono coetanee. To posso citare anche un’altra località più prossima a Viterbo che tro- vasi sulla strada Toscanella-Corneto nei pressi di Casalino-Montebello. Quivi le argille più o meno sabbiose, di mare meno profondo, sono ricoperte dal calcare o macco in taluni punti di facies identica a quella del calcare di Viterbo, in altri con quella di calcare ad Amphistegina (!). Ammesso che il calcare viterbese sia pliocenico (*) e, come in tanti altri luoghi, posteriore alle argille, scompare la difficoltà di spiegare la mancanza dei terreni caspici del miocene superiore che altrimenti sussisterebbe, secondo i prof. De Stefani e Fantappiè, fra le argille ed il calcare; terreni caspici che esistono a loro posto alla base della collina di Corneto ove vi ho raccolto Melanopsis, Melania, Neritina, ecc. In compagnia del mio amico prof. Fantappiè ho raccolto campioni delle cosidette argille a minerali vulcanici e vi rinvenni fossili macroscopici e mi- croscopici talchè sono d'accordo coi prof. De Stefani e Fantappiè nel ritenerle marine e plioceniche. Sono però dolente di dissentirne circa le polveri vul- caniche, e specialmente circa il graduale passaggio dalle argille al pepe- rino, poichè la linea di separazione fra queste roccie è nettissima e ben visibile, anzi in questa località (mattonaia Falcioni) vi si frappone uno strato di argilla, che ritengo di origine continentale. Ho esaminato la cosiddetta argilla a minerali vulcanici in vario modo: polverizzata; stemperata e lavata in acqua; stemperata e lavata in acido nitrico diluito per eliminare la parte calcarea. La calamita non vi estrae sostanze magnetiche. Vi abbondano invece dei granellini verdognoli ai quali sono dovute le punteggiature scure che si ravvisano sull’'argilla allo stato naturale. Questi (1) I tagli lungo la nuova strada, dalla cantoniera in giù, mostrano poi nel modo più evidente che quivi la formazione vulcanica, che è anche diatomifera, si adattò sul pliocene quando questo era già in denudazione. (2) Anche il calcare grossolano di Fiano Romano è stato attribuito al miocene dal De Stefani; mi riserbo di dimostrare che è invece pliocenico. — 62 — granellini sono di forma variabile irregolare, più o meno allungata, ma sempre a contorni arrotondati, colla superficie liscia marcata da qualche impressione per cui i granuli appaiono quasi lobati. Taluni richiamano per la forma certe foraminifere. A luce tangenziale sono decisamente verdi e lucenti; per traspa- renza sono di color verde giallastro un po' intenso, talchè i granuli un po’ grossi sono quasi opachi. Non sono da confondersi con granuli di augite. In una soluzione di ioduro mercurico potassico nella quale, come indicatori, un ‘cristallino di augite giace al fondo ed uno di actinolite galleggia, tutto il residuo sabbioso delle argille galleggia. I suddetti granuli verdi in gran parte galleggiano ed in minor parte affondano nella detta soluzione quando vi gal- leggia un cristallino di quarzo ialino e vi affonda un romboedrino di sfal- datura di spato d'Islanda. Affondano tutti quando il quarzo affonda e la leucite galleggia. La densità loro è dunque alquanto variabile, ma inferiore a 3 e superiore a 2,42. In acido cloridrico bollente si scolorano, conservando però la loro forma, mentre il liquido ingiallisce. È perciò glauconite. Dopo questa constatazione l’ accertamento del feldspato e della mica e dei granuli di quarzo perde ogni importanza, mentre le argille acquistano un altro carattere in comune con quelle coetanee d'altri luoghi, per esempio del Monte Mario, del Bolognese. Se le argille superiori della mattonaia Falcioni dimostrassero che un vulcano ad esse vicino era in attività nel pliocene, dovrebbesi dire altrettanto, per esempio, per quelle del Monte Mario e del Bolognese; resterebbe però indeterminata la questione di sapere se furono tanti vulcani distinti od uno per tutte e mancherebbero sempre gli elementi per dire che il vulcano, dal quale ebbero origine le pretese polveri, fosse più vicino all’ una od all'altra località. Ma poichè non si tratta di polveri vulcaniche, concludo non essere affatto dimostrato che le eruzioni del vulcano cimino siano cominciate durante la deposizione delle argille plioceniche e tanto meno che il vulcano fosse sottomarino. Ed ora ritornando al peperino osservo che tutti gli autori hanno rilevato l'abbondanza e la varietà degli inclusi contenutivi, ma non mi pare abbiano tenuto nel dovuto conto una speciale categoria di tali inclusi. Si tratta di masse di color chiaro, dal giallognolo al verdastro, di dimensioni variabili da pochi centimetri ad una ventina (a Bagnaia) pel maggior diametro. Il materiale che le compone è ora friabile, ora alquanto più tenace: cogli acidi fa poco 0 punto effervescenza; per solito si stempera difficilmente o non completamente nell'acqua. Il peperino che l'avvolge direttamente non differisce in modo sensibile da quello che sta più lontano; nè ho potuto dedurre differenze fra la parte centrale degli inclusi e la parte periferica. Osservati in sezione sottile vi si vede talvolta qualche Moraminifera. Quindi sono pezzi di ar- gilla, probabilmente pliocenica, e nei luoghi ove il peperino ne contiene si può concludere che quivi la roccia è certamente un tufo. MEO .A COMITATO SEGRETO Nella seduta del 7 gennaio corrente, la Classe di scienze fisiche, mate- matiche e naturali, accettando nella parte che la riguardava, una proposta del Consiglio d’ Amministrazione (!), deliberava, sopra mozione del Socio Taccuini, di considerare il prof. Erra MiLosevicH come il migliore dei concorrenti al premio Reale di Astronomia pel 1896, e di concedere a lui la somma di lire 2500 come incoraggiamento a proseguire l’ opera sua a vantaggio dell'Astronomia così detta di posizione. (1) Il Consiglio d’Amministrazione aveva messo a disposizione delle due Classi la somma di lire 5 mila, da dividersi in parti eguali fra i due migliori concorrenti al premio Reale di Astronomia del 1896, e a quello di Storia e Geografia del medesimo anno. Rob. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 febbraio 1900. Presidenza del Socio anziano A. BETOCCHI. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Osservazioni del nuovo pianeta EY 1899. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Alla fine dell'anno trascorso di 17 pianetini si possedevano soltanto orbite circolari, essendo mancate tre osservazioni opportunamente spaziate per il calcolo degli elementi ellittici; di 447 possediamo elementi ellittici più o meno sicuri; uno, cioè l’ultimo scoperto « EY 1899 » è sotto osservazione, locchè porta il numero dei pianetini fra Marte e Giove fino ad ora scoperti a 465, a cui devesi aggiungere il pianeta Eros, che si volle includere fra quelli col numero 483. Ecco le due osservazioni che ho potuto fare del nuovo pianeta EY 1899, scoperto il 4 dicembre 1899 da Charlois a Nizza. 1900 gennaio 21 1024185 RCR; «app: 4°9m38540 (9.417); -+17°47’ 6/.0(0.592) ” ”» 25 9 5 58.» » 49 40 42(9.172); + 18 838 9(0.561) Dagli elementi ellittici approssimati, calcolati da Knopf a Iena, appare essere ora il pianeta all'incirca al perielio; ciò naturalmente giustifica lo splendore dell’astro (10°,3), ma, visto il moto medio, circa 650”, e la non forte eccentricità (e = 0,09) devesi conchiudere dover essere il pianeta EY 1899 molto grosso, la distanza media dal sole essendo 3,1 e potendo oscillare soltanto fra 2,8 e 3,4 e le minime distanze dalla terra all’ ingrosso fra 1,8 e 2,4, cosicchè anche in opposizione afelia il pianeta sarà di circa undicesima grandezza; la forte inclinazione spiega la ritardata scoperta (( = 15°). ‘. RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 9 Matematica. — Sulla trasformazione delle equazioni della dinamica a due variabili. Nota di A. VireRBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. So Il problema del quale mi propongo di trattare in questa Nota un caso particolare consiste in ciò:« Sia dato un sistema materiale S avente i vin- coli indipendenti dal tempo: dicansi x; (î= 1,2... 2) le coordinate lagran- giane che ne fissano la posizione, X; le forze che lo sollecitano secondo tali coordinate, forze che si supporranno indipendenti dalle velocità. Saranno quindi: 1 (/ Vr T=3D Ars En ds (A) DIL dai DIL fe CAR di vini ((=1,2...2) rispettivamente la forza viva e le equazioni del moto del sistema in di- scorso. Ciò posto si ricerchino tutti i sistemi d'equazioni dinamiche le cui traiettorie siano le stesse che appartengono al sistema (A) ». I sistemi d’equazioni dinamiche aventi le stesse traiettorie si dicono corrispondenti (*). Il prof. Levi Civita (*) risolse completamente questo pro- blema per il caso in cui non agiscono forze, riconducendolo al problema seguente: \ « Data una varietà g, in cui il quadrato dell'elemento lineare sia Td == E Ag da', da', determinare tutte le varietà ® rappresentabili (al- meno in una certa regione), univocamente su g, in modo che ad ogni geo- detica di ® corrisponde una geodetica di ». L'equivalenza di questo problema con quello originariamente enunciato dipende dal fatto che dati due sistemi corrispondenti d' equazioni dina- miche (A), (A') a cui corrispondano rispettivamente le forme differenziali quadratiche ds = Td, dsì = 2T, diî [ove designino rispettivamente T,, 4 la forza viva ed il tempo nel sistema (A')], le geodetiche delle due va- (1) Per questo punto, come per tutto ciò che riguarda i problemi che si connettono a quello enunciato e il modo e i limiti in cui furono risoluti, v. Levi Civita: Sulla tra- sformazione delle equazioni dinamiche (Introduzione). Annali di matematica pura ed applicata, 1896. (2) Mem. cit. rietà, i cui elementi lineari siano rispettivamente ds,ds, coincidono, qua- lora nei due ristemi (A), (A') non agiscano forze. Ma se invece agiscono forze, tale coincidenza dalle geodetiche non si verifica più in generale, e perciò la corrispondenza di due sistemi d’'equazioni dinamiche si distingue, in tal caso in due specie, dicendosi di I° specie se le geodetiche delle due varietà aventi rispettivamente per quadrato dell'elemento lineare le forme differenziali quadratiche corrispondenti ai sistemi in discorso coincidono, di II* specie se la coincidenza delle geodetiche non ha luogo. Pei sistemi cor- rispondenti di I* specie sussistono poi le proprietà stabilite dal prof. Levi Civita. Il sig. Painlevè, in una sua Nota (') che fa seguito ad una Memoria da lui precedentemente pubblicata (*), enuncia, senza dimostrazione, alcuni teoremi e risultati da lui ottenuti intorno ai sistemi corrispondenti d' equa- zioni dinamiche. Uno dei teoremi da lui enunciati è questo: « Sia un sistema (A) d'equazioni dinamiche nel quale il numero delle variabili (coordinate lagrangiane del sistema materiale il cui movimento è rappresentato dal sistema in discorso) sia 2. Relativamente a questo sistema agiscano forze ammettenti un potenziale U; e sia (A,) un corrispondente di I° specie di (A). Sia ds? la forma differenziale quadratica corrispondente ad (A) (ben inteso, nel senso sopra indicato); e dicasi A', un corrispon- dente di I? specie del sistema, a cui corrispondono la forma differenziale qua- 1 U+#% bitraria): (A’,) sarà allora corrispondente di II* specie di (A,) e con questo procedimento si hanno tutti i corrispondenti di II? specie ». Ora l'intento prefissomi in questa Nota si fu di dimostrare l’' enunciato teorema, venendo così a determinare effettivamente #u//2 i corrispondenti di II? specie d’un sistema d’equazioni dinamiche a due variabili. Facendo tale ricerca, pervenni anche a un criterio riguardante la corrispondenza di II? specie, la quale sotto certe condizioni esiste fra due sistemi d’ equazioni dinamiche a due variabili, tali che le forme differenziali quadratiche ad essi corrispondenti siano entrambe, mercè cambiamenti di variabili, riducibili alla forma di Liouville. dratica: ds° = (U + 4) ds? e la funzione potenziale (4 costante ar- $ 2° Sia un sistema d’equazioni dinamiche (A) a due variabili a cui com- ; IR petano una forza viva T=zia Ur, dn &'s e le forze: X,, X. ed un altro sistema d’equazioni dinamiche (A') ad esso corrispondente, a cui competano (1) Sur les trasformations des équations de la dynamique. Comptes rendus ecc. 1896. (2) Sur les transform. des équations de la dynamique. Journal de Mathématique 1894. RS 1 2 una forza viva: T=z3%, ax, ® forze che si deducono da X,,X, mediante formole stabilite dal prof. Levi Civita (Mem. cit.). È noto che allora per le forme differenziali quadratiche : 2 USe= Di ar, dar das dsi=)_, &, dar dts 1 esiste un sistema doppio ortogonale di linee (') che assunto come sistema di ri- ferimento permette di dare a ds? la forma 2 2 D;H? dx, a dst la forma )_;0;H#da?. 1 1 Di più, affinéhè il sistema (A) ammetta un corrispondente, è necessario che esso, qualora non agiscano forze ammetta un integrale primo quadratico (?): (1) Di drrs di ds = costante 1 A tale proposito conviene distinguere due casi. Il primo è quello in cui non esista alcun integrale primo quadratico distinto da quello delle forze vive, col quale allora dovrà coincidere l' integrale dato dalla (1). Il secondo caso è quello, in cui esista un integrale primo quadratico, diverso da quello delle forze vive che sia integrale primo delle geodetiche della superficie d' elemento lineare ds. Nel primo caso, che è quello che tratteremo nel presente $ dovrà evi- dentemente essere: Cha == 1506 deg =186 does =0do Di più dalle formole stabilite dal prof. Levi Civita (Mem. cit. passim) si deduce agevolmente che l'equivalenza dei sistemi (A), (A') è rappresen- tata dai sistemi d’'equazioni: 1 eta nre d(log Hi + 22) MENTE IO DU) 0 dI Q1 02 dI (2) 2(U 4100) _ AU Flog) _g, IUtlogo) _ Id? da ; Dai ___3U+24) a(U+loge:) ___3U+22) pr Va dd3 Tina, (1) Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, pag. 57. (2) Levi Civita, Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche. Atti dell’Acc. di Torino 1896. Siccome questa Nota non verrà più citata nel seguito, coll’espressione Mem. cit. che comparirà più innanzi si intenderà sempre d’alludere all’altra Memoria ci- tata precedentemente. E (pg pre In queste equazioni Z designi la funzione di #,, > data dalle relazioni : X,= - e (i=1,2), relazioni che ci dicono intanto che affinchè il si- stema (A) ammetta un corrispondente (A), è necessario che le forze relative ad esso ammettano un potenziale, che sarà p—zer + h' (A costante ar- bitraria). Di più U sia =Z+- logw, ove con w si designi il valore che per dai da, — 2, POIANA : ppin ipy O assume la funzione TRADE f tale che designandosi con % il tempo nel sistema (A), con 7, il tempo nel sistema (A'), la sostituzione di LA a dt, nello stesso (A') lo faccia coincidere con (A). (V. Levi Civita, (È Mem. cit.). Si tratta adunque di determinare Hî,Hî,01,02,U,Z dalle (2),(2°), in modo che i sistemi (A),(A') a cui tali quantità competono siano corri- spondenti. In primo luogo dalle (2’) si ricava subito: (3) oe=f, e=fa, U+2=log27+K, designandosi con /, una funzione della sola #,, con /» una funzione della sola z, con K una costante arbitraria. È quindi: c= ci Pertanto le (3) 2 danno: U=_— (logf +log/a)+K—2Z, ei=2/t/2(P+), e:=2/3/:(P +1) (h costante arbitraria). Sostituendo nelle (2) ad U,0,,0: rispettivamente i valori testè trovati, queste divengono: dllog Bi +22j {n dlogfe_)_ degni pani Digli Ch) dI h can fe dA‘ dd dI dlogfs _ de TT dflog H3 na so MEO log) cel d)log H3 + 22! di dui) Da hi fadai Da da: dlogfi nr 0. Da queste equazioni si ricava immediatamente : hi iz f: oe) fe, ne Hi (+= ME designandosi con g, una funzione arbitraria della sola #1, con g3 una della sola z2, pure arbitraria. Così pIDIE ne gi£Li (ico ia) datore ay dei (P+ 1) det Ea + fifa): Hi 2f2 Yz d 5 e il sistema dinamico (A) ammetterà un sistema corrispondente di II° specie (A') a cui corrisponderà la forma differenziale quadratica: dsì — (i fafi i de e ia I (AV dl Sostituerdo alle variabili x,,%» rispettivamente le fran, fe do, e designando ora le nuove variabili con 2,,2,(P + #)ds® assumerà la forma: fr fa (ns TIT ali mentre ds, assumerà la forma di Liouville: (f. — f)(da + da.) Dalla forma così assunta dai (P + /)ds® si deduce, in base al risultato stabilito dal prof. Levi Civita (Mem. cit.), che il sistema d'equazioni dina- miche a cui competono la forma differenziale quadratica : (P + 4) ds° e la funzione potenziale: mi è corrispondente di I? specie del sistema (A'), e che tutti i corrispondenti di IT® specie di (A) sono al pari di (A') corri- spondenti di I® specie del sistema, a cui compete la forma differenziale quadratica: (P + 4) ds° conformemente al teorema del sig. Painlevè enun- dt ciato nel $ 1°. E riescono quindi determinate anche u e f= Di. 1 Si] — Fisica. — Intorno ad alcuni nuovi areométri ad immer- stone totale, ad inclinazione variabile e a riflessione. Nota II (*) di G. GueLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Areometri a peso variabile e a inclinazione costante. — Nell'areometro precedente la misura dell'inclinazione con una precisione che sia pari alla sensibilità costituisce una difficoltà non lieve. Si può evitare questo incon- veniente rendendo l'inclinazione nulla o costante in tutti i liquidi, me- diante l'aggiunta o lo spostamento di pesi convenienti; il vantaggio di questa disposizione su quella del Pisati consisterebbe nel minor numero di pesi occorrenti, e nella possibilità di farli variare per semplice spostamento, ed evitare così l’uso dei pesi minimi. Siano p e q il peso dell’areometro e la spinta che esso subisce nell’ acqua, Z ed 7’ le proiezioni su un piano orizzontale delle distanze del centro di gra- vità e del centro di spinta dell'asse di rotazione, siano 77 e 7' i pesi addi- zionali (già corretti dell’ effetto della spinta che essi subiscono) che bisogna collocare sull’areometro alle distanze % e Z' dall'asse di rotazione, per otte- nere nell’areometro una stessa inclinazione, prossima o coincidente coll’ oriz- zontalità, nell'acqua ed in un liquido di densità d. Per l'equilibrio nei due casi dovrà essere: Dl+rA=ql , pp+a'Rk=qld da cui si ricava di D+ _ i — n i pl 4 4 ari + en pl+ ad È comodo per il calcolo che il denominatore p/+ 74 sia uguale ad 1 op- pure a 10, e p. es. si faccia /=4=1,p-+x=10, in tal caso sarà: nt a mini ed il momento che bisogna aggiungere o togliere a quello occorrente per l' acqua, per ottenere l'inclinazione suddetta, dà direttamente di quanto la densità del liquido differisce da 1. Per correggere 77 dell'effetto della spinta bisogne- rebbe conoscere d, ma per tale correzione basta una conoscenza approssi- mativa del suo valore. Ho anche provato a collocare i pesi nell'interno del tubo ove li facevo scorrere con piccole scosse, ma gl'inconvenienti di tale disposizione furono superiori ai vantaggi. (1) Vedi questi Rendiconti pag. 33. SO Qualora variassero simultaneamente e notevolmente l'inclinazione ed i pesi o il loro momento, le condizioni richieste dalle formule non sarebbero facili ad ottenere nè a determinare sperimentalmente ; però gioverà a rendere più breve e più agevole la determinazione, ed evitare l’uso dei piccoli pesi, di lasciare che l’areometro prenda non la voluta inclinazione costante, ma una inclinazione compresa entro i limiti d'una corta scala, determinare col- l'esperienza di quanto varia l'inclinazione per un determinato e piccolo momento di rotazione, e dedurne quello occorrente per ottenere l’ inclinazione suddetta. La forma di quest’ areometro non differisce da quella della figura; però è utile che esso sia piuttosto lungo, ed il recipiente potrà essere piuttosto basso. Un areometro da me costruito era lungo 17 cm. aveva 8,8 mm. di diametro, conteneva un pò di zavorra collocata presso l’ uncino, e una striscia di carta colla scala e pesava 7 grammi. Perchè si disponesse orizzontalmente nell'acqua occorreva un peso addizionale di 3 grammi, collocato nel. punto di mezzo dell’areometro e zero della scala, le cui divisioni principali erano di 1/3 della distanza fra centro di gravità ed asse di rotazione. Per ottenere l'orizzontalità in un liquido di densità 1,1 occorreva spostare il peso addi- zionale di 1 divisione suddetta, poichè d=1+-3.'/3:10; le frazioni erano 1/10 e 1/100 del peso addizionale suddetto. Questo era provvisoriamente di filo di piombo di 2 mm. avvolto ad elica, e scorrente agevolmente lungo il tubo, ma evidentemente sarebbe preferibile un anello o corto tubo di pla- tino; le frazioni erano di fil di rame ripiegato ad anello un po largo, per modo da poter essere facilmente spostate oltre il peso principale. Sulla forma più conveniente di tali pesi, ed altri particolari, l’uso ulteriore dello stru- mento potrà dare in seguito utili suggerimenti. Mineralogia. — Sulla Wulfenite del Sarrabus (). Nota del dott. E. TacconI, presentata dal Socio STRUEVER. Il Sarrabus, alla sua importanza per l’ industria mineraria, aggiunge grande interesse mineralogico, poichè vi si trova un numero cospicuo di mi- nerali ben cristallizzati e tali da meritare un completo ed accurato studio. Pochi però furono finora i minerali presi in esame, e se sì eccettuano i lavori del Bombicci (2), del Vom Rath (3), del Miers (‘) e di pochi altri, (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Pavia. (®) L. Bombicci, Considerazioni di Mineralogia italiana. Memorie dell’Acc. delle Sc. dell’Ist. di Bologna. Ser. III, vol. 8°, fasc. II, 1877. (*) Vom Rath, Due viaggi in Sardegna. (4) H. A. Miers, he Tetartohedrism of Ullmannite. Mineralogical Magazine. Vol. IX, n. 43, pag. 211. LT quasi tutta la mineralogia di quella regione, così ricca di minerali in gran parte rari e cristallizzati in modo veramente ammirevole, rimane a farsi; di un solo minerale, la Stefanite, se ne ha una completa monografia dovuta al prof. E. Artini (!). L'importanza di tali giacimenti è messa in evidenza dall’ ing. G. B. Tra- verso in due interessantissime note sui minerali del Sarrabus, dove ad una completa enumerazione dei minerali aggiunge brevi cenni descrittivi, richia- mando i risultati da altri ottenuti sui pochi minerali studiati. E poichè pervennero al laboratorio di Mineralogia dell’ Università di Pavia alcuni campioni di ww//ezzte, dovuti alla cortesia dell'ing. Garzena, credo far cosa utile aggiungendo le poche notizie da me ricavate dallo studio di detti campioni, alla breve messe di notizie mineralogiche che si ha su quella interessante regione. Già nel 1879 il Richard (?) ricordava la ww/fenzte del Sarrabus in una comunicazione alla Société minéralogique de France. Successivamente nel 1881 l'ing. G. B. Traverso (3) ne faceva cenno in una nota dei minerali del Sarrabus, nota che nel 1898 venne dall'A. stesso (‘) ampliata moltissimo e completata con un Catalogo della splendida collezione mineralogica Tra- verso del Museo Civico di Storia Naturale di Genova. La wwulfenite del Sarrabus è pure soltanto ricordata da altri autori, quali l'ing. Stefano Traverso (°), l'ing. C. De-Castro (5), il Corsi (7), il Des-Cloizeaux (8). Nel 1898 il Bornemann (°) riscontrava pure la presenza della wwulfenite in un'altra località sarda e precisamente a Gennamari in quel d' Iglesias. Ma benchè accennata da molti, non venne finora studiata cristallografi- camente, quindi credo di qualche interesse le osservazioni da me fatte su questo minerale, che solo in due altre località italiane venne trovato e tanto ‘ (1) E. Artini, Contribuzione alla conoscenza delle forme cristalline della Stefanite del Sarrabus. Estr. dal Gior. di Min. Crist. e Petr. dir. dal prof. F. Sansoni. Fasc. 4°, vol. II, 1891. (2) Richard, Bulletin Société minéralog. de France. Tom. II, pag. 148, 1879. (3) Ing. G. B. Traverso, Di alcune specie minerali rinvenute nel giacimento a mi- nerali d’argento del Sarrabus. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. di Genova, vol. XVI, 1881. (4) Ing. G. B. Traverso, Sarrabus e i suoi minerali. (3) Ing. S. Traverso, Note sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus. Torino 1890. (9) Ing. C. De-Castro, Memoria descrittiva della Carta Geologica d’Italia. Descri- zione geologica mineraria della zona argentifera del Sarrabus, pag. 53. Roma, 1890. (*) A. Corsi, Brevi notizie e relazione di una gita alle Miniere argentifere del Sarrabus. Boll. Soc. Geol. It. 15. 554-565. 1896. (8) Des-Cloizeaux, Manuel de minéralogie, vol. II, pag. 275. (9) V. Bornemann, Resoc. Riunioni Ass. Min. Sarda. Seduta 27 febbraio 1898. RenpicoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 10 og per l'una, Gorno in Val Seriana ('), che per l'altra, Bovegno in Val Trom- pia (2), studiato dal prof. Artini. I pezzi da me avuti in esame provengono tutti dalle miniere di G0- vanni Bonu, Canale Figu; sono costituiti in gran parte da galena più 0 meno alterata e da dariiina compatta, che talvolta presenta traccie evidenti di sfaldatura e da quarzo in cristalli o compatto. Principale prodotto della alterazione della galena è la cerussite, quasi sempre cristallizzata. Essa è accompagnata e talvolta ricoperta da peromor- fite, la quale talora mostra cristallini bene sviluppati e misurabili. Sulla piromorfite si osserva la ww/fezite in piccoli cristalli, notevoli specialmente per gli svariati abiti cristallini che essi presentano. Sono note le teorie del Bischof (3), del Breithaupt (‘), del Roth (°), sul passaggio del solfuro di piombo al carbonato, al fosfato ed al molibdato dello stesso metallo; i pezzi da me sopra descritti tornerebbero pur essi a conforto di tali teorie sulla paragenesi di quei minerali. La cerussite trovasi in cristalli brillantissimi, talvolta però con faccie curve e fortemente striate, specialmente la (010), con strie parallele all'asse verticale. Si presenta in cristalli semplici con predominanza della }010|, ma in maggior copia sono i geminati a compenetrazione, che ricordano quelli descritti dal prof. Artini (6) e da lui disegnati ai nn. 5 e 7 della Tav. I06 nonchè quelli descritti dal dottor Riva (7) per la località di Rosas, pure in Sardegna. Le forme da me riscontrate sono: 31004 3010} }110} {130 }011{ }021{ 101 }102{ }111{ In alcuni cristalli manca quasi totalmente la zona dei prismi verticali. La piromorfite sì presenta generalmente in aggregati cristallini botrioi- dali, di color verde intenso, talvolta tendente al giallo ed al giallo aranciato, con cristalli prismatici a faccie curve. In alcuni pezzi però i cristallini, al- lungati secondo il prisma, hanno faccie liscie e lucenti, mentre il colore (1) E. Artini, Su alcuni minerali di Gorno. Riv. di Min. e Crist. It., vol. XVI, pag. 19. 1895. (®) Id. Su alcuni minerali di Bovegno. Rend. R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett. Serie II, vol. XXX, fasc. XX, pag. 1525. 1898. (8) G. Bischof, Lehrbuch der chemischen und phisikalischen Geologie, vol. 3°. Bonn, 1866. (4) A. Breithaupt, Die Paragenesis der Mineralien, pag. 242. Freiberg, 1849. (3) J. Roth, Allgemeine und chemische Geologie, 1° vol. Berlino, 1879. (5) E. Artini, Studio cristallografico della Cerussite di Sardegna. Reale Acc. dei Lincei, 1888. (7) Dott. Riva Carlo, Sopra la formazione diabasica e sopra alcuni minerali di Rosas nel Sulcis. Rend. R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett. 1899, Ser. II, Vol. XXXII. Sr è di un verde erba molto chiaro. Su questi potei eseguire qualche misura goniometrica che mi permise di constatare le seguenti forme: {0001} }1010{ }1011{ 31121 Riscontrai pure altre faccettine piccolissime che non potei misurare, ma che, dalla posizione che occupano, credo appartenenti al prisma di II° spe- cie }1120{. In un solo pezzo la piromorfite si presenta esclusivamente in cristallini fusiformi, dati dalla combinazione di un prisma esagonale con una bipira- mide; le faccie però sono molto curve e non speculari. La wulfenite, come più sopra ho ricordato, si trova impiantata sulla piromorfite in cristallini di dimensioni variabili da mezzo millimetro ad un millimetro e mezzo; il colore è giallo citrino, talvolta giallo-aranciato. Le forme da me trovate sono: 1001} {100} }101{ }111} }113 ed un prisma di III specie {hk0} che per avere faccie curve o non specu- lari non mi fu possibile di determinare. Degno di nota è la grande varietà di tipi presentati, poichè nonostante un numero così limitato di forme, osservai, ben distinti abiti (abulare, pri- smatici e piramidali. Alcuni cristalli di abito tabulare presentano la combinazione della base {001} col prisma }100{ e delle bipiramidi }111{ {113}; questo tipo è rap- presentato dalla fig. 1. Fic. 1. Come si vede il maggior sviluppo è della base }001{, con faccie abba- stanza speculari, meno però delle faccettine di bipiramide }111{ }113}; ri- corda la wulfenite disegnata dal Lévy nell'atlante dell’ Heuland (') al n. 6 della tav. LVII. Altri cristalli mostrano la combinazione e lo sviluppo di forme, disegnato nella fig. 2°, e corrispondono perfettamente a quelli descritti (1) Heuland, Description d'une collection de minéraux. Londra, 1837. 5a. no — dal prof. Artini per le due località più sopra citate di Gorno e Bovegno, colle stesse forme, se si fa esclusione per la wulfenite di Gorno della bipi- ramide }5.1.75}, dall’Autore stesso ammessa come dubbia. Le faccie sono abbastanza brillanti, specialmente quelle subordinate di bipiramide }111{ )113{, tanto da permettere delle buone misure goniometriche. Altri cristallini di wulfenite, di colore giallo aranciato, con faccie curve e poco speculari, hanno abito prismatico, che ricorda quello disegnato dal Dana (') alla fig. 5 della pag. 989 del suo trattato; dove manca il prisma di III* specie }hk0} l'abito è pressechè cubico. Un altro tipo ben distinto, ma che si riscontra con minor frequenza, è quello bipiramidale, costituito dalla sola bipiramide {111|, con faccie piane ed abbastanza brillanti, alla quale si associano talvolta piccole faccie di j001{. Osservati attentamente i numerosi cristalli da me presi in esame e specialmente quelli ad abito bipiramidale, non ni venne fatto di ottenere nessun carattere dal quale risultasse essere l’asse verticale polare, come venne constatato dal Breithaupt (*) per la wulfenite di Berghiestribel, dallo Zer- renner (3) per quella di Pribram e più recentemente dall’ Hidden (4) e dal- l’ Ingersoll (°) per la wulfenite del Nuovo Messico. Nella tabella seguente espongo i dati da me ottenuti, messi a confronto coi valori calcolati colle costanti di Dauber È = 1,57710 a Spigoli misurati | N. |ruimit delle osservazioni Medie | Angoli calcolati 001 — 111 | 3 65° 44 — 65°48' | 65°46° 65° 51’ 111-111 | 7 48 10 — 48 26 | 48 19 48 18 111 -1I1 | 3 80 16 — 80 36 | 80 24 1/, 80 22 101 — 101 | 1 = 64 50 64 45 001— 113 | 5 36 32 — 36 47 | 36 37 1/ 386 38 113 — 113 | 2 | 106 42 — 106 51 | 106 46 1/, 106 44 1/, 113— 111 | 2 29 8 — 29 13 | 29 10 1/2 29 13 118 N77 30588770390 077836007) 77 31 Ho creduto inutile calcolare le costanti cristallografiche in base agli angoli da me misurati, perchè i valori ottenuti concordano sufficientemente con quelli calcolati colle costanti di Dauber. (1) E. S. Dana, Zhe System of Mineralogy. Descriptive Mineralogy. Londra 1892. (?) Breithaupt, Zandbuch der Mincralogie. 1841, pag. 245. (3) C. Zerrenner, Mineral. Mittheil. 1874, pag. 91. (4) W. E. Hidden, Zwei neue Fundorte fur Trkis. Zeitsch. fur Krystall. 22, pag. 552. (5) Ch. Ingersoll, Veber hemimorphe Wulfenitkristalle von New-Mexico. Zeitsch. fur Kristall. 23. pag. 881. Fisiologia. — Zemperatura del corpo nel digiuno, e velocità di assimilazione degli idrati di carbonio. Nota del prof. UgoLINO Mosso (!), presentata dal Socio A. Mosso. Per determinare la velocità di assorbimento e di assimilazione degli idrati di carbonio e dei principali componenti delle sostanze alimentari, ho pensato di studiare le variazioni che essi provocano nella temperatura del corpo. Il tempo che trascorre fra la somministrazione degli alimenti e la produzione dell'energia non si conosce con precisione, sebbene si conoscano le loro modificazioni nel canale alimentare ed i loro effetti sulla circolazione del sangue e sulla respirazione (*). Ho già studiato nell’ uomo il tempo neces- sario perchè i muscoli esauriti dalla fatica riacquistino collo zucchero la perduta attività (3). L'influenza dell’ alimentazione nell'attività muscolare sarà oggetto di una prossima pubblicazione. Qui esporrò le mie esperienze sulla temperatura dei cani nello stato di alimentazione e nel digiuno. I. Variazioni della temperatura del corpo nel digiuno. — Nei cani nutriti colla razione giornaliera mista di pane e carne, non ho osservato dopo il pasto notevoli variazioni della temperatura, perchè nell'organismo vi è sempre un lusso di provviste di combustibile, ed il nuovo materiale dei pasti ha poca influenza sulla calorificazione. Nel digiuno si consumano le provviste e dopo, per l’ introduzione del cibo, si osservano dei notevoli aumenti della temperatura. Le trasformazioni fisiche e chimiche subìte dagli alimenti prima che giungano a far parte delle cellule sono ancora tanto oscure che non sarà inutile conoscere i cambiamenti della temperatura, che succedono nell'organismo animale dopo la ingestione di varî alimenti. (1) Esperienze eseguite nel Laboratorio di Farmacologia sperimentale dell’ Università di Genova. (2) P. Albertoni. Sul contegno e sull'azione degli zuccheri nell’ organismo. — Annali di chimica e farmacologia 1889-1891-1893. — A. G. Barbèra. Influenza dei vari generi di alimentazione sulla frequenza dei movimenti cardiaci e respiratori e sulla temperatura del corpo. — Bullettino delle scienze mediche. Vol. VIII, fasc. X. (3) Ugolino Mosso e Luigi Paoletti. Influenza dello succhero sul lavoro dei mu- scoli. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei. Vol. II, 2° sem. pag. 218, 1893. Dopo questa pubblicazione uscirono in Italia e fuori dei lavori che confermarono i risultati delle mie esperienze. Al congresso medico di Londra del 1895, si fece una speciale discussione sullo zucchero, alla quale presi parte colla comunicazione « Sugar as food for muscular tissue » : La maggioranza degli oratori convenne sulla grande utilità che ha lo zucchero nella produzione dell’ energia. Delle Commissioni furono nominate da parecchi governi per studiare il problema se convenisse aumentare al soldato in marcia la razione degli idrati di carbonio: le relazioni furono favorevoli. Lo zucchero venne anche impiegato, con successo, come ecbolico, in Italia ed all’ estero. — RIV Si sa che la temperatura, nello stato fisiologico, diminuisce durante la notte, nel giorno aumenta, e la curva presenta delle ondulazioni. Esaminando la temperatura dei cani, che ho tenuto in digiuno, finchè questa discendesse al disotto della media normale, non ho più verificato le oscillazioni diurne che compaiono nello stato di buona nutrizione. Nei cani, tenuti in digiuno prolungato, la curva della temperatura si abbassa come nell’ uomo durante il riposo della notte, e si innalza durante il giorno, per la attività maggiore del sistema nervoso e dei muscoli, ma le ondulazioni non sono più le stesse: spicca al mattino una forte elevazione, mancano quelle che nello stato fisiologico raggiungono il massimo della tem- peratura, specialmente quella del pomeriggio. I risultati di queste esperienze servono a dimostrare che, mancando gli alimenti, la curva della temperatura non ha lo stesso decorso di prima: si modificano le ondulazioni che prima sentivano l'influenza del cibo. Non è necessario aspettare che la temperatura sia molto al disotto della media, per osservare la scomparsa delle oscillazioni: tale scomparsa l’ ho verificata soventi nei cani con temperature vicine ai 38°. Il decorso della curva del digiuno, durante le ore del giorno, prende un aspetto rettilineo, se si eccettua il primo innalzarsi della temperatura dovuto sia al riattivarsi delle funzioni, sia alla temperatura ambiente più ele- vata. Qualche volta nei tracciati del digiuno si vedono delle ondulazioni, poco pronunciate, in punti diversi della curva, e non corrispondenti a quelle che si osservano nelle curve dei cani nutriti. Sono più numerosi i tracciati che hanno delle elevazioni nelle ore del mattino, e degli abbassamenti in quelle del pomeriggio. Tutto ciò serve a dimostrare che, mancando il cibo, man- cano pure gli aumenti della temperatura che da essa dipendono. A dimostrare l’ influenza degli alimenti sulla temperatura merita di essere ricordato un altro risultato delle mie esperienze: La temperatura dei cani in digiuno, presa tutti i giorni alla stessa ora, dopo alcuni giorni si abbassa lentamente, e, quando ha raggiunto i 36° od i 35°, se somministriamo limitati alimenti, la temperatura si innalza a poco a poco, giorno per giorno ; ma se introduciamo grande quantità di cibo in una volta, la temperatura può raggiungere subito la media, ed anche superarla. Il prof. L. Luciani studiò coi suoi allievi il digiunatore Succi durante un'astinenza di 30 giorni. Egli riferisce nel suo libro Fisiologia del digiuno (1): « La temperatura del Succi fu esplorata regolarmente durante il giorno, la « mattina, e la sera, sempre all’ascella sinistra... Meno poche eccezioni, per « solito si nota il fatto che la mattina la temperatura è un po' più elevata (1) L. Luciani, Fisiologia del digiuno. Studi sull’uomo. R. Istituto di studî supe- riori pratici e di perfezionamento in Firenze, 1889. 2 (70 « della sera ». Di questo fatto il prof. Luciani non dà spiegazioni. Ma se il Succi « si è sempre occupato con zelo dei suoi privati interessi, e si è tenuto « abbastanza in moto, e non si è mai mostrato eccessivamente depresso ed «“ estenuato », è logico attribuire la scomparsa delle maggiori elevazioni della temperatura nel pomeriggio alla assoluta astinenza dai cibi in cui si è man- tenuto. Inoltre il prof. Luciani nel 6° e nel 27° giorno di digiuno ha fatto prendere ogni ora la temperatura al Succi. Il decorso della curva del 6° giorno è identico a quello che ho osservato nei cani in digiuno. In essa si vede una elevazione al mattino, e quindi un successivo abbassamento, senza altre notevoli elevazioni. Nel 1886 mi ero già occupato delle variazioni diurne della tempera- tura: vegliava di notte dormiva di giorno, allo scopo di invertire le oscil- lazioni ('); sono invece riuscito a produrre un eccitamento anormale del sistema nervoso, e la temperatura del mio corpo andò aumentando fino a raggiungere nel 4° giorno dei limiti che potevano dirsi febbrili. Osservando, dopo 14 anni, i tracciati che ho pubblicato in quel mio lavoro fatto con altro intento, si ve- dono tre elevazioni della curva: la maggiore è quella del mattino. Esse rap- presentano indubbiamente una maggiore attività dei fenomeni calorifici della digestione, perchè dette elevazioni comparivano dopo le ore 6, 18, 23, in cui ero solito prendere il cibo. Questa spiegazione posso dare solamente ora, in seguito ai risultati delle mie nuove ricerche. II. Velocità di assorbimento e di assimilazione dello zuechero. — Gli sperimentatori, che mi precedettero nello studio degli alimenti sul calore animale, osservarono la temperatura degli animali ad intervalli di tempo così lungo, che alcuni particolari loro sfuggirono. A me importava conoscere i fenomeni che si compiono pochi minuti dopo l’ introduzione degli ali- menti (?). A questo scopo ho dovuto esercitare i cani a rimanere sul tavolo lungo tempo immobili, in modo che il termometro rimanesse nel retto sempre alla stessa altezza, e potessi osservare ad ogni minuto la temperatura. È facile trovare dei cani che si abituano a conservare la medesima posizione per due o tre ore di seguito. Per assicurare l’ esattezza dell’ osservazione ho pro- curato che durante l’esperienza la quiete del laboratorio non fosse disturbata. Tenendo nascosto il cibo, e presentandolo al cane, al momento opportuno, ho evitato quegli aumenti abbastanza grandi della temperatura, che avvengono nel cane, alla vista degli alimenti, e che io ho studiato nel mio lavoro sulla (1) Ugolino Mosso, Esperienze fatte per invertire le oscillazioni diurne della tem- peratura nell'uomo sano. Giornale della R. Accad. di medicina di Torino, 1886. (?) Angelo Pugliese. Azione fisiologica delle sostanze alimentari sull'organismo. I risultati di alcune delle sue esperienze sulla termogenesi in rapporto alle sostanze ali- mentari, trovano una piena conferma nelle esperienze di questa e della successiva Nota. o) temperatura animale, al capitolo delle influenze psichiche (!). Così ho potuto registrare le minime variazioni della temperatura che avvengono nel cane, in diverso modo, secondo la qualità degli alimenti. Le esperienze delle quali riferisco sommariamente i risultati, vennero fatte sopra più di 50 cani, e superano il numero di 200 esperimenti. Per brevità non indico le modificazioni del polso e del respiro, che ho scritto in ogni esperimento. i Nessun aumento apprezzabile della temperatura si osserva nei cani per piccole quantità di zucchero, quando sono bene nutriti; ma, quando digiunano da tre a quattro giorni, basta un grammo di zucchero per Kg. a fare aumen- tare la temperatura. Quando la temperatura è fra i 38° e i 389,5, gli au- menti sono di 0°,2 a 0°,3 in mezz'ora dopo la somministrazione dello zuc- chero. Con una quantità doppia della precedente, cioè due grammi per Kg., l'aumento della temperatura è più evidente; ed è considerevole, se la tem- peratura è inferiore ai 38°, dopo un digiuno di 3 o 4 giorni. In alcune esperienze con temperatura di 37°,5, due grammi di zucchero per Kg. fecero aumentare la temperatura di 0°,8 ad 1°,0 in un'ora e mezzo. Otto grammi per Kg. in un cane, che aveva 379,2 e si trovava nelle stesse condizioni di digiuno dei cani delle esperienze antecedenti, produssero un aumento di 1°,4 in 2 ore e 15 minuti. L'effetto dello zucchero risulta meglio evidente quando il digiuno è più prolungato, e la temperatura del corpo, più bassa. Con un grammo per Kg. in un cane con 86°,6 di temperatura, si è verificato un aumento di 09,7 in 40 minuti. Con due grammi, nelle stesse condizioni di temperatura e di di- giuno, l'aumento massimo della temperatura fu di 1°,2 in un'ora e mezzo. Esaminando i risultati delle esperienze di questa serie risulta: che. ser- vono meglio i cani magri, ed in digiuno da qualche giorno; che le piccole quantità di zucchero, da 1 a 4 gr., cioè circa 4 calorie a 20 p. kgr. calorie, sono subito utilizzate per la produzione del calore, perchè dopo un temporaneo aumento la temperatura si abbassa, e nel mattino successivo, alla stessa ora, è inferiore a quella del giorno dell’ esperienza; che le grandi quantità non sono tutte consumate nell’ aumento temporaneo della temperatura, ma una parte dello zucchero viene messa in serbo negli organi, e lentamente utiliz- zata, perchè la temperatura dei giorni successivi è più elevata della tem- peratura iniziale del giorno dell’ esperimento. Risulta ancora: che le dosi da 1 a 4 gr. di zucchero fanno crescere rapidamente la temperatura nei primi 10 o 15 minuti; che la massima ele- vazione è raggiunta in un'ora 0 due; che l'aumento della temperatura si mantiene costante od elevato, per un tempo che è in rapporto diretto colla quantità di zucchero introdottta. (1) Ug. Mosso, Influenza del sistema nervoso sulla temperatura animale. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino. 1886. MER Alcune obbiezioni si potrebbero fare a questa interpretazione : io mi sono però assicurato che l'aumento non dipende dall’ acqua introdotta. Per cor- rispondenti quantità di acqua non osservai aumento alcuno della tempera- tura, ma piuttosto una diminuzione dovuta alla differenza della temperatura fra l’acqua ed il corpo. L'aumento non dipende neppure dal sistema nervoso, o dalla contrazione dei muscoli, perchè non si verifica subito dopo l’ intro- duzione degli alimenti, e perchè è proporzionale alla quantità di cibo som- ministrato. Molte volte succede di osservare un subitaneo abbassamento della temperatura, quando gli alimenti sono più freddi del corpo. L’abbassamento manca quasi sempre, quando si dà lo zucchero in pezzi, o quando le soluzioni sono previamente riscaldate. Non si può nemmeno ammettere che tali au- menti siano dovuti ad influenze psichiche, perchè comparirebbero più rapi- damente, e raggiungerebbero il massimo in pochi istanti, come ho potuto di- mostrare nel mio citato lavoro. Il confronto degli effetti, che le diverse quantità di zucchero esercitano sulla temperatura si vede meglio con esperienze fatte sullo stesso animale. Un cane magro, del peso di 6500 gr., da poco venuto al laboratorio, ha ricevuto il giorno del suo ingresso, ed il giorno successivo, due razioni di pane, e poi per tre giorni di seguito fu tenuto in digiuno, con acqua a sua disposizione. Prima parte: Il giorno 11, VI, 96, pesa 5930 gr., ha perduto 570 gr. circa 1/10 del suo peso: temperatura am- biente 22°; alle ore 7,30 ha 36°,4 di temperatura rettale; 8h,30-360,4; 82,36-369,40 senza 5 gr. per Kgr. 1 gr. per Ker. Fic. 1. — Influenza dello zucchero sulla temperatura del corpo. togliere il termometro dal retto e senza disturbare il cane che era stato antecedentemente esercitato a restare sul tavolo senza muoversi, gli somministro 80 gr. di zucchero pari a o per kgr., cioè calorie 112,5 e per kgr. 19; 8%,39 ha finito di mangiare lo zucchero: temp. 86°,4; 82,40-36°,3; 80,41-369,3; 8144-3695; 81,47-369,6; 80,52-369,7; 8154-369075; 80,55-369,8; 8h,58-369,85; 8h,59-369,9. Ore 9,2-369,95; 9h,4-479; 9h,7-379,05; 9h. 10-379,1; 9%,13-379,1; 9,15-379,15; 99,21-379,20; 92,24-379,20; 9h,25-379,2; 90,29-379,2; 92,33-379,2; 9,39-379,2. Ore 10-379,2; 10h,3-379,2; 10h,5-379.2; 104,10-37°9,2; 102,15-379,2; 10h,20- 870,2; 10h,25-379,2; 10h,30-379,2; 10h,35-379,2; 10h,37-379,2; 10h,42-379,2; 10h,50-379,2; 104,55-37°,2. Ore 11-379,2; 11°,10-379,2;: 11h,20-37°,2; 11%,80-379,1; 11°,40-379,1. Ore 14-36°,1; 14%,30-369,1; 14°,40-36°,1. Ore 15-36°,2; 15h,10-369,2; 152,10-36°,2. Seconda parte: Vedendo che la temperatura si mantiene costante, essendo quella ambiente 23°, somministro al cane 6 gr. di zucchero in pezzi, pari a circa l’1 per kgr., cioè 22,50 ca- lorie e per kgr. 3,8: una quantità 5 volte minore dell'esperienza antecedente: ore 15,12- RenpIcoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 11 de mu 09, 369,2; 15h,15-369,2; 152,18-369,3; 150,20-36°,3; 15%,25-369,35; 158,30-36°,4; 151,35-36°,4; 15%,40-369,45; 150,45-36°5; 15l,50-36°,6; 150,55-36°,05. Ore 16-369,7; 162,5-369,7; 16h,10- 369,7; 16% 15-369,8; 16,20-369,8; 162,30-369,8; 162,40-36°,8; 16h,45-36°,8; 16%,50-360,8. Ore 17-369,8; 172,10-369,8; 172,15-369,8; 17h,20-36°,8; 172,30-369,8: 172,40-369,8; 17h,50- 860,8. Ore 18-36°,8; 18h.380-369,75; ore 10,30-16°,65 Nella prima parte di questa esperienza si vede che, appena finito di mangiare lo zucchero, la temperatura diminuì di 0°,1: ciò dimostra che i movimenti di masticazione e di deglutizione non hanno influenza sulla calorificazione. Cinque minuti più tardi la tem- peratura incominciò ad aumentare, e l’aumento fu di 0°,8 in 20 minuti.. È questo uno degli esempi in cui la temperatura aumentò più rapidamente per pic- cole quantità di zucchero. Poi la temperatura rimase per due ore e mezzo alla stessa altezza: quando incominciò a diminuire ho lasciato il cane in libertà. Dopo due ore, la temperatura era già di 0°,3 inferiore alla temperatura iniziale delle 7",80. Si poteva quindi presumere che lo zucchero, somministrato al mattino, fosse già stato utilizzato a sviluppare calore, o si fosse trasformato in materiale di riserva. Nella seconda parte dell’esperienza si osserva che, con una quantità di zucchero cinque volte minore della precedente, l'aumento della temperatura è stato minore di 09,2, ed è stato più lento, perchè in un’ora e mezzo raggiunse il suo massimo. Il calore sviluppatosi in questa seconda parte non è proporzionale alla quantità di zucchero; ma la differenza si spiega coll’ammettere che una parte dello zucchero del mat- tino si sia trasformata in materiale di riserva. Questa interpretazione trova la sua ragione nel fatto, già osservato da altri, che dopo la somministrazione di zucchero, non si trova nel sangue che un leggero aumento di glucosio, mentre il di più viene trasformato in gli- cogeno, e depositato nei tessuti (fig. 1). Gli aumenti più rapidi e più grandi si osservano colle basse tempera- ture del corpo, come quelle dei prolungati digiuni, o quando i cani sono in cattive condizioni per malattie, avvelenamenti, sottrazioni, sanguigne ecc. Un cane denutrito, a cui furono fatti due salassi, ha 82°,7 di temperatura: ricevette 5,5 per kgr. di zucchero in 25 €. c. di acqua, che è la soluzione più adatta all’assorbi- mento. L'aumento si verificò dopo 10 minuti, ed in sole due ore raggiunse i tre gradi. Il massimo aumento di 3°,6 avvenne in 4,20. Una somma di calore ancora più grande si sviluppa, se la quantità di zucchero è maggiore: un cane che aveva 349,2 di temperatura ebbe 11 per kgr.; una quantità di zuc- chero doppia della antecedente. L'aumento della temperatura cominciò 10 minuti dopo la somministrazione; in 4 ore aumentò di 3°, e raggiunse il massimo in 9°,30. Il ritardo nel raggiungere il massimo della temperatura dipende da che lo zucchero venne dato in pezzi. È un fatto costante che la temperatura aumenta più rapidamente quando lo zue- chero si dà in soluzione. La brevità che è imposta dai limiti di queste Note, rende impossibile che io accenni, e tanto meno discuta, le eccezioni da me incontrate in questa serie di esperienze. Quando i cani, stremati di forze, si presentano con temperature assai basse, e sono incapaci di sviluppare sufficiente calore da mantenersi in vita, ho potuto collo zucchero ottenere aumenti della temperatura. Collo zucchero ho sottratto alla morte dei cani in grave stato di ipo- termia; non ho potuto salvarne degli altri, coll’ introduzione dell’ albumina. Dago III. Velocità di assorbimento e di assimilazione del pane. — Gli aumenti della temperatura colla somministrazione del pane, durante un digiuno di breve durata, ma con temperatura del corpo dai 38° in su, non sono così evidenti come quelli dello zucchero. Si vede ancora la curva elevarsi, ma non così rapidamente. La digestione trasforma l’amido in glucosio lentamente, ed i prodotti assorbibili penetrano successivamente in piccola quantità nel- l'organismo, e la combustione si attiva con lentezza. A parità di peso, il pane contiene circa la metà di idrati di carbonio in meno dello zucchero ; perciò occorre una quantità doppia di pane, per ottenere lo stesso effetto. Non potrei in modo migliore dimostrare la differenza che passa fra il calore prodotto dallo zucchero e quello prodotto dal pane, che col raffronto del loro effetto sullo stesso animale, nello stesso giorno. Riferisco un'esperienza nella quale ho somministrato prima 2 gr. per kgr. di zucchero nel mattino, e nel pomeriggio, quando l’effetto era scomparso, 4 gr. per kgr. di pane. Cane macilento di 5822 gr., digiuno da 5 giorni. La temperatura ambiente è 28°. Il giorno 12 giugno 1897, alle ore 7,30 ha 36°,2 di temperatura; ore 8-36°,2; 88,10- 369,2; 8h,20-36°.2; 8h.22-369,2; riceve gr. 12 di zucchero, circa il 2 per kgr. (calorie 45 per kgr. 7,78) in 20 gr. di acqua. Il cane non si muove, alle ore 8,24-36°,25; 81,27-369,3; 8h,32-369,3; 8h,37-369,35; 81,39 36°.40; 8h,42-369,5; 8",46-369,55 ; 8h,52-360,65; 88.55-360,75:: 8h,58-369,85; ore 9-369,9; 9h,5-359,95; 9h,9-379,1; 9%,11-379,15; 9h,16-370,20; 92,20-37°,25; 9h,25-379,25; 98,47-379,40; 98,51-370,45; 98,55-87°,50; ore 10-379,45; 10%,5-379,45; 109,10- 379,45; 10h,15-37°,40; 10h,20-37°,40; 10%,25-379,35; 103,30-379,80: 102,40 379,30; 10%,50- 379,80: ore 11-379,30; 11°,10-379,2; 11h,30-379,1; 11°,40-37°; ore 12-369,9; 12h,20-36°.7; 12h,30-369,5; 122,45-36°,4; ore 13,10-36°,20; 13h,20-36°,30; 13h,30-36°,30. Zucchero 2 gr. per Kgr. Pane 4 gr. per Kgr. Fic. 2. — Paragone fra l’azione dello zucchero e quella del pane sulla temperatura. Essendo la temperatura ritornata al punto di partenza e mantenendosi costante a 369,30, somministro al cane 25 gr. di pane in 125 ce. di acqua (calorie 109,06 per kgr. 18,7), che prende senza muoversi : alle ore 13,35 ha finito di mangiare e la temperatura è 362.30; ore 13,45-869,25; 13h,50-36°2; ore 14-360,25; 14",10-369,3; 14h,20-369,3; 14%,30-360,55: 145/40-369,45; 142.50-369,50; ore 15-369,55; 15%,12-360,6; 14°,35-36°,7; 152,50-360,90; ore 16-37°; 16%,15-379,1; ore 17-379,3; 17%,20-87°,35; ore 18-37°,3; ore 19,15-360,9; ore 20,30-369,9: ore 21,30-369,7. Questa esperienza dimostra che quantità isodinamiche di pane e di zucchero produ- cono quasi la stessa quantità di calore, colla differenza che la temperatura sale rapidamente collo zucchero, lentamente col pane: la massima elevazione di 1°,15 si verifica. collo zuc- chero in un’ora e mezzo; occorrono 4 ore e mezzo perchè col pane si raggiunga il mas- al 0 simo di 1°,05. L'assorbimento della soluzione di zucchero si compie subito, e quello del pane ritarda più di un’ ora. Anche per il pane si è osservata una diminuzione della tem- peratura appena tu introdotto, insieme ai 125 cc. di acqua, alla temperatura ambiente (fig. 2). Gli aumenti più rapidi col pane avvengono quando i cani hanno delle temperature di poco inferiori alla media normale e nel digiuno di breve du- rata; quando gli organi della digestione non perdettero ancora della loro attività. Se il digiuno è prolungato, il pane impiega un tempo più lungo prima di dare degli aumenti di calore. Ho fatto due gruppi delle mie esperienze col pane; In uno ho riunito gli aumenti rapidi, nell'altro i lenti. Il primo comprende le esperienze fatte ad una temperatura del corpo di poco inferiore alla media normale; il secondo, quelle fatte a temperatura bassa e nell’astinenza prolungata. Le curve del primo gruppo presentano tutte lo stesso decorso, p. e., un cane da 5 giorni in digiuno ha 36°,9 di temperatura, mangia 100 gr. di pane bagnato con 100 c. c. di acqua, cioè 13 gr. per Kgr. Dopo 25 minuti avviene l'aumento, ed in 3 ore raggiunge 19,65. Aumenti rapidi della temperatura col pane si verificano anche nella lunga astinenza e colle basse temperature, ogni qualvolta però si sia somministrato ai cani, qualche giorno prima dell’esperienza, altro nutrimento. Un cane non ha introdotto idrati di carbonio da 12 giorni, ma ebbe solo una razione di carne 3 giorni prima dell’esperienza, ricevette 13 per Kgr. di pane; come il cane antecedente, l'aumento fu alquanto più grande, perchè la temperatura iniziale era di un grado più bassa, cioè di due gradi in circa 4 ore e com- parve dopo 25 minuti. Le curve del secondo gruppo si fanno notare per la lentezza dell'aumento e la mag- giore altezza della curva; p. e. un cane magro da 16 giorni in digiuno con 369,1 di tem- peratura prende 50 gr. di pane bagnato in 100 c. c. d’acqua: cioè 10 per kgr. Il massimo aumento di 2°,5 venne raggiunto in 5 ore. Solamente dopo la prima ora la temperatura cominciò ad aumentare lentamente e dopo due ore l'aumento si fece più rapido. Un decorso molto più tardo nell’aumento della temperatura mostrano i cani quando il digiuno è molto più prolungato e bassa la temperatura. Fisiologia. — Velocità di assorbimento e di assimilazione degli albuminodi e dei grassi. Nota II del prof. UgoLIno Mosso, presentata dal Socio A. Mosso. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisiologia. — Stud? sulle leggi che regolano l'eliminazione dell'acido carbonico nella respirazione. — Studi sulla composi- ione della placenta. — Di una reazione colorata la quale per- mette di svelare i sali di calce depositati nei tessuti organici. Note del dott. V. GRANDIS, presentata dal Socio LUCIANI. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. RG Zoologia. — Sopra una Filaria dell’occhio umano. Nota del dott. FELICE SuPINO, presentata dal Socio GRASSI. Il prof. Grassi mi ha gentilmente concesso una Filaria dell’ occhio umano, inviatagli dal prof. Cirincione ('), acciocchè io la studiassi e la descrivessi per vedere di portare un contributo alle filarie dell'occhio, sulle quali esistono, data la rarità dei casi, molte incertezze ed alcune discussioni. Le filarie di tale specie che furono finora descritte sono assai poche, come vedremo a suo tempo, ond’è che credo utile occuparmi del caso pre- sentatomi, come tenue contributo a tale argomento. La Filaria da me presa a studiare è la Y%larza inermis Grassi, Y. palpebralis Pace, Y. peritonaei hominis Bab., Y. apapillocephala Cond. Disgraziatamente nell’ unico esemplare che posseggo manca una por- zione dell’ estremità posteriore, per cui non mi è possibile dare la lunghezza esatta dell'animale. È un esemplare grande, femmina; la sua massima lar- ghezza è di 500 w, di colore bianco sporco, di forma che dovrebbe essere rotonda, ma che è invece un po' schiacciata causa la preparazione. Il dia- metro del corpo diminuisce verso le estremità, delle quali la cefalica si mostra alquanto appuntita. La cuticola è spessa ed il suo spessore va diminuendo via via che ci si avvicina all’ estremità, per cui mentre nel mezzo del corpo misura 32,75 w, verso l'estremità cefalica ne misura soli 19,65. Essa presenta numerosi solchi trasversali che qualche volta terminano verso l'esterno con intaccature più o meno profonde. Questi solchi non si ri- scontrano più, quando si arriva ad una certa distanza dall’ estremità. Oltre a ciò la cuticola presenta delle finissime striature disposte in senso longi- tudinale. Al di sotto della cuticola, nella faccia dorsale e ventrale, si trovano i muscoli, i quali sono rappresentati da numerose e sottili fibre disposte in senso longitudinale, che occupano uno spessore di 52,40 u. La muscola- tura manca nelle facce laterali. L'ipoderma o strato granuloso sottocuticolare addossandosi in quantità ai lati, forma i così detti campi laterali, i quali si presentano con aspetto granuloso e misurano in larghezza 130 w. (fig. 1). La bocca è terminale, piccola, inerme, contenuta nello spessore della (1) Grassi, Milaria inermis (mihi), cin Parasit des Menschen, des Pferdes und des Esels. Centralbl. f. Bacteriol. und Parasitenkunde. Bd. I, n. 21, Jahrg. 1887. da.9g —S cuticola; è di forma ovale un po’ allargata (fig. 2). Io non vidi quella ro- setta descritta dal Grassi (‘) e dall’Addario (2) nell' esofago ad una certa di- G Aid DI LIGATZA ALLA LASA Brani Porzione del corpo della Nilaria inermis, a cuticola, è muscolatura, c campo laterale. (Koristka ob. 2, oc. 3 tubo 160 mm.). stanza dall'apertura boccale; è probabile ch'essa sia data da una ripiega- tura delle pareti dell'esofago che per essere trigono assume una forma tale, Fis. 2. Porzione cefalica della Milaria inermis, a bocca, è esofago (Koristka ob. 8, oc. 8 tubo 160 mm.). e quindi possa formarsi indifferentemente in uno o nell'altro punto dell’ eso- fago stesso. Le pareti dell’ esofago sono piuttosto spesse ed il lume è stretto. (1) Addario, Su di un nematode dell’occhio umano. Ann. di Ottalmologia. An. XIV. fasc. 2, 3. (2) Ben si apponeva il prof. Cirincione nella sua lettera con la quale inviava questa Filaria al prof. Grassi, dicendogli che la riteneva eguale alla /. inermis. La storia cli- nica di questo caso interessante verrà quanto prima pubblicata dal Cirincione stesso. DERE L'intestino scorre diritto nella linea mediana del corpo dell’ animale, il suo lume è stretto misurando in diametro 32,75 w. Non potei vedere dove termina nell’ apertura anale, mancando, come ho già detto, in questo esemplare una porzione dell’estremità posteriore. Fic. 3. Sezione trasversa della Filaria inermis, a intestino, è ovarî (Koristka ob. 5, oc. 3, tubo 160 mm.). Gli organi sessuali sono costituiti da due tubi, che nella loro porzione posteriore sono intrecciati fra loro ed avvolgono l'intestino a spira. In una sezione trasversa presentano un lume di forma ovale, il cui massimo diametro è di 77 u ed il minimo è di 45 (fig. 3). Essi sboccano nella vulva situata alla distanza di 340,60 w dall’ estremità cefalica. Questo verme vive principalmente nel tessuto connettivo della congiun- tiva palpebrale e bulbare e nella camera anteriore dell'occhio, come pure in altri organi dell’uomo, del cavallo e dell’ asino. Ora osserviamo un po' la differenza tra questa ed altre filarie dell’ occhio, sulla sistematica delle quali esiste un po' di confusione. Alcune filarie dell’occhio, che in parassitologia oggi si conoscono come specie a parte, debbono con ogni probabilità, ricondursi tutte ad una sola specie e precisamente alla Filaria inermis. Così la Wlaria palpebralis Pace (!) la quale, appunto secondo quel poco che ne dice l'autore, presenta l’appendice cefalica priva affatto di armi. Egli la trovò a Palermo nel tessuto sottocutaneo della palpebra di un ragazzo di nove anni. (1) Pace, Sopra un nuovo nematode. Giornale delle sc. nat. ed econom. II, 1867, Palermo. -_QY Così pure la Y. peritonaci hominis Babès (!). Questa filaria è inerme, differisce però dalla 7. inermis per avere la cuticola più spessa ed inoltre uno speciale corpo papillare alla punta della coda. Ma lo spessore della cuticola ha un valore molto relativo e non basterebbe certamente di per sè a caratterizzare una specie. Circa il corpo papillare che si trova alla punta della coda della /. pe- ritonaci hominis, il Grassi dice che anche nella inermis apparisce a prima vista un corpo papillare come quello descritto da Babesiu, ma che un accu- rato esame fa vedere nella Y. inermis, e forse anche in quella di Babesiu, che qui si tratta di semplici pieghe cutanee delle quali si trova accenno anche nella 7. éermis. In ogni modo anche questo carattere non è di per sè sufficiente per la classificazione della specie. La /. coniunetivae Addario (*) va senza dubbio riportata alla /. dx- ermis. L' unica differenza tra queste due filarie consisterebbe nel fatto che secondo Addario la prima possederebbe alla coda due papille caudali late- rali. Ma anche qui il Grassi ed altri obiettano che si trattava probabilmente di pieghe cuticulari e non di vere papille, per cui anche questa specie di Addario rientra nella F. inermis. Egualmente, visti i caratteri che ne dà lo stesso autore, vanno consi- derate come 7. inermis le due filarie: Y. Dubini Cond. e N. oculi asini Cond (*). Anche la Fylaria dell'occhio umano di Quadri e Fano, della quale però poco si può dire mancandoci una dettagliata descrizione, la Y. /entis di Diesing e quelle osservate da Guyon sulle coste orientali dell’Africa, sono molto affini e, secondo quello che ne dice anche il Grassi, pare si debbano riportare alla Y inermis. Davaine (‘4) ebbe in esame una Filaria dell'occhio del cavallo, prove- niente dall'India dove essa si trova abbastanza frequentemente. Egli classi- ficandola la pose subito dopo la ”. equina col nome di Mylaria (?) del- l'occhio del cavallo. Ne riporto la descrizione perchè importante per le osser- vazioni che ne ritrarrò poi. « Vers filiformes, d'un blanc roussàtre en chàtain, ressemblant è un cheveau fin; corps aminci graduellement d’arrière en avant dans le premier quart de sa longueur, et d’avant en arrière dans les trois derniers quarts; tégument lisse; téte obtuse, sans papilles visibles; bouche ronde, terminale, très petite, munie de trois (?) lèvres saillantes, triangulaires, oesophage court, (1) Babesiu, Veder einen im menschlichen Peritonaim gefundenen Nematoden. Arch. f. Pathol. Anat. und Physiol. von Virhow. 1880. (2) Addario (loc. cit.). (3) Condorelli, Filaria apapillocephala (mihi). Bull. Soc. Romana p. gli studî zoo- logici, ann. I, vol. I, nn. 8, 4, 6, 1892. (4) Davaine, 7raité des entozoaires, 2% édition, 1877. musculeux, élargi en arrière, suivi d'un intestin chyl2figue, entouré d'une substance grenue, occupant la premier cinquième de la longueur totale du corps; rectum occupant les quatres cinquièmes postérieurs; anus (?); queue pointue, avec deux longues et fortes papilles coniques, situées latéralement un peu en avant de son extrémité et dirigées en arrière. « Male, long de 3 centimètres à 3 cent. 5, large 0,3 à 0!" 4; queue enroulée en spirale, pourvue, outre les deux papilles caudales, de douze papilles coniques, fortes (six en avant de l’orifice pénial sur deux rangs, une de chaque còté de cet orifice, et quatre postérieurement sur deux rangs); pénis court, arqué, formé de deux pièces principales et une accessoire. « Femelle, longue de 2 cent., 2à 3 cent., 2; tube génital déjà formé, mais sans ovules visibles; vulve (2?) ». L'autore aggiunge poi che questo verme differisce probabilmente da quelli che sono stati qualche volta osservati in Europa ed in America. Il Neumann (!) in una sua memoria sopra la Filaria dell'occhio del ca- vallo, vuol dimostrare che la Fz/arza inermis di Grassi non deve considerarsi come una specie a sè, ma insieme a quella di Devaine, sopra descritta, deve esser riportata alla Y. equina Albidgaard. Egli dice che la descrizione della 7. inermis data dal Grassi non può esser sufficiente per la classificazione della specie, e che del materiale preso a studiare dal Grassi stesso, di veramente importante non c'è che una Fi- laria trovata nell'occhio dell'asino dal Rivolta (2). Il Neumann quindi ha potuto avere da Calcutta e studiare la Filaria dell'occhio del cavallo, ed è venuto alla conclusione che la Filaria dell'occhio dell'asino, ossia la 2rermis di Grassi, è la stessa specie di quella dell'occhio del cavallo indiano, e che finalmente la Filaria dell'occhio del cavallo, deve considerarsi come una forma giovane della F. equina che allo stato adulto vive sopratutto nel peritoneo del cavallo. Ma siccome tali conclusioni interessano molto per quello che io voglio dimostrare, così sarà bene che riporti testualmente, quantunque un po’ lunga, la descrizione e le osservazioni del Neumann stesso. La sua descrizione si basa sopra 13 esemplari, di cui 5 maschi e 3 femmine. « Corps blanchàtre ou roussàtre, filiforme, allongé, attenué vers les extré- mités, surtout en arrière. Tésument non strié en travers, mais très finement dans le sens longitudinal. Bouche petite, ronde munie de deux lèvres semi- lunaires latérales, réunies (le plus souvent), sur chacune des lignes médianes (1) Neumann, Sur la Filaire de l’ocil de cheval. Revue vétérinaire, 22 (54) année, n. 2 février 1897. (2) Il Grassi diede di questa Filaria una descrizione sommaria, fatta con la colla- borazione del sig. M. Condorelli allora suo studente. Il Condorelli ne fece poi, nel labo- ratorio dello stesso prof. Grassi, una descrizione estesa (1887), la quale pubblicò nel 1892. RenpIcoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 12 ao (dorsale et ventrale), par une saille papilliforme, souvent plus étroite à sa base qu'à son sommet, qui est divisé par un sinus obtus et peu profond en deux pointes arrondies. Oesophage court, grèle, non renflé en bulbe, è lu- miòère capillaire; intestin large, s'étendant en ligne droite sur une longueur qui représente d'un cinquièÌme è un huitième de celle du corps, rempli d’une matière brunàtre; rectum un peu onduleux, presque vide, incolore; anus situé à 130-160 u de la pointe caudale chez le male, à 300-350 w chez la fe- melle. Extrémité caudale terminée par un bouton arrondi, précédé de deux salllies papilliformes coniques, latérales, è sommet rétrograde. Male, long de 16 è 42 mm. (en moyenne 33 mm.), large de 250 è 300 u, à queue enroulée en spirale làche, pourve de chaque còté de sept papilles: trois préanales, une en regard de l’anus (adanale), et trois posta- nales; plus les saillies papilliformes subterminales; deux spicules inégaux, longs, l'un de 85 w, l'autre de 220 w, toujours rétractés. Femelle, longue de 28 à 43 mm. (en moyenne 36 mm.), large de 300 à 500 u; queue un peu courbée à concavité dorsale; ovaires sans ovules di- stincts; vulve située à 90, 100, ou 110 « de l'extrémité céphalique 7. Ed eccoci ora alle conclusioni che il Neumann trae dalla descrizione sua confrontata con quelle di Davaine e Grassi. « En ce qui concerne celle de Davaine, portant aussi sur des Vers intra-oculaires du Cheval des Indes, on ne constatera de différence sensible que sur la conformation de la bouche, qu’ il dit « munie de trois (?) (sée) lèvres saillantes, triangulaires =, Le doute indiqué témoigne d'une obser- vation incomplète par suite de quelque difficulté. Or, parmi les exemplaires sur lesquels a porté son examen, il en est dont une des papilles est brisée; c'est parfois le cas pour les deux; chez d'autres, les papilles sont è peine marquées, tandis que les deux lèvres sont très apparentes. Certaines de ces variations sont accidentelles; les autres tiennent è la phase d'évolution dans laquelle se trouve le Ver, incomplètement développé encore; elles ne sau- raient donc ètre décisives en faveur d'une différence spécifique entre les deux échantillons de parasites étudiés par Davaine et par moi. «Il en est de méme du nombre de papilles caudales du màle, qui, pour Davaine, est inférieur de deux (une de chaque còté) à celui que j'ai trouve. Cette différence s'explique par la difficulté fréquente de l’observation. J'ai, en effet, des spécimens màles qui, soit par un long séjour dans l’ alcool, soit par les dépòts pulvérulents qui y adhèrent, laissent dans le doute sur le nombre exact de leurs papilles caudales. Pour les autres détails, on ne peut qu’ étre frappé de la concordance entre les deux descriptions et conclure qu’ elles se rapportent au méme objet. «J'ai dejà fait observer que nous n’avons è retenir, de la description de Grassi, que ce qui concerne le Ver trouvé dans l’ocil d'un Ane par Rivolta. C'était une femelle, de 55" de longueur, n'ayant pas atteint sa maturité DR] sexuelle, dont la vulve était située è 104 w de l’orifice buccal, tandis qu' elle s'en trouvait è 50 w dans les exemplaires plus grands. Ces détails du Ver de l'Ane concordent bien avec ceux que donne la Filaria de l'oeil du Cheval. « Les differences dans le pourtour de la bouche s'expliquent par les mémes raisons que pour le Vers de Davaine. Je conclus, cette fois encore, que ce Ver oculaire de l'Ane appartenait à la méme espèce que ceux de Cheveaux indiens ». Ora io non so perchè al Neumann sia piaciuto prendere in considera- zione, tra le filarie descritte dal Grassi, solo quella dell'occhio dell’ asino, e non accenni neppure a quelle, pur della stessa specie, descritte dagli altri autori; in ogni modo faccio osservare che la conformazione della bocca ha una grande importanza nella classificazione delle specie. Ciò premesso, non mi sembrano giuste le osservazioni fatte dal Neumann e sono lieto poter confermare quanto ora dico, anche con la descrizione della Filaria da me presa a studiare e che ho sopra riportata. Mi sembra strano, per non dire impossibile, quello che dice il Neumann e cioè che le papille cofaliche sieno cadute; ciò avrebbe potuto accadere esaminando un solo esemplare ed anche molto deteriorato, ma è mai possibile che in tutti e sei gli esemplari esaminati dal Grassi, ora nel mio, ed in quelli esaminati da altri ancora, sieno proprio sempre cadute le papille senza che mai ne rimanesse alcuna traccia ? Via, questo non posso ammetterlo, e sarebbe d'altronde così strano da ritenerlo un fatto inverosi- mile. Ancor che in tutti gli esemplari le papille esistessero ma così poco visibili da sfuggire all'osservazione di quanti presero a studiare questa Filaria, mi sembra cosa inverosimile. Quanto al fatto ammesso dal Neumann, che cioè nel caso della Y. inermis, si sia sempre trattato di esemplari giovani e non si sieno quindi riscontrate le papille, va escluso addirittura, poichè il Grassi ha trovato e descritto una di queste filarie che conteneva gli em- brioni e che era perciò indubbiamente matura; oltre di che sembra strano che a tutti gli osservatori sieno capitati sempre soltanto esemplari giovani. A buon conto neppure il Neumann ci dice se gli esemplari da lui esaminati appartenessero tutti ad individui giovani o no. Perciò io concludo, anche in base alle descrizioni sopra riportate, che le Filarie descritte dal Neumann e dal Davaine, sono una specie diversa di quelle descritte da Grassi, da me e da altri, e che quindi la Yi/arîa inermis è, come si dice, una specie buona. Sembra inoltre giusto ritenere che debbano considerarsi la stessa specie della Yilaria inermis Grassi, oltre la Y. apapillocephala Cond. anche la F. palpebralis Pace, la Y. peritonaei hominis Bab. la Y. coniunetivae Add., la 7. Dubini Cond., la F. oculi asini Cond. e la F. lentis Dies. Stando alle regole della priorità, questa Filaria dovrebbe chiamarsi F. palpebralis Pace, poichè fu Pace il primo a farla conoscere chiamandola appunto Y. pal/pebralis; ma siccome ormai essa si trova più spesso menzio- nata sotto il nome di /. inermis Grassi, così io ho creduto opportuno con- servarle questo nome. do PRESENTAZIONE DI LIBRI Il segretario BLAsERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci Bassani, Borzi, D'AcHiaRDI, HAECKEL, GE- GENBAUR, GREENHILL, HeLMERT, PiRoTTA, TARAMELLI, VERONESE; e dai signori: BomBicci, GuaRINI-ForEsio, De LorENZO, LUSSANA, SARS. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; l'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; la So- cietà Veneto-Trentina di scienze naturali di Padova; la Società di scienze naturali di Buffalo; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; la Società Reale di zoologia, di Amsterdam; la Società geografica di Hel- singfors; la Società geologica di Sydney; il Museo Teyler di Harlem; la R. Scuola navale superiore di Genova; 1 Osservatorio di Praga; l’Istituto geodetico di Potsdam; l’Università di Oxford; la Scuola politecnica di Delft. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La Società zoologica di Londra; il Museo Teyler di Harlem; l' Uni- versità di Utrecht. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 febbraio 1900. Borzì A. — Azione degli stricnici sugli organi sensibili delle piante. Palermo, 1899. 8°. Id. — Contribuzione alla biologia del frutto. Messina, 1894. 8°. Id.— Contribuzione alla conoscenza dei fenomeni della sensibilità delle piante. Palermo, 1596. 8°. Id. — Descrizione ed illustrazione del R. Orto Botanico di Palermo. Palermo, 1899. 8°. Id. — Funzione fisiologica della solanina. Como, 1899. 8°. Id. — L'apparato di moto delle sensitive. S. 1. 1899. 8°. Id. — Nicolaus Kleinenberg. Palermo, 1898. 8°. Id. — Note di biologia vegetale. Palermo, S. a. 8°. Si 0 e Bassani F. — Su la hirudella laticauda O. G. Costa, degli schisti bituminosi triasici di Giffoni, nel Salernitano. Napoli, 1899. 8°. Bombicci L. — Nuove considerazioni sulla probabilità che talune anomalie di forma nei cristalli dipendano da durevoli movimenti negli spazî natu- ralmente cristalligeni. Bologna, 1899. 4°. Id. — Sulla cubosilicite e sulla sua posizione tassonomica nella serie delle varietà di silice anidra e idrata. Bologna, 1899. 4°. D'Achiardi A. e G. — Relazione sui giacimenti lignitiferi di Montebamboli. sari 9988808 De Lorenzo G. — Studio geologico del Monte Vulture. Napoli, 1900. 4°. Domenech y Estapa J. — Memoria necrologica de D. José O. Mestres Esplugas. Barcelona, 1899. 8°. Greenhill A. G. — The elastie Curve, under uniform pressure. Leipzig, TSSO Ra Guarini-Foresio E. — Transmission de l’électricité sans fil. Liége, 1900. 16°. Haeckel E. — Die Weltrathsel. Gemeinverstindliche Studien ueber Monisti- sche Philosophie. Neue unver. Auflage. Bonn, 1899. 8°. Id. — Systematische Phylogenie. Th. I-III. Berlin, 1894-96. 8°. Helmert F. R. — Neuere Fortschritte in der Erkenntniss der Mathemati- schen Erdgestalt. Leipzig, 1900. 8°. i Lussana S. — Alessandro Volta e la pila nel secolo XIX. Siena, 1899. 8°. Id. — Influenza della pressione sulla resistenza elettrica dei metalli. Pisa, 1399. 8°. Norske (Den) Nordhays-Expedition. Zoologi XXV. Thalamophora. XXVI Hydroida. Christiania, 1899. 4°. Saltini E. — Éléments de la raison. Équilibre des corps sociaux suprèmes. Bologna, 1900. 4°. Sars G. O. — An Account of the Crustacea of Norway. Vol. III, p. I-II Camidue Lampropidae. Bergen, 1899. 8°, Soleil (Le) intérieur. Communication scientifique. Montevideo, 1900. 8°. Taramelli T. — Di alcuni scoscendimenti nel Vicentino. Roma, 1899. 8°. Id. — Di due casi di idrografia sotterranea nella provincia di Treviso e di Lecce. Milano, 1899. 8°. Tziolkovsky C. — Ballon dirigeable en fer, portant 200 hommes et ayant 210 mètres de longueur. Moscou, 1896. f.° Veronese G. — Elementi di geometria ad uso dei ginnasi e licei. P. I-II. Verona, 1900. 16°. EB: itaiiba fab adh00 00 b,) Pi; picatia od ua SENO a Dod iGOUno io loîeaint vani Siate dante Gud dici dA BRE svol - _ de MITI INTO © od Maro Seo: sie men sibi > ai MICORIISRII NI LISA LITATTO pista iL Ntoratio 19 are o 10t3a 16056; La INI ‘ | È 8 MORE i dot o4ig610ng BERIO nn DA petti È Rioi ci RESA I CUOR TANGO È +08 ky ge 00 [08 T0E., if avuto attealà To hi % E 00GE, Logi ero Vi ADS Adot n iatprovk SL FIFRORIAAI Lig ORE I MR DA Mio 5h nce — A (62940 sflbigobt* ‘odor Marni, “fn io data Mii | IA BE, «RO i se poso Ai 8 A Hi: GT +00 GROSSE, dae fo: siioiv ehi sh. e sind Mb i 90 GIRI ir Al 2 dive gi ci LOSE Lsiagiad dida 1 16 QRL ara Za [ioni sl 0 sthyt oil pRai il ban ie ia viiplalzo nile SOSIA fi Ù | «ITAXerodigoni plat A Îfpio. «soia iolpiil aea Pi i Ln NEMICA, ata di Gi AiIE agio AB clio Stig Dole Pe dog! VIE og JE io E ult 14 d000620) AA si SBI c gua 39 sE #3 .b Lo RC LORO I ANI i e siviten try edo o Zi tie stili side i VA fhlto; vi LEGO RODA, SIETE ME SE i pax: vrivong: sea dive DA ai O fa a] iu i i E SVGROA diet ; Jo ‘tono 006 ste ghità olio E i RR n | post RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 febbraio 1900. A. MessepAGLIA Vicepresidente. Il Vicepresidente MessEDAGLIA, aperta la seduta, profondamente com- mosso dà il doloroso annunzio della perdita, in quel momento avvenuta, del Presidente dell’Accademia senatore Eugenio Beltrami. Aggiunge che i Soci riceveranno avviso del giorno in cui si faranno le esequie, e dopo ciò scioglie l’ adunanza in segno di lutto. DICMAA Radsza tin tiiati + Sane DVI IL sd TATA » Mico Ì ii 4 3A } } t VELE KI 4% n N K z t i Y rerere rà fox 3'{0KGI BIG NIT9I ook Hon: HO. MIT III DEI D ari MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia per la seduta del 18 febbraio 1900. Matematica. — Sulla trasformazione delle equazioni della dinamica a due variabili. Nota di A. VirerBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. In una Nota precedente ('), recante lo stesso titolo di questa, diedi il metodo con cui determinare tutti i sistemi d’equazioni dinamiche che siano cor- rispondenti di II? specie d'un dato sistema (A) d' equazioni dinamiche a due variabili che non abbia altro integrale primo quadratico all'infuori di quello delle forze vive. (Per tutte le denominazioni e convenzioni vedasi la Nota precedente testè citata: così pure sono mantenute le stesse notazioni intro- dotte in quella: i numeri con cui sono contrassegnate formole od equazioni, qualora non se ne faccia speciale menzione, s'intenderanno riferiti ad equa- zioni e formole della presente Nota). Ora in questa Nota mi propongo di fare analoga ricerca per i sistemi d’ equazioni dinamiche a due variabili, i quali ammettano un integrale primo quadratico distinto da quello delle forze vive. Con ciò compio la dimostrazione del teorema del sig. Painlevè enun- ciato nella Nota precedente e stabilisco la proposizione pure colà enunciata. Si consideri pertanto ancora un sistema d'equazioni dinamiche a due variabili, il quale ammetta però un integrale primo quadratico distinto da quello delle forze vive. Sia allora quest’integrale dato dall'equazione (1) della Nota precedente, la quale, come s'è detto, dovrà essere un integrale primo delle geodetiche della superficie il cui elemento lineare è ds. Come si sa dalla teoria delle superficie (2) esisterà un sistema ortogonale isotermo nella superficie d' elemento lineare ds, che assunto come sistema di riferimento permette di dare a ds? la forma: ds = (fr — fa)(dai + da) designando f, una funzione della sola «,, f2 una funzione della sola .. Manteniamo poi, come si disse, in tutto e per tutto, per ciò che riguarda (A) e il corrispondente di II* specie (A') di cui si tratta di stabilire l’ esistenza e compiere la ricerca le notazioni sin qui usate. (1) Questi Rendiconti, pag. 66. (2) Ricci, Lezioni (litografate) della teoria sulle superficie, paragrafo 106. Ora a che la (1) della Nota precedente sia un integrale primo delle geo- detiche della superficie d’elemento lineare ds, è necessario e basta che sia (1) die=f(fe— fa), da= fi(fi— fa) dio =da= 0. Nel nostro caso si ha, come si deduce dalle formole di Levi Civita en=@(f— fa); oc°= 02(f — fa), oc, = = 0. Così collo stesso procedimento usato per il caso precedentemente trattato si per- viene ad ottenere come condizione necessaria e sufficiente alla corrispondenza di (A), (A') i sistemi d' equazioni: Qi On (e O ZAN (1) odia Pia a pena 9 ed È IS QU glo fa — fe dai dere SA - =0 D(U+loge:) _ 3(U+loges)_y MXU+loge)__ AUF 22) (1) dI MEAI 7 PEA dI 2(U+loge:)___ IU+ 22) dI dI Dalle (1') si ricava subito, come nel caso esaminato nella Nota prece- dente: eV, 0e0=VW, —(U+ 22)= log (4 4) + K designandosi con w, una funzione affatto arbitraria della sola #1, con W- una funzione pure arbitraria di x» soltanto, con K una costante arbitraria. Così si saranno determinati 0,, 02 quando, mediante le (3), si saranno de- terminate U, Z, poichè: U=—log(W, w)—2Z2+K, o=wWwre7+%, 0,=W}w e7+. Per determinare dunque U, Z, diviso il primo membro di ciascuna delle (1) per 0: — 02, si pongano in queste equazioni al posto di 0,, 02, Z le loro (') Ricci, op. cit. ibid. Levi Civita, Mem. cit., pag. 34. seg) espressioni fornite dalle (1°). Con ciò le (1) assumeranno la forma: AZZ eee. «i... t- _______ © = dr Wi Wir W_-Wh IRSA w. QU Wa 00 e MEOgi talia Del o fi fede, Wi - Wa dA YW_- fe dx, dII ; 1 dfe Wi: QU Vo fa È log Wo dl ig) dI Dalle (2) si ricava: ubi n) Bg] (3) dI f2 Ws — fi Wi (Vf. — DCS DU Lia Y» fa fo fw iis g) der fe fa Tufm hi) NA (dove con /',,/"» ecc.,si designino le derivate di queste funzioni rispetto . alle variabili da cui dipendono). Ora Q,,Q: devono naturalmente rendere soddisfatta la condizione differenziale: 2Q _ 2@ dA o dI: i Un calcolo materiale ne mostra che così accade infatti e facilmente rica- viamo dalle (3): U=log e LIA "+01, ed essendo — U — 2Z= log wr w» + ©; (C.C, few fw costanti arbitrarie) si ha: (4) Z= 3 log enni (prescindendo dalle costanti arbitrarie che si possono porre tutte = 0). Così dalle formole precedenti si ricava: e) o= _ We (We fa — Wi fa) hai [a (6 Ni (fw: ossia Wie lì è en e 1 fiw—-hw 2fs ds (fu fa) de 2f (fifa) Queste sono dunque le forze che devono agire nel movimento rappresentato dal sistema (A) affinchè questo ammetta un corrispondente di II specie (A). La forma differenziale quadratica che compete a quest'ultimo sarà dunque: (5) dst=(fer ve TA) det (fewe— AV) dai. — 100 — E mediante le formole stabilite si possono calcolare /utti i corrispondenti di II? specie di (A/). DI Mediante poi la sostituzione delle variabili f Vw, der, SVw.dx rispettivamente alle 41,» ds, è ricondotto (ove si designino pure con 41,2 le nuove variabili) alla forma di Liouville: dsi= (fw — fi w)(de + dad). Siccome W,, w,. sono funzioni, come s'è detto, affatto arbitrarie l'una di «,, l'altra di x», dalla forma data a ds? si deduce la seguente proposizione alla quale accennai nel SI della Nota precedente: « Due sistemi d'equazioni dinamiche a due variabili, tali che i qua- drati degli elementi lineari ds, ds, ad essi rispettivamente corrispondenti possano entrambi con un cambiamento di variabili ricondursi alla forma di Liouville sì da divenire rispettivamente : sa=(f — fa)(det + da), dsti=(9, — Y2) (det + dî), ove ho fa, Pr, Pz designino quattro funzioni affatto arbitrarie rispettivamente della sola ,, della sola x., della sola , e della sola 7, sono corrispondenti di II? specie, quando si scelgano opportunamente le forze relative all’uno di essi. Di più le formole testè stabilite permettono di individuare senz'altro la trasforma- zione che da ds? fa passare a dsî » (Naturalmente una volta fissate le forze relative all'uno dei due si- stemi, sono individuate (v. Levi Civita, Mem. cit.) anche quelle che devono competere all’altro). 2. Ripresi ora in esame i due sistemi (A')(A/,) a di II? specie, passiamo a dare la dimostrazione del teorema del sig. Painlevè, relativa- mente ad essi. Perciò consideriamo ur sistema (A”) che sia corrispondente di I* specie di (A). La forma differenziale quadratica ds, che compete ad (A") dovrà allora, in base al risultato del prof. Levi Civita (Mem. cit.), es- sere riducibile all'espressione: Dicansi Y,, Y, le forze relative ad (A”). Sarà allora (v. Levi Civita, Mem. cit., pag. 15): pes Lidi 2Z A. 2z. iron ’ Ya= Xz fr DG (A Vale a dire: le forze Y,, Y, che competono ad (A”) ammettono un — 101 — A RESO ; quat. potenziale W che è = 9 e, a meno d'una costante arbitraria X. Dalla (4) 1 Wsf:-W fi Wbbesdse=== Quindi: dilba 2 wWofe-W fi 2, Vf Wifi 1.2 Webb) e 5 di a do be Lo stesso mutamento di variabili che ridusse ds? alla forma di Liou- ville, riconduce (W + X) ds?, alla forma: (5) Va fe: -WV hh E 2pî ws fi fa who Da ciò si vede come (W+ %)ds}, dsf siano suscettibili d’ assumere quella forma che permette d’affermare che il sistema dinamico a cui com- pete la forma differenziale quadratica (W + %) ds} e la funzione potenziale ix è corrispondente di 1 specie di (A'). Ora A, A” sono corrispondenti di I° specie, A”, A' sono corrispondenti di II° specie: e così il teorema del sig. Painlevè resta dimostrato per tutti i casi. 3. Dal teorema stabilito nel n. 1 della presente Nota deduciamo facilmente come si possa, scegliendo opportunamente le forze X,, X» relative ad (A), fare in modo che esso abbia fra i suoi corrispondenti di II* specie, i quali rien- trano nel tipo (A') sistemi riducibili a sistemi le cui traiettorie siano linee piane. Infatti posto (il che è lecito perchè w,, w. sono affatto arbitrarie): C C vito dana C,. Ca designando due costanti arbitrarie, diverrà la (5): dai ui ds = K hi "evo TT e questa forma differenziale si riduce con un ovvio mutamento di variabili a: ds = K (42° + dî) (K, costante arbitraria). formola questa che esprime la proprietà di (A') d'essere riducibile ad avere — 102 — per traiettorie linee piane. Allora sarà, in virtù delle formole stabilite: 19 K. f1 fe Ltd Ki fi fa X,= — — Rea i 2fz dI Kifs-K}f: s 2fa dI Kifif.—K.f (designando K,,K},K} altrettante costanti arbitrarie) il che dimostra il nostro asserto. Matematica. — Complementi al teorema di Malus-Dupin. Nota di T. Levi-CIvitA, presentata dal Socio CERRUTI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Correnti indotte in un trasformatore per l’inter- ruzione della corrente primaria con l’ apparecchio di Wehnelt. Nota del dott. O. M. Corgino ('), presentata dal Socio BLASERNA. 1. Proseguendo le ricerche i cui primi risultati furono comunicati al- l'Accademia il 17 dicembre ultimo, ho avuto occasione di osservare dei fatti che mi limito per ora a riferire sommariamente, non insistendo molto sulla loro interpretazione che si presenta ancora alquanto dubbia. La corrente, interrotta dall’apparecchio di Wehnelt, attraversa il primario del trasforma- tore già descritto, e gli estremi del secondario fanno capo ad un circuito che comprende un' autoinduzione variabile, un amperometro Carpentier per correnti continue, un micrometro a scintille sostituibile con filo metallico, e una batteria di lampade a incandescenza in derivazione. Si osserva in principio, come si disse nella nota citata, un arco lumi- nosissimo bluastro tra le palline del micrometro; il passaggio delle correnti in un senso solo, quello delle correnti di apertura, con la conseguente de- viazione dell’amperometro ; il numero d' interruzioni è lievemente inferiore a quello che si ha sostituendo al micrometro il corto filo, mentre l’ intensità efficace nel secondario è maggiore. L'arco bluastro si trasforma dopo un certo tempo in una successione di scintille istantanee di color roseo, dopo di che, in un tempo brevissimo, la pallina rilegata all’estremo del secondario negativo per le correnti di aper- tura si arroventa. Su questa importante trasformazione ecco ciò che ho potuto osservare di nuovo. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. — 103 — Perchè essa avvenga si richiede un tempo variabilissimo in diverse prove, nè ho potuto stabilire da che dipenda questa diversità. Pare che operando con palline di nuova costruzione, la trasformazione avvenga in poco tempo; invece quando le palline, per l’uso prolungato, si smussano nelle parti affac- ciate, per sostituzione di un piano scabroso alla primitiva calotta terminale, la trasformazione richiede un tempo più lungo. Appena però comincia il se- condo stato, l’arroventamento completo della pallina negativa si produce in meno di dieci secondi. Pare che la condizione determinante il passaggio dal primo al secondo stato sia un certo elevamento nella temperatura della pallina negativa; di- fatti si ritorna al primo se durante il secondo si raffredda la pallina con un sottile getto di acqua. La presenza di un'autoinduzione esterna nel circuito accelera, a quanto pare, il passaggio stesso, pur diminuendo la intensità efficace nel circuito e la luminosità nell'arco. Infine disponendo sotto le palline una fiamma a gas, persiste indefinita- mente il primo stato; e se si accende la fiamma quando si è già al secondo, anche a fase inoltrata, si ritorna al primo. Nulla di tutto ciò avviene sosti- tuendo alle due palline di ottone due di carbone; scocca tra di loro un arco voltaico che non subisce trasformazioni, ma che persiste allontanando le pal- line fino a più di due centimetri. Per queste grandi distanze però l'arco è assal rumoroso. i 2. Ad agevolare l interpretazione di questi fatti, ho istituito una serie regolare di ricerche nelle quali vennero osservati, per i diversi regimi, i se- guenti elementi: 1°). suono reso dall’ interruttore ; 2°). aspetto dell’anodo; 3°). intensità media della corrente primaria ; 4°). forma della curva della corrente secondaria ; 5°). intensità media della corrente secondaria quando questa è uni- laterale ; 6°). forma della curva della corrente secondaria. I regimi esaminati sono quelli che seguono: a) Circuito secondario aperto. — Il suono è poco netto, perchè es- sendo le interruzioni molto rumorose, entra in vibrazione tutta la grande vasca in cui sì trova il Wehnelt. Le interruzioni, per la grande estracorrente di apertura, determinano all’anodo una viva incandescenza e una forte agi- tazione nel liquido. L'intensità media è 7, 5 ampère, mentre si ha nel cir- cuito una batteria di 45 accumulatori. La forma della curva è quella nota RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 14 — 104 — (fig. 1) ('); essa viene determinata con un tubo di Braun, eccitato da una macchina Toòpler a 40 dischi. Si nota nella curva che il tratto 4 d corrispon- dente all’ interruzione non è istantaneo. La bobina su cui è avvolto il secon- dario può essere portata via senza modificar nulla nelle apparenze descritte. i Ma Fic. 1. bh) Circuito secondario chiuso con filo metallico senza autoinduzione esterna. — Il suono monta moltissimo; l’anodo si illumina molto meno per la diminuita autoinduzione apparente del primario, e l'agitazione nel liquido è notevolmente ridotta. Il Wehnelt si incanta facilmente. L' intensità della corrente primaria raggiunge 15 ampère; la curva rappresentante l'intensità monta rapidamente, per la diminuita autoinduzione del primario (fig. 2); nel AA Fic. 2. secondario l’amperometro Carpentier segna O, ma si ha una corrente alter- nata dell’ intensità efficace di circa 5 ampere; la forma della corrente è data all'incirca dalla (fig. 3); l’asse delle ascisse si può determinare sulla curva | 190 Fic. 3. stessa con la condizione che l’area abbracciata dalla curva sia algebrica- mente nulla. c) Secondario chiuso con micrometro nel primo stato delle scintille (bleu). — L' intensità media nel primario e l'aspetto dell’anodo sono all’ in- circa gli stessi che nel caso precedente. La forma delle curve primarie (fig. 4) Fic. 4. manifesta un raggiungimento più rapido della intensità normale che resta costante per un buon tratto. Ciò conferma che il secondario resta chiuso (1) Data la difficoltà di riprodurre esattamente le curve osservate col tubo di Braun, queste figure posson dare solo un’ idea approssimata delle curve vere. — 105 — anche durante la chiusura del primario, e che il processo induttivo nel se- condario si esplica completamente. Il suono dell’ interuttore si abbassa solo lievissimamente rispetto a quello del caso d. L'intensità efficace nel secon- dario aumenta. L'amperometro a corrente continua segna, nel secondario 2, 5 ampère. Al tubo di Braun la corrente secondaria si rivela unilaterale, e dura per una certa frazione del periodo; lo spostamento massimo del cerchietto è però maggiore che nel caso precedente. La forma approssimativa della curva è rappresentata dalla fig. 5. Si conferma così che, pur essendo la corrente io |A Fic. 5. unilaterale, il secondario resta chiuso durante l'apertura e la chiusura della corrente primaria, non si spiega però il lieve aumento dell’ intensità efficace e quello notevole dello spostamento massimo. Dopo un certo tempo si passa al regime d) Secondario chiuso col micrometro nel 2° stato delle scintille (roseo). — A questo regime corrispondono le modalità più inattese. L' in- tensità media primaria discende a 4,5; cioè molto al di sotto del valore che aveva con secondario del tutto interrotto (7,5). Il suono, più basso che nei regimi d e c, è però ancora più alto di quello avuto a secondario aperto. Ciò non non si può spiegare con la teoria del Simon. La forma della curva primaria è in gran parte simile a quella della fig. 1; solo è modificato profondamente il tratto a d e l’ordinata massima è un po diminuita. A parte quest’ ultimo fatto e la diminuzione della inten- sità media al di sotto di quella avuta con secondario aperto, pare che in questo stato si abbiano delle sole scintille di apertura che attenuerebbero l'autoinduzione del primario solo all’interruzione, modificando quindi il tratto a db e il principio della curva. Na \ ERE Fia. 6. La corrente secondaria discende a circa 1 ampere efficace e l’ ampero- metro Carpentier segna 0,5 ampère ('). La forma della curva secondaria (fig. 6) (1) In questo come negli altri casi in cui si ha, nel secondario, deviazione all’ am- perometro Carpentier, malgrado la corrente sia unilaterale, come risulta dalla curva otte- nuta col tubo di Braun, l'intensità media è metà appena dell'intensità efficace. Ciò deve probabilmente attribuirsi al fatto che per così bruschi passaggi di correnti anche unilaterali, l’amperometro fondato sulle azioni elettromagnetiche non funziona normalmente; infatti la grande differenza tra l'intensità media e la efficace non sembra giustificabile interamente con la legge di variazione dell’ intensità. — 106 — conferma quanto si è detto. L'intensità nel secondario si annulla, per la interruzione che si è prodotta, prima che l’ intensità normale siasi raggiunta nel primario, intensità che del resto non si raggiunge in tutto il periodo. Talune volte in questo regime si producono irregolarmente anche delle scintille bleu; allora l'intensità media primaria è superiore al valore 4,5; e le curve primarie e secondarie non sono nette e persistenti. e) Secondario chiuso con filo metallico e autoinduzione. — L' inten- sità media primaria è 13,5; il suono più basso che nei casi d e e; dalle curve primarie (fig. 7) si rileva che l'intensità normale non si raggiunge % Me così presto come nel caso 4. L'intensità efficace nel secondario è 8 ampère; l'aspetto delle curve secondarie è dato dalla (fig. 8), si hanno cioè delle i tI 7 / / 1 ' / Fic. 8. curve dello stesso genere di quelle della fig. 3, ma più sdraiate. f) Secondario chiuso con micrometro e autoînduzione. — Nel primo stato delle scintille (bleu), non si ha nella corrente primaria e nell’ inter- ruttore nessuna modificazione apprezzabile rispetto al caso precedente, tranne un lieve abbassamento dell'altezza del suono. Al secondario si ha invece un lieve aumento dell'intensità efficace; 1’ amperometro Carpentier segna 1,5 ampère circa. Le curve secondarie son quelle della fig. 9; si nota, rispetto alle ana- loghe della fig. 6, che la diminuzione dell’ intensità della corrente, sempre unilaterale, non è più così rapida ('). N_ a Fic. 9. Passando al secondo stato, l intensità nel primario resta superiore a quella avuta con secondario aperto, contrariamente a quanto si osservò senza autoinduzione. La forma delle curve è all’ incirca quella della fig. 10. Si rileva da esse che l’autoinduzione del primario viene diminuita all'apertura x (1) E giusto tener presente che l’autoinduzione propria del secondario è anch’ essa diminuita per la presenza del primario. NOI — e nel primo istante della chiusura. Poi il primario è sottratto all'azione del secondario e la curva riprende l'aspetto della fig. 1. In corrispondenza le correnti secondarie hanno la forma data dalla fig. 11. Fic. 10. Fic. 11. g) Circuito secondario chiuso su un circuito avente una grande capacità, in serie, e una resistenza e un autoinduzione variabili. — Il condensatore era quello di un grande rocchetto di Ruhmkorff. Senza autoin- duzione esterna il Wehnelt ha un andamento incerto e facilmente si incanta; il suono è notevolmente più basso di quello avuto a secondario aperto e l'amperometro discende a circa cinque ampère, mentre era a 7,5 con secon- dario aperto; nel secondario si hanno circa due ampere efficaci. La forma, infine, della corrente primaria diviene così complicata che non tento nem- meno di descriverla. Essa resta però unilaterale. Tanto la forma della curva che l’ intensità nel primario e l'altezza del suono dipendono dalla resistenza inserita nel secondario, e si può arrivare a un suono più alto che a secon- dario aperto con un’ intensità media, nel primario, molto minore, Anche l' in- tensità efficace nel primario è diminuita e ciò rende questi fatti, come gli analoghi nel caso e, inesplicabili con la teoria del Simon. Se poi nel secondario è anche inserita una grande autoinduzione, la intensità media primaria non discende più al disotto di 7,5 ampère. Fisica terrestre. — // pendolo orizzontale nella sismometria. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Socio BLASERNA. 1. Egli è indubitato che il pendolo orizzontale o conico, qualunque sia stata la sua forma, fu ne’ primi tempi ideato per ricerche delicate, total- mente diverse da quelle a cui più tardi fu adibito nello studio dei terre- moti. Si ritiene da molti che il compianto dott. Rebeur-Paschwitz sia stato il primo a fare le prime osservazioni sismiche col pendolo orizzontale nel 1889, in occasione delle sue esperienze sulla deflessione della verticale per effetto del passaggio della luna al meridiano. La verità però è che il pendolo oriz- zontale fu impiegato, quale strumento sismico, dal sig. T. Gray già parecchi anni prima (!), e non più tardi del 1887 fu costruito il sismografo Gray- Milne (*), il quale risulta principalmente di due pendoli orizzontali uguali (1) Philosophical Magazine, vol. XII, settembre 1881, pag. 199. (2) T. Gray, On an Improved Form of Seismograph. Philos. Magazine, 1887, n. 143, pag. 353. — La Lumière électrique, T. XXIV, pag. 374, Paris, 1887. — 108 — tra loro e ad angolo retto l'uno all'altro, affine di poter registrare ambo le componenti orizzontali del movimento del suolo in occasione d'una scossa. L'uso dei pendoli orizzontali, come strumenti sismici, fu consigliato senza dubbio dal fatto importante che con essi potevasi, in uno spazio re- lativamente ristretto, realizzare un lunghissimo periodo oscillatorio delle masse, destinate a comportarsi da stazionarie durante un terremoto; mentre con un pendolo verticale non si sarebbe potuto raggiungere un ugual periodo che disponendo di ragguardevoli altezze negli edifici. E per potere utilizzare la stazionarietà delle masse, furono queste collegate con stili che dovevano poi registrare meccanicamente, e con un dato ingrandimento, i movimenti effettivi del terreno col quale essi stessi erano solidamente collegati. Come si vede, il concetto dello strumento non poteva essere più logico, e se si aggiunga l’ ingegnoso meccanismo nel sismografo Gray-Milne per dare un lungo periodo oscillatorio anche alla 3* massa, destinata a registrare i moti verticali del terreno, ed infine si abbia presente la feconda idea di dare al- l'unica zona di registrazione per tutte e tre le componenti una velocità di svolgimento relativamente grande (da 40 fino a 160 centimetri all’ ora) anche in tempo di calma sismica, e di moltiplicare notevolmente questa velocità al momento d'una scossa, tutto ciò costituisce un insieme di fatti che deve rendere ancor oggi pregevole il sismografo Gray- Milne. La piccola entità delle masse (circa 8 Kg.) ed il debole ingrandimento (da 3 a 4) delle leve dovevano in questo strumento essere senza dubbio giustificati dal fatto ch’esso era stato costruito espressamente per scosse piuttosto forti, come se ne hanno al Giappone con una frequenza ben più accentuata che in Italia. Che se il meccanismo destinato a moltiplicare auto- maticamente la velocità della zona di carta, al momento d'ogni scossa, la- sciava ancora a desiderare, l’ importante si era che il problema fosse stato posto ne' suoi esatti termini; ed il problema infatti non tardò poco tempo dopo ad essere risoluto in modo pratico (!). Mio desiderio vivissimo sarebbe stato in questi ultimi anni quello di tra- sformare il sismografo Gray-Mtlne in un apparecchio più confacente ai mo- derni bisogni della sismometria, ed in special modo di farne uno strumento sensibilissimo che avesse avuta la pretesa di registrare anche i terremoti d’ una certa importanza avvenuti in lontanissime regioni. Ma la questione finanzia- ria ha impedito fin qui la realizzazione del mio desiderio, e questa fu la causa precipua perchè io m' applicassi alla costruzione d'un modello assai più sem- plice e meno costoso di sismografo, a pendolo verticale il più lungo possibile, allo scopo d' ottenere per la massa stazionaria del pendolo un lento periodo oscillatorio, ed arrivare così col mio registratore a doppia velocità ad ana- (1) G. Agamennone, Sopra un nuovo registratore di terremoti a doppia velocità. Rend. della R. Acc. dei Lincei, ser. 5%, vol. I, pag. 247, seduta del 2 ott. 1892. — 109 — lizzare accuratamente i movimenti del suolo (*). Come si vede, pur dovendomi attenere ad un pendolo verticale, assai meno costoso, non perdetti di mira i pregi inerenti al pendolo orizzontale e cercai, per quanto mi fu possibile, di realizzarli nella massima misura. 2. Vediamo ora piuttosto le varie modificazioni che il pendolo orizzon- tale è andato subendo per opera d' altri. Distinguiamo intanto i pendoli oriz- zontali in due categorie: quelli a registrazione fotografica e gli altri a regi- strazione meccanica. I primi sono generalmente costituiti d'una massa piccolissima perfetta- mente libera, i cui movimenti sono registrati mediante un fascio convergente di raggi luminosi sopra una zona di carta fotografica, svolgentesi più o meno lentamente. Nella più parte dei pendoli orizzontali (Rebeur-Paschwitz, Ehlert, Wiechert ecc.) i raggi sono riflessi da uno specchietto fisso alla massa, e l'in- grandimento dello strumento dipende dalla distanza cui si trova il registra- tore fotografico dallo specchio. Nel modello Milne l' ingrandimento è otte- nuto, a somiglianza del sismometro a pendolo conico del Gray, coll’ aggiun- gere alla massa una lunga leva d'alluminio, perfettamente libera e che si può ritenere come un prolungamento della massa stessa. I pendoli orizzontali a registrazione meccanica differiscono naturalmente dai precedenti per l’ entità della massa, che è di 12 kg. in una coppia di siffatti pendoli di Casamicciola, i quali registrano sopra un medesimo cilindro affumicato. Nei pendoli orizzontali, installati dal prof. Cancani nel 1897 a Rocca di Papa in due camere separate, il peso della massa raggiunge 125 kg. e la registrazione si fa ad inchiostro sopra due zone di carta distinte. Infine ne' pendoli orizzontali, costruiti più recentemente dal prof. Omori a Tokio, la massa è di soli 14 kg. e la registrazione si fa mediante aghi bilicati sopra due distinti cilindri affumicati. Da notare che l’ iscrizione meccanica si ottiene nei predetti pendoli oriz- zontali mediante un ago od una pennina ad inchiostro, fissi ad un' appendice sporgente dalla massa, e perciò conpletamente indipendenti dal suolo, se si eccettui il solo punto di contatto col registratore. L’ appendice dei pendoli di Casamicciola è notevolmente lunga, come nel pendolo orizzontale del Milne, in modo da amplificare il movimento delle masse nel rapporto di 1 a 3; (1) Questo tipo di sismografo è stato descritto a pag. 160 del vol. I (1895) del Boll. della Soc. Sismologica italiana. Di poi ha subite varie modificazioni ed altri perfeziona- menti, ed al prezzo di L. 500, non compresa la massa di piombo, è stato già venduto a parecchi Osservatorî esteri e nazionali. Un modello alquanto più economico del precedente, solo perchè fu soppresso il mec- canismo della grande velocità, fu acquistato fin dal 1895 all'estero dagli Osservatorî di Costan- tinopoli e di Bucarest ed in Italia dall’ Osservatorio di Caggiano. È precisamente quest’ ul- timo modello che fu dal prof. A. Cancani prescelto per 1° Osservatorio di Rocca di Papa, e che nonostante secondarie modificazioni venne descritto sotto il titolo: Nuovo modello di sismometrografo a registrazione continua. Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. II (1896), pag. 62. — 110 — l'amplificazione è nulla nei pendoli orizzontali di Rocca di Papa, ciò che spiega il debole smorzamento che si osserva nei medesimi; 1’ amplificazione infine è di 10 volte nei pendoli orizzontali di Tokio e si ottiene mediante stili collegati nel tempo stesso alla massa ed al suolo. 9. Allinfuori dunque dell’Omori, tutti gli altri hanno preferito di lasciare la massa completamente libera, e per questo solo fatto hanno rinunciato al- l’incomparabile vantaggio di avere nelle due masse dei pendoli orizzontali due masse srazionarie che servano a misurare con esattezza anche le rapide vibrazioni del suolo. La ragione di questa determinazione sta naturalmente nell'aver voluto raggiungere una sensibilità sempre più grande dei pendoli orizzontali, tanto più che col sistema adottato della massa completamente libera, un aumento nella moltiplicazione dello strumento si ottiene senza ulteriore aumento d'attriti; ma questo vantaggio si paga assai caro sotto altri riguardi non meno importanti. Per tutto ciò valga quanto si ebbe a scrivere sul (yomometro fotografico in altre Note precedenti (1), e nella mia dal titolo: Z terremoti di lontana provenienza registrati al Coll. Romano (2), dove in particolar modo ebbi a richiamare l’attenzione sul fatto che il pen- dolo orizzontale fotografico correva rischio non di rado di registrare appena o punto le scossette locali. Se oggi, in seguito ai grandi perfezionamenti apportati recentemente alla registrazione fotografica, questo inconveniente è stato reso minore, non è men vero che resta sempre la grave difficoltà che i pendoli orizzontali, sia fotografici sia meccanici, non sono capaci di por- gere un'idea del vero movimento del suolo, a causa della tendenza che ha la massa, completamente libera, d' entrare in oscillazioni proprie. E questo difetto s'estende anche alle scosse lontane, che ci si rivelano dapprima con movimenti piuttosto rapidi del suolo e poi con moti assai più lenti. Orbene, mentre la 1° fase del sismogramma è assai bene sviluppata negli strumenti in cui la massa funge da slazionaria, invece la detta fase manca comple- tamente, od è appena accennata, od è più o meno travisata nei pendoli orizzontali a massa libera. E di ciò io stesso ho avuta ampia conferma da quando ho cominciato a reggere l' Osservatorio geodinamico di Rocca di Papa, ed ho avuta così l'occasione di studiare da vicino la coppia dei pendoli orizzontali, a massa libera, colà installati fin dal 1897 dal prof. Cancani. Infatti spesso è accaduto che questi strumenti non abbiano indicato piccoli terremoti locali; e per quelli lontani il principio della perturbazione s° è ()) P. Tacchini, Sopra un tromometro a registrazione fotografica. Rend. della R. Ace. dei Lincei, ser. 4%, vol. VI, pag. 432, seduta del 18 Maggio 1890. Id, Dell influenza del vento sopra il tromometro. Ibidem, vol. VII, pag. 133, seduta del 1° Febbraio 1891. : G. Agamennone, /l tromometro a registrazione fotografica. Ibidem. ser. 52, vol. II, pag. 28, seduta dell’8 Gennaio 1893. (*) Rend. della R. Ace. dei Lincei, ser. 5°, vol. III, pag. 543, seduta del 2 Giugno 1894. — 111 — trovato quasi sempre in ritardo più o meno notevole per rispetto ad altri apparecchi, fondati sul principio della massa stazzonarza, quali il mio sismo- metrografo ed il microsismometro Vicentinz. Si fu per ovviare in parte a questo stato di cose che nel novembre 1899 io cercai d'aumentare la massa dei pendoli orizzontali di Rocca di Papa ne’ limiti del possibile, portandola da 25 a 60 Kg. Con ciò restò naturalmente aumentata la sensibilità dei pendoli, fino al punto che attual- mente è piuttosto raro il caso che anch'essi non accusino il principio d'un movimento qualsiasi, press'a poco in coincidenza con gli altri strumenti « massa stazionaria; ma non si deve nascondere che l’ alterazione del tracciato, fin dai primi tremiti del suolo, risente enormemente dell’ oscillazione propria in cui entrano le masse. E questo si comprende ben facilmente, poichè quando s' è in presenza di vibrazioni piuttosto rapide del terreno, l’' inerzia delle masse oscillanti impedisce che i menomi movimenti, in cui entrano gli assi di rotazione dei pendoli orizzontali, possano tradursi in un effetto im- mediato sul registratore, qualunque sia d'altronde la moltiplicazione dello strumento. Mi pare dunque che, a meno che non si voglia contentarsi di rilegare un pendolo orizzontale a massa libera nella categoria dei sismiscopî estre- mamente delicati, v è tutta la convenienza di ritornare al sistema dei pen- doli orizzontali del sismografo Gray-M?Ine, sistema che vedo oggi con pia- cere ripreso dall’Omori in onore alle tradizioni dei sismografi giapponesi, basati tutti sul principio della massa stazionaria. Solo non vedo il perchè l’Omori, pur riconoscendo l’importanza di questo principio, ed avendo ben presenti gli attriti inevitabili che derivano dalla moltiplicazione meccanica, abbia creduto di arrestarsi ad una massa di soli 14 kg., mentre l’ adozione d'una massa ben più considerevole non avrebbe portato che un aumento limitato nella spesa, ed in compenso avrebbe permesso allo strumento di raggiungere una potenza tante volte superiore. Sarebbe stato pure 2 deside- rarsi che l’Omori avesse adottato ne’ suoi pendoli orizzontali un registratore a doppia velocità, per potere analizzare esattamente e con facilità le vibra- zioni rapide del suolo, mentre ciò è difficile, per non dire impossibile, d’ottenere colla velocità unica da lui adottata, sia pure di circa un metro all’ ora. 4. Per tutte le predette considerazioni io penso di rimpiazzare l’attuale coppia dei pendoli orizzontali di Rocca di Papa con altra coppia, inspirata al concetto di grandi masse stazionarie (per lo meno di 500 kg.) precisa- mente come, dietro il mio esempio, s'è fatto in quest'ultimi anni in Italia per i sismometrografi a pendolo verticale. Naturalmente io accopierei i due pendoli orizzontali in modo da potere scrivere sopra un medesimo registra- tore, per evitare, oltre alla maggiore spesa che deriva dalla costruzione e dall’impiego continuo di due registratori separati, lo svantaggio di dover RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 15 — 112 — fare il confronto delle componenti, ottenute sopra zone distinte. Di più, vorrei dare agli stili scriventi un’ amplificazione d'almeno 50 volte e, se le con- dizioni di stabilità dello strumento lo permettessero, cercherei di spin- gerla fino a 100, per essere in istato di poter registrare anche menomi movimenti del terreno. Infine mi limiterei a dare ai pendoli orizzontali un periodo semplice da 10 a 15%, corrispondente a quello che si avrebbe da un pendolo verticale lungo da 100 a 225 metri. In quanto alla delicata que- stione del registratore da adottarsi per la coppia dei miei pendoli orizzon- tali, io non esiterò nella scelta ed adotterò quello descritto in questi stessi Rendiconti nella seduta del 19 febbraio 1899 (). Adottando questo tipo di registratore che ha già fatto buona prova in un microsismometrografo che funziona da qualche tempo nei sotterranei del Collegio Romano, gli stili dei pendoli orizzontali registrerebbero ad inchiostro sopra una zona di carta bianca svolgentesi costantemente colla velocità oraria di circa 50°, e nel tempo stesso i loro prolungamenti registrerebbero, invece, nella parte posteriore dello strumento, sopra una zona di carta affumicata chiusa in sè stessa, la quale si porrebbe elettricamente in rapido moto solo al sopraggiungere d'una scossa qualsiasi e vi resterebbe per circa un’ora di seguito, spostandosi man mano lateralmente, per evitare la sovrapposizione dei tracciati. Con questo sistema di doppia registrazione noi avremmo modo di rico- noscere, sulla zona di carta bianca a piccola velocità, non solo il principio esatto dei primissimi tremiti, quello delle singole fasi del sismogramma 6 la fine delle ultime trepidazioni, ma il periodo, anche se lentissimo, del movimento del suolo, e di abbracciare infine con un colpo d' occhio l’ insieme del fenomemo. Sulla zona, invece, affumicata destinata a svolgersi a grande velocità, noi potremmo analizzare a nostro piacere le vibrazioni rapide del suolo ed avere il controllo sia dell'ora sia dell ampiezza delle successive fasi della perturbazione. 5. Naturalmente quest’ analisi sarà tanto più facile e proficua quanto più grande sarà la differenza fra il periodo oscillatorio dei moti del suolo e quello proprio dello strumento. Sarà invece assai più incerta e difficile quando, come spessissimo accade, il periodo oscillatorio del suolo non è troppo diverso da quello stesso dei pendoli orizzontali; poichè in tal caso l’analisi si com- plica enormemente, ed è solo forse in base alle interferenze più o meno fre- quenti e più o meno ampie che sì originano, che bisognerebbe risalire al vero moto del terreno (?). (?) G. Agamennone, Sopra un sistema di doppia registrazione negli strumenti si- smici.. Rend. della R. Acc. dei Lincei, ser. 5°, vol. VIII, pag. 202. (2) Per dare un’idea della difficoltà del trattare matematicamente questo problema, rimando alle seguenti memorie: De Jonquières, Sur les mouvements d'ondulations simul- nemico — 113 — A mio modo di vedere, questa difficoltà rimarrà sempre, finchè si voglia disporre d'una sola coppia di pendoli orizzontali. Si potrebbe invece girarla, disponendo d'una 2° coppia, dotata d'un periodo strumentale assai differente. Supponendo, per es., che il periodo semplice fosse dai 10 ai 15% per la 1% coppia — ciò che permetterebbe di riconoscere assai bene i movimenti piut- tosto rapidi del suolo e costituirebbe viceversa una difficoltà per misurare i moti lenti della superficie terrestre, dotati di un periodo piuttosto vicino a quello stesso strumentale — la prima idea che potrebbe venire sarebbe quella di dare alla 2* coppia di pendoli un periodo ancor più lento, per es. dai 50 ai 1005. Ma egli è chiaro che avendosi allora da fare con periodi così straor- dinariamente lenti, non mancherebbero dall’ingigantirsi gli effetti dannosi degli attriti, inerenti alla registrazione meccanica, malgrado l'importanza delle masse impiegate. Dinanzi a questa nuova difficoltà, ci sarebbe da pen- sare se non fosse più conveniente nella pratica di dare, invece, alla 2° coppia di pendoli orizzontali un periodo assai più breve di 10-155, p. es. di 1-25; ma allora ognuno comprende la ragionevolezza di ricorrere piuttosto ad un sismometrografo, risultante d'un pendolo verticale piuttosto corto (p. es. di un metro e mezzo), affinchè in presenza d'onde lente quanto si vogliano della superficie terrestre, quest'ultime possano facilmente esser poste in evidenza, essendo difficile che si confondano con le oscillazioni rapide spettanti al pen- dolo corto verticale ('). 6. Accennati nelle loro linee generali quali dovrebbero essere i pendoli orizzontali ch'io avrei in animo d'installare il più presto possibile a Rocca di Papa, non si può dubitare che i medesimi non abbiano a riuscire d'una tanés de deux pendules suspendus bout à bout. (C. R., T. 105, pag. 23, 1887). — Lipp- man, Sur la théorie et le mode d’emploi des appareils séismographiques. (C.R., T. 110, pag. 440, 1890). — Cellérier Charles, Journal de mathématiques pures et appliquées de Liouville, ser. 4%, t. VII, 1891. — P. Tavani B., J/ouvements sismiques vibratoires (Jour- nal de Paris. « Le Cosmos ». T. XXXIV, n. 585, p. 34, 11 avril 1896). -- F. Fouqué, Les tremblements de terre. Paris, 1889, pag. 46 e 47. Il Grablovitz poi a pag. 54-57 della sua Nota: Muovi metodi per indagini geodi- namiche (Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. II, 1896, pag. 41) sviluppa una nuova teoria per determinare il reale periodo oscillatorio del suolo, sia orizzontale che verticale, in base alle indicazioni fornite da pendoli oscillanti orizzontalmente o verticalmente. Egli ritorna su tale questione nella relazione sul terremoto nel Mar Tirreno del 15 maggio 1897, registrato ad Ischia, inserita nel Boll. della Soc. Sism. Ital. (Vol. III, 1897) a pag. 170- 171 delle notizie sismiche. (1) Su questa idea ha già insistito il prof. Vicentini nel suo lavoro: Sugli appa- recchi impiegati nello studio delle ondulazioni del suolo. Atti del R. Istituto veneto di sc., lett. ed arti, T. VIII, ser. 7°, pag. 207, 1896-97. Io stesso ho avuta già occasione di parlarne nella mia Nota: /l sismometrografo fotografico. Rend. della R. Acc. dei Lincei, ser. 5%, vol. VI, pag. 254, seduta del 4 aprile 1897. — ll4d — straordinaria sensibilità, tale da non consigliare di fissarli ai muri, sia pure interni, dell’ attuale osservatorio, senza compromettere la bontà dei tracciati. Se per l'avvenire si vuole evitare che le variazioni d’ alcuni elementi meteorici — i quali, ad es. il vento, sogliono assumere una grande intensità lassù all'Osservatorio, a quasi 800 metri d'altitudine — possano produrre qual- siasi effetto pernicioso sugli strumenti più sensibili, od almeno si vuol cer- care di attenuare queste influenze, è assolutamente necessario installare gli strumenti di grande potenza, come appunto la coppia da me proposta di pendoli orizzontali, sullo stesso pilastro centrale, il quale deve essere per questo radicalmente modificato, in modo da rispondere alle moderne esigenze della sismometria (). Riconosco io stesso per il primo che occorre una spesa non lieve sia per la trasformazione del pilastro centrale, sia per la costruzione dei pendoli orizzontali delle dimensioni da me progettate, tanto più se si volesse ai medesimi aggiungere anche la componente verticale con uno stilo speciale che scrivesse sopra lo stesso registratore delle componenti orizzontali. Certo, a questa spesa straordinaria così rilevante non sarebbe da pensare di voler provvedere con la dotazione ordinaria dell’ Osservatorio. Ma d’altronde, se si abbia presente che quello di Rocca di Papa è un Osservatorio di primis- simo ordine e che deve contribuire al progresso della sismologia, per rispon- dere appunto allo scopo pel quale fu creato, è da sperarsi che la questione della spesa possa essere risoluta con un po' di buona volontà da parte del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica in unione al Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio. Nel nostro caso si tratterebbe d’ una spesa straordinaria da farsi in una sola volta e sufficiente per adesso a resti- tuire l'Osservatorio di Rocca di Papa al rango che gli compete, e precisamente in conformità di quanto era stato già combinato l’anno passato fra me ed il prof. comm. P. Tacchini, quand'egli era ancora direttore dell’Ufficio Centr. di Met. e Geodinamica. (1) Questo pilastro, fatto costruire sulla viva lava dal mio predecessore, il compianto prof. M. S. De Rossi, ha .un diametro di cinque metri ed è completamente isolato; ma stante l’attuale sua forma, non è stato possibile d’installare sul medesimo i registratori moderni di qualche valore, i quali invece dovettero essere fissati, alla meglio, agli stessi muri interni del fabbricato, e non è a dire se risentano per tal fatto gli effetti della tem- peratura, dell'umidità e del vento. — 115 — Chimica. — Nuove ricerche sull'azione dei toduri alcoolici sugli indoli. Nota di G. PLANCHER, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN. Nel proseguire le ricerche sull'azione dei joduri alcoolici sugli indoli che mi hanno portato l’anno scorso a definire la costituzione dei prodotti che si originano in questa reazione, ho avuto specialmente di mira di rimuovere le ultime difficoltà che si opponevano alla facile interpretazione di questo processo chimico (!). Riferirò tra breve estesamente i risultati di queste ricerche, colla det- tagliata descrizione delle numerose sostanze scoperte, che oltre colmare molte delle lacune che esistevano nella serie dei corpi in questione portano molta luce su tutto il campo; ma mi preme fin d'ora di dare qui relazione di al- cuni fatti assai rimarchevoli che vengono a spiegare gli spostamenti di ra- dicali che si verificano in talune di queste reazioni (?) rimandando la pub- blicazione del resto a breve termine di tempo in attesa del completamento degli studî già inoltrati. Ho reso noto (*) che il ioduro di metile agendo a 120° sull’a-etil-8-metilindolo ingenera una base la stessa cioè che nasce dalla metilazione dell’isomero @-metil-f8-etilindolo e dalla etilazione dell’ @-8.N-trimetilindolo. Di questa base fu stabilita bene la costituzione; e poichè essa ossidata dà luogo al -etil-8.N-dimetil-a-indo- linone, fu accertato che nella sua formazione dall’a-etil-8-metilindolo, il gruppo etilico aveva migrato dalla posizione « alla posizione £. Un analogo spostamento fu osservato da me nell'azione del ioduro di metile sull’a-fenilindolo (‘). Anche là il fenile aveva fatto lo stesso pas- saggio. Non potendo ammettere che questo spostamento avvenisse nel passaggio dagli indoli alle indolenine che procede semplicemente dalla addizione del (1) Questi Rendiconti, vol. VII, 1° sem., pag. 322. Gazz. Chim. it., 28-0, pag. 36. (2) Ibidem, e Gazz. Chim. it., 28-5, pag. 375 e seg.; 28-0, pag. 394. (3) Gazz. Chim. it., 28-0, pag. 389. (4) Gazz. Chim. ital. — 116 — ioduro alcoolico al doppio legame indolico, nè nel passaggio dalle indolenine alle metilenindoline che si formano in modo assai piano dai pseudo-ammonii delle prime, ho presupposto che questi spostamenti trovassero la loro ragione nella temperatura piuttosto alta a cui avvengono le predette reazioni e nella durata del riscaldamento. I. Lasciato per ora da parte il secondo caso, ho esaminato accuratamente il primo. Come ho a suo tempo reso noto il prodotto che si ottiene dai tre men- tovati indoli, non si ha assolutamente puro, cosicchè tra i iodidrati delle tre diverse provenienze non potei constatare una perfetta corrispondenza nei punti di fusione, e l'identità fu stabilita a mezzo della benzoilazione della base. Probabilmente in questi casi si trovano commisti gli isomeri in modo che non ne risentono i dati analitici ma bensì le caratteristiche dei composti. Fu quindi mio primo obbiettivo la preparazione della f-etil-8.N-dimetil-a-me- tilenindolina per altra via, ed allo stato di purezza. A questo sono giunto in due modi: condensando il fenilidrazone del metiletilacetone e metilando il prodotto della condensazione; come pure condensando il metilfenilidrazone dello stesso chetone. Il fenilidrazone del metiletilacetone(3 - metilpentan-2- one) bolle a 183-185° e 30 mm. di pressione o 198-200° e 75 mm. Condensato con cloruro di zinco alcoolico dà un clorozincato cui compete la composizione e la formola (Ci His N)» Zn Cl») che cristallizza dall’ alcool in aghi e fonde a 200-202°, e trattato con alcali libera una base C,: Hi; N bollente a pres- sione ordinaria a 242-244°, che è la f-etil-8.a-dimetilindolenina. Il suo pi- crato fonde 152-153°, con acido nitroso dà un’ ossima che fonde a 158-159° circa. Il ioduro di metile per digestione la trasforma nettamente nel iodidrato di f-etil-#.N-dimetilmetilenindolina C,3 H,; N.HI il quale cristallizzato dal- l'alcool assoluto si separa in aghetti o pagliette che fondono a 244° decom- ponendosi. Questo punto di fusione non era mai stato raggiunto coi tre iodidrati di origine indolica ('). La loro identità con quest’ultimo fu tuttavia stabi- lita liberando da esso la base e trasformandola nel noto benzoilderivato fusi- bile 119-120° (?). Il suo picrato fonde a 123-124° e si presenta in scagliette piuttosto sviluppate. Quello di origine indolica fu descritto come fusibile a 114°. Solo dopo numerosissime cristallizzazioni dall’ alcool il suo punto di fusione potè essere innalzato di alcuni gradi e portato a 116-118°. Esso è però, quantunque meno puro, identico all’altro perchè con questo mescolato a parti uguali finamente, il suo punto di fusione rimase pressochè inalterato e la massa solidificata per raffreddamento tornò a fondere a 119° circa. Nell'intento di eliminare le impurità dalla base indolica, l’ ho trasfor- mata nel benzoilderivato e ne ho tentata l’idrolisi; pur non avendo raggiunto lo scopo sono riuscito ad un importante risultato. Oltre ad un prodotto basico (1) Gazz. Chim. it., 28-0, pag. 379, 881, 390. (*) Idem, 28-5, pag. 380, 382, 390. TORI SIE LE SERI I — 117 — non puro, ho ottenuto acido benzoico e acetofenone che fu constatato per l'odore e trasformandolo nel suo fenilidrazone di Reisenegger (') fondente a 105°. Questo fatto conferma la costituzione data da me ai benzoilderivati delle metilenindoline; solo che per ispiegare la loro stabilità al permanga- nato bisogna ammettere che essi possano esistere anche in una forma tan- tomera ciclica CH; Ciò può dirsi anche per gli acetilderivati. Della base di origine indolica fu preparato anche l’ acetilderivato che fonde a 85-86°. L'idrolisi di esso con acido cloridrico diluito non ha dato migliori risultati. Essa procede in modo non netto. Il metilfenilidrazone dell’ etilmetilacetone si forma stentatamente, bolle a 154-157° a 33 mm. Condensato, sia con cloruro di zinco alcoolico, sia con HI alcoolico dà la f#-etil-8.N-dimetilmetilenindolina che fornisce il iodidrato fondente a 244° ed il picrato fusibile a 123-124°. Anche in questo caso la metilazione dell’indolenina e la condensazione del metilfenilidrazone) condu- cono alla stessa sostanza (°). II. (3) Accertati i caratteri dei derivati più importanti della #-etil-8.N-di- metilmetilenindolina mi sono rivolto alla sintesi della sua isomera £.8.N- trimetiletilidenindolina che avrebbe dovuto formarsi normalmente dall’ @-etil- B-metilindolo. Anche questa base fu preparata come la prima per le due di- verse vie, che hanno condotto all’identico risultato, dall’ etilisopropilchetone (2.metilpentan-3-one).Il fenilidrazone dell'etilisopropilchetone bolle a 172-174’ a 30 mm. Condensato con cloruro di zinco alcoolico esso dà «-etil-88-dimeti- lindolenina, e l’'@-isopropil-8-metilindolo. L'indolo distilla a 175-177° e 30 mm. oppure a 288-290° a 755, e si solidifica nel raccoglitore; dà un picrato color mattone cupo che fonde a 165-166°. L’indolenina bolle a 129-180° a 25 mm. È solida, incolore, serbevole anche all'aria, se pura; cristallizza dal ligroino in prismetti o scaglie e fonde a 52-53°. Dà un picrato giallo chiaro fondente a 137-138° ed un iodidrato che fonde a 186°. L'analisi della base e dei suoi derivati e quelli dell’in- (1) Ber., pag. 16-122. (2) Gazz. Chim. it., 28-0, pag. 422 e seg. (3) In parte delle ricerche seguenti sono stato aiutato dal sig. Aldo Bonavia. — 118 — dolo conducono alla stessa formula bruta C,° Hi; N. Questa base trattata con acido nitroso dà un’ ossima che fonde a 175° ed ha i caratteri di ossima chetonica. Questo è il primo caso tra i derivati aromatici della trasformazione di un etile in gruppo chetoossimico a mezzo dell’ acido nitroso. (CH3): (CH). C C AN AN CH, CC, H, aa C ela C—-CT—CH; . NÀ SANI N NOH La a-etil-8.8-dimetilindolenina con ioduro di metile dà un iodometilato fusibile a 185-186° il quale all'analisi mostrò di avere la composizione C,3H; N. HI. È cioè il iodidrato della B.8.N-trimetiletilidenindolina. Cor- rispondentemente alla sua natura, libera una base che ha tutti i caratteri delle alchilidenindoline e dà un picrato che fonde a 107-108° ed ha la com- posizione C,3 Hi; N. Cs H2(NO;);. OH. Questo iodidrato si forma anche condensando con acido iodidrico in soluzione alcoolica il metilfenilidrazone dell’etilisopropilchetone. Esso do- vrebbe essere identico a quello ottenuto da Piccinini per ulteriore meti- lazione della #.8.N-trimetilmetilenindolina; i punti di fusione dei picrati coincidono infatti, ma i punti di fusione dei iodidrati differiscono grande- mente. Di ciò ci si può rendere ragione pensando che il iodidrato di Picci- nini poteva contenere degli altri suoi isomeri pel riscaldamento subìto (!). IIl. Ho detto che scaldando il iodidrato di 8.8.N-trimetile-etilidenindolina esso fonde a 186°; questo fatto però si può osservare solo quando lo si scaldi in tubo affilato e rapidamente; appena fuso il composto torna a solidificare per fondere di nuovo sopra 200°. Ciò mi fece accorto che doveva essere avvenuta una trasformazione. Ripetei l'operazione su di una quantità discreta di iodidrato scaldando in tubo d'assaggio a bagno di acido solforico. Scaldando lentamente si arriva fino a 190° senza aver osservato che un leggero ram- mollimento verso 180°. I cristalli conservando la loro struttura esterna diven- tano perfettamente opachi e se si seguita a scaldarli fondono a 220° circa. La massa raffreddata viene sciolta in alcool assoluto e dopo poche cristalliz- zazioni si ottiene perfettamente pura. Si presenta sotto forma di aghi che fondono nettamente a 244° decomponendosi. Esso è identico, sotto ogni rap- porto, al iodidrato di -etil-8-N-dimetil-a-metilenindolina. L'analisi ha con- fermato la sua composizione C,3 Hi N. HI. È avvenuta quindi la trasposi- zione seguente: (1) Gazz. Chim it., 284, pag. 197. CH; CH, CH; (Ch H; CH, (B5 H; NA XA C C DAR SI “i Co Hs C—G; H; CRE CE 0HS 4 CH; si Sd I CH CH. VARENE . ? CH] I II. TL Con questo fatto resta spiegata la formazione della #-etil-8-N-dimetil- a-metilenindolina, dall'-etil-8-metilindolo. IV. Aggiungo qui un’altra reazione recentemente cperata nella quale probabilmente avviene una trasposizione. L'a-isopropil-8-metilindolo trattato con ioduro di metile dovrebbe dare la f.8-N-trimetilisopropilidenindolina (*); viceversa scaldato a 120° per due giorni dà come prodotto principale un iodidrato fusibile a 232° isomero di quello della #.8.N-trimetil-a-isopropili- denindolina, come dimostra la sua analisi concordante colla formola C,4 His N.HI ma differente nella costituzione. È probabile che anche qui il riscaldamento abbia operato la trasposizione del gruppo isopropilico alla posizione f. Qui come nel primo caso abbiamo il passaggio mediante il riscaldamento da un composto poco stabile e fondente basso ad uno fondente più alto e più stabile, isomero del primo, ciò che avviene quasi sempre nelle trasposizioni operate col riscaldamento. È da notarsi anche questa regolarità che in tutti tre i casi osservati (vale a dire, quello della base dal fenilindolo e i due citati in questa Memoria) abbiamo la tendenza dei gruppi più pesanti a pas- sare nel posto 8 vale a dire ad avvicinarsi dippiù al fenile. V. In altra parte delle mie ricerche ho inteso di provare che qualora si operi a bassa temperatura coi ioduri alcoolici sugli indoli @-8 disostituiti secondarî, si formano sempre direttamente ed in modo quasi quantitativo i iodidrati delle indolenine, senza formazione di indolo terziario e senza traspo- sizioni, cosicchè si può dire che avviene semplicemente l’ addizione del ioduro alcoolico al doppio legame dell’ indolo, come ho altrove dichiarato (*). A ciò sono riuscito ed ho trovato modo così di rendere maggiormente accessibili allo studio le indolenine per le quali occorrevano prima chetoni assai costosi e di difficile preparazione. Così: scaldando per 6 ore a 60-85° il @-8-dimetilindolo con ioduro di etile, si ottiene la -etil-8-a-dimetilindolenina descritta in questa Nota, e dimetilindolo inalterato. (1) È assai probabile che i jodidrati di queste basi invece della struttura corrispon- dente alle formole I e II, abbiano la struttura ammonica (III). (2) Gazz. Chim. it., 28-0, pag. 432. (8) Questi Rendiconti, vol. VII, 1° sem., pag. 821. RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 16 — 120 — Trattando allo stesso modo con ioduro di metile il f-etil-a-metilindolo, sì ottiene quasi esclusivamente la predetta 8-etil-8-a-metilindolenina. Trattando parimenti il suo isomero «-etil-8-metilindolo con ioduro di me- tile si ha la #-dimetil-a-etilindolenina pare descritta in questa stessa Nota. Il f-metil-a-isopropilindolo per lo stesso trattamento fornisce la #8-dime- til-e-isopropilindolenina già da me descritta ('). Da quanto è riferito in questa Nota risulta che le difficoltà (?) che si opponevano ancora ad una chiara interpretazione di certi fatti secondo la nuova formola proposta per questi alcaloidi indolici sono tolte. Per quanto alla prima la stabilità dei C-benzoilderivati verso il perman- ganato è spiegata ammettendo come ho fatto che possano esistere in forma ciclica; le reazioni citate nella seconda sono da paragonarsi a quelle che si possono operare sul — CH, — compreso fra due gruppi negativi come sarebbe quello dei dichetoni ecc. Della terza è già stata fatta parola in una mia Nota precedente (3), e la trasformazione di un — CH3 di un composto aromatico, in gruppo aldossimico, non è più un caso unico, quantunque sia stato il primo del genere osservato. Angeli e Angelico infatti hanno fatto l' interessante sco- perta che il nitrito d'amile in presenza di etilato sodico converte il p-nitro- toluolo in p-nitrobenzaldossima (4). Il 4° ed il 5° fatto sono chiariti in questa Nota. A spiegare poi la mobilità degli idrogeni del metilene della 88.N-tri- metil-a-metilenindolina che per successiva metilazione vengono sostituiti, dando la £8.N-trimetiletilidenindolina e la #8.N-trimetilisopropilidenindo- lina, e l'azione del cloruro di fenildiazonio sulla medesima base, servono bene i fatti trovati da Henrich (°) che ha operato le stesse reazioni sul- l’etere glutaconico C00(C,H;).CH=CH — CH, — C00(C.H;) sostituen- (È) done l'idrogeno metilenico (*) con uno e con due metili e col residuo —N=N—C;sH;.Il caso non è perfettamente analogo, ma persuade che il doppio legame può favorire in certi casi la mobilità dell’ idrogeno. Le mie ricerche hanno poi posto in sodo che i nuclei pirrolici oltre che nella forma ordinaria possono reagire secondo la formola tantomera I. Ciò avviene per successiva addizione dei ioduri alcoolici al doppio le- game e eliminazione di idracidi; ma che questo possa avvenire anche con altri mezzi, lo provano le ricerche di Angeli e Spica (‘) che dimostrano che alcuni nitroso-indoli e pirroli sono indolonepirrolonossime. (*) Gazz. Chim. it. 28-5, pag. 430. (2) Questi Rendiconti, vol. VII, 2° sem., pag. 321. (3) Gazz. Chim. it., 28-04, pag. 417. (4) Questi Rendiconti VIII, 2° sem., pag. 32. (5) Wiener Monatshefte, VIII, 2° sem., pag. 459. (9) Questi Rendiconti, VIII, 1° sem., pag. 219. — 21 — È probabile, inoltre, che ciò che non si verifica negli indoli si possa verificare nei pirroli, che cioè essi presentino un'altra forma tantomera II R_C_—CH,,. H-CH fe | ROERO HO. BCH; NA / N N ii II, ed è verosimile che alla trasformazione del pirrolo in cloropiridina a mezzo del cloroformio preceda la formazione di prodotti intermedì HC—CH—CH CI, HO—C:CH CI [eszos] Ae HO a CH e Hei ICH 4 NEA N N su di che ho istituite ricerche, e intendo occuparmi. Alla mia contesa di priorità per la nuova costituzione data agli alca- loidi indolici, K. Brunner fa delle opposizioni alle quali io qui brevemente rispondo. La mia sintesi della base di Fischer per l' intermedio della tri- metilindolenina(!) ha lo stesso significato costituzionale di quella che egli ha dopo eseguito. I fatti pubblicati in questa Nota dimostrano che le due vie conducono alla stessa meta. Nella Nota in cui annunciò le due formole, che cosa ha egli eseguito che io non avessi già annunciato nella noticina della Chemiker Zeitung (2)? In essa, questi alcaloidi sono chiamati non semplicemente diidrochinoline ma cosidette diidrochinoline. In essa è detto che mi riserbavo di trarre dalle mie esperienze le deduzioni teoriche in una Nota più estesa; da ciò doveva risultare chiaro che le mie opinioni in proposito erano cambiate e se davo là alle indolenine un nucleo azotato di cinque atomi, era chiaro che intendevo darlo anche alle metilenindoline, per le quali alcune reazioni citate in prin- cipio alla stessa Nota preliminare dimostravano che dovevano avere lo stesso nucleo. Io ho sperato allora di potere lavorare indisturbato e rimuovere le difficoltà di cui ho fatto parola. Il dott. Piccinini di questo laboratorio anche dopo la mia comunicazione ha pubblicato, è vero, una Nota (3) in cui si parla ancora di diidrochinoline dagli indoli, ma lo ha fatto perchè pur volendo pubblicare fatti da lui sco- perti, non ha voluto togliermi di annunciare per primo le nuove idee che si erano venute maturando in questo campo. (?) Chemiker Zeitung, 22, pag. 37, 38. (*) Chem. Zeitung, 22, pag. 38. (3) Gazz. Chim. it., 28-a, pag. 187. — 122 — La prova sperimentale della nuova formola era già nelle mie esperienze ; pubblicando (') le quali per esteso, non ho come Brunner lasciata la scelta tra due formole (2), una delle quali in contraddizione coi fatti osservati, ma mi sono deciso per una sola, quella ora accettata; e ad essa ho dato l'appoggio definitivo in un lavoro che seguì assai da vicino, col Bettinelli (8), mentre Brunner faceva questo solo più tardo (4). Il Brunner sì è assunta questa quistione solo quando io l'aveva risolta, ed è perciò che reclamo la priorità. I risultati delle mie ricerche verranno pubblicati fra breve in esteso nella Gazzetta Chimica Italiana. Fisiologia. — Velocità di assorbimento e di assimilazione degli albuminoidi e dei grassi (*). Nota I del prof. UcoLINo Mosso, presentata dal Socio A. Mosso. Per istudiare in qual modo le sostanze albuminoidi, ingerite, producano calore, mi sono servito delle uova, e della carne di vitello, che conten- gono rispettivamente il 13 ed il 20 °/, di albumina. Le sostanze albu- minoidi, nel canale alimentare e nell’ economia, si comportano in modo diverso dagli idrati di carbonio: esse si trasformano in prodotti solubili sotto l’azione dei succhi digerenti, e per la via dei capillari sanguigni e dei linfatici attra- versano la mucosa, e si trovano nel sangue sotto forma di albumina circo- lante. Questa, arrivata nei tessuti, subisce delle graduali trasformazioni e si rende propria agli atti vitali, oppure si organizza per provvedere ai bisogni futuri dell'organismo. L'albumina degli alimenti, e quella che fa parte integrante dei tessuti, per produrre l’ energia si trasforma in una serie di prodotti intermediarî, con reazioni che sviluppano del calore prima ancora di subire l'azione dell'ossigeno: sono le trasformazioni isomeriche, gli sdop- piamenti, le fissazioni ed eliminazioni degli elementi dell’acqua, le combi- nazioni ecc. L'ossigeno ossiderebbe i composti già semplificati della molecola dell’albumina, e li trasformerebbe in urea. Nelle ossidazioni dell’albumina si produce, secondo alcuni, un composto non azotato, come il glucosio, che finirebbe per essere bruciato ed eliminato sotto forma di acqua ed acido car- bonico. Per ora non è possibile assegnare a ciascuna di queste molteplici ope- (1) Ber, XXI, pag. 1488 e seg. (2) Ber. XXI, pag. 614. (3) Questi Rendiconti, VII, 1° sem., pag. 369. (4) Ber. XXI, pag. 1943. (3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Farmacologia sperimentale della R. Università di Genova, in continuazione delle esperienze riferite nella Nota antecedente. GS razioni la parte rispettiva nella produzione del calore, e dobbiamo limitarci a studiare la somma che ne risulta. IV. Esperienze coll albumina dova. — L’albume ed il torlo d'ovo, presi insieme, contengono, per 100 parti, 13 di albumina e 12 di grasso. Un grammo di albumina, bruciando nell'organismo, sviluppa in media 4,7 calorie, dedotto il calore per la produzione dell’urea; ed un grammo di grasso ne sviluppa 9,4: produce, cioè, quasi il doppio di calore dell’ albumina. Un ovo di 42 gr. contiene gr. 5,46 di sostanze azotate, e 5,04 di grassi: è perciò capace di sviluppare 25,662 calorie per l’.albumina e 47,376 per il grasso: in tutto 73,038 calorie. Ho somministrato ad un cane di 6600 gr., in digiuno da tre giorni, e con una tempe- ratura di 37°,8, un uovo di 42 gr., previamente sbattuto, perchè fosse di più facile dige- stione; ed ho osservato, nei primi cinque minuti, una diminuzione di 0°,1 della tempera- tura, e nelle due ore e trenta minuti successivi un aumento di 0°,3. Dopo due altre ore, un altro aumento di 0°,1: in tutto 0°,4. Un aumento troppo piccolo per tenerne conto. Però il cane, il mattino successivo, invece di avere una temperatura inferiore a quella del giorno dell’ esperienza, ebbe una temperatura di 0°,3 più alta; anche nel pomeriggio la tem- peratura si mantenne in media di qualche decimo più elevata del giorno precedente. Bi- sogna conchiudere che l’ assimilazione non avvenne in modo visibile nelle prime 4 ore, ma lentamente in seguito. Lo stesso cane, 18 giorni dopo, pesava 5100 gr., ed aveva una temperatura di 350,2: ricevette due uova del peso di 110 gr.: cioè 14,8 gr. di sostanze azotate e 13,2 di grassi (ca- lorie 67,210 e 124,08, in tutto 191,29, cioè 37,5 calorie per kgr.), circa il triplo di uova del- l’esperienza precedente. Nelle prime tre ore non si manifestò alcun aumento della tempe- ratura, anzi una diminuzione di 0°,15; ma dopo comparve l’aumento, che raggiunse il mas- simo di 0°,7 in nove ore. Anche il giorno dopo la temperatura del cane, anzichè dimi- nuita, era più alta di 0°,2 del giorno precedente. Un altro cane del peso di 6400 gr., con una temperatura di 36°,2, da 25 giorni era in osservazione: da 5 giorni non aveva introdotto sostanze albuminoidi. Il giorno 28, V, ricevette tre uova, del peso di 157 gr., cioè 20,41 di albumina, 18,84 di grassi (calorie 95,927 + 177,096= 273,023). L'aumento, che si è osservato, è assai più considerevole delle due antecedenti esperienze. La temperatura aumentò dopo 40 minuti, e raggiunse il suo massimo di 1°,6 dopo 4 ore. Queste tre esperienze dimostrano che il materiale delle uova viene len- tamente utilizzato nella produzione del calore. La temperatura non mostra delle forti variazioni, anche quando se ne somministrano grandi quantità, come nell'ultima esperienza, mentre le abbiamo osservate per piccole quan- tità di idrati di carbonio. Si direbbe che l'albumina ed i grassi, per la maggior parte, sì organizzano nei tessuti, e sono distrutti in seguito len- tamente. V. Esperienze colla carne. — I cani, come è noto, non vivono lunga- mente, se il loro vitto è di sola carne. Colla somministrazione di grandi quan- tità di albuminoidi, gli animali non aumentano di peso, anzi diminuiscono ; hanno facilmente diarrea, e soccombono in pochi giorni; così non è per il — 124 — pane: grandi quantità sono per lungo tempo bene tollerate. Riferirò in altro lavoro queste ricerche; per ora basta ricordare che il pane di frumento con- tiene il 56°/, di idrati di carbonio, e la carne di vitello o di bue il 20 °/, di sostanze azotate; ma un grammo di amido sviluppa calorie 4,1, un grammo di albume calorie 4,7; perciò bisogna somministrare tre volte tanto di carne, per avere una quantità dello stesso valore calorifico del pane. Siccome la quan- tità di pane più opportuna per ottenere degli aumenti della temperatura, 1’ ho valutata da 4a 10 gr. per kgr., così occorrerà dare da 12 a 30 gr. per kgr. di carne: quantità di un volume non indifferente. Risulta dalle mie esperienze, che se si somministra della carne a dei cani, che siano in uno stato di buona nutrizione, e in digiuno da due a tre giorni, non comparisce nella curva della temperatura alcuna elevazione, che possa sicuramente attribuirsi alle trasformazioni dell’albumina introdotta. Bisogna privare, per lungo tempo, di albuminoidi il vitto dei cani, oppure assoggettarli ad un prolungato digiuno, per osservare qualche effetto termico. Ho verificato dei notevoli e rapidi aumenti della temperatura, solamente quando la temperatura rettale era superiore ai 37°. Quando la temperatura era 37°, 0 più bassa, gli aumenti comparvero molto più tardi. Ho pure osservato, come sia sufficiente dare ai cani, digiunanti con bassa temperatura, un altro genere di alimentazione, per riattivare la funzione degli organi dige- renti; in questo caso, nei giorni successivi, dando della carne, si può osser- vare un aumento rapido della temperatura, anche se la temperatura del corpo è bassa. Ho ripartito in due gruppi le esperienze che ho fatto colla carne: nel primo ho riunite quelle in cui la temperatura tarda molto ad elevarsi. Un cane, dopo 9 giorni di digiuno, pesa 8300 gr.; ha perduto */ del suo peso, ed ha 379,1 di temp. rettale; riceve per la prima volta il giorno 12, V, gr. 175 di carne di mu- scolo pari a 21 gr. per kgr. cioé 35 gr. di albumina (164,5 calorie e per kgr. 20). Osser- vata la temperatura ogni minuto non si verifica alcun aumento apprezzabile della tempera- tura per 4 ore: dopo essa si innalza di 1°,2 in un’ora e rimane in seguito costante per parecchie ore: il giorno successivo, alle ore 8, era 379,8. Questa esperienza dimostra che l’albumina, data in grande quantità, non ha un subitaneo effetto sulla temperatura: l'aumento avvenuto tardi sì man- tiene lungamente. La temperatura si conserva elevata anche nel giorno suc- cessivo. Un altro cane, di 5800 gr., in 9 giorni di digiuno ha perduto '/ del suo peso: ha una temperatura alquanto più elevata dell’antecedente, perchè ha ricevuto qualche giorno prima piccole quantità di albumina: si trova in condizioni migliori per la funzione dige- rente: riceve 130 gr. di muscolo, pari a 22 per kgr. (calorie 122, per kgr. 21). Vedi fig. 3. Giorno 13, V, 98, ore 7,50-37°,2; ore 8,50-379,2; 8,52 mangia carne di muscolo 180 gr. 37°,15; ore 9-36%,9; 9h,15-36°,80; 9h,20-369,70; 9°,25-369,80; 92,45-369,90; 92,55-37°; ore 10,10- 379,1; 10h,30-379,20; 109,45-379,30; 100,55-379,40; ore 11,10-379,50; 115,50-379,60; ore — 125 — 12,5-379,70. 12%,15-37°,80; 122,25-379,95; 12h,35-38%; 129,55-38°; 12n,59-38°; ore 13,15- 389,10; ore 14,45-380,20; 15-389,30]; 15%,15-389,45; ore 16,40-38°,45. Il giorno dopo aveva 36°,80 alle ore 8. Fia. 3. — Influenza della carne sulla temperatura dopo un breve digiuno: 22 gr. per kgr. Questa esperienza dimostra che per 22 gr. di albumina per kgr. la tem- peratura cominciò ad innalzarsi dopo due ore dall’introduzione della carne; e crescendo gradatamente, nelle quattro ore successive, aumentò di 1°,3. Le esperienze di questo gruppo dimostrano che un grande ritardo esiste fra la comparsa del primo aumento della temperatura, e la introduzione della carne: da due a quattro ore; dimostrano ancora che l'aumento della tempe- ratura è piccolo in rapporto colla grande quantità di carne introdotta. Col pane, e meglio collo zucchero, il decorso è completamente diverso: si hanno rapidi ed elevati aumenti, anche con temperature assai basse. Si direbbe che gli idrati di carbonio sono subito utilizzati, e che gli albuminoidi deb- bono subire profonde modificazioni, prima di essere atti a fornire calore. Ho già detto che nei cani da due o tre giorni in digiuno non ho veduto aumenti notevoli della temperatura colla somministrazione di albuminoidi. Le esperienze del secondo gruppo sono fatte sopra cani da lungo tempo in digiuno, o su quelli tenuti ad un vitto privo di sostanze albuminoidi: i loro tracciati sono gli stessi delle antecedenti esperienze: presentano una lunga e lenta elevazione di poco più di un grado. Differenziano in ciò, che l'aumento compare più rapidamente: perchè, avendo attivato con precedenti somministrazioni di pane o di grasso la funzione digerente, l’ albumina trova + delle condizioni migliori ad essere digerita. Si comportano ugualmente quei cani che, dopo un moderato digiuno, hanno conservato la temperatura normale. Un cane di 9300 gr., dopo 9 giorni di digiuno, ha perduto !/; del pro- prio peso, ed ha 37°,65 di temperatura: alle ore 9,25 ricevette 150 gr. di carne, cioè 16 gr. per kgr. (calorie 141 e per kgr 15). Il massimo aumento osser- vato in questa esperienza fu di 1,25: esso comparve in tre ore, e cominciò 40 minuti dopo l'introduzione della carne. La temperatura si mantenne per tutto il giorno elevata : alla sera incominciò a diminuire, ed al mattino suc- cessivo aveva 379,7, alle ore 9. — 126 — Due cani da 42 giorni non ricevevano sostanze azotate, negli ultimi giorni del digiuno vennero loro somministrate due razioni di grassi, ciò ha fatto aumentare la loro temperatura. La successiva somministrazione di carne, 20 gr. per kgr. al primo e 40 gr. per kgr. all'altro, diede risultati presso a poco uguali a quelli delle esperienze precedenti. Cane di 10800 gr., da 42 giorni in digiuno di sostanze azotate, il giorno 15, VI, 98, alle ore 8,10 ha 379,15; ore 8,15-379,15; 8h,17-37°,20 mangia 200 gr. di carne di mu- scolo in pezzi: cioè 20 per kgr. circa (calorie 17,4 per kgr.) 8%,20-37°,25; 88,25-970,25; 8h,30-379,25; 8h,40-379,30; 8h,55-379,30; ore 9-37%,40; 9°,5-379,50; 92,10-379,60; 92,15- 379,70; 9%,20-379,80; 9h,25-379,90; 9h40-389,10; ore 10-389,2; 10°,10-389,30; 10h,25- 38° ,40; 10°,10-889,50; ore 11-389,50; ore 12,15-38°,40; ore 13-38°, 20; ore 14,20-38°,20; ore 15,20-389,60; ore 16,40-339,10; ore 18-38°,60: il giorno dopo alle ore 8 aveva 36°,4 di temperatura (vedi fig. 4). Fic. 4. — Influenza della carne sulla temperatura nel digiuno, quando sono riattivate le funzioni digerenti: 20 gr. per kgr. L'altro cane, pure da 42 giorni alimentato con una dieta priva di albuminoidi ha 389,1 di temperatura, quando alle ore 8,17 riceve gr. 40 per kgr. circa di carne fresca, tagliuzzata, che corrisponde a calorie 37°,5 per kgr. Raggiunse il massimo della tem- peratura 39°,20 alle ore 10,25, ed il giorno dopo aveva 38°,65 di temperatura. Nel primo cane si è osservato un aumento massimo di 1°,8 in ore 2,33, mentre la temperatura cominciò a salire dopo 1%,20. Nel secondo, l'aumento massimo fu di 19,2 in ore 2,8 e la temperatura cominciò a «salire dopo 40 minuti. Il decorso della temperatura è identico nelle due esperienze: una maggiore elevazione di 0°,2 nella prima perchè la temperatura iniziale era più bassa. Il secondo cane, che ebbe una razione doppia del primo, non presentò una elevazione corrispondente alla quantità doppia di carne, perchè la temperatura iniziale era di 0°,9 superiore a quella del primo; aveva cioè una tem- peratura quasi normale. Queste esperienze servono inoltre a dimostrare che una temperatura ele- vata, a parità di condizioni, è assai più favorevole alla digestione, all' assor- bimento ed assimilazione delle sostanze albuminoidi. Le sostanze albuminoidi, anche nelle migliori condizioni, vengono utilizzate per la produzione del calore in un tempo molto più lungo degli idrati di carbonio. Altre due ragioni ci dissuadono dall’ impiego degli albuminoidi per una produzione pronta di energia : la grande quantità di carne che si deve intro- durre nelle vie digerenti, ed i gravi disturbi che si incontrano nella sommi- — 127 — nistrazione prolungata dell’albumina, come ho potuto verificare colle mie esperienze. Coll’ albumina non ho potuto mantenere in vita dei cani estenuati, le loro condizioni, anzi peggiorarono; mentre degli altri animali, nelle stesse condizioni, nutriti collo zucchero, sopravvissero. VI. Velocità di assorbimento e di assimilazione dei grassi. — Ho trovato che i grassi, introdotti nel canale digerente, vengono utilizzati, per la produzione del calore, con una velocità inferiore a quella dei corpi pro- teici ed amilacei. La composizione molecolare dei grassi si avvicina a quella degli idrati di carbonio; ma il loro contegno nell'organismo è assai diffe- rente: perchè, nelle condizioni ordinarie della calorificazione, sono attivi i primi e indifferenti i secondi. I grassi sono di facile emulsione, si scindono e si saponificano nell’ intestino: dopo aver attraversato la mucosa, si ritrovano nel sangue, allo stato di grassi neutri, e si depositano prontamente nel fegato, più lentamente nel connettivo viscerale o cutaneo, e nel midollo delle ossa. Il grasso, che si trova nel tessuto ‘adiposo, è in rapporto col protoplasma vivente, senza farne parte; ma l’attività. cellulare intacca i grassi, li trasforma e li ossida per l’opera dei fermenti: è probabile che, prima. di scomparire, essi sieno trasformati in glucosio. È ritenuto che una parte dei grassi, che arriva. al sangue colla digestione, subisca una scomposizione ossidativa: le mie espe- rienze dimostrano che, se tale scomposizione avviene, essa si compie assai lentamente. Non mi fu possibile ottenere coi grassi dei risultati attendibili sulla temperatura, per la somministrazione di piccole quantità, e nello stato di buona nutrizione. Ho dovuto impiegarli in grande quantità, ed aspettare parecchi giorni di digiuno per ottenere degli aumenti della temperatura, che si potes- sero con sicurezza attribuire alla loro combustione. Mi sono servito di burro e di grasso di maiale allo stato libero, e non sotto forma di tessuto adiposo che è più difficile ad essere intaccato dai succhi digerenti. La quantità di grasso contenuta nel burro è valutata ad 84,4°/, ed un grammo di esso bruciato nell'organismo è capace di sviluppare 9,4 calorie. Il grasso dato al cane, quando il digiuno non è molto lungo, si assimila assai lentamente. Un cane di 4975 gr., da 5 giorni in digiuno, due giorni prima dell'esperienza rice- vette una razione di carne, e le facoltà digerenti erano ritornate in attività. Giorno 17, VI, 98, alle ore 7,5 ha una temperatura di 379,10; 7%,10-379,15; 7h,15- 379,20; 7h,20-379,20; 72,25-379,20; 72,30-379,20; 72,85-379,20; 72,40-370,20. Riceve 100 gr. di burro che mangia con avidità senza muoversi dalla posizione che aveva sul tavolo del- l’esperienza: cioè 20 per kgr. (calorie 793,360 e per kgr. 160); ore 7,45-379,10; 72,50-370,10; 71,55-37°,10; ore 8-379,10; 8h8,30-379°; ore 9-37°; 9h,30-36°,90; ore 10-37°; 100,25-379,05; 10h,30-379,10 ; 10h,45-379,15, ore 11-37°,20; 119,30-379,25; ore 13-37°,65; ore 14,30-38°; ore 15,30-38°,25; ore 16,30-389,50; ore 18,10-39°; ore 19-38°.9. Il giorno dopo, la tempe- ratura alle ore 7,80 era 379,30, superiore di 0°,2 alla temperatura iniziale. Dopo la intro- RenpIcoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 17 — 123 — duzione del grasso passarono tre ore, prima che la temperatura ritornasse al punto di partenza; e passarono altre sette ore prima che si potesse osservare un aumento massimo di 1°,8 (vedi fig. 5). Fic. 5. — Influenza del grasso sulla temperatura dopo un breve digiuno: 20 gr. per kgr. Questo grande ritardo nella produzione del calore si osserva anche quando si danno al cane delle piccole quantità di grasso, nel qual caso l'ac- crescimento della temperatura sì manifesta più lentamente, e la curva è poco elevata. L'aumento compare più presto quando, dopo un lungo digiuno, la dige- stione è già avviata con la somministrazione di altri alimenti. Un cane di 5250 gr. ha servito per 37 giorni ad esperienze sulla inanizione, ha perduto 1/4, del suo peso, da 7 giorni fu alimentato con pane: il giorno 10.VI.98 alle ore 7,45-379,40; ore 8,35-379,35; 82,40-37°,85; 81,45-37940; 8h,50-37°40 ricevette 100 gr. di grasso di maiale cioè 98 di grassi (calorie 921,200 e per kgr. 179). La temperatura inco- minciò ad aumentare dopo un'ora e mezzo, e solamente dopo. altre tre. ore l'aumento toccò 19,8. In questa esperienza ho dato la più grande quantità di grasso per kgr.; mal- grado ciò l'elevazione fu limitata e tarda. Però, se gli effetti sulla temperatura non si resero prontamente visibili, non cessò perciò il grasso, bruciando, di aumentare notevol- mente la temperatura: infatti in questa esperienza la temperatura raggiunse, durante il giorno, 39°,4; e nel mattino successivo era ancora 39°,8. Una temperatura di quasi due gradi superiore a quella del giorno antecedente. Degli aumenti più rapidi della temperatura si osservano facilmente nel digiuno prolungato. Consumate le provviste di grasso, pare che l' orga- nismo utilizzi più prontamente i grassi dell' alimentazione. Cane di 6800 gr., da 9 giorni in digiuno, ha perduto un decimo del suo peso: il giorno 13, VI, 99 alle ore 9,25 ha 87° di temperatura; 9%,30-379,10; 99,40-379,10; 9°,45- 37°,10; 9°,47; riceve 100 gr. di burro (calorie 793,360, per kgr. 126). La temperatura inco- minciò ad aumentare decisamente 3 ore dopo, durante le quali si era manifestata un’ele- vazione di 0°,6, e raggiunse il massimo di 38°,80 alle ore 13,40, con un aumento sulla iniziale di 19,7 in circa 4 ore. I massimi aumenti si verificano nei digiuni di lunga durata. Un cane del peso di 11000 gr., dopo 37 giorni di digiuno, ha perduto quasi '/ del proprio peso: due giorni prima ebbe una razione di grasso; il giorno 10, VI, 99, ore 7,20-36°,6; 79,30-369,6; 7°,40-36°,65; 72,50-36°,65; ricevette 100 gr. di burro (793,360 ca- — 129 — lorie, per kgr. 72), che mangiò con avidità, senza muoversi. ‘L'aumento in questa espe- rienza fu ràpido e raggiunse una delle maggiori elevazioni ottenute colle esperienze sul grasso: 2,05 in cinque ore. La temperatura, nel giorno successivo, alle ore 8,35, era 38°: cioè 1°,65 in più che il giorno dell'esperienza. Quando difettano i grassi nell'economia, e sono attivati i processi dige- stivi, i grassi dell'alimentazione fanno aumentare notevolmente la temperatura. Due giorni dopo, tutto il grasso introdotto nel cane della precedente espe- rienza era stato consumato nella calorificazione: infatti la temperatura era ritornata allo stesso punto di prima, 369,50; un'altra somministrazione di grasso diede il massimo aumento osservato in questa serie. Riferisco sommariamente i dati di questa esperienza, sebbene il termometro, come per tutte le altre, rimanesse per la maggior parte del tempo nel retto. Giorno 12, VI, 99, lo stesso cane alle ore 7,25-369,50; 72,30-36°,55; 7h,40-36°,55; riceve 102 di burro pari a 72 calorie per kgr. 72,45-369,60; 72,50-36°,65 ; ore 8,5-36°,70; 8%,25-369,90; 8h,45-37°; ore 9-37°10; 9%,35-379,20; 9%,50-37°,25, ore 10-37°,40; 10h,20-37°,50, ore 11,30-37°,80, ore 13,80-38%,50; ore 15-389,90; ore 16,20-39°,30; ore 18-39°,10; ore 21-38°,20, il giorno dopo la temperatura era 37°,9 nel mattino. In questa esperienza si osservò una elevazione di 20,5 in 7 ore; la temperatura si mantenne elevata per qualche ora, e poi cominciò a discendere (vedi fig. 6). Fig. 6. — Influenza del grasso sulla temperatura nel digiuno, quando sono attivate le fun- zioni digerenti: 10 gr. per kgr. Altre differenze esistono fra corpi proteici e corpi grassi, nella produzione del calore: il grasso brucia lentamente nell'organismo, e la temperatura dei giorni successivi si mantiene elevata; gli albuminoidi bruciano più presto, senza aumentare in modo notevole la temperatura dei giorni successivi. Esa- minando come diminuiscono di peso i cani, per la somministrazione di grassi e di corpi proteici dopo il digiuno, ho osservato che i cani, nutriti con grasso, diminuiscono molto di peso ed hanno temperature elevate, mentre quelli nu- triti con albuminoidi diminuiscono meno di peso, ed hanno temperature più basse. È questo un problema che mi propongo di esaminare in una prossima pubblicazione. — 130 — Fisiologia. — Studi sulle leggi che regolano l'eliminazione del CO, nella respirazione. — Influenza della concentrazione del sangue sulla tensione del CO, contenutovi. (') Nota I del dott. V. GranpIS, presentata dal Socio LUCIANI. In una serie di lavori (2) pubblicati dal 1892 in qua mi sono occupato a studiare le condizioni fisiche e fisiologiche che determinano lo scambio dei gas tra il sangue e l’aria degli alveoli polmonari. Nel mio lavoro sulle con- dizioni degli scambi gazosi nel polmone ho riferito la bibliografia dell’ argo- mento fino all'anno 1897, e ciò mi dispensa dal ritornare qui sulla parte sto- rica della questione, per cui mi limiterò ad accennare in questa Nota agli studî comparsi dopo quella data. La presente Nota è destinata a far cono- scere una causa sfuggita finora agli studiosi, la quale può, a mio parere, con- tribuire potentemente nel dar ragione delle divergenze esistenti tra le opinioni dei valenti osservatori raccolti in due gruppi opposti, di cui uno, capitanato da Pfliger, sostiene che il fenomeno degli scambi gazosi nel polmone ubbi- disce solamente alle leggi dalla diffusione dei gas, mentre l' altro che fa capo a C. Ludwig, basandosi sopra fatti ben constatati, ritiene il fenomeno della diffusione incapace di spiegare tutte le condizioni che si possono avverare nei reciproci rapporti dei gas nel polmone, ed ammette perciò nell’epitelio delle vescichette polmonari un'attività secretoria pel CO, ed assorbente per l' 0s- sigeno. I grandi progressi realizzati dalla fisico-chimica ci hanno svelato nuove leggi, da cui dipendono i differenti stati molecolari della materia, e noi siamo obbligati ora a prenderle in considerazione ogni qual volta dobbiamo studiare una reazione chimica od un fenomeno in cui abbiano luogo reazioni chimiche. Nello studio dell’ eliminazione del CO, dal sangue nell'aria degli al- veoli polmonari dobbiamo anzi tutto tener presente il fatto che in un deter- minato momento, cioè nell'atto in cui si compie il passaggio, tutta la quan- tità di CO, che viene ceduto dal sangue, dove si trova, secondo le recenti ricerche di Hamburger (8), Limbeck (4), Loery e Zuntz (°), Manca (6), Bot- tazzi (7), per la massima parte legata nella parte albuminosa della mole- () Lavoro eseguito nel laboratorio di fisiologia della R. Università di Pisa. (2) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. VII, 2° Semestre, p. 319, 400, 471. Archives Italiennes de Biologie- — Tome XXIX, fasc. I, pag. 111; e fasc. II, pag. 189. (3) Zeitschrf. f. Bd. 35. pag. 252. (4) Arch. f. Exper. Pathol. u. Pharmakol. Bd. 35. pag. 309. (5) Pfiùger's Archiv. Bd. 58, pag. 511. (5) Zo Sperimentale, anno 48, fasc. V e VI. (7) Zo Sperimantale, anno 49. fase. III. — 1381 — cola dell'emoglobina, deve necessariamente separarsi dalla combinazione mo- lecolare coll’emoglobina, trovarsi allo stato di soluzione nel liquido che costi- tuisce il plasma sanguigno; e da questo poi essere ceduto all'aria degli alveoli polmonari. In quel istante cioè in cui si compie il passaggio effettivo, il CO, non è più allo stato di combinazione albuminosa ma realmente allo stato di soluzione nel plasma, ed è tra la soluzione di CO, nel plasma e l’aria degli alveoli polmonari, che debbono avvenire i fenomeni di diffusione. In base a questa considerazione, noi non potremo avere un'idea completa del fenomeno, finchè trascureremo di prendere in debita considerazione le leggi che regolano la solubilità dei gas nei liquidi, non solo, ma anche lo stato del liquido che serve da solvente. Ciò premesso dobbiamo studiare innanzi tutto come si comporta il sol- vente, cioè il plasma sanguigno, mentre il sangue circola nei polmoni. E noto che coll’aria espirata si elimina, oltre il CO, una considerevole quantità di H,0, la quale proviene necessariamente dall’H,0 del plasma sanguigno che circola nel polmone; in altri termini, il sangue circolando nei polmoni si con- centra perchè cede una parte della sua acqua all’ aria espirata. Le ricerche di Loevy (') hanno dimostrato che alla temperatura del polmone l'aria degli alveoli polmonari, satura di vapor acqueo, deve contenere circa il 6 °/, di vapor acqueo, quantità considerevole, la quale esercita certamente grande influenza sui processi metabolici. L'Oddi (*) nelle sue ricerche sul ricambio respiratorio del mus musculus aveva già trovato che esiste un rapporto speciale tra la quantità di CO, e la quantità di H,0 eliminata colla respirazione. Quando noi vogliamo applicare le leggi della diffusione dei gas a quanto avviene tra il plasma sanguigno nel polmone e l’aria degli alveoli polmonari, dobbiamo badare che, durante il suo passaggio attraverso il polmone, il plasma sanguigno non può venir considerato come una semplice soluzione di una determinata quantità di CO, la quale mette in equilibrio la tensione del suo CO, con quella del CO, dell’aria degli alveoli, ma come una soluzione di CO, che, mentre per una parte tende a diminuire la sua tensione gazosa ed equili- brarsi con il CO, dell'aria alveolare, cedendo parte del suo CO., per altra parte, a cagione della quantità d'acqua che contemporaneamente perde, tende diventare una soluzione di CO, più concentrata di quanto lo fosse al suo ar- rivo, quindi ad assumere una tensione di CO, maggiore. La combinazione dei due fatti complica considerevolmente l’analisi del fenomeno e non può a meno di far sentire notevolmente la sua influenza sul fenomeno finale risultante, cioè sulla quantità e sulla tensione del CO, dell’aria alveolare rispetto alla tensione del CO, del sangue. Sarà possibile avere un concetto esatto di quanto realmente avviene, stu- diando separatamente i due fenomeni opposti e cercando in seguito quale (‘) Pfliiger's Archiv. LVIII. pag. 416, 1894. (2) Zo Sperimentale. tom. LXIV, pag. 193. > DIR possa essere la risultante della loro combinazione. Sono finora state profonda mente studiate tutte le modalità della diffusione dei gas rispetto alla loro influenza sulla eliminazione del CO,, ma non mi consta che sia stata mai rivolta l’attenzione dei fisiologi sopra l’ influenza della concentrazione del sol- vente sulla tensione del gas discioltovi. Nelle soluzioni in generale, quando diminuisce la quantità del solvente e la soluzione si concentra, se la diminuzione è tanto grande da raggiungere e su- perare i limiti del prodotto di solubilità (Ostwald, Analytische Chemie pag. 72) il corpo disciolto si separa e si ha il fenomeno generalmente conosciuto col nome di precipitazione. Nel caso speciale in cui il corpo disciolto è di na- tura gazosa, avviene pure la separazione, però non può avvenire la precipita- zione, ed il gas, non potendo più star disciolto, acquista nella soluzione stessa una tensione maggiore, la quale tende a farlo sfuggire dalla soluzione se non vi sia trattenuto artificialmente da una corrispondente pressione, esercitata dal di fuori sul solvente. Da quanto lo detto sopra appare chiaramente che, se lo stesso fatto si avvera per il CO» sciolto nel plasma sanguigno, si possederà una ragione fisica, la quale ne spiega perchè Bohr ('), ed Henriques (*), Hamburger (*), Haldane e Smith (‘), abbiano trovato nell'aria degli alveoli polmonari una tensione di CO, superiore a quella, che era possibile constatare coi loro tonometri nel sangue nel momento in cui arriva od esce dal polmone. Essi determinavano la tensione del CO, in una soluzione, le cui condizioni fisiche erano differenti da quelle in cui realmente si trova la soluzione del CO; nel plasma sanguigno mentre attraversa il polmone; dovevano quindi necessariamente trovare la differenza che hanno realmente riscontrato e che, studiata senza tener conto di questa considerazione, li autorizzò ad ammettere un'attività secretoria del- l’epitelio polmonare. L'importanza del fenomeno mi spinse a sottoporlo alla prova sperimen- tale. Il problema nella sua più semplice espressione si riduceva in questi limiti, determinare se, coll’ aumentare la concentrazione del plasma, aumenta la tensione del CO, contenuto nel sangue. Realmente in questa forma le cose decorrono in modo alquanto differente di quanto avvengano nell'atto respira- torio dell'animale; qui entra successivamente in azione tutto il CO, che sfugge dal sangue essendo sotto forma di soluzione nel plasma, perchè tale deve es- sere realmente nell'atto in cui il passaggio avviene; si ha quindi un feno- meno attivo e continuamente svolgentesi, havvi cioè qualche cosa di dinamico. Nella forma come fu posto il quesito invece si prende in considerazione il (1) Skandinavisches Archiv. f. Physiologie Bd. 2. pag. 236. Bol. 3. pag. 47. (2) Archives de Physiologie 1897, pag. 459, 590, 710. (3) Zeitschrf. f. Biolog. Bd. 35, pag. 252. (4) Journal of Physiol. Vol. XX, e XXII, pag. 281. — 133 — sangue come un liquido di composizione fissa, in cui vi è contenuto del CO, sotto forme differenti cioè del CO» combinato col nucleo albuminoso, dell'emo- globina, del CO, allo stato di combinazione fissa, carbonati, del CO, allo stato di combinazione labile, bicarbonati, e infine del CO; allo stato di dissolu- zione semplice, sempre però in quantità invariabile e quindi in un equilibrio statico, che rappresenterà soltanto quello che avviene in un istante dell’ atto respiratorio. Le leggi di equilibrio delle combinazioni chimiche, delle disso- ciazioni e delle soluzioni, così profondamente studiate dalla fisico-chimica, ci obbligano ad ammettere nel plasma tutte le modalità di CO, sopra detto. Il CO, allo stato di dissoluzione semplice proviene certamente in parte dalla dissociazione dei corpi sopra nominati, di cui è generalmente ammessa l'esistenza nel sangue. Realmente quindi il nostro esperimento si farà in condi- zioni sfavorevoli per la dimostrazione, perchè essendo limitata la quantità di sangue, nè potendo rinnovarsi il fenomeno, per esser pure limitata la possibi- lità d'eliminare il CO, man mano che aumenta la sua tensione, questa pone un limite al realizzarsi del fenomeno, e perciò ll azione della concen- trazione si potrà esercitare soltanto sulla piccola porzione, che deve trovarsi permanentemente allo stato di soluzione nel liquido, affinchè persista l’equi- librio statico tra i differenti composti del CO, sopranominati. Questa difficoltà d'esperimentazione poteva essere diminuita solamente in piccola parte aumen- tando grandemente la sensibilità dell'apparecchio ed usando una grandissima cura nell’osservazione. Io tentai di raggiungere lo scopo nel modo seguente. Era necessario prima di tutto porsi al riparo da tutte le cause d' errore, che le variazioni di temperatura e di pressione atmosferica potessero esercitare sopra le minime tensioni che si dovevano misurare, secondariamente porsi in condizioni tali, da poter misurare delle piccolissime variazioni di pressione, quali sono quelle, che possono essere date da variazioni minime nella tensione di quantità piccolissime del gas CO, che poteva trovarsi allo stato di disso- luzione nelle piccole quantità di sangue, di cui potevo far uso in ogni singola determinazione. Adoprando quantità grandi di sangue correvo rischio di crearmi difficoltà nel realizzare prontamente una temperatura costante in tutte le differenti parti dell'apparecchio, e così al fine veder compromesso il risultato dell'esperimento da un erroneo aumento o diminuzione di pres- sione, dovuto ad un aumento o diminuzione di temperatura ambiente. Questa costituì la difficoltà maggiore della ricerca e mi obbligò, per ovviarla, a co- struire apparecchi di forme diverse, finchè giunsi a quello rappresentato nella qui unita figura, che a me parve il migliore per semplicità ed esattezza. L'apparecchio consiste essenzialmente nei due recipienti A e B, di capa- cità ad un dipresso uguale, corrispondente circa a 25 c.c. disposti uno sopra l’altro, e comunicanti fra di loro per mezzo di due tubi a e d. Il tubo 4 mette direttamente in comunicazione la parte inferiore del recipiente A, conte- nente il sangue, con una soluzione concentrata di cloruro di sodio o di zucchero, — 134 — contenuta nel recipiente B. Ciò si otteneva per mezzo d'un tubo sottile, che attraversando il tappo, con cui B era chiuso superiormente, arrivava fin verso il fondo di B. Lateralmente nella parte superiore da B partiva un tubetto, che andava a sboccare nella parte superiore laterale di A. Le comunicazioni Fic. l. tra A e B, sopra descritte, potevano essere perfettamente chiuse per mezzo d'una pinzetta a pressione, la quale poteva essere manovrata da lontano per mezzo d'una funicella. L’ estremità superiore del recipiente A poteva poi esser messa in comunicazione con un manometro ad acqua, fatto con un tubo molto sottile del diametro interno di un millimetro, al massimo, allo scopo di renderlo sensibile quanto era possibile, col ridurre al minimo lo spazio inutile. Il ma- nometro comunicava coll’ estremità superiore di A per mezzo d'un tubo a pa- reti assolutamente rigide ed adattabile ad A per mezzo d'una chiusura er- metica. — 1359 — Il modo di funzionare dell'apparecchio è il seguente: Si riempie a metà il recipiente A con sangue venoso od arterioso, raccolto dall’animale, sopra il mercurio, fuori il contatto dell’aria, e defibrinato col mercurio stesso. Onde impedire il contatto con l’aria nell'atto in cui lo si faceva passare dentro il recipiente A, veniva previamente posto in A uno stra- terello di olio d'oliva e poscia, per mezzo del mercurio stesso contenuto nei vasi comunicanti, dove era stato raccolto il sangue, questo veniva spinto attra- verso ad un lungo tubo, il quale pescava sotto il livello dell'olio al fondo del vaso A, dicui era chiusa la comunicazione con B per mezzo della pinza a pressione. Nel recipiente B veniva posta una quantità ad un dipresso uguale di una soluzione concentrata di cloruro di sodio, oppure di zucchero di uva. Il titolo della soluzione era quello delle soluzioni normali; per lo scopo mio era necessario avere una soluzione di concentrazione superiore alla concentrazione del plasma sanguigno, affinchè questo venendo mescolato colla soluzione acqui- stasse una concentrazione superiore: a quella che prima possedeva. La soluzione veniva preparata con acqua distillata e previamente bollita per lungo tempo, e la soluzione stessa poi veniva fatta bollire prima d' essere adoperata, onde cacciare ogni traccia d'aria. Come già fu detto per il sangue introdotto nel recipiente superiore A, la soluzione veniva difesa dal contatto dell’aria per mezzo d'uno straterello d’ olio d'oliva dell'altezza di un 3 mil- limetri circa. Ciò fatto tutto l'apparecchio veniva immerso in un recipiente di vetro, contenente acqua scaldata alla temperatura voluta, la quale si poteva mante- nere uniforme in tutto il vaso agitando per mezzo d'un piccolo agitatore; il tutto veniva chiuso dentro un termostato a pareti di vetro, dove per mezzo di una fiamma a gas sì manteneva costante la temperatura. Uno spago /, che attraversava le pareti del termostato, permetteva d'agitare dal di fuori l’acqua ed un altro spago e permetteva di aprire, pure dal di fuori, per mezzo di una leva, la pinza a pressione P colla quale venivano interrotte le comuni- cazioni fra il fondo del recipiente superiore A, contenente il sangue, ed il recipiente inferiore B, contenente la soluzione di sale o di zucchero. La pinza q veniva tenuta permanentemente aperta durante l’ esperimento, si chiudeva solamente durante la preparazione. Nel recipiente di vetro in contatto con l'apparecchio stava un termometro diviso in !/,o di grado di cui l'indicazione veniva letta da lontano per mezzo d'un canocchiale col quale veniva pure letta l'indicazione del manometro ad acqua. Quando per lungo tempo la temperatura del termometro non variava, univo la parte superiore del recipiente A con il manometro e facevo una serie di letture per determinare l'andamento della temperatura e della pres- sione notata dall’altezza del liquido nel manometro. Dopo che questa era costante, o per lo meno conoscevo l’ andamento della curva delle variazioni, tirava lo spago, apriva la comunicazione del fondo di A con B e lasciava RenpICcONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 18 — 156 — passare una parte del sangue in B. Per questo passaggio una parte dell'aria contenuta in B veniva spinta, attraverso il tubo laterale 2, nella parte superiore del recipiente A ed andava ad occupare lo spazio lasciato libero dal sangue passato nel recipiente inferiore. Siccome 1’ acqua del grande recipiente di vetro in cui tutto l'apparecchio stava immerso veniva continuamente agitata, la temperatura vi rimaneva costante in tutte le sue parti. Nell'interno dell’ ap- parecchio, che formava un tutto chiuso, ed in rapporto colla pressione esterna soltanto per mezzo del manometro ad acqua avveniva solamente trasposizione di materia, ma non alterazione di quantità o di volume della materia stessa. La trasposizione effettuata in questo modo, permetteva di aumentare la con- centrazione del plasma della quantità di sangue presa in esame, quindi, se avvenivano variazioni nella colonna d'acqua del manometro, senza corrispon- denti variazioni di temperatura, quelle variazioni dovevano ascriversi al- l’aumentata concentrazione del plasma e dovevano essere dipendenti da variazioni avvenute nella tensione dei gas contenuti nel sangue. Subito dopo fatta la miscela, veniva letta l’ indicazione del manometro e del termometro e confrontata colla lettura fatta immediatamente prima di far la miscela; la lettura veniva poi ripetuta parecchie volte, a brevi intervalli variabili, onde avere dati necessarî a costruirne la curva. Nella seguente tabella sono riportati i risultati di tre osservazioni, due sopra sangue venoso ed una sopra sangue arterioso ; tralascio di trascrivere tutti i dati raccolti prima di ottenere la temperatura costante, e mi limito a dare i risultati delle letture fatte immediatamente prima e dopo la miscela che determina l'aumento di concentrazione del sangue. I numeri in corsivo sono quelli ottenuti dalla lettura immediatamente dopo avvenuta la miscela. TABELLA Recipiente A Recipiente B Recipiente A Sangue venoso fresco Soluzione normale di Na Cl Sangue arterioso fresco T Pressione n Pressione RARE: in mm. Osservazioni pone in mm. Osservazioni Tabur® | di acqua “| di acqua I 37,40) 81 Fermo per 10 minuti, fac-| 37,80| 22,5 |Fisso per 5 minuti, faccio cio la miscela del sangue la miscela del sangue colla con la soluzione di Na CI. soluzione normale di NaCl n Di facendo passare solo metà 37,40| 33 del sangue. 740) 32,5 |Dopo 3 minuti. Ai i SI Ì 37,80| 25,5 37,41| 31,5 |Dopo 10 minuti. 37,80] 25,5 |Dopo 5 minati. 36,60] 20 Dopo 15 minuti. 37,99| 29 Fermo per 5 minuti, faccio la miscela del sangue con 37,60| 14 Dopo 30 minuti è fisso per la soluzione di Na CI. o minuti. 9219 /9) MI099 37,60| 16 Faccio passare la restante antità di sangue. 37,56| 31,5 |Dopo 5 minuti. di a 5 DERE) 37,70] 18,5 |Dopo 10 minuti. 3,89 132 Dopo 15 minuti. — 137 — Dalle osservazioni fatte risultò costantemente che ogni qual volta si fa passare del sangue nella soluzione concentrata di Na Cl o di zucchero, aumenta la pressione nel manometro, cioè per azione dell'aumento di concentrazione nel plasma del sangue si aumenta la tensione dei gas racchiusi nell’ appa- recchio. La modificazione deve necessariamente essere determinata dai gas del sangue, perchè si ebbe cura di eliminare i gas della soluzione concentrata Sempre si vede pure che questo aumento di pressione non era dipendente dall'aumento di temperatura, perchè questa rimaneva costante. In alcuni casi si potè perfino constatare aumento di pressione, mentre la temperatura tendeva a diminuire; questi casi servirono a dare la certezza che la dilatazione ed il conseguente aumento di pressione non riconosce un'origine termica. In alcune diecine di prove la media dell'aumento di pressione segnato dal manometro fu di tre millimetri d’acqua, eccezionalmente però quando non esperimentavo sopra sangue fresco, ma su sangue estratto dall’animale molte ore prima, ottenni il valore di 24 mm. o di 12 mm. d'acqua. Questo aumento si mani- festava rapidamente e quindi andava lentamente diminuendo. Interpretai questa diminuzione, di cui non potei riscontrare alcuna causa, come dovuta al fatto che il CO» messo in libertà venisse sciolto dall’ acqua del manometro. Questi furono i risultati ottenuti dall’ esperimento. Essi si accordano per- fettamente col concetto che spinse a fare queste determinazioni; la conclusione che noi ci crediamo autorizzati a trarne è che l'aumento di concentrazione del sangue determina un aumento di tensione dei gas contenutivi. È quindi proba- bile che anche nell’ animale vivente, per la concentrazione che subisce il sangue circolando nei polmoni, in causa della quantità d'acqua che cede all'aria degli alveoli, sì verifichi un aumento passeggero nella tensione dei gas del sangue e sì determini perciò il passaggio nell’ aria degli alveoli d’ una quantità di CO, superiore a quella, che corrisponderebbe alla tensione del CO; nel sangue non concentrantesi. Non siamo per ora in grado di dire se nell’ animale vivo quest aumento di tensione sia tanto grande da spiegare le notevoli differenze riscontrate specialmente da Bohr e da Haldane tra la tensione del CO, del sangue e quella del CO, nell’aria degli alveoli polmonari; è certo però che essa deve costituire un fattore importante di quel fenomeno, e dovrà d’ ora in avanti essere annoverata fra le cause attive le quali determinano l’ uscita del CO; dal sangue nell’aria degli alveoli polmonari. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI. %. BONARELLI. — Appunti sulla costituzione geologica dell’isola di Creta. Presentata dal Socio TARAMELLI. PB: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n_nny_Tkk"*<5-*—<<-<+|<;|<*<-»lipeii — 145 — la così detta Piana del soldato e vide la enorme falda di rocce che sopra- stava a una piccola grotta posta tra il cimitero e Grotta Arpaia precipitata in mare, ove ora col grandiosi massi accatastati costituisce una picccola sco- gliera che di poco emerge sul livello del mare, a breve distanza dalla parete della frana. Una valutazione approssimativa delle rocce franate, mi fa ritenere che la rovina della Piana del soldato abbia fatto precipitare in mare circa un migliaio di metri cubi di pietre; e poichè rovine simili si preparano ancora in quelle vicinanze e forse è da temere che alcuna possa essere imminente, penso che seriamente se ne debbano preoccupare le autorità municipali e governative, per prevenire disastri che eventualmente potrebbero avere le più serie conseguenze. Alcuni massi veramente pittoreschi, a me particolarmente cari perchè ricchi di fossili si ammirano sul lato occidentale di piazza Andrea Doria e sono conosciuti col nome di Rocche di S. Pietro (') dal vicino tempietto, gioiello d’arte, solidamente imbasato sopra l’ estremo masso dolomitico della penisola di Porto Venere e che ormai sono lieto di poter dire che non aspetta la rovina, come cantava di recente una musa gentile, ma invece dopo che sarà stato consolidato ciò che resta giova sperare che sarà anche conveniente- mente restaurato. Le rocche di S. Pietro strapiombano in modo spaventevole sopra la Grotta Arpaia e ormai la demolizione della base, per opera del mare e degli agenti atmosferici ha tanto progredito che non è più possibile di passare spensieratamente sotto di esse per recarsi a visitare la grotta la cui volta minaccia pure qualche rovina. Lo scoppio di una torpedine, o altre detona- zioni come ne hanno luogo di frequente in quelle vicinanze per esperimenti della R. Marina, potrebbero determinare il crollamento di quella enorme massa di rocce, tutte fratturate, tutte sconnesse e solamente per piccola parte ancora collegata con le rocce schistose che ne costituiscono la base, mentre la maggior parte sono ormai isolate e strapiombano spaventerolmente dal lato del mare sopra l'angusto passaggio verso l'antro. Guardando dal basso, chiaro apparisce che quella massa di rocce sta per franare o scivolare tutta quanta, senza che si possano fare previsioni riguardo al modo e al tempo. Che se finora ci siamo compiaciuti di ammirare le pittoresche rocche di S. Pietro, penso che sia giunto il tempo di prevenire un possibile disastro, facendole cadere mediante qualche cartuccia di dinamite la quale opportuna- mente e con le dovute precauzioni si potrebbe fare esplodere sotto la loro instabile angusta base. (1) Alla base delle Rocche di S. Pietro si hanno strati con Plicatula intusstriata, uno dei fossili che segna un buon orizzonte nel Retico. Per questo e per gli altri fossili di Grotta Arpaia, vedi: Capellini, Hossili infraliassici dei dintorni del Golfo della Spezia. Mem. dell’Accad. delle Scienze di Bologna; serie 2, vol. V. Bologna 1866. — 146 — E poichè sono tornato a parlare dei dintorni delia Grotta Arpaia, dirò che una rovina analoga a quella che si è verificata nel gennaio 1895 ebbe luogo altresì alcuni anni addietro sotto l'antico castelletto che il Genio mi- litare ha riedificato e trasformato in piccola caserma per i marinari addetti al servizio della luce elettrica ; ivi è rimasta allo scoperto una bella porzione della parete di una delle litoclasi nella dolomia che determinarono lo sposta- mento della serie fossilifera la quale, dovendosi incuneare entro la dolomia stessa, fu costretta a foggiarsi in arco e ripiegarsi minutamente nelle estremità strisciando contro le pareti delle faglie, come sì rileva benissimo anche da buone fotografie specialmente per la estremità settentrionale e precisamente sotto il cimitero. Ciò che si poteva appena intravedere con la rozza figura pubblicata nel 1862, si ammira con tutte le sue minute particolarità in una fotografia che abbraccia tutta la massa degli strati fossiliferi di Grotta Arpaia e la fa vedere incuneata nella dolomia superiore. Non bisogna dimenticare che tutta la serie è rovesciata in questa estremità meridionale della catena occiden- tale del Golfo e, per conseguenza, gli strati più recenti sono qui sempre i più bassi. Lazzaro Spallanzani che lungamente soggiornò a Porto Venere nel 1783 e arricchì la zoologia di tante e così importanti scoperte fatte in quei din- torni, non ricorda affatto Grotta Arpaia ma cita appena, come già dissi, le grotte sotto S. Pietro; si può quindi pensare che forse Grotta Arpaia sarà stata fra quelle, ma che per lo meno allora non doveva avere maggiore im- portanza delle altre. Infatti se si considera con quanta cura ed esattezza quel somma naturalista ha descritto tutte le grotte delle isole Palmaria e Tino, non si può supporre che avrebbe omesso di dire qualche cosa di Grotta Arpaia, se questa fosse già stata meritevole di particolare attenzione. Neppure l’ Isengard fece menzione di Grotta Arpaia, nè fu ricordata dallo Spadoni che, poco dopo Spallanzani, si interessò delle Caverne dei dintorni di Spezia e non dimenticò la Grotta dei Colombi all'Isola Palmaria. Spallanzani nella lettera seconda relativa a diversi oggetti fossili e montani, indirizzata a C. Bonnet il 12 febbraio 1784 parla della devasta- zione che subiscono le alte rupi sassose nelle quali sorge Porto Venere e dice che essendosi trovato presente a una furiosa libecciata, il mare fran- gendosi impetuosamente contro gli scogli che servono di parapetto e difesa a quella antica terricciuola sembravagli che minacciasse di interamente in- ghiottirla ('). Aggiunge, poscia, che le vicine isole devono essersi così stae- cate dal Continente, ma non predice che altrettanto sia per accadere della pittoresca rupe dolomitica nella quale sorge il tempietto di S. Pietro, e ivi (1) Spallanzani, Lettera seco..da a Carlo Bonnet relativa a diversi oggetti fossili e montani. Mem. di matematica e fisica della Società italiana, t. II, pag. 861. Verona 1784. — 147 — presso era allora il Castelletto, e ciò perchè forse la escavazione di Grotta Arpaia era appena cominciata e la rovina non era così progredita come la si trova attualmente. Il nostro naturalista aggirandosi per gli scogli di Porto Venere e per- lustrando le vicine isolette non mancò di pensare ai fossili, ma disgraziata- mente non riescì a scoprirne negli scogli sotto S. Pietro poichè anche in data 9 settembre 1783, registrando osservazioni fatte nell’ isola Palmaria, scriveva: « Nell’ isola e altrove in vicinanza di Porto Venere non ho trovato niente « di corpi marini fossili, a differenza di Finale ». A Finale infatti aveva raccolto fossili in gran quantità segnatamente Pettini, come si rileva da altre note alle quali fa allusione e intorno ad essi si proponeva di scrivere in seguito diffusamente in una delle lettere che aveva divisato di indirizzare a Carlo Bonnet ('). E nella lettera infatti aggiunge interessanti notizie sulla Pietra di Finale ma per i dintorni di Porto Venere così si esprime: « Tutte le diligenze da « me usate per vedere se quella catena di scogli che circonda il Golfo e « che forma le tre isole, imprigiona qualche testaceo o crostaceo fossile, ovve- « ramente qualche impronta di essi, riuscite sono infruttuose (°) ». La prima menzione di Grotta Arpaia si trova fatta dai naturalisti che parlarono della ricchezza fossilifera del calcare nero di Porto Venere e pare che nessuno vi avesse fatto attenzione prima di Cordier. Nel 1809 il geo- logo francese, allora Ispettore nel Corpo deile Miniere, fu incaricato da Na- poleone I di una Missione speciale nel Dipartimento di Genova e degli Apen- nini, segnatamente in vista di utilizzare il combustibile fossile di Caniparola e San Lazzaro per l’ Arsenale che già era stato decretato (8): in quella cir- costanza registrando le rocce del Dipartimento, parla dei calcari compatti e del marmo portoro e dice: on y (rouve des coquilles à Tino et à Porto Venere. E di nuovo parlando più particolarmente dei marmi di Porto Venere e della Palmaria, ripete: « on y trouve des débris de corps marins en plu- (3) In data 23 agosto 1783 Spallanzani descrivendo una cava di Portoro nell’ Isola Palmaria di proprietà dei frati Olivetani scriveva nel Tometto CXE, 58: « Girando l’occhio «su diversi rottami attornianti questi tavoloni (intendeva dire i massi preparati per farne « tavole) ho veduto in uno, una impronta di lumaca ». (2) Spallanzani, lettera cit. (®) Riguardo alla motivazione della Missione, Cordier così si esprime: « L’annonce « d’une mine de houille auprès de la ville de Sarzane eut suffi pour motiver l’envoi d’un «homme de l'art sur les lieux. Effectivement Sarzane est situé è un myriamètre des « grands établissements maritimes que S. M. l'Empereur et Roi fait fonder à la Spezia, «et il faut convenir que l’existence d'une mine de houille susceptible d’exploitation, et « situge è une si grande proximité du nouveau port serait d'un avantage inappréciable. « Tels ont été les motifs de la mission dont je ai été chargé ». (Cordier, Statistique mi- néralogique du département des Apennins. Journal des Mines, vol. 30, pag. 81-134. Paris 1811). RenpiIconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 20 — 148 — « steurs endrotts; savoir au sommet du Tino, à la pointe de Porto Venere «et à la carrière des Graces. Ces débris sont des vermiculaires, et de pe- « lites bivalves ». Dopo Cordier gli scogli dell'Arpaia furono ripetutamente esplorati da Guidoni, Hoffmann, Pilla, Pareto, A. Sismonda, Collegno; non ne fanno men- zione De la Beche e Murchison, ma essi pure quando percorsero i dintorni di Spezia avranno per lo meno visitata la località. Meneghini nel 1851 pub- blicò una buona descrizione dei fossili raccolti per la maggior parte da Guidoni a Grotta Arpaia ('); ma non essendosi reso esatto conto della tetto- nica di quella interessante località, errò insieme con Paolo Savi giudicandoli assai più recenti di quanto avevano dichiarato Pilla e Pareto. L' errore fu pochi anni dopo chiarito e lealmente riconosciuto dallo scienziato eminente e maestro impareggiabile. Astronomia. — Sull’orbita del pianeta (306) Unitas. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Nella seduta del 17 novembre 1895 ho avuto l’onore di presentare all'Accademia i risultati dei miei calcoli sull’orbita di Unitas in base a quattro opposizioni. La rappresentazione dei luoghi normali fu per tutte e quattro le opposizioni assai soddisfacente. Da quell'epoca fino ad ora il pianeta fu osservato in V, VI e VII opposizione, e nel prossimo inverno verrà in VIII. Ho creduto conveniente di fare una sommaria revisione delle perturbazioni già calcolate per opera di Giove e di Saturno dalla quarta opposizione in poi, e ho trovato minime differenze in confronto dei conteggi precedenti, le quali vennero messe in conto. I sistemi quindi di elementi successivamente osculanti a date prossime alle opposizioni, a partire dalla quarta, sono i seguenti : IV opposizione V opposizione VI opposizione VII opposizione T = 1895 Apr. 20,5 B 1896 Ott. 31,5 B 1898 Febbr. 23,5 B 1899 Giugno 18,5 B M = 274° 23’ 107,2 66° 58" 97.5 197° 46” 37.5 328° 21’ 577.6 w =165 29 0.7 165 21 89. 8 165 17 6.3 165 19 10. 9 x== 141 88 50. 3 141 38 36. 7 141 38 37.9 141 36 20. 8 VT 00805) 715 27. 6 TON 26991 Tio 1 3 pi — RISTAZNI3N3 8 43 23. 8 8 42 32. 4 8 89 29. 5 dg = 9807.935166 980726341 9807.17760 9807.02680 1900,0 (eclitt.) 1900,0 (eclitt.) 1900,0 (eclitt.) 1900,0 (eclitt.) Per giudicare degli scarti fra le osservazioni e il calcolo nelle tre ultime (') Savi e Meneghini, Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche concernenti la geologia della Toscana. Firenze 1851. — 149 — opposizioni (gli elementi non essendo stati più toccati dopo la quarta), ho formato dalle osservazioni i seguenti luoghi normali: « (1900.0) d (1900.0) 1896 Ottobre 13,5 B gn 4m 16889 + 0912/08 1898 Febbraio 9,5 B 9 9 27.34 4-15 29 14.0 1899 Giugno 10,5 B 17 36 44.15 2 SUI Le differenze fra osservazione e calcolo (0-C) risultarono le seguenti: da ZI) (V) — 05.89 — 47.0 (VI) — 0. 21 + 1.1 (VII) — 0. 61 — 0. 6 Dopo quattro anni quindi gli scarti sono così piccoli e per nulla cre- scenti che gli elementi, corretti colle quattro prime opposizioni, possono servire anche per l'avvenire, e detti scarti sono imputabili, oltre agli elementi, anche ad errori d'osservazione e alle omesse perturbazioni di Marte, le quali per Unitas non riescono insensibili. Per trasportare gli elementi dalla VII alla prossima VIII opposizione ho messo in conto le perturbazioni speciali per Giove e Saturno, ed ho otte- nuto il nuovo sistema di elementi. T = 1900 Dicembre 30,5 B M = 120° 41’ 547.6 vw = 165 26 22. 7 Q= 141 35 45. 6 O) P u Il « P oo. 0 011} Po 23111} P. 1 }221{2P. {5114 1P. p}324j3 P 8 y}122 P 2 wi124/ 2 P2 delle quali si hanno le seguenti combinazioni corrispondenti ai tipi diversi: 1° Cristalli di abito piramidale, piccoli e semplicissimi predominando esclusivamente la piramide }122{ modificata da piccolissime faccettine del prisma 5120) e del brachidoma 3011}. 2° Cristalli di abito tabulare della combinazione }001{ }110| }104{ }114| {122} ,124{: predomina la base con facce lucenti e perfette; bastan- temente sviluppate le facce dei prismi e della piramide }114{, ridottissime quelle di }124{, addirittura microscopiche quelle di 3122}. Combinazione un po rara, specialmente per l’ anglesite sarda. 8° Cristalli di abito prismatico allungati secondo l’asse [y] della combinazione j001{ }110{ 3102} }104' jO11{ }122! con predominio assoluto dei macrodomi e specialmente del più ottuso }104{. Un abito cristallino si- mile fu descritto da Von Lang per Anglesea e riportato nella fig. 31 tav. XII dell’atlante dello Schrauf; come anche cristalli di un abito simile, ma con più facce, furono descritti da Riva (') e provengono dalla miniera di Nebida. 4° Cristalli di abito prismatico allungato secondo l'asse [z] perfet- tissimi e veramente splendidi, ma di piccole dimensioni (non più di 5 mm. secondo l'asse [2]); presentano la combinazione: }100{ }010{ }001{ }110; 3120} 3102: 3104 }O11{ }111{ }221| {122} {324}. Predominano i prismi e specialmente }110{ e delle facce terminali in alcuni è molto sviluppata la base, in altri assai ridotta con conseguente maggior sviluppo delle altre forme. Questa combinazione si può rassimigliare a quella di Anglesea de- scritta dal Von Lang e riportata dal Dana (?). I cristalli di anglesite delle miniere di Malfidano sono generalmente incolori trasparenti o lievemente grigiastri. I più perfetti con splendore ada- (3) Loc. cit., p. 10. (®) Dana, Sixth Edit., 1892, pag. 909, fig. 10. Renpiconti. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 21 — 156 — mantino vivo si trovano in geodi dentro la galena granulare, come quelli di Monteponi, con i quali peraltro non possono neanche lontanamente gareg- giare, sopratutto per le loro relativamente esigue dimensioni. I cristalli più grandi, specialmente quelli descritti al numero 2° e 3°, sono meno perfetti e si trovano in geodi dentro un calcare ricco di solfuri e di carbonati di piombo e di zinco nonchè di limonite ocracea e completamente metamorfosato. Stimo inutile dare un elenco degli angoli misurati per il riconoscimento delle forme, trattandosi di un minerale così noto come l'anglesite. Gesso. — È interessante la presenza di gesso in relazione con smithso- nite, perchè spiega la formazione di questo minerale per azione delle acque cariche di solfato di zinco sul calcare. Per i giacimenti calaminari di Sar- degna è nuovo il fatto della presenza di gesso in distinti cristalli come sì trovano a Malfidano. Ne fa cenno per la prima volta il Bertolio (!) per co- municazione avutane dal dott. A. Lotti un tempo chimico della Società di Malfidano. Dallo stesso Lotti fin dal 1898 ebbi in dono dei campioni con limpidi cristalli di gesso di varie dimensioni (dai 2 mm. aì 15 mm. di mag- gior lunghezza) sopra la smithsonite giallastra e della solita combinazione :010} }110{ }111{ con l'aggiunta in qualche caso di }001{. Altri cristalli di maggiori dimensioni sono in un gruppetto insieme con smithsonite gra- nulare bianco giallastra sopra la galena blendosa. Pseupomorrosi. — Mi accingo a descrivere le pseudomorfosi che mi fu dato di osservare nei campioni di Malfidano, riserbandomi per la fine alcune brevissime considerazioni generali, che dallo studio di esse possono scaturire per quel che riguarda la genesi di questi minerali. Cerussite pseudomorfa di anglesite. — Cristalli di anglesite della com- binazione }001% }104{ }102} }110} }011} }122{ allungati secondo l'asse [y] si mostrano completamente trasformati, almeno nella loro parte superficiale, in un aggregato cristallino biancastro che con saggi chimici ho determinato per cerussite. Il nucleo centrale è invece rimasto solfato di piombo inalte- rato. È evidente che la pseudomorfosi è accaduta per cristallizzazione di car- bonato di piombo sopra cristalli di solfato preesistenti; infatti nello stesso campione vi sono altre drusette dove i cristalli di anglesite sono rimasti inal- terati e sui quali appunto ho potuto determinare la forma di quelli pseudo- morfizzati e questi stessi inoltre mostrano tutti i gradi di passaggio nella trasformazione, da una lieve e non completa deposizione superficiale di ce- russite ad una pseudomorfosi più inoltrata, ma mai del resto interessante il nucleo centrale del cristallo primitivo. La roccia in cui si trovano questi cristalli è un calcare completamente metamorfosato e, per così dire, impre- gnato di solfuri e specialmente di carbonati di piombo e di zinco, che sì sono lpX0) (1) Bollettino dell’ Associazione Mineraria Sarda, 1896, Iglesias, vol. I, fasc. 7°, pag. 6 e 7. — 157 — quasi completamente sostituiti al carbonato di calcio; è inoltre molto ricco di limonite ocracea. Pseudomorfosi di cerussite sopra anglesite non furono, a quel che io sappia, fin qui descritte per la Sardegna. Sono però abbastanza note nella lettera- tura mineralogica, anzi il Groth (') ricordando simili pseudomorfosi di Blei- berg bei Commern dal Von Dechen (*) anteriormente descritte come cerus- site pseudomorfa di baritina, osserva che molte pseudomorfosi date come di cerussite su baritina sono a suo avviso di cerussite sopra anglesite, ciò che pare più naturale, data la maggior affinità chimica di questi due minerali. La più interessante è quella descritta da Jereméjew (*) del distretto di Nércinsk sì per la ricchezza in facce dei cristalli di anglesite, sì per la struttura net- tamente cristallina della cerussite che li ricopre. Cerussite pseudomorfa di fosgenite. — Fra i minerali donatimi dal dott. Lotti, quando egli era chimico a Buggerru, vi è un piccolo campioncino che mostra questa pseudomorfosi la quale, data la grande facilità di altera- zione della fosgenite, è comunemente conosciuta non solo per i noti cristalli della Slesia. ma anche per altri non meno belli di Monteponi. È degno di osserva- zione il fatto che la fosgenite non era fino ad ora stata descritta fra i minerali cristallizzati delle miniere di Malfidano. Il campione da me studiato presenta un piccolo gruppetto di cristalli piuttosto appiattiti secondo la base che presentano la combinazione }001} 5100{ }110‘ }111{ con predominio delle facce di }001! e di 5110‘. Nella parte superficiale sono trasformati comple- tamente in cerussite biancastra, mentre il nucleo centrale è ancora inal- terato. Smithsonite pseudomorfa di calcite. — Essa è conosciuta già per molti giacimenti di minerali di zinco: così nella Slesia e in Westfalia (Iserlohn) ed è stata indicata anche per la miniera di Monteponi. Simili pseudomorfosi delle miniere di Malfidano sono già state citate da Jervis (4). Il campione da me osservato mostra in una cavità di un masso formato di smithsonite globulare compatta con poca blenda dei grossi cristalli sca- lenoedrici }201{ primitivamente di calcite, ora completamente trasformati in smithsonite bianco grigiastra compatta in aggregato cristallino lucente. Alcuni cristalli rotti all’ estremità mostrano l'interno cavo e solo in parte riempito da concrezioni stallattitiche di smithsonite simile a quelle che (1) P. Groth, Die Mineraliensammlung der Kaiser-Wilhelms-Universitàt Strassburg. Strassburg-London, 1878, pag. 134. (2) Von Dechen, Pseudomorphose von Weiss-Blererz nach Barytspath. Niederrhein. Gesell. f. Naturkunde zu Bonn 1857, April 1. Auszug N. Jahr. Min. Geol. 1858, 319. (3) P. W. Jeremagjew, Cerussit-Pseudomorphosen. Verh. russ. min. Ges. [2] 18, 1883, 108. Auszug Zeits. f. Kry. Min. VII, 637. (4) G. Jervis, / tesori sotterranei dell’ Italia, parte terza, pag. 95. — 158 — si trovano in altre cavità del grosso campione. Ciò dimostra che vi fu, come del resto si ammette generalmente per la smithsonite, sostituzione completa del carbonato di zinco al carbonato di calcio. Un altro grosso campione che anche ebbi in dono a Buggerru proviene non dalle miniere di Malfidano, ma da quella di Baueddu, e presenta il me- desimo caso di pseudomorfosi. Si tratta anche qui di cristalli scalenoedrici di calcite completamente trasformati in smithsonite giallo-bruna finissima- mente granulare quasi compatta: essi posano sopra smithsonite con molta limonite ocracea. Anche essi sono cavi nell'interno e solo in parte riempiti da concrezioni cristalline stallattitiformi di smithsonite. Si direbbe quasi per queste due pseudomorfosi, che queste stallattiti sieno state formate da una ridissoluzione del deposito primitivo, il quale aveva già pseudomorfosato i cristalli di calcite: casi simili furono del resto constatati in altri giacimenti come al Laurion, alla Vieille-Montagne ecc. Smithsonite pseudomorfa di anglesite. — Sopra una matrice mista di blenda e di galena si osservano dei relativamente grandi cristalli di angle- site metamorfosati superficialmente in smithsonite rossastra. Con semplici saggi chimici ho potuto accertarmi della presenza di un nucleo centrale di solfato di piombo e di una parte superticiale di carbonato di zinco, quest ul- timo alquanto ricco in ferro. I cristalli di anglesite presentano la forma di un macrodoma assai sviluppato e molto ottuso, con ogni probabilità quello di simbolo }104{, con lateralmente le facce del prisma }110|. La smithso- nite tappezza tutta la piccola drusa dove sono impiantati i cristalli di an- glesite e forma una concrezione a piccoli globuli. Il nucleo di blenda e di galena è sopra un calcare con altra smithsonite. Questa interessante pseudomorfosi è nuova per la Sardegna e per quanto mi consta non fu neanche descritta per altre località; ed ha una grande im- portanza per il fatto che mostra una formazione di smithsonite posteriore alla cristallizzazione del solfato di piombo. Senza alcun dubbio lo studio delle pseudomorfosi reca non lieve contri- buto alla conoscenza della genesi e della evoluzione delle specie minerali: così nel nostro caso le pseudomorfosi sopradescritte sono delle nuove prove di fatto per confermare l'ipotesi più razionale e più generalmente accettata sulla formazione dei giacimenti calaminari. Queste prove di fatto credo utile solamente di far constatare, senza aver la pretesa di entrare nel campo vasto e già ampiamente sfruttato della genesi dei giacimenti di zinco e di piombo. Le più recenti idee, frutto di lunga esperienza intorno a questo argomento, si trovano oltrechè nei modernissimi trattati del genere, più specialmente per quel che riguarda la Sardegna in una vasta bibliografia, alla quale hanno contribuito molti degli ingegneri, che per ragioni professionali hanno acqui- — 159 — stato una profonda conoscenza di quei giacimenti. Fra questi lavori mì limito a citare quello di E. Ferraris per ì giacimenti di Monteponi (1). È generalmente ammessa la formazione della calamina (nel senso mi- nerario della parola) per sostituzione del carbonato di zinco al carbonato di calcio dei calcari. Le pseudomorfosi di smithsonite sopra calcite, i fossili trasformati in smithsonite (Iserlohn), la strettissima relazione fra giacimenti calaminari e rocce calcaree, ecc. dimostrano questa sostituzione. La presenza poi dei cristalli di gesso insieme colla smithsonite, accertata ora anche per le miniere di Malfidano, dimostra che, a compiere questa sostituzione, sieno state le acque cariche di solfato di zinco circolanti per il calcare. Qualche incertezza può invece rimanere riguardo all'epoca di questa sostituzione, se essa cioè sia contemporanea o posteriore alla formazione del solfuro. Ma se noi ammettiamo, cosa del tutto naturale dato il loro intimo legame per lo meno in Sardegna, comunità di origine per i minerali di piombo e di zinco e nello stesso tempo comunità di ulteriori trasformazioni, dobbiamo ammet- tere che la stessa azione ossidante, che ha trasformato e che vediamo ancora (?) trasformare parte del solfuro di zinco in solfato, abbia anche agito sopra il solfuro di piombo. Per questo minerale rimangono le tracce di questo stadio di ossidazione nei bellissimi cristalli di anglesite, talora altrove e sempre a Malfidano, accompagnati da cristalli o da piccole incrostazioni di zolfo: non è dubbio però che la formazione di anglesite, e di zolfo, fenomeno tutt’ af- fatto locale e di poca entità, debba ritenersi posteriore alla formazione della galena da cui deriva. Del solfato di zinco invece moltissimo solubile non sono rimaste tracce ed esso è stato tutto impiegato nella trasformazione del cal- care e quindi non si hanno documenti diretti dello stadio di ossidazione della blenda. Del resto anche è generalmente ammesso che minor parte del solfato di piombo abbia potuto agire anch’ esso sul carbonato di calcio o su carbonati alcalini per produrre il carbonato di piombo, che troviamo in relazione con quello di zinco. Infatti abbiamo già avuto occasione di far osservare la costante paragenesi per i campioni di Malfidano di cerussite da un lato, e di smithso- nite e di idrozincite dall’ altro. Ma sì smithsonite, che cerussite, le quali si mostrano di contemporanea formazione, si trovano anche pseudomorfe e quindi più recenti di anglesite, la quale a sua volta è di formazione secondaria rispetto alla galena ed alla blenda: per questa ragione adunque mi sembra di poter affermare che alcune delle pseudomorfosi della miniera di Malfi- dano costituiscono nuove prove di fatto in favore della ipotesi, che ammette la formazione ulteriore e secondaria dei giacimenti calaminari rispetto a quelli di blenda e di galena. (1) E. Ferraris, Genesi dei giacimenti metalliferi di Monteponi. Bollettino dell'Ass. Min. Sarda, 1898, vol. III, fasc. 3°. (2) Il Bertolio (loc. cit.) ha constatato la presenza di solfato di zinco nelle acque di un ruscello che lava i residui di blenda di una discarica della miniera di Montevecchio. — 160 — Chimica. — Azione del jodio sull’acido malomico in solu zione piridica. Nota di Giovanni ORTOLEVA, presentata dal Socio PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sopra l isocanfora (*). Nota di EnRICO RIMINI, presentata dal Socio PATERNÒ. | In alcuni lavori precedenti Angeli ed io abbiamo dimostrato che la per- nitrosocanfora per azione dell’ acido solforico concentrato si scinde in protos- sido di azoto ed in un composto di natura chetonica, isomero della canfora, e che noi abbiamo chiamato 2socanfora: (O IRIS Ng 0, = Cio H,60 + N;0. Questa trasformazione presenta uno speciale interesse anche pel fatto che il pernitrosofencone e l’ isopernitrosofencone, isomeri della pernitrosocanfora, per analogo trattamento, si scindono del pari in protossido d'azoto ed in iso- canfora. Ancora non è stabilita la struttura del fencone; però la reazione da noi scoperta dimostra che fra questo e la canfora debbano esistere relazioni assai più strette di quel che esprimano le formule di struttura che finora vennero attribuite al fencone. Come a suo tempo è stato dimostrato, l'isocanfora è un chetone perchè fornisce un semicarbazone e l'ossima cosrispondenti. A differenza però della canfora è un composto non saturo perchè sco- lora immediatamente il permanganato; questo viene inoltre confermato dal fatto che fornisce un bisnitrosocloruro. Contiene però un doppio legame soltanto, giacchè la dz/dro:socanfora C.0H,30, composto chetonico che si ottiene per ossidazione della /etrazdro- isocanfora, è satura. Il potere rifrangente dell’ isocanfora rende inoltre molto probahile che nella molecola di questa sostanza sia contenuto l' aggruppa- mento (?): —C=C—-C0— (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. Febbraio 1900. (2) Angeli, Rend. Lincei, — 161 — Per ossidazione con permanganato l’isocanfora si scinde in acido acetico ed in un acido: CroHi 0,. Quest’acido è bibasico; la sua conducibilità elettrica dimostra che è un acido glutarico; per azione del cloruro di acetile fornisce un' anidride: Cs H12 0g ed ossidato con acido cromico dà origine ad acido succinico. Queste reazioni rendevano molto probabile che si fosse trattato di un acido glutarico « sostituito, e più tardi venne riconosciuto identico con l'acido «-isopropilglutarico di Perkin CH(C;H;). CH, . CH, Î COOH COOH L'identità venne stabilita dall’ esame cristallografico dei derivati anilicì del nostro prodotto con l'acido di Perkin, un campione del quale venne messo a nostra disposizione dal prof. Balbiano. La formazione di questo acido dimostra che nell'isocanfora è contenuta la catena: — C— CH(6:H,)— CH, — CH; — (fe In base a questi fatti vennero stabilite, come le più probabili per l' iso- canfora, le due formule di struttura : CH; CHy | | c C nor Bb 7 . 0;H,.CH\ /CH. Hc /CH. CH; CH, CH, Entrambe infatti spiegano egualmente bene le reazioni descritte; restava quindi a fissarsi la posizione del residuo isopropilico. Come si vede, queste due formule differiscono l'una dall'altra perchè nella prima è contenuto il gruppo: nella seconda invece: — CO — CH(C.H.)—- — 162 — È noto che le sostanze contenenti il gruppo — CO —CH.— reagiscono, in generale, facilmente colle aldeidi per dare prodotti di condensazione ca- ratteristici = LU) be | CH.KR mentre invece questa proprietà manca ai composti contenenti la catena — C0 — CHR — Ancora a suo tempo vennero eseguite delle ricerche dirette a condensare l’isocanfora con l’aldeide benzoica; ma tutti i tentativi rimasero infruttuosi. Questo risultato negativo parlava piuttosto in favore della seconda for- mula per l’isocanfora; in ogni caso la struttura rimaneva sempre indeter- minata. Ho reputato quindi necessario rivolgere la mia attenzione ai derivati dell’isocanfora, ed a questo scopo ho scelto la di:drozsocanfora, composto, come ho detto, del pari chetonico, e che dall'isocanfora differisce per non contenere il doppio legame. In questo caso le mie esperienze ebbero esito positivo, e la diidroiso- canfora si condensa con grande facilità colla benzaldeide, come fanno la maggior parte dei chetoni terpenici contenenti l’ aggruppamento —CO—CH;t—. Non sono riuscito ad effettuare la condensazione in mezzo acido, come si fa, per esempio, nel caso del mentone. Facendo passare infatti una cor- rente di acido cloridrico gassoso in una miscela di quantità equimolecolari di diidroisocanfora e benzaldeide, si ottiene un liquido fortemente colorato in rosso bruno: però anche dopo ventiquattro ore le sostanze reagenti erano in gran parte inalterate. La condensazione avviene invece operando in presenza di alcali. Al miscuglio ben raffreddato di molecole eguali di diidroisocanfora e benzaldeide si aggiunge la soluzione alcoolica di un atomo di sodio, poco per volta ed agitando. Dopo breve tempo il liquido denso sì rapprende in una massa cristallina che viene lavata prima con acqua ed in seguito con alcool. Il prodotto così ottenuto si purifica per ripetute cristallizzazioni dal- l'alcool bollente in cui è poco solubile; si presenta in aghettini bianchi che fondono a 217°. All'analisi diede numeri che concordano con quelli richiesti per la denzilidenditdroisocanfora : CioHis60 (CH. CH) Gr. 0,1154 di sostanza diedero gr. 0,3556 di CO? e gr. 0,0966 di H,0. In 100 parti: trovato calcolato per C17Hs: 0 C 84,04 84,29 H 9,30 9,09 Wr—_——— eve e Rino vii Di Zi IRA ARRESE AIAR LEI Rion Sa OE n n en "cn — 163 — Questo risultato dimostra quindi che nella diidroisocanfora è contenuto il gruppo — CO—CH.— e perciò la formula del derivato benzilidenico molto probabilmente è da rappresentarsi collo schema: Per l'isocanfora e per la tetraidroisocanfora seguono perciò le formule : CH, CH; | I Ù CH E Ò CO mor \ CH(0H) Cico, lac lcr sz i NA CH, ; CH, A suo tempo Angeli ed io abbiamo descritto l’ isocanferone : Cio H,,0 che si forma per azione dell’ acido solforico sopra la bromopernitrosocanfora e sopra l'isobromopernitrosocanfora : (Gra H,;BrN,0, = (O H,,0 + N:0 + [ERBE Anche questa sostanza dà un'ossima ed un semicarbazone e per riduzione si trasforma in tetraiGroisocanfora. Molto probabilmente l'isocanfenone contiene un doppio legame in più dell’isocanfora e perciò la sua struttura sarà da rappresentarsi con la formula : CH; c N HC7 \co Co CH. CH Continuerò lo studio di queste sostanze. RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 29 RS Chimica. — Nuove ricerche nel gruppo della canfora. Nota di Enrico Rimini, presentata dal Socio PATERNO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Zoologia — Osservazioni sopra fenomeni che avvengono du- rante lo sviluppo postembrionale della Calliphora erythroce- phala. I. Nota preventiva del dott. FELICE SUPINO, presentata dal Socio GRASSI. Non pochi sono quelli che hanno preso a studiare i cambiamenti cui vanno soggetti i varî organi durante la ninfosi degli insetti; ma tuttavia in alcune interessanti quistioni, le opinioni sono così svariate e diverse che si può dire che su tale argomento esista una vera confusione. Io ho voluto perciò prendere in considerazione questi fenomeni, ed in attesa di quanto potrò ri- trarre dallo studio completo, credo intanto utile parlare in questa Nota preven- tiva di una quistione riguardante il modo di distruzione del tessuto adiposo larvale, riservandomi a trattare di questo e di altri argomenti, come pure di dare numerose e dettagliate figure, nel lavoro in esteso. Anche la bibliografia completa verrà da me data in seguito, solo ora mi limiterò a dirne qualche cosa, tanto per mostrare a che punto è la quistione. Furono studiati a tale riguardo varî insetti. Alcuni pensano che le cellule adipose si rigonfino, e la loro parete cellulare si rompa lasciando disperdere il contenuto (Weismann 1864); oppure che si distruggano ed il protoplasma si riduca ad un liquido vischioso che andrebbe a nutrire gli organi della ninfa (Kinckel d' Herculais 1875, Ganin 1875). Altri sono d'opinione che nelle cellule adipose si trovino dei fagociti prodotti per generazione endogena, i quali sarebbero incaricati di distruggerle (Viallanes 1882); oppure che i fagociti penetrino di buon ora nelle cellule adipose allo scopo pure di distruggerle (Kowalevsky 1885, Korotnett 1392, Karawaiew 1898, Rees 1888, Pérez 1900). Altri infine pensa che i fagociti non penetrino mai, durante la ninfosi, nelle cellule adipose e che quindi queste non vengano distrutte dai fagociti (Berlese 1899); ed altri ancora, studiando le Apie le Vespe, dice che i fago- citi penetrano nelle cellule adipose solo eccezionalmente, ma che invece avviene qui una liocitosi, cioè che le cellule adipose vengono distrutte da cellule speciali del corpo grasso dette cellule escreto-secretrici del corpo adi- poso. (Anglas 1900). iii — 165 — Si osservi dunque quale enorme differenza d’interpretazione tra i varî autori! È perciò che credo d' interesse poter portare un contributo all'appoggio di una o dell'altra di queste così varie opinioni, cosa che intendo fare per ora brevemente nella presente Nota, riservandomi, come ho già detto, di ritor- nare su questo e di trattare altri argomenti sullo stesso tema, in seguito. Anche della tecnica da me adoperata parlerò nel lavoro per esteso, solo qui dirò che, per esaminare bene le pupe, bisogna toglier loro il. pupario, cosa che si può non difficilmente ottenere tenendo le pupe stesse per qualche minuto in acqua bollente, ciò che permette poi, usando molta delicatezza, di togliere con gli aghi a punta e lanceolati tutto intiero il pupario anche in pupe del primo giorno. Ho studiato principalmente la Ca/liphora erytrocephala, come quel dittero che è stato dai più preso in considerazione e che ha dato luogo a tutte le suaccennate discussioni, per cui nel mio caso speciale aveva grande interesse. Da principio le modificazioni cui va soggetto il tessuto adiposo hanno poca importanza; nella larva appena nata, fino a quella che ha raggiunto i 5 mm. di lunghezza, le differenze non consistono che nel volume sempre mag- giore che acquistano le cellule adipose. Queste si mostrano di forma roton- deggiante o poligonale, con contenuto, sui tagli, apparentemente omogeneo, che però a forte ingrandimento appare come una finissima punteggiatura, con nucleo ben distinto il quale mostra nel suo interno uno o due nucleoli. Nella larva che misura 6 mm. di lunghezza, le cellule adipose sì mo- strano, specialmente ai lati dell'animale, disposte come in uno strato pieghet- tato al di sotto dell’ipoderma e dello strato muscolare. Esse misurano, nelle sezioni, 30-32 w ed il loro citoplasma anzichè tingersi uniformemente con l’emallume, come succedeva negli stadî precedenti, mostra qua e là delle macchioline incolori, le quali, come vedremo meglio nello stadio successivo, eostituiscono veri vacuoli. Nella larva che misura 7 mm. di lunghezza, le cellule sono ancora più grandi, poichè misurano circa 45 w di diametro ed il loro nucleo ne misura 19. Qui si vedono ingrandite e più numerose quelle macchioline incolori che ab- biamo osservate nello stadio precedente, in modo che appare evidente trattarsi di veri vacuoli. Nel nucleo si vedono benissimo uno o due mucleoli. Tali fatti si osservano bene anche in larve lunghe 3-10 mm. Da questo punto fino a che la larva diviene matura ed ha cessato di nutrirsi, non vi sono cose molto importanti da osservare; salvo che le cellule aumentano ancora di volume, tanto da misurare quasi 150 w, ed i vacuoli sono relativamente più o meno grandi a seconda della regione del corpo nella quale si trovano. — 1660 — Nella larva matura che ha cessato di nutrirsi, sì osserva che le cose hanno mutato grandemente d'aspetto. Le cellule adipose appariscono quasi regolarmente sferiche, sono più o meno allontanate l'una dall'altra e si trovano sparse irregolarmente, rispetto a quanto abbiamo osservato nei primi stadî, nel corpo dell'animale. I vacuoli sono divenuti molto numerosi, ed il citoplasma, visto a forte ingrandimento, assume nelle sezioni la forma di un reticolo. Sui tagli, attorno alle cellule si trova una gran quantità di so- stanza in forma di minutissimi granuli che deve considerarsi come plasma sanguigno coagulato. In mezzo a questo si vedono dei leucociti i quali, spe- cialmente negli stadî ulteriori, si mostrano assai numerosi e grandi, e si possono trovare anche addossati alle pareti delle cellule adipose. Però, per quanto io abbia attentamente osservato, non ho mai visto che vi penetrino. Le cellule adipose sono aumentate ancor più di volume, potendo misurare più di 200 w. Nelle maglie del reticolo si riscontrano ora dei minutissimi granuli, alcuni dei quali si colorano con l'emallume, altri rimangono inco- lori e sono perciò rifrangenti. Però io non ho osservato, come afferma il Berlese, che i granuli colorati e quelli non colorati, sieno disposti in zone regolari; io non ho riscontrato tale regolarità, ma ho visto granuli colorati o meno, sparsi in qualunque parte della cellula e quindi, tanto vicino al nucleo che lontano da questo. In stadî ulteriori (') e precisamente poco tempo prima della formazione della pupa, si nota che all’esterno delle cellule adi- pose non si trova più un plasma in forma di minutissimi granuli come ave- vamo visto negli stadî precedenti, ma si vede invece un plasma che appare in forma di granuli più grossolani, plasma che persiste ed anzi si fa più abbondante fino alla pupa di tre o quattro giorni. Tale: modificazione del plasma è molto probabilmente in rapporto con la distruzione di organi lar- vali e specialmente dei muscoli della regione anteriore del corpo che sono i primi a disfarsi. Nello stesso tempo si osserva che nell'interno delle cellule adipose si trovano oltre ai granuli colorati o meno, di cui abbiamo fatto più sopra parola, anche delle sferette più grandi che mostrano nel loro interno delle piccole particelle sferiche simili a nuclei, le quali si colorano intensa- mente con l’'emallume. Se il plasma che abbiamo visto all’esterno delle cellule adipose, penetri nelle cellule stesse per formare i granuli più o meno colorati come asserisce il Berlese, è cosa che non potrei ben definire. Io non vidi il plasma esterno penetrare nell'interno delle cellule adipose, e se qualche volta sembra di vederlo, ciò dipende dal fatto che la parete delle cellule adipose si è rotta (1) Io non ho diviso lo stadio preninfale nei momenti adottati dal Berlese, poichè ho potuto constatare che per ragioni speciali, tali momenti possono non avvenire con regolarità e che spesso dalla larva matura, per esempio, che ha finito di nutrirsi e si locomove, si può passare allo stadio III del Berlese e magari a quello di larva già da tempo raccolta su sè stessa — 167 — in qualche punto. Si tratta di fenomeni così complicati e d'altra parte così difficili a risolversi, dati i mezzi che la microchimica oggi ci dà, che credo sarebbe per lo meno temerario il voler dare un giudizio esatto. È perciò che io mi limito alla esposizione di quanto ho potuto osservare, lasciando che l'interpretazione di fenomeni così complessi sì risolva quando la tecnica ci darà mezzi sufficienti per dire con sicurezza come procedano le cose. In uno stadio ulteriore si riscontrano nelle cellule adipose in grande quantità quelle sferette contenenti uno o più corpicciuoli a guisa di nucleo, come abbiamo già visto, ed intanto si nota che nel contorno esterno del nucleo della cellula adiposa si vedono come dei piccoli granuli fortemente colorati che pare si stacchino dal nucleo stesso. Questi corpicciuoli sono quelli che il Berlese ha interpretato come enzimi destinati a penetrare nelle sferette (le quali secondo il Berlese stesso sarebbero costituite da sostanze albuminoidi raccolte nella cellula adiposa dal plasma esterno) per alterarle. Anche qui posso ripetere quanto già dissi a proposito della penetrazione del plasma esterno nelle cellule adipose. Io non mi sento in grado di attri- buire a quei corpicciuoli che pare si stacchino dal nucleo della cellula adi- posa, la proprietà di enzima, poichè non ho i dati sufficienti per poterlo dimostrare. Potrebbe anche trattarsi di un semplice fenomeno di cariolisi come si riscontra in molti casi. La ipotesi del Berlese, che tali corpicciuoli sieno enzimi, che questi sieno incaricati di alterare le sferette di sostanza albuminoide, che l'alterazione si riconosca dal fatto che le sferette si colo- rano o meno, e che infine queste una volta elaborate, fuoriescano per andare a nutrire gli organi di nuova formazione od in accrescimento della ninfa, sarà geniale quanto si vuole, ma io non la credo dimostrata nè per ora facilmente dimostrabile. Ma veniamo alla parte importante della quistione, all'argomento che più è stato oggetto di discussione e che ha dato luogo a tante interpretazioni così diverse. Osservando lo stadio di pupa, specie nei primi giorni, si vedono, come ab- biamo detto, attorno al nucleo delle cellule adipose, dei corpi rotondeggianti od ovali che racchiudono uno o più corpicciuoli che si tingono intensamente con l'emallume. Tali corpi sono quelli che Kowalevsky, Viallanes e Rees hanno preso per elementi cellulari e che, specialmente quest'ultimo, ha deseritti minuta- mente come leucociti incaricati di distruggere le cellule adipose. Ed infatti a prima vista, tutto concorrerebbe a far ritenere di aver qui a che fare con vere ‘cellule, inquantochè si vede bene una specie di membrana esterna che può scambiarsi per una parete cellulare, poi una sostanza trasparente cosparsa di minuti granuli che può sembrare protoplasma, e finalmente uno o più cor- pieciuoli interni che si colorano intensamente con l' emallume e che sembrano veramente nuclei. Un attento e prolungato esame fa vedere però che qui non — 1685 — abbiamo a che fare con elementi cellulari e quindi con leucociti, poichè i supposti nuclei, non presentano struttura di sorta, mentre i leucociti che si trovano all’esterno hanno il loro nucleo ben chiaro ed evidente; inoltre questi corpicciuoli delle sferette non dànno con le peculiari sostanze la rea- zione della nucleina, ed oltre a ciò anche l'esame fatto al microscopio, se eseguito con attenzione, mostra che di cellule qui non si tratta atfatto. Il Rees afferma inoltre, come abbiamo già accennato, che questi da lui supposti fagociti sono incaricati di distruggere ben presto la cellula adiposa; ora in- vece sta il fatto che non poche cellule di grasso col loro nucleo, persistono fino alla formazione dell'immagine ed anche per qualche giorno dopo che è nato l'adulto, cosa che non potrebbe accadere se esse fossero distrutte già di buon'ora dai fagociti, come vuole il Rees. Può far meraviglia che scienziati come Kowalevsky, Rees ed altri, abbiano potuto errare di tanto, e ciò fa sì che chi intraprende un tale studio debba andar molto guardingo nella interpretazione di questi fatti; ma non v' ha dubbio che un esame accurato dimostra chiaramente quanto ho sopra esposto. Anche il sistema di colorazione tanto raccomandato dal Rees per distinguere bene i leucociti, non è stato capace di farmi cambiare opinione. Quanto poi al significato da darsi a queste sferette, io non credo pos- sibile per ora di pronunziarci a meno di non far delle ipotesi. Ed anche qui debbo dire che quella del Berlese è bella, ma mi sembra un po’ azzardata. Io ho osservato quei granuli colorati che pare si stacchino dal nucleo, ma non potrei asserire con certezza che penetrino nelle sferette. A buon conto quei corpicciuoli che si trovano nelle sferette, si presentano sotto un aspetto diverso di quelli che sembra si stacchino dal nucleo della cellula adiposa. Comunque è certo che il Berlese ha detto giustamente asserendo che le sfe- rette non sono elementi cellulari. i Ma andiamo per ordine e vediamo che cosa succede delle cellule adipose. Nella pupa del primo giorno (') si vedono, quantunque poco numerose, nell'interno delle cellule adipose, quelle sferette le quali sono ormai abba- stanza grandi e contengono uno o più corpicciuoli che si tingono bene con l'emallume. Ora le cellule adipose della porzione anteriore del corpo misu- rano circa 200 u, mentre quelle della porzione posteriore ne misurano 150. Nella pupa del secondo, terzo e quarto giorno, le sferette sono divenute più grandi e più numerose e si vede molto chiaramente una disposizione simile alle figure date dal Rees come dimostrazione dei fagociti nell'interno della cellula adiposa. (Vedi Rees, Beitràge zur Kenntniss der inneren Meta- morphose, von Musca vomitoria tig. 22, 23). Si vedono cioè attorno al nucleo: numerose gocciole rifrangenti la luce che hanno nel loro interno uno o più (1) Osservo che le mie ricerche furono fatte in autunno ed in inverno; ciò perchè ciascuno capisca il valore che possono avere i varî stadî cui accenno. — 169 — corpicciuoli fortemente colorati. Tali gocciole sono di varia grandezza e misu- rano in media 8-10 w. Sono queste le sferette di cui ho sopra parlato e che secondo il Rees, sarebbero incaricate di distruggere le cellule adipose, mentre come abbiamo già visto, e credo a sufficienza dimostrato, qui non sì tratta di elementi cellulari. Non ho riscontrato, come dice il Berlese, che le sfe- rette incolori (non elaborate come dice il Berlese) si trovino tutte attorno al nucleo, mentre quelle colorate, alla periferia della cellula in zone ben distinte a seconda del loro grado di colorazione; ciò non è, poichè si vedono spesso sferette non del tutto colorate e uguali a quelle che si trovano attorno al nucleo, alla periferia della cellula. Certo è che attorno al nucleo se ne vedono in maggiore quantità, ma ciò non vuol dire che non si possano riscon- trare in qualunque parte della cellula. È però vero che alla periferia della cellula si riscontrano più specialmente sferette piccole e del tutto colorate. Nelle pupe dei giorni successivi le sferette contenenti i corpicciuoli colo- rati divengono sempre meno numerose ed aumentano quelle del tutto colorate e più piccole. Sembra lecito ammettere che tali sferette colorate fuoriescano dalle cel- lule adipose, poichè se ne trovano numerose sparse per il corpo dell'animale; e questa uscita avviene in tal modo che la parete cellulare persiste com- pleta anche quando la cellula è quasi del tutto vuota. Nell’adulto che sta per nascere o che è appena nato, si vedono le cel- lule adipose, specie le cefaliche, quasi del tutto vuote e si mostrano le cavità una volta occupate dalle sferette. Tale fatto osservò anche il Rees, solo che egli naturalmente dice che i vuoti i quali si riscontrano nelle cellule adipose e mostrano come se da queste fossero usciti dei corpi grossi, sono dati dal- l'uscita dei leucociti. Le ultime ad essere esaurite sono le cellule adipose dell'estremo addome, le quali possono persistere perfino in adulti di tre o quattro giorni. Da quanto son venuto finora brevemente esponendo, sembra logico am- mettere che la distruzione delle cellule adipose non avvenga, durante la ninfosi, per mezzo dei fagociti, o che per lo meno questi non sieno a ciò indi- spensabili. Ma su questa, come sopra altre interessanti questioni, ritornerò come ho già detto in seguito. Per ora a me preme solo, associandomi al Berlese, far osservare che i supposti fagociti del Kowalevsky e del Rees nel- l'interno delle cellule adipose, non debbono essere considerati tali e che quindi la distruzione di dette cellule, non avviene nel modo dal Rees descritto. Come si comportino i fagociti e come si compiano molti fenomeni che avvengono durante la ninfosi di tali insetti, dirò un’ altra volta. =. Id Fisiologia. — Studi sulla composizione della placenta. — l'omponenti solidi e liquidi, sostanze organiche, materie estrat tive ed albununose della placenta (). Nota I del dott. V. GraNDIS, presentata dal Socio LUCIANI. Non esiste finora alcuno studio che ci indichi, sia pure in modo molto generale, quale sia la composizione chimica della placenta (2). È difficile il rintracciare quale possa essere la causa di questa lacuna, così vasta e pro- fonda, nella conoscenza di una delle più importanti fasi della vita degli ani- mali superiori. Forse vi ha contribuito non poco la credenza generale, fino a pochi anni addietro, che la placenta fosse da ritenersi come un semplice mezzo di comunicazione destinato a mettere in rapporto l’'ovo, in processo di svi- luppo, con il corpo della madre, che lo ha generato e che lo ospita. Questa credenza deve certamente aver prodotto la persuasione che l'importanza della placenta, nel periodo fetale della vita di un organismo, fosse ad un dipresso uguale a quella delle pareti dei vasi sanguigni per la vita dei diversi organi, che costituiscono un organismo vivente, cioè un'importanza d'indole pura- mente meccanica. A dare maggior fondamento a questo modo di pensare stava il destino serbato a quest’ organo sulla fine del periodo della vita fetale; nulla più facile che attribuire un'importanza secondaria ad un organo, il quale, in un dato momento, diventa cosa tanto inutile che viene spontanea- mente eliminato, quasi come un prodotto di escrezione, senza che perciò ne risenta alcuna influenza l'organismo che lo ospita, o quello cui serviva quasi di mezzo di appoggio nel periodo di maggior debolezza. I numerosi studî morfologici sulla struttura della placenta, seguiti a quelli magistrali di Er- colani, cominciarono a dimostrare che la placenta non deve considerarsi sola- mente come un organo di relazione, perchè ha una struttura propria, ben caratteristica, ed è per la massima parte costituita da un tessuto altamente differenziato, come è il tessuto epiteliale, e non da semplice tessuto connet- tivo, come sono tutti gli organi, cui spetti solamente una funzione meccanica. Guidato dalle mie ricerche sulla respirazione, comunicate in due precedenti (!) Laboratorio di fisiologia della Facoltà di Medicina di Buenos-Aires. (2) Stavo raccogliendo i risultati di queste ricerche eseguite nel laboratorio di fisio- logia della facoltà medica di Buenos-Aires, durante l’anno 1899, quando venni a cono- scere che il dott. P. Sfameni aveva contemporaneamente studiato lo stesso argomento nella clinica ostetrica dell’ Università di Pisa. Sono lieto di constatare che i nostri studî abbiano condotto a risultati concordanti. P. Sfameni, Sulla composizione chimica della placenta e del sangue fetale, Annali d'Ostetricia e Ginecologia, n. 11, 1899. POPPA — 171 — note, a ricercare come si facessero gli scambî gazosi tra la madre ed il feto, e se la placenta rappresentasse per il feto un organo analogo a quello che sono i polmoni per la respirazione dell’ organismo completo, mi trovai dinnanzi alla lacuna più completa, tanto dal punto di vista funzionale, quanto da quello della sua composizione chimica, che col primo deve, come in tutti gli altri organi, essere strettamente cornesso. Intrapresi perciò una lunga serie di ricerche di analisi, qualitativa e quantitativa, sulla composizione della pla- centa. La lunghezza e la difficoltà dell'impresa mi consigliano a frazionare la pubblicazione dei risultati in varie note, a misura che le determinazioni eseguite hanno raggiunto un grado di sviluppo tale, da poter costituire un capitolo più o meno indipendente. In questa prima nota mi occuperò pertanto delle determinazioni più generali, riguardanti le grandi categorie di sostanze, che concorrono a costituire gli organi; analizzerò in successive note i varî composti costituenti queste categorie, ed è mia intenzione raggrupparle, se sarà possibile, seguendo la loro destinazione anabolica e catabolica rispetto all'organismo fetale, di cui rappresentano probabilmente nella placenta come i magazzini dell’'amministrazione generale. Le placente mi venivano fornite, allo stato della maggior freschezza pos- sibile, dalla clinica ostetrica della facoltà medica di Buenos-Aires. Dopo essere state subito e rapidamente liberate dalle membrane e dal cordone, dopo aver fatto sgocciolare tutto il sangue possibile, venivano pesate. Quindi erano rapidamente triturate in un ordinario trita-carne e la poltiglia risul- tante veniva divisa in differenti porzioni. Per la determinazione rispettivamente delle sostanze solide e delle ceneri si adopravano quantità variabili da 45 a 70 gr.Il residuo veniva adoperato per il dosamento delle sostanze estrattive. Colla semplice spremitura è sempre impossibile liberare completamente la placenta da tutto il sangue, che essa contiene nelle innumeri diramazioni vasali di cui è ricca. Premendomi conoscere come il sangue, che rimane nei capillari e nei piccoli vasi, moditicasse la composizione del tessuto pla- centare, ho fatto alcune determinazioni su placente previamente lavate con una soluzione fisiologica di cloruro di sodio, che facevo circolare nei vasi per mezzo d'una canula introdotta nella vena ombellicale. Mentre la soluzione fisiologica circolava esercitavo il massaggio manuale della placenta, e, in questo modo, con due litri di soluzione fisiologica, si giungeva ad ottenere una lava- tura completa tanto che la superficie placentare assumeva un colore bianco giallastro, con una tendenza appena percettibile al roseo. Il liquido di lava- tura veniva conservato e studiato a parte. Determinazione dei componenti solidi e liquidi. — La porzione di polpa placentare destinata a questa determinazione veniva pesata in una capsula accuratamente tarata e posta in una stufa regolata a 110° C, dove lasciata finchè avesse peso costante, veniva ripesata, e poscia incinerita len- tamente in una muffola, finchè le ceneri avessero perduto ogni traccia di . RENDICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 25 — 172 — carbone; le ceneri poi erano lasciate raffreddare sopra acido solforico e pesate. Generalmente le ceneri assumono un colore più o meno intensamente azzurro analogo a quello del fosfato di ferro calcinato. Nella seguente tabella sono raccolti i risultati di queste prime deter- minazioni. Componenti solidi e liquidi della placenta. Peso Residuo secco Acqua | Ceneri totale Quantità |—_————- 0 a, della esaminata | SSOLVAZIONI placenta totale | ©/, totale °/o | totale | ©/, 178,20 45,28 6,8665 [15,16 38,4135 | 84,83 | 0,4365 |0,964 567 56,915 9,9545 [17,49 46,9605 | 82,50 | 0,5734 |1,007 462 67,566 |11,238 |16,63 |56,328 | 83,86 | 0,6658 0,985 457 68,737 | 7,699* |11,20*| 61,038* 88,79* 0,5466*|0,795*|Questa placenta fulavata con 2000 c. c. di soluzione di 478 76 10,44 |13,73 | 65,56 | 86,26 | 0,6198 {0,816 NaCl a 0,75 0/0. 354 51 8,916 |17,47 | 42,084 | 82,509| 0,814 |1,596 Valori medî . |16,09 | 83,89 1,073 Risulta da questi valori che la placenta si deve considerare come uno degli organi più ricchi di acqua, anche più dello stesso sangue, per il quale si danno valori, che oscillano tra il 77 ed il 78 °/. I risultati delle mie determinazioni sono concordi con quelli delle deter- minazioni più numerose eseguite dallo Sfameni in ciò che riguarda la quan- tità d’acqua e di residuo secco, discordano invece per quanto riguarda la determinazione delle ceneri; io credo si debba attribuire la differenza al dif- ferente modo di determinazione impiegato. Lo Sfameni scaldava le sue ceneri in crogiuolo di platino, sopra un becco Bunsen, fino ad ottenere una parziale fusione delle ceneri stesse, è probabile che a questa temperatura si producono volatilizzazioni di alcune sostanze; ritornerò sopra questo fatto nella pros- sima nota, dove tratterò dell'analisi delle ceneri della placenta. Io non ebbi a mia disposizione tutte le comodità, di cui poteva disporre lo Sfameni nella clinica ostetrica di Pisa, mi fu quindi impossibile determi- nare l'influenza che il sesso del feto esercita sulla composizione della pla- centa, come pure non mi fu dato determinare il rapporto, che corre tra la composizione del sangue fetale e quella della placenta. Indirettamente tentai di ovviare a questi difetti, studiando le variazioni, che una lavatura con solu- zione fisiologica di cloruro di sodio fa subire alla composizione della placenta. Paragonando i valori ottenuti dall’ esame della placenta lavata con quelli delle placente normali, si vede che il residuo secco della placenta lavata non solo è di gran lunga inferiore alla media ottenuta nelle placente libe- x rate dal sangue colla semplice spremitura, ma è pure inferiore ai valori — 173 — minimi ottenuti dalle placente normali. Il residuo secco della placenta lavata rappresenta il 69,6 °/, del residuo secco delle placente normali. La diffe- renza è troppo grande perchè si possa ascrivere tutta alla mancanza del sangue. La differenza relativamente piccola, che esiste tra la quantità per- centuale del residuo secco del sangue e quello della placenta, renderebbe necessario ammettere presente nelle placente normali una quantità di sangue superiore al peso della placenta stessa, perchè potesse far subire un tale aumento alla quantità percentuale di residuo secco. Credo perciò sia assai più logico l’ammettere che colla lavatura siano state esportate una parte delle sostanze solide proprie del tessuto placentare stesso; questo modo di vedere è avvalorato anche dal fatto che la lavatura con una soluzione salina, invece d aumentare le ceneri ricavate dalla placenta lavata, determinò la loro diminuzione, così che, anche per le ceneri, il valore ottenuto è inferiore. non solo al valore medio delle altre placente, ma agli stessi valori minimi che queste presentarono. La quantità di ceneri ricavate dalla placenta lavata rappresenta il 74,09 °/, della quantità media, contenuta nelle placente libe- rate dal sangue colla spremitura. Prendendo in esame nel prossimo capitolo le sostanze estrattive della placenta, ritorneremo sopra l'influenza della lavatura con soluzione fisiolo- gica, per stabilire quali sono le sostanze, che vengono esportate colla lavatura. Determinazione delle sostanze estrattive. — La parte di placenta desti- nata per la determinazione delle sostanze estrattive veniva pesata e poi ripe- tutamente trattata con acqua distillata ad una temperatura oscillante tra i 35° ed i 40° C. La quantità d'acqua adoperata per ogni estrazione era ad un dipresso eguale alla quantità di placenta esaminata e l'estrazione era ripetuta finchè l'acqua d'estrazione rimanesse limpida. Gli estratti, riuniti insieme, venivano dealbuminati coll’ ebollizione dopo averli leggermente aci- dulati con acido acetico. Si separavano le albumine coagulate colla filtrazione su carta. Il liquido veniva evaporato a bagnomaria, poi seccato nella stufa a 110°C fino a peso costante; le albumine coagulate venivano seccate nella stufa, pesate e poi incinerite nella muffola come il residuo secco della placenta, di cul si è trattato nel capitolo precedente. La parte di placenta, che rimaneva insolubile col trattamento ora descritto, veniva ripetutamente trattata con acqua distillata in autoclave alla pressione di due atmosfere, finchè il liquido rimanesse limpido; si riunivano tutte le porzioni, si filtravano a caldo, si eva- poravano a bagnomaria e poi si seccavano nella stufa a 110° fino a peso costante. La parte di placenta, che non era sciolta da questo trattamento, veniva seccata nella stufa a 110° e poi pesata. Così si ottennero i valori raccolti nella seguente tabella. — 174 — Estratto alla temperatura di 359 C Estrazione Peso 7 a Quantità ; Tg totale Materie CHITI] Albumine Estratto presa -| a 2 atmosfere |Residuo insolubile della | E Ceneri di pressione in esame | UCI delle albumine | _______________ placenta totali Og È totali | °/, | totali | ° totale | %/ | totale | %o 178,20) 132,92 | 2,3228 (1,74 | 7,515. [5,65 | 0,078 | 0,058 | 5,2095/3,919| 4,7009/3,53 567 10 8,0895 |1,58 [39.1935 |7,68 | 0,260 | 0,11 17,098 |3,352| 19,430 |3,80 462 394,434 | 8,9915*|2,58*|21,7713*|6,25*| 0,253*| 0,072*| 12,136 [3,076] 13,1925/3,34 4571. 888,263 | 4,978 |1,024| 6,2068 |1,59 | 0,0802| 0,020 | 15,4355 3,975] 193,279 |3,418 2 Soposlevala De 052 1,69 AMA (01025 EIZO A 01 T990t- | 498 5,6075 1137 9,0098 1182 0,1352 0,27 22.5275/ {5.69 22,3948 454 403 303 5,459 |1,801|12,8865 |4,252| 0,1530| 0,050 | 12,9505|4,27 11,3975|3,76 Valori medî esclusi quelli delle placente lavate . (1,925 5,188 0,072 3,654 3,607 Osservazioni. I numeri segnati con * indicano risultati di determinazioni fatte su gr. 348 di placenta. i Le placente del peso di sr. 457 e 5331 vennero lavate con 2000 c. e. di soluzione fisiologica di Na CI. I numeri sottolineati rappresentano la quantità °/, di placenta dopo la lavatura, i superiori la quantità °/, della placenta pesata allo stato normale dopo la semplice spre- mitura. Appare da questa tabella che la massima parte dell'estratto acquoso, otte- nuto alla temperatura di 35°-40° C, è costituita dalle sostanze albuminose ed una piccola parte soltanto è fatta dalle sostanze estrattive propriamente dette. Queste rappresentano solamente il 24,9 °/, di tutte le sostanze esportate colla estrazione. Mentre colla lavatura le sostanze estrattive vengono modificate in modo che esse rappresentano il 53,9 °/, della quantità, che si riscontra nelle pla- cente normali, le sostanze albuminose, che passano nell’ estratto acquoso, subi- scono, per azione della lavatura con soluzione fisiologica di cloruro di sodio, una diminuzione tale che le riduce a rappresentare solamente il 28,3 °/, della quantità, che si può estrarre dalle placente normali spremute meccanicamente per liberarle dal sangue di cui sono imbevute. Mi pare interessante rivolgere l’attenzione alle ceneri, che rimangono impigliate e forse formano parte integrante delle albumine esportabili col- l estrazione. Nelle placente normali le ceneri costituiscono il 0,072 °/, del peso della placenta, nelle placente lavate al contrario rappresentano il 0,022 °/o, cioè queste formano il 30,5 °/ di quelle, vale a dire che la lavatura esporta di preferenza le sostanze albuminose meno ricche di sali, perchè la diminn- — 175 — zione da esse sostanze subìta in causa della lavatura è 2,2 °/ superiore alla diminuzione subita dai sali che in esse sono contenuti o da esse sono tra- scinate, pare quindi che le albumine meno ricche di sali siano le più solubili nella soluzione di NaCl. Ho fatto l’ estrazione con acqua alla pressione di 2 atmosfere per deter- minare la quantità di collagene, che potesse essere presente nella placenta, dove la sostanza connettiva parrebbe dover essere relativamente abbondante. Questo trattamento esportò una quantità considerevole di sostanza, la quale non presentò però mai i caratteri della gelatina e neppure mostra contenere sostanze albuminose coagulabili col calore in reazione acida. Ritornerò con un'apposita nota a studiare le proprietà di questo estratto ; per ora mi piace far notare oltre la sua quantità, che è indizio dell’ impor- tanza delle sostanze che lo compongono, il fatto che esso non è punto influen- zato della lavatura fatta subire alla placenta, difatti nelle placente lavate la quantità percentuale di queste sostanze corrisponde ai massimi ricavate dalle placente normali. Così pure non è influenzata dalla lavatura la quan- tità di sostanza, che rimane insolubile dopo tutti questi trattamenti, e che forma anch’ essa una quantità considerevole della massa placentare, eguale presso a poco alla quantità di sostanza solubile in acqua a pressione. Con un esame generale delle due tabelle sopra riferite, si vede che le sostanze albuminose solubili delle placente non lavate costituiscono la parte più abbondante del residuo secco, cioè il 85,9 °/,: nelle placente lavate al contrario rappresentano soltanto il 14,6°/,. Questa grande differenza dimostra la necessità di eliminare il sangue prima di determinare la composizione di quest'organo, soprattutto se si vogliono avere dati riferibili alle sostanze albuminose, che entrano nella sua composizione. Non sarà fuor di proposito esaminare qui i risultati ottenuti dall'esame del liquido estratto colla lavatura della placenta. Il liquido era lasciato in riposo per 24 o 48 ore in modo che i globuli rossi sedimentassero, quindi veniva decantato. 1 globuli erano lavati con la stessa soluzione fisiologica di NaC1, lasciati nuovamente sedimentare e quindi studiati separatamente. Sì dosava la quantità di albumina precipitabile col calore in reazione acida e le ceneri, tanto dei globuli quanto del liquido, che rappresenta una soluzione del plasma sanguigno. Questa determinazione fu fatta sopra due placente ed i risultati ottenuti sono ì seguenti : LIQUIDO GLOBULI Peso |‘ | 111—1__Ctftfòòà--- Pai della Albumine secche Ceneri Albumine secche Ceneri piacenta = ° ide lil =. totali | °/o | totali | © | totali | | totali | °/o _— ‘I | [DDITilrlC-.r *—- ___———_._———r r.r_rrrrrrrrrTrrrrrrPPuguI1l19I991ll. 457 | 9,898 | 2,16 0,293 [0,064] 10,945 | 2,389] 0,1141 |0,024 493 | 6,7667 | 1,37| 0,084 [0,017] 7,829 | 1,58] 0,084 |0,017 — 176 — In ragione della grande variabilità cui va soggetta, per molteplici cause, la quantità di sangue che può restare nella placenta, non si possono attendere cifre molto concordanti nella quantità di albumine, che si possono estrarre lavando con soluzione fisiologica. Queste ultime determinazioni sono desti- nate soltanto ad indicare se la grande diminuzione nelle albumine dell'estratto in H:0, che abbiamo trovata nelle placente dopo la lavatura, fosse realmente tutta dovuta alle albumine del sangue esportate colla lavatura stessa, o se si dovesse ascrivere anche a perdita, che la lavatura determinasse nelle albumine proprie del tessuto placentare. A ciò serve molto bene la determi- nazione separata delle albumine del plasma e dei globuli. Prendendo come base la quantità di sostanza albuminosa secca, che ci indica la quantità dei globuli presenti nella placenta, prima della lavatura, e pur facendo il debito conto di tutte le mumerosissime cause d'errore, dovute all’ impossibilità di una separazione quantitativamente completa dei globuli stessi del plasma, la quantità di albumine secche presenti nel plasma non sta in rapporto colla quantità di albumine ricavate dai globuli, ma è più grande. Secondo Hoppe-Seyler l’ emoglobina costituisce il 90,5°/, di tutte le. sostanze organi che del sangue, la determinazione da noi riferita sopra invece dice che una metà soltanto delle albumine secche era dei globuli. Quindi si deve realmente ammettere che la lavatura, sebbene fosse fatta con soluzione fisiologica di cloruro sodico, agisce non soltanto meccanicamente, ma anche come solvente di una parte delle sostanze albuminose proprie del tessuto placentare. Queste ricerche, quantunque elementari, valgono tuttavia a dimostrare che la placenta contiene sostanze albuminose facilmente diffusibili, le quali possono essere esportate in quantità considerevole da un liquido fisiologico, circolante nei suoi vasi. La natura speciale del liquido adoperato permette poi di consi- derare come cosa molto probabile, che questa cessione avvenga normalmente in modo continuo, e rappresenti una funzione speciale della placenta. Diranno le ricerche ulteriori se le sostanze albuminose cedute sieno ela- borate nella stessa placenta o se provengono dalla madre. Biologia. — £' innesto delle ovaia, in rapporto con alcune questioni di biologia generale. Nota preliminare di CarLO Foà, presentata dal Socio A. Mosso. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 177 — Fisiologia. — L'azione della chinina sulle semilune. Nota del dott. F. GuaLDpI e del dott. F. MARTIRANO, presentata dal Socio GRASSI. Essendo i sali di chinina, allo stato attuale, l’ antimalarico più efficace e potremmo dire esclusivo, ci parve interessante di constatare se la loro efficacia parassiticida specifica si esercitasse anche sulle semilune in modo da distruggerle o almeno, ciò che più importa, impedirne lo sviluppo nell’ in- testino degli anopheli, propagatori della malaria. È evidente che nel caso affermativo i sali di chinina si sarebbero dovuti considerare non solo come il più efficace mezzo curativo delle febbri malariche, ma anche come un poten- tissimo mezzo profilattico, operando la disinfezione completa del sangue dei malarici i quali com’ è noto, per mezzo appunto di tali gameti, costituiscono l’unica sorgente del contagio nelle stagioni estiva ed autunnale. Tre serie di esperimenti furono fatti durante i mesi di agosto e di set- tembre 1899 nell'ospedale di S. Spirito su tre malarici che ebbero per molti giorni il sangue ricco di semilune. Parecchie altre esperienze isolate furono fatte su molti malarici, i quali si presentarono alla nostra osservazione con semilune nel sangue circolante. Ecco il riassunto delle nostre esperienze : I. GiovaNNI PARIS di anni 49, bracciante. Ebbe febbri nello scorso anno, durate 11 mesi; ora ha febbri da 5 giorni, e non ha ancora preso chinino. Viene ricoverato all'ospedale il 15 luglio. All'esame obbiettivo si trova : Febbre a 38,5, tumore splenico. Nulla di anormale a carico degli altri or- gani. L'esame del sangue a fresco dà: parassiti malarici piccoli, anulari, senza pigmento in discreto numero. Dal 15 al 21 luglio l’'infermo ha sempre febbricitato e nel sangue si sono costantemente rinvenuti i parassiti. Lo stato generale, il polso, le urine non presentano nulla di notevole. Non fu somministrato chinino. Il 21 lu- glio comparvero le semilune nel sangue circolante. Fu cominciata la som- ministrazione del solfato di chinino per bocca il 22 alla dose di gr. 1,50 e fu proseguita sino al 7 di agosto alla dose di gr. 1,00 al giorno. Fu anche data la mistura del Baccelli. Durante questo tempo si ebbe apiressia. L'ap- petito e le forze ritornarono. Costantemente si rinvennero semilune nel sangue, anzi esse crebbero dal 21 al 26. Negli ultimi 4 giorni di luglio e nei primi 5 giorni di agosto, fu fatto pungere da un discreto numero di Ampheles claviger nati nel laboratorio del prof. Grassi. L'infermo veniva esposto alle punture dopo 1 o 2 ore dalla — 173 — somministrazione del chinino per essere certi che il farmaco fosse in circo- lazione. L'esame delle urine confermava del resto la nostra supposizione. Esaminati gli anopheli dopo 4 giorni durante i quali erano tenuti alla tem- peratura ambiente si ebbero questi risultati. Nell'intestino di quelli che avevano punto negli ultimi 4 giorni di luglio non si trovò nessun zigote in via di sviluppo. Invece fra i 20 anopheli che avevano succhiato sangue nei primi 4 giorni di agosto se ne trovarono 4 infetti con scarsi zigoti nell'intestino. Il malato continuò ad essere tenuto in osservazione sino al 15 agosto, ma non gli fu dato più chinino nè mistura di Baccelli. Le condizioni gene- rali erano ottime, ma il sangue era sempre ricco di semilune. Non si ebbero più accessi febbrili. Dal 7 al 10 fu nuovamente esposto alle punture degli anopheli, i quali esaminati dopo 4 giorni si trovarono infetti nell’ intestino, nella proporzione di 1 su ò. Il 16 agosto l’infermo lasciò l'ospedale apparentemente guarito dall’ in- fezione malarica. II. Gori Francesco di anni 16, bracciante. Contrasse febbri malariche nell'ottobre dello scorso anno e ne rimase sofferente per tutto l'inverno. Ora ha febbri da 5 giorni (23 luglio 1899). Non ha preso chinino. Costi- tuzione e stato generale eccellenti; tumore splenico notevole. Urine normali. Nel sangue si trovano scarse forme anulari senza pigmento. Non si sommi- nistra chinino sino al giorno 25. Dal 26 comincia ad essere dato 1 gr. di chinino al giorno per bocca. Il 29 si trovano nel sangue numerose se- milune. Dal 1° al 6 di agosto, avendo sempre il malato semilune in circolo fu esposto alla puntura di numerosi amopheles claviger nati nel laboratorio del prof. Grassi. Alcuni amopheles furono tenuti alla temperatura ordinaria ed altri in un termostato a 21°. Esaminati successivamente dopo 4 giorni i primi e dopo 8 i secondi, si trovò che ambedue le serie erano molto in- fette nell'intestino nella proporzione di 3 su cinque. Il malato fu ancora tenuto in osservazione sino al 31 agosto, sottoposto sempre alla cura chi- nica, la quale dovette farsi anche più intensiva a causa delle recidive della febbre. Dal 12 al 31 agosto non si videro più semilune in circolo. III. TuLLi RAFFAELE di anni 54 contadino. Non ha prima d'ora sofferto di febbri malariche. È malato da due mesi ed ha preso pochissimo chinino. L'esame obbiettivo dà i seguenti risultati. Notevole tumore splenico. Or- gani toracici sani. Costituzione e stato generale soddisfacenti; febbre mo- derata (39°). Esame del sangue: Discreto numero di anule apigmentifere, endoglo- bulari, parecchie semilune. DE — Il 19 settembre, prima di cominciare la cura chinica, fu esposto alla puntura di molti anopheli. Il 20 furono dati gr. 2,80 di solfato di chinino per bocca e fu fatto pungere da anopheli. Dal 21 al 23 fu dato 1 gr. 50 di solfato di chinino per bocca e fu sempre punto da numerosi anopheli. Dal 24 al 28 fu abbassata la dose del chinino ad 1 gr. pro die e fu sempre esposto alle punture delle zanzare. Durante tutti questi giorni l'infermo rimase sempre apirettico ed in ottime condizioni generali. Le semilune circolarono sempre numerose nel sangue. L'infermo veniva sottoposto alle punture due ore circa dopo che il farmaco era stato somministrato, e la sua presenza constatata nelle urine dimostrava che esso circolava col sangue. Le zanzare vennero tenute alla temperatura ambiente che oscillò fra i 20° e i 24° e furono successivamente esaminate dopo 4, 6 giorni da che avevano punto. Quasi tutte divennero infette, ma in grado molto variabile. Mentre nell'intestino di alcune si trovarono 2 0 3 zigoti, in quello di altre se ne trovarono parecchie diecine. Non si trovò nessuna differenza di sorta fra quelle che avevano punto prima di comin- ciare la cura e quelle che avevano punto dopo. Gli zigoti trovati nell’ inte- stino delle zanzare che avevano succhiato sangue contenente chinino erano ugualmente bene sviluppati che quelli provenienti dal sangue completamente privo dell’alcaloide. L'infermo fu tenuto in osservazione sino ai primi di ottobre e presentò sempre semilune nel sangue. Fu dimesso in stato di salute apparentemente ottimo. Furono fatti parecchi altri esperimenti su malarici semilunari venuti all'ospedale con sintomi gravissimi e che furono curati con le iniezioni endo- venose di chinino, 6 perciò in condizioni di contenere sicuramente una quan- tità determinata di alcaloide nella massa sanguigna. I. PompiLio Mancini di anni 16, che non aveva mai sofferto febbri prima di questo anno, fu in seguito ad una gita in Ostia, colpito da grave infezione per cui venne portato all'ospedale in istato comatoso. Nel sangue si rinvennero semilune ed emobe endoglobulari. Fu som- ministrato il chinino per via endovenosa e fu poco dopo esposto alla pun- tura di parecchi anopheli. Altri anopheli furono messi a suggere dopo circa S giorni, durante i quali il paziente aveva preso costantemente 1:gr. di chi- nino pro die; si trovarono infetti gli anopheli nella proporzione di uno su tre, con zigoti a vario stadio di sviluppo proporzionali al numero dei giorni tras- corsi dal momento della puntura a quello in cui venivano esaminati. II. FantINI PretRo di anni 14, campagnolo, viene portato all'ospedale il 14 agosto in coma. L'esame del sangue rivelò una infezione malarica RenpIcontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 24 — 180.—- doppia, estiva e terzanaria. I gameti erano peraltro in quantità così scarsa da non poterne constatare la presenza in due preparati a fresco. Fu sommi- nistrato il muriato di chinina alla dose di gr. 2,00 per via ipordemica. Dopo due ore fu fatto pungere da anopheli nati in laboratorio e tenuti in un termostato a 21°. Dopo 8 giorni vengono esaminati e si trovano molto infetti. Detti anopheli lasciati alla temperatura ambiente di 26°, 28° si tro- varono infetti in pari numero e in pari grado. Per amore di brevità tralasciamo di ripetere altri esperimenti che hanno dato tutti risultati conformi ai precedenti. Le conclusioni che si possono trarre dalle precedenti esperienze sono queste : 1°. { sali di chinina somministrati alla dose di gr. 2,50 per una volta sola, e a quelle di gr. 1,50 e 1,00 per molti giorni di seguito non fanno scomparire le semilune dal sangue circolante. La cura chinica per quanto intensa se cominciata dopo parecchi attacchi febbrili non previene la formazione delle semilune, e quindi si dimostra inutile dal punto di vista della contagiosità della malattia. Da molte altre esperienze invece ci risulta che quando i sali di chinina vengono dati al primo attacco febbrile, le se- milune non compaiono nel sangue circolante. Marchiafava aveva molto prima di noi dimostrato tutto ciò, ma abbiamo voluto richiamare l’attenzione su questi fatti perchè ora si dà alle semilune una importanza che prima non si dava. 9°. La seconda conclusione d' importanza pratica grandissima è che il chinino circolante nel sangue a quelle dosi che sono sufficienti a distrug- gere i parassiti ameboidi, non riesce ad uccidere le semilune e quindi ad impedirne lo sviluppo nel corpo delle zanzare. E sebbene non avessimo se- guito i parassiti sino nelle glandole salivari degli insetti, non dubitiamo che tutti quei corpi da noi veduti nell’ intestino non avrebbero finito coll’ infet- tare anche le suddette glandole perchè gli stadî di sviluppo da noi studiati nelle zanzare che avevano succhiato sangue con chinino per nulla differivano da quelli che si ottennero nelle zanzare che pungevano i malati prima della cura. I sali di chinina quindi sono attivi solo contro le forme ameboidi del parassita, le quali forme finiscono colla sporulazione nell’ interno dell'orga- nismo. Le forme parassitarie che assicurano la vita del germe nel corpo delle zanzare sono refrattarie al chinino. 3°. I sali di chinina finalmente non abbreviano sensibilmente quel periodo di tempo durante il quale le semilune circolano nel sangue, dopo cessati i parossismi febbrili, e che rappresenta il periodo contagioso della malattia. Non abbiamo intrapreso esperienze sistematiche per vedere se queste conclusioni sono applicabili nelle infezioni da terzana e quartana comuni. — Bl In quel caso in cui si trattò di una infezione mista parve che nell'intestino degli anopheli si fossero sviluppati tanto zigoti terzanarî quanto zigoti estivi, ma non potremmo con sicurezza affermare se la distinzione delle due specie sia tale da togliere ogni dubbio. È certo che le dosi terapeutiche di chinina somministrate in qualche caso d’ infezione terzanaria in cui il sangue era molto ricco di parassiti, fecero scomparire rapidamente tutte le amebe dal sangue circolante. Il fatto merita di essere meglio studiato e sopratutto bisogna scegliere per le esperienze quei terzanarî o quartanarî nei quali può essere dimostrata la presenza delle forme gametiche in circolo, il che allo stato attuale è tutt'altro che facile, specialmente nella quartana. Risultando quindi i sali di chinina antimalarici incompleti, nel senso che non purificano completamente l'organismo in modo da impedire la tras- missione dell’ infezione da uomo ad uomo per mezzo degli amopheles, ci siamo proposti di studiare alcune altre sostanze con la speranza che, riu- scendo nell’ intento, venga di molto semplificato il problema della profilassi della malaria. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLaserNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci DaRBOUX, DARWIN, Hucains, KOLLICKER, e dai signori OpponE, Bonci, CANEVARI, ROMITI, De Toni, BREDICHINE, SARS. CORRISPONDENZA Il Segretario BLAsERNA presenta una copia della medaglia coniata in onore del Socio straniero prof. Stokzs, e inviata in dono dalla Università di Cambridge. i Il Segretario BLasERNA presenta un piego suggellato, inviato dal sig. A. Vicini perchè sia conservato negli Archivi accademici. Lo stesso SegRETARIO dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; l'Accademia delle scienze di Cracovia; la Società di scienze naturali di Buffalo; la Società di scienze naturali di Emden; il — 182 — Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; la R. Scuola Navale superiore di Genova; l' Osservatorio astronomico di Arcetri; il R. Osserva- torio di Vienna; 1’ Osservatorio meteorologico del Monte Bianco. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La R. Accademia delle scienze di Stockholm; l'Associazione britannica per l'avanzamento delle scienze; l’ Istituto Geografico militare di Firenze. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 marzo 1900. Baggi V. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Disp. 67. 68. Torino, 1900. 8°. Bonci E. — Ombre lineari dei disegni geometrici. Camerino, 1900. 8°. Brédichine Th. — Sur les radiants composés (dits stationnaires) des étoiles filantes. St Pétershourg, 1900. 4°. Calandruecio S. — Su alcune inesattezze rinvenute nel Compendio di 200- logia di C. Emery. Catania, 1900. 8". Coltivazione (Sulla) del tabacco in Italia. Lettera aperta dei coltivatori della Val di Chiana a S. E. il Ministro delle Finanze. Firenze, 1900. 8°. Darboux G. — Sur la déformation des surfaces du second degré. Paris, 1900. 4°. Darwin G. H. — The Theory of the Figur of the Earth carried to the second order of small quantities. London, 1899. 8°. Della Riccia A. — Studio sui parafulmini. Roma, 1899. 83°. Del Zanna P. — 1 fenomeni carsici nel bacino dell’ Elsa. Roma, 1899. 8°. De Toni G.B. — Frammenti Vinciani. IV. Osservazioni di Leonardo intorno ai fenomeni di capillarità. Pavia, 1900. 8°. Hellmann G. — Regenkarte der Provinz Ostpreussen. Berlin, 1900. 8°. Huggins W. — An Atlas of representative Stellar Spectra. London, 1899. 4°. Kélliker A. — Sur l’entrecroisement des pyramides chez les marsupiaur et les monotrèmes. Paris, s. a. 8°. Id. — Ueber das Chiasma. Jena, 1899. 8°. Mascareîas E. — El aire liquido. Conferencia. Barcelona, 1900. 8°. Oddone E. — Determinazione degli elementi del magnetismo terrestre a Pavia nel 1898. Milano, 1899. 8°. Id. — Discussione sul potenziale elettrico nell'aria. Pisa, 1899. 8°. Id. — Due stazioni con misure assolute degli elementi del magnetismo terre- stre in Canavese nell’anno 1898. Torino, 1399. 8°. Id. — Sulle registrazioni sismiche di periodo lento. Modena, 1899. 8°. Romiti G. — Necrologia di Giovanni Zoia. Firenze, 1900. 8°. — 183 — Romiti G. — Sul distacco della placenta nella donna. Pisa, 1599. 8°. Id. — Sull’' anatomia dell’ utero gravido. Firenze, 1899. 8°. Sars G. O. — An Account of the Crustacea of Norway. Vol. III « Cumacea » part. 3-4. Bergen, 1900. 8°. Tietze F. — Contributo all’acarologia d’ Italia. Padova, 1899. 8°. Id. — Due cranî scafoidei. Idee sulla scafocefalia. Padova, 1899. 8°. Tommasi A. — La fauna dei calcari rossi e grigi del Monte Clapsavon nella Carnia occidentale. Pisa, 1899. 4°. PB. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI LS Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1900. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Complementi al teorema di Malus-Dupin. Nota I di T. Levi-CrvitA, presentata dal Socio V. CERRUTI. È ben noto che, se ad una congruenza normale di raggi si fa subire un numero qualunque di rifrazioni (o in particolare di riflessioni), si ottiene ancora una congruenza normale. La normalità è dunque un carattere delle congruenze rettilinee invariante di fronte a quante si vogliono rifrazioni. Vedremo che è anche l'unica proprietà invariantiva. Mi propongo infatti di mostrare che due congruenze di rette (normali entrambe o non-normali) sono sempre deducibili l'una dall'altra con un numero finito di rifrazioni. Più precisamente per le congruenze normali basta una rifrazione, per le altre ne occorrono in generale due. Gli indici di rifrazione si possono assumere ad arbitrio, in particolare eguali a —1, il che corrisponde a riflessioni. Le superficie rifrangenti deb- bono soddisfare a certe condizioni differenziali. La esistenza di tali superficie e il grado di generalità si desumono dai teoremi fondamentali della teoria delle equazioni. Così per es. la superficie di passaggio fra due congruenze normali rimane determinata, quando si fissa un punto di essa 0, ciò che è lo stesso, la conti- nuazione di un raggio incidente. Per le congruenze non-normali, si può disporre delle due superficie rifrangenti in modo che co! raggi della prima congruenza si trasformino — Renpiconri. 1900, Vol IX, 1° Sem. 25 — 186 — in oo! raggi, scelti a piacere, della seconda, si corrispondano cioè due rigate e i singoli raggi sopra di esse. 1. Designino 1,243 coordinate cartesiane, X,, X,, X3 funzioni di queste variabili legate dalla identità 3 (1) DI Xj mil; I La congruenza dai (2) i (AMARO) sarà rettilinea, purchè i coseni direttori X; conservino valore costante sopra le singole curve (2), sia cioè dXi SEE —Y ds si Ti dI; X;=0. (f=1,2,3) D'altra parte la (1) porge in ogni caso DG Sedi Da XE_0, (€ —MUR269) 1 onde sottraendo SARTO, dX; pista cl Vs sa) =® CR le quali esprimono che le differenze POR DM DD dE3 de ini d‘3 7 PES dI sono ordinatamente proporzionali a X;, Xs, X3. Rappresentando con A (azor- malità della congruenza rettilinea considerata) il fattore di proporzionalità, potremo scrivere (e \ d4‘3 dI Der SX; dA, LIE — — (3) dI da "i D: MMC, dAI2 dI e ne trarremo per A la espressione x, (Da (P_i (3 (6) A=X:(D + (37 E topi ie 2 DIA — 187 — Deriviamo le (3) rapporto a «1,2, rispettivamente e sommiamo; verrà OTO), 000 dI nie dA‘ n dI3 ra) che si può scrivere dA _ dXa (!). ds “i -A(©° +5 dI D+ ro) Questa equazione rende ragione del fatto geometricamente evidente che una congruenza rettilinea non può essere normale ad una superficie senza esserlo a tutta la famiglia delle superficie parallele. Da essa infatti risulta che, se A si annulla in un punto, rimane eguale a zero lungo tutto il raggio passante per quel punto. Ora, quando una superficie incontra normalmente i raggi di una con- gruenza, dev'essere sopra di essa A =0, e quindi, per l'osservazione fatta, A identicamente nullo. Le (3) ci dicono allora che X,,X,X; sono le derivate di una stessa funzione. Si può aggiungere sà quando questo ha luogo, la congruenza (2) è necessariamente rettilinea. Di quà una nota proposizione di Hamilton (?): Condizione necessaria e sufficiente affinchè una congruenza (2) sia retti- linea e normale è che l’espressione X, dx, + X2 de, + X3 des costituisca un differenziale esatto. 2. Consideriamo la superficie o di separazione di due mezzi ottici. Se — Xx, — X,, — X3 rappresentano i coseni direttori (nel verso di pro- pagazione della luce) di un raggio incidente in 0°, Y,, Y.,Y3 quelli del corrispondente raggio rifratto (sempre nel verso di propagazione), # l'indice relativo dei due mezzi considerati, la normale alla superficie o ha i suoi coseni proporzionali a X1+ xY,, Xx + Yz, X3-+ #Y3. Questo equivale a dire che, per ogni spostamento dx), ds, dxz appartenente a o, dev'essere 3 (5 DX data), iv = 0 see) Toe Ciò posto, date due congruenze rettilinee [C] e [C'] di coseni direttori X; e Y; rispettivamente, si potrà risguardare [C'"] proveniente da [C] per rifrazione d’ indice 7, purchè esista una superficie o, su cui vale la (5). 3 Se le due congruenze [C] e [C"] sono entrambe normali, \ X;dwx;, SENO) (1) Le formole di Ricci conducono più generalmente ad una relazione di questo tipo per le congruenze geodetiche di uno spazio qualunque. Veggasi la recente Nota del signor A. Dall’ Acqua: Ricerche sulle congruenze di curve in una varietà qualunque a tre di- mensioni, Atti del R. Istituto Veneto, 1900. (2) Darboux, Legons sur la théorie générale des surfaces, T. II, pag. 275. — 188 —- 3 DE Y;dx; sono differenziali di due certe funzioni U ed U' e tutte le superficie 1 v della famiglia U + xU' = cost soddisfanno alla voluta condizione. Ne viene che la superficie di separazione dei due mezzi si può imma- ginare condotta per un punto arbitrario dello spazio. Affinchè vi sia corrispondenza biunivoca fra i raggi di [C] e quelli di [C'], bisogna ancora accertarsi che la superficie in questione non consti di raggi di una delle due congruenze, non si abbia cioè né 3 9 MONTI Ne wr d tz (at 2000 all nè diz une 1% )=0. Dovremo perciò escludere quella o quelle superficie U + xU' = cost, per cui eventualmente si avesse — 14 x coso =0, —cosw+4x=0; (desi gnando © l'angolo che formano tra loro in un punto generico le direzioni di propagazione sui raggi delle due congruenze). Va notato dal punto di vista ottico che queste due direzioni devono formare colla normale alla superficie angoli della stessa specie (acuti entrambi od ottusi, secondo la direzione, che si assume come positiva sopra la normale). Questo esige che i due binomi —1- x cosw, — cos + abbiano mede- simo segno, cioè che © non superi il complemento dell'angolo limite. Supposto che le due congruenze [C] e [0] abbiano un raggio g a co- mune (e opposta direzione positiva sopra di esso), l’accennata restrizione è certamente verificata nell intorno di 9g, perchè, sopra g, cosw==1 e i due binomi — 14 x coso, — cosw- 7 riescono eguali. Nel caso della riflessione, ciò ha luogo qualunque sia @, e rimane eccettuato, per quanto si disse, solo il valore @ = 7. Prescindendo dalla ipotesi che le due congruenze [C] e [C'] sieno normali, il primo membro della (5) non è più in generale un differenziale esatto. Esisterà ciò nulla meno una famiglia di superficie o, purchè le X;+- n Y; sieno proporzionali alle derivate di una medesima funzione. Questo porta alla condizione ( 2 2 ?(Ks P cc 4av) (POE) IO) (Xs n pi (X3+ 2Y3) POGtn) Dai) )- Di — 189 — che, introducendo le anormalità A,A' delle due congruenze [C],[C"] e osservando le (3), si semplifica in (6) A4+rA'-n(A+A')coso=0. Se questa non è una identità, potrà esistere al più una superficie rifrangente 0, ecc. Nella (6) abbiamo indiretta conferma del teorema di Malus-Dupin. Constatiamo infatti l'impossibilità di passare con rifrazioni da una congruenza normale ad altra non-normale, o viceversa. E per verità, supposta normale la [C], ma non la [C'], la esistenza di una superficie o esigerebbe n—cosm=0, il che esclude possa esservi corrispondenza biunivoca fra 1 raggi delle due congruenze. Geodesia. — Determinazione astronomica di latitudine e di acimui eseguita a Monte Pisarello nel 1899. Nota del prof. Vix- CENZO REINA, presentata dal Socio CREMONA. Il segnale trigonometrico di M. Pisarello trovasi a circa quattro km. al nord di Anzio, sul culmine di una collina a lento declivio, a poca distanza dal mare. Il segnale, in buono stato di conservazione, è costituito da un grosso pilastro di forma parallelepipeda e dell'altezza di circa due metri, sul quale si innalza il pilastrino di osservazione. Si adoperò l’Universale Bamberg già usato nelle precedenti determina- zioni (!), adottando gli stessi metodi di osservazione e gli stessi procedimenti di calcolo: per maggiori dettagli si rimanda quindi alla sottocitata pubblicazione. Secondo il mio progetto, permettendolo il tempo, le osservazioni avreb- bero dovuto compiersi in sei o sette notti. Quattro notti avrebbero dovuto essere dedicate alla determinazione della latitudine (metodo delle osservazioni cireummeridiane) col seguente programma: 14°. 30" determinazione del tempo 15. 30 osservazioni di a Ursae minoris IO Sil n » $ Ophiuchi 17 ” » e Ursae minoris 17. 58 ” » v Ophiuchi 18. 30 ” » a Ursae minoris LORO 7 » À Aquilae 20 ” » a Ursae minoris 20. 42 ” » e Aquarii 21 ” » a Ursae minoris 21. 30 determinazione del tempo. (1) Determinazioni di latitudine e di azimut eseguite nel 1898 nei punti Monte Mario, Monte Cavo, Fiumicino — Pubblicazioni della R. Commissione Geodetica Ita- liana, Firenze 1899. — 190 — I tempi siderali qui riportati indicano gli istanti medî delle serie di osservazioni progettate, quindi per le Stelle Sud sono dati i tempi del pas- saggio al meridiano. — Da una notte all’altra si sarebbe poi ruotato il cerchio zenitale di 45°. In questo modo, iniziando le osservazioni dopo il calar del sole, esse venivano compiute prima dello spuntar dell'alba, e sì conseguiva per di più il vantaggio di distribuire i puntamenti della Polare sul maggior tratto possibile della sua traiettoria diurna apparente. Le altre due o tre notti dovevano essere destinate alla determinazione dell'azimut della direzione M. Pisarello - M. Cavo, distribuendo i puntamenti della Polare simmetricamente alla sua digressione orientale, allo scopo di eliminare l'errore personale ben noto, proveniente dal senso secondo cui l’immagine della stella perviene al filo collimatore. Disgraziatamente, e contro ogni aspettazione, data la stagione avanzata, le condizioni meteorologiche furono quasi sempre burrascose, tanto che, mentre gli strumenti erano già sistemati sul luogo fino dal 13 giugno, le osserva- zioni non poterono essere compiute che nella notte del primo luglio. Determinazione del tempo. Le correzioni del cronometro Kullberg, a cui serviva di controllo un altro cronometro (Roskell), si determinarono facendo uso dello stesso Uni- versale Bamberg. Si applicò il metodo della osservazione dei passaggi nel verticale della Polare, accoppiando una Stella Sud colla Polare in ciascuna delle due posizioni Cerchio Est e Cerchio Ovest. Gli stati cronometrici ottenuti furono ìi seguenti: 17 giugno 1899 (x Virginis con w Virginis) a 14°. 22% w = — II 05t. 79 TS: PG (ca » y Scorpii ) » 14. 48 > — 11. 03. 47 LO » (6 ” » w Virginis) » 14. 24 > — 11. 00. 97 20» » (& n » y Scorpii ) » 14. 48» — 10. 59. 13 20 » (6 ” » w Virginis) » 14. 24 >» — 10. 56. 90 20000» » (e Ophiuchi » @ Scorpii ) » 16. 18» — 10. 42. 03 28» ». (@ Librae.i my > ) = 14. 51 > — 10. 40. 29 29000 (a » a Serpentis) » 15. 34 >» — 10. 38. 28 SO» » (y Scorpii » # Librae )» 15. 05 » — 10. 36. 71 1 luglio » («@Librae » y Scorpii ) » 14. 51 > — 10. 33. 43 Con queste correzioni vennero determinati gli andamenti giornalieri ed orarî del cronometro. > x (o) E) (se) N — 191 — Determinazione della latitudine. I risultati conseguiti sono riassunti nel seguente specchio. Latitudine Espressioni differenziali (4) (5) 18 giugno 1899. — Z=0° $ 28 | 23 STELLE E È a 28 ea | RO È (1) (2) (3) Ursae minoris . .| 150.49 2 AIONI85 D) ” TRI 5) » ” SI PISA 9 ” ” ..| 19. 54 5) Ophiuchi . . ... — 6 Ophiuchiesse — 6 Aquilae Eno — 4 A\GDENADI (5g o Ob — 5 19 giugno. — Ursae minoris . .| 15°. 049 4 410.128”, ” ” oli La 4 D) ” ARTO, 5) ” DI 1056 8 Oppinchiieooe — 5 Ophiuchiti e — 6 Aula ei — 4 AGQUArI ARA —_ 3 20 giugno. — Ursae minoris . .| 16h. 57m 3 41°, 28”, ” » dd 18. S1 4 Opnuchieeennt | — 6 21 giugno. — Ursae minoris . 152.100 4 41°. 28". » ” duo 15. 41 9 Ophiuchi . .... —_ 6 367. 65 dg = 4+-0.19 des — 0.82 dd” 36. 88 + 0.27 de — 0.54 dd 36. 79 + 0.31 da — 0.21 dd 37. 62 + 0.32 da +- 0.12 dd 36. 44] dp =— 0.05 da 1.00 dd 87. 20 — 0.03 da + 1.00 dd 35. 46 — 0.09 da + 1.00 dd 36. 12 — 0.02 da + 1.00 dd Z= 45° 367.11 dg =-+ 0.14 das — 0.90 do” 87. 41 + 0.17 da — 0.84 dd 35. 02 + 0.27 da — 0.56 dd 35. 46 + 0.32 da + 0.13 dd 35. 56) dp = — 0.09 da -{-1.00 dd 35.09) — 0.14 da + 1.00 dd 34. 88 + 0.03 de +- 1.00 dd 35. 69 -+ 0.03 de + 1.00 dd 4 1902 36”. 53 dp =-+ 0.25 das — 0.60 dd” 36. 14 -|+ 0.31 de — 0.24 dd 35. I7| dp=-+0.01 de + 1.00 dd 41900 357.32] dp=-0.14das— 0.89 dd” 35. 66 + 0.18de — 0.84 dd 34. 25 dp=40.03de +1.00d9 — 192 — È © E .2°E #3 | 853 STELLE E 2 3 55 3 Latitudine Espressioni differenziali 33° | s8 1) Mosto CÒ 0) 27 giugno. — Z= 135° « Ursae minoris . .| 17.13 4 | 41°.28/.377.20| dp =+ 0.27 das — 0.55 dd” a DR BISON 36. 69 4 0.81 de — 0.26 dd ” ” 19. 52 4 36. 55 -— 0.32 da + 0.11 dd » » ‘ 21. 21 4 36. 20 + 0.28 da + 0.49 dd v Ophiuchi . .... — 4 37. 89| dp =— 0.06 da + 1.00 dd 4 Aquilae... ... —_ 5 36. 88 - 0.03 da + 1.00 dd CIA QUALIE ee, = 6 36. 36 — 0.12 da +4- 1.00 dd 1 luglio — Z= 90° « Ursae minoris . .| 15%. 38M | 6 | 410.28.367.46| dp =-+-0.18 das — 0.83 dd” D) ” ..| 17. 14 5) 35. 70 + 0.27 da — 0.54 do © Ophiuchi . . ... _ 6 36. 74| dp =-0.01da +100d0 v Ophiuchi. .... = 5) 86. 26 — 0.05 da +- 1.00 dd In questo quadro con Z si indica il zenit strumentale. Nel ricavare la latitudine dalle singole Stelle, si accoppiarono i valori risultanti dai punta- menti fatti sulla Stella in posizioni coniugate dello strumento. Nella terza colonna sono appunto registrati i numeri di queste doppie osservazioni: i valori della quarta colonna dànno le medie delle doppie osservazioni. Le espressioni differenziali, che esprimono la dipendenza dei valori trovati per la latitudine da eventuali variazioni delle posizioni apparenti delle Stelle (ricavate esclusivamente dal Berliner Astronomisches Jahrbuch) si calcola- rono colle note formole. Per la Polare si introdussero in calcolo i tempi riportati nella seconda colonna: per le Stelle Sud si effettuò invece il calcolo in corrispondenza a ciascun puntamento, prendendo poi la media delle espres- sioni risultanti. I precedenti risultati sono ancora riassunti nel seguente specchio. Zenit g ES Latitudine media DATA strumen- STELLE = È Latitudine per ciascuna notte tale gici Hi di osservazione (1) ) 8) (4) 6) 6) | | Polare 15 | 41°.28/.37”. 08 Ì 18 gi IIS OORE 0° 41°, 28”. 36”. 73 SEO ( Stellesud | 21 36. 39| i 19 si a (| Polare 21 35. 85 ) SB ino | Stellesud | 18 35. 55) n J a 36. 14 Stelle sud 6 5 On) Polare 7 39. 47) 21 D ao DO 84. 86 Regia ( Stellesid | 6 34. 25) i 27 E sg ioti qgso | Polare 16 36. 64 ) SGUITO (Stelle sud 15 36. 814 agio Pelasan id Sr 36. 32 | Stellesud | 11 36. 52) Combinando i valori della penultima colonna sì ha: Dalla Polare p= 41° 28'36”30 (media di 77 doppie osservazioni) Dalle Stelle sud 3004097 (85 pi” ” ) Si ottiene quindi il risultato finale Latitudine astronomica di M. Pisarello (Centro del segnale) p= 41° 28' 367 20 = 0" 07 (Epoca 1899,48). Determinazione dell’azimut della direzione M. Pisarello-M. Cavo. Centrato 1’ universale Bamberg sul segnale, si fece collocare a M. Cavo (fuori centro) quello stesso apparato diottrico per segnalazioni notturne, che già si era impiegato nelle operazioni di Fiumicino, e che venne riottenuto a prestito dall’ Ispettorato delle truppe del Genio. La distanza di questa Mira risultava di 31563 metri. Il metodo di osservazione fu quello della misura ripetuta dell’ angolo fra la Mira e la Polare, distribuendo le determinazioni in serie di quattro ciascuna, due fatte in una posizione e due nella posizione coniugata dello strumento, secondo lo schema Oculare a destra VW ID, ID AE ” » sinistra M, P, P, M. Si aveva così il modo di ricavare la costante di collimazione separata- mente dalle letture fatte sulla Mira e da quelle fatte sulla Polare. Ogni due serie il cerchio orizzontale veniva ruotato di 30°. RenpiconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 26 — 194 — I risultati ottenuti furono i seguenti: Oculare A' Oculare A’ Oculare A Oculare A/ SMS CCIAA ND MSORS OSO ANO VT | -—rr_—@———1t€—11———@@@@@@otr9BIrorgGgunì 29 Giugno 1899 Cerchio 0° Cerchio 30° | 15°.28/.59%. 2 (15°. 28.58. 5 | 15°. 287.575 8 150, 28”. 56”. 7 ì 60. 0 î 0 5200 58. 8 ( 60. 3 - { 59. 0 ( 59. 6 58. 5 5 I 58. 8 Ma sg al 57. 0 Cerchio 60° Cerchio 90° p f15° 28’. 587. 4 15°. 28%. 59”. 7 ( 150.2815748] | {15° 28). 56/9 Ì 58. 4 ai DI 58. 4 ( 59. 3 40 59. 3, ( 59. 9 ( 58. 61, | 58. 7 ( 57. 2 | 50. s| 34 50007 ( SN 80 Giugno Cerchio 120° Cerchio 150° (5923/5301 (| 15°. 28”. 60%. 5 | 15°. 28'. 60”. 2 (150,284. 59% 7 D: D D i 59. 2 l sta i 5708 ] 58. 9 Ci 60. 3], 57. 8 | Deo Ì 57. 0 ì gi | 59. 1 | L'ultima serie rimase incompiuta a causa di un subito annuvolamento del cielo, e non si potè neanche ripetere nella notte successiva del primo luglio in cui la Mira fu costantemente invisibile. Le ultime sei determina- zioni si riunirono pertanto in un’ unica media. I risultati, corretti per l’aberrazione diurna, si possono ancora riassu- mere nel seguente specchio: Posi- DATA cel A Cm CE Cm=Cx Espressioni differenziali (1) O) (8) (4) (5) (GI 06: o) 99 siug. 1899] 0° | 15°.28.59790|— 9/6 1973) + 377] d4=— 0.33 des — 0.84 do” + 0.02 dg” Foe SINO), 2 Seo Sa 8 — 0,28 da — 0.99 dd + 0.02 dp o; ME 300 È 58. 54|— 9. 6— 13. 8 |. 4.2 — 0.21 da — 1.14 dd +- 0.02 dp ( 5307 oi _— 0.15 de — 1.24 dd + 0.02dp DEI 60° È 58. 65/— 10. 6. 13. 4| 4- 2.8 - 0.01 da — 1.33 dd + 0.02 dp 60, 19,|— 12002 15. 1-1 357 4 0.05 de — 1.34 dd -i- 0.02 dp Fo o, 90° È 58. 44|— 119204. 6 49209 +-0.13 da — 1.27 dd 4-0.02 dg | ssi Mea a Sn + 0.22 de — 1.17 d9 -+ 0.02 dp 30 n° Epnbi 10020 58. 97|— 10. 6|— 13. 2) + 2. 6 — 0.86 da — 0.70 dd + 0.02 dg ( Oo Sio o sea eo — 0.32 de — 0.88 dd + 0.02 dg ni ni IL500 59. aiol/ = 100/09 221306 97 — 0.25 de — 1.06 dd +-0.02 dp — 195 — Nelle colonne (4), (5) e (6) sono registrati i valori e, e c, della costante di collimazione dedotti dai puntamenti della Mira e dai puntamenti della Polare rispettivamente, come pur le loro differenze. Essi mostrano in modo evidente la dipendenza di tale costante dalla inclinazione della visuale. Dalla combinazione dei valori della terza colonna sì ricava A = 15°, 28". 59”. 01 "AVIS, e se a questo risultato si aggiunge la correzione per la riduzione in centro della Mira a M. Cavo, ammontante a — 1”. 96, si ottiene Azimut astronomico della direzione M. Pisarello — M. Cavo A = 15°, 28”. 57”. 05 10.13. (Epoca 1899,49) La media delle espressioni differenziali dà dA = — 0.13 da — 1.09 dd” + 0.02 dg, e questa può assumersi come esprimente la modificazione da apportarsi al precedente risultato, in corrispondenza ad eventuali variazioni delle coordinate a d (tolte dal B. A.J.) e della latitudine g. Attrazione locale. Se si confrontano i precedenti valori astronomici della latitudine e del- l’azimut con quelli geodetici, provenienti da Castanèa attraverso alla rete di primo ordine compensata, e calcolati dall Istituto Geografico Militare, si ottiene DEI È astronomica . . . . - Pa = 41°. 28". 36”. 20 Eno dti... eli o Pa — Py — 0". 04 Azimut della direzione ( AStrONOMIco —. SNRenea A,= 15°. 28". 57”. 05 M. Pisarello — M. Cavo | geodetico. . . . . . . A,=15. 28. 58. 96 A,TÀ,= — 91 e quindi le due componenti della attrazione locale, date dalle formole $= a — Py n= (Ag — Ag) cotg da, risultano E=— 0". 04 g=—2.16 . Per meglio vedere il modo di distribuzione delle attrazioni locali, questi valori vengono riuniti in uno specchietto con quelli determinati negli altri vertici. Le longitudini sottoindicate provengono da Castanèa. — 196 — Latitudine Longitudine PUNTO È } É n geodetica geodetica Monte Mario. . . . .. 41°. 55°. 24”. 88 — 3°. 04”. 06”. 32 + 17.91) — 0” 84 Fiumicino . . . .... 41. 46. 12. 86 — 3. 17. 33. 28 +1. 88) —2. 17 Monte Cavo... ... 41. 45. 02. 12 — 2. 48. 39. 87 +1. 44 — Monte Pisarello. . ..| 41. 28. 36. 24 — 2. 54. 44. 61 — 0. 04| —2. 16 Ho già prese le disposizioni per eseguire, nel prossimo estate, una nuova stazione astronomica sul segnale di M. Soratte. Sarebbe pure mio desiderio, allo scopo di meglio investigare l'andamento delle attrazioni locali nella regione circostante a Roma, estendere le mie determinazioni ai segnali di M. Gennaro, M. Semprevisa, M. Circeo, ecc., ma tutti questi punti sono di difficile accesso, e situati in località deserte, ed io temo di non potervi riu- scire, cogli scarsi mezzi a mia disposizione. Cristallografia. — Ze deviazioni minime della luce mediante prismi di sostanze anisotrope. Nota di 0. VIOLA, presentata dal Socio BLASERNA. Per sostanze anisotrope si intendono qui i cristalli a uno o a due assi ottici, che obbediscono alle leggi di Fresnel; le altre sostanze anisotrope sono escluse dalle se- guenti considerazioni. Assumiamo un pri- sma di tali sostanze anisotrope immerso in un mezzo isotropo, € consideriamo onde lu- minose piane, le quali abbiano qualsivoglia po- sizione rispetto al pri- sma. Nella qui unita figura, OG, e OG: rap- presentano due faccie del prisma perpendico- lari al piano del dise- gno; i poli di dette faccie sono in projezio- ne stereografica N, e risp. Ns. La prima bi- settrice ossia la retta, che divide per metà l'angolo interno A del prisma, è X.X'; la seconda ossia la retta, che divide per metà l'angolo esterno 180 —A — 197 — del prisma, è OY,. Un'onda piana nel prisma sia qualunque, e il suo polo sia s. Il polo dell'onda piana incidente sia s1, e sia s, quello dell'onda emergente. Questi tre poli sono individuati dai seguenti angoli : VW, 1, P2, u= SX, de, As. L'angolo incidente è 71=sN,, l’emergente i = s,N,; e gli angoli che l'onda di rifrazione fa con le faccie del prisma, sono rispettivamente er=SNi, 0a= SN. La deviazione totale dell’ onda incidente per rispetto all’onda emergente è data dall'angolo 4= 5153. Come si vede essa è decomponibile in due de- viazioni caratteristiche, cioè Aù = Àg ca À, , che si può chiamare deviazione longitudinale, e dg=92—%, che si può chiamare deviazione laterale. Essendo x l'indice di rifrazione dell'onda piana considerata, potremo stabilire le seguenti relazioni indipendenti : l. senz;,=z%sene; 2. Seng = S@0€9 ee + è, eo — @1 A 3. COS ig 608 = Seicos e cos 07) 2 e e eo — € A 4. ne sen -—— = cos w sen > 2 \ cos î, = — cos À, sen ò + sen 2, cos à COS Pi OVVero 5. | cos fs= cosà, sen à + sen 43 cos i COS Pa (1) 6. sen, seng,=sen7, sense, 7. senà,sengo=sen?; sen es E — 8 cos —— 3 2 A 8. Celi 0A EINE COIN Le 2 €] + 83 tag 2 cos —-— 2 € Goa Eg sen _ 2 A Di re o 98 2 e + &0 tag 2 sen Queste 9 relazioni indipendenti sussistono fra le 14 quantità %, 7 @1 e: 2, da 91 9a WW n A e; ss. Egli è perciò possibile di determinare 9 di esse, ove 5 ne siano date. — 198 — Misurando p. e. gli angoli gi 9. %1 Z» delle onde incidente ed emer- cente e l'angolo A interno del prisma, potremo determinare l'indice 7 di una qualsiasi onda piana, la posizione di quest’ onda mediante gli angoli « e w, e di più gli angoli di rifrazione e, ed e», nonchè l'angolo incidente 2, ed emergente 7». La deviazione totale 4 risulta, infine, risolvendo il trian- golo sferico 51 s, X'. Si vede dunque che considerando piani d'onda di posizione qualunque, si ha il modo di determinare con 5 misure (delle quali l’ angolo A rimane costante per tutte le determinazioni) i piani tangenti della superficie d’ onda entro una parte considerevole dello spazio, senza prestabilire l'equazione di detta superficie. Questo metodo dovrà essere utilizzato nelle esperienze per trovare la legge, secondo la quale avviene la propagazione della luce nei corpi anisotropi in genere, e principalmente di quelli, che non obbediscono alle leggi di Fresnel. Nel caso che l'onda piana nel prisma sia parallela allo spigolo del prisma, sì porrà: y=gp,=g=0 A A È Ire 0 ossia er +e =A e Za, -dA= 40; e si hanno per questo caso speciale le relazioni note seguenti : > senziie=senei 2. SenZ%g=7.SeN€2 3. ertbe=A 4. itbia=A+4- Questo è il caso più comune, che viene usato per determinare l'indice di ri- frazione di un corpo amorfo, ovvero di cristalli a uno o a due assi ottici quando i loro elissoidi elastici abbiano una orientazione speciale rispetto al prisma. In secondo luogo sia l'onda piana nel prisma parallela alla prima bi- settrice del prisma. Si porrà: dg A,=180—4, SONO RT=A6 ia = DO PIP =P, ==, ==" €; (ID) e si hanno le seguenti relazioni: l. senz =7z Sen€ A 2. cose= 0085 cos W 3. cost = c08À sen + sen 9 sg (III) 2 4. seuZseng=sen7sene tag ì COS € 5. tage= — 199 — È da notarsi che in questo caso speciale e nel precedente la deviazione laterale è 4g=0, ossia pi = 92. Dovremo poi vedere, se vi sono anche altre posizioni dell'onda piana, per cui sia @,= Ye. Le relazioni (I), (II), (III) sussistono tanto per corpi isotropi quanto per corpi anisotropi, seguano o no le leggi di Fresnel. Formiamoci dapprima a considerare la deviazione 4 prodotta da prismi di sostanze isotrope, per cui si sa che x è costante. Scriviamo le due relazioni: cos 4 = cos (î, — 21) c08 (i — e») + sen (i — ci) sen (dé — 2) cos d, cos À = cos e) cos e, | sen ei sen e2 COS 3, (1) dalle quali si può eliminare 4 e determinare 4. Vediamo in quale modo varia la deviazione totale 4 quando il polo s si sposti sopra un cerchio, il cui piano passa per la prima bisettrice XX' del prisma; vale a dire in quale modo varia 4 con 7, essendo p= cost. Sviluppando la prima derivata di 4 rispetto a 4, e operando le neces- sarie e possibili riduzioni, sì ottiene: sa FIA yi gy 2 de son4 = (p—gcos 9) 37 +4 pos 9) 7 +(1—p+2%89)3, dé, aaa 008 der ove per brevità si è posto: p= sen (i — er) cos (î — 22) q= cos (i, — €1) Sen (î» — c2) sen (1 — €1) Sen (£ — 22) sen 2) Sen 03 i T= (cose, sene, — cos €; Sen e9 COS 3) Inoltre si ha. A sen 4 seni + cos 7 cos cos @ dei 2A di cos e, dei ni == O eee DÀ sen e, di cos 71 dÀ sen È i cos À a COS dI 2 (R2 bi: dis 6080 dea dA sen 09 i DI cost 2 Aa. ; i Esaminando l’ espressione per 23. si vede che questa prima derivata non può annullarsi, ove non siano soddisfatte le seguenti condizioni : di DEI 100, SANO go — 200 — Ciò infatti è possibile, facendo e, = =" @ e perciò 2,=%2=2?. Da qui risulta il teorema : A) Le minime deviazioni per un dato valore dell'angolo azimu- tale w, hanno luogo nei prismi isotropi per l'onda piana parallela alla prima bisettrice del prisma. Dalla relazione cos 4= cosà, cos 4 + sen Z, sen 4, cos (p. — 41) si deduce che sarà ga = 12, solamente ove A=A3,—À, vale a dire ove l'onda piana sia parallela alla prima bisettrice del prisma. Abbiamo dunque il teorema: B. La deviazione laterale è nulla, ove l’ onda piana è parallela alla prima bisettrice 0 allo spigolo del prisma. Una minima deviazione per un qualunque angolo azimutale w è data dall’ espressione An senléo — e) A i SR Ta sen 2 sen € 2 ovvero d : A sen =" = (n cos e — cos è) sen 7 - 2 2 Sviluppando la derivata di 4, rispetto alla variabile 4, avremo: dim DA tn Si A î de cos. ——=2 COSTE tg. — Seme) |M. (Seni ia 3 De 29 DA mo ì Ora la derivata sp è zero ove sla so Ma è Se 0perw=0, poichè l’ angolo e è minimo. E si ha perciò il teorema: C. Ove l'onda piana sia parallela allo spigolo del prisma, la de- viazione minima è la minima assoluta analitica di tutte le deviazioni pos- sibili in un prisma isotropo. Da qui risulta che determinando l’ indice di rifrazione con l’ usuale me- todo della minima deviazione, non è richiesto che si osservi rigorosamente a che le onde piane siano parallele allo spigolo del prisma, perchè una pic- cola inclinazione in questo senso non può portare alcuna influenza sul va- lore di x. i E passiamo ai cristalli a uno o a due assi ottici obbedienti alle leggi di Fresnel. Sia ammesso che il polo s del piano d'onda si sposti su un cerchio, il cui azimut è y. — 201 — Riferiamo il prisma al seguente sistema delle coordinate ortogonali: l’asse X cada nella prima bisettrice del prisma, l’asse Y cada nel piano il cui azimut è w e Z è ad essi normale. Gli assi di simmetria ottica del cristallo siano X, Y, Z,, e facciano angoli con gli assi X Y Z, i cui co- seni sono dati dallo schema X te B y Y Pi Vi Ai N Pe Le coordinate #1, y1, 21 di un punto riferito al sistema X, Y, Z; sono le seguenti in funzione delle coordinate dello stesso punto riferito al si- stema X, Y, Z: Ag Y2 c,=@% + 21y + 228 Ya = PA By + Bg &a,=IT4+ ny Trs8- Per determinare l'intersezione del piano di azimut w, ossia del piano X Y con la superficie delle normali, la cui equazione è 2 2 DAI Yi & PERI ove p è la velocità dell'onda considerata (essendo p=+), e abe sono le velocità principali luminose del cristallo, bisognerà fare #==0, e sosti- tuire per #, ed y, i loro valori. Ricordando il significato dell'angolo w, avremo dapprima g=-—pcosu e y=+psenw, e indi l'intersezione del piano XY con la superficie delle normali sarà data dalla equazione: (2) p* — p° (L cos? w + L, sen? u — L: sen 2u) + M cos? u + + M, sen? u — M, sen 2u=0 essendo (1): L = (0° + e°) e" 4 (0° + a?) 8° + (a+ 02) 7? i = (0° + 0°) af 4 (004 a°) fi +-(a°4-2°) i 6) Li = (0° + c°) ae 4-(e° + a?) #81 4-(a°+-0°) mm M = bc a + c* a° 8° + a? b° y° M=bd ca + ea? 8 + ab yi M.i=0°c° aa 4 e? a? BB, + a° bè YYa (1) Th. Liebisch, Physik. Krystall., 1891, 392. Renpiconti. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 27 Il problema che vogliamo ora risolvere è il seguente: il polo del piano d'onda si mantenga nel piano XY, ma sia variabile l'angolo w; si vuol sapere quale è l'angolo w, che renda minima la deviazione 4 ovvero MISA che sia — =0. dIy Notando che p è funzione di 4 e questo è a sua volta funzione di w, potremo derivare la quantità p rispetto a nell'equazione 2, e avremo: di du (4) + p° $ L sen 2u — L, sen 2u + 2L» cos 2u | + Msen 2w + M; sen 2u — 2M; cos 2u]=0. mp dd \ gli, | ep — (Loos u-+ L, sen? w — Lo sen 24) Per fare in questa equazione Ss —=0, condizione del minimo di 4, ce DI a i osserveremo che anche 3g PUÒ contemporaneamente essere zero. La condizione c necessaria del minimo di 4 è quindi inclusa nella seguente eguaglianza : (5) p° [sen2u(L— I) +2L:cos2u]— sen 2u(M —M)—2M;cos2u=0. Si vuole ora dare al problema la seguente limitazione: il minimo nella deviazione deve avvenire, quando il piano d'onda è parallelo alla prima biset- trice del prisma. Avremo da porre u= 90°. Con ciò la condizione del minimo di 4 prende la forma p° Lo a M, —- 0 5 ossia sostituendo i valori di Ls e M, dalle 3: (6) p° [ (6° + e*) aan + (e* + a°) BR (a°+-2°) 1] — [0°c°aa, + c*a*88, + a°b°yy]=0. Affinchè sussista questa equazione unitamente alla acer 4 BB + Mm =0, conviene che dapprima uno dei coseni sia zero: «= 0. Posto ciò, si ha (!) SPIA po= a. e quindi dalla (6) Si noti che questa è condizione generale del minimo di 4, perchè essa vi include anche 8=0, o 8,=0 ece. (°). Per £=0 si avrebbe aa = — yy: e quindi p° = b° e -— ic (1) Th. Liebisch, Neues Tahrbuch f. Min. etc., 1900, vol. I, 61. (®) C. Viola, Zeitschr. f. Krystall., 1899, vol. 32, 68-69. mese è —*— — 203 — Vale perciò il teorema: D. JI piano d'onda parallelo alla prima bisettrice del prisma dà una minima deviazione, ove esso sia perpendicolare ad un piano di sim- metrica ottica del cristallo (*); e dai precedenti teoremi risulta ancora il seguente : E. Avvenendo una deviazione minima con un piano d'onda paral- lelo alla prima bVbisettrice del prisma, la deviazione laterale è nulla, come quando il piano d'onda è parallelo allo spigolo del prisma. Con l’aiuto degli importanti teoremi D ed E possiamo servirci del metodo della minima deviazione per determinare gli indici principali @, #, y di ri- frazione di un cristallo otticamente biassico, senza che il prisma abbia una orientazione speciale, e senza conoscerne l’ orientazione. Nella figura annessa è tracciata forte in proiezione stereografica la linea, quale luogo del polo s, per cui la deviazione è minima. Ove questa linea taglia il cerchio Y,0 sono le posizioni del polo s, essendo nulla la deviazione laterale; e tali posizioni corrispondono agli indici principali di deviazione a f y. Non è dunque necessario di conoscere l’ orientazione del prisma, ma essa anzi risulta indirettamente cercando le posizioni dei minimi, essendo 9, = a. Per la determinazione di @ #8 y si farà uso delle equazioni (III). I due teoremi A e D furono già dimostrati da me in una precedente Nota (*). Ora viene in aggiunta anche il teorema E senza del quale il teo- rema D non potrebbe avere una pratica applicazione. Th. Liebisch nella sua pregevole cristallografia fisica, studiando il pro- blema della deviazione minima, sì arrestò a un caso isolato, che egli cre- dette l’unico possibile. In seguito nell’ ultima sua Nota sopra citata convenne nel teorema generale per onde piane parallele allo spigolo del prisma, come fu dimostrato da me; teorema, che discende dal teorema D ove l'azimut w è Zero. Fino a ora due erano i metodi, che si usavano per determinare gli indici di rifrazione di un cristallo mediante un prisma: o si lasciava al prisma una qualunque orientazione e si calcolavano più onde piane, e più velocità corri- spondenti, metodo oltremodo laborioso; ovvero si tagliava il prisma nel cri- stallo, facendo sì che la prima o la seconda bisettrice del prisma fosse parallela ad uno dei tre assi di simmetria ottica del cristallo, metodo dispendioso e non sempre possibile, nè esatto specialmente per cristalli triclini. Ora invece i due teoremi D ed E ci insegnano che vi è un altro metodo più semplice e più pratico, quello cioè di lasciare arbitraria e incognita l’ orientazione del prisma, e di andare in traccia delle posizioni ove la deviazione laterale è (1) C. Viola, op. cit., 69. (*) C. Viola, Zeitschr. f. Krystall., 1899, vol. 32, 66-69; vedi anche C. Viola, Zeitschr. f. Instrumentenkunde, 1899, 276, e anche Th. Liebisch, op. cit. — 204 — nulla; ivi la minima deviazione e l' angolo azimutale sono i dati sufficienti per determinare il corrispondente indice di rifrazione principale. Avendo io in animo di eseguire fra breve delle esperienze con un appa- recchio, che sì sta costruendo, mi riserbo di esaminare il grado dell’ esattezza, che con questo metodo è raggiungibile. Osservazione. La condizione necessaria del minimo di 4 per n= 0 è p=a, ovvero p=d 0 p= €; Ma questa condizione è anche sufficiente. Infatti facendo u= 90°, e dando a p i valori testè accennati, risulta dalla equazione 4: DAS iii ; P) d ; vale a dire può essere DEE 0 Dir gi ovvero possono annullarsi en- dA QÀ o 2 dP Sa E n 5 trambi. — Per p=a, d, e è certo > = 0, perchè infatti p è massimo È: ; dd RARO ; : o minimo; ma è pure corni» perchè in vicinanza di a, è, c il valore di n è costante, e si entra nel caso dei corpi isotropi. Fisica terrestre. — Sismoscopio elettrico a doppio effetto per le scosse sussultorie. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. TACCHINI. In questi stessi Rendiconti ho già descritto un sismoscopio assai deli- cato e poco dispendioso, destinato per le scosse ondulatorie ('). Vengo ora a far conoscere un altro sismoscopio non meno sensibile ed economico, il quale è però destinato a mettere in evidenza la componente verticale che potrebbe accompagnare un dato movimento sismico. Il principio di questo nuovo strumento fu da me già esposto in una breve annotazione della Nota testè citata, ed un’ idea generale del medesimo fu più tardi concretata in altra Nota, dove non si mancò di fare il confronto con altri strumenti con- generi anteriori (?). Ora che il sismoscopio in parola è stato costruito, potrà interessare di conoscerne anche i particolari della costruzione con l’aiuto del- l unita figura 1% (*): (1) G. Agamennone, Sopra un nuovo tipo di sismoscopio. Rend. della R. Ace. dei Lincei, ser. 52, vol. VIII, pag. 41, seduta dell’8 gennaio 1899. (2) G. Agamennone, Ulteriori modificazioni al sismoscopio elettrico a doppio ef- fetto. Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. IV (1898), pag. 277. 3) Lo strumento è stato costruito dal sig. L. Fascianelli, meccanico dell’ Ufficio Cen- trale di Meteorologia e Geodinamica, e non viene a costare più d’ una quarantina di lire italiane, compresa la spesa d’ imballaggio. — 205 — Sopra una base rotonda di ghisa 32 è fissata una robusta colonna €, costituita d'un tubo d’ottone e sormontata alla sua sommità da un sopporto triangolare, pure di ottone, il quale vi è fissato in posizione orizzontale con apposita vite. Sul davanti di questo sopporto si hanno tre viti di registro: Fic. 1 (scala 1/5). quelle laterali We W' sono destinate a sorreggere le molle a spirale M ed M' e permettono di alzarle ed abbassarle a piacere; quella di mezzo V sorregge un’altra molla a spirale 2, ma a differenza delle prime, nell innalzarsi od abbassarsi non fa ruotare il punto di attacco. Le due molle M ed M' sono di filo d'acciaio e portano un peso P' P', di circa un chilogrammo, e costi- tuito d’ un parallelepipedo di piombo. Lo spessore del filo d'acciaio ed il diametro delle spirali sono stati scelti in modo da far oscillare la massa IP con un periodo piuttosto lento, e precisamente di poco più di !/, secondo per ogni semi-oscillazione. La molla a spirale m è identica alle due prece- denti, ma essendo tesa dalla palla d'ottone P, del peso di 1/3 di chilogrammo soltanto, oscilla con un ritmo due o tre volte più rapido. Al di sotto della — 206 — palla P è attaccata infine una spiralina 7, da cui pende un pesetto p, costituito d’ un cilindretto d'ottone con il suo asse verticale. Le dimensioni della molla 7° sono state scelte in guisa che se ne abbia un periodo oscil- latorio ancor più breve e cioè di un !/; di secondo all'incirca. La base in- feriore del cilindretto p è dorata e brunita come un vero specchio (!), de- stinato a riflettere l’imagine della punta % di platino, la quale è infissa nel punto di mezzo della faccia superiore del parallelepipedo di piombo P'P'. Quando le masse p, P e P' stanno ferme, se si giri la vite V in modo da portare ad una frazione di millimetro la distanza fra la punta di pla- tino e la faccia speculare del cilindretto p, egli è chiaro come al soprag- giungere d'una commozione sismica, in cui non manchi la componente verticale, benchè piccola, del movimento del suolo, possa essere facilmente disturbato l'equilibrio delle tre masse sospese e la punta 7 venga ad urtare contro il pesetto p. Si capisce come questo contatto possa essere utilizzato per chiudere un circuito elettrico e fare arrestare, o porre in marcia, un oro- logio sismoscopico, per conoscere l’ora esatta del terremoto, oppure far fun- zionare qualunque altro apparecchio che si voglia. A tal fine la vite V è isolata dal sopporto e mediante un filo elettrico ben protetto, che passa nel- l'interno della colonna €, comunica con uno dei due serrafili che sì trova pure isolato sulla base B B, mentre l’altro serrafilo, in buon contatto con quest’ ultima, comunica metallicamente colla punta di platino 7 pel tramite della colonna C, delle viti W e W' delle spirali M ed M' e della massa P' P'. Per mettere dunque lo strumento in istato di funzionare, non resta che ad attaccare ai due serrafili i capi estremi d'un circuito elettrico, ove sia inse- rita una batteria e l'orologio sismoscopico (*). Per giungere abbastanza sollecitamente ad un buon affioramento tra la punta é e la base inferiore del cilindretto p, è preferibile di portare dap- prima quest’ ultimo in lieve contatto con la punta, e ciò allo scopo di smor- zare le residuali piccole oscillazioni di tutte le masse, sospese alle molle; e poi manovrando delicatamente la vite V, innalzare poco a poco il cilin- dretto p fino a che non si vegga apparire un piccolissimo spazio tra la punta i e la sua imagine rovescia. Come si può comprendere facilmente, non sarà difficile nella pratica d’ottenere un buon affioramento, facendo sì (1) L'uso di un dischetto d’ ottone dorato, invece di un dischetto di platino ben terso, è stato consigliato dal dott. P. Gamba sia a scopo d’economia, sia per ottenere una migliore superficie speculare. (2) Un modello conveniente d'orologio sismoscopico è stato descritto nella mia Nota: Alcune modificazioni al sismoscopio elettrico a doppio effetto ed istruzioni per l’ instal- lazione ed il funzionamento del medesimo. Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. III (1897), pag. 157. — La descrizione d’un orologio sismoscopico, ancor più economico del prece- dente, trovasi nell'altra mia Nota: Nuovo tipo d'orologio sismoscopico. Ibidem, vol. V (1899-1900), pag. 153. sist SO — che la punta disti dallo specchio soltanto d'una menoma frazione di milli- metro. L'operazione dell’affioramento è facilitata da uno specchietto s', fisso alla colonna © e girevole in ogni senso. Naturalmente un affioramento delicato non potrà effettuarsi che quando il locale, dove è installato il sismoscopio, sia solidissimo e lontano da cause perturbatrici. In caso contrario, bisognerà contentarsi d'un affioramento più grossolano, per non correre il rischio di vedere troppo di frequente funzionare il sismoscopio per cause esogene. Colla cautela poi usata di costruire le spirali VM, M', m ed m' in buon acciaio (corde da pianforti) v'è poco da temere una sensibile progressiva distensione delle medesime, tale da compromettere l’affioramento alla distanza di pochi giorni. Però le spirali in acciaio avendo il difetto d' arrugginirsi assai rapidamente, sopratutto se lo strumento, allo scopo di solida installa- zione, dovesse essere collocato in un ambiente sotterraneo, e quindi il pas- saggio della corrente elettrica potendo essere troppo ostacolato nei numerosi punti d'attacco arrugginiti delle spirali, così sì è cercato d'ovviare a questo inconveniente col saldare all'estremità d'ogni molla un pezzo di ottone, foggiato in modo opportuno sia per essere agganciato, sia per essere av- vitato. Anche le variazioni di temperatura dell'ambiente, ove trovasi collocato il sismoscopio, potrebbe guastare l’affioramento, non tanto per l'accorciamento od allungamento delle molle a spirale — i quali sono veramente insignifi- canti per un raffreddamento o riscaldamento non troppo forti, per la lun- ghezza assai piccola delle spirali stesse e infine per la piccola entità del coefficiente di dilatazione dell’ acciaio — quanto per la variazione del coef- ficiente di elasticità di questo metallo in rapporto con un sensibile cam- biamento di temperatura. Ma anche qui se si consideri che l'escursione della temperatura è generalmente assai ristretta nel locale, ove l'impianto è fatto, e di più che tutte le spirali pendono dall'alto e che per tal fatto non può mancare un certo qual compenso tra le spirali laterali e quelle di mezzo, parrebbe che non si dovesse nutrire serî dubbî su questa causa di disturbo. Del resto, se a causa della distensione progressiva delle spirali, come pure per le variazioni un po' sensibili della temperatura, specie da una stagione all'altra, avesse effettivamente da risentirsene l’affioramento in questione, non sarà poi una grande fatica quella d’ispeziunare di tanto in tanto il sismoscopio, allo scopo di regolare di nuovo la distanza tra la punta 7 e lo specchio soprastante. Non starò qui a ripetere le cautele che bisogna usare nell’ impianto d'un sismoscopio così delicato, e rimando perciò a quanto ebbi già a seri- vere nell'altra mia Nota, sopra citata, a proposito del sismoscopio a doppio effetto per le scosse ondulatorie. 208 — Quando ogni stazione sismica fosse provvista, oltre ad un delicato sismo- scopio per le scosse ondulatorie, anche di uno, come quello sopra descritto, per le scosse sussultorie, non v ha dubbio che si potrebbe star sicuri di registrare un gran numero di scossette, anche di quelle che passano inav- Fis. 2 (scala 1/3). vertite ai sensi dell’uomo, e di potere inoltre arrivare a conoscere con mag- giore precisione l'ora del principio del movimento sismico, indicato a preferenza dall'uno o dall'altro dei due sismoscopî. Naturalmente contro questi vantaggi sta la maggiore spesa per procurarsi due strumenti distinti e per effettuarne l'impianto. È per questo ch'io ho pensato se non convenisse riunire i due sismoscopî sopra una stessa base, e farne così un unico strumento, il quale costasse meno del prezzo complessivo dei due sismoscopî separati, richie- desse uno spazio minore per essere installato ed una sola custodia per es- sere protetto. Un siffatto apparecchio è stato realmente costruito ed ha mostrato come sopra una base rotonda, poco più grande di quella d'ogni singolo sismoscopio, — 209 — sia stato possibile farne stare due comodamente riuniti, come si vede nel- l’annessa figura 2%, ove le medesime parti sono indicate con le stesse lettere già adoperate nella descrizione del mio sismoscopio a doppio effetto per le scosse ondulatorie e di quello, pure a doppio effetto, per le scosse sussultorie qui descritto. È da notare tuttavia che, a solo scopo d economia, i due sismoscopî che vedonsi riuniti sulla stessa base, sono un po’ più semplificati in confronto di quelli costruiti separatamente l’ uno dall'altro. Così, in quello sussultorio manca lo specchietto s’ per l’affioramento, e le viti di registro We MW' sono rimpiazzate da due semplici uncini, da cui pendono le molle a spirale M ed M'; in quello ondulatorio manca ugualmente lo specchietto s superiormente ai tre forellini, ma per contro all’asticina F è fissato in alto un filo corto e sottilissimo di pachfong, il quale termina esso stesso con il cilindretto di platino, destinato a far contatto con uno dei tre forellini. Questo filo di pachfong vibra ancor più rapidamente dell’asticina F, ed in tal guisa anche per il sismoscopio per le scosse ondulatorie si hanno tre ritmi diversi d'’oscil- lazione, a somiglianza di quanto sì verifica nel sismoscopio per le scosse sussultorie ('). Certamente questo sismoscopio per scosse ondulatorie e sussultorie verrà a costare alquanto più di quanto occorre per l'acquisto d'un sismoscopio per sole scosse ondulatorie o sussultorie; ma ad ogni modo mi sembra sempre preferibile spendere qualche cosa di più per procurarsi un siffatto strumento, che indichi nel tempo stesso il moto orizzontale e verticale del suolo, che provvedersi d’ un sismoscopio ad effetto multiplo per le sole scosse ondula- torie, come quello del prof. Cancani (?), o d'un altro sismoscopio pure ad effetto multiplo per le sole scosse sussultorie, che si potrebbe, volendo, fa- cilmente costruire, utilizzando il principio del sismoscopio che ha formato il precipuo oggetto di questa Nota (*). Egli è troppo evidente che questi sismoscopî ad effetto multiplo, quando fossero costruiti a dovere e muniti di tutti gli accessorî necessarî, non possono a meno dal costare assai più d'un sismoscopio a doppio effetto e dall’ avvicinarsi al prezzo d'un sismo- (1) Questo tipo di sismoscopio elettrico a doppio effetto, per scosse ondulatorie e sussultorie, è stato pure costruito sotto la mia direzione dal meccanico sig. L. Fascia- nelli e non viene a costare più di una sessantina di lire italiane, compreso l’imballaggio. Questo sismoscopio, insieme a quello superiormente descritto per le scosse sussul- torie ed all’altro consimile per le scosse ondulatorie, figurerà nella prossima Esposizione di Parigi, tra gli strumenti esposti nella Sezione del Ministero italiano dell’ Agricoltura dall’ Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma. (2) Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. IV (1898), pag. 68. (8) Basterebbe infatti dare al sismoscopio una disposizione tale che si avesse una serie di molle a spirale, disposte a cerchio, dotate di periodo oscillatorio più o meno rapido e munite in basso di una punta che andasse ad affiorare contro un disco specu- lare sostenuto da un’altra molla a spirale, posta in mezzo alle precedenti e munita, in- vece, d’ un periodo oscillatorio piuttosto lento. RenpIcoNTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 28 — 210 — scopio che serva contemporaneamente per scosse ondulatorie e sussultorie. Si aggiunga infine, come in altra occasione ho già detto, il maneggio più diffi- cile e complicato dei sismoscopî ad effetto multiplo, ed il compenso limitato che dai medesimi si ricava col disporre bensì d'un numero più grande di ritmi d'oscillazione, ma tutti compresi entro ristretti limiti, press’ a poco quelli stessi che si utilizzano nei miei sismoscopî a doppio effetto. Chimica. — Nuove ricerche nel gruppo della canfora ('). Nota di EnrIco Rimini, presentata dal Socio PATERNÒ. In continuazione agli studî che Angeli ed io abbiamo eseguiti intorno all’azione dell'acido nitroso sulle ossime della canfora (?) e del fencone (*), ho estese le ricerche all’ossima dell'altro isomero saturo della canfora, il tannacetone, ed ho studiato inoltre il comportamento dei pernitrosoderivati della serie della canfora colle basi sia inorganiche che organiche. I risultati ottenuti sono abbastanza interessanti e credo opportuno di riferirne brevemente in questa Nota preliminare. Come a suo tempo ho dimostrato, queste ossime reagiscono con l'acido nitroso secondo l'equazione: >C:NOH + NO;H = >CN:0» + H:0 per dare composti che ho chiamati pernitrosoderivati. Tali ossime sì com- portano quindi, rispetto a questo reattivo, in modo analogo alle idrossi- lammine : = C.NH.0H + N0;:H == CN(N0)OH + H.0. Le nitrosoidrossilammine però che in tal modo si ottengono hanno un comportamento del tutto diverso da quello dei pernitrosoderivati. Uno dei caratteri più notevoli dei pernitrosoderivati è la facilità con cui essi possono perdere una molecola di protossido d'azoto per dare origine a composti di natura chetonica: >CN,0; — >C0 + N,0. Effettuando la scissione per mezzo di alcali in soluzione acquosa si originano i chetoni primitivi (canfora, fencone, mentone); impiegando invece acido solforico concentrato si ottiene il chetone primitivo p. es. nel caso del mentone, oppure si ottengono chetoni isomeri non saturi (con rottura di un (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica farmaceutica dell'Università di Pa- lermo. Febbraio 1900. (2) Gazz. chim. ital. 1895, vol. I, pag. 406. (3) Ibidem 1896, vol. II, pag. 34, 45, 228. I — anello) come dalla pernitrosocanfora, dal pernitrosofencone, dall’ isopernitro- sofencone, dalla bromopernitrosocanfora e dal suo isomero. Il tannacetone necessario per queste ricerche provveniva dalla casa Schimmel di Lipsia. L'ossima fu preparata col metodo consigliato nei su citati lavori per la preparazione della canforossima e della fenconossima, avendo però l'avvertenza di partire da tannacetone purissimo, previamente trattato con soluzione diluita di permanganato potassico per eliminare le sostanze non sature ad esso commiste. Le piccole quantità di acido tannacetochetocarbonico che contempora- neamente si formano per azione del camaleonte, vennero trattenute con ri- petuti lavaggi della soluzione eterea del tannacetone con carbonato sodico. L’ossima che si separa dopo l'eliminazione completa dell’ alcool e l’ ag- giunta di acqua, venne solidificata per raffreddamento con miscela frigori- fera ed il prodotto filtrato convenientemente puriticato sciogliendolo in etere. Per lenta evaporazione del solvente l’ossima si deposita in magnifiche squamme. Anche questa ossima, per trattamento con acido nitroso, dà un per- nitrosoderivato. La soluzione eterea trattata con nitrato d'amile si colora dapprima in giallognolo poscia in verde e dopo qualche minuto si separano magnifici cri- stallini i quali con tutta probabilità sono costituiti da ni/rato di tannace- tilimmina. Come è noto, l’ossima della canfora e quella del fencone si compor- tano in modo perfettamente analogo. Per azione di acido nitroso in soluzione acquosa l’ossima si converte del pari in un pernitrosoderivato. Il modo di operare è il seguente: Alla soluzione eterea dell’ossima, addizionata di una soluzione acquosa concen- trata di nitrito sodico, raffreddata con ghiaccio, si versa goccia a goccia acido solforico diluito: man mano che si svolge acido nitroso, la soluzione eterea sovrastante da incolora assume un colore giallastro che si va facendo intenso e poi diviene bruno rossastro. Cessato lo sviluppo gassoso, si separa la soluzione eterea dal liquido restante, la si lava ripetutamente con carbo- nato sodico ed acqua, si asciuga con cloruro calcico, si elimina la maggior parte dell’ etere a bagno maria e le ultime tracce nel vuoto. Si può altresì modificare il metodo versando, colle dovute cautele, sulla soluzione acetica dell’ossima la soluzione acquosa di nitrito, estrarre con etere e trattare la soluzione eterea come precedentemente è detto. Si ottiene così un liquido rossastro che all’ odore ricorda assai quello del pernitrosomentone e che ha tutti i caratteri di un pernitrosoderivato. Infatti : I. Per riscaldamento esso si decompone con sviluppo di vapori rossi. II. Distillato in corrente di vapor acqueo, in presenza di potassa, svolge protossido d'azoto e nel distillato passa un olio che all'odore si rivela per tannacetone. Questo fu identificato trasformandolo nel semicarbazone. — 212 — III. Con acido solforico concentrato sviluppa protossido d'azoto e dà origine ad un prodotto oleoso volatile in corrente di vapore acqueo, che ha un odore particolare e del tutto diverso da quello dell isotuione di Wallach che si ottiene per azione diretta dell’acido solforico sul tannacetone. IV. Come Angeli ed io avemmo occasione di far notare nelle nostre ri- cerche sulla canfora e sul fencone, la pernitrosocanfora, il pernitrosofencone ed il pernitrosomentone per azione dell’ idrossilammina rigenerano le rispet- tive ossime. Anche dal pernitrosotannacetone, per analogo trattamento, si perviene alla tannacetonossima. Ancora non è stato possibile di chiarire il meccanismo di questa tra- sformazione. Siccome la reazione avviene in mezzo alcalino e ricordando che i pernitrosoderivati per azione degli alcali perdono protossido d'azoto per dare origine ai chetoni; si potrebbe ammettere che la formazione dell’ os- sima avvenga in due fasi. Che dapprima l'alcali ponga in libertà il chetone, il quale in una fase successiva per azione dell’ idrossilammina si converta in ossima. Peraltro i risultati da me ottenuti studiando l’azione della semicarba- zide sopra i pernitrosoderivati rendono poco probabile questo modo di vedere. Il pernitrosotannacetone trattato in soluzione alcoolica colle quantità cal- colate di cloridrato di semicarbazide ed acetato sodico (acetato di semicar- bazide) dà luogo ad un leggero svolgimento gassoso e dalla soluzione dopo poco tempo si separano aghettini che fondano a 178°. Questo prodotto è il semicarbazone del tannacetone. Ho pure preparato del semicarbazone direttamente dal tannacetone ottenendo come punto di fusione 177°-178°: nella letteratura il punto di fusione dato è 171°. Anche il pernitrosomentone per analogo trattamento si converte nel se- micarbazone del mentone che purificato dall’ alcool, in cui è poco solubile, si presenta in aghi bianchi che fondono a 192°-198°; lo stesso prodotto ot- tenuto direttamente dal mentone fonde a 185°. Mentre dal tannacetone e dal mentone per azione dell’acetato di semi- carbazide riesce molto agevole ottenere i rispettivi semicarbazoni, la reazione fra canfora e semicarbazide procede in modo assai lento tanto che occorre riscaldare per trasformarla in parte in semicarbazone. Si raggiunge invece bene lo scopo partendo anzichè dalla canfora dal suo pernitrosoderivato, dalla soluzione alcoolica del quale per azione della semicarbazide si sepa- rano dopo poco tempo aghi che fondono, come quelli ottenuti dalla canfora, a 245° e che all'analisi danno numeri i quali concordano con quelli richiesti dalla formula: Cio i INENE. COSNH, Dove peraltro il comportamento dei pernitrosoderivati colla semicarba- zide acquista un maggiore interesse, è nel caso del pernitrosofencone. — 213 — In un lavoro precedente (') feci notare come per azione dell’ ammoniaca alcoolica si ottenga dal pernitrosofencone un prodotto isomero che denominai isopernitrosofencone. Ora se si tratta a freddo la soluzione alcoolica del pernitrosofencone colle quantità tooriche di cloridrato di semicarbazide ed acetato sodico, si avverte un leggerissimo sviluppo gassoso e si separano tosto magnifiche squammette incolore, iridescenti, che purificate dal benzolo fondono a 88° e che sono costituite da zsopernitrosofencone. A freddo dunque la semicarbazide agisce in modo identico all’ ammo- niaca alcoolica generando l' isopernitrosoderivato. Se invece di operare a freddo si riscalda leggermente a bagno maria, dopo breve tempo per aggiunta di acqua si separa una sostanza bianca che viene trattata con benzolo; in tal modo passa in soluzione una piccola quan- tità di isopernitrosofencone inalterato e rimane un prodotto che ricristalliz- zato dall’ alcool fonde a 186°-187°. All’analisi diede numeri che conducono alla formula: COHEN NH.CO.NH,. La semicarbazide ha quindi effettuate, successivamente le trasformazioni: pernitrosofencone Y isopernitrosofencone Ù semicarbazone del fencone. Analogamente a quanto ho fatto per la canfora, pel tannacetone e pel mentone, ho cercato di preparare il semicarbazone anche partendo diretta- mente dal fencone. Ma tutti i tentativi fatti finora, sia operando a freddo che a caldo, ebbero esito negativo, non essendo riuscito ad ottenere quantità apprezzabili di prodotto: il fencone si mantenne sempre inalterato. Questo fatto è interessante giacchè esclude l'ipotesi che nella reazione fra le basi ed i pernitrosoderivati >CN:0. + NH.R = >C:NR + N.0 + H.0 in una prima fase si rigeneri il chetone primitivo. Infatti, se così fosse, il semicarbazone del fencone dovrebbe anche for- marsi per azione diretta della semicarbazide sopra il fencone con eguale fa- cilità. È molto probabile invece che la produzione dei semicarbazoni, delle ossime, ecc., per azione delle basi rispettive sopra i pernitrosoderivati, sia preceduta dalla formazione di prodotti di addizione delle basi al gruppo >CON,0; caratteristico dei pernitrosocomposti. (1) Gazz. chim. ital. 1896, vol. II, pag. 502. = Pia Chimica. — Azione del jodio sull’ acido malonico in solu- zione piridica ('). Nota di GrovanNI ORTOLEVA, presentata dal Socio PATERNÒ. In seguito al risultato ottenuto coll’ acido cinnamico (2), ho creduto opportuno studiare l’ azione del jodio sulla soluzione piridica dell’ acido malonico, nella speranza di ottenere i jododerivati di quest’ ultimo, non ancora conosciuti. Aggiungendo jodio all’ acido malonico in soluzione piridica, si ha difatti una reazione piuttosto energica e si ottiene come prodotto finale una sostanza bianca cristallina, che fonde con decomposizione a 250-252°. Credetti dapprima, che questo composto fosse un monojodomalonato di piridina, tanto più che i dati analitici erano molto vicini alla composizione di un corpo così costituito e contenente una molecola di alcool di cristal- lizzazione. Il fatto però, che il prodotto non elimina alcool di cristallizza- zione, ma si altera, divenendo bruno, quando è lungamente riscaldato a circa 150°, non avvalorava certamente questo primitivo modo di vedere. Il prodotto inoltre non presentava nessuno dei caratteri richiesti da un composto di tal natura; basti solo dire, che per azione del carbonato sodico, anche a caldo, non eliminava piridina. Una stupenda colorazione azzurra che si manifesta, quando la sostanza in soluzione acquosa viene ridotta con amalgama di sodio, mi mise sulle tracce della vera natura del prodotto; questo comportamento infatti è carat- teristico dei sali di piridinbetaina, dai quali per riduzione con amalgama di sodio si ottengono, secondo Kriiger, (*) derivati azzurri di una dipiridina così costituita: CH CH DS CH CH CH E allora era facile pensare che nel mio caso si fosse ottenuta una pi- ridinbetaina, e che il composto fusibile a 250-252° fosse appunto il jodidrato di questa base; ciò ch'era tanto più facile supporre, inquantocchè il nitrato di argento ne precipita il jodio quantitativamente. (1) Lavoro eseguito nell' Istituto chimico della R. Università di Palermo. (2) Gazz. chim. ital., vol. XXIX (1), pag. 503. (3) Journ. fir pr. Ch. [2], t. 44, pag. 130. — 215 — Dai dati analitici più sotto riportati risulta, che il prodotto è precisa- mente un jodidrato basico di piridinbetaina: C;H;N — CH; — COOH . C;H;N — CH, — CO | NA J (0) composto molecolare della piridinbetaina col suo jodidrato. La formazione di questo composto non si può spiegare se non ammet- tendo, che dall’ acido malonico per azione del jodio si ottenga l'acido mono- Jodoacetico CH.J — COOH il quale, trovandosi in presenza di un eccesso di piridina, reagisca con questa base nell’istesso modo che l'acido monocloroacetico, che dà cloridrato basico di piridinbetaina ('). E però bisogna anche ammettere che l’acido monojodoacetico si formi dall’ acido monojodomalonico COOH Li CHJ COOH instabilissimo, il quale nelle condizioni di esperienza più sotto indicate, si decomponga secondo l' equazione COOH / Gn = GS o Del resto questo modo di vedere si accorda benissimo con i risultati ottenuti da Angeli (2), studiando l’azione dell'acido jodico sull’ acido malo- nico. In questa reazione si formano gli acidi hi- e trijodoacetico, ed Angeli ammette, che il primo derivi dalla decomposizione dell’ acido bijodomalonico pochissimo stabile, e l’ altro forse dall’ acido bijodoacetico per successiva Jodurazione. Cosicchè la presente esperienza, insieme a quelle di Angeli, dimostra che i jododerivati dell'acido malonico sono composti pochissimo stabili per la facilità con cui eliminano anidride carbonica, dando luogo ai Jododerivati dell'acido acetico. Per questa ragione non è stato finora possibile poterli isolare. (1) Journ. fur pr. Ch. [2], t. 43, pag. 291. (2) Gazz. chim. ital., 1893, vol. XXIII (I), pag. 430. — 216 — Iodidrato basico di piridinbetaina. Si disciolgono gr. 2 (1 molecola) di acido malonico in gr. 5 di piridina, ed in questa soluzione si fanno cadere a piccole porzioni ed a brevi intervalli, curando anche ogni volta di agitare, gr. 5 (1 molecola) di jodio polverizzato. Quando in tal modo se n'è aggiunto circa la metà, si nota un leggiero innalzamento di temperatura ed insieme un passeggiero sviluppo di anidride carbonica; allora è bene immergere in acqua fredda prima di aggiungere tutto il resto del jodio. Così operando la reazione procede con un lento svi- luppo gassoso, che poi continua per circa una mezz ora. Dopo un po’ di tempo il liquido di color bruno si rapprende in una massa cristallina giallo bruna, la quale, stemperata con etere acetico, in cui non è solubile, e lavata con alcool, si trasforma in una polvere bianca fusì- bile a 175-180°. Il composto così ottenuto si purifica cristallizzandolo dal- l'alcool, dal quale si separa in grossi e lunghi aghi bianchi, inalterabili all'aria, che riscaldati anneriscono fortemente 2 175-180° e fondono con decomposizione a 250-252°. All’analisi: I. gr. 0,1707 di sostanza diedero ce. 9,3 di azoto misurati alla temperatura di 12° e alla pressione di 761 mm. II. gr. 0,2025 di sostanza diedero cc. 11,6 di azoto misurati alla tempera- tura di 14° e alla pressione di 751 mm. III. gr. 0,3257 di sostanza diedero gr. 0,1888 di joduro di argento. IV. gr. 0,1858 di sostanza diedero gr. 0,1085 di joduro di argento. V. gr. 0,1761 di sostanza diedero gr. 0,0667 di acqua e gr. 0,2695 di ani- dride carbonica. i In 100 parti: I II IV V N 647 665 — SR I _ e 3132. slo C — = — SE ORARI 2 H — — — Ci 43 Questi dati analitici conducono alla formola C,,H1;0,N3I di un jodi- drato basico di piridinbetaina, per cuì sì calcola su 100 parti: 6,96 31,59 41,79 3,74 15,92 100,00 È questo un corpo insolubile in etere, discretamente solubile nell'alcool a caldo, solubilissimo nell’ acqua fredda; la soluzione ha reazione acida. Si discioglie con effervescenza nel carbonato sodico, però non elimina piridina nemmeno portando a secco la soluzione. Il sale sodico che ne ri- OTanzZz — 217 — sulta, cristallizzato dall'alcool assoluto, è deliquescente, ma non ha compo- sizione costante, risultando da un miscuglio a proporzioni variabili di joduro sodico e piridinbetaina. Con nitrato di argento e con acetato di piombo pre- cipitano i rispettivi joduri. Nell’idrato sodico si discioglie dando una soluzione incolore, che col riscaldamento diventa prima gialla e poì bruna; concen- trando molto si elimina piridina. Sospesa in etere anidro, per azione del- l'acido cloridrico secco, rimane in gran parte inalterata. Disciolta in acqua, con amalgama di sodio dà una bella colorazione azzurra, che sparisce per agitazione all'aria, e riappare col riposo o col riscaldamento. Questa stessa colorazione si ha anche per riduzione con polvere di zinco ed acido cloridrico, quando si neutralizza con idrato potassico. I caratteri tutti e il comportamento di questa sostanza non lasciano dubbio, che si tratti di un jodidrato di piridinbetaina, e propriamente del jodidrato basico secondo risulta dai dati analitici. Nella letteratura chimica non si trova alcuna notizia sui jodidrati neutro e basico di piridinbetaina; credetti perciò necessario identificare il composto ottenuto ricavandone la base libera, e tentando di trasformarlo nel sale neutro. Facendo digerire con ossido di argento umido la soluzione acquosa della sostanza, e quindi evaporando il liquido filtrato, si ebbe un corpo che aveva | tutte le proprietà della piridinbetaina libera descritta da Gerichten ('). Questo corpo fu trasformato in cloroplatinato, che si ebbe in una polvere gialla rossastra fusibile a 215° (Kriger 211°). All’analisi : Gr. 0,3582 di sostanza diedero gr. 0,1012 di platino. In 100 parti: trovato calcolato per (C:H70 N):Hs PtCl Pt 28,29 Pt 28, 5 Per azione di un eccesso di acido jodidrico non fu possibile trasformare il sale basico ottenuto in sale neutro; in diversi tentativi che si fecero, il sale basico rimase sempre inalterato, per come si ebbe anche a constatare con una determinazione di jodio. Infatti: Gr. 0,3186 di sostanza diedero gr. 0,1882 di joduro di argento. In 100 parti: trovato calcolato per Cs His 04N2J calcolato per C7 Hz 0. NJ Ja 31;8 31,59 47,9 Tentai allora la preparazione del sale neutro, facendo agire un eccesso di acido jodidrico sulla base libera ottenuta per mezzo dell’ ossido di argento umido e di fresco preparato dal cloridrato di piridinbetaina; anche in questo (*) Berichte, 15, pag. 1251. RexpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 29 — 218 — caso si ottenne sempre il jodidrato basico, identico a quello da me descritto, e mai il sale neutro. In una determinazione di jodio si ebbe infatti il seguente risultato: Gr. 0,0459 di sostanza diedero gr. 0,0272 di joduro di argento. In 100 parti: trovato calcolato per C11H,504 NI 32,0 31,599. Chimica. — Sopra alcune trasformazioni del tetraidrocarba- zolo (!). Nota di G. PLANCHER, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Il tetraidrocarbazolo fu ottenuto da Graebe e Glaser scaldando a 300° il cloridrato di carbazolina (£), e la sua costituzione rimase indefinita, finchè Zanetti (*) dimostrò che esso ha tutti i caratteri di un vero indolo, e che perciò gli atomi di idrogeno addizionali debbono essere attaccati ad uno stesso nucleo benzenico. Zanetti riuscì a trasformarlo in acido «-indolcarbo- nico, e ne diede un metodo di preparazione atto ad ottenerlo in grande quan- tità, per la riduzione del carbazolo con sodio ed alcool amilico. In seguito, con Levi (4), dimostrò che esso reagisce con joduro di metile e con cloro- formio come i veri indoli. Poco appresso Baeyer, ripetendo un’ esperienza di Drechsel (5), lo preparò condensando, con acido solforico, il fenilidrazone del chetoesametilene (9). Questo modo di formazione, perfettamente analogo alle condensazioni che hanno condotto E. Fischer alla sintesi della maggior parte degli indoli, confermò per questo corpo la costituzione datagli da Zanetti. Zanetti e Levi per l’azione del joduro di metile sul tetraidrocarbazolo ottennero una base della composizione data dalla formola CH N, che, se- condo le idee che si avevano allora sulla metilazione degli indoli, conside- rarono come un derivato di una idroacridina. Durante le mie ricerche sulla metilazione degli indoli, che hanno modificata l' interpretazione, che si deve dare di questo processo, ho creduto bene di estendere lo studio a questo corpo specialmente interessante, per vedere se la metilazione, in questo caso, procede come negli altri (7). Realmente la metilazione del tetraidrocarbazolo, avviene come quelle degli altri indoli. L'alcaloide di Zanetti e Levi ha la costituzione rappre- sentata dalla formola I; scaldata con acido jodidrico e fosforo a 230°, perde il metile attaccato all’azoto e dà una base idrogenata C,3 Hi; N, alla quale (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Chimica Generale della R. Università di Bo- logna. (è) Ann. d. Chem., 163, 118. (3) Gazz. chim. ital. 23, d, 294. (4) Loc. cit., 24, è, 112. (5) Journ. fiir. prakt. Chem. N. F., 38, 69. (6) Ann. d. Chem., 278, 106. (?) Le esperienze vennero eseguite coll’ aiuto del dott. G. Testoni. — 219 — compete la formola segnata II; la quale, ossidata con permanganato potas- sico, perde due atomi di idrogeno per dare un alcaloide della composizione C.3 His N rappresentabile colla terza delle formole qui sotto segnate: AE n DICI > AZIO ZIP - L'SRIZIADE | | | | | | | | HC C C CH, HC C C CH». NANNA NV N07 | H i È HS CH. «He I II. LN ONT HCO (O9==G CH, | | I HC C C CH, VANI H HG III Che così sia, viene dimostrato, oltre che dall’analogia di questi muta- menti con quelli operati sulla trimetilmetilenindolina (*), dalla sintesi della terza di queste basi per condensazione del fenilidrazone dell’ «-metilcheto- esametilene. Questo fenilidrazone si condensa in due modi contemporaneamente, e dà oltre la predetta base anche un corpo, non basico, di carattere indolico che sarà il metiltetraidrocarbazolo, della costituzione sottosegnata : H H, C. C / CH HÉ CH 3 COMBNCH, | | | HU C-NH—N=C CH. MZ NA H H, A DS V/M AT VARN HC È C CH, HC O 0 CH, | | | | I I | C C (0) CH, HC C CH, NOAA Na ENT JET Hi H JRL CH, ù Metilcarbazolenina Metiltetraidrocarbazolo (1) Gazz. chim. it. 28-6-342. — 220 — La base C4H,; N. Per avere puro questo alcaloide, ho trattato il pro- dotto basico greggio della metilazione del tetraidrocarbazolo, con acido picrico in soluzione alcoolica. Il picrato che si ottiene, si purifica cristallizzandolo dall'alcool, in cui è poco solubile. Si separa in cristalli alle volte molto sviluppati, di colore giallo aranciato, che fondono @ 157-158°. Esso ha la composizione data dalla formola CH N. Cs Ha. (N0,)3. OH. Da questo picrato, per distillazione al vapor d'acqua, a reazione alcalina e in corrente di idrogeno, raccolsi nel distillato un prodotto oleoso più pesante dell’acqua e incoloro, che dopo pochi giorni solidificò. Seccato rapidamente fra carta, fuse a 57-58° circa, separando delle goccioline di acqua che intorbidavano la massa fusa. Non lo potei analizzare, perchè in presenza dell'aria arrossa rapidamente e si altera. Nel vuoto perde acqua e diventa liquido. Estratto con etere e seccato con potassa fusa di recente, dopo eliminazione del sol- vente a bassa temperatura, resta sotto forma di un liquido denso, legger- mente roseo, capace di cristallizzare. Per poco che si innalzi la temperatura, esso libera, invece, abbondanti quantità di acqua, anche quando l'estratto etereo dopo lungo soggiorno sulla potassa, mostrava di non cederle più affatto umi- dità. Distillandolo nel vuoto passa prima una porzione acquosa torbida, ma la maggior parte del prodotto distilla costante a 180-181° e 31 mm. Non cristallizzò più affatto, dopo questo trattamento e constava esclusivamente della base di Zanetti e Levi. Probabilmente, questo alcaloide idrato contiene una molecola d'acqua più della base C,, Hi N e gli compete la formola costituzionale : Cra Ho NO Un termine analogo, quantunque prevedibile, non è ancora stato ottenuto dalla metilazione degli indoli. Esso costituirebbe la forma pseudoammonica, e serve bene, come altrove ampiamente esporrò, per. spiegare la formazione delle alchilidenindoline. La base distillata, tanto come il prodotto greggio, sottoposta, in solu- zione eterea, ad una corrente di acido jodidrico secco, dà un jodidrato della composizione data dalla formola C4 Hi N. HI. Esso è solubile, ma non molto, nell’alcool e cristallizzato ripetutamente fonde a 211° e si decompone a 225° circa. La base C;3 HH, N. Scaldando il jodidrato fusibile a 211°, con acido jodidrico e fosforo, per 6 ore a 150° e quindi per altre 6 a 200-230°, resta — 221 — nel tubo un iodidrato cristallino incoloro, corrispondente alla quasi totalità del prodotto messo a reagire. Separato per filtrazione su lana di vetro, cri- stallizzato, precipitandolo con etere dalla soluzione alcoolica; e in seguito cristallizzato dall'alcool assoluto fonde a 196°-197°. La sua composizione è rappresentata dalla formola C,3 H:N.HI. Sciolto in acqua e trattato con soluzione acquosa di picrato sodico, diede un picrato color giallo chiaro, molto solubile in alcool, che cristallizzato dal benzolo fonde a 161° circa. La base che si libera dal iodidrato per azione degli alcali, ha odore simile a quello del timolo e ricorda perfettamente la trimetilindolina di Ferratini (!). Essa è secondaria, perchè dà una nitrosoammina che fornisce la nota reazione co- lorata di Liebermann, e perchè si combina con grande facilità coll’ isocianato di fenile. La sua composizione si deduce da quella del suo iodidrato. La base C,3 Hi; N. Si ingenera ossidando a bassissima temperatura, con permanganato potassico a reazione alcalina la base C,3 Hix N. Estratta con etere, fu trasformata nel suo picrato, il quale è un corpo giallo carico assai poco solubile in alcool etilico, che fonde a 170° ed ha la composizione data dalla formola C,3 His N. Cs H: (NO): OH. Avendo sempre operato su piccole quantità di prodotto non ho fatto altri derivati di questa base, ma nei diversi trattamenti ha mostrato di avere le proprietà delle indole- nine; il suo odore poi assomiglia perfettamente a quello della trimetilindo- lenina (?) quantunque sia molto meno marcato. Sintesi della base C,3H,; N. La gentilezza del prof. N. Zelinsky, che mi ha spedito un saggio dell’ @-metilchetoesametilene da lui scoperto, mi ha messo in grado di preparare, per via sintetica, questa base; per il che io mi sento molto grato all'illustre chimico russo e gli dichiaro la mia viva riconoscenza. Il chetone da me impiegato pesava gr. 1,3, fu convertito nel suo fenilidra- zone che bolle a 204°-205° e 33 mm., e venne condensato con gr. 7 di cloruro di zinco, sciolti in 4,5 di alcool, scaldando a bagno maria per un intera gior- nata. Il prodotto, alcalinizzato con potassa acquosa ed estratto con etere, fu diviso, con trattamenti opportuni, in due parti presso a poco uguali, l'una basica e l’altra no. La prima aveva lo stesso odore della base ottenuta dal- l'ossidazione, e gli stessi caratteri; non divenne cristallina, ma è probabile che divenga tale, stando in riposo e lentamente. Diede un picrato Ci3H,; N. Cs H: (N0:).OH identico al suddescritto, che fuse a 170°. La parte indolica divenne cristallina. Anch’ essa diede un picrato che ha color rosso-bruno e si separa in aghi finissimi. Non è ancora stato studiato. (*) Gazz. chim. it., 28, 0, 115. (2) Loc. cit., 28, d, 372 e 437. ID IO LO | Considerazioni sulla trasformazione del nucleo pirrolico in piridico. In una Nota, pubblicata recentemente, in questi Rendiconti ('), ho ma- nifestato alcune idee su questa reazione, che è fra le più interessanti ed è rimasta quasi unica in tutta la chimica organica. Una recente pubbli cazione di E. Bamberger e G. Djierdjian (°?) mi induce a precisar meglio il mio concetto, anche per render noto che gli studi per arrivare ad una com- pleta spiegazione di questa reazione non sono stati sospesi, ma che in que- sto laboratorio vengono alacremente proseguiti. In alcune reazioni il pirrolo ed in genere i composti pirrolici, reagiscono invece che nella forma ordinaria, in una delle due forme tantomere: dh) n° lai Di N N IE JE, In questi ultimi tempi ho osservato che il benzolazopirrolo di Fischer e Hepp (3) trattato con fenilisocianato si combina facilmente, e dà una feni- lurea della formola bruta C,, Hu, ON, fondente a 108°-110°. Il pirrolo invece con fenilisocianato non reagisce affatto. Mentre i pirroli non hanno carattere basico marcato, il benzolazopirrolo ha carattere decisamente basico. Si può dare quindi che ad alcuni benzoazopirroli, invece che la costituzione azoica, competa quella fenilidrazonica, derivante dall'una o dall’ altra delle forme soprascritte; e che, per esempio, il benzolazopirrolo abbia o l'una o l'altra delle due formole seguenti: CH Di CH=N.NHGH; DI a CEEZSND T A) ò cl A Lr N.NH CH; H a SÒ DÀ La prima sarebbe più probabile, per la tendenza che hanno i radicali acidi ad occupare nei pirroli la posizione «; anch'essa però non è affatto provata, ed ho espressa questa opinione sulla costituzione del benzolazopir- rolo come una cosa possibile, semplicemente. È del resto noto che alcuni benzolazofenoli hanno costituzione fenilidrazonica (4), ed altri invece quella di azoderivati. (1) Questi Rendiconti, IX, 1° sem., pag. 21. (2) Berichte der deutschen chem. Gesell., XXXIII, 537. (3) Ber. der deutsch. chem. Gesell., XIX, 2251. (4) Mac Pherson, Ibidem, XXVIII, 3, 2414. — 223 — Data la possibilità di queste forme tantomere del pirrolo, ho pensato che la formazione di $-cloropiridina dal pirrolo, col cloroformio, potesse in- teroretarsi ammettendo che il cloroformio agendo sul pirrolo si addizionasse al doppio legame in modo da dare un prodotto della costituzione rappresen- tata dalla prima delle formole qui sotto segnate; e che da essa sì arrivasse alla cloropiridina attraverso gli stadii espressi dal seguito di queste formole: JE II I00G IV. H Le 2 JE C He —e—CH0L HO ua CERCA “HOC =CHtCI VAN Lies SR, ni rai || n C IBLOU HC N75 5h Ar lr N N N S , H \q7 Analoga ipotesi si può fare per il caso in cui si supponga che il re- siduo — CH CI, del cloroformio si attacchi al carbonio sito nel posto @ de- rivando le formole relative, invece che dalla forma tantomera I del pirrolo, dalla seconda. Questa interpretazione diventa probabile, se si pensa che, tra i corpi pirvolici, il tetraidrocarbazolo, secondo Zanetti e Levi (1), con cloroformio dà un prodotto basico non mono, ma bensì biclorurato della composizione C;3 Hi NCI. In questa reazione il cloroformio agisce come i joduri alcoolici, e il derivato che si forma deve avere la seguente costituzione : che si può riferire alla seconda delle quattro formole scritte sopra. L'assenza in questo caso di un idrogeno rende impossibile la formazione di un derivato della forma III, ed ostacola l'allargamento del nucleo pirrolico a nucleo pi ridico. Questa ipotesi io la esprimo colla massima riserva per poter continuare indisturbato queste ricerche che spero verranno a confermarla. (1) Gazz. chim. it., 24, d, 115. Fisiologia. — Stud! sulle leggi che regolano l’ eliminazione del 00, nella respirazione. — Influenza dello stato igrometrico sul passaggio del CO, dal sangue all'aria ('). — Nota II (°) del dott. V. GRANDIS, presentata dal Socio LucIAnI. Gli esperimenti riferiti nella Nota precedente permettono di comprendere quanto grande parte del fenomeno respiratorio spetti al fatto fisico sempli- cissimo della concentrazione del sangue, prodotta dall’evaporazione polmonare. Ho accennato in quella Nota alle difficoltà, che le condizioni imposte dallo esperimento opponevano a che il fatto si manifestasse in tutta la sua esten- sione, perchè il crescere della tensione del CO, costituisce una limitazione al suo manifestarsi. Disposto come era l'apparecchio, le condizioni sono com- pletamente differenti da quanto avviene nel polmone; qui il CO, è libero di espandersi e di passare nell'aria degli alveoli polmonari quando cresce la sua tensione nel sangue; nell’apparecchio, invece, si può espandere solamente nel piccolo spazio lasciato libero dal liquido, e di più la pressione esercitata dalla colonna del manometro tende a ricacciarlo nel liquido stesso, per cui l'aumento di tensione cesserà tanto più presto di manifestarsi, quanto più grande è la quantità di sangue adoprata per ogni singola prova, rispetto allo spazio che nell’apparecchio rimane libero per l'espansione, o quanto più grande è la quantità di CO, che detto sangue contiene. Le osservazioni riportate in detta Nota devono quindi solamente dimostrare l'esistenza del fenomeno. La sua importanza però mi parve tale da giustificare uno studio più profondo, il quale mi ponesse possibilmente in grado di farmi un concetto della sua estensione. Se l interpretazione da me data al fenomeno era esatta, e se veramente il fenomeno fisico dell'aumento di concentrazione, aumentando la tensione dei gas, favorisce la fuoruscita del CO, dal sangue, deve essere eguale il risul- tato che si ottiene, quando si fa l'esperimento in condizioni reciproche di quelle descritte in detta Nota. Là si manteneva costante il volume dello spazio e, in causa del gas liberato dalla maggior concentrazione, aumentava la pressione esercitata dal gas sul manometro; mantenendo costante la pressione, quando aumenta la concentrazione del sangue, deve aumentare la quantità di gas che si mette in libertà. Questa reciprocità tra pressione e volume ha luogo sempre in tutti i casi in cui si esperimenta sui gas, ed è la conse- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisiologia della Facoltà di Medicina di Bue- nos-AÀires. (2) V. Questi Rendiconti p. 150. ERRO pos guenza naturale delle leggi fondamentali dello stato aeriforme dei corpi. Valeva la pena di fare questa controprova, e perciò disposi l'esperienza nel modo seguente. Ho montato l’ apparecchio nel modo indicato dalla figura 2. Nel recipiente P a due tubulature ho fatto penetrare il sangue venoso, estratto dall’animale e defibrinato col mercurio, senza lasciarlo venire in contatto Enia con l’aria atmosferica. A questo scopo per mezzo d'un lungo tubo lo facevo arrivare sul fondo del vaso P, dove avevo avuto previamente cura di porre uno strato d'olio d’'olivo, dell'altezza di alcuni millimetri. Le due tubula- ture di cui è munito il vaso sono disposte in modo, che l’ una si continua con un tubo di vetro, il quale arriva fino in vicinanza del fondo del vaso e perciò pesca nel sangue, mentre l’altra si apre nella parte superiore del vaso stesso. Il vaso impiegato ha la capacità di 50 c.c. e viene riempito soltanto fino a metà circa. La tubulatura che raggiunge il fondo del vaso, per mezzo di un lungo tubo a serpentino, viene posta in comunicazione con un tubo di Liebig a bolle A, nel quale secondo i casi si mette sem- plicemente acqua tiepida, oppure acido solforico. La tubulatura che sì apre nella parte superiore del vaso, invece, viene posta in comunicazione con un altro tubo di Liebig B, nel quale si trova una quantità, previamente pesata, di una soluzione concentrata di potassa oppure di soda caustica. Le estremità libere dei due tubi di Liebig vengono munite di un lungo tubo di gomma, sulle estremità del quale sono innestate le due tubulature di una di quelle pere di gomma, con vescica munita di valvole, che servono negli ordinari polverizzatori a pressione d'aria. Nell' innestare quest’ ultima parte RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 30 — 226 — dell'apparecchio bisogna aver cura di porre la pera in modo, che quando la si comprime la disposizione delle valvole oblighi l'aria ad andare nella dire- zione di quella tubulatura che arriva fino verso il fondo del vaso contenente il sangue. Così tutto l'apparecchio costituisce un ambiente chiuso, di volume variabile, e tale da permettere che l’aria gorgogli, prima attraverso il tubo di Liebig segnato con la lettera A, quindi gorgogli attraverso al sangue e di qui gorgogli attraverso il tubo di Liebig segnato con la lettera B, per ritornare nelle bolle di gomma. Il circolo percorso dall'aria è quale fu sopra descritto, nelle mie esperienze, onde avere dei risultati più attendibili e tra di loro esattamente confrontabili, come si possono ottenere soltanto quando tutte le condizioni sono perfettamente eguali, l'apparecchio da me adoperato era doppio in tutte le parti di vetro, le quali per mezzo di due tubi a tre vie veni- vano messe in comunicazione colla pera a valvole del polverizzatore. Nel disegno fu rappresentato così semplice, per non generare confusione con un' intricata serie di tubi. Nell’apparecchio doppio che io adopravo, la corrente d' aria spinta dalla compressione della pera di gomma si sdoppiava, una parte arrivava in un tubo di Liebig contenente H,S0, dove si seccava perfettamente, e l'altra parte arrivava in un altro tubo di Liebig, contenente acqua leggermente acidulata. Riscaldavo alla temperatura di circa 30 gradi C l'aria, mentre pas- sava nei tubi di Liebig, per mezzo di un bagnomaria, nel quale immergevo i due tubi di Liebig contenenti l’ uno l' H,SO, concentrato e l’altro l’acqua leggermente acidulata. Adoprai questo mezzo per rendere più completa la satmazione, con vapor d'acqua, di quell'aria, che passava nel tubo contenente acqua acidulata, e per ottenere una essicazione più completa di quella che passava attraverso all’altro tubo contenente H,S0,. Dopo questi tubi riscal- dati l’aria attraversava due lunghi serpentini posti alla temperatura ordinaria dell'ambiente, nei quali deponeva rispettivamente l'eccesso di vapor d'acqua e le bollicine di H,SO, che potesse trascinar seco gorgogliando; così arrivava in due recipienti a due tubulature, in ciascuno dei quali era una quantità nota, e presso a poco eguale, di sangue tolto dallo stesso animale nello stesso mo- mento e trattato nelle medesime condizioni. Infine da questi recipienti, per mezzo della tubulatura aprentesi in alto, l’aria passava in due tubi di Lie- big pesati, contenenti la soluzione concentrata di potassa, destinata a fissare il CO, esportato gorgogliando attraverso il sangue. Quando tutto era pre- parato nel modo sopra detto, procedevo nel modo seguente alla determinazione; con moto ritmico comprimeva la pera del polverizzatore in modo da deter- minare una corrente d’aria che gorgogliasse uniformemente attraverso a tutte le parti dell'apparecchio, e seguitava l'operazione per uno spazio di trenta minuti, in capo ai quali ripesava i tubi di Liebig contenenti la soluzione alcalina ed aveva così la quantità di CO, sottratta al sangue dall'aria per- fettamente secca e dall’aria saturata di vapor acqueo. Per ogni campione di sangue ripetevo parecchie volte la determinazione ad intervallli differenti dal — 227 — momento in cui il sangue veniva estratto dall'animale. In tutte queste espe- rienze mi son sempre valso di sangue venoso che raccoglievo dalla vena giugulare di un cane. Per brevità raccolgo in una tabella i risultati ottenuti : ARIA SECCA ARIA UMIDA s S$ DI Tempo C02 2 È Di Ri Tempo CO2 CO? 222) decorso esportatoin totale| esportato 0/0 gr.|F5 È decorso esportato iu totale|esportato 0/9 gr. 5 2 9-5) dal salasso in gr. di sangue 5 .9-E| dal salasso in gr. di sangue Ss ds (egici DA | 22 | 1/2 ora 0,0270 0,12 26,5 | 1% ora 0,0265 | 0,10 5 ore 0,0253 0,13 5ore | 0,0262 | 0.08 sa 23» 0,9227 0,12 DO 23» 0,0267 | 0,08 28» 0,0272 0,15 28» 0,0304 0,09 47 » 0,0220 0,12 47 » 0,0192 | 0,06 % 6 ore 0,0274 0,137 Da 6 ore 0,0201. | 0,08 22 n 0,0151 0,075 22 » 0,0159 | 0,066 22 ore 0,0165 0,07 22 ore 0,0119 | 0,05 24 | 80 » 0,0234 0,097 24. | 380 » 0,0216 | 0,09 54 » 0.0276 0,115 54.» 0,0251 | 0,10 Tutte le determinazioni sono adunque concordi nel confermare il fatto che l’aria secca è capace di sottrarre al sangue una quantità di CO, supe- riore a quella che è capace di sottrarre la stessa aria, quando sia saturata di vapor acqueo. Dopo i risultati ottenuti coll’esperimento riferito nella Nota precedente, mi pare di essere autorizzato a vedere in questi risultati una conferma del fatto, in quella Nota dimostrato, che il concentrarsi del san- gue determina un aumento nella tensione dei gas in esso contenuti, e nel nostro caso del CO,, per cui esso acquista una tendenza più forte a separarsi dal sangue stesso e passare nell'aria che venga a contatto col sangue. Difatti, la corrente d'aria, seccata previamente sopra l'acido solforico concentrato caldo, venendo in intimo contatto col liquido costituente il plasma sanguigno, ne esporta quella quantità d'acqua che è necessaria perchè l'aria, completamente secca, si saturi di vapor d'acqua a quella temperatura, che nel caso nostro era semplicemente la temperatura dell’aria ambiente, cioè una temperatura oscillante tra i 15° od i 18° C. Quest’ H,0 che abbandona il plasma fa sì che aumenti la concentrazione dei sali e delle altre sostanze in esso di- sciolte; ne vien turbato così l'equilibrio statico che esisteva nella soluzione di tutte quelle sostanze, e quindi, quelle di esse per le quali è raggiunto il prodotto di solubilità, tenderanno a separarsi dal liquido, e ciò è quanto avviene per il CO.. In queste determinazioni, essendo esso libero di espandersi in — 228 — proporzione della tensione acquistata, passa nell'aria che gorgoglia attraverso al sangue e noi lo ritroviamo poi combinato colla potassa, nel corrispondente tubo di Liebig, dove si manifesta sotto forma di un aumento di peso, più considerevole di quello determinato dal passaggio dell’aria satura d' umidità, la quale per tutto il resto si trova nelle medesime condizioni dell’aria secca. Questa serie di determinazioni è fatta in condizioni molto più affini a ciò che avviene realmente negli alveoli polmonari durante l’atto respiratorio, di quanto non lo fosse l'esperimento oggetto della Nota precedente, ed auto- tizza ad inferirne che lo stesso fenomeno si avveri realmente durante il passaggio del sangue attraverso ai polmoni. Ciò posto si comprende come determinando la tensione del CO, nel sangue, coi metodi finora usati, si deb- bano ottenere valori inferiori al vero, si ottengano cioè valori rappresentanti la tensione del CO, del sangue, che ha lasciato i tessuti e che circola in un sistema di tubi chiusi e tali da non permettere il disperdimento del- l’acqua del plasma e quindi una concentrazione del medesimo. Appena però il sangue arriva in contatto con un’ aria relativamente secca, come si può considerare quella atmosferica, quando penetra nell'albero respiratorio a cagione della differenza che esiste tra la sua temperatura e quella esistente nell’ interno degli alveoli polmonari, cede all'aria una parte della sua acqua, si concentra ed in conseguenza il C0,, che esso contiene, aumenta la propria tensione, ed in base a questa tensione così aumentata sfugge dal sangue passando negli alveoli, dove perciò, se l'equilibrio si stabilisce in modo completo, acquisterà una tensione uguale a quella che aveva nel sangue circolante negli organi del corpo, aumentata di quella quantità che viene determinata dalla avve- nuta concentrazione. Oltrepassato questo istante, per il contatto dei tessuti riechi d'acqua, come sono le pareti dei vasi e del cuore e forniti di una tensione osmotica inferiore a quella che egli ha acquistato ora per l’avve- nuta evaporazione, richiama a sè una parte della loro acqua, per mettersi coi medesimi in equilibrio osmotico, si diluisce nuovamente; e di qui la ra- gione perchè nel sangue arterioso la tensione del CO, non raggiunge l' al- tezza che può acquistare nell'aria degli alveoli polmonari. Questo modo di vedere è poggiato anche sopra un altro dato di fatto meno importante di quello che risulta dalle pesate eseguite, ma che acquista valore precisamente perchè con quello collima perfettamente, voglio dire sulla vivacità del colore che assume il sangue arterioso. È dimostrato oramai che la colorazione del sangue dipende sopratutto dalla forma dei globuli rossi, la quale dipende a sua volta dal rapporto che esiste tra la tensione osmotica dei globuli e quella del plasma in cui nuotano; le sostanze che determinano una coarta- zione dei globuli rossi impartiscono al sangue un color rosso rutilante. Le ricerche fisicochimiche di Hamburger (!) di Limbek (2) già citate nella Nota (1) Zeitschrift. f. Biol., Bd. 35, pag. 20. (2) Arch. f. Exper. Path. u. Pharmak., Bd. 35, pag. 309. OZ precedente ultimamente eseguite, hanno dimostrato che il CO, fa aumen- tare il volume dei globuli rossi. Durante le determinazioni di cui è og- setto la presente Nota, potei costantemente osservare che il sangue attra- verso il quale gorgoglia aria seccata su H,S$0,, acquista un colore rosso molto più vivo e simile a quello del sangue arterioso, che non quello attra- verso al quale gorgoglia un’ aria, egualmente ricca in ossigeno, ma contem- poraneamente satura di vapor acqueo. Il fenomeno avviene in maniera così evidente da prestarsi bene per una dimostrazione di scuola, e basta già che l’aria gorgogli per 10 minuti, onde possa essere chiaramente percepito. Sempre, parallelamente alla maggior quantità di CO, ceduta all'aria, sì presenta una colorazione più viva del sangue. Il colore del sangue reso arterioso facendovi gorgogliare aria saturata con vapor acqueo, cioè senza che sia possibile una concentrazione del plasma sanguigno. differisce di assai poco dalla colorazione del sangue venoso; è probabile quindi, che alla stessa causa, cioè alla con- centrazione del plasma nel passare attraverso ai polmoni, si debba ascrivere il cambiamento di colore subito dal sangue nel trasformarsi da venoso ad arterioso. Una prova indiretta di ciò si ha pure nel fatto, osservabile ad ogni istante, quando sì raccoglie del sangue in un cilindro di vetro e ve lo si lascia coagulare; lo strato superiore, dove si fa sentire l'effetto dell’eva- porazione, assume una colorazione rosso viva, la quale progredisce lentamente verso la parte inferiore, man mano che in questa per evaporazione scema la quantità di H,0 contenuta nel cruore. Siccome il fenomeno segue progressi- vamente per parecchi giorni, non si può ascrivere il fatto a fenomeni vitali dei globuli, nè alla formazione di ossiemoglobina, la quale ha sempre una colorazione molto meno viva. Avvalora questo modo di vedere, il fatto che si può aumentare notevolmente la vivacità della colorazione del sangue ar- terioso, sbattendolo in contatto dell’aria e ciò, malgrado sia dimostrato dalle ricerche di Hifner (!) che l’emoglobina del sangue reso arterioso nel pol- mone è saturata di ossigeno. Le determinazioni sopra riportate ci danno un'idea della importanza della concentrazione del plasma nel liberare il sangue dol CO; che esso contiene. Facendo una media della quantità di CO, esportata dall'aria secca, si trova essere 0,1134,/0 di sangue mentre la media della quantità di CO, esportata dall'aria umida è soltanto 0,796 °/ gr. di sangue, e cercando in quale rap- porto questi due valori stanno fra loro, si vede che la quantità di CO, espor- tata dall'aria satura di vapor acqueo rappresenta soltanto il 70°/ del valore di C0, esportato dallo stesso sangue quando l’aria è secca. A nessuno può sfuggire l’importanza di questo risultato; esso può perfettamente spiegare il fatto trovato da Bohr, e confermato in più ampie proporzioni da Haldane, riguardo alla differenza di tensione tra il C,0 del sangue e quella dell'aria (?) Zeitschrift f. physiolog. Chemie 1878, Bd. I. = 290, — alveolare, e che essi ascrivevano ad un potere secernente dell’epitilio alveo- lare. Le nostre osservazioni non ci permettono di concludere se questo po- tere esista oppure no; certo è che quella differenza di tensione può essere abbondantemente determinata dal fatto fisico, il quale accompagna l'atto respi- ratorio, per cui si evapora una parte dell'acqua che costituisce il plasma sanguigno. Una cosa notevolissima risulta da questi esperimenti, che ci apre la via allo studio di una serie di fenomeni, di cui generalmente si ammette l’esistenza e per i quali non mi consta esistessero fatti capaci d' indicarne la natura. Voglio alludere agli effetti deleterî dei climi umidi. Si sa per esperienza che i climi umidi sono dannosi per la salute; i risultati degli esperimenti riportati in questa Nota autorizzano a ritenere che, non ultima causa del danno che essi arrecano, sia l'impedimento opposto dall'umidità a che il sangue possa liberarsi completamente dai prodotti gazosi regressivi del metabolismo. Biologia. — innesto delle ovaia, in rapporto con alcune questioni di biologia generale ('). Nota preliminare di UarLO Foà, presentata dal Socio A. Mosso. L’ innesto delle ovaia fu tentato finora da pochi sperimentatori, e la maggior parte delle esperienze furono di trapianto omoplastico, cioè di sem- plice trasposizione dell'organo nell’ individuo stesso. In questi casì l'esito dell’ innesto fu buono, l’ovaio si mantenne vivo e funzionante, l'animale potè ancora essere ingravidato. Dell’ innesto eteroplastico, cioè da un animale al- l’altro della stessa specie, si occuparono Knauer (?) e recentemente Herlitzka. Entrambi ebbero risultati negativi, cioè videro l'organo degenerare rapida- mente e cessare da ogni funzione specifica. È da notare che i detti speri- mentatori usarono sempre animali adulti. Io stesso ripetendo le loro esperienze con animali adulti ebbi costantemente risultati negativi. Volli allora vedere se fosse possibile ottenere esito migliore coll’ innestare ovarî tolti da embrioni di coniglio o da giovanissime conigliette impuberi. In una 1° serie di espe- rienze innestai ovarî embrionali in giovani conigliette di un mese o due di vita. In una 2* serie innestai ovarî pure embrionali in coniglie adulte plu- ripare, ed in una 3? serie di esperienze li innestai in vecchie coniglie giunte al periodo della menopausa. In tutte queste operazioni toglievo l'ovaio proprio dell'animale innestato, e lo sostituivo coll’ovaio embrionale. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Fisiologia della R. Università di Torino. (2) Knauer, Veber Ovarientransplantation. Wiener klinische Wochenschrift. Decem- ber 1899, n. 49. — 251 — La tecnica operatoria e la successiva tecnica istologica da me usate, descriverò fra poco nel lavoro completo. L'esito delle esperienze della 1% e 2* serie fu positivo, cioè l’ ovaio, esaminato fin dopo 60 giorni dall'operazione, non degenerò, anzi crebbe e si sviluppò rigoglioso nel nuovo ambiente. Debbo poi notare che quando l’'ovaio veniva trapiantato in una coniglia adulta, esso diveniva in breve tempo (45 giorni) adulto, accelerando così di molto la propria evoluzione normale. Se invece l’ovaio veniva innestato in una coniglietta giovine, esso si mante- neva assai più a lungo embrionale, rimanendo cioè in uno stadio meno avan- zato della propria evoluzione. L'esito della 3% serie di esperienze fu costan- temente negativo, cioè l’ovaio innestato in vecchie coniglie giunte al periodo della menopausa, rapidamente scompare, completamente assorbito. Onde con- chiudo : 1°. L'ovaio adulto innestato da un individuo all’altro della stessa specie rapidamente degenera, l’ovaio embrio- nale invece è capace di prosperaree di svilupparsi nel nuovo ambiente. 2°. L'ovaio embrionale innestato in una femmina adulta si sviluppa e raggiunge la propria maturità sessuale assai prima di quello innestato in una giovane femminaimpubere, abbreviando di molto il tempo della propria evoluzione normale. 8°. L'ovaio embrionale innestato in una femmina giunta al periodo della menopausa rapidamente viene riassorbito e scompare. Il diverso comportamento delle ovaia nell'innesto a seconda che sono adulte od embrionali, mi pare possa esser dovuto ad un diverso grado di specificità dei due organi, e quindi di adattabilità ad un nuovo ambiente. Poichè la causa del rapido degenerare dell'ovaio adulto innestato è da attribuirsi, se- condo me, al fatto che esso si è adattato a quel complesso di influenze che gli provenivano dall'antico ambiente, le quali vengono comprese nella deno- minazione generale di metabolismo organico, si è differenziato per esse, sicchè non può continuare a vivere che in quell’ambiente, e portato in un altro organismo soccombe. L'ovaio embrionale invece è ancora in uno stadio per così dire indifferente, non ha subìto ancora alcuna prolungata influenza nel proprio ambiente, e può facilmente adattarsi ad un ambiente nuovo. Queste deduzioni tratte dai primi risultati sperimentali, vengono confermate dalla se- conda e dalla terza serie delle mie esperienze, le quali dimostrano quanto grande sia l'influenza che l’ambiente organico, nel quale un tessuto vive, esercita sul tessuto stesso; e come lo stato di nutrizione e di sviluppo di questo stia in rapporto colle condizioni dell'ambiente. Un'obbiezione si potrebbe fare dicendo che la causa della miglior riuscita dell'organo embrionale sull'organo adulto — 232 — è la maggiore attività proliferativa del primo. A questa obbiezione rispon- derò nel lavoro completo. Per ora mi basti di far notare che, pur ammet- tendo l’attività proliferativa dell'organo innestato come condizione necessaria all’attechimento di esso, noi vediamo essere tale attività sotto l influenza diretta dell'ambiente generale organico nel quale il tessuto si trova, ed anche dei tessuti che direttamente lo circondano. Noi vediamo il tessuto adulto acquistare esso pure attivissime proprietà proliferative se l’ambiente in cui si trova glie lo concede, ed il tessuto embrionale diminuire od esal- tare le proprie a seconda delle condizioni in cui si trova. Per l’attecchimento di un organo o di un lembo di tessuto innestati, dobbiamo dare una gran- dissima importanza all'ambiente in cui l'innesto vien fatto, poichè esso deve dare al nuovo organo tutto quel contributo di forze alle quali l’organo stesso era abituato, e per le quali si era differenziato. Esamineremo nel lavoro completo il rapporto di queste nostre espe- rienze colla questione che fra neolamarkiani e neodarwinisti si agita intorno all'autonomia del plasma germinativo rispetto al plasma somatico. PASDE RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANT Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° aprile 1900. A. MessepaGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Paleontologia. — Ba/enottera miocemica della Repubblica di San Marino. Nota del Socio G. CAPELLINI. Quasi sulla vetta del Monte Titano, a m. 570 sul livello del mare e distante appena metri 150 circa dalla Rocca nella direzione di sud-ovest, in una cava di pietre dalla quale Luigi Reffi estrasse gran parte del mate- riale che ha servito per il nuovo palazzo della Reggenza, nel giugno del 1397 aveva luogo una scoperta paleontologica di grande importanza. Staccando un grosso masso in contiguità d'una notevole frattura della roccia calcareo-arenacea, i cavatori s' accorsero della presenza di ossa, in gran parte tuttavia sepolte entro la roccia, ed il signor Reffi dispose perchè quei massi fossiliferi fossero staccati con ogni maggior cura sicchè non ne potesse derivare grave danno ai preziosi resti che vi stavano inclusi. Il pro- fessore Borbiconi fu savio consigliere del Reffi, tanto per la migliore con- servazione di quelli avanzi fossili, quanto ancora per la loro definitiva de- stinazione e di ciò sono lieto di potergli tributare, anche in questa circostanza, lode ben meritata. Nei primi giorni del mese di luglio, il prof. Borbiconi mi informava della scoperta fatta a San Marino e dopo avermi inviato una fotografia dei massi principali nei quali si vedevano ossa fossilizzate, aggiungeva alcune indicazioni relative alla loro interpretazione. Dalla fotografia mi fu agevole di rilevare che sì trattava di un mista- coceto, e rispondendo al prof. Borbiconi lo pregai di interessarsi perchè quei RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. sl — 234 — resti mi fossero affidati per liberarli dalla roccia e poscia studiarli convenien- temente. Trascorsi pochi giorni, il prof. Borbiconi mi rispondeva gentilmente che la mia proposta era stata accettata dal Reffi il quale, però, desiderava che io mi recassi a San Marino per dare consigli e istruzioni per il più facile trasporto di tutto il materiale in cui si scorgevano avanzi di ossa. Accettata, per parte mia, questa giusta condizione, avrei dovuto recarmi subito a San Marino e, assai probabilmente, il fossile sarebbe stato anche meno guasto; fatto sta che un anno dopo il Borbiconi e il comm. Malagola Console di San Marino mi sollecitavano a fare la promessa visita, accennan- domi anche a una cartolina che nell'ottobre 1897 era arrivata dal museo di Monaco per sapere a qual prezzo sarebbe stato possibile di acquistare il teschio fossile di balenottera di San Marino. Finalmente nel maggio ultimo scorso 1899 mi recai a San Marino e trattai, pel museo di Bologna, l'acquisto di tutti i massi ossiferi messi in disparte dal Reffi, raccomandando perchè, con opportuni tagli a sega e con giudizioso lavoro a scalpello, si cercasse di diminuire alquanto la roccia sterile per renderne più agevole e meno di- spendioso il trasporto. Sua Eccellenza il comm. G. Baccelli ministro della Istruzione, considerando la importanza scientifica del nuovo acquisto pel museo di Bologna e la scarsità dei mezzi dei quali il museo stesso poteva disporre a tal fine, si compiacque di concorrere per una terza parte della spesa, del che mi è grato di potergli ripetere pubblicamente le mie grazie le più sincere. Nel masso principale che misurava circa m. 1,50 alla base ed era ap- prossimativamente altrettanto alto, con una grossezza media di oltre m. 0,70 si vedeva il teschio che si presentava per la faccia palatina abbastanza ben conservata, la mandibola sinistra che sì trovava appoggiata contro il frontale destro, più alcune porzioni di coste e di vertebre. Quel masso essendo par- zialmente fratturato, il Reffi per conservarlo come lo aveva estratto dalla cava, lo aveva collegato con chiavarde di ferro e con cemento; altri cinque massi contenevano resti di vertebre e frammenti di costole, ma in così cat- tive condizioni da non potere sperare di cavarne alcun partito. Il 15 giugno i resti della Balenottera del Monte Titano partivano da San Marino caricati e convenientemente aggiustati sopra un carro apposito, e dopo tre giorni arrivavano al museo di Bologna. Quivi fatta eseguire una fotografia del masso principale nel quale stava il cranio e la mandibola sinistra, mia prima cura fu di isolare la mandi- bola stessa e poscia diminuire la roccia sterile, staccandone notevoli porzioni mediante opportuni piccoli cunei secondando certe fratture naturali del masso, senza comprometterne affatto le ossa che in parte vi stavano ancora sepolte. E dopo avere anche lavorato non poco con adatti scalpelli per togliere la massa principale della roccia alla quale aderivano i mascellari per la faccia superiore e i frontali, ebbi ricorso alla sega, riducendo a pochi centi og: — metri di grossezza il voluminoso masso nel quale poggiavano le ossa della faccia. Così preparato il cranio e perfettamente isolata la mandibola sinistra, restaurato un interessante frammento della mandibola destra e isolate in parte alcune porzioni di costole e avanzi di vertebre che si trovavano nel masso principale e in alcuni massi minori, ecco quanto provvisoriamente posso dire intorno al nuovo Auloceto venuto ad arricchire la collezione cetologica del museo bolognese e pel quale è ancora necessario molto e paziente lavoro per liberarlo completamente dalla roccia incassante. L'occipitale è benissimo conservato e permette di apprezzarne la ele- gante depressione caratteristica del genere Aulocelus, con maggiore esattezza che non sia stato possibile nelle porzioni di crani di balenottere sarde ulti- mamente illustrate. Detta depressione nella parte centrale valutata rispetto alle creste late- rali, come ho fatto nelle balenottere cagliaritane, resulta di m. 0,052 salvo piccole rettificazioni che potranno occorrere quando il cranio sarà completa- mente liberato dalla roccia. L’cccipitale poi assomiglia complessivamente piuttosto a quello del- l'Aulocetus Lovisati che all’A. Calaritanus, ma per un insieme di piccole differenze e per quello che è possibile di confrontare della porzione degli apparati auditivi messi allo scoperto, si può prevedere che forse occorrerà di tener distinto anche questo nuovo esemplare che decisamente non mi pare che si possa con altri identificare. La lunghezza del cranio misurata dalla estremità del rostro alla base del foroMoccipitale tende. 3 csi gg 340 La larghezza dell'occipitale in corispondenzi del o rachi- GIEINO o 000 FRRLEAZE4I , D - » 0,395 La lunghezza a partire dai margine superiore di iau n - » 0,260 A m. 0,50 dalla estremità del rostro, la larghezza del cranio misura ancora . . Mn. RI ee a (340 Alla base dei mascellari la inviato Gidi SMP e OO La larghezza massima tra le due apofisi zigomatiche . . . . » 0,620 Lunghezza del mascellare . ... . + Me 0) 98 Il foro rachidiano ha un diametro calo dI a rana 0,050 Il diametro verticale è un poco minore e cioè . . . . . . >» 0,045 Lo sfenoide, le ossa palatine, il vomere sono abbastanza ben conservati e netta è la faccia inferiore dei mascellari, mentre aderisce tenacemente la roccia alla faccia loro superiore e dubito se mi riescirà di liberare comple- tamente quelle ossa, non volendo rischiare di compromettere ‘un così impor- tante esemplare. — 236 — AI lato destro del temporale è tenacemente aderente, quasi saldata, una porzione di vertebra che ritengo essere l’atlante e che procurerò di disimpe- gnare, sia pure sacrificandola parzialmente. Gli apparati auditivi sono così saldamente impegnati con le ossa tem- porali, che non si potrà pensare ad isolarle come potei fare per gli Aulocetus di Sardegna. Per giunta le ossa auditive sono state molto danneggiate, perchè fin dal primo momento della escavazione del masso fossilifero si tro- varono allo scoperto e con grande fatica riescirò forse a potere istituire qualche confronto che sarebbe stato tanto opportuno per stabilire i rapporti e le differenze con le altre balenottere mioceniche fin qui note. Delle altre ossa relative alla balenottera del Monte Titano, mi limiterò a ricordare ancora la mandibola sinistra che ho potuto isolare completamente e così bene che, per ora, nessuna altra mandibola di balenottera così perfet- tamente conservata si ammira nella ricca collezione di cetacei fossili del museo di Bologna. Detta mandibola mi riservo a far meglio conoscere quando farò una completa illustrazione del cetaceo di San Marino, e per ora dirò soltanto che il condilo, l’apofisi coronoide e la estremità anteriore ne sono perfettamente conservate; però alcune fratture con piccolo sopravanzo dell'osso, mi fanno ritenere che la sua lunghezza, la quale ora è di metri uno e trentacinque centimetri, seguendo la curva esterna, forse doveva essere appena un poco maggiore. Sul giacimento del fossile e sulla corrispondenza cronologica delle rocce del Monte Titano, limitandomi per ora a citare quanto ne scrisse il Manzoni, mi riservo di trattare diffusamente quando liberate del tutto dalla roccia le diverse ossa, potrò farne una completa illustrazione. i Studi omerici. — / venti, l’orientazione geografica e la navi gazione in Omero. Memoria del Socio A. MESSEDAGLIA. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Astronomia. — Osservazione del nuovo pianeta Schwassmann. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICA. Il 26 marzo ad Heidelberg, col metodo fotografico consueto, ìl signor Schwassmann ritrovò sulla lastra un pianetino che, esaminando le effemeridi dei pianetini, pare sia nuovo; dico « pare », perchè i molti pianetini con orbite cattive e gli errori occasionali di conteggio non permettono l'imme- diato giudizio, il quale del resto si può fare, e con piena sicurezza, in seguito. — 237 — Teri sera, ad onta del tempo pessimo, in una mezz’ ora di serenità a levante, ritrovai l’astro, e potei fare la posizione seguente: Pianeta FB 1900. (Gi IO; Bo dd 1900 marzo 31 8h 55 195 R. C. R. Ja (pianeta meno Stella) = + 1" 385.59 (9 confronti) ZO ” n») = + 1 184 0 (3 » ) « apparente pianeta 12% 43m 145,26 (92. 516) o » a = 00897, 00.770) Stella: 1900.0; «a = 12% 41” 325. 65 d = — 0° 6° 58%. 1 Riduzione al giorno: +. 55.02 — 187. 9 Matematica. — Complementi al teorema di Malus-Dupin. Nota II (1) di T. Levi-CrvitA, presentata dal Socio V. CERRUTI. 3. Essendo [C] e [C"] due congruenze non-normali, cerchiamo se si può determinarne una terza [T{], congiunta ad entrambe per rifrazione. Dicasi o la superficie di passaggio fra [C] e [T° ia l’ indice di rifra- zione per questo passaggio; o” la superficie, che lega [T] a [C'], #' il rela- tivo indice di rifrazione; 1,23 le coordinate di un punto qualunque fd 00. Il raggio di [TY], che passa per P, taglia o’ in un certo punto P', le cui coordinate designeremo con 71,72% - Posto dovrà aversi sopra © (7) > (x; — - ) po = Ve e sopra 0° (8) DI (dv, -_ a) dyA10h ; dYi 1 intendendosi le X; funzioni di «1, 42,43, le Y; funzioni di y1,%2,%3- (1) V. questi Rendiconti pag. 185. — CS Reciprocamente se si possono determinare sei funzioni 2;,%; di due parametri v,v, per cui sieno verificate le (7), (8) e non si annullino nè l'uno, nè l’altro dei determinanti Xi Xo X3 DI Da, dL3 A ML U d0, | PEA Quo dX3 dv dv dU Y, Va Ma Di de dY d'=)| du du DIE, dn de dI dv dV dV si ha mezzo di passare con una duplice rifrazione da [C] a [07] In primo luogo, l'insieme dei punti «;(v, 0) costituisce realmente una superficie (non una curva), perchè non tutti i minori della matrice dI dI dI3 dU du dU possono insieme annullarsi, in causa dI AZIO ro REA dI‘ dC dv dv dv stessa ragione, la superficie o taglia effettivamente la congruenza [C]. Ana- logamente per o' e [C"]. Sulle due superficie rimangono in tal modo accoppiati i punti P (%,, 3, ca) ® P' (Y1:Y2:Y3), cui competono eguali valori dei parametri «,. Scelto un generico raggio di [C], sia appunto P la sua intersezione con 0; in virtù della (7), sarà PP' il raggio rifratto; questo sì rifrange a sua volta, attraversando o' e, per la (8), la sua continuazione è data dal raggio di [C"], che passa per P'. E ciò prova l'asserto. Si tratta dunque di stabilire che si può soddisfare al sistema simultaneo (7), (8) con funzioni di due parametri v,v, per cui non si annullano 4 nè A’. Il sistema (7), (8) equivale alle seguenti quattro equazioni a derivate Soa MENTO: H,= uk —|=0 i ; dr I (3 dr \ dY K,= (av 2) USA parziali (9) — 239 — d7\ dA: = Tele |\ IEP 130 > (ax 5. dv ; I V (10) è I u= (vi 2) UE Yi dv cui bisogna aggiungere le condizioni di integrabilità REN ADH, he == == 0, 3 dv du Ù 2dK, dK, Ke= — == È dV dU ù Usando la notazione (* o per designare il determinante jacobiano di due generiche funzioni pg, w rapporto alle variabili 4, v e avendo riguardo alie (3), si ha subito 3 MEA 105 Hj=nA4T— E° =) — dei dg \u v 74) 3 | K=aA4-) d°7 Yi Lj 0 ln; dY ddej\U v | 1 (11) che sommate ci danno NAAKF NA A =0. Questo sistema di equazioni rimane evidentemente invariato per un cam- biamento qualunque delle due variabili indipendenti «,v. Esse si possono fissare, sia identificandole con due delle incognite ;,%;, Sia più general- mente, aggiungendo al sistema due altre equazioni : (12) ba="0, K, =10E (non invarianti di fronte alle trasformazioni u = (u,0),0=v'(w,0)). Comunque, supponiamo di partirci da sei funzioni <;,%: della sola va- riabile u, che verifichino le due equazioni (9). Sarà in generale possibile soddisfare alle rimanenti equazioni del sistema, cioè le (10),(11),(12), in numero di sei, con altrettante funzioni delle due variabili «,v, le quali, per un certo valore v = vo, Si riducono alle dette funzioni della sola w. Ce ne accerteremo più innanzi in modo rigoroso. Per il momento ammettiamolo, e notiamo che il nostro sistema (9), (10), (11), (12) rimane completamente = Dio — integrato, poichè anche le (9) (verificate per costruzione, solo quando v ha il valore vo), sussistono per qualunque valore di v. Infatti le (11), tenuto conto delle (10), equivalgono a 9dH, isa. dKi 0A dU ==> ———— «= 9 ? siccome H, e K, si annullano per v= %v, lo stesso avviene per ogni altro valore di v. Le sei funzioni <; (w), yi, (v), integrali delle (9), donde si prendon le mosse, si possono scegliere in guisa che co! raggi di [C] si trasformino, raggio per raggio, in oo! raggi assegnati di LOG]E Per dimostrarlo, supponiamo che (13) Ti = ZA), (=) (14) Yi ==" YU); (4250) definiscano rispettivamente le due date rigate y e y di [C]edi [C'], rap- presentando, sopra ognuna di esse, u= cost generatrici rettilinee, a = cost, B= cost traiettorie ortogonali e intendendo che abbiano a corrispondersi 1 raggi, cui compete ‘il medesimo valore di u. Potremo anzi ritenere che @ e f rappresentino lunghezze, contate sulle generatrici rettilinee a partire da una stessa traiettoria ortogonale e che « misuri l'arco sopra questa traiettoria : CHE, Da dYi È AI, R le De B=0, rappresenteranno coseni direttori. dU oa . di 3 GRA dti ___ Avremo con tali ipotesi dA IS i; di più anche le ro pera=0, Vincoliamo i parametri @ e 8 ad essere funzioni di v in modo da sod- disfare alle (9), ossia scrivendo per disteso, conformemente a quanto ora 3 9) da dI RAI dI H \ ne i NEr* Xe RE (è 3a) +) (e i n) du ; Il Vv TUUS unt 3 3 dB V. dI 1 Né IV. dr Vi _ 23. Tiy+) (ex P)tno. | ii i Questo sarà possibile, almeno in un certo campo di valori delle «, @,f, purchè soltanto i valori iniziali corrispondano a punti P, , P; delle due rigate s'espose, | (0) 3 p È s Mi | stag dr y,Y, per cui non si annullino i coefficienti nXi— > Xi, dti 1 Ù 3 DI (ar dl pad dYi du du 1 t — 241 — Scelti con questa precauzione i valori iniziali, rimangono pel tramite delle (9'), determinate le sei funzioni zi(u,e()), yu P()) integrali delle (9), e da esse le due superficie rifrangenti o e 0’, in modo che, per v=%, si corrispondono appunto i due assegnati sistemi co! di raggi. 4. Le due congruenze[C]e[C"] abbiano un raggio g a comune e preci- samente coincidano, sopra g, — Xx, — X:, — X; con Y,, Y:, Yz ordinatamente. I valori delle anormalità, relativi ai punti di 9 sieno diversi da zero. Voglio mostrare che, almeno in un intorno abbastanza piccolo di g, sono effettivamente soddisfatte tutte le restrizioni di disuguaglianza, che assicurano la esistenza del sistema integrale e la biunivocità della corrispondenza fra i raggi delle due congruenze. In altri termini, date ad arbitrio una rigata y di [C] e una y' di [C'], aventi un raggio g a comune, e tra le loro gene- ratrici rettilinee una corrispondenza, di cui sia g raggio unito, esistono (e sono univocamente individuate dagli indici di rifrazione e dalla condizione di passare per due dati punti P,, P di 9) due superficie rifrangenti 0 e 0', atte a trasformare [C] în [C"] (più esattamente un pennello abbastanza piccolo di raggi di [C], intorno a g, in analogo pennello di [0"]). Prendiamo per semplicità la retta 9 come asse 3, e, dati arbitrariamente sopra di essa due punti non coincidenti P,, Pi, assumiamone le coordinate come valori iniziali delle nostre funzioni #;,%i . Collocando l'origine delle coordinate nel punto medio del segmento P, Po(=2/>0) e scegliendo la P. Pi per direzione positiva dell'asse 23, avremo come valori iniziali (15) e inoltre ; (®)- (es (=)- (2)=0 (16) bale Dane AE, Ie Comunque si assegnino le rigate y, 7", e le generatrici che debbono corrispon- dersi sopra di esse, per essere 9 raggio unito, le rappresentazioni parametriche RenpIcONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 82 (del tipo poc'anzi dichiarato) fanno corrispondere, in entrambe le rigate, il raggio g ad uno stesso valore w del parametro u. Riterremo che questo individui sopra y l'arco di traiettoria, ortogonale alle generatrici, passante per Po; sopra y' l'arco della traiettoria, passante per Pr. Dacchè le tangenti a queste curve in Po, Po sono entrambe ortogonali a 9, le direzioni delle bisettrici costituiscono con g una terna ortogonale e potremo supporre gli assi x,,» paralleli a queste bisettrici. Chiamando 24: 7 dna ; È i . di i l'angolo delle due tangenti in questione, i valori, per u="%o, di — 5 Mi u° w (coseni direttori delle dette tangenti) saranno del tipo dI dA da Secgg9 i E! sen EE dU dU dU d dY° dI? 91 _ cosg, ROD sen9, SURZIA du du dU potendosi ancora ritenere 0 = & < 3. Cominciamo dal constatare che, coi valori iniziali (16), non si annullano i coefficienti di 2 ; -; nelle (9'). Essi divengono infatti 7 —1,2—1, che sono proprio diversi da 0, perchè 1=1 o 2=1 significherebbero assenza di rifrazione, e noi supponiamo essenzialmente che rifrazione (o rifles- sione) vi sia. Determinate dalle (9) le funzioni @ e $ di «, portandole nelle (13), (14), se ne traggono sei funzioni (17) PRAORAORAOHINOBAOIOE che soddisfanno alle (9) e si riducono ai valori (15) per «= wo. Circa ai valori delle derivate di queste funzioni per u=%w, sì ha intanto dalle (9) dz) Lo (@\ 20. avait E A (2) =, (GE), 0; delta parte pn = n a du du 14 ; (Da) . In definitiva i valori iniziali delle sei derivate delle fun- 0 0 d + X, SE? , quindi (a) = (23) = cost; analogamente per (Ce) ) du du 0 0 0 — 243 — Ciò posto, consideriamo il sistema (10), (11), cui si aggiungano le equa- zioni ausiliarie (12), particolarizzandole per es. in Pa ddr dEe dI LS dU dv QU dv dY1 dY1 dY? dYa du dV du dd (12) Tutto si riduce ormai a far vedere che le sei equazioni (10), (11), (12), per u=%,, &%;=&?,Yyi=yî, Sì possono risolvere rispetto alle derivate dI dYi dv dv annullano 4 nè 4'. Con ciò infatti, il sistema integrale delle (10), (11), (12), il quale, per un valore qualunque v, di v, si riduce alle funzioni (17) della sola x, soddisfa a tutte le condizioni volute. Per la dimostrazione, notiamo in primo luogo che le equazioni (10) e le nostre ausiliarie (12) pei valori (16) e (18), si riducono a r de) _ ds) _ (500 (2) =>. (0) — dl dY1 dY2 d end - IZ) — sengf |) —/. (12°) cos (E 22) + sen (E )- Z, cos (È) sen (Co) US sì ha poi —d4,= send (3) + cosè (3). dA=— sen9(212) + così Li i È) 0 o) dV I) La identità DET LADr_ dr 5 == = pesi i ; of," 1 ’ , dA dYj dc dYj di 6) (i J È È) , e che i valori, che se ne traggono per queste derivate, non (in cui «; designa al solito lo zero o l'unità, secondochè gli indici 7 e j sono distinti o coincidenti) porge 3 3 3 pe de (40 PEN d7 Di i Li Yi + dadgiiu vr dai dyj\u v r AVA, dai) 1 Ù Lui e, introducendovi i valori (16) e (18), il secondo membro diventa 2l che, in virtù delle ausiliarie (12°), è uguale all'unità. — 244 — Le (11) assumono con ciò la forma DEA dI 2 1 A,=— sen? {—)| — così SNO : ( dv ) dv Ì nÀ 1 , dY1 dY2 A, = — Send { —— d = are ; (PL) +0 (a), n'A 1 3 da dI dY D 2 i ro der o - ja a esse e (12') si traggono le quattro derivate ( > ì ( % li (2 |; ’ (11°) ° dI ; pu SIMS 3 4 , purchè soltanto non si incontrino sotto angolo retto i piani tangenti 70 in P., Pj alle due rigate y e y°, sia cioè cos24 diverso da zero. Per il suo significato geometrico, questa condizione è indipendente dal modo, con cui si particolarizzano le equazioni ausiliarie (12); si può del resto riconoscerlo direttamente, osservando che, qualunque sieno le equazioni AIDA 03, E È TRVARRIA dI dI: ausiliarie, se il sistema deve fornire valori non infiniti, per 2, n) ; d Jo dV Jo 3 di dl Ki \ v®r \/xiVi Sa a de ‘, lo stesso è d'uopo avvenga per 4,, do, STANZIA Da I Nazay/\u è lo 1% Ora il quadrato della matrice dei coefficienti di (e) \ > 5 ; dv O) i dv (o) dI dI 3 CUR cOS°dd = Der 2201 3 22 in queste tre espressioni. vale s7 e si annulla quindi dd Jo dI Jo 20 3 per cos29=0. D'altra parte, detto 4 il valore di >) 3) (È LD) dj dIdY; o\U V 1 dovrebbero sussistere, a norma delle (11), le tre equazioni 3 - / AS ( dA ) Xi Vj , ) 5 \QA9Y; IL vc ij k —-— A, = i nÀo ; k A = Cano NÀ q TT (per 3= 1) & = 0) e questo richiederebbe, come tosto si riconosce , 1 Il 2g ta 0» il che in generale non è. 0 Escluso pertanto che l'angolo 24 sia retto, le equazioni del nostro sistema ; AAIENE È E dI dYi 1 sono risolubili rispetto alle sei derivate < (NE = ,edi=—=-, d7 Jo DD Jia nÀo limito î ; AL Ai= WAV riescono, come è necessario, diversi da zero. 0 Gioverà aggiungere, riportandosi ad una osservazione, fatta alla fine del $ 2, che, nell’intorno considerato, la soluzione del problema è, non solo geometricamente, ma anche fisicamente possibile. Meccanica. — Sul! integrazione delle equazioni differenziali del moto spontaneo di un corpo rigido in uno spazio di curva tura costante. Nota di D. De FRANCESCO, presentata dal Socio VOLTERRA. Le equazioni differenziali che il sig. Heath stabilì nel 1884 per rap- presentare il moto di un corpo rigido non sollecitato da forze in uno spazio ellittico (1), sono un caso particolare di quelle stabilite nel 1876 da Clifford nella sua Memoria: On the Yree Motion under no Forces of a Rigid System in an n-fold Homaloid (?). Il Clifford tentò anche l'integrazione generale delle sue equazioni per mezzo di funzioni 9 di n—2=s argo- menti, uno dei quali funzione lineare del tempo. In uno spazio ellittico di tre dimensioni (21=4, s=2) la soluzione studiata dal sig. Heath viene a coincidere con quella proposta da Clifford. Ora avendo il sig. Heath dimostrato che in tal caso la soluzione è incom- pleta per difetto di numero delle costanti arbitrarie, se ne può concludere che è incompleta anche quella di Clifford, sebbene l’ Heath non ne parli. Le equazioni differenziali del moto di un corpo in uno spazio di quante si vogliano dimensioni furono anche trovate dal sig. Killing nel 1884 (3). Questi non si occupò della loro integrazione, ma a riguardo della soluzione di Clifford si esprime così: « Wenn Clifford aber behauptet, diese Gleichungen kònnten durch einfache 4-Quozienten integrirt werden, so hat er zu bemerken vergessen, dass dieser Lòsung, welche nur bei bestimmten Anfangsbedingungen mòglich ist, der Charakter der Allgemeinheit fehlt ». Dunque per uno spazio di curvatura costante di più di tre dimensioni, non vi è altra soluzione generale che quella data dal prof. Volterra (‘) colla (1) On the Dynamics of a Rigid Body in Elliptic Space. By R. S. Heath. Comu- nicated by Professor Cayley (Philosophical Transactions of the Royal Society of London, for the year MDCCCLXXXIV, vol. 175, parte 1°). (2) Proceedings of the London Mathematical Society, vol. VII, Jan. 1876. (3) Journal fir die reine und angewandte Mathematik, Band. 98°, 1885. (4) Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXXIII, 1898, pag. 558. — 246 — quale le caratteristiche si esprimono mediante serie di funzioni del tempo. Pel caso di tre dimensioni, oltre questa soluzione ed oltre quella da noi indicata in due Note precedenti (!), ve ne ha una terza che conduce diret- tamente alla determinazione esplicita dei due integrali che, aggiunti ai tre integrali primi quadratici del sig. Heath ed a quello da noi indicato nella prima delle due predette Note, completano l'integrazione delle sei equa- zioni differenziali. Questa soluzione consiste, come vedremo qui appresso, nella determina- zione di una funzione caratteristica del problema, dalla quale si deducono insieme coi sei integrali relativi alla velocità, gli altri sei relativi alla po- sizione del corpo. Scriviamo le equazioni differenziali nella forma in cui le abbiamo messe alla fine della seconda delle Note citate. - (Fo, Ao) — (Go; = Bws) (0, © 03) +(Ho, © C03) (0; © 0)=0, (1): di (Go; © Bo.) — (Ho © Cws)(0, è 0)+ (Fo È Amw)(o 03)=0, P (Ho, + C03) — (Fo, TA) (o © 0) + (Go; + Bo.) (o, t0)=0, I quattro integrali quadratici si possono presentare sotto la forma: (FotA0,)(01t-%0)) +(Gw;+B0s) (04-02) +(Ho;t-C@3) (Wet-03) + (Fo,-A%;) (04 -—0,) + (Go;—Bw») (0:—0,)+(Ho,-003) (CH -—w)=4h, (2) Amî Bo 3 (Fo, + Ao)? + (Go; + Bo.) + (Ho, + Cox)? = Kî, (3) (Fo, — Am)? + (Go; — Bo)? + (Ho — Cw) = K?, Il primo integrale è quello delle forze vive, la cui somma naz Supponiamo ora K, e K, entrambe diverse da zero, e poniamo: (Fo, + A, = — K, sen@, sen gp, Fo, — Av = — K, sen 0; sen gp», (4) Go; + Boy ta K, sen 9, COS 1 , Go; = Bws === K, sen 0, COS Pa ; Ho; + Cwz = K, cos 0, , Ho; = Cos = K, COS 0, . Queste equazioni equivalgono alle (3), e noi sappiamo (Nota II) che tra le w edi sei parametri 8,, 1, Wi, 9; 2, Ya; che determinano ad ogni istante () Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXXV, novembre 1899 e gen- naio 1900. Avendo da citare in seguito queste Note, le indicheremo con Nota I e Nota II. — 247 — la posizione del mobile, sussistono altre sei equazioni di cui scriviamo solo le prime tre: \ (0, + 0,) dt = sen g, sen 0, dy, — cos gp, d0, . (5) ‘ (05 + 03) dé = cos g, sen 0, dw, +- sen gp, d0,, | (06 + 03) di = dp, — cos 0, dyw, ; le altre si deducono da queste cambiando le somme dei primi membri nelle differenze, e nei secondi membri l'indice 1 nell'indice 2. Queste sei equa- zioni d'altronde, insieme alle sei precedenti, soddisfanno identicamente le equazioni differenziali (1). Con queste sostituzioni l'integrale (2) delle forze vive diviene: — K, sen? of 22 Db K, cos @ (0 — cos 0 Sn) di i — K; sen? 0, —° d + K; cos 6; (e — cos 0, ni 4h, ossia: (6) K, COS 6, de, + K3 cos 0, dgo — K, dyw, — K, dy,= 4hdt. Ora io dico che il primo membro di questa equazione è un differenziale esatto, ossia che se si esprimono K,cos@, e Kscos@, in funzione di g, € 2, Viene: a) IK, cosò,) sO, d(K, cos 0») i BICE dP. Questa proprietà si può considerare come una conseguenza del teorema ge- nerale del prof. Volterra, citato nella Nota I, ma può anche essere dimo- strata come segue. Le equazioni che daranno K,cos 0, e K.cos@, in funzione di g, e di g, sono gl'integrali (2) quando le w siano espresse, in virtù delle (4), colle quattro quantità 0,, 41, 9 e gr. Se ora, considerando 0, e 0, come funzioni di g, € 4,, deriviamo rispetto a 4, l'integrale delle forze vive, scritto nella forma solita Aoî + Bwì + Ca} + Fof + Goî + Hwî = 2%, abbiamo: s SOI e Xin) dFo,) IG) d(Hos) SA PIC e A — | Da — + 03 fi 6 gi che può scriversi ca: (@2%0 I selle + (04 — +0, + 0; see seta: +(0+ 03)" + (0—_0,) IL (+0) ELET sp ABIZIOL - (0) a aio al 40, =(), da — 248 — e quindi per le (4) — (04 + ee sen g, + K, sen 0, cos s: | d 0 K (o) na (0; + os) [re COS Po — K, sen 0, sen gi |+ (06 + 03) d(K,6089,) PI d1 d(K; sen 02). — (0, @) 3a sen Y> 2(K, sen 9 2(K, cos 0 — (a o) o + (0, — 03) IK: 008 62) _ — 0. (I dr I primi tre termini di questa equazione, per le (5), si riducono a IK, sen 0) a fi dO, , d(K 0086) (IP dyr # A sen o Kisendi g di | sn È — così, di cioè @ IK, cos 6,) dpi nai) 6 AK, 008 #3) Le (COSÌ Je 3ù agli e gli altri tre termini si riducono nello stesso modo a 2d(Ks sen o dws —_ n 60, leto dI di I(K, cos 6,) /dype dws __ (Ka cos cos 0») dpr. Rena) (Ci coso 7 dP dt dt IP. dt e perciò sommando si avrà 0 2d(K. (, — d(K, i deo 0) )) dg RO, i dI dY1 Questa equazione, siccome 0, 0 d(K, cos) = ui Do eci o SE dla S si riduce alla (7). Poniamo adunque fax cos 0, dp, + K; cos 9, dp) = 2V; ed avremo dalla (6) (8) 2V— Kw —K.W,= 4ht+ così. Ora io dico che ponendo: (9) V-—sKyw_-tK.w—-h=VW, W è la funzione caratteristica del problema, poichè soddisfa alle condizioni che la definiscono, cioè dW dW (10) vreglit O. rossi, essendo U la funzione delle forze (= 0), e T la forza viva (= h). — 249 — E contiene tante costanti arbitrarie (&, 9, K, e E») quante sono le varia- bili (91, 92, Wi e We). Si avrà dunque: Ue d(Ki DS) MK: 6080) ? x n Pio do So n ci si _ sega 16080,) RT x i 9, DSS ie cos ce gg, 4 Seed, go |-10=E, 2 dK: essendo 7", 9g", Ki, Ki quattro nuove costanti arbitrarie. Le equazioni (11) insieme coi quattro integrali quadratici (2) e (4) completano la soluzione del problema delle velocità. Esse infatti dànno gi e 4, in funzione del tempo e di sei costanti arbitrarie #, g, Ki, Ka, # e g'. Gl’integrali (2) daranno @, e @, in funzione di g, e g> e quindi in funzione del tempo e delle stesse sei costanti. Finalmente le (4) daranno le sei w in funzione del tempo e delle sei costanti arbitrarie. Per avere la funzione V, o per eseguire le integrazioni indicate in (11) e (12), bisogna esprimere, per mezzo delle (2), K, cos @, e K» cos 6, in fun- zione di g, e di g,. Ora queste equazioni, eliminando @,, dànno una risul- tante di ottavo grado rispetto a sen @,, ma che è di quarto grado rispetto a sen? 9,. Quindi cos 6, e cos @, possono ottenersi esplicitamente in funzione di g, e g» per mezzo di radicali di secondo e terzo grado. Finalmente le equazioni (12) dànno w, e w, di cui le w non sono fun- zioni, ma che servono insieme alle altre quattro variabili g,, 42, 0, e ® alla risoluzione del preblema di posizione, come si è veduto nella Nota II. Le (12) corrispondono agl’integrali (16) di tale Nota. La soluzione del problema di posizione non contiene che 8 costanti ar- bitrarie, ma la soluzione è generale, poichè quattro costanti sono nulle per la posizione degli assi, ciò che non implica alcuna restrizione nelle condi- zioni iniziali del movimento. La soluzione data non regge quando una delle K, o entrambe le K siano nulle. Il primo caso, come si è veduto (Nota Il), non può verificarsi che nello spazio ellittico, ed il secondo non può verificarsi che nello spazio iperbolico. Nel primo caso, le sei equazioni (1) si possono ridurre a tre della stessa forma di quelle relative alla rotazione di un corpo intorno ad un punto, RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 38 — 250 — nello spazio ordinario. Supponiamo per esempio K,=0. Per Ja seconda delle (3) si ha: (13) Oo, dea = We= o > e quindi non considerando delle (1) che quelle relative ai segni superiori, la prima sì riduce a (14) a anlanao 1 SSA + 2003 0% puo: il) di ; e: 5 G 3 e nello stesso modo si possono ridurre le altre due. Se ora poniamo A_N, DR, MACAARA G +7 147 = co Ta Pu [+e alter +e l'equazione (14) e le altre due analoghe si riducono a dp r r n N (Mr da _ di , dr ì i (16) < B' (C—A')rp=0, i) cioè alle equazioni differenziali di Eulero. Nel caso di K,= K:=0 invece delle (4) potremo porre (v. Nota II): Fw, + Ao, = K( cos 9, sen , +- cos piedi, Fo, — Am, = K'(— cos 8, sen yo + 005 42) eta , (17) Go; + Bo, = K(; COS 0, GOS Pi — Sen Pa) edi ) Go, — Bo, = K'(— è cos 03 COS go — SEN go) eda, \ Ho; + Co, = Ki sen 9, 07%, Ho; — Co, = — K'/ sen 8, et: , essendo K e K' due costanti (immaginarie coniugate, come #, e 03, 1 € Pz) Allora l'integrale delle forze vive diviene: Kei: [(£ cos 9, sen g1 + cos 1) (041 + @1) + (i cos 8, cos gi — SEN Y1) (05 + 02) +- è Sen di (06 + 03)] — K'eit»[(; cos 0» sen go — 008 ge) (01 — 012) + + (i cos 93 cos g» + Sen ge) (0; — 0) + ; sen 0, (0, — 03)] — 251 — ed in virtù delle (5), Ke-it: [i sen 0, dg, — d0,]} — K'e:[; sen 0» dg: + d0,]= 4h dt. Poniamo ora: sen 6; i db, presa [9 iù, 6 = ) 9g e if I K (AA) sen 4, 02 Pa Yan 6, Lo CT \ Kina 'sentoli—=i0,% Posi = (18) = Ug 9 ed avremo: (19) o du, + 02 dus = 4hdt. D'altra parte, facendo le sostituzioni nelle (17) si trova: Fo, 4 Ao =— 91° cos, Fo, — Ao = 937 C08%3, (20) è Go; + Bo, = gif senz, Go; — Bo, —— 03% SenU:, | Ho; + Co = O) 5 Ho; cem Cwz = Q2, e per mezzo di queste sostituzioni nelle (2), 0, e 0, divengono funzioni di %, € %, e quindi operando sull'equazione delle forze vive analogamente a quanto fu fatto nel caso generale, si trova: dei __ des Que du Ponendo dunque : (21) Sl dui + 0» du) =2V, avremo dalla (19) V= 2ht + cost, e la funzione caratteristica sarà : (22) W=eV_-w. Essa infatti soddisfa alle condizioni espresse dalle (10) e contiene tante costanti arbitrarie (4,9), quante sono le variabili che contiene (1, 2). Si avrà quindi: (23) essendo /' e 9g" due nuove costanti arbitrarie. 9 — Le equazioni (23) dànno v, e v, in funzione del tempo e di quattro costanti arbitrarie h, 9, 2° e g': gl’ integrali (2) daranno o. e g» in funzione di e delle stesse costanti: finalmente le (20) forniranno le sei velocità angolari in funzione sempre di £, #, 9, heal Per eseguire le integrazioni indicate nelle (23) bisogna esprimere, per mezzo delle (2), 0: e 0» in funzione di w, ed wa. L'equazione risultante che si ottiene dalle (2) eliminando o», è di quarto grado rispetto a 0,, ma è di secondo grado rispetto a oî. Quindi 0, @ 0, possono ottenersi esplicita- mente per mezzo di radicali di secondo grado. La posizione del corpo in questo caso si determina nel modo indicato nella Nota II. Fisica. — // fenomeno di Hall in un liquido non elettrolita C Nota dei dottori L. Amapuzzi e L. Lone, presentata dal Socio A. RIGHI. Tutti coloro che si sono occupati di stabilire se nei liquidi si produce il fenomeno di Hall, hanno sperimentato su lamine liquide elettrolitiche, se si eccettua il prof. Roiti che sperimentò anche con una lamina di mercurio. Di qui la controversia fra chi sostiene (2) l'esistenza del fenomeno e coloro (3) che la negano, attribuendo l’ osservato spostamento delle linee equipotenziali ad azioni secondarie svolte nella massa liquida. Ci parve utile vedere se il fenomeno di Hall si verificasse nell’amal- gama liquida di bismuto, poichè, oltre ad essere liquido non elettrolita, con- tiene un corpo, che allo stato solido presenta il fenomeno al massimo grado (4). Nelle nostre ricerche, invece di adoperare lastrine nella forma di croce alla maniera classica di Hall, credemmo opportuno, data l’ impossibilità di (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Bologna. (®) H. Bagard, Sur le phénomene de Hall dans les liquides: C. R., CXXIL, 1896, 1, pag. 77. — Journ. de Phys., serie II, t. V, pag. 499, 1896. C. R., t. CXXIII, 1896, 2, pag. 1270. — Sopra la realtà del fenomeno di Hall nei liquidi. N. Cim., serie IV, t. 7, pag. 187, 1898. (3) Roiti, Ricerca del fenomeno di Hall nei liquidi. Atti della R. Accademia dei Lincei, serie III, t. 12, pag. 397, 1882. Florio, Il fenomeno di Hall nei liquidi. N. Cim., serie IV, t. IV, pag. 106, 1897; t. VI, pag. 108, 1897. Chiavassa, /l fenomeno di Hall nei liquidi. L' Elettricista, 1897, N. 10, pag. 229. (4) Righi, Ricerche sperimentali sul fenomeno di Hall particolarmente nel bismuto. N. Cim., serie III, t. 15, pag. 115, 1884. i — ottenere regolarità nei contorni, servirci di lastrine a tre elettrodi della forma adottata dal prof. Righi (!). L'aspetto di tali lastrine è rappresentato dalla figura qui annessa. Il modo di prepararle era il seguente: si tagliavano due lastre eguali di vetro da specchi in forma di trapezio isoscele A B C D (AB = cm. 8,82, B0= cm. 5,10, AD=cm. 2) e si copriva, con un mastice formato mesco- lando ossido di zinco ad una colla liquida commerciale (Syndetikon), il trian- golo isoscele 77 G avente la base (1, 2 cm., altezza 4 cm.) nella regione mediana della base maggiore della lastra. Si disponevano poi tre sottilissime lamine di rame amalgamato 7, Z, M (cm. 0,002 di spessore), l'una, 7, attraverso alla base AD della lastra e le altre due Z ed M lateralmente al sottile triangolo di mastice e attraverso alla base maggiore 8 C. Si sovrapponeva quindi l’altra lastrina di vetro sino a perfetta coincidenza e dopo prolun- gata compressione, che durava finchè il mastice era asciutto, sì chiudevano, sempre collo stesso mastice, tutti i lati del sistema eccetto il più pic- colo A D. Quando tutto era ben secco, si faceva il vuoto nel vano rimasto fra le due lastre, per mezzo di un tubo, unito provvisoriamente alla lastrina per mezzo di un mastice facilmente fusibile, e contenente l’ amalgama al 15 °/o, preparato sciogliendo il bismuto del commercio nel mercurio puro riscaldato. Facendo rientrare l'aria al disopra del liquido, questo veniva spinto dalla pressione atmosferica a riempire l'intervallo fra le lastrine di vetro. In caso di bisogno queste operazioni venivano ripetute; ed alla fine si chiudeva anche il lato A D col solito mastice, di modo che l'aspetto finale della lastrina pronta per l’esperienza era quello della figura, nella quale il triangolo trat- teggiato N C rappresenta il mastice, e le parti lasciate bianche, la lamina metallica. Perciò la corrente che entrava nella lastrina dall’ elettrodo 7 sì biforcava per uscire da Z ed M. Lo spessore della lamina liquida superava certo di pochissimo lo spessore ('/so di millimetro) degli elettrodi. (1) Loc. cit. — 254 — Quale strumento indicatore si usava un galvanometro del Wiedemann su ciascun rocchetto del quale erano avvolti due eguali circuiti. Esso sì dovette adoperare nel modo indicato dal prof. Righi ('), onde ottenere una perfetta compensazione delle azioni esercitate sull’ ago dell’ istrumento dalle due correnti parziali nelle quali la lastrina, per la sua conformazione, bifor- cava la corrente principale (240 milliamp.) fornita da due elementi Daniell in serie. Il galvanometro, intorno all’ago del quale una calamita opportunamente collocata compensava il campo terrestre, possedeva una grandissima sensi- bilità ed era posto lontanissimo dall elettromagnete, la quale d' altronde era orientata in guisa da non esercitare azione alcuna su quello istrumento. Le espansioni polari, fra le quali si disponeva trasversalmente la lastrina, erano cilindriche, avevano una sezione di circa 23 cm.° e si trovavano fra loro distanti di cm. 0,95. Il campo che si otteneva era quindi pressochè uniforme. La corrente eccitatrice veniva fornita da una batteria di 30 a 60 accumu- latori. Ottenuta la compensazione sul galvanometro, si notava, nei primi mo- menti di chiusura del circuito nella lastrina, un lento ed uniforme spostarsi dello zero della scala. La causa di questo spostamento deve cercarsi nel riscaldamento ineguale nei due circuiti parziali che partivano dalla regione di biforcazione della lastrina. Tale spostamento però diveniva di più in più lento e cessava quando tuttto il sistema aveva raggiunto lo stato di regime. Ma per ogni osservazione si determinava la posizione di fermata dell’ago prima e dopo l'eccitazione del campo magnetico e si teneva conto solo di quelle determinazioni nelle quali questa posizione di fermata rimaneva inva- riata, rifiutando le altre. 1 Eccitando l’elettrocalamita si otteneva una deviazione permanente del- l'ago, tanto più forte quanto più intensa era la corrente eccitatrice. Inver- tendo il campo si invertiva la deviazione, ma ne mutava anche il valore asso- luto. Questo fatto fu notato spesso dal prof. Righi nelle sue esperienze sulle lamine di bismuto, ed anzi fu quello che lo condusse a scoprire la grande variazione di resistenza, che su quel metallo produce il campo magnetico. È dunque verosimile che anche qui la diversità di valore assoluto delle due deviazioni sia dovuta ad una ineguale variazione di resistenza prodotta dal campo magnetico nei due rami della lamina. Che il campo magnetico produca, come per il bismuto metallico (0), una variazione della resistenza elettrica dell’amalgama liquida di bismuto fu da noi verificato con ricerche dirette, adoperando il noto metodo del ponte (1) L. c., pag. 127. (2) Righi, Influenza del calore e del magnetismo sulla resistenza elettrica del bismuto. Mem. R. Acc. dei Lincei, serie IMI, vol. XIX, 1884. — 259 — di Wheatstone nelle condizioni di massima sensibilità, cioè rendendo quasi eguali fra loro le resistenze dei quattro lati. Alle esperienze ora descritte, comprovanti nel modo migliore la esi- stenza del vero fenomeno di Hall nell’amalgama liquida di bismuto, ne intercalammo altre collo stesso mercurio chimicamente puro che si adope- rava per la preparazione dell'amalgama. Una stessa doppia lamina di vetro veniva prima riempita con mercurio e poi coll’amalgama liquida. Assoggettata, nelle due diverse condizioni, all’esperienza, essa condusse sempre a risultato negativo col mercurio ed ai risultati già descritti coll’amalgama liquida di bismuto. Del resto, l'as- senza del fenomeno di Hall nel mercurio puro era già stata rilevata dal prof. Roiti (') fin dal 1882. Queste nostre esperienze, per l'indole loro, non sì prestavano a deter- minazioni assolute; da esse ad ogni modo ci sembra messo fuori di dubbio, che il fenomeno di Hall non è incompatibile con lo stato liquido. Chimica. — Composti organo-mercurici dell’ucido benzoico. Nota di Leone Pesci, presentata dal Socio G. UIAMICIAN. Proseguendo nelle mie ricerche sulle combinazioni che si formano sosti- tuendo nei composti aromatici l'idrogeno benzenico per opera del mercurio, ho tentato utilmente di ottenere dall’acido benzoico un prodotto contenente mercurio nucleare facendo reagire con detto acido l'acetato mercurico a tem- peratura elevata. Impiegando le sostanze reagenti in debite proporzioni si forma infatti un composto che non dà le reazioni dei sali di mercurio e risponde alla formola: Hy CH, CO. OZ Questo composto è un'anidride endomolecolare di un acido molto instabile che non ho ancora potuto ottenere allo stato libero, e cioè dell'acido 0ss2- mercuriobenzoico HOH, CH, COOH, e può anche considerarsi come un sale interno nel quale la parte acida della molecola è in certo qual modo salificata dalla sua parte basica. L'anidride dell'acido ossimercuriobenzoico fornisce tanto cogli acidi alogenici, come colle basi, dei sali dell'acido corrispondente, il quale infatti si comporta da un lato come l’'idrossido di un metallo complesso, dall'altro come un ordinario acido organico. Oltre a ciò quell’anidride reagisce coi sali aloidi addizionandoseli e formando dei prodotti che rappresentano l’acido ossimercuriobenzoico nel quale tanto l'ossidrile basico quanto il carbossile sono neutralizzati. (VM) @ — 250 — Ottenni infatti composti di questi tre tipi: A HOH,C,H,C00M B XHyC,H,C00H CX HyC,H,C00M I composti del tipo A, sali dell’acido ossimercuriobensoico, si formano trattando l’ anidride corrispondente cogli idrossidi e talvolta coi carbonati metallici. Questi composti sono dotati di forte basicità, si alterano facilmente per opera dei solventi, dissociandosi in anidride ossimercuriobenzoica ed idros- sidi metallici. Sono facilmente decomposti dagli acidi, compreso l'acido car- bonico, ripristinandosi l'anidride. I composti del tipo B, cioè gli acidi alogenmercuriobenzoici si possono ottenere facendo reagire gli idracidi convenientemente diluiti sopra l'anidride ossimercuriobenzoica, eppure sopra i sali dell'acido ossimercuriobenzoico. Si ottengono anche trattando i composti del tipo C con acido acetico. Si alterano facilmente tendendo anch'essi a dissociarsi. I composti del tipo C, cioè i sali degli acidi alogenmercuriobenzoici oltre che per azione dei sali aloidi sopra lanidride ossimercuriobenzoica, si formano neutralizzando colle basi gli acidi corrispondenti. Anche questi composti sono facilmente dissociabili per opera dei solventi, tendendo a risol- versi in anidride e sali aloidi. Questa dissociabilità per opera dei solventi che è comune a tutti questi composti, può, naturalmente, limitarsi per i prodotti del tipo A, cioè per gli ossimercuriobenzoati, mediante l'intervento di un eccesso della base sali- ficata. Negli altri composti la presenza di un eccesso di idracido o di sale aloide mentre da un lato renderebbe limitata la dissociazione, dall’ altro è causa di una reazione chimica che è rapida quando l'alogeno è l’iodo, meno rapida quando è il bromo, e meno ancora quando è il cloro. Questa reazione che, naturalmente, ha luogo anche fra i semplici prodotti della dissociazione, si interpreta per i composti del tipo B mediante le equazioni: XHgC,H,C00H+XH = HgX,- CH; COOH Hg CH, CO +2XH=HgX.+C,H;C00H IRE gti Per composti del tipo C si ha: XHgC,H,COOM + XM+H,0=_HgX,+ CH; COOM + MOH Hg CH. C0 + 2XM+H,0 = HgX,-+ C, H; COOM + MOH ani Da questi fatti risulta facilmente quante difficoltà sì incontrino nella preparazione, e più ancora, nella purificazione di questi nuovi prodotti, spe- cialmente per quelli contenenti il iodo. — 257 — In quanto alla posizione occupata dal mercurio in questi composti, seb- bene io non abbia fatte speciali esperienze per determinarla, pure non esito ad ammettere, basandomi sui fatti già più volte da me osservati (!), che il metallo si trovi in posizione para. Anidride ossimercuriobenzoica: Hg CH, C0. Lo: Pit La preparazione di questo composto fu praticata fondendo insieme una miscela composta di gr. 32 di acetato mercurico con gr. 20 di acido ben- zoico. La massa scaldata entro ampio tubo di vetro disposto in bagno d' olio, entrò in fusione verso 100°. A 130° circa si manifestò una viva reazione che durò lungamente intanto che la temperatura si mantenne fra 130°-140°. Il liquido si intorbidò e si fece poi leggermente pastoso. Si mantenne il riscaldamento fintanto che un saggio del prodotto trattato con potassa cau- stica non produsse più ossido giallo di mercurio. Si gettò la massa nell'acqua e si lasciò raffreddare con che divenne solida e friabile. Si ridusse in pol- vere fine e si trattò con acqua ed ammoniaca, e si ebbe una quasi com- pleta soluzione. Si filtrò, si aggiunsero al liquido 70 gr. di carbonato di sodio cristallizzato, si portò all’ ebollizione che si mantenne per circa due ore, si lasciò raffreddare, si filtrò, e si trattò con una corrente di anidride carbonica. Si formò un abbondante precipitato polveroso bianco che fu rac- colto, lavato, e trattato con la soluzione ordinaria di carbonato d’' ammonio, adoperando di questo reattivo la quantità necessaria a sciogliere completa- mente il prodotto. Si ebbe un liquido leggermente giallo il quale depose poi ben cristallizzato l’ ossimercuriobenzoato d’ ammonio che sarà descritto più avanti. Da questo sale si preparò poi l’ anidride ossimercuriobenzoica stemperandolo nell'acqua e trattandolo son acido acetico in eccesso, raccogliendo il pro- dotto, lavandolo con acqua, e seccandolo. Dall’ ossimercuriohenzoato d'am- monio si ottenne l'anidride anche trasformandolo primamente in sale di sodio, facendolo bollire con soluzione di carbonato di sodio fino a che più non si svolgeva ammoniaca, lasciando raffreddare, filtrando, e precipitando poi mediante corrente di anidride carbonica. Ottenuta col primo metodo l’ anidride ossimercuriobenzoica è una pol- vere bianca, amorfa: col secondo metodo si ha in forma di mammelloni microscopici. È insolubile nei solventi ordinarî. È difficilmente decomposta per opera degli acidi minerali. Esposta all’azione del calore non fonde; ma, fortemente scaldata, si scompone con viva deflagrazione. Analisi. — Calcolato: Hg °/, 62,50. — Trovato: Hg °/, 62,31, 62,23, 62,32, 63,11, 62,67, 62,54. @ Gazz. Chim., XXIII b. 521-529. RenpIconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 34 — 258 — Ossimercuriobenzoati. Di questi sali pochi furono ottenuti ad uno stato soddisfacente di purezza a motivo della loro dissociabilità, ad evitare la quale si dovettero poi sempre preparare impiegando un eccesso di idrossido o carbonato metallico. Per alcuni anzi, come p. e. pei sali di potassio e di sodio non fu possibile sepa- rare l’ossimercuriobenzoato dalla soda o potassa caustica che si trovavano nella soluzione nella quale era avvenuta la combinazione. Ossimercuriobenzoato d’ ammonio: HO Hg CH, COONH,. — Si pre- parò sciogliendo l’ anidride nel carbonato d’ ammonio, impiegando di questo la quantità necessaria ad ottenere una soluzione limpida. Si ha una leggera effervescenza. Dopo breve tempo si separa il sale ben cristallizzato in forma di aghetti brillanti. Il prodotto fu purificato sciogliendolo in soluzione diluita di carbonato d'ammonio scaldata a circa 80° e filtrando. Dal filtrato, per raffreddamento lo si ottenne in forma di sottili aghi splendenti che furono raccolti, spremuti fra carta, e seccati sopra la calce viva in atmosfera forte- mente ammoniacale. Si scioglie discretamente nell'acqua fredda comunicando al liquido rea- zione caustica ed una leggera opalescenza dovuta a dissociazione. Questa so- luzione acquosa a 100° svolge abbondantemente ammoniaca e depone anidride ossimercuriobenzoica. Per opera degli acidi, compreso l'acido carbonico, si ha pure scomposizione con separazione della stessa anidride. All'aria perde len- tamente ammoniaca. Analisi. — Calcolato: Hg °/ 56,94; N 3,94. — Trovato: Hg 57,11, 56,92; N 3,71, 3,70, 3,98. Ossimercuriobenzoato di bario: (HO Hg C, H1C00), Ba. — Si ottenne sciogliendo a freddo, fino a rifiuto, l’ anidride nell’ acqua di barite satura alla temperatura ordinaria e filtrando. Il liquido abbandonato a sè in luogo fresco depose il prodotto in forma di mammelloni composti di aghi. Fu raccolto ra- pidamente, spremuto fra carta, e seccato sopra la calce viva. È molto cau- stico, ed assorbe avidamente l'anidride carbonica dell’ aria. Analisi. — Calcolato: Hg°/ 49,30; Ba°/ 16,93. — Trovato: Hg 48,14, 48,12; Ba 16,54, 16,59. Il rapporto fra le proporzioni di mercurio e quelle di bario risponde assai bene al rapporto dei due metalli nel sale contenuti. Ossimercuriobenzoato di calcio: (HO Hg CH, C00), Ca. — Si preparò sciogliendo a saturazione anidride ossimercuriobenzoica nell'acqua di calce e distillando il liquido filtrato in corrente di idrogeno. Arrivata la concentra- zione ad un certo punto, si separò dal liquido tuttora bollente una polvere bianca che fu raccolta e seccata sopra la calce. Il composto così preparato conteneva, come era facile prevedere, un eccesso di idrato di calcio. — 259 — Analisi — Calcolato: Hg °/ 56,02; Ca °/, 5,60. — Trovato: Hg 54,29, 59,00; Ca 7,84. Ossimercuriobenzoato di magnesio: (HO Hg C, Hy C0O), Mg. — Fu pre- parato operando come per quello di calcio, soltanto si evaporò la soluzione già concentrata per distillazione in corrente di idrogeno, all'aria sul bagno- maria. È una polvere bianca, amorfa, leggera, di reazione caustica. Analisi. — Calcolato: Hg °/; 57,31. — Trovato: 54,65. Ossimercuriobensoato di isocamilamina: HO Hg C H, COO HCO; H,, NH». Si preparò una soluzione mediocremente concentrata di carbonato di isoa- milamina ed in questa, scaldando alla temperatura del bagnomaria, sì sciolse fino a saturazione anidride ossimercuriobenzoica. Si filtrò. Il liquido per raf- freddamento depose dei mammelloni composti di microscopiche laminette sco- lorite, che furono raccolti, lavati con soluzione acquosa di isoamilamina, spre- muti fra carta e seccati sulla calce in atmosfera satura di vapori di iso- amilamina. i Analisi. — Calcolato: Hg°/ 47,06; isoamilamina °/, 2,05. — Tro- vato: Hg 47,12; isoamilamina 2,21. Ossimercuriobenzoato di benzilamina. HOHgC,C,C00HC,H;CH,NH,.— Fu preparato operando come per il composto precedente. È in forma di lami- nette brillanti scolorite. Analisi. — Calcolato: Hg °/, 44,94; benzilamina °/, 2,4. — Trovato: Hg 45,84; benzilamina 2,4. Acido cloromercuriobenzoico e suoi sali. Acido cloromercuriobenzoico: CLHg CH. COOH. — Si preparò preci- pitando con acido acetico una soluzione acquosa di uno dei suoi sali alca- lini ottenuta mediante il concorso di un eccesso di cloruro alcalino. È una polvere microcristallina scolorita, solubile alquanto nell'acqua bollente e negli alcool etilico e metilico pure bollenti, con parziale scomposizione. Da queste soluzioni si separano infatti dei prodotti cristallizzati che rappresentano pro- dotti di decomposizione. Analisi. — Calcolato: Hg °/, 56,10. — Trovato: Hg 56,17 , 56,25. Cloromercuriobenzoato di sodio: CL Hg CH, COONa + 24 H3 0. — Ad una soluzione acquosa di cloruro di sodio satura a freddo si aggiunse scal- dando al bagnomaria tanta anidride ossimercuriobenzoica quanta se ne sciolse. Si filtrò il liquido e si abbandonò a lento raffreddamento. Si separò un pro- dotto cristallino commisto a piccola quantità di sostanza amorfa. Scaldando la massa a circa 60° si ridisciolse il solo prodotto cristallizzato, il quale nuo- vamente si depositò dal liquido filtrato per raffreddamento. Era in forma di lamine esagonali, brillanti, scolorite, le quali sfiorirono a 100° perdendo l’ acqua di cristallizzazione. (Calcolato H.0°/, 10,63. Trovato 10,40, 10,45). — 2600 — Analisi. — Il sale seccato a 100° diede: Hg °/,.52,99; Na, 6,10. — Calcolato: Hg °/, 52,84; Na 6,08. Cloromercuriobenzoato d’ ammonio con cloruro d’ ammonto : C1Hg CC, C00NH, . 2CINH.. i Trattando l'anidride ossimercuriobenzoica a freddo con soluzione concentrata di cloruro d’ammonio, si forma una massa cristallina di aghi finissimi ai quali è commista una materia grumosa. Aggiungendo ammoniaca si ha un liquido limpido che, abbandonato sotto campana in presenza di acido solforico, depone ciuffi di aghi sottilissimi che vengono raccolti ed asciugati fra carta. Analisi. — Calcolato: Hg°/ 41,62; N 8,74. — Trovato: Hg 40,44, 40,47; N 8,61. Cloromercuriobenzoato d’anilina: CIHg CH, COOHO;H; NH>. — Si sospese nell'alcool l'acido cloromercuriobenzoico, poi, scaldando all’ ebolli- zione, si aggiunse anilina fino a soluzione completa dell'acido. Si filtrò il liquido caldo e si abbandonò a lento raffreddamento. Si separarono lunghi aghi sottili incolori. Analisi. — Calcolato: Hg°/ 44,49. — Trovato: 43,97, 44,14. Acido bromomercuriobenzoico e suoi sali. Acido bromomercuriobenzoico: BrHg CH, C00H. — Si preparò trat- tando con acido acetico diluito la soluzione di anidride ossimercuriohenzoica nel bromuro di potassio. È una polvera bianca, amorfa, che fu lavata con poca acqua, spremuta fra carta, seccata sopra l’ acido solforico. Si scioglie, come l'acido cloromercuriobenzoico, negli alcool etilico e metilico bollenti, e si separa poi ben cristallizzato in aghi, ma inquinato da sostanze eterogenee. Analisi. — Calcolato: Hg °/ 49,88. — Trovato: 49,52, 49,73. Bromomercuriobenzoato di potassio: Br Hg Cs H4 COOK. — Si sciolsero cinque grammi di bromuro di potassio in trenta grammi di acqua, sì aggiun- sero alla soluzione due grammi di anidride ossimercuriobenzoica e si scaldò al bagno maria, non che tutta o quasi l'anidride si sciolse. Si filtrò e sì abbandonò a lento raffreddamento. Si depose una sostanza amorfa, insieme ad un prodotto cristallizzato in forma di aghi riuniti a mammelloni. Scal- dando nuovamente a 50° circa si disciolse soltanto questa ultima sostanza, la quale dal liquido filtrato, per lento raffreddamento si separò di nuovo ben cristallizzata. Analisi. — Calcolato: Hg °%/ 45,56; K °/, 8,88. — Trovato: Hg 45,93, 46,00; K 8,41. Bromomercuriobenzoato di sodio: BrHg CH, COONa + 4H:0. — Si preparò operando come per il sale precedente ed impiegando 3 gr. di ani- dride e 60 c.e. di acqua contenente in soluzione 30 gr. di bromuro di sodio. 0 SS È in forma di prismetti scoloriti. Questo composto perde l’acqua.di cri- stallizzazione stando sopra l'acido solforico. (Calcolato H,0°/, 14,55. Tro- vato 13,64). Analisi. — Il sale anidro diede: Hg °/, 47,80, 47,46; Na 5,74. — Calcolato: Hg °/, 47,04; Na 5,46. Bromomercuriobenzoato di bario: (Br Hg 0 Hy C00), Ba -3H,0. — Fu preparato operando come per i sali precedenti per azione dell'anidride sopra una soluzione acquosa concentrata di bromuro di bario. È in forma di mammelloni composti di aghi sottili. Questo sale perde l’acqua di cri- stallizzazione a 100°. (Calcolato: H,0 °/, 5,55. Trovato: 5,50). Analisi. — Il sale anidro conteneva: Hg °/, 42,46; Ba °/ 14,59. — Calcolato: Hg 42,67; 14,66. Acido iodomercuriobenzoico e suoi sali. Acido iodomercuriobenzoico: THg C; H, COOH. — Quando si tratta con acido acetico la soluzione acquosa di un iodomercuriobenzoato, sì ottiene un precipitato bianco polveroso di acido iodomercuriobenzoico: ma questo com- posto si altera rapidamente. Raccolto alla pompa, spremuto fra carta senza lavarlo, e seccato sopra l’acido solforico, fornisce all'analisi numeri che sì allontanano sensibilmente dalle quantità calcolate (Calcolato Hg °/ 44,64. Trovato Hg 46,82, 46,99). Ma più ancora se ne allontanano se il prodotto fu lungamente a contatto coi solventi. Infatti un campione lavato a lungo con acqua conteneva 47,26, 47,19 °/ di mercurio. Iodomercuriobenzoato di potassio: IHg CH. COOK. — In 15 c.e. di acqua si sciolsero 2 gr. (1 mol.) di ioduro potassico ed in questo liquido si stemperarono 4 gr. (1 mol.) di anidride ossimercuriobenzoica. Si formò una poltiglia cristallina, la quale fu scaldata a 40-50° con che sì ottenne un liquido alquanto torbido, leggermente colorato di giallo, che sì filtrò. Il filtrato prontamente raffreddato abbandonò nuovamente la materia cristallina la quale era in forma di aghi scoloriti, brillanti. Operando con rapidità la reazione riesce quasi quantitativa. Se invece si lascia lungamente il prodotto in contatto coll’acqua madre, si separa una materia gelatinosa, il liquido si fa fortemente caustico, e col solfuro d'ammonio produce un forte precipitato di solfuro mercurico. Scaldando allora di nuovo a 40-50° e filtrando, il ren- dimento in prodotto cristallino è molto scarso. L’ iodomercuriobenzoato di potassio si scioglie nell'acqua fredda con leggera opalescenza. Analisi. — Calcolato: Hg °/, 41,15; K8,02. — Trovato: Hg 40,45, 40,82; K 8,74. Iodomercuriobenzoato di sodio: IHgC,H,COONa. — Si preparò ope- rando come fu detto per il sale di potassio ed impiegando 20 c.c. di acqua, gr. 1,5 di ioduro di sodio, e gr. 3,2 di anidride ossimercuriobenzoica. È in forma di aghi scoloriti. = 20 Analisi. — Calcolato: Hg °%, 42,55; Na 4,89. — Trovato: Hg 42,51, 42-55, 42,49; Na 4,42. Iodomercuriobenzoato di bario: (IHg 0, H,C00),Ba. — Questo sale fu preparato per doppia decomposizione versando in una soluzione del cor- rispondente sale di potassio preparata di recente, una soluzione di ioduro di bario. Il composto si separa sotto forma di precipitato bianco costituito di aghi microscopici, poco solubili nell'acqua. Analisi. — Calcolato: Hg °/, 38,80; Ba°/ 13,83. — Trovato: Hg 38,87, 38,84, 38,89, 39,40; Ba 12,18, 12,37, 12,65, 12,63. DO Fisiologia. — Za composizione delle ceneri della placenta (1). Nota II (?) del dott. V. GranpIS, presentata dal Socio Lucrani. Dalla Nota precedente si rivela che la quantità di ceneri, ricavabili dalla incenerazione della placenta, è superiore alla quantità di sostanze inorgani- che che Schmidt ed anche Bunge (3) dimostrarono essere presenti nel sangue dell’uomo. Questo fatto lascia intravedere una funzione speciale della pla- centa, che ha particolare interesse per la causa che mi determinò a studiarne la composizione chimica. Quindi è che, prima di rivolgere la mia attenzione allo studio dei componenti organici di quest’ organo, ho voluto conoscere più da vicino quali fossero ed in che proporzione stessero tra loro gli elementi inorganici, che entrano nella sua costituzione. Ogni giorno col progredire delle conoscenze della chimica applicata alla biologia, si mostra più importante l’azione dei sali per la vita degli organismi in complesso e degli elementi cellulari che li costituiscono. Sono troppo noti i risultati di queste ricerche, e le importanti dottrine, che, per opera specialmente del Bunge (4) derivarono da esse, perchè occorra che io ne faccia oggetto di speciale dimostrazione; mi limiterò perciò a riferire quanto mi venne dato di riscontrare nella pla- centa: le conseguenze, che se ne potranno trarre, scaturiranno spontaneamente dall'esame dei numeri. Collo scopo di facilitare gli esami non ho determinato separatamente la composizione delle ceneri delle varie placente studiate, ma ho riunito insieme le ceneri risultanti dalle varie placente e dai loro componenti, che avevano subiti eguali trattamenti, per cui il risultato delle mie analisi, pur essendo l’a- nalisi fatta una sola volta, rappresenterà i valori medî che si sarebbero potuti (1) Laboratorio di Fisiologia della facoltà di Medicina di Buenos-Aires. (®) V. questi Rendiconti, pag. 170. (3) Neumeister. Lehrbuch. der physiol. Chemie. II. Aufl. Iena, 1897. (4) Bunge, Lehrbuch der physiol. u. pathol. Chemie. 4° Autlage. 1898 e Zeitschrift f. Biolog. 1874. Bd. 10 pag. 310. — Du Bois-Reymond's Archiv. f. Physiol., 1886, pag. 539. — 263 — ottenere dalle varie placente studiate. Questo modo di procedere mì offrì il vantaggio di potere ottenere risultati egualmente attendibili impiegando una quantità relativamente piccola di ogni placenta per lo studio delle ceneri, e mi rese possibile di fare sulle stesse placente le determinazioni delle sostanze estrattive, delle quali mi occupai nella Nota precedente, dando in questo modo maggior valore alle deduzioni, che si possono ricavare sul rapporto che corre tra le differenti categorie generali di componenti di quest’ organo. Fui indotto ad adottare questo procedimento dalla grande esattezza dei metodi d'analisi inorganica quantitativa e dalla piena confidenza che ne de- riva, per cui non si può imputare a leggerezza il venire a conclusioni dai risultati di una sola analisi. Per mettermi al riparo da ogni causa d'er- rore ho eliminato tutti i metodi volumetrici; tutte le mie determinazioni sono fatte per pesata. Ebbi cura di dividere sempre in due parti eguali la quantità di sostanza di cui disponevo, in modo da rendere possibile l’ unico controllo, che, dato il procedimento seguito, poteva rendersi necessario, quello cioè riguardante l'esattezza nella tecnica dell'analisi. Le ceneri vennero in- nanzi tutto trattate ripetutamente con acqua per esportarne tutta la parte solubile, che separavo per filtrazione. In questa parte ho determinato il cloro, lo zolfo, il fosforo, il potassio ed il sodio. Trattai con acido cloridrico con- centrato la parte rimasta insolubile in acqua, ed in essa determinai il fo- sfato di ferro, il fosfato di calcio, il calcio, che potesse essere combinato con altri acidi, ed il fosforo residuo, che potesse essere combinato con altre basi. Lo stesso trattamento ripetei sopra le ceneri delle albumine, sepa- rate facendo bollire l’ estratto acquoso acidificato con acido acetico come fu detto nella nota precedente. Ho determinato pure parallelamente la compo- sizione delle ceneri delle albumine, ricavate dall’ estratto acquoso delle pla- cente lavate con soluzione fisiologica di cloruro di sodio al 0,75°/. Non è qui il luogo di fermarmi a descrivere minutamente le operazioni fatte per la determinazione dei singoli corpi; dirò soltanto che ho seguito le indica- zioni date da Fresenius e da Hoppe-Seyler (‘) per la determinazione quantita- tiva dei componenti delle ceneri degli organi. Nella parte di cenere solubile in acqua ho determinato, in porzioni separate, i cloruri,i solfati ed i fosfati. Riunii poi le acque madri dei solfati e dei fosfati e sopra di esse dosai il sodio ed il potassio allo stato di cloruro e rispettivamente di cloroplatinato, deter- minai nella soluzione cloridrica della parte di cenere rimasta indisciolta nell'acqua la quantità di fosfato di ferro, considerai come se fosse tutta fosfato di calcio la parte di fosfato che si scioglie in acido acetico, ed inoltre dosai precipitando con ossalato di ammonio la calce che potesse essere com- binata sotto altra forma che sotto la forma di fosfato. (1) Hoppe-Seyler und Thierfelder, Handbuch der physiologisch- und pathologisch-che- mischen Analyse. 6° Auflage, 1£93. — 264 — Un esame anche superficiale dei numeri raccolti nella seguente tabella permette di indurre già alcune considerazioni, che possono essere di utile guida nelle ulteriori determinazioni delle sostanze componenti la placenta. La sostanza minerale che sopra tutte le altre si fa notare per la proporzione considerevole in cui s' incontra è il fosforo; esso si trova a costituire la terza parte delle sostanze minerali. Quantità totale pesata Gr. 0,406 | Gr. 0,2154 _É Ceneri albumine | Ceneri albumine Gr. 2,0996 ceneri ceneri ZE albumine | albumine | #8 Ceneri placenta estratto Hs0 estratto H20 ceneri estratto estratto SIE H20 H20 “E placente normali | placente lavate di placenta| placente placente 9 normali lavate °/o 9/5 Of Ag Cl 0,9664 CI | 0,2399 | 11,4 Ba SO, 0,032 S| 0,0043 | 0,204 Na CI 1,8320 | 0,0026 | 0,0040 | Na | 0,5236 | 24,93 | 0,00102 0,251| 0,00157/0,728 K. Pt Cl | 0,8616 | nulla nulla 0,188 6,57 | nulla nulla Mg» Pi 0; | 0,6350 — 0,54349) 0,0559 | Mg» Pa 0,| 0,077 0,139 0,0654 4 0,0659 Î 0 11807... 0,0396 ie 33,46 55,18 44,5 Fe PO, (*)| 0,0504 | 0,1626 | 0,063 ) (9) | 0,0317 \ 0, Lu 0,00036 Cas (PO.)| 0.1008 ) 0,0046 | 0 ocelli \ 0,0617 0,0028 ì Ca 0 0,0098 (| — — caos 09391 È 2,32 | 0,0018 0,00024 ( 0,0098 | \ I (*) È la metà della formola Fes (PO4): (**) PO, esprime il residuo alogenico dell'acido ortofosforico, H; PO;. Calcolando a P. 0; si avrebbe: 0,406 — 0,0492 — 0,0236 — 0,0461. Nel suo trattato di chimica fisiologica Bunge ('), dove riferisce gli studî da lui fatti sull'importanza delle sostanze inorganiche, ha una tabella, dalla quale appare che la quantità di P, 0; contenuto nelle ceneri di tutto il corpo oscilla nei differenti animali tra 39,8 e 41,9 °/ e trova che la medesima proporzione a un dipresso si ha nelle ceneri del latte, cioè 37,5°/,, mentre nel sangue sì trova soltanto in proporzione di 13,2°/ e di 5,9 °/ nel siero. Dal risultato delle nostre determinazioni, che rappresentano una media di tre placente, noi abbiamo trovato una proporzione di P 0, uguale a 33,46°/ e cioè molto vicina alla proporzione di P, O; che si riscontra nelle ossa, dove secondo Gabriel (*) se ne trova 36-37°/,. Questo fatto non poteva a meno di richiamare la nostra atten- zione. Daremo in una Nota successiva dati, che permetteranno di spiegare questa ricchezza in fosforo del tessuto placentale, per ora ci piace accennare solamente al fatto, che abbiamo già potuto accertare nella placenta la presenza di quantità considerevoli d'acido fosfocarnico. Ciò dimostra assai chiaramente, se pur fosse (!) Loco citato pag. 92. (2) Zeitschrift. f. physiolog. Chemie Bd. 18, pag. 281. — 265 — necessario dopo che le ricerche istologiche hanno fatto vedere la ricchezza del tessuto epiteliale, che la placenta deve avere una funzione assai più importante che non sia quella di un semplice organo meccanico di comunicazione tra la madre ed il feto. Diranno meglio le determinazioni successive a quali cate- goria di sostanze si debba ascrivere l’ abbondante quantità di fosforo che entra nella costituzione della placenta, e se esso sia da ascriversi tra le sostanze ana- boliche o fra le cataboliche del feto. Qui noi dobbiamo limitarci a constatare che le sostanze contenenti il fosforo sono, in gran parte certamente, sostanze estraibili coll’acqua; difatti noi troviamo che esse passano nell’ estratto acquoso in quantità capace di far salire la proporzione del fosforo contenuto nelle albumine all'altezza notevolissima del 55,18°/. Una cosa pure va no- tata, cioè che il fosforo è contenuto in sostanze non soltanto estraibili con acqua, ma anche precipitabili insieme colle sostanze albuminose dell’ estratto acquoso. Lo studio parallelo eseguito sulla composizione delle ceneri delle albumine dell’estratto acquoso nelle placente normali od in quelle lavate con soluzione fisiologica di cloruro di sodio, permette di fare ancora un passo oltre, sulla via della conoscenza di queste sostanze ricche di fosforo. Nelle placente nor- mali il PO, si trova in proporzione di 55,18°/, nelle ceneri delle albumine dell'estratto acquoso; in quelle delle placente, che hanno subito la lavatura, dove cioè fu, per quanto possibile, esportato il sangue, che poteva esser con- tenuto nei vasi placentali, la quantità di PO, si conserva altissima 44,5°/,. Ciò sta ad indicarci che queste sostanze non sono circolanti nel sangue, ma veramente proprie del tessuto placentare. La differenza percentuale tra la quantità di PO, contenuto nelle due categorie di ceneri si spiega chiara- mente, pensando che in quella lavata mancava la quantità di fosforo proprio del sangue, di cui sappiamo che contiene nel plasma 0,022 °/, di acido fosfo- rico, al quale si deve aggiungere quello contenuto nei globuli bianchi e rossi e nelle piastrine. È pure degna di nota la mancanza assoluta di sali di potassio nelle ceneri delle albumine delle placente tanto normali quanto lavate, mentre il potassio si trova in quantità considerevole nelle ceneri della placenta. Questo fatto ci autorizza a concludere che il potassio entra a far parte delle sostanze più fisse del tessuto placentare. Spetta all’ analisi delle varie categorie di sostanze, distinte nella Nota precedente, il dire più precisamente in che forma si trovi combinato. Data la grande solubilità dei sali di potassio possiamo però fin d'ora ammettere, che se non si trova in combinazioni solubilissime, e non precipitabili colle albumine, deve essere sotto forma di combinazioni organiche. Non deve far meraviglia la quantità di calce che si riscontra nella placenta, perchè sappiamo che essa si trova talora sotto forma di concrezioni percet- tibili al tatto. È così che, come apparirà in una Nota seguente, si può incontrare alcune volte in quantità molto abbondanti. Singolare è invece la proporzione che prende il Na rispetto al K: questo è generalmente più RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 35 — 200 — abbondante del Na nei tessuti; la placenta invece si comporta come il siero del sangue, ed all'opposto di quanto si trova generalmente nell'organismo, dove i sali di potassio superano di gran lunga i sali di sodio. Sarebbe pre- maturo avventare una ipotesi sulla base di questo materiale, troppo scarso e troppo rozzamente analizzato. Ci proponiamo quindi di studiare, in una pros- sima Nota, questo fatto importantissimo per la comprensione dei fenomeni di nutrizione del feto, ed in così aperta contraddizione con le condizioni che attenderanno il feto immediatamente dopo la nascita. Parassitologia. — Sulle imelusioni cellulari nell’ innesto vac- cinico della cornea e sui loro rapporti colle inclusioni cellulari nei tumori maligni. Comunicazione preventiva del dott. CostANTINO GoRrINI, presentata dal Socio CREMONA. In un precedente lavoro (') mi sono occupato di stabilire il valore delle inoculazioni corneali per controllare la purezza e l'efficacia del vaccino Jen- neriano. Ora col presente scritto mi propongo di utilizzare il materiale che servì per quell'occasione, insieme con altro che andai successivamente raccogliendo, allo scopo di portare un contributo alla questione riflettente i corpiccioli endocellulari che si osservano nell’epitelio anteriore della cornea, in seguito all’ innesto corneale di virus vaccinico. La comparsa di questi corpiccioli, segnalata primamente da Guarnieri, è un fatto oramai assodato per parere concorde di tutti gli autori. Dal canto mio posso dichiarare di averli riscontrati in tutte le cornee inoculate con 43 qualità di vaccino animale. Dove esiste ancora incertezza è sulla interpreta- zione da assegnare loro. Qui noi ci troviamo di fronte ad una questione simile a quella ch'è stata impegnata a proposito delle inclusioni cellulari del cancro. V' è chi interpreta i suddetti corpiccioli come parassiti denominandoli citoryctes vaccinae, chi come alterazioni cellulari di origine vuoi leucocitaria, vuoi nucleare, vuoi citoplasmatica. L'argomento è stato trattato da molti autori e sotto molti punti di vista; io voglio toccare qui alcuni punti non peranco presi in considerazione. 1. Caratteriszazione dei citoryetes. — Se esaminiamo i lavori dei pre- cedenti autori che sostengono la specificità dei citoryetes (e sono i più, com- presi gli antiparassitari Salmon e Hiickel) vediamo che tutti si limitano ad affermare di non aver mai ottenuto, con altri mezzi, forme endocellulari si- mili a quelle ottenute col vaccino, senza però indicare nessuna nota speciale (1) Z controllo del vaccino mediante le inoculazioni corneali. Archivio per le scienze mediche, 1898, vol. XXIII, pag. 127. — 267 — che serva a differenziare le une dalle altre. Solamente Hiickel dà un carat- tere distintivo fondato sulla colorabilità; senonchè, considerando il valore del tutto relativo dei caratteri di cromofilia, l'osservazione dell’ Hiickel, an- zichè agevolare la diagnosi, la rende ancora più incerta, poichè egli dichiara esplicitamente che vi sono corpi non vaccinicì simili per forma e posizione ai corpi vaccinici, somiglianza sulla quale i parassitari avevano taciuto. Si capisce quindi come possano aver buon gioco i sostenitori della identità fra le due specie di corpi (Ferroni e Massari, London). To feci esperienze di controllo colla glicerina pura e diluita, coi prin- cipali batteri contenuti nel vaccino, col vaccino inattivo, con brodo e solu- zioni di peptone sterilizzate (sostanze emotropiche), con virus rabbico di strada, con materiale di afta epizootica, e con materiale raccolto da una specie di pustole che appaiono sui capezzoli e sulle mammelle delle vaccine lattifere e che gli allevatori scambiano tuttora col vaccino spontaneo. Or- bene, con tutti questi materiali diversi, anche quando (come col materiale aftoso) ottenni un discreto numero di corpiccioli endocellulari, non ne osservai mai uno che assomigliasse decisamente ad un bel citoryctes, a quello che possiamo chiamare un citoryetes tipico. Quali sono dunque i caratteri distin- tivi dei citoryctes tipici? Ecco il quesito che mi sono proposto. L'esame minuzioso dei preparati ottenuti con molte qualità diverse di vaccino e appartenenti a focolai di diversa età, mi ha condotto ai seguenti risultati : Nè le proprietà morfologiche per sè stesse, nè le reazioni coloranti pos- sono servire a caratterizzare i citoryetes, perchè entrambe non presentano nulla di specifico e di costante. Per tal modo io ho potuto darmi ragione dei dispareri che esistono fra gli autori circa i caratteri di struttura e di cromofilia attribuiti ai citoryctes, come pure ho potuto riconoscere che quei caratteri si prestano a diverse interpretazioni. Ciò che vi ha di tipico e di costante nei citoryetes (o almeno in gran parte di essi, al quali compete appunto il nome di citoryctes tipici) è un complesso di particolarità che non sono così facili ad esprimersi con parole, quanto a rilevarsi al microscopio da un occhio esercitato. Le possiamo rag- gruppare sotto la qualifica di: rapporti dei citoryetes coi nuclei epiteliali, e possiamo dire che i citoryctes diventano caratteristici quando assumono rapporti coi nuclei epiteliali; quando mancano questi rapporti, io non saprei indicare nulla che valga a differenziare un citoryetes da un qualunque corpicciolo endocellulare non vaccinico. Questi rapporti sono ravvisabili in molteplici fatti, ma qui mi limiterò ad accennare ai due più generali: a) i citoryctes, che stanno per lo più in prossimità dei nuclei, sì trovano in una zona chiara (cosidetto alone) che è in continuazione o colla periferia nucleare o con una zona chiara perinucleare; — 268 — b) fra citoryctes e nucleo si verifica un modellamento reciproco, per cui ora è il nucleo che accoglie il citoryetes in una nicchia, ora è il cito- ryetes che si incurva ad incappucciare il nucleo, ora i due corpi stanno affrontati con due superfici pianeggianti etc; donde le più svariate forme di citoryotes corrispondenti ad altrettante svariate forme o deformazioni di nuclei epiteliali; notevole poi si è che questo modellamento sussiste sebbene i due corpi non siano contigui ma separati per l'intermezzo dalla zona chiara. Questi rapporti imprimono ai citoryctes un non so che legame coi nu- elei,‘ che manca assolutamente ai corpiccioli non vaccinici anche quando stanno addossati ai nuclei e pur leggermente deprimendoli. 23 figure annesse al lavoro in esteso spiegheranno meglio questi concetti. . Conservazione in glicerina. — Nel corso delle mie esperienze ho be confermare quanto è asserito da varî autori, che l’ alterazione vacci- nica è trapiantabile da cornea a cornea, da animale ad animale. È nota d'altra parte la conservabilità della linfa vaccinica in glicerina. Orbene io ho voluto vedere se anche quello che chiamerò virus vaccinico corneale con- servasse la sua attività in glicerina e quali modificazioni subissero i cito- rycts in tal modo conservati. Ho constatato che, mentre il potere di trasmissibilità era mantenuto ancora dopo 73 giorni, i citoryetes andavano man mano alterandosi in varia guisa e di pari passo coi nuclei epiteliali. Debbo aggiungere però che, anche dopo que] lasso di tempo, osservai un certo numero di citoryctes e di nuclei di aspetto normale. 3. Altre forme di inclusioni cellulari. — Già da tempo Guarnieri, L. Pfeiffer e Clarke hanno descritto nei focolai vaccinici corneali un certo numero di inclusioni cellulari diverse dai citoryctes propriamente detti, e le interpretarono come stadi di sviluppo dei supposti parassiti. Studî ulteriori però hanno indotto Guarnieri e Pfeiffer a ritenerle come prodotti di disgregazione degenerativa dei citoryctes. Wasielewski ne cita pure qualcuna, ma lascia in sospeso ogni giudizio. Hilckel descrive una grande quantità di inclusioni cel- lulari, ma le attribuisce, al pari dei citoryctes, ad una malattia del cito- plasma. Gli altri autori non ne parlano affatto. Io ho potuto persuadermi della loro presenza, sopratutto col metodo del raschiamento (v. la mia Memoria precedente), perchè esse sì trovano spe- cialmente nelle parti più superficiali dell'epitelio leso, in quelle parti cioè che si vanno man mano scollando per processo ulcerativo e che, col metodo delle sezioni, vanno spesso perdute nelle varie manipolazioni e nei vari li- quidi di passaggio. Tuttavia, in un caso, in cui adoperai materiale vaccinico preso direttamente dalla vitella, trovai queste inclusioni cellulari, anche nelle sezioni, in notevole maggioranza sui citoryctes propriamente detti. L'aspetto di queste inclusioni cellulari è dei più svariati e dei più irregolari; ve ne sono che sembrano cellule a sviluppo normale, ma molte — 269 — altre che si giudicherebbero cellule abortive, o iniziali, o degenerate, con nuclei frammentati etc. Considerandole in blocco, dirò che esse ricordano e talune anche ripetono fedelmente le inclusioni trovate nei tumori maligni, quelle inclusioni la cui interpretazione è tuttodì oggetto di discussione fra i più stimati osservatori. Dirò ancora che alcune forme di citoryctes, segna- tamente fra i citoryetes più grandi, possono essere considerate come stadi di passaggio a queste inclusioni; e che, viceversa, alcune di queste inclusioni sì possono riguardare come citoryctes attorno ai quali si sia formato un mantello protoplasmatico. È degno di nota che per l’appunto questi citoryetes a mantello riproducono perfettamente l'aspetto di certe inelusioni descritte nel cancro. Incoraggiato da queste analogie, nonchè dalla considerazione che tanto nei focolai vaccinici quanto nel cancro verificasi una rigogliosa ed anormale proliferazione epiteliale, ho voluto tentare l’ inoculazione di materiale carci- nomatoso nella cornea di coniglio. Non ne ottenni risultati degni di nota; ritengo però necessario ripetere la prova quando potrò disporre di materiale più adatto. In tutti i modi resta assodato che nei focolai vaccinici corneali si incontrano, oltre ai citoryctes propriamente detti, altre forme di inclusioni cellulari, alcune delle quali presentano uno stretto legame coi citoryctes stessi e una grande affinità colle inclusioni osservate nei tumori maligni. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente MessepaGLIA dà il doloroso annuncio della morte del Socio straniero EMANUELE Lars, morto il 6 marzo 1900; apparteneva il defunto Socio all'Accademia, sino dal 10 luglio 1853. Il Segretario BLASERNA comunica che alle condoglianze inviate all’Acca- demia per la morte del Presidente E. BeLTRAMI, debbonsi aggiungere quelle dei Soci stranieri Chauveau, Greenhill, Hodgkin, de Lapparent, Maspero ; della R. Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti e della Società sici- liana per la storia patria, di Palermo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci D'Ovipro, NaccaRI, PrLilGeR, e dai signori Cassani, BecuinoTt, JoLy e Vezes. Presenta inoltre una Relazione sulle ricerche, eseguite in Africa, sulla malaria dai signori Ross, ANNETT e AUSTEN, e una Monografia sugli anellidi dell'Inghilterra di W. CarmicHaEL Mo. InTOSH. — 270 — Il Socio CREMONA fa omaggio, a nome dell'autore prof. C. Guipr, di due pubblicazioni intitolate: Di un nuovo lessimetro e sue applicazioni. — Esperienze sulla elasticità e resistenza a tensione del rame. CORRISPONDENZA Il Presidente MEssEDAGLIA dà comunicazione di una lettera colla quale il Socio AscoLi, che rappresentò l'Accademia alle feste pel 2° centenario dell'Accademia delle scienze di Berlino, rende conto del mandato affidatogli. Il Segretario BLaserNA dà poscia conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: L'Accademia di scienze, lettere ed arti di Acireale; la R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società Reale di Londra; le Società geologiche di Manchester e di Washington; le Società di scienze naturali di Emden e di Buffalo; la R. Società zoologica di Amsterdam; il Museo di zoologia com- parata di Cambridge Mass.; la R. Scuola navale superiore di Genova; il Jollegio Harvard di Cambridge. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La R. Accademia della Crusca, Firenze; le Società geologiche di Ottawa e di Calcutta. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° aprile 1900. Beguinot A. — Contribuzione allo studio di alcuni generi della Flora delle Paludi Pontine. Firenze, 1899. 83°. Id. — Di una famiglia e di alcuni generi nuovi per la Flora della provincia di Roma. Firenze, 1899. 8°. Id. — Il genere Gagea Salisb. nella Flora Romana. Firenze, IDO 8° Ta. — Intorno ad alcune forme di Reseda lutea Lin. Firenze, 1899. 8°. Ta. — Intorno ad alcune Potentille nuove, rare o critiche per la Flora Romana. Firenze, 1893. 8°. Id. — La Famiglia delle « Elatinacee » nella Flora Romana. Firenze, 99321 Id. — La Flora dei depositi alluvionali del fiume Tevere dentro Roma. Firenze, 1999. 3°. Id. — Notizie preliminari sulla biologia fiorale del genere Romulea Ma- ratti. Firenze, 1399. 8°. SEO i, — Beguinot A. — Sopra un'antica collezione di piante conservate nel Gabinetto di Storia naturale del Liceo E. Q. Visconti di Roma. Roma, 1900. 8°. Id. — Ulteriori notizie intorno alla Fritillaria persica Lin. ed alla Oxalis violacea Lin. nella Flora italiana. Firenze, 1899. 8°, Calderoni L. — Il secolo XX incominciò col 1900. Omegna, 1900. 8°. Cassani P. — Parole commemorative in omaggio al prof. sen. Eugenio Bel- trami. Venezia, 1900. 8°. Chiamenti A. — Sulla famiglia delle Veneride e delle Petricolide. Siena, 1900. 8°. D'Achiardi (. — La Cordierite dei filoni tormaniliferi nel granito di S. Piero in Campo (Elba). Pisa, 1900. 8°. Id. — Pleocroismo e policromismo delle tormaline albane. Pisa, 1900. 8°. De Blasio A. — Cranio trapanato del Paese degli Incas. Napoli, 1900. 8°. D'Ovidio E. — Bugenio Beltrami. Torino, 1900. 8°. Guidi C. — Di un nuovo flessimetro e sue applicazioni. Torino, 1900. 8°. Id. — sperienze sulla elasticità e resistenza a tensione del rame. Torino, 1900. 8°. Indian Plague Commission. — Hafkine's Anti-Plague Inoculation. Calcutta. 1900. 4°. Joly A. et Vèzes M. — Osmium et ruthénium (Eneyel. chim. T. III 17° Cah.). Paris, 1900. 8°. Lohest M. et Forir H. — Les coquilles du limon. Liége, 1899. 8°. Id. id. — Stratigraphie du Massif Cambrien. Liége, 1899-1900. 8°. Me Intosh W. C. — A Monograph on the British Annelids. Part II. Po- lychaeta Amphinomidae to Sigalionidae. London, 1900. 4°. Motta-Coco A. — Caratteri morfologici ed embriologici delle fibre musco- lari striate a grosso e piccolo calibro. Catania. 1899. 8°. Id. — Contributo sperimentale al rapporto tra l’ isotonia e coagulabilità del sangue. Catania, 1900. 8°. Id. — Genesi delle fibre muscolari striate. Catania, 1899. 8°. Id. — Rapporto tra l’ isotonia del sangue e l’ ipertermia. Catania, 1900. 8°. Musso G. A. — La mosca olearia nel 1899 in Pontedassio. Oneglia, 1900. 16°. Naccari A. — Intorno alle anomalie termiche dei climi di Torino, Milano, e Venezia. Torino, 1900. 4°. Nel primo centenario della morte di Lazzaro Spallanzani. Vol. IT. Reggio, TO00 SO Passerini N. — Esperienze sulla coltivazione delle barbabietole da zucchero instituite nel 1899. Firenze, 1900. 8°. Id. — Sui rapporti fra gli uccelli e le piante coltivate. Proposta per la pro- tezione della selvaggina. Firenze, 1900. 8°. Id. — Sulle cause che rendono le piante coltivate oggi più che in passato soggette ai danni dei parassiti. Firenze. 1900. 8°. — 272 — Pfiùuger E. — Unsere Kenntnisse ueber den Kraftwerth des Fleisches und der Eiweissstoffe. Bonn, 1900. 8°. Porro F. — Sul movimento non perturbato di un Pianeta intorno al sole. Napoli, 1900. 8°. Report of the Malaria Expedition to West Africa 1899. Liverpool, 1900. 4°. Rossetti G. = La scienza pratica ossia la vera sorgente della febbre, della tubercolosi, del tifo ecc. Torino, 1899. 8°. Strasser H. — Das neue Anatomische Institut in Bern. Wiesbaden, 1900. 8°. Trommasina Th. — Sur la cristallisation métallique par transport électrique de certains métaux dans l'eau distillée. Paris, 1900. 4°. RENDICONTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI DS Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 aprile 1900. Presidenza del Socio anziano F. ScHUPFER. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Come l’aria icata perde la sua proprietà scari- catrice e come svolge cariche di elevati potenziali. Nota del Socio EMILIO VILLARI. Matematica. — Integrazione della doppia equazione di La- place. Nota del dott. E. ALmAnSI, presentata dal Socio VoLTERRA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sul comportamento crioscopico dei nitroderivati sciolti in acido formico. Nota di G. Bruni e P. BERTI, presentata a nome del Socio G. CIAMICIAN. L'interesse che hanno assunto in questi ultimi tempi gli studî sulla dissociazione elettrolitica in solventi diversi dall'acqua da un lato, e dall'altro quelli intorno alla costituzione ed alle proprietà dei nitroderivati, ci hanno determinati ad intraprendere una serie di ricerche intorno a questo doppio ordine di fatti. Abbiamo perciò preso ad esaminare il comportamento crioscopico delle soluzioni dei nitroderivati grassi ed aromatici in acido formico. Abbiamo scelto questo solvente perchè esso è fra i solventi organici quello dotato di maggior potere dissociante, come risulta dallo studio eseguito da H. Zanni- nowich-Tessarin (') nel laboratorio del prof. Nasini. Di questa ricerca espo- (1) Gazz. chim. ital., 1896, I, 811. RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 36 — 274 — niamo in questa Nota preliminare i primi risultati, riservandoci naturalmente di completarli in modo esauriente, e di riferirne fra breve estesamente e compiutamente. I risultati fin qui ottenuti colle nostre esperienze si possono così rias- sumere : I nitroderivati aromatici sono tutti più o meno fortemente dissociati in soluzione d’acido formico. I nitroderivati della serie grassa, al contrario, hanno comportamento crio- scopico affatto normale e non dimostrano alcun indizio di dissociazione. Ciò è dimostrato dai seguenti dati sperimentali. L'acido formico impie- gato proveniva dalla ditta C. A. F. Kahlbaum. Bra perfettamente anidro e congelava a + 7°,1. Veniva conservato in boccia chiusa alla lampada. Le determinazioni vennero eseguite coll'apparecchio Beckmann in corrente d'aria secca. Le sostanze liquide vennero sempre introdotte mediante palline tarate. Nel calcolo dei pesi molecolari adottammo la costante K = 27,7, adottata da Zanninowich-Tessarin, che poco differisce da quella trovata da Raoult e da quella che si calcola colla formula di van 't Hoff. Concentrazione Abbasso Peso molecolare Penice Nitrobenzolo C, H; ON = 1283 0,329 0°,23 99,8 SAID 1,886 0°,47 II 30,7 4,095 09,92 123 DUT, IEgSY Dinitrobenzolo C; H, 0, Na = 168 0,239 09,09 88,8 52,9 0,999 09,26 106 44,7 2,52 09,55 127 36,6 955% Trinitrobenzolo C; H3 06 N3 = 213 0,62 09,10 173 84,1 2 09,31 188 31,2 3,60 09,56 181 32,5 2.4.6. Trinitrotoluolo C; H; 0 N3 = 227 0,75 09,11 188 90 1,88 09,25 208 29,5 3,01 0°,41 203 30,9 LO 1.3.9. ‘Trinitro- 2. clorobenzolo (cloruro di picrile) (07 H, 0; Ng (031 =: 247,5 0,85 00,12 192,9 34,6 2,04 00,26 217 30,6 3,12 0°,39 221 30,1 2.4.6. ‘Trinitrofenolo (acido picrico) C; Hz 0; N3 = 229 0,56 0°,08 193,9 32,7 1,80 0°,24 207 30,8 2,89 09,40 200 31,7 2.4.6. Trinitroanisolo (picrato di metile) C, H; 0, N3 = 243 0,267 09,05 148 45,9 0,62 09,09 190 35,2 2,01 00,26 214 31,4 3,44 09,46 207 32,4 Cloruro di p-nitrobenzoile CH, 0, N C1= 185,5 0,43 09,08 148,9 34,5 1,06 09,20 146,3 55,0 2,99 0°,41 159,7 92,9 Nitrometano CH, 0, N= 61 0,79 00,59 62,5 27 1,65 00,74 61,7 27,9 3,16 10,93 65,3 25,6 Nilroetano C,H,0,N= 75 1,01 09,365 76,6 27,1 2,23 0°,77 30,2 25,9 3,64 1°,23 81,9 25,9 Tricloronitrometano (Cloropicrina) C0, NCI3 = 164,5 0,60 0°,10 166,2 27,4 2,12 09,34 172,6 26,9 4,29 09,67 177,5 25,7 Come si vede, la dissociazione è sempre abbastanza notevole; essa è per taluni corpi assai spinta, sopratutto, come è naturale, a concentrazioni assai piccole. È assai notevole il fatto che l’acido picrico non è per nulla — 276 — più dissociato del suo etere metilico, ed in genere degli altri polinitrode- rivati. La presenza dell’ossidrile non ha quindi alcuna influenza sulla disso- ciazione. Inoltre il grado della dissociazione tende a crescere coll'accumularsi dei gruppi elettronegativi nella molecola. Per eliminare il dubbio che la dissociazione del cloruro di p-nitroben- zoile, e del trinitroclorobenzolo (cloruro di picrile) potesse dipendere dalla loro natura di cloruri acidi, abbiamo esaminato anche il comportamento delle soluzioni formiche di cloruro di benzoile. Esso è difatti completamente normale : Gloruro di benzoile C,H;0C1= 140,5 Concentrazione RO Peso molecolare ERRO 1,43 0°,28 141 27,9 2,99 09,59 140,5 27,7 Abbiamo anche voluto indagare se la presenza di piccole quantità di acqua potessero influire sul potere dissociante dell'acido formico. La seguente serie di misure venne eseguita col trinitroclorobenzolo sciolto in acido for- mico a cui era stata aggiunta una quantità d’acqua sufficiente per abbassarne il punto di congelamento di 0°,70: Trinitroclorobenzolo C; Hs 0 N3z C1= 247,9 Concentrazione Sara ment Peso molecolare po oO 0,91 09,13 193,9 94,4 2,10 09,27 215 31,8 4,36 00,56 215 31,7 La presenza di piccole quantità d'acqua non ha quindi alcuna influenza sul potere dissociante del solvente. Il determinare la causa a cui sia dovuto il dissociarsi dei nitroderivati aromatici nelle loro soluzioni formiche, ed il diverso comportamento dei nitro- derivati grassi, sarà possibile solo quando con più estese ricerche il pro- blema sia stato considerato sotto tutti i lati. Noi vogliamo però fin d'ora, per quanto con tutta riserva, esporre quali siano le ipotesi più verosimili che si possono formulare per spiegare i fenomeni da noi osservati. Esse sono essenzialmente due: La prima consisterebbe nell’ammettere che nelle soluzioni formiche dei nitroderivati, il gruppo nitrico si trasformi in gruppo isonitrico il quale sa- rebbe evidentemente suscettibile di subire una jonizzazione. Che in certi nitroderivati il gruppo nitrico possa, per spostamento di un atomo di idrogeno della molecola, trasformarsi in gruppo isonitrico >NOOH venne pel primo — 277 — ammesso da Angeli (!) e confermato poi con numerosi lavori sopratutto da Hantzsch (2) il quale riuscì anzi in taluni casi ad ottenere ambedue gli isomeri. La trasformazione in gruppo isonitrico venne però finora constatata od ammessa solo pei gruppi nitrici legati a catene aperte in cui esista un atomo di carbonio secondario o terziario R—CH,—N0O, > R—CH=NOO0H; R-cH_ No, — È >C=NO0H; Ri Ri non mai per quelli uniti direttamente a nuclei aromatici. Per questi ultimi l'’ammettere una tale trasformazione riesce infatti alquanto difficile; poichè formole come p. es. la seguente: H C HC Na >N00H HW C C H non appaiono troppo verosimili. Questa prima ipotesi è poi resa poco vero- simile altresì dal fatto che i nitroderivati della serie grassa, in cui la for- mazione del gruppo isonitrico è più facile, non sono affatto dissociati. Essa non può però essere finora del tutto esclusa pel fatto che i gruppi negativi, quali gli aromatici, potrebbero impartire ad un gruppo isonitrico ad essì legato un grado di acidità, e quindi una dissociabilità assai maggiore che non i gruppi metilico ed etilico. La seconda ipotesi che si può formulare consiste nell'ammettere che si formino dei prodotti di addizione dell'acido formico al gruppo nitrico i quali possano poi dissociarsi. La capacità dei nitrogruppi aromatici di dare pro- dotti di addizione con diversi composti è ormai infatti ben dimostrata. Così Lobry de Bruyn (8) ottenne addizionando al trinitrobenzolo metilato potassico, un composto a cui venne attribuita pel primo da Angeli (‘) la costituzione : A C; Hi. (NO;),. NÉOK 0075 (1) Gazz. chim. ital., 1894, II, 63 e segg. (®) Hantzsch u. Schultze, Berichte, XXIX, 699, 2251; Hantzsch u. Veit, ibid., XXXII, 607, etc. (8) Recueil trav. chim. Pays Bas, XIV, 89; cfr. V. Meyer, Berichte, XXIX, 848. (4) Gazz. chim. ital. 1897, II, 366; cfr. Atti di questa Accademia, 1900, 1° sem., 46. Ie — Recentemente Hantzsch (!) potè ottenere allo stato libero o constatare in soluzione molti derivati analoghi, e da quello ottenuto dal trinitrotoluolo potè anche isolare il composto: 0 CH; . CH:. (N0)),. n/o0H \N0CH; che sarebbe l'etere metilico di un acido ortonitrico. Composti analoghi potè ottenere l' Hantzsch dal trinitrobenzolo per addi- zione dei cianuri alcalini e successiva acidificazione : 70 G, Hz (NO;), - xZo0K NON A C, H; (NO;), . NÉOH NON Non è quindi difficile l'ammettere che come l'alcool metilico e l'acido cianidrico, anche l’acido formico possa dare dei composti di addizione. Per tali prodotti di addizione potrebbero essere prese in considerazione le due formole seguenti : I Tn 0 0 R_ NZ0H R_ NÉ0H No#toHi XC00H le quali corrisponderebbero rispettivamente a quelle date pei composti di addizione coll’alcool metilico e coll’acido cianidrico : Ti II. 0 0 R_ NÉZ0H R- NZ0H X\0 CH, ON Ammettendo la formula I sarebbe da supporsi che altri acidi come l’acetico potessero dare prodotti simili. Non sarebbe però possibile constatarne la presenza col metodo crioscopico, causa il nessun potere dissociante dell'acido acetico. A questo proposito noi vogliamo riferire qui il seguente fatto non privo d'interesse, e che non ci consta sia stato prima d'ora osservato e reso noto. (1) Hantzsch u. Kissel, Berichte, XXXII, 3137. — 279 — Le soluzioni formiche anidre dei polinitroderivati aromatici (acido picrico, picrato di metile, cloruro di picrile, trinitrobenzolo) sono al contrario delle soluzioni negli altri solventi dissocianti o no (acqua, alcooli, benzolo ecc.) perfettamente incolore anche a concentrazioni abbastanza elevate. Coll’aggiunta di acqua esse si colorano invece intensamente in giallo. L' istesso fenomeno avviene colle soluzioni di questi nitroderivati in acido acetico anidro. Ciò si può interpretare assai bene a favore dell’ ipotesi ora enunciata. La questione però non può essere decisa per ora senza nuove espe- rienze. Il punto che ci sembra più importante e che ci proponiamo quindi di elucidare è il seguente: se la presenza di un atomo di idrogeno mobile nella molecola sia necessaria alla dissociabilità del composto. Il comportamento della cloropicrina in cui non v' hanno atomi di idrogeno non è decisivo poichè anche gli altri nitroderivati della serie grassa non sono dissociati. Noi ci proponiamo quindi di decidere tale questione esaminando il comportamento di nitroderivati aromatici completamente sostituiti, come ad esempio gli eteri del trinitrotimolo : C;. CH,. CH, . (NO), OX. (1) (4) (2)(5)(6) (3) Hsamineremo quindi completamente l'andamento della curva di conge- lamento della miscela di acido formico con diversi nitroderivati per vedere se, come fu mostrato da H. W. Bakkuis-Roozeboom (') e da uno di noi (°), è possibile in base ad esso il concludere sull'esistenza o meno di composti di addizione. È nostra intenzione di studiare anche il comportamento delle soluzioni del maggior numero di nitroderivati possibili, e segnatamente degli interes- santi accennati composti ottenuti da Hantzsch. Intendiamo poi di esaminare il comportamento ebullioscopico e la con- ducibilità elettrica di queste soluzioni, come pure il comportamento dei nitro- derivati in altri solventi organici dotati di potere dissociante. (1) Zeitschr. f. physik. Chemie, X, 477; XV, 147, 588. (*?) Gazz. chim. ital., 1898, V, 516. — 280 — Chimica. — Di una reazione colorata la quale permette di svelare i sali di calcio depositati nei tessuti organici (*). Nota di V. Granpis e 0. Marnini, presentata dal Socio Lucrani. Durante il corso di alcune ricerche, colle quali ci eravamo proposti di stu- diare il processo di accrescimento delle ossa, dal punto di vista della origine del fosfato tricalcico e del modo come questa sostanza insolubile potesse essere trasportata fino alle ossa, ci occorse di dover determinare esattamente col microscopio il punto in cui si trovavano sali di calcio. Le ordinarie reazioni, delle quali si valgono i chimici per caratterizzare questo elemento, non potevano servire al caso nostro, perchè non sono fornite di caratteri ottici tali da permettere di distinguere, colla semplice vista, un deposito calcare da un deposito di un altro composto insolubile qualsiasi. Occorreva una reazione colorata, alla quale fosse possibile sottoporre i tagli microscopici, in modo che, poscia, col microscopio sì potessero stabilire i rapporti che gli elementi del tessuto cartilagineo, in via di trasformazione, hanno colla depo- sizione dei sali di calcio. La nostra attenzione fu rivolta alla proprietà carat- teristica di alcune sostanze colorate, di precipitare in presenza del cloruro di calcio, e fummo perciò indotti a provare l' eosina, la purpurina, l' aliza- rina e la fucsina acida. Tratteremo prima di queste e poi dei risultati che sì possono ottenere col pirogallolo. : Per servire al nostro scopo la sostanza doveva aver la proprietà di fissarsi nei punti dove è presente la calce, e lasciare incolore le altre parti: per questa ragione non potevano servire la fucsina e l’'eosina che hanno così intenso potere colorante per le sostanze organiche. La scelta quindi era limi- tata tra l’alizarina e la purpurina. Ambedue sono prodotti contenuti nella Rubia tinctorum, V estratto della quale già si sapeva possedere la proprietà di colorare le ossa degli animali, che lo ingeriscono, € fin dal 1757 era stato impiegato per questo scopo dal Duhamel (*). Una serie di ricerche preliminari ci dimostrò che la purpurina era di gran lunga preferibile alla alizarina, perchè mentre questa è fornita di un notevole potere colorante pei tessuti, la purpurina è, al contrario, quasi inetta a colorare i tessuti animali, se non la si lascia agire per un tempo lunghis- simo ed in condizioni speciali. Ranvier (*) fu il primo istologo, che adoprò in 1) Laboratorio di Fisiologia della Facoltà di Medicina di Buenos-Aires. (2) Duhamel, Lettre è Bonnel. Journal de Médicine de Vandermonde 1757. (3) Ranvier, Traité techn. d’Histol., vol. I, pag. 280. — 281 — alcune circostanze la purpurina per differenziare determinati elementi. Limi- tata così la scelta, rivolgemmo la nostra attività a determinare le condi- zioni più propizie per ottenere il miglior risultato e stabilire il valore del metodo. Dovevamo acquistare la certezza che la purpurina colorasse sempre i sali di calcio e soltanto quelli, e non le sostanze organiche e gli elementi cellulari, e che la mancanza di sali di calcio rendesse inattiva la proprietà colorante della purpurina; di più dovevamo stabilire le condizioni, che im- pedissero il diffondersi della colorazione alle parti circostanti. La purpurina precipita in presenza di cloruro di calcio ed il precipi- tato è insolubile in acqua ed in alcool. La grande solubilità del cloruro di calcio impedisce che esso possa circoscriversi in un punto qualsiasi dei tessuti, e fa che si diffonda rapidissimamente. Era perciò impossibile valersi come mordente dell'acido cloridrico, giacchè questo reattivo così energico, reagendo sulla calce eventualmente presente nelle sezioni da studiarsi, avrebbe prodotto cloruro di calcio, il quale, per la sua solubilità e diffusibilità, imbevendo tutti i tessuti, avrebbe dato una colorazione diffusa delle parti circostanti a quelle dove si trovassero i sali di calcio. Il procedimento che ci si mostrò più adatto fu il seguente. Il pezzo da studiarsi viene tagliato col solito metodo della inclusione se fissato in alcool, o per congelazione se fresco, quindi viene passato in una soluzione alcoolica satura di purpurina e lasciatovi finchè sia forte- mente colorato: generalmente il tempo necessario per ciò varia da 5 a 10 mi- nuti. Dopo questo tempo si vede già che la colorazione del pezzo o della sezione non è uniforme, ma presenta chiazze nelle quali la colorazione è più intensa, e si può, toccando con la punta di un ago, accertarsi che i punti più intensamente colorati sono duri al tatto ed hanno una consistenza lapidea. Dopo questa prima operazione si passano i pezzi od i tagli colorati in una soluzione di cloruro di sodio ; abbiamo preferito una soluzione poco concen- trata, la quale non alteri troppo i tessuti, e perciò ci siamo valsi della soluzione fisiologica al 0,75 °/,. Il cloruro di sodio venendo in contatto con il sale di calcio, il quale generalmente nei tessuti organici è costituito da fosfato o carbonato, per doppia decomposizione dà luogo a formazione di una piccola quantità di cloruro di calcio, già sufficiente per la precipitazione della pur- purina, sotto forma insolubile, nei punti dove questa ha bagnato il calcare. Molte volte abbiamo riscontrato che questo passaggio delle sezioni in solu- zione di cloruro di sodio non è necessario in modo assoluto, forse perchè nei tessuti esiste sempre quella piccola quantità di cloro che è necessaria per formare traccie di cloruro di calcio bastanti a determinare la precipitazione della purpurina; però abbiamo sempre veduto che il passaggio in cloruro di sodio rende la colorazione più evidente e più nitida, quindi non abbiamo mai tralasciato di farlo. RenpiconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 37 — 232 — Alcuni istanti sono sufficienti. Dopo i pezzi colorati sono passati in al- cool a 70 °/, dove si lasciano, rinnovando parecchie volte l' alcool finchè non cedano più colore. Con questo trattamento si vede che la colorazione persiste solamente in alcuni punti determinati, mentre negli altri scompare completa- mente. Con la punta dell'ago si può sentire che i pezzi, i quali hanno con- servato la loro colorazione, sono quelli che hanno una consistenza lapidea. Compiuto questo trattamento, si può procedere alla disidratazione per pas- sare poi alla inclusione in balsamo. Possediamo sezioni così preparate da 6 mesi, che si conservano perfettamente. Abbiamo stabilito il valore di questo metodo nel modo seguente. Scelte due sezioni dell'intero piede di un feto di coniglio, per quanto era possibile vicine, una fu trattata direttamente nel modo sopra descritto, l’altra fu pre- viamente decalcificata, passandola in acido cloridrico 1 °/, e lavata abbon- dantemente in acqua; poi fu neutralizzata l'acidità, che potesse essere presente, col passarla in una soluzione di ammoniaca; lavata infine l’ ammoniaca abbon- dantemente con acqua, la sezione fu sottoposta al trattamento colla purpu- rina nel modo come sopra. Mentre la prima sezione lascia vedere punti net- tamente colorati, i quali rappresentano la sezione delle falangi in via di ossi- ficazione, quella invece, che fu sottoposta previamente alla decalcificazione, si presentò completamente incolora. Abbiamo ottenuto una controprova nel seguente modo: Sezioni dello stesso piede di feto di coniglio furono trattate, per la decalcificazione, come sopra è detto, sottoponendole poscia a tutti i trattamenti descritti per elimi- nare l'eccesso d’acido, e, infine, furono imbevute in una soluzione di clo- ruro di calcio all’1°/, quindi trattate colla purpurina. La sezione assunse una colorazione diffusa, uguale in tutti i punti, cioè tanto nel punto dove la corrispondente sezione, trattata direttamente colla purpurina e che chiame- remo normale, mostrava essere il luogo di ossificazione della falange, quanto nelle parti circostanti, dove la sezione normale si presenta incolora. Oltre che nei numerosi preparati, fatti per lo studio dell’ ossificazione, abbiamo esperimentato il nostro metodo sopra casi di arteriosclerosi e sopra un encondroma calcificato sempre con risultato eguale e perfettamente con- cordante. Nelle grosse placche calcari di un’ aorta sclerosata e nell'encondroma, dove per la consistenza lapidea e per la dimensione dei punti calcificati non era possibile eseguire le sezioni, abbiamo fatto la reazione sopra pezzi in toto e si disegnarono, allora, noduli di varie forme, nettamente colorati e per- fettamente distinti dal tessuto circostante incoloro. In questo caso la gran- dezza dei noduli ci permise di controllare la sensazione visiva, che si ha al microscopio, con la sensazione tattile diretta, perchè tutti i punti colorati si mostrarono di consistenza lapidea e nessuna parte del tessuto molle si mostrò colorata. — 283 — Fatti sicuri dell'attendibilità della reazione, abbiamo intrapreso una serie di ricerche per stabilire la presenza e la distribuzione della calce nei varî tessuti e prodotti dell’ organismo delle differenti classi di animali. Co- municheremo in una nota successiva i risultati che ne abbiamo ricavato. Con questa intendiamo solamente di dare la descrizione del metodo. Tra le sostanze sottoposte all'esperimento, abbiamo accennato in prin- cipio di questa Nota, anche al pirogallolo. Dai risultati ottenuti ci pare meriti esso pure una speciale menzione. È nota la proprietà del pirogallolo di funzionare come acido dando sali, i quali son capaci di fissare l'ossigeno atmo- sferico assumendo una colorazione bruna intensa; questa proprietà è messa a profitto nell'analisi dei gas per determinare l'ossigeno in una miscela gazosa. Le sezioni vengono lavate prima abbondantemente in acqua, per espor- tare i sali solubili, che si trovano nei tessuti organici e che sono formati spe- cialmente da sali di sodio di potassio e di magnesio. Per tal modo non ri- mangono che i sali insolubili, cioè i sali di calcio. Queste sezioni vengono poscia trattate con una soluzione di pirogallolo, la funzione acida del quale, per quanto debole, è bastante perchè esso si fissi specialmente su quelle parti che contengono sali di calcio, spostando una quantità, sia pur minima, del- l'acido che vi è combinato. Il pirogallato, che ne trae origine, assorbe rapidamente ossigeno venendo in contatto dell’aria e prende una colorazione bruna, che per la sua intensità si rende visibile, ancorchè la quantità formatasene sia piccolissima. Lavando le sezioni rapidamente in acqua, disidratandole ed includendole in balsamo, si ottengono preparati, in cui sono colorati in bruno intenso i punti con- tenenti depositi calcari. Si può anche in questo modo localizzare la presenza del calcio nei tessuti. A differenza della purpurina, il pirogallolo colora leggermente in giallo brunastro anche i tessuti circostanti, perchè è molto difficile esportare com- pletamente fino alle ultime traccie il sodio o il potassio abbondantemente diffusi in tutti i tessuti organici. I punti dove si trovano depositi calcari, appaiono come chiazze inten- samente colorate in bruno in mezzo ad un campo color giallo brunastro, ma ì preparati, quantunque chiaramente dimostrativi, riescono meno eleganti che i preparati ottenuti colla purpurina. Abbiamo voluto accennare anche a questo metodo, perchè può servire come ottimo controllo al metodo della purpurina, e potrebbe, in circostanze speciali di esperimento, sostituirlo con risultati egualmente attendibili. SOB: i LI repair ARMA DIL ta ‘pil ASA Spogli di FI craig ig ento "Lat 100 sit dolo aliafcepotent tati el VI et IA no 1h after duo ALe a A CORE TIZI O a din de idoli | sd aio Tae 19 etnia 108° Gini aa siano PADOSNI di Pe "i RI | ) i daitiraasa ong ‘78 Min stero dano Dub SISP ALTI SITTER patate vid; PI li k ph latino Pb ROSA AE ma If 5; AA ‘nta VIS Inaain) its capro AO Ag O RAR T i, {as of Sii sands sa OI Mtyoiozd DI PREDE ib Ka PSR ST OR o bdoreg Viaoeta! nera anos di padri he dol datto le MOR tot pcs parita ninusti eroga Cioe sa 1 Sa dre dn 115 So Sh AI OO bo ilaria ina it STASI ifrminte vat i x ini ERRO ON dubai dpi ott ae o PARTA TA atelier 1 vi atiralabai lotto, Gr Ae telling MTA È GOPIdAtI sa Eli st it: RE d sIU ani Ma sd dì atobaebeiialnoo uh ci A 011155, 7 A ART ‘ SCE ART ero: Osti): iralin&tna BID) Ti pi : I I IRE porno ERI NI: RI Psa ‘ vr tr ie LF oi and pi Ti irta ei 0 ; SR itato ETERO picugale veaani SERIA, derit Oria do side fa Hi pei HAGDOREL rigira SR) pi ts RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI nan Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 maggio 1900. A. MessEDAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — .Su/le macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 4° tri- mestre del 1899. Nota del Socio P. TACCHINI. Ho l'onore di presentare all’ Accademia i risultati delle osservazioni solari fatte durante il 4° trimestre del 1899. Le osservazioni riuscirono in buon numero di giornate per ogni mese per quanto riguarda le macchie e le facole, come risulta dal seguente specchietto. 1899 [aerea = ° 232 | £2 23 25 | £3f | &a Ss Aso rs O. (ii Eu BS Ros ASS Eos d'E DE) Fo] usi °° usi Ottobre . . || 24 1,04 | 4,08 | 5,12) 0,50 | 0,17|_0,83 | 8,08 | 27,50 | Novembre .|| 26 0,73 | 1,23 | 1,96 | 0,42| 0,00 | 0,62 | 4,77 | 45,96 Dicembre. .|{ 23 URLA MAZZIN (3:34 00,188 M0298 MITA s;097 43591 Trimestre|] 73 | 0,97 | 2,47 | 3,44 0,88) 0,18 | 0,86 | 6,90 | 40,82 In questo trimestre ebbe luogo un leggero aumento nel numero delle macchie e dei relativi gruppi, mentre pochissima è la differenza di esten- RenDICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 38 — 286 — sione rapporto al trimestre precedente. In corrispondenza dell'aumento del fenomeno fu minore la frequenza dei giorni senza macchie e senza fori. È notevole il minimo secondario avvenuto per le macchie nel mese di No- vembre, come è notevole che consimili minimi avvennero nei mesi di Agosto, Maggio e Febbraio. La frequenza delle facole è pressochè eguale a quella del 3° trimestre, ma è da ricordare, che spesso l'osservazione fu difficile per lo stato cattivo del cielo. Nel presente periodo di minimo merita di essere notato che il giorno 23 Ottobre apparve all’est un piccolo gruppo composto di 2 piccole macchie e due fori, il quale nel giorno 28 era formato da 4 macchie e 18 fori ed un quarto di esso aveva già oltrepassato il meridiano centrale. Il gruppo era compreso fra —8°,9 e — 139,8 ed abbracciava sul parallelo medio minuti 1,7 e così il 29: il giorno 30 era ridotto a 2 macchie e 2 fori, e il 2 di Novembre a due soli fori in mezzo @ grande regione di facole e prossimo a tramontare. Le osservazioni furono eseguite in 23 giornate da me, in 22 dall’assistente sig. Tringali, in 15 dal prof. Palazzo e in 12 dal sig. Vezzani. Per le protuberanze si ottennero i dati seguenti: 1899 Numero Modiomunieno È Media Massima delle Estensione 3 MESI dei giorni da Media altezza delle massime altezza di osservazione DOD media altezze osservata | per giorno | I] o 2/1 t71 Ottobre. . . 14 3,00 31,2 0,9 SI 60 Novembre. . 119) 1,42 24,3 0,8 26,2 63 Dicembre. ., 8 2:25 26,8 1,1 26,9 80 Trimestre 41 912 DU 0,9 29,4 635 La stagione fu poco favorevole, ma si può egualmente concludere che il fenomeno delle protuberanze solari è in diminuzione rispetto al precedente trimestre. Inoltre si ‘verifica l’accordo del minimo secondario del Novembre con quello delle macchie, come nella precedente serie, nella quale il minimo avvenne nell'Agosto; una tale coincidenza fu pure notata nel 2° trimestre per il mese di Maggio e per il 1° nel mese di Febbraio. Le osservazioni fatte in altre specole dimostreranno se queste coincidenze siano puramente accidentali, 0 se veramente nei mesi di Febbraio, Maggio, Agosto e No- vembre del 1899 vi sia stata una minore attività solare. Le osservazioni furono fatte in 22 giornate dal prof. Palazzo e in 19 dame. — RN Astronomia. — Sulla distribuzione în latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 4° trimestre del 1899. Nota del Socio P. TACCHINI. Per questo trimestre ho utilizzato le latitudini da me determinate per 37 protuberanze, 66 gruppi di facole e 23 di macchie. La frequenza relativa dei fenomeni nelle diverse zone risultò come segue: 4° trimestre 1899. Frequenza Frequenza Frequenza Latitudine delle delle delle protuberanze facole macchie 90+ 80 |0,000) 80-+ 70 |0,034 70-+- 60 |0,045 60-+50 |0,034 50+40 |0,022/0,337 Di 40+ 380 |0,045 0,027 30+20 |0,045 0,062)0,348 20-10 |0,056 0,607 0,125) È 0,333 TONER 00101056) 0,143 0,208) 0-10 |0,045 0,223, 0,208) 7 25°40,667 10-20 |0,079 0,232 0,459$ 7 20 — 30 |0,067 0,143)0,652 80—40 |0,101 0,045 40— 50 |0,180 0,663|0,009 50— 60 |0,079 60 — 70 vd 70— 80 |0,056 80 — 90 |0,022' | In questo trimestre, come nel precedente, le protuberanze furono molto più frequenti nelle zone australi, e il massimo di frequenza avvenne pure nella zona (— 40° — 50°). Anche le facole furono molto più frequenti nelle zone al sud dell'equatore e il massimo di frequenza avvenne dall'equatore a — 20°. Come nel prece- dente trimestre le latitudini delle facole non superarono i 50 gradi. Le macchie, come le protuberanze e facole, furono più frequenti nelle zone australi. I gruppi delle macchie si limitarono alla zona equatoriale (0° = 20°) come nel trimestre precedente. — 288 — Fisica. — Come l’aria ixata perde la sua proprietà scari- catrice e come svolge cariche di elevati potenziali. Nota del Socio Emiio VILLARI (!). I Come l’aria ixata perde la sua virtù scaricatrice. L'apparecchio adoperato nel corso di queste mie esperienze è indicato dalla fis. 1. Un Crookes C, chiuso in una cassetta di piombo pp' a grosse pareti, irradia allo esterno per un foro di 8 cm. praticato nella parete rispondente all’anticatodo. La cassetta, ed un induttore £ di 35 cm. di scintilla sono chiusi in una ampia cassa di zinco 4<', la quale con dei fili di rame sal- dati viene unita ai tubi del gas. Un vaso cilindrico V di grossa lastra di piombo (30 X 11 cm.) penetra nella cassa, con la sua base & fatta di sot- tile foglia di alluminio, per un foro praticato nella parete 22, e si trova a piccola distanza da C. Al vaso V è saldata un’ampia e grossa lastra di piombo dd, la quale addossata a 44 impedisce alle radiazioni perturbatrici di venir fuori della cassa: al vaso sono saldati due tubi di ottone di 1,5 cm. di diametro, uno 0 diritto e l’altro a gomito {: anche questo vaso, con fili di rame saldati, è unito al suolo. (1) Ricevuta il 22 aprile 1900. — 289 — L'aria, per via di una grande soffieria, veniva spinta alla pressione co- stante di 10 a 12 cm. d’acqua pel tubo o, ixata in V dal Crookes ©, e pel tubo & (!), ed altri ad esso uniti, andava contro la pallina di un mio elettroscopio (2). Le cose erano con ogni cura ordinate in maniera, che l' elet- troscopio rimaneva garantito del tutto dall'azione diretta degl’ X e delle induzioni perturbatrici, come mi assicuravo per osservazioni spesso ripetute. Tubi. — Unii al tubo # dei tubi di differenti sostanze e dimensioni, diritti od avvolti in molti giri; e spingendo per essi l’aria ixata contro l’ elettroscopio elettrizzato, misuravo la durata delle sue scariche. Ecco alcune medie dei valori ottenuti. Esperienze con due tubi di vetro, presso a poco eguali (150 X 0,5 cm.). Durata delle scariche, spingendo l’aria ixata pel Tubo diritto Tubo avvolto E + (3) perde 2° in 30” 20 KB ” 24"! 1304 Esperienze con un tubo di gomma (5 m. X 13 em.) diritto od avvolto a gomitolo in 15 giri. Durata delle scariche, spingendo l’aria ixata pel Tubo diritto Tubo avvolto E+- perde 1° in 51” 2" 00 E—- ” 34" ATA E+ ” 48 TOS E ” 94” Lilo (1) Il tubo £ era laterale ed a gomito per impedire ai raggi provenienti da C di venir fuori. (®) L’elettroscopio usato fu costruito per queste ricerche. Esso è fatto da un invoglio di ottone ad fig. 2, fissato su una base con viti di livello, ed è chiuso davanti e di dietro con IM 2 lastre da specchio scorrenti in appropriate saracinesche. La sua asticella d’ ottone cd, iso- lata con un tappo di paraffina p, porta una foglia di oro 0 e termina con una pallina c. La foglia e la sua deviazione s’osservano con un cannocchiale a forte ingrandimento, provveduto di una scala di vetro, divisa in quarti o quinti di millimetro. Alcune volte l’elettroscopio veniva chiuso, davanti e di dietro con foglie metalliche; allora la foglia o era illuminata da una lampada elettrica ed osservata attraverso opportune fenditure. () Indico con E+ ed E — l’elettroscopico carico in 4-e—. — 290 — Esperienze con un tubo di piombo (3 m. X 5 mm.) diritto od avvolto in una spirale cilindrica di 19 giri, unito al suolo. Durata delle scariche, spingendo l’aria ixata pel Tubo diritto Tubo avvolto E + perde '/s° in 281" NW 23" E ” DANSI 6" 00” Si rileva, che l’aria ixata dopo esser passata pei tubi a spira scarica E © assai più lentamente, che dopo essere passato pei medesimi tubi diritti. Ma temendo che la differenza potesse dipendere da un diminuito efflusso del l’aria, per un lieve schiacciamento patito dai tubi nell’avvolgerli, ripetei le misure con un tubo di rame flessibile (320 X 1 cm.), ed ottenni i dati se- guenti, medî di varie esperienze concordanti: Durata delle scariche, spingendo l’aria ixata pel Tubo diritto Tubo avvolto E-+ perde 1° in 51 147” ’ 29 n 105” 300” ET—» TO gta ZU 152” ” 2° in 69” 347" Dai precedenti risultati, tutti concordi, si ricava: Che l’aria ixata passando per dei tubi metallici avvolti ripetuta mente su loro stessi, perde della sua virtù scaricatrice molto di più, che passando pei medesimi tubi diritti. J Questa differenza potrebbe, forse, dipendere da un maggiore strofinio sofferto dall'aria nei tubi avvolti. Feci delle misure di confronto in condizioni simili, fra un tubo di rame flessibile ed uno quasi eguale di gomma, ed ottenni i seguenti valori: Tubo di rame Per l’aria ixata Diritto Avvolto Rapporti E+- perde 1° in SILA 147” 2,4 KE Sd MO: 5,0 Tubo di gomma E+- perde 1° in 48" Mio: 2,4 E SA 1354 4,0 I rapporti fra la durata delle scariche provocate dall’ aria ixata, che ha percorso i tubi avvolti e diritti di rame e di gomma, sono pressochè eguali, per cui pare, che la natura dei tubi non abbia spiccata influenza sul fenomeno: tuttavia le esperienze sono poche e meritano di essere ripetute. DO — Pennelli e fasci di fili di ottone. — Saldai al tubo # dell'appa- recchio, fig. 1, un tubo di paraffina (35 X 3 cm.) nel quale, per due fori laterali provvisti di tappi di paraffina, potevo introdurre due pennelli di un centinaio di sottili fili di ottone rivolti con le punte contro la corrente d'aria ixata, che uscendo dal tubo incontrava l’ elettroscopio. Le esperienze furono eseguite coi pennelli e senza i pennelli nel tubo, e le durate medie delle scariche, di misure concordi, sono qui sotto riportate. Tubo Con corrente ixata Con pennelli senza pennelli E + perde 5° in DEA 16,5 ” ” 22,4 16,7 ET— » ” 18,4 14,1 > a 18,6 13,9 Misure simili esegui con un fascio di un centinaio o più di sottili fili di ottone lunghi circa 20 cm., che introducevo o no in un tubo di piombo, circa 30 X 3 cm., isolato con paraffina sul tubo %, (fig. 1,); soffiando l’aria ixata pel tubo contro l’ elettroscopio ottenni le seguenti durate medie delle scariche di E: Tubo Per la corrente ixata Col fascio senza fascio E+- perde 5° in 81,4 12,6 100 1a 6,42 24,1 KE O vin 25,9 nali 10° in 50,9 23,5 Questi numeri mostrano : Che l’aria ixata passando su dei pennelli o fasci di molti fili di ottone lunghi e sottili, perde in gran parte la proprietà di scaricare l' e- lettricità (1). L'effetto relativo alla scarica negativa sembra maggiore che alla posi- tiva; ma questo risultato non è costante. L'efficacia dei fasci non può attribuirsi ad un diminuito efflusso del- l’aria ixata pel tubo, essendo questo assai ampio rispetto a quelli; tuttavia ho eseguita una esperienza che toglie ogni dubbio. Unii al vaso V un secondo tubo 8, (fig. 3), eguale al precedente A, © misurai la durata delle scariche di £ prodotte dall'aria ixata, spintavi per B V A sia col fascio in B, sia senza. (1) La scarica di E, prodotta dall’aria ixata che non aveva strisciato sui fili, durava pochi secondi. — 292 — Le medie di risultati concordi furono le seguenti: Tubo B Col fascio Senza fascio E+- perde 5° in 9"7 8,9 10. 187,6 177,9 La presenza del fascio in B rallentò in modo appena percettibile la durata delle scariche di £. A d Vv la B Gio. Posto, invece, lo stesso fascio in A e spingendovi l’aria ixata per B e V, si ebbero queste medie: Col fascio in A E— perde 5° in IST O 36,6 1 In questo caso la durata della scarica si è raddoppiata per l’azione propria del fascio sull’aria ixata, che ne scema la virtù scaricatrice. 108 Delle cariche di elevati potenziali svolte dall'aria ixata. Le ricerche che vado ad esporre mostrano una nuova proprietà dell’ aria ixata, ed una nuova relazione che essa ha coi fenomeni elettrici. Tubi. — Un tubo di rame flessibile (5 m. X 1 cm.) avvolto a gomitolo in dieci giri fu unito ed isolato con paraffina su un tubo di ottone (10 X 1,5 cm.), che con un sughero venne innestato sul tubo # dell’ apparecchio, (fig. 1). Il tubo — 293 — di rame era unito all'indice di un mio elettrometro a quadranti (') situato a 4 m. di distanza. Soffiando l’aria ixata pel tubo di rame, l’' elettrometro deviò di + 1400 a + 1500 mm. per carica positiva, rispondente ad un poten- ziale di una quarantina di Volta (V). Queste grandi deviazioni si producono con regolarità e lentezza, in 8" a 12°, sotto l’azione della corrente di aria ixata spinta ad una pressione di 10 o 12 cm. d'acqua. Non si svolge alcuna elettricità nel tubo, quando vi si spinge l’aria ordinaria; o quando s' inter- cettano le radiazioni, interponendo una grossa lastra di piombo fra il Crookes ed il vaso V. In queste ricerche, per non essere tratti in errori, è bene assicurarsi, con osservazioni dirette, che non vi siano azioni perturbatrici. A questo proposito faccio notare, che l’aria ixata nell'uscire dal tubo # pare quasi si diffonda rapidamente all’intorno; e venendo a contatto con dei corpi elettrizzati, quale dei blocchi di paraffina, di solito caricati in — per istro- finìo, ne trasporta subito la elettricità nel tubo, alterando i risultati delle esperienze. Onde è necessario, o di tener la paraffina lontana dai tubi, ovvero di scaricarla sempre e ripetute volte con la fiamma a gas. Intorno a questa speciale ed apparente diffusione dell’aria ixata pubblicherò fra breve i ri- sultati di svariate esperienze eseguite. E ritornando alle primitive ricerche dirò, che eseguii delle altre misure con un tubo di piombo di 5 mm. d'apertura, avvolto in una spirale cilindrica di circa 5 cm. di diametro, fatta prima di 19 e poi di 14 giri. La spirale, che era unita all’elettrometro, era fissata con paraffina al tubo dell’apparec- chio ed era sostenuta con lunghi fili di seta legati in alto alla paraffina bene scaricata con fiamma. Spingendo l’aria ixata per la spirale l'elettrometro deviò di 4 147 e + 155 mm., corrispondente ad un potenziale di 4 a 5 V. Siccome le quantità di elettricità svolte in questi fenomeni sono piccole e si producono con lentezza, occorre operare con apparecchi bene isolati ed in giornate asciutte, altrimenti le cariche non raggiungono potenziali molto elevati. Inoltre, l'aria ixata che carica il tubo, lo scarica in parte per con- vezione, trasportandone l'elettricità sul resto dell'apparecchio ed al suolo, come mostra la seguente esperienza. Fra il tubo di rame precedente e quello dell’ apparecchio interposi, isolato con paraffina da ambedue gli estremi, un tubo di zinco (22 X 2 cm.) che unii all’'elettrometro. Spingendo l’aria ixata, l’elettrometro deviò di + 500 mm. per carica positiva, trasportata al tubo di zinco dal tubo di rame per convezione della corrente d’aria ixata; (1) Questo elettrometro ha tre indici d'alluminio della forma consueta, due fuori e vicinissimi ai quadranti ed uno dentro di essi. Gli indici sono fissati a vite su un filo rigido di alluminio, il quale è sospeso ad un sottilissimo è lungo filo di argento, e porta in basso lo specchietto ed un sottile tubo d’ alluminio (8 X 2 cm.), oscillante fra le branche di una calamita a ferro di cavallo, che ne spegne le oscillazioni. L’istrumento, chiuso in una custodia di ottone e sorretto da una base a viti di livello, è oltremodo pratico. RenpicontI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 99 — 294 — come vedremo, il tubo di zinco, da solo, avrebbe preso per l'aria ixata una debole carica negativa. In una seconda esperienza spinsi l’aria ixata sino a quando l'elettro- metro unito al tubo di zinco indicò -|- 200: dipoi unii al suolo il tubo di rame, che, scaricandosi della sua elettricità positiva, fece discendere l'elettro- metro a -- 100 stabilmente, per la sua cessata influenza. Spingendo allora l’aria ixata, il tubo di zinco sì scaricò subito, venendo la sua elettricità traspor- tata, dall'aria ixata al tubo di rame ed a quello £ dell'apparecchio, e per essi al suolo. Per potere, adunque, raccogliere su i tubi sperimentali elevati poten- ziali, è necessario separarli dal resto dell'apparato con paraffina e con un lungo tubo di vetro, che diminuisca la scarica per convezione. Ciò viene confer- mato dalle due seguenti misure, eseguite in una medesima giornata, con un tubo di rame flessibile (3 m. X1 cm.) avvolto in 10 giri. In una prima, isolai il tubo di rame su quello % (fig. 1) con un piccolo tappo di paraffina, e soffiandovi l’aria ixata il tubo di rame si caricò ad un potenziale positivo di circa 20 V. In una seconda misura interposi fra il tubo di rame e l'appa- recchio un tubo di vetro (35 X 2,5 cm.), isolato con paraffina; € soffiando l'aria ixata, il tubo di rame prese la carica di + 1580 mm., rispondente ad un potenziale di oltre 55 V. Avvertasi che la paraffina, anche in sottili strati, isola perfettamente. Filtri. — Costruii dei filtri con dei tubi di ottone (10 X 2,5 cm.) chiusi con molti dischi di fitta rete metallica; li isolai all'estremità di una canna di vetro (65 X 2,9 cm.) unita con paraffina all’apparecchio, e soffiandovi l’aria ixata, l’elettrometro unito ai diversi filtri dette le deviazioni seguenti: Filtro con Cariche 60 dischi di fitta rete d'alluminio. . . -+640=20V. 435» fittissima rete d’ottone. . . -+570=18V. 24» ’ » dirame. . . +550=17V. I filtri, come si vede, si caricarono fortemente in -|- come i tubi avvolti ; ma non si caricarono punto soffiandovi l’aria sia quando il Crookes è inat- tivo, sia quando, essendo attivo, se ne intercettano le radiazioni con una. lastra di piombo interposta fra il Crookes C ed il vaso V (fig. 1). Staccai l'elettrometro dal filtro d'ottone, vi soffiai attraverso per 5' o 6' l'aria ixata, ed unitolo di poi all’elettrometro, questo deviò subito di +- 320. Isolai ancora il filtro, lo ricaricai con l’aria ixata per altri 5, lo riunii di nuovo all’elettrometro a 0°, e questo deviò di + 230 mm., per l'aceresciuta. carica del filtro. L'aria che vien fuori dal filtro di ottone, e naturalmente anche dagli altri filtri, è quasi allo stato naturale od inattiva; ed essa, quando viene spinta. contro un elettroscopio elettrizzato lo scarica, presso a poco, con la lentezza di una corrente d’aria ordinaria. Jl Rontgen già ebbe ad osservare che l'aria ivata attraversando delle reti o dell'ovatta perdeva la sua virtù scaricatrice.. So Reti. — Costruii con un rettangolo di rete di ottone (22 X 28 cm.), non molto fitta un cilindro (22 X 3 cm.), accartocciandolo a spirale di 4 o 6 giri: unii il cilindro all'elettrometro e l'introdussi per 18 cm. in un tubo di vetro (23 X 2,7 cm.) isolato con paraffina sul tubo # dell'apparecchio, (fig. 1). Soffiando l’aria ixata pel tubo, la rete prese la carica positiva indicata da + 800 mm. di deviazione dell'elettrometro (1 V. produceva una deviazione di 41 mm.). Di poi introdussi il cilindro di rete, prima in un tubo di vetro un poco più stretto e poi in uno poco più ampio del precedente, ed esso prese, per la corrente d'aria ixata, le cariche di + 15320 mm. e di + 370 mm.; quindi è utile che il tubo calzi bene e stretto sul cilindro, affinchè questo venga meglio attraversato dall'aria ixata. Introdussi il cilindro o cartoccio di rete, successivamente in due tubi eguali (22 X 1,9 cm.) di vetro e di piombo, isolati con grossi tappi di paraf- fina; ed esso prese, per la corrente d’aria ixata, le cariche di + 1580 e + 1380, cioè di 33 V. e 29 V. all'incirca; mostrando essere vantaggioso di sperimentare in tubi di vetro, come già più sopra feci notare. In questa esperienza la differenza osservata, operando col tubo di vetro e di piombo, è lieve, perchè essendo essi piuttosto brevi, la rete trovavasi sempre a piccola distanza dal tubo metallico 4 dell'apparato, contro cui si scaricava sempre per convezione il cartoccio di rete. Nella seguente misura introdussi la solita rete in un tubo di zinco (30 X 2,7 cm.) isolato con piccolo tappo di paraffina ed essa prese, per la cor- rente d'aria ixata, una carica di + 11 V. circa. Indi, isolato lo stesso tubo di zinco con paraffina ed uno di vetro (35 X 3 cm.) unito all'apparecchio, la rete prese, per l’aria ixata, una carica di circa 45 V. di potenziale positivo; che salì anche a + 60 V. circa, facendo uso di un cartoccio di rete simile al precedente ma lungo 52 cm., cioè oltre il doppio di esso. In queste espe- rienze le cariche prese dalla rete furone molto maggiori del caso precedente, pel lungo tubo di vetro interposto, che scemò il trasporto dell'elettricità dal tubo di zinco allo apparecchio; nè la differenza può riferirsi, credo, a diver- sità d'isolamento, inquantochè la sola paraffina isola perfettamente, comesi disse. In conclusione, a parte queste differenze, possiamo dire che i tubi di rame e di piombo avvolti a spira, i filtri di rete d'ottone, di rame e d'allu- minio, nonchè le reti di ottone accartocciate, quando vengono attraversate dall'aria ixata prendono cariche positive, le quali, poterono raggiungere alcune volte, potenziali abbastanza elevati. Chimica. — Sulla costituzione dell'acido usnico. Memoria del Socio E. PATERNÒ. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Botanica — Busigamia, Mesogamia, Acrogamia. Nota del Cor- rispondente R. Prrorta e del dott. B. Lonco. Nelle Angiosperme, nelle quali 1’ ovulo è racchiuso dentro la cavità ova- rica, il modo di comportarsi del tubo pollinico per giungere alla nucella ed al sacco embrionale è tuttaffatto speciale. Caratteristica è la presenza dello stigma per trattenere il polline, metterlo in condizione di germinare e pro- durre il tubo pollinico, il quale si apre una via per lo stilo pieno o cavo. Fino a poco tempo fa si era ritenuto generalmente che il tubo pollinico, dopo percorso lo stigma e lo stilo, giungesse nella cavità ovarica, scorresse lungo la sua parete interna guidato nel suo cammino dal cosidetto tessuto condut- tore fino all’ inserzione dell’ ovulo, quindi, scorrendo lungo l’ovulo stesso (o prima lungo il funicolo), pervenisse finalmente all’apice morfologico dell'ovulo medesimo, dove trovava il micropilo per il quale entrava, percorrendo il ca- nale micropilare e giungendo alla nucella ed al sacco embrionale. Però Treub per il primo, nel 1891, scopriva nelle Casuarinacee un modo ben diverso di percorso e penetrazione del tubo pollinico. Esso infatti non entra nella cavità dell’ovario, non segue una strada alla superficie segnata dal tessuto conduttore, e non giunge al micropilo; ma dallo stilo scende per entro ai tessuti, giunge alla base morfologica dell’ ovulo, entra per la re- gione calaziale, scorre nella nucella e giunge al sacco embrionale seguendo una via opposta a quella seguita dal tubo pollinico nei casi fino allora cono- sciuti. Per ciò Treub distinse Angiosperme porogame nelle quali il tubo penetra nell’ovulo per il micropilo, e calazogame nelle quali invece si fa strada per la calaza. Quasi contemporaneamente (1892) S. Nawaschin scopriva che la penetra- zione del tubo pollinico per la base dell’ ovulo non era carattere speciale alle Casuarinacee, ma si riscontrava anche nelle Betulacee, e ne aveva la conferma da M. Benson (1894) anche nei Corylus e in qualche altra pianta di gruppi affini. Il percorso del tubo pollinico ha luogo pressapoco allo stesso modo, poichè, percorso lo stilo, s' interna dentro al funicolo, corre fin verso la base dell'ovulo, si ripiega allora verso la base della nucella ed entra in essa attraversandone il tessuto nella regione calaziale. Ma più recentemente lo stesso Nawaschin trovava negli Olmi un modo di percorso e di penetrazione del tubo pollinico, che giustamente egli ritiene intermedio tra le calazogame e le porogame. Infatti negli Olmi, nei quali l’ovulo ha un lungo e manifesto canale micropilare, il tubo pollinico, come nelle calazogame vere, percorso il breve stilo, scorre per il funicolo, ma, giunto circa all’ altezza del canale micropilare, si ripiega, attraversa il funi- — 297 — colo, ne raggiunge la superficie, passa nello spazio libero tra esso ed il tegumento esterno, trafora anche questo e quindi il tegumento interno, raggiunge il canale micropilare, scorre lungo di esso, ed arriva alla nucella che percorre fino al sacco embrionale. E questo posto intermedio tra calazo- game vere e porogame vere è confermato dal fatto, che negli Olmi talvolta avviene che il tubo pollinico giunge fino alla base della nucella, ricordando la calazogamia, altre volte manda rami nella cavità dell’ ovario, diventa super- ficiale, accennando al carattere della porogamia vera e completa. Ma negli Olmi, come si è detto, esiste un vero e proprio canale miero- pilare, con un distinto micropilo, per il quale liberamente scorre il tubo pollinico per giungere alla nucella. N. Zinger nel 1898 trovava nelle Cannabinacee un modo di percorso e di penetrazione del tubo pollinico un po’ differente da quello degli Olmi, perchè esso scorre nell’ interno dei tessuti, non entra nella cavità dell’ ovario, ma dalla base dello stilo attraverso i tegumenti giunge all’ apice dell’ovulo, nel quale però il micropilo è obliterato, e penetra per via differente attraverso ai tessuti tegumentali e nocellari per giungere al sacco embrionale. Noi poi abbiamo recentemente trovato nel Cynomorium (1), che pur si deve ascrivere ad una famiglia vicina ai gruppi finora ricordati, un modo di per- corso e penetrazione del tubo pollinico ancora diverso. Esso penetra infatti nella strettissima cavità ovarica, ed arrivato in corrispondenza dell’apice mor- fologico dell’ovulo, non trova traccia di mieropilo e di canale micropilare, ma una regione particolare del tegumento, per la quale esso penetra scorrendo flessuoso nel tessuto per giungere alla nocella ed al sacco embrionale. Abbiamo pertanto nelle Fanegorame Angiosperme due modi tipici, diffe- rentissimi di percorso e penetrazione del tubo pollinico per giungere al sacco embrionale, collegati da forme intermedie. Nel primo modo tipico, che chiameremo Basigamia, il tubo pollinico è endotropico, cioè compie il suo percorso sempre nell’ interno dei tessuti, scorrendo tra cellula e cellula tra le quali si apre la via; non entra quindi mai nella cavità ovarica; l'ingresso nella nucella si fa per la sua base mor- fologica, in corrispondenza della regione calaziale. Vi si ascrivono piante nelle quali la nocella è completamente chiusa, cioè completamente avvolta dai tegumenti, che non lasciano vera apertura micropilare (Casuarinacee) ed altre nelle quali l'apice morfologico della nucella è libero, perchè il tegu- mento (od i tegumenti) lasciano uno spazio libero (micropilo o canale miero- pilare), il quale però è senza ufficio (Betulacee, Corylus, ecc.). Nell'altro modo tipico, che diremo Acrogamia (2), il tubo pollinico è (1) Pirotta R. e Longo B., Osservazioni e ricerche sul Cynomorium coccineum. Rend. Acc. Lincei, vol IX, ser. 52, pag. 150. (È) V. Tieghem aveva proposti i due nomi dasigamia ed acrogamia per indicare fatti morfologici diversi da questi; ma essi non furono adottati. — 298 — ectotropico, cioè compie il suo percorso alla superficie delle parti, scorre guidato da speciali tessuti conduttori; entra sempre nella cavità dell’ovario; giunge all'apice morfologico dell'ovulo e vi penetra, facendosi strada attra- verso il micropilo e il canale micropilare, che esistono sempre. Lo riscon- triamo nella grande maggioranza delle Angiosperme finora studiate. Basigamia ed Acrogamia sono collegate da forme intermedie, che in- dichiamo col nome di Mesogamia, rappresentate, per quanto se ne sa fino ad ora, dalle W/macee, dalle Cannabinacee e dalle Cynomoriacee. Nelle prime che stanno più vicino alle Basigame, il tubo pollinico ha percorso in gran parte endotropico (carattere della vera basigamia), ma penetra per il canale micropilare, che esiste ; nelle seconde, il tubo pollinico ha ancora percorso endo- tropico, ma la penetrazione ha luogo per l'apice sprovvisto di micropilo ; nelle ultime infine che si avvicinano alla vera acrogamia, il tubo pollinico ha percorso ectotropico, penetra nella cavità dell’ovario, ed entra per l'apice morfologico dell’ovulo, che però non ha micropilo. L’acrogamia adunque sì pre- senta in due modi, perchè non sempre nella forma a tipo acrogamo l’ovulo è fornito di micropilo; cosicchè quando esiste, ed è il caso generale, l’ acro- gamia è porogama, quando il micropilo non esiste, l’ acrogamia è aporogama. Ci siamo limitati per ora a questi brevi cenni, i quali tuttavia non ci sembrano privi d' importanza, perchè nel nostro lavoro sulle Cynomorzacee, che vedrà ben presto la luce, tratteremo ampiamente la questione, discutendo anche il valore e l’importanza morfologica e filogenetica dei fatti sopra ricordati. Matematica. — In/egrazione della doppia equazione di La- place. Nota del dott. E. ALMANSI, presentata dal Socio VOLTERRA. 1. In una Memoria sulle Funzioni poli-armoniche, pubblicata nei Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo (*), ho esposto un metodo per integrare, in un'area piana, semplicemente connessa, su cui si possa fare la rappresentazione conforme di un cerchio mediante polinomi, l'equazione diffe- renziale 424°V= 0, dati al contorno i valori della funzione bi-armonica V, e della sua derivata, rispetto alla normale interna, E du In questa Nota riprendo lo stesso problema, e ne do una soluzione al- quanto più semplice, facendo vedere che esso, in generale, si riduce imme- diatamente a determinare: 1° tre funzioni armoniche nell'area data, di cui son moti i valori al contorno ; 2° un numero finito di costanti. (1) Tomo XIII, a. 1899. BERO AI 2. Diciamo S l'area data, s il suo contorno, X,Y le coordinate a cui riferiamo i punti del suo piano, 41,y: le coordinate nel piano del cerchio rappresentativo S, (il cui raggio supporremo uguale ad 1), aventi per origine il centro del cerchio stesso. La rappresentazione conforme di S, sopra S si faccia mediante le formule 2 = F (21,71), y= F' (41,7), nelle quali i secondi membri li sup- poniamo polinomi di grado 7. Il determinante funzionale me 0) d(41,%) sia differente da 0 anche sul contorno dell’area S. Indichiamo con g la funzione definita nei punti di s, a cui deve diventare uguale la V. Se 9g ammette la derivata prima 1; noi potremo, conoscendo dV i STR 5 ; i IVES , ed anche, per ipotesi, 2 , calcolare, in ogni punto di s, e di, ds dn dI dY Sia pertanto dV cd; DV. dg ey E Determiniamo le tre funzioni %,v.w, armoniche nell'area S, per cui si ha al contorno da=3 9, DE —ighf =IYICLI — y9' e quindi: 44 -|+- yo + w=V. Vogliamo dimostrare che /a funzione V può rappresentarsi in tutta l’area S colla formula (1) V=azutyo+w+P, ove P è un polinomio di grado 2m nelle variabili Gana Nel corso della dimostrazione ci occorrerà di dover considerare le deri- vate delle funzioni armoniche x, v,w, secondo la tangente e la normale interna al contorno s. Supponendo che le tre funzioni 9,9 9", ivi definite, e note per i dati del problema, ammettano ovunque la derivata prima finita e continua, e la derivata seconda determinata e finita, si riconoscerà facil- mente che le derivate normali delle funzioni v,v,%w%, esistono in ogni punto del contorno, e sono, al pari delle derivate tangenziali, finite e continue. Premesso questo, supponiamo di aver già calcolate le tre funzioni armo- niche %,0,w0, e proponiamoci di determinare la funzione P. 8. Dalla formula (1) vediamo che la funzione P deve essere bi-armonica in $, poichè tali sono le funzioni V, ed 24 +yv+w; deve poi annullarsi al contorno e verificare l'equazione: D vie) — dV dI dY ED dd. Iw Lr (e dn uri +) “pl (è dm +9 agi DI — 300 — x È V dV Nere Ma osserviamo che al contorno si ha: u= g' = i ,v=g' = i quindi: dI dY UI da + v apre N De 5 VIDE DI Dovrà essere per conseguenza: dn dn de dn ya da P s F dP dU dv, dWw i PESO) dN dn da dI e passando da S ad S;: dp dU dd . dw 0) lf 4y ipo) ove n, rappresenta la normale interna alla circonferenza s, del cerchio S; . Consideriamo ora la serie di funzioni armoniche: \r=Vdkg, 1,rsen0,7cos0,7°sen20,7° cos 20, RHO ì Va Î 0= arctag —, HAR che chiameremo, per brevità, 4,4, NR die Dovrà aversi, per tutti i valori di 2, da 1 a oo: DIR a 6) fata=k, sì di ove du dU dWw 4) K=—f 2 (et +y +) da; ( Si ani ar di ene e questa condizione è equivalente a quella espressa dalla formula (2). Ora noi dimostreremo che per è = 2 iulte le costanti Ki sì riducono a cero; e da ciò appunto risulterà che esiste, in generale, un polinomio P(w1,y1) di grado 27, il quale soddisfa alle condizioni volute. A tal fine, trasformiamo l’espressione (4) della costante K;. Sul contorno di S si ha: 4u+y0v+ w=9g9; quindi: è u+typo+o=5, ossia : dU av Mod da d Pri ds ds ds ds ds ds dI dI DAR IDA DNEsTO È du Ma ut ip PC CS I° 4. Sarà dunque: « + dS ds dI dS dY dS dS ds DI dU , dW +yT+=0;e passando da S ad S;: d8 dS — 301 — Ciò posto, consideriamo la serie di funzioni armoniche, coniugate delle 4 0,7c0509,—rsen0,r°cos 20, —r?sen20, DBOROROROROEOO che chiameremo: &,, Us, 43, . ti, .... Sarà, per qualunque valore di 7 : dU dv e +e). Onde l’ equazione (4), togliendo dal suo secondo membro questa quantità identicamente nulla, potrà scriversi: ara TE -, (+4; 2) dr. Dei tre integrali che figurano in questa equazione, l’ultimo è nullo per dra 7 È , dWw DU; qualunque valore di 7. Si ha infatti: o uisaldsi="— | ==%wds. SI ds Sq dSI Ru HO SMRNOTÙ: BLS Ma le funzioni u;,4; sono legate dalle relazioni : 30 nai onde al i dÀ; contorno sarà : ERA = . E per conseguenza: dI di )À; Lal (3 2° ds 0. s dn I dI Sla i br od O JI G — f V4 na Consideriamo poi l'integrale: I nel: % (4, sa “Rn ) ds,. La quan tità entro parentesi, finita e continua in ogni punto di s, per quanto è detto ai $$ 1 e 2, rappresenta il valore che assume al contorno la fun- dU Di zione g= — Àj7r — > + 6 , la quale è armonica, come sì può verificare osservando che sussistono le a dÀ; Td: DÀ; Ru; MR ARIE do d ( De d Di d dU 2 (34) r—_\|= — (r-|=-- 3 dI (dre dY dY dr AVI Supponiamo di sviluppare questa funzione in una serie della forma di: r(oysenv0 + f,c0sv0) (ay, By RenpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. cost.i): ciò è sempre possibile, e nel 40 — 302 — nostro caso la serie converge anche al contorno. Ricordando la natura delle funzioni Z;, 1, si vedrà che quando l’ indice 7 è uguale a 272 0 maggiore, 3 1 SE MU DU . esse contengono il fattore 7; inoltre POE annullano per 7= 0. (€ l Dunque (7,0), se é= 27, contiene il fattore 7%+!. Invece il polinomio armonico di grado m x (41, 1), posto sotto la forma Dr (aysenv0+ bd, cos v6) non contiene termini in cui l'esponente di 7 sia superiore ad m. Per con- seguenza in 9 (7,9) ed #(r,6) non vi sono termini pei quali i coefficienti di 6 siano ugnali. Onde sarà, in virtù di formule ben note: m2 I=(1,991,9w—o0. 9 Lo stesso dicasi dell’integrale fy (237 E ui Di da, giacchè y è, SI al pari di 7, un polinomio armonico di li mM. Di. così provato che si ha: K;=0, per = 2%, come volevamo dimostrare. 4. Riprendiamo ora l’ equazione (3), che potremo anche scrivere, do- vendo P annullarsi al contorno: (6) faz i - = 3) do e vediamo se si può fare in modo che essa risulti verificata, per tutti i valori di 7, ponendo P= xp+g, ove p(#1, Ya); 1 (01 Y1) siano polinomi armonici, il primo dei quali abbia la forma: (7) pe cIÀ3 “E C9À4 + 0000 + Cam_1 amati , (c’ 3 C2 000 9 Com-1=7 cost.). La funzione P così espressa resulterà bi-armonica in S. Al contorno dovremo poi avere:

. Da Marino, il sig. Antonio Mercuri riferì quanto appresso: « Realmente « (sebbene non avvertiti da tutti) il 16 o 17 febbraio si udirono dei rombi, « e mio padre che era alla vigna alle Frattocchie lungo la via Appia me «lo raccontò, dicendo che intese questa specie di cannoneggiamento per « circa due ore (10 alle 12) proveniente dal mare ed era tanto sensibile < che faceva tremare le viti e le canne. Egli nel gergo dei campagnoli, disse « chiamarsi Primavera di mare. Anche in città qualcuno lo ha avvertito « sentendo tremare i vetri e credendolo una piccola scossa di terremoto, ma « senza farvi molto caso. Il 28 si ripetè il fenomeno ma fu inteso soltanto « in campagra dalle 10 alle 12, sempre sensibile con scuotimento delle viti, «ed a rombi continuati, come il 16, provenienti sempre dal mare ». Il sig. dott. Perotti, direttore della stazione termoudometrica di Nettuno, inviò una relazione da cui desumo il seguente brano: «........ oto EE «anche qui, ma in lontananza, in direzione NNE si udirono verso le 11 « (ed io stesso li udii distintissimi, trovandomi in quel momento in aperta « campagna) quei rombi misteriosi dì cui Ella mi scrive, ma essendo il cielo « coperto, specialmente sui monti laziali, io li attribuii a scariche elettriche. « In quel giorno a questo poligono d'artiglieria vi furono le solite esercita- « zioni coi cannoni di campagna di 7 e 9 cent., quindi i loro colpi dato «tutto il vento favorevole non avrebbero potuto udirsi che sui colli laziali «ma mai in Roma. Del resto, ripeto, io che mi trovai sul posto, constatai < che i rumori venivano dalla parte opposta del poligono ». A Tivoli, ad Anzio, a Fiumicino, a Civitavecchia, il fenomeno non fu avvertito. — 307 — Ricerche relative alla probabile origine dei rombi. Anzitutto era necessario assicurarsi che l'origine di questo fenomeno non fosse artificiale, non si trattasse cioè di spari di cannoni di grosso calibro. Assunsi perciò direttamente informazioni alla direzione d'artiglieria e genio in Roma, dove mi fu assicurato che nel campo di tiro a Bracciano e nei forti intorno a Roma, non furono fatti tiri di sorta in quell’ epoca. Rimarrebbe il fatto dei tiri ordinarî fatti al poligono di Nettuno, con cannoni da 7 e da 9 cm. Ma questi come avrebbero potuto scuotere fortemente i vetri di Roma, senza produrre alcun effetto apprezzabile ad Anzio, mentre questa città trovasi a 3 chilometri da Nettuno e Roma a 50 chilometri, e come avrebbero potuto produrre le apparenze di un terremoto nei dintorni di Frascati? Tiri con cannoni di grosso calibro in mare non furono fatti, per quanto mi è risultato da informazioni assunte dal comando militare marit- timo della Maddalena, dal R. Ufficio di porto in Anzio e dal Compartimento marittimo di Civitavecchia; che, se anche si fosse dato il caso di questi tiri in mare, essi meglio sarebbero dovuti sentirsi ad Anzio, a Fiumicino, a Civitavecchia dove, in realtà, nulla fu avvertito. È da escludere adunque una origine artificiale. Ammessa quindi una origine naturale per questi rombi, rimane a discutere se essa fu atmosferica od endogena. L'aria fu calma o quasi calma in tutta la giornata del 19 febbraio, nella Campagna romana. Temporali non ve ne furono. Il mare fu tran- quillo. I barografi di piccolo e di grande modello degli osservatorî meteorolo- gici del Collegio romano e del Campidoglio, non indicarono il minimo salto di pressione atmosferica in tutto il giorno 16, e particolarmente fra le 10% e le 12°. Nessuna straordinaria depressione barometrica manifestossi in Italia in quel giorno. Il fenomeno del resto rimase circoseritto alla Campagna romana ed ebbe la sua massima intensità nei dintorni di Frascati. È ben difficile adungque poter a quei rombi attribuire un’ origine atmosferica, essi ebbero assai probabilmente una origine endogena. Nei paesi soggetti a terremoti, e particolarmente nei periodi sismici, il fenomeno di rombi di tal genere non è nuovo; alie volte si avvertono scosse precedute da rombi, altre volte scosse senza rombi, ed altre volte ancora rombi senza scosse. Citerò qui degli esempî. Il terremoto giapponese del 28 ottobre 1891, nelle provincie di Mino ed Owari, fu seguito nei due anni successivi da 3365 repliche, delle quali, 409 furono semplici rombi senza scossa. Quello di Kumamoto, del 28 — 303 — luglio 1889, fu seguito in quattro anni e cinque mesì da 922 repliche, delle quali 845 furono in parte scosse leggere, in parte semplici rombi (1). Nel periodo sismico di Albano laziale, nel 1829, nel quale in tre mesì vi furono 248 scosse, di cui 21 forti, vi furono anche rombi e detonazioni sotterranee non accompagnate da scosse. Infatti ecco quanto riferisce il Bas- sanelli nella sua importante relazione su quel celebre periodo sismico . . . . . « Dopo qualche giorno che le scosse facevansi sentire, cominciaronsi ad ascol- «tare forti e terribili detonazioni nell’ atmosfera o nel terreno, come lontani « colpi di cannone . .... Questo rombo o questa detonazione aveva diverse « provenienze, giacchè ora sentivasi venire dalla parte dell'Est, ora dal « Sud-est, ora dal Sud-ovest, e da altra parte. Era alcune volte così sensi- « sibile e così forte, che sorprendeva ed arrecava molto timore . .. . . Ora « sentivasi come muggire il terreno sotto de’ piedi senza rombo atmosferico “ e senza Scossa . . . .. Oltre 248 scosse, dal 21 maggio al 6 decembre, « delle quali. 21 forti, si ebbero 41 detonazioni e 17 tremiti. Questi tre- « miti in alcuni giorni persistevano di continuo (?) ». Anche nei terremoti delle Calabrie del 1783 si ebbero di quando in quando rombi isolati; infatti il Sarconi così riferisce. « Altre volte udivasi il solo rombo senza che poi succeduto fosse il minimo scuotimento (8) ». L'Omori, distingue i rumori non accompagnati da scossa e di origine endogena, in due tipi, cioè o deboli susurri simili a quelli causati dal vento, o forti rombi come quelli prodotti dalla caduta di corpi pesanti sul terreno o dalla scarica di un cannone. I suoni del 2° tipo, che alle volte somigliano a tuoni lontani, furono più frequenti fra le repliche del terremoto di Mino- Owari. È rimarchevole, così scrive l'Omori, che il tremito del terreno accom- pagnante questi suoni fu sempre debolissimo, ed alle volte punto percepito, mentre forti scosse brusche non furono d'ordinario accompagnate da suoni distintamente percettibili. I rombi laziali del 16 febbraio possono parogonarsi a quelli di questo 2° tipo. È da riflettere finalmente che il periodo sismico laziale iniziatosi colla fortissima scossa del 19 luglio dello scorso anno, non è ancor chiuso. Infatti oltre le sei leggere scosse avvertitesi nelle vicinanze dell’ epicentro il mede- simo giorno 19 ed il successivo, ed oltre una serie di leggerissime scosse (1) F. Omori, On the after-shocks of carthquakes. Jour. of the Coll. of science; Imperial University, Tokyo, Japan. Vol. VII, Pt. II, 1894. (2) Sopra il tremuoto che ha sofferto la città di Albano con le sue vicinanze dal giorno 21 di maggio a tutto il dì 6 di dicembre 1829. Lettera del dottor fisico Luigi Bassanelli all’ ecomo sig. dott. Giacomo Folchi, pubblico professore di medicina nell’Archiginnasio romano (Giorn. arcadico, T. XLIV, 1829). (3) Istoria dei fenomeni del tremuoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell’anno 1783, pag. 342. — 309 — avvertite in Frascati e nei dintorni per parecchie settimane dopo il 19 luglio, si ebbero ancora le seguenti altre lievi scosse. Il 15 gennaio 1900, di grado II, a Rocca di Papa e Velletri, circa 1° 1/,. Il 19 febbraio, di grado III-IV, a Castel Gandolfo, Ariccia, Albano e dintorni di Marino, circa le 11° 8/,. Il 13 marzo, di grado III, a Rocca di Papa, circa le 2201/,. Mi sembra adunque molto probabile l'ipotesi di attribuire i rombi che s'intesero nel Lazio il 16 febbraio 1900, alla medesima origine alla quale si attribuirono quelli del 1829, cioè ad una origine endogena. È certo però che questi fenomeni meritano di essere attentamente studiati. Fisica terrestre. — Sopra è sismografo a pendolo verticale. Nota di C. VioLa, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Azione della potassa sull’ epicloridrina in pre- senza di alcoli ('). Nota II del dott. V. Zunino, presentata dal Socio PATERNO. Nell'anno 1897, in una Nota (*) presentata a questa Reale Accademia, davo conto di alcune esperienze riguardanti l'azione della potassa sull’ epi- cloridrina in presenza di alcoli, e degli eteri della glicerina risultanti dalla reazione, la quale si può rappresentare con l'equazione generale: CH, CI CH, . OR | | CH +EOH+2R.0H —CHOH +H. 0 + Kc | CH,04 CH, . OR In quella prima serie di ricerche sperimentai sugli alcoli: etilico, meti- lico, propilico, allilico ed isoamilico. Nella presente Nota riferirò sui risultati avuti cogli alcoli: isopropilico, ottilico, caprilico, butilico terziario e benzilico. ('*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica della R. Università di Modena. (2) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. VI, 2° sem., serie 53, fasc. 11, pag. 348. ReENDICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 41 — sli Relativamente alla quantità di prodotto che danno nella reazione restano confermate le leggi di Mentcheukine (!) sull'eterificazione degli alcoli, impe- rocchè si ha sempre minor rendimento dell’ etere corrispondente se sì impie- gano successivamente alcoli pimarî, secondarî o terziarî. Ho voluto estendere lo studio di questa reazione ai fenoli, ma di questa parte del lavoro, della quale mi occupo presentemente, renderò conto in una prossima comunicazione. Etere biisopropilico. PM 176. Operando con alcool isopropilico sia a freddo che a caldo si ottiene molto minor prodotto che usando l’ isomero alcool propilico normale. L’ etere che sì ottiene è inodoro e colorato leggermente in giallo-verdastro. Bolle a 112°-113°. Densità 0,917° a 15°. All’analisi: gr. 0,2441 di sostanza diedero gr. 0,5328 di CO, e gr. 0,2484 di H,0, cioè per cento: calcolato per Cs Hso 03 trovato Go ILS 61,77 H 11,30 11,81 Etere bibutilico terziario. PM . 204. Bisogna operare a caldo perchè il trimetilcarbinol fonde a 28°. La reazione avviene bene ma lentamente e con prodotto scarso, ciò spe- cialmente perchè il trimetilcarbinol scioglie pochissimo la potassa. L'etere è liquido, incoloro e di odore irritante. Bolle a 209°-210°. Densità: 0,921 a 15°. AI) analisi : gr. 0,8121 di sostanza diedero gr. 0,7428 di CO: e gr. 0,3317 di H,0, cioè per cento: calcolato per Ci: Ho3 03 trovato Cammo-0 64,91 IC VOKZO 21591 Etere bicaprilico. PM = 260. L'alcool usato in questa esperienza è l'alcool caprilico di fermentazione od essilico che bolle a 150°. La sua costituzione non è ben conosciuta, ma si ammette che sia primario poichè per ossidazione dà l'acido caproico. La (!) Deutsch. Ch. Ges. XII. 1882. — 311 — reazione avviene facilmente e con prodotto abbondante, quasi teorico, e ciò conferma l'ipotesi che l'alcool in questione sia primario. L'etere dicaprilico che si ottiene è un liquido leggermente giallastro, di odore irritante: bolle a 180°. Densità 0,987 a 15°. All'analisi: gr. 0,38111 di sostanza diedero gr. 7917 di CO, e gr. 0,4612 di Hs O, cioè per cento: calcolato per C,; Hzs 03 trovato C 69,23 69,41 INARARI2I5,1 12,47 Etere biottilico. PIT= SI La reazione non avviene a freddo, ma solo dopo leggero riscaldamento ed il prodotto è poco abbondante. L'etere biottilico della glicerina è un liquido leggermente colorato in giallo: ha odore fortemente irritante. Bolle a 224°. Densità: 0,990 a 15°. i All'analisi : gr. 0,2317 di sostanza diedero gr. 0,6127 di CO; e gr. 0,2688 di Hs O, cioè per cento: calcolato per C,o Hyo 03 trovato C 72,01 UDIUT IFRNI2:65 12,90 fitere bibenzilico. RMi=272! L'alcool benzilico scioglie poco bene la potassa e riscaldandolo per faci- litare la soluzione, si ottiene facilmente la formazione di benzoato potassico e toluene secondo la nota reazione: SC, HE OH + KOH = C, H; KO, + 207 EG + 2H, O. Infatti il benzoato potassico si separa e cristallizza in aghi aggruppati ed il toluene si può facilmente separare per distillazione frazionata a 97° che è il suo punto di ebullizione. Ma se si scaldano la potassa e l’ epicloridrina lentamente, e si aggiunge goccia a goccia l'alcool benzilico, si ottiene la rea- zione solita con deposito di cloruro potassico. Questa reazione non è così viva e rapida come per gli altri alcoli: tut- tavia sì giunge a separare un liquido chiaro, opalescente, di odore debolmente aromatico che bolle a 157°-158°. Densità 0,918° a 15°. All'analisi : gr. 0,2721 di sostanza hanno dato gr. 0,7503 di CO. e gr. 0,2552 di H; 0, e per cento: calcolato per C,7 H20 04 trovato C 75,00 75,21 H 7,35 7,45 — 312 — Zoologia. — Sull’aggruppamento der primi elementi sessuali nelle larve di Antedon rosacea Linck. e sul valore che ne deriva per i rapporti di affinità tra Crinoidea, Holothu- rioidea e Cystoidea. Nota di AcniLLe Russo, presentata dal Socio GRASSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Segretario BLASERNA, a nome dei Soci TARAMELLI, relatore, e DE STEFANI legge una Relazione sulla Memoria del dott. G. BONARELLI, inti- tolata: Appunti sulla costituzione geologica dell'isola di Creta. La Rela- zione conclude col proporre l'inserzione della Memoria nei volumi acca- demici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Segretario BLaseRNA comunica che alle condoglianze già pervenute all’Accademia per la morte del Presidente E. BELTRAMI, sono da aggiungere quelle del Socio straniero MirtaG-LEFFLER. dell’Accademia delle scienze, arti e belle lettere di Digione, e della R. Accademia di scienze ed arti di Bar- cellona. Lo stesso Segretario dà comunicazione di una lettera colla quale il Co- mune di Cremona partecipa la deliberazione presa nella seduta del 18 marzo scorso, di associarsi al lutto dell’Accademia per la perdita del suo illustre Presidente BELTRAMI. Il Vicepresidente MessepagLIA dà il doloroso annuncio della morte del Socio straniero Giuseppe BERTRAND, mancato ai vivi il 3 aprile 1900; apparteneva il defunto Socio all'Accademia, per la Matematica, sino dall'8 aprile 1866. — 313 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLAsERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci Mosso, RiaHI, DE LAPPARENT, HAEcKEL, KLEIN, NoETHER; richiama inoltre l'attenzione della Classe sul volume 1° della pubblicazione contenente i risultati scientifici della Spedizione norvegese al polo nord di F. NansEN; sulla Storia della R. Accademia delle scienze di Berlino di A. HARNACK; e sul 4° fascicolo dell’Az/ante fotografico della Luna eseguito dai signori Loewy e PUISEUX, e pubblicato dall’Os- servatorio di Parigi. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società Veneto-Trentina di scienze naturali di Padova; la Società di scienze naturali di Emden; la R. Società zoologica di Amsterdam; il Museo di zoologia comparata di Cambridge Mass.; la Società zoologica di Tokyo; la Società geologica di Sydney. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: I Ministeri della Guerra e dei Lavori pubblici; la R. Accademia delle scienze di Stockholm; l'Accademia delle scienze di Cracovia; la Società z00- logica di Londra; la Società di scienze naturali di Buffalo; le Università di Marburg e di Frankfurt; il R. Istituto geodetico di Potsdam. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 maggio 1900. Blasto A. de — Mummie e cranî dell’ antico Perù conservati in alcuni musei dell’ Università di Napoli. Napoli, 1900. 8°. Calò B. — Risoluzione di alcuni problemi sull’applicabilità delle superficie. Milano, 1900. 4°. Folgheraiter G. — Ricerche sulle cause delle azioni magnetiche locali in regioni giudicate per la costituzione geologica non perturbate. — Fram- menti concernenti la geofisica dei pressi di Roma, n. 9. foma, 1900. 8°. — 314 — Harnack A. — Geschichte der Kén. Preussischen Akademie der Wissen- schaften zu Berlin. Bd. I-III. Berlin, 1900. 8°. Klein C. — Das Krystallpolymeter, ein Instrument fir krystallographisch- optische Untersuchungen. Berlin, 1900. 8°. Lapparent A. de — Sur la symétrie tétraédrique du globe terrestre. Paris, 1900. 4°. Id. — Traité de géologie. 4° éd. Paris, 1900. 3 vol. in 8°. Loewy M. & Puiseux P. — Atlas photographique de la Lune publié par l'Observatoire de Paris. 4° fase. Paris, 1899. 4°. Mosso A.— Psychic processes and muscular exercise. Worcester Mass. 1899. 4°. Namias R. — I progressi della fotochimica e i vantaggi per la pratica. Firenze, 1900. 8°. Nansen F. — The Norvegian North Polar Expedition 1893-1896. Scientific results. Vol. I. Christiania. 1900. 4°. Noether M. — Sophus Lie. Leipzig, 1899. 8°. Pagamenti (I) fatti dallo Stato per opere pubbliche negli esercizi finanziari dal 1862 al 1897-98. Relazione compilata in occasione della Esposizione Universale di Parigi dell’anno 1900. Vol. I-II in f.° Roma, 1900. Pick E. — Zur Kenntniss der peptischen Spaltungsprodukte des Fibrins. I. Th. Strassburg, 1899. 3°. Polverini G. — Report on 475 Cases of plague treated in Bombay with Prof. Lustigs serum. Bombay, 1899. 4°. Portis A. — Di alcuni pseudofossili esistenti nell’ Istituto geologico univer- sitario di Roma. Roma, 1900. 8°. Relatorio da Directoria do Gabinete Portuguez de leitura no Rio de Janeiro. 1895-1898. Rio de Janeiro, 1599. 8°. Righi A. — Sul fenomeno di Zeemann nel caso generale d'un raggio lumi- noso comunque inclinato sulla direzione della forza magnetica. Bologna, 1900. 4°. Id. — Volta e la Pila. Milano, 1900. 8°. Salmojraghi F. — Esiste la « bauxite » in Calabria? Milano, 1900. 8°. Schincaglia I. — Ricerche sperimentali sulla luce fluorescente nei solidi. Bologna, 1898. 4°. Id. — Sulla fluorescenza nei cristalli birefrangenti e di un fenomeno osser- vato nello spato d’ Islanda. Bologna, 1900. 8°. Società ligustica (La) di scienze naturali e geografiche nel primo decennio dalla sua fondazione (1889-1899). Genova, 1900. 3°. Tommasina Th. — Sur l’auto-décohération du charbon, et sur l'application de cette découverte aux appareils téléphoniques pour recevoir les signaux de la télégraphie sans fils. Paris, 1900. 8°. Ugolini R. — Appendice al catalogo dei molluschi fossili pliocenici nel bacino dell’ Elsa. Roma. 1899. 8°. — 315 — Ugolini R. — Contribuzione allo studio del pliocene di una parte del bacino dell’ Era. Roma, 1998. 8°. Id. — Il Pectunculus Glycimeris Linn. e il Pectunculus insu- bricus Broce. del pliocene italiano. Modena, 1899. 8°. Id. — Lo Steno Bellardii Portis del pliocene di Orciano Pisano. Pisa, ISS 189, Id. — Monografia dei pettinidi miocenici dell’Italia Centrale. Modena, 1899. 8°. Id. — Molluschi continentali fossili nella terra rossa di Agnano nel Monte Pisano. Roma, 1899. 8°. Id. — Molluschi nuovi o poco noti del pliocene della Val d’' Era. Bologna, e 9 980 Id. — Sopra alcuni fossili dello schlier del Monte Cedrone. Roma, 1899. 8°. Id. — Sopra alcuni pettinidi delle arenarie mioceniche. Pisa, 1899. 8°. Id. — Sulla presenza del pecten aduncus Eichw. nella panchina plioce- nica dei monti livornesi. Modena, 1899. 8°. Unrversity of California. — The international competition for the Phoebe Hearst architectural plan for the U. of C. s. 1. 1899. 4°. Vallot J. & H. — Chemin de fer des ouches au sommet du Mont Blanc. Paris, 1799. 4°. Zanna P. de — I fenomeni carsici nel bacino dell’ Elsa. Roma, 1899. 8°. PB: unibb.iao), ANTA ferie n” bwin? de. va, Pat tt | È vi Me TT sodi tant ES etna TT Giai ad O gi Erisi iti nh eh 0 Di ero | i (POE 0 A DA aaa Dei Li F fot ciba A A di ‘ : î Ls À ta anto «URP PA doti E Asi i "CRE itato isa - È Pi IRAN avrai corni a igilatia ti DE lait core BA 10100 SITA) ivi eat KA Ran DINI SSCARE LS alta lieto arr ttt vAdetggoni. dm i Litole. TSE e salefe MEP: tp i pf tal Ur i x td tab ENUALSTI salite agonia Dl io ASI: Re i Trai cgli tpoA Toe DI % il O TRATOS Àl # zia Mc tf SBSIRRSO i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINGEI NANNN--- Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 maggio 1900. A. MessepAGLIA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica terrestre. — Sopra i! sismografo a pendolo verticale. Nota di C. VroLa, presentata dal Socio BLASERNA. Il pendolo verticale di un sismografo traccia sopra una striscia di carta attaccata al suolo, e quindi mobile con la terra, il moto relativo fra la su- perficie della terra e il pendolo, che idealmente dovrebbe rimanere immobile. Per ottenere un diagramma praticamente utile, la striscia di carta riceve nel momento del principio della scossa un moto rapido di traslazione uniforme, e il moto relativo fra terra e pendolo è ingrandito col sussidio di lunghi bracci. Essendo il pendolo molto lungo (10 metri circa) e la sua massa molto grande (500 Kg.), le oscillazioni sue proprie sono piccolissime e trascurabili, e in ogni modo calcolabili e quindi conosciute. Stante questa disposizione di un sismografo a pendolo verticale, che si è anche perfezionata in quest'ultimo tempo da noi e anche per opera di scien- ziati giapponesi, il sismografo dovrebbe essere in grado di dare l'istante, in cui avviene la prima scossa del terremoto ondulatorio, di indicare le scosse successive e la loro durata, la direzione e il verso di propagazione del ter- remoto. lo mi propongo di dimostrare che un sismografo a pendolo verticale lungo, non può dare altro che l'istante in cui avviene la scossa, essendo illu- sorî gli altri dati, e dei quali non si dovrebbe tenere conto, ammessa l’ ipotesi che il terremoto ondulatorio consista effettivamente in un moto della crosta terrestre, come i più suppongono. RenDpICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 42 — 318 — Riferiamo i singoli punti di un sismografo ad un sistema ortogonale di coordinate, e sia l'origine nel punto di sospensione del pendolo per lo stato d'equilibrio, e l’asse < positivo verticale rivolto in basso. Consideriamo il centro di massa, in cui si può imaginare concentrata la massa del pendolo, ed #y siano le sue coordinate nel tempo /, € £ n le coordinate del centro di sospensione nello stesso istante. L'equazione di condizione del moto del pendolo sarà pel caso nostro (@e- FAM n + ed, essendo / la lunghezza del pendolo. Chiamando con 9 l'accelerazione della gravità, le equazioni del moto del centro di massa saranno le seguenti : (e de Mat) d* ) di so_y d 2 ai «rg: \ Gli spostamenti £, n, é del centro di sospensione sono composti di due parti, cioè di È, n È dovuti al moto della terra, e di £, 726» dovuti alla oscillazione propria della parete, del pilastro 0 della volta a cui il pendolo è sospeso, sicchè si ha E=E+8, muemtno E=hKk6, coordinate, che sono funzioni del tempo, e per lo più periodiche. Un punto della striscia di carta, sulla quale il pendolo traccia il dia- sramma, si sposterà delle quantità È, & per effetto del moto della superficie della terra, e bene inteso trascurando il moto uniforme di scorrimento della striscia di carta, il quale ha il solo scopo di rendere più visibile il movimento. Essendo, come si disse, «, 7,4 le coordinate del pendolo nel tempo #, le quan- tità, che saranno misurabili sulla striscia di carta, sono xax—&=e @ey—-m=%. La quantità ] = BEAR) relativa al moto verticale della terra e del pendolo non può darci un pendolo verticale, e quindi di essa non teniamo conto. Affinchè sia possibile di deter- minare gli spostamenti della terra nel senso orizzontale &, ed 7, con le escur- sioni e ed 4, che il pendolo traccia sulla striscia di carta, dovrebbero 4 ed y essere esprimibili mediante È, ed wi . — 319 — Ora ciò non è, come apparisce già chiaro dalle equazioni differenziali 1), e come può riuscire più evidente integrando le dette equazioni. Osserviamo che l’ integrale generale dell'equazione lineare d°u pl io e E di DI È, (0). ded fa (1). cd) essendo C, C, due costanti determinabili con i valori iniziali di w e di per {=0. Trattandosi di un pendolo molto lungo e di oscillazioni molto piccole, le due costanti C, C» saranno trascurabili nell'espressione di w. Un pendolo verticale per sua natura non può indicare il movimento ondulatorio verticale della terra; egli è quindi che possiamo senz'altro fare a meno della terza delle due equazioni differenziali 1). Le due prime ci danno senz'altro: a t 2a) seg (E +5) a — ed { (+8) 2] t PI 2) > tei e (Mm+ n) erat, 21 » ’ ‘ggiHierculis i. 0004275936. 23,JP7G60.,Y.; R, CAG...G80 (2) 6718 B. A.C. . 42 8 15. 20 Gr, Ri, Rc, Y, P, R, CAG, G80 7041 BA Ci, 000/0421196) 42 (Gi eRo, R.CAG 7679 B. A. C 42 12 23. 43 LS, Gr, R, Rc, CAG 8345 B. A. C 41 39 56. 40 Gr, Rc, G45, P, R, CAG, G80 SA a In questo quadro accanto ad ogni stella sono notati con le iniziali i cataloghi dai quali è desunta la declinazione. Per ciò che riguarda la revisione dei calcoli diretti ad ottenere le di- stanze zenitali delle stelle e le riduzioni alle posizioni apparenti delle decli- nazioni, non ho riscontrato errori da alterare il risultato finale pubblicato nella Relazione che quì si considera. Nè credo di dover aggiungere mag- giori particolari a quanto già è stato pubblicato da Respighi, che ampia- mente descrive il metodo di osservare da lui tenuto, lo strumento zenitale adoperato e l'annesso micrometro. Trascrivo adunque dalla citata Nota i valori della latitudine ottenuti da ciascuna delle dieci stelle, col numero delle osservazioni fatte sulle medesime. y Andromedae. . . . g=41°55' 24°.56 Num. osserv. 17 $: Perse 41 55 24. 94 >» ” 3 u Ursae majoris . . . + 41 55 24. 08. » ei Cr IL (55,200 PANINO, (3) o Andromedae . . . . 41 55 24. 13.» » 18 gi OHerculisf ee CE 4 55020405 006, guida 6718 B. RAS CES 41 (505. 24, » 22 7041 B. A. C.. AE 41 55 22. 89» » 8 TOI BIANCA. E 41 55 24. 84» ’ 9 8345 B. A. C.. 41 55 24. 98» ” 3 Se a queste latitudini applico le correzioni che si troverebbero, se alle primitive declinazioni medie si sostituissero le declinazioni medie del quadro (2), sì ha: y Andromedae. . 4g = 41°55' 24". 68 v ‘Persei. . que. . 41 55 25. 88 u Ursae majoris . . 41 55 24. 50 Gr 2539. 41 55 25. 64 (4) o Andromedae. . . 41 55 24. 65 g Herculis. . . . 41 55 26. 59. 6718 B. A.C 41 55 25. 31 7041 B. A.C : 41 55 25. 4l 7079 B. A.C... . 41 55 20. 71 8345 B. A.C 41 55 23. 86 Le correzioni apportate nelle declinazioni medie essendo positive aumen- tano i valori delle singole latitudini, salvo la 8345 B. A. C., per la quale riuscendo la correzione negativa, la latitudine diventa più piccola. La latitudine ottenuta dal medio di tutte le stelle, attribuendo a cia- scuna di queste un peso proporzionale al numero delle osservazioni per le — 333 — stelle del Catalogo di Auwers e per le altre un peso proporzionale alla metà del numero delle osservazioni, si ricava: = 41° 55' 25”. 18 mentre la latitudine ottenuta dalle cinque stelle del Fundamental, col peso proporzionale al numero delle osservazioni risulta : = 41° 55’ 25”. 00 cioè di 0. 18 minore del precedente valore. La quale differenza in parte si attenuerebbe, se si fossero ridotte le declinazioni delle stelle ricavate dai cataloghi al sistema del catalogo dell’Astronomische Gesellschaft colle cor- rezioni date da Auwers nei numeri 3195-96, 3413-14, 3463 dell'A. N. Colle sole correzioni adunque ricavate dal Fundamental di Auwers si trova che il valore della latitudine viene aumentato di 0”.45 sul primitivo ottenuto da Respighi colle declinazioni del Catalogo delle 539 stelle. Questo aumento si eleva a 0”.63 se si considera il medio di tutte le stelle. In una conferenza tenuta a Parigi nel 1896 i Direttori delle diverse Effemeridi Nazionali ed altri astronomi incaricarono il prof. Newcomb di preparare un Catalogo Fondamentale per uso internazionale delle Effemeridi Astronomiche. Da questo Catalogo Fondamentale, di recente pubblicato, ho tratto le declinazioni medie pel 1874 di sei stelle che osservò Respighi a M. Mario. Di queste sei stelle, cinque sono comuni col Fundamental di Auwers. Le stelle colle rispettive declinazioni medie pel 1874 del Catalogue of Fundamental Stars di Newcomb sono le seguenti: d 1874 y Andromedae . . . 41°43'26”.41 V@RerSe e i ACINO 42606 6) u Ursae majoris. . . 42 7 56. 54 Cr 599. AD? 198 o Andromedae . . . 41 88 57. 34 ORHerculi sie rene e AMOS 693 Se si confrontano le declinazioni delle prime cinque stelle sopra scritte tratte dal Catalogo di Newcomb colle declinazioni del Fundamental di Auwers e colle declinazioni del Catalogo di 539 stelle, risultano le seguenti differenze : N-A_ N_C.A.G y Andromedae. .40-+0".40 + 0".52 v. Persei. 0.0. ((--0.64//-1» 58 (6) um Ursae majoris . +0. 41 +0. 88 Gr. 2533. . . +0. 11 +0. 71 o Andromedae . . +0. 52 +1. 04 — 334 — Se ora alle latitudini originarie di Respighi si applicano le 40 ricavate dal confronto col Catalogo di Newcomb, mantenendo per le rimanenti i valori già modificati del quadro (4), si ha: y Andromedae . . = 41°35' 25.08 Persei 0 ARNO VOTA] (550020. 02 u Ursae majoris . . 41 55 24. 96 Gr. (2539 - MN. 41 55 295. 75 (1) o Andromedae . . . 41 55 25. 17 giREercwlis.- Ac. 41 55 26. 59 6718 B.A.C. . . 41 55 25. 81 7041 B.A.C. . . 41 55 26. 41 7079B ARR LAI 55 ZI 8345 B.A ON. © 41 55 28. 86 Il valore di g dedotto da g Herculis non è stato cambiato perchè la d del Catalogo di Newcomb è uguale a quella del quadro (2). La latitudine media dedotta da tutte le stelle col peso proporzionale al numero delle osservazioni per le sei stelle di Newcomb, e col peso propor- zionale alla metà per le rimanenti, risulta gp = 41° 55’ 25”. 49. Mentre il medio delle sole stelle del Catalogo di Newcomb dà gp = 41° 55’ 25". 54. La differenza di questi due ultimi valori è abbastanza piccola, nè si sa in quale misura concorrono gli errori di osservazione a formarla. Riassumendo adunque i valori della latitudine che si ottengono, secondo che si adotta uno dei tre cataloghi qui discussi si ha: g= 41° 55'24”.55 secondo C.A.G pg=4l 55 25. 00 ni « LAÒ p=41 55 25. 54 pIUMUNE Il primo valore credo che non sia da prendere in considerazione, perchè Auwers stesso ritenne opportuno di correggere le posizioni stellari del Cata- logo delle 539 stelle. L'adottare come definitiva latitudine uno degli altri due valori, dipende dal grado di fiducia che si ripone o nel Catalogo di Auwers od in quello di Newcomb. Volendo istituire un confronto fra la latitudine ricavata dal prof. Reina nel 1898,3 dalle sue osservazioni e la latitudine di Respighi basata sulle declinazioni del Fundamental di Auwers, si ha: g = 41°55' 26.29 secondo Reina g= 41 55 25. 00 » Respighi Ag=. | (1 29 g= + 1".29 Reina — Respighi. iosa de ap — 335 — Se sì fosse tenuto calcolo ancora delle correzioni date recentemente da Auwers nei numeri 3508-9 dell. A. N., i precedenti valori rimarrebbero pres- sochè inalterati. Per rendere paragonabile il valore della latitudine di Respighi, fondata sulle declinazioni di Newcomb, colla latitudine di Reina, è necessario di trasportare le declinazioni del Berliner Jahrbuch al sistema del Catalogo di Newcomb; allora la latitudine di Reina diventa p= 41° 55’ 26.39. Secondo che si vuol ritenere per Respighi, la latitudine ricavata dalle sole stelle di Newcomb, o la latitudine dedotta dalle dieci stelle, si ha: RCN A a DER to 90 Reina — Respighi. Adottando per la latitudine dell’Osservatorio del Campidoglio gi = 41° 53" 33". 58 risultante dal medio di quattro determinazioni fatte negli anni 1867, 1875, 1376, 1880, si ha per differenza di parallelo fra M. Mario ed il Campidoglio g—-g = | 151”. 42 se si prende per la g di Respighi il valore ricavato dalle cinque stelle del Catalogo di Auwers. ll 51.91 OTETSAZE La prima differenza sì riferisce al valore di g dedotto dalle sei stelle del Catalogo di Newcomb, la seconda si riferisce al valore derivato dalle dieci stelle. La differenza di parallelo poi delle due località dedotta geodeticamente, risulta p—_y = + 1' 52”. 63. Nel chiudere questa Nota ritengo non inopportuno di riferire che Re- spighi attribuiva l'anomalia trovata nella latitudine di M. Mario in gran parte dovuta alla deviazione della verticale prodotta dalle accidentalità del suolo circostante. Questo suo convincimento è espresso in diverse occasioni nelle due Relazioni. Citerò un passo, a questo proposito, della prima Rela- zione, pag. 49, in cui è espresso un giudizio del prof. Keller su questa que- stione « il sig. Keller, che molto si occupa dell'influenza delle attrazioni delle montagne, in seguito ad alcuni scandagli fatti per questo caso speciale, RenpIconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 44 — 336 — trova ragionevole il risultato ottenuto in riguardo al senso della differenza delle due latitudini, quantunque ne trovi il valore alquanto più grande di quello che può assegnarsi alle cause esterne; ma non resta esclusa l’ influenza di cause nascoste sotto la superficie da lui esplorata, delle quali influenze non mancano luminosi esempi ». Da questa nuova discussione delle osservazioni mi par lecito includere che, l'anomalia trovata da Respighi, ridotta ora entro limiti più ristretti sì accordi meglio colle idee sostenute in proposito dal Keller. Mineralogia. — Appunti di Mineralogia Sarda ('). Nota del dott. FepeRICO MiLLosevica, presentata dal Socio STRUEVER. 1°. Baritina della miniera di manganese ed ocre di Capo Becco e Capo Rosso (Isola di S. Pietro). Nell'ottobre dello scorso anno durante un mio viaggio in Sardegna ho avuto occasione di fare una escursione all interessantissima isola di S. Pietro e di visitare la nota miniera di manganese ed ocre di Capo Becco e Capo Rosso. La miniera, un tempo assai fiorente ora molto decaduta, è formata, come è noto dai lavori di vom Rath (2), Halse (3), Fuchs e De Launay (*) e Ber- tolio (3) da uno strato di minerale manganesifero in cui prevale la pirolusite associato con altri di diaspri ed oere di vario colore intercalati fra due strati di tufo argilloso. Una potente cortina di trachite ricopre questa formazione; al disotto di essa si trovano altri banchi di trachite. : In tutto il giacimento, sì nei diaspri, che nelle ocre e nel minerale di manganese si trovano abbondanti cristalli di daritina della cui presenza fu fatto semplicemente cenno dal Bertolio (5). I più bei cristalli con sufficiente ricchezza di forme si trovano nello straterello di ocra giallo chiara: sono talora di considerevoli dimensioni raggiungendo i più grandi la lunghezza di poco meno di un centimetro ; taluni sono incolori, ma la maggior parte sono di (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. (2) Vom Rath, Reisen auf der Insel Sardinien. Sitz. berichte der niederrheinischen Gesellschaft in Bonn. XL, pag. 124-163, 1883. (3) Halse, On the manganese depostt of the islet of San Pietro (Sardinia). Trans. of the North of England Institute of mining and mechanical engineers, vol. XXXIV, 1884-85. Newcastle upon Tyne. \ (4) Fuchs et De Launay, Z'raité des gites minéraux et métalliferes, tome II, pag. 25-26. Paris 1893. (5) S. Bertolio, Appunti geologico-minerari sull’ isola di S. Pietro (Sardegna). Boll. R. Com. Geol. d’Italia, 1896, 4°, pag. 405-421. (6) Ibidem, pag. 416. — 337 — color giallognolo o rossastro, sempre però abbastanza trasparenti e lucenti. Le forme che presentano sono le seguenti: 4)100{ co Poo. = d:010} 0 Po. e'001} OP. m }110{ co P. 2}210} 00 P.2... »)320/coP3. = y}130{c0P3 u }101{ P oo. d' {102% Pico. (1041 Pico. | DI302} TP o. 0 }011{ P oo. 3}111iP. r {11214 P y}122} P 2. Y }152/=P.5 La forma }152| è, a quanto mi consta, nuova per la baritina. I cristalli sono generalmente di abito tabulare secondo la base 5001{ sempre predominante ed allungati nel senso della macrodiagonale ; presentano anche assai sviluppate le facce del prisma }110{ e inoltre mostrano sempre presenti nelle più semplici combinazioni anche le facce di }010{ }101{ }102{ 101 II Una combinazione un po più complicata è quella raffigurata nella fig. 1° e presenta assal sviluppata la zona dei macrodromi con le forme }100{ }010! 1001 }LIOt 5210 >104f }102} {101{ }302% {011} }111} }112{. Mme Infine altri cristalli più rari presentano la combinazione disegnata nella fig. 2* con le forme }100} }010} 5001{ 5110} }210} }320{ }130} }104} 102} }101| }011{ 3111} }122} }152}. Oltre alla base si presentano assai estese le facce del prisma }110} e in genere quelle della zona dei macrodomi: nella zona dei prismi oltre le piccole faccette di }210} }320} 5130} sicuramente determinate, ho osservato al goniometro altre piccole faccettine appartenenti a qualche altra forma forse vicinale: per lo scarso e imperfettissimo riflesso — 338 — che esse dànno, reputo per lo meno azzardato di calcolarne il simbolo, che sarebbe tutt’ altro che sicuro. La nuova forma }152{ si presenta con piccole faccettine che troncano lo spigolo fra }122} e }010{: il suo simbolo fu potuto con tutta sicurezza de- terminare, essendo essa comune alle due zone [(122):(010)] e [(130):(011)]. Gli angoli, che essa forma con le facce adiacenti da me misurati e posti a confronto con quelli calcolati secondo le costanti di Helmhacker riportate dal Dana, sono i seguenti: (010) : (152) = misur. 21° 5 cale. 21° 21° (011) : (1529) =» 24 30 DIMIOTAARE (130) : (152) = ” 18_ 5 » 18 28 Come si vede l'accordo tra gli angoli misurati e i calcolati potrebbe es- sere più soddisfacente e ciò dipende dalla non troppa esattezza delle misure in causa della piccolezza delle facce di }152{. Stimo inutile, trattandosi di un minerale abbastanza noto, di portare un lungo elenco di angoli misurati per le altre forme già note e che sono generalmente in ottimo accordo con quelli calcolati secondo le costanti di Helmbhacker. La baritina si trova in quantità in tutto questo caratteristico giacimento : mi fu dato di riscontrarne in tutti gli strati che lo compongono, tranne in quello superiore dei cosidetti diaspri gialli. Dei cristalli bellissimi con facce liscie e lucenti sono contenuti in pic- cole cavità nei diaspri rossi compattissimi: taluni sono incolori, altri giallo- gnoli, ma sempre perfettamente trasparenti. Sono tabulari secondo (001) e allungati secondo l’asse [y] nella cui direzione taluni misurano circa un cen- timetro: presentano abitualmente la combinazione semplice }001} }100} }110{ :102} {111}: a cui si aggiungono talora le facce di 5011} }O10{ e }1221. Altre volte ancora nei diaspri rossi la baritina si trova in abbondanti concrezioni lamellari di imperfetti cristalli o in laminette rosse opache so- vrapposte. Abbondante sì trova ancora in minutissimi cristallini nelle pre- giatissime ocre violette ricche di ossido ferrico e di pirolusite e che, per la presenza appunto di baritina, hanno un peso assai più elevato delle altre gialle e rosse. La presenza di baritina in relazione con minerali di manganese, con- statata per molti altri giacimenti (vedi Dieulafait (') ed altri), sembra che debba avere una qualche importanza per quel che riguarda l’ origine dei de- positi di questi minerali. (1) Dieulafait, Origine et mode de formation de certains minerais de manganese. Leur liaison, au point de vue de l'origine, avec la baryte qui les accompagne. Comptes rendus, Paris 1885, tome CI, pag. 324. — 339 — Per quel che riguarda specialmente il giacimento di Capo Rosso e Capo Becco ne discussero finora l’ origine Halse (') e più recentemente il Bertolio (2). Questi, dopo di aver combattuta l'opinione di Halse, che cioè questo giaci- mento sia stato formato per deposito in seno alle acque di un lago del mi- nerale di manganese proveniente da ceneri vulcaniche ricche di questo me- tallo, ammette invece come più probabile per esso l'origine in seguito alla azione di sorgenti termali; ritiene che il minerale sia stato depositato allo stato di carbonato e che in seguito sia stato trasformato in ossido per azione termica della cortina di trachite distesasi al disopra di esso, pur non esclu- dendo peraltro che il minerale possa essersi anche depositato direttamente allo stato di ossido. Senza pretendere di voler risolvere questa questione, mi limito a notare i seguenti fatti, che mi fu dato osservare alla miniera di Capo Becco e Capo Rosso e che mi sembrano di una certa importanza: 1°. La presenza della baritina in mezzo al minerale di manganese, in mezzo alle ocre e ai diaspri depone piuttosto in favore dell'origine di tutto il giacimento per sorgenti termali. Il Daubrée (8) cita parecchi esempi (Ems, Neusalzwerk, Carlsbad, Malou (Hérault) ecc.) di depositi di sorgenti attuali che contengono solfato di bario. Non si può escludere che il manganese possa depositarsi direttamente sotto forma di ossido, sia che sia contenuto nelle acque allo stato di carbonato acido secondo l'ipotesi di Boussingault, sia che venga portato in soluzione acida da acque cariche di silice e che precipiti allo stato di ossido per azione di una base, come, secondo i più recenti studî, sembra che sia avvenuto più frequentemente. La base nel nostro e in molti altri casi potrebbe essere stata benissimo la barite, che si trova ad esempio fra i costituenti essenziali dello psilomelano e che sotto forma di baritina sì trova così frequentemente in relazione con i minerali di manganese. Il Bertolio a sostegno della seconda delle sue ipotesi, cioè del deposito del man- ganese allo stato di ossido, cita le acque termali di Luxeuil che anche attual- mente alla temperatura di 30° circa depositano ossido di manganese che riveste le pareti delle vasche; io aggiungerò, che già da molto tempo il Bra- connot (4) ha constatato la presenza di barite associata al manganese in quan- tità rilevante nei depositi delle terme di Luxeuil, fatto che secondo me aumenta l'analogia di origine di questi depositi con quello di Capo Becco. 2°. Si trova pirolusite in questo giacimento, oltrechè prevalentissima in uno straterello sotto quello dei diaspri rossi, anche in rilevante quantità (1) Loc. cit. (*) Loc. cit., pag. 420-421. (3) A. Daubrée, Les eaua souterraines à l° epoque actuelle, tome II, pag. 17-18. Paris 1887. (4) H. Braconnot, Ezamen d’un sediment des eaua de Luzxeuil. Annales de Chimie et de Physique par MM. Gay-Lussac et Arago, 1821, Tome XVIII, 221. — 340 — nelle ocre rosse e violette e nei diaspri stessi: per la presenza della piro- lusite questi presentano venature o zone nerastro. Ciò prova che il minerale di manganese si è deposto insieme alla silice e vi è intimamente collegato ; mi sembra perciò ben difficile ammettere che abbia, dopo il suo deposito, subita una trasformazione chimica da carbonato in ossido; mentre invece è più ovvio il pensare che si sia deposto allo stato di ossido, come lo si trova attualmente disseminato in minutissime particelle intimissimamente collegate con quelle di silice nei diaspri rossi compatti. 9°. Valentinite della miniera di antimonio di Su Suergiu (Gerrei). In una visita alla miniera di Montenarba (Sarrabus) ebbi dalla cortesia del chio ing. Ottavio Camillo Garzena della Società di Lanusei, oltre a varî campioni di minerali delle miniere di argento del Sarrabus, anche alcuni campioni della prossima miniera di Su Suergiu presso Villasalto nel Gerrei. Uno di questi campioni porta dei piccoli cristallini di valentinite dei quali, trattandosi di un minerale un po' raro, credo opportuno dare una breve de- scrizione. La presenza di valentinite nella miniera di Su Suergiu è menzionata dal Lovisato ('), il quale accenna anche alla presenza di questo minerale a Nied- doris nell’ Iglesiente presso Fluminimaggiore; in seguito fu ricordata dal Corsi (2) e dal Traverso (*); ma nessuno ne diede una descrizione un po’ par- ticolareggiata. La valentinite di Su Suergiu si trova sopra la st/bina finamente gra- nulare di un colore grigio lucente. Una drusa di questa stibina è quasi let- teralmente tappezzata di piccoli cristalli di valentinite raramente isolati, più spesso in quei caratteristici aggruppamenti a fascio 0 @ ventaglio descritti da Laspeyres (4) per la valentinite di Pribram in Boemia. I cristalli sono di piccole dimensioni, misurando l' asse verticale secondo il quale sono maggiormente sviluppati appena un millimetro nei più grandi. Presentano. secondo l’ orientazione del Laspeyres, adottata anche dal Dana, la semplicissima combinazione del prisma verticale 7 {110} e del brachidoma ottuso di simbolo ;}054| (vedi fig. 3°). (1) D. Lovisato, Sulla Senarmontite di Nieddoris in Sardegna e sui minerali che l accompagnano in quella miniera. Atti R. Ace. Linc., Rend. 1894, ser. 5°, vol. III, pag. 82-89. (®) A. Corsi, Brevi notizie e relazione di una gita alle miniere argentifere del Sarrabus. Boll. Soe. Geol. Ital., 15, 1896, pag. 554-565. (3) G. B. Traverso, Sarrabus e è suor minerali: note descrittive ecc. Alba 1893. (4) H. Laspeyres, Mineralogische Bemerkungen VIII Theil. 15 Krystallographische Untersuchungen am Valentinit. Zeitsch. f. Kryst. u. Miner., IX, pag. 162, 185. i — 341 — Il prisma }110{ presenta facce lucentissime con una marcata striatura verticale, la quale occupa solo metà della faccia corrispondentemente allo spigolo ottuso del prisma; il prisma è forma predominante ed i cristalli sono cato: allungati secondo l’asse [2]. Da una media di 10 buone misure ho ottenuto l'angolo i 110: 110 = 42° 44° dal quale risulta a': D'=0;99122 : E Confrontando questi valori con quelli accuratamente calcolati dal La- speyres nella succitata memoria per cristalli di valentinite di varie località, sì vede che essi si accostano di più a quelli dati per la valentinite di Brainsdorf in Sassonia, pur rimanendo vicinissimi a quelli assunti come va- lori medî per la valentinite in generale; infatti si ha: Valentinite di Brainsdorf @ : = 0,39101 : 1 (Laspeyres) ” Pribrrm a:5=0,39172:1 (E ) ” Costantina @:9=0,389273 :1( >» ) ” Su Suergiu a: b—=0,39122 : 1 mentre il rapporto adottato dal Laspeyres come generale è: 'al0i— 0391365: JE Le facce del brachidoma sono curve e poco lucenti e malissimo si pre- stano alla misura: risultando da una serie di inesatte misure un angolo cor- rispondente allo spigolo ottuso di circa 45°, non vi è alcun dubbio che trat- tisi della forma }054{, che è comunissima specialmente nel giacimento di Brainsdorf. L'unica differenza fra i cristalli di questa località e quelli di Su Suergiu sta nel diverso sviluppo delle facce, prevalendo in questi le facce del prisma, in quelli quelle del brachidoma. La sfaldatura è perfetta secondo (110); non è osservabile quella se- condo (010). — 342 — La lucentezza è viva e adamantina sulle facce di (110), scarsa e grassa su quelle del brachidoma; il colore giallo paglierino. AI microscopio ho potuto constatare che i caratteri ottici sono quelli normali; cioè: bisettrice acuta negativa normale a }100}: angolo degli assi ottici piccolissimo: piano degli assi ottici per il rosso parallelo a (001), per il violetto parallelo a (010): dispersione @ > . Mineralogia. — Forma cristallina del Tolano. Nota di G. BoERIs, presentata dal Socio STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Cristallografia. — Larderellite dei soffioni della Toscana (°). Nota di Grovanni D’AcHiarpi, presentata dal Corrispondente AnTO- N10 D'ACHIARDI. L'incertezza in cui si è ancora per ciò che riguarda la costituzione di alcuni borati attribuiti alla regione dei soffioni boriferi della Toscana, mì indusse a riprenderne lo studio nella speranza che il copioso materiale a mia disposizione mi valesse per una loro più esatta determinazione. È noto come questi borati si designano coi nomi di larderellite, lago- nite, bechilite, borace, tutti analizzati dal Bechi, in onore del quale fu uno di essi denominato. Ma fra i numerosi campioni dei Musei geologico e mineralogico del- l Università di Pisa, fra i quali avrebbero dovuto trovarsi gli esemplari originari che servirono alla determinazione delle specie, fra quelli da me stesso raccolti o inviati da altri istituti scientifici in esame o in dono, dietro richiesta di mio padre, dal conte Florestano De Larderel, non mi fu possibile di trovarne alcuno che corrispondesse ad una delle ultime tre specie sopra ricordate. Gli esemplari che nelle collezioni pur andavano sotto questi nomi, sia per i saggi chimici, sia per l'esame microscopico mi risultarono essere me- scolanze di più cose e in gran parte di acido borico. Solo la larderellite appare bene definita e se ne possono avere campioni di soddisfacente pu- rezza per tentarne, come feci, lo studio. L'analisi fattane dal Bechi (*) dette: (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia dell’ Università di Pisa. (®) Sui borati che naturalmente si incontrano nei soffioni della Toscana. Contin. Atti Acc. Georgofili. N. Serie, Vol. I, pag. 128. Firenze 1859. — 343 — Amidride borica .l |... (68,556 OssidoRdtammonto Met | Me 12734 INGOIO o SE O 99,615 dalla quale dedusse la formola: [NH,]: Bs 0,3+4H,0 formula da nessuno contradetta perchè l’analisi non fu ripetuta. Solo il Fougqué, per alcuni saggi da lui eseguiti, emetteva il dubbio che la larderellite non fosse una specie ben definita, onde il Des Cloizeaux (O che ne fece uno studio sommario ottico-cristallografico riferendola al sistema monoclino, aggiungeva che per le analisi del Bechi e del Fouqué, come per l'esame microscopico, è a ritenersi che i così detti campioni di larderellite sieno anch'essi delle mescolanze. Ciò è vero per la maggior parte di essi, ma non per questo manca in massa la pura larderellite e il Museo mineralogico di Pisa ne possiede di- versi esemplari tipici come si può riscontrare all’osservazione microscopica. Essi appaiono costituiti di piccolissime lamelle rombiche, scorniciate ai mar- gini, che sì può restare incerti se riferire al sistema monoclino o al trimetrico, per il quale ultimo io propendo non solo perchè i caratteri ottici non vi si oppongono, ma anche perchè le faccettine di smarginatura delle lamelle rom- biche sembrano di hipiramide trimetrica. Per altro l'impossibilità di esatte misure non può convertire il dubbio in certezza. Di questo materiale completamente cristallino, all'esame microscopico di- mostrato scevro di impurità, dopo aver constatato all’analisi qualitativa che era esclusivamente costituito da anidride borica, ossido d'ammonio, ed acqua, determinai le dosi dei varî componenti, direttamente per i primi due, per differenza per il terzo: TR II Media Boe ez:70 72,42 72,06 [irpO 0 #00 oa 9,83 ROSA 18:43 17,80 18,11 100,00 100,00 100,00 L'anidride borica fu nelle due analisi pesata a fluoboruro potassico; mentre invece l'ossido di ammonio fu nella prima dosato indirettamente, cioè pesando il cloruro d’argento formatosi per reazione del nitrato d'argento sul cloruro di ammonio ottenuto per il trattamento della larderellite con acido cloroidrico, di cui fu poi mandata via ogni più piccola traccia; nella seconda allo stato di cloroplatinato ammonico. (!) Manuel de Minéralogie, T. II, 9. Paris 1874. RenpIcONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 45 — 344 — Dai valori ottenuti può ricavarsi la formula: [NHy]: Bio 0,6 +5 H20 cui corrisponde la composizione centesimale : Bi0;. SMS. O 0 ENO - SAR 0,30 Hi 0. BIO 0 100,00 e che differisce solo per le dosi dell’acqua dal pentaborato ammonico citato dal Rammelsherg (1): [NH]: Bio 016 +8.Hz 0 Se le 5 molecole di acqua si ritengano come parti integranti del com- posto potrebbe scriversene la formola di struttura : [NH] [NH] gag resto (01 ang 00 AO VO \ ZANINI AMI ANTARTATARAI Bisi Bitta BAM Boa HÒ mi si n Di FO I - no FO Che lalarderellite si differenzi solo dal pentaborato descritto da Schabus (?) e dal Rammelsberg per la quantità delle molecole di acqua di cristallizza- zione vien confermato anche dal fatto, che la larderellite, sciolta nell'acqua e fatta cristallizzare di nuovo la soluzione, non si rigenera più, ma forma - invece il pentaborato ammonico. Il Bechi diceva che la larderellite sciolta nell’acqua si trasformava in un nuovo sale a cristallizzazione confusa, e che poteva esprimersi con la formula: [NH] B12 0x0 +9 H, 0 Des Cloizeaux aggiunge che sciogliendo nell'acqua calda le mescolanze che vanno sotto il nome di larderellite non si è ancora giunti a riprodurre le lamelle rombe ad angolo di circa 118°, che esistono nella sostanza na- turale. Una delle nuove combinazioni ottenute avrebbe per formula secondo il Fouqué: [NH;J: B:: 010 + 6 Hz 0 (!) Veber die Form u. Zusammsetzung des borsauren Kalis u. Ammoniaks. Pogg. Ann., R. IV, Bd. V, S. 199. Leipzig 1855. (@) Bestimmung der Krystallgestalten, u. s. w. (Vedi Rammelsherg, mem. cit.). — 345 — Tentai io pure di riprodurre i cristalli di larderellite per soluzione cambiando anche le condizioni del solvente e del modo di cristallizzazione, sciogliendo cioè la larderellite in acqua bollente, a bagno maria, a freddo, in acqua pura e ammoniacale, e facendo cristallizzare sia per rapida, sia per lenta evaporazione all'aria libera o in essiccatori a cloruro di calcio. E tentai anche di costituirla sciogliendo acido borico in acqua ammoniacale o facendo reagire fra loro vapori ammoniacali e boriferi prodotti i primi sia da idrato che da solfato ammonico. Ma tanto le prime prove che le seconde dettero risultati completamente negativi: non si ottiene che dell'acido borico e il pentaborato ammonico in nitidi e caratteristici cristalli, che sono stati da me descritti ed effigiati in una memoria in corso di stampa. Solo se si adoperi un grande eccesso di ammoniaca nel solvente può aversi anche il biborato ammonico esso pure già ricordato dal Rammelsherg (mem. cit.); non mai la lardellite. Nei surricordati casi non variano che le proporzioni fra l'acido borico e il pentaborato, da aversi quasi solo o grandemente prevalente il primo per le cristallizzazioni ottenute dopo prolungata ebullizione in acqua non ammoniacale, od essere invece predominante il secondo nelle soluzioni am- moniacali. Queste mescolanze variabili ci spiegano i risultati dell'analisi del Bechi e del Fouqué, ma la perfetta determinazione dei componenti nelle mesco- lanze stesse, determinazione che viene avvalorata oltre che dai saggi chimici dalle misure che dei cristalli possono farsi al goniometro, non lascia alcun dubbio che la larderellite si trasformi in acido borico e in pentaborato am- monico, ciò che viene in conferma dei risultati dell’ analisi da me eseguitane, e del modo di interpretarne la costituzione. Mineralogia. — Nayalite alterata delle granuliti di Villa cidro. Nota di D. LovisaTo, presentata dal Socio STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — / ferreni carboniferi di Seu ed oolitici della Perdaliana in Sardegna. Nota di L. PamPALONI ('), presentata dal Socio C. DE STEFANI. Allo scopo di determinare possibilmente con precisione se i terreni car- boniferi di Sardegna già illustrati da La Marmora e da Meneghini apparte- nessero al Carbonifero superiore od al Permiano inferiore, secondo le moderne classificazioni, e per meglio determinare l'età e la successione dei calcari fossiliferi costituenti la Perdaliana, e specialmente dei calcari dolomitici alla (1) Il dott. Pampaloni eseguì queste ricerche in Sardegna, mediante un sussidio, accordatogli dall'Accademia, tolto dal fondo Santoro. — 346 — base, da alcuni attribuiti al Trias, da altri distribuiti in varie serie di ter- reni, mi recai in Sardegna dal 4 al 19 aprile 1899. Il giacimento carbonifero di S. Sebastiano è in vicinanza di Seui e fu descritto per la prima volta dal generale La Marmora. È situato a Nord-Ovest di Seui a circa mezz'ora di distanza dalla chiesuola di S. Sebastiano. La strada che si percorre da Seui è un viottolo aperto nello schisto lucente siluriano, sul quale poggia anche tutto il paese di Seui, e che si estende per una serie di molti chilometri. Il bacino carbonifero può dirsi delimitato da tutte le parti da montagne, a Nord dai monti Lareri, Cintone, Maregoso e Tradolea che lo chiude anche dalla parte di Est, mentre lo stesso monte di S. Sebastiano lo delimita a Sud. Gli strati carboniosi del bacino poggiano essenzialmente sullo schisto lucente. L’antracite è facilmente sfaldabile, di color nero lucente, qualche volta colorata in giallo o giallo-rossastro per tracce di pirite limonitizzata. Negli strati schistosi di color nero che accompagnano l'antracite, si ri- scontrano numerosissime impronte di fusti e di foglie. Ne ho raccolte assai, così da riunire un discreto materiale nel quale fra le altre figurano le se- guenti specie : Sphenopteris cfr. S. Matheti Ueil. Macrostachia carinata Germar. Cyathocarpus arborescens Goepp. Cordaites borassifolius Unger. Diplasites unitus Brongt. Dorycordaites lingulatus Grand' Eur. Calamites leioderma Gutbier. Aspidiopsis coniferoides Potoniè. Annularia stellata Sternb. Walchia piniformis Schl. Bruckmannia tuberculata Sternb. Questi fossili. secondo il prof. De Stefani, che segue il parere dei paleon- tologi francesi, apparterrebbero al Carbonifero superiore, e nemmeno alla parte più elevata di esso; ma secondo i paleontologi tedeschi dovrebbero ap- partenere alla parte più antica del Permiano inferiore. Ad Est di Seui ed a circa tre ore di distanza da questa città sì trova il paese di Ussassai. Per giungervi si può salire il monte di Arquerì. Du- rante il tragitto man mano laseio dietro di me lo schisto siluriano, poi la puddinga quarzosa a grossi elementi di quarzo; mi trovo allora dinanzi ad un calcare compatto di color roseo, assai fossilifero, che passa per gradi ad una dolomia di apparenza spugnosa. In alcuni punti invece là dove la montagna si fa più a picco, oppure là dove vi è qualche cava, si scorge al di sotto della dolomia un calcare compatto, grigiastro, più fossilifero di quelle roseo, ed identico completamente a quello che ritroveremo a Perdaliana. Tutti questi strati sia di calcare, sia della dolomia sono perfettamente orizzontali. Al nuraghe di Arquerì poi, intercalati nel calcare magnesiaco, per vero dire poverissimo di fossili, a strati orizzontali, trovansi degli straterelli di lignite, sulla quale però non ho potuto scorgere speciali impronte di organismi. — 347 — Nei Toneri, lungo il percorso per andare alla Perdaliana, troviamo pure un terreno schistoso, gradatamente ricoperto di numerosi ciottoli quarzosi di varia grandezza, mentre il terreno assume una colorazione rossastra, e ve- diamo pure delle tracce di grès, finchè al di sopra ricomparisce il calcare. I Toneri si prolungano per circa cinque chilometri fin quasi alla Perda- liana. Il loro calcare, come quello di Arquerì, differisce assai dal basso in alto. Infatti inferiormente abbiamo un calcare grigiastro, piuttosto povero di fossili, che passa però in alto al solito calcare alquanto magnesiaco, iden- tico perfettamente a quello di Arquerì. Questo calcare assume delle forme singolarissime che rappresentano ora fortezze, ora castelli e torri in rovina, ora macerie di qualche colossale edificio. Sortiti dai Toneri si para ai nostri occhi la Perdaliana. Questa mon- tagna che si erge a guisa di torre inaccessibile è costituita da tanti strati ben distinti gli uni dagli altri, quasi tutti affatto orizzontali. La successione dei terreni dal basso in alto avviene così: Abbiamo dap- prima lo schisto lucente, base su cui riposa il monte. Subito sopra allo schisto evvi la puddinga quarzosa ed il grès contenenti superiormente dei piccoli straterelli di lignite. Sopra questa comparisce il calcare grigiastro, qui ricchissimo di fossili, che passa verso l'alto ad un calcare contenente magnesia. La costituzione della Perdaliana è, come vedesi, perfettamente identica a quello dei Toneri. Soltanto alla Perdaliana scorgiamo benissimo, come forse in nessuna altra località, la sovrapposizione dei diversi strati ed il loro ordine di successione. I fossili contenuti nel calcare grigiastro alla base sono abbondantissimi, anzi molti di essi rotolati pel disfacimento del calcare si trovano sul terreno sottostante; però la loro completa identità con quelli che si trovano in posto nel calcare non fa dubitare che essi appartengano alla medesima formazione. Le specie da me raccolte sono le seguenti: (Segnerò con M le specie indicate ed in parte figurate da Meneghini (!) per la Perdaliana, e con F quelle indicate da Fucini (?) per la medesima località) Natica sp. ind. Lucina Bellona D'Orb. M. Ostrea Perdalianae Men. ’ ” var. depressa D'Orb. ” costata Sow. Cardium n. sp. Lima sp. ind. ’ sp. ind. Pteroperna costata Desl. ) subtruncatum D'Orb. F. Mytilus laitmarensis Lor. Pholadomia Murchisoni Sow. M. ” aequiplicatus Strombek. ’ ovalis Sow. M. Modiola imbricata Sow. Goniomya n. sp. ’ Sowerbiana Bronn. F. Arcomia Schardti P. d. Lor. (1) Paléontologie de l'ile de Sardaigne, pag. 183 e seg., Turin 1857. (2) Notizie paleontologiche sull’oolite di Sardegna Proc. verb. d. Soc. Tosc. d. Sc. Nat. Adun. 6 maggio 1894. — 343 — Pinna cuneata Phill. F. Gresslya Meneghini Fuc. Astarte eacavata Sow. Ceromya concentrica Sow. 7 Gardneri Lor. Corymia lens Agass. ” scalaria Roemer. Come si può vedere, varie sono le specie nuove per questi terreni, le quali però trovano un esatto riscontro in quelle descrite dal De Loriol nel suo: Ztude des couches è Mytilus des Alpes Vaudoises, dall'Agassiz (!), dal D'Orbigny (2), dal Morris et Lycett (*) per terreni appartenenti all'Oolite. Circa l'età di questi terreni, il Meneghini li attribuì pel primo all’'Oolite, ed il Fucini seguì la sua opinione. Anche il prof. De Stefani (‘) li aveva riferiti all'Oxfordiano. Io credo che per la presenza di molte specie esclusivamente datonzane quali Corimya lens Agass. Modiola Sowerbiana Bronn. Ceromya concentrica Sow. Pteroperna costata Desì. Modiola imbricata Sow. Ostrea costata Sow. e per la mancanza di altre specie riportabili esclusivamente ad altri terreni, i fossili della Perdaliana debbansi ritenere come appartenenti al piano ba- toniano e perciò sieno i più esatti equivalenti degli strati a Mytilus del versante settentrionale delle Alpi svizzere e francesi, strati dei quali non sì conoscono equivalenti in altre regioni più lontane nè a Sud delle Alpi. Notisi che, pure litologicamente, la roccia presenta quasi perfetta identità. Un'altra località ricchissima di fossili identici a quelli trovati alla Per- daliana, è il Tacco di Seui. Si chiama così quella parte dei Toneri che è situata dal lato di Sud-Est invece che da quello di Nord-Ovest. Alla base del Tacco vi è sempre la puddinga quarzosa, che si disgrega facilmente dando luogo alla formazione di ciottoli di quarzo; sopra è il cal- care grigiastro che superiormente passa @ calcare magnesiaco ed è qui poco fossilifero. Una visita al monte Geniaca non riescì infruttuosa perchè vi raccolsi molti fossili. Da Geniaca passai al così detto Piano di Anulù, e specialmente alla località di S. Pietro. In questi luoghi sopra la puddinga un calcare leggermente domolitico a /erzrea occupa la base del monte. Sovrastante a questo calcare trovo poi il calcare compatto identico a quello trovato a Per- daliana. (1) Etudes critiques sur les mollusques fossiles. Myes. 1845. (2) Prodrome de Paléontologie stratigraphique universelle des Animaua Mollu- sques et Rayonnés 1850 e Paléontologie Francaise, 1850, Tom. II, Atl. e Texte. (3) A monograph of the Mollusca from the Great Oolite. (Paleontogr. Soc. of. London, A. 1853). (4) Cenni preliminari sui terreni mesozoici della Sardegna. Rend. R. Acc. Lincei, 1891. — 349 — Per concludere ecco la serie dei terreni da me vista in tutta la regione visitata: . Schisto talcoso probabilmente siluriano. . Strati del Carbonifero superiore. . Puddinga e grès con strati di lignite. . Calcare alquanto dolomitico a Merinea. . Calcare compatto batoniano a Mytilus. 6. Dolomia. Questa successione di strati combina con quella da me veduta a Nurri, che per vero dire differisce molto da quella indicata dai proff. Taramelli e Lovisato (!),i quali porrebbero il calcare a Gervilia, e conseguentemente a Mytilus, invece che superiormente, inferiormente a quello a Nerinea. Ut da 0 Du Mineralogia. — Sulla presenza di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell’ Apennino ligure. Nota dell’ing. S. FRANCHI, presentata dal Socio STRUEVER. Da molti anni la constatazione della natura giadeitica di ciottoli erratici dei due versanti delle Alpi occidentali e di campioni raccolti in posto, ma in località non ben definite nè sicure, aveva indotta una schiera numerosa di paletnologi nella convinzione che la giadeite dovesse esistere 7 posto in quella regione montuosa, sì che essi, basandosi oltrechè su quel fatto, sulle varietà peculiari che le giadeiti presentano nelle diverse Stazioni neolitiche e sulla distribuzione geografica di quelle fra esse che presentano materiali litici analoghi, sostennero l'origine indigena della giadeite, contro quelli che vogliono che essa sia stata importata in Europa da tribù immigrate dall'Asia. Bisogna però confessare che la questione non è peranco risolta, non conoscendosi finora in Europa nemmeno un giacimento in posto di giadeite. E quantunque alcuni dei campioni studiati dal Damour, e più quello ulti- mamente analizzato dal Piolti diano la certezza che la giadeite esiste nelle Alpi, siccome non è dimostrato che questo minerale di origine alpina sia identico a quello che costituisce i manufatti litici delle Stazioni neolitiche europee, l'ipotesi dell'origine asiatica può ancora avere ai nostri giorni dei ferventi fautori. Scopo di queste brevi pagine, che sono il sunto dei risultati ai quali mi condusse il paragone di un abbondante materiale della ricchissima Sta- (‘) D. Lovisato, Nuovi lembi mesozoici in Sardegna. Rend. R. Acc. d. Lincei. Estr. Vol. V, 1° sem., 5* ser., fasc. 11, seduta 6 giugno 1890. — 350 — zione neolitica di Alba con dei campioni di roccie raccolti durante il rile- vamento geologico da alcuni colleghi e da me, è di recare un contributo alla soluzione dell’ importante e vessata controversia. Espongo senza entrare in minuti particolari petrografici, i quali trove- ranno posto in un altro lavoro, che sarà accompagnato da qualche analisi chimica, i risultati di quello studio, che presenta un certo interesse dal doppio punto di vista della Geologia e della Paletnologia. MATERIALE LITICO DELLA STAZIONE NEOLITICA DI ALBA. — Questo materiale, che il dottor Colini volle gentilmente concedermi in esame, consta di una sessantina di pezzi, fra i quali si notano: alcuni ciottoli di fiume rotolati, qualche pezzo grezzo come se staccato da roccia o da grande masso, alcuni altri presentanti diversi gradi di lavorazione o per semplice scheggia- tura 0 con ulteriore lisciatura, ed altri infine, che sono frammenti di oggetti finiti, cioè di ascie, accette e scalpelli, con una levigatura perfetta. Dei ciottoli rotolati alcuni sono in lherzolite, levigati su di uno o su due lati, e qualcuno è in giadeitite. La maggior parte degli altri pezzi è in roccie giadeitiche di tipi abbastanza svariati ed in roccie eclogitiche; uno è di porfirite diabasica metamorfosata, e qualcuno di anfibolite ricca in zoisite. Giadeititi e cloromelanititi. — Un certo numero di pezzi, fra cui qual- cuno grezzo, e molti più o meno lavorati o finiti, sono costituiti da roccie compatte, a grana fina 0 finissima, di rado minutamente cristallina, con tinte o assai uniformi o lievemente macchiate presentanti molte gradazioni di verdi bigiastri tra il verdognolo chiaro e il verde-nerastro scurissimo. Sonvi inoltre alcuni pezzi con tinte verde-erba spiccato, ed alcuni altri con macchie chiare rettangolari, come di felspati porfiricamente distribuiti. Tutte queste roccie hanno durezza fra 6 e 7, densità superiore a 3,9 (le cifre ottenute a 20° sono 3,381, 3,33, 3,34 3,35, 3,36, essendo le più chiare, in generale, le meno dense); fondono facilmente con smalti dal color caramella chiaro al nero opaco, colorando intensamente la fiamma nella tinta gialla caratteristica del sodio. Al microscopio si mostrano essenzialmente costituite da un p770ssezo i cui elementi, quasi sempre inferiori a mm. 0,2, si intrecciano con strutture confuse e intricate soventi a feltro e talvolta raggiata. Il pirosseno, salvo nelle varietà più chiare, presenta una forte dispersione, la quale è fortissima nelle varietà più scure della roccia. Esso è quasi sempre parzialmente ura- litizzato in anfiboli vari, che indico in seguito. I minerali accessorî sono: granato, ilmenite, rutilo, sircone, più rara- mente s/ero. I minerali secondarî sono nei diversi campioni, alcuni contemporanea- mente, anfibolo verde, anfibolo azzurro, possedente le tinte di pleocroismo e la posizione di assi dell’ar/vedsonite, glaucofane, pistazite, thulite, coisite, — 351 — mica bianca e poco felspato indeterminabile. Questi ultimi tre minerali costituiscono, con prevalenza del primo, le chiazze bianche rettangolari di alcune varietà, come si è detto sopra, e provengono con ogni verosimiglianza dalla metamorfosi di felspati molto basici. I caratteri suesposti sono quelli proprî delle giadeititi e delle cloro- melanititi. EBclogiti. — Le roccie della Stazione neolitica di Alba con granato visibile ad occhio nudo o colla lente, e in tale quantità da essere considerato come elemento mineralogico costituente, hanno nella loro massa fondamentale che questo elemento ingloba, l' aspetto, le tinte (salvo forse le più chiare, che in questo gruppo non vidi), le proprietà fisiche e pirognostiche, la strut- tura e costituzione mineralogica delle roccie precedentemente descritte. Noi possiamo quindi affermare che queste eclogiti non sono che delle giadeititi e delle cloromelanititi nelle quali il granato da elemento accessorio passò ad essere elemento costituente. E tanto ad occhio nudo che al microscopio sì osservano tipi di passaggio fra i due gruppi rocciosi. Vedremo in seguito quale importanza abbia nella ricerca dei giacimenti Italiani di giadeite la constatazione di detti passaggi. Porfirite. — Un frammento di scalpello è di una roccia bigio-verdognola chiara, compatta, a grana fina, perfettamente omogenea, con durezza 6-7, densità 3,11 e con frattura minutamente granulare. Nessun minerale, eccetto la pirite, disseminata in piccoli elementi, è visibile colla lente. Al microscopio presenta un fondo costituito da zoisite con poco felspato, tempestato di innumerevoli piccolissimi granati incolori, nel quale fondo sono sparsi frequenti elementi pirossenici parzialmente uralitizzati e molti aciculi di attinoto. L'aspetto della roccia e specialmente la identica struttura microscopica mi fecero tosto pensare ad alcuni tipi di porfiriti, che lo Stella riconobbe sviluppati nel gruppo del Monte Viso; ed il paragone del campione e dei preparati microscopici confermarono quella mia impressione. Si noti che di porfiriti di quel tipo, confermate come tali da due analisi chimiche, non furono osservati in nessun altro punto delle Alpi occidentali. Anfiboliti. — Uno dei frammenti di manufatti, la cui lavorazione fu appena incominciata, è di una anfibolite zoisitica micacea un pò scistosa, di un tipo frequentissimo nelle Alpi occidentali. L' anfibolo, verde sul contorno, sfuma colla parte di mezzo che presenta tinte azzurrognole con tendenza al violaceo, come alcuni anfiboli aventi caratteri intermedî fra la orne- blenda e la glaucofane. ROCCIE ECLOGITIOHE E GIADEITICHE DELLE ÀLPI OCCIDENTALI E DEL- L'APPENNINO LIGURE. — Il nesso riconosciuto fra le roccie eclogitiche e giadeitiche dei manufatti della Stazione d'Alba mi fece tosto pensare ai RenpICcONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 46 — 352 — rapporti stretti che noi avevamo osservati, i miei colleghi ed io, fra le eclogiti dei numerosissimi giacimenti alpini e le roccie pirosseniche, alle quali esse fanno localmente passaggio, per graduale o rapido impoverimento in granato ; fra le eclogiti cioè, e le roccie che da noi erano state designate come pirosseniti od omfacititi. Il paragone di alcuni campioni raccolti mi fece riconoscere tosto identità di aspetto, specialmente fra alcuni campioni di eclo- giti della Valle Po con qualcuno della Stazione di Alba, e fra una giadeitite granatifera con inclusi chiari, originaria di Val Po, con la roccia di un fram- mento di scalpello di quella Stazione neolitica. L'esame delle sezioni sottili confermò tale identità, mostrando che essa si estendeva alla struttura microscopica, alle particolarità ed alle anomalie dei singoli elementi (dispersione più o meno forte nei pirosseni, forma a guscio, racchiudente pirosseno, nel granato, ecc.), alla qualità e sviluppo dei minerali accessorî, e di quelli secondarî. Queste analogie, per quanto riguardava le roccie giadeitiche e le eclo- gitiche, congiunte colle analogie delle porfiriti e delle anfiboliti fra le roccie della Stazione di Alba da un lato e quelle delle Alpi Cozie dall'altro, non lasciano nessun dubbio sulla origine alpina di buona parte di quelle roccie. Ma anche nell'Appennino ligure, nel gruppo di M. Ermetta, a S. E. di Sassello, ed in valle dell’Olba, a monte di Tiglieto, le roccie eclogitiche hanno enorme, straordinario sviluppo, in masse di cui non conosco le eguali nelle Alpi. In tali masse rocciose, che sono il più delle volte intercalate nelle serpentine, sono qua e là delle eclogiti a pirosseno verde chiaro, poco 0 punto metamorfosato in glaucofane, le quali si avvicinano alquanto ad alcuni dei tipi della Stazione di Alba. Nelle poche escursioni fatte in quelle regioni, non rinvenni in posto alcuna giadeitite, ma nell’alluvione del torrente Visone presso Grognardo, a S.S. E. di Acqui, raccolsi campioni di giadeititi grana- tifere di grande bellezza, simili ad alcune della Stazione suddetta. Troppo lungo sarebbe l'elenco dei giacimenti di eclogiti a noi noti delle Alpi e dell'Appennino, nei quali, per quel che si disse, può essere possibile il constatare dei passaggi locali a giadeitite; mi accontenterò per ora di indicare i giacimenti di alcuni fra i campioni più importanti o per la bellezza o per la rassomiglianza loro con roccie della Stazione albese: 1°. Giadeitite granulare massiccia di un bel verde smeraldo, raccolto dallo Stella al superiore dei laghi di Prato Fiorito (Monviso) nella zona di contatto fra serpentine e roccie anfiboliche. Essa ha densità di 3,34. 9. Giadeitite granulare di colore intermedio fra la precedente e la se- guente, staccata da chi scrive da un grande blocco di eclogite erratico a nord di Casellette (anfiteatro morenico di Rivoli). 3°. Cloromelanitite compattissima leggermente scistosa, di un bel colore verde erba oscuro, raccolto in posto da chi scrive, fra anfiboliti e serpenti- noscisti presso Mocchie (versante sinistro della valle di Susa). Essa ha la densità di 3,35. | — 3993 — 4°. Giadeitite o cloromelanitite granatifera verde bigio, erratica nel tor- rente Visone presso Grognardo (Appennino ligure). 5°. Cloromelanitite granatifera verde bluastro con macchie bianche zoisi- tifere, identica ad un campione della Stazione di Alba, e ricordante il cam- pione descritto dal Mrazec, ritenuto provenire dal Piemonte; raccolto erratico (ciottolo con spigoli appena smussati) dall'ing. Novarese presso la Colletta di Paesana (Valle Po). 6°. Eclogite micromera a fondo verde-bigio scuro, identica, salvo che ha grana più fina, con la roccia di un frammento di ascia della Stazione di Alba, raccolta dallo Stella presso S. Bernardo di Martiniana in Valle Po (in lenti nei micascisti). Di nessuno di questi campioni posso dare ora un’ analisi, di modochè la vera natura chimica delle roccie di cui ho parlato non è conosciuta. Qualcuno potrebbe perciò obbiettare che non è provato che il pirosseno delle roccie pirosseniche e di quelle eclogitiche di cui è stato detto fin qui sia un pirosseno sodico, quali sono la giadeite e la cloromelanite. A questo proposito ricordo come il Damour affermi che in tutte le eclogiti da lui analizzate, egli rinvenne dal 5 all’ 8 °/, di soda, e come secondo le sue analisi i pirosseni delle eclogiti di varie località contengano quell’alcali dal 7,48 all'11,76°/. Aggiungo inoltre che la roccia studiata e analizzata dal Mrazec con tanta cura, presenta identità così perfetta con qualcuna della Stazione di Alba, che parrebbe strano che avessero composizione chimica molto diffe- rente. Anche il campione analizzato dal Piolti, salvo il colore più chiaro e la maggiore cristallinità, microscopicamente è assai simile al campione di cui al n.° 1. Ma vi ha di più. Io ho fugacemente accennato al fatto este- sissimo, e quasi sempre osservato, della metamorfosi soventi parziale e non di rado totale dell'elemento pirossenico delle eclogiti in glaucofane, cioè in un anfibolo che è essenzialmente un silicato di allumina e soda. Questo fatto ci dice nel modo il più convincente che anche il pirosseno dal quale l'anfi- bolo deriva, deve essere essenzialmente un silicato di allumina e soda, cioè un pirosseno affine alla giadeite. L'altra metamorfosi, osservata in qualche caso (ciottolo della Colletta di Paesana) del pirosseno in arfvedsonite, cioè in un anfibolo che è essen- zialmente un silicato di ferro e soda, indica chiaramente la natura clorome- lanitica di quel primo minerale. Riservando un più ampio sviluppo delle diagnosi microscopiche ad un prossimo lavoro, nel quale saranno pure indicati i principali giacimenti di roccie giadeitiche, mi sembra che si possano fin d'ora enunciare le conclu- sioni seguenti: 1°. Le giadeititi e le eloromelanititi nelle Alpi occidentali e nell'Ap- pennino ligure non sono che forme senza granato delle eelogiti. 2°. È possibile trovare quelle roccie, come difatti furono trovate, in quelle due regioni montuose in stretti rapporti coi giacimenti delle roccie eclogitiche. — 354 — 3°. Parte del materiale della Stazione neolitica di Alba è senza nessun dubbio di origine alpina, e proviene con molta probabilità dai bacini della Varaita e del Po (Monviso), o meglio dai greti di questi corsi d'acqua. 4°. Una parte dello stesso materiale può pure provenire dall'Appennino ligure, tra le valli Bormida di Spiguo e l'Olba. 5°. La lavorazione sul luogo e l'origine certamente indigena del ricco e abbondante materiale litico della Stazione di Alba, costituiscono dei validi argomenti per presumere che lo stesso sia dei materiali di molte delle Stazioni dei due versanti delle Alpi occidentali e dell'Appennino ligure. Chimica. — Sulla natura e sulle proprietà delle soluzioni col- lotdali. Nota 1° di G. BrunI e N. PAPPADÀ ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Lo studio della natura delle soluzioni colloidali ha sempre presentato ai chimici un problema altrettanto interessante quanto difficile da risolvere. Le ricerche intorno a tale questione ripresero quindi nuovo sviluppo ogni volta che sorse qualche nuova teoria fisico-chimica, la quale apparisse capace di portare nuova luce sull'argomento. Così appena sorta la teoria delle solu- zioni diluite, molti furono gli autori — primo fra i quali il Paternò (2) — che cercarono di applicarla allo studio delle soluzioni colloidali. Lo sviluppo attuale delle teorie dell'equilibrio chimico produsse ora un nuovo incremento in tale ordine di ricerche, fra le quali ricorderemo quelle importantissime del van Bemmelen (?) sulle gelatine. Le pubblicazioni riguardanti questo punto della chimica teorica formano quindi ormai una letteratura estremamente ab- bondante, nella quale si ritrovano bensì dati numerosi, ma assai spesso incerti e contraddittori. Questi studî riguardano essenzialmente i due punti fondamentali del pro- blema, e cioè: da un lato la natura e l'intima costituzione delle soluzioni colloidali, dall’ altro le trasformazioni che queste soluzioni subiscono coagu- lando o gelatinizzando, e le proprietà dei coaguli e delle gelatine. Di entrambi questi punti ci occuperemo successivamente esponendo alcune nostre ricerche sperimentali, e le considerazioni teoriche che dai risultati no- stri, e da quelli degli altri autori ci sembra possano dedursi. Senza voler riassumere qui tutta la bibliografia dell'argomento che, come dicemmo, è estremamente estesa (ci riserviamo di farlo altrove in una più estesa pubblicazione), diremo che intorno alla natura intima delle soluzioni (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (2) Gazz. chim. ital. 1889, 684. (8) Zeitschr. anorg. Chemie: XIII 233; XVIII, 14; XX, 185, ecc. ito — 359 — colloidali le conclusioni dei varî autori possono raggrupparsi e riassumersi in queste due diametralmente opposte fra loro : 1°. Le soluzioni colloidali sono vere e proprie soluzioni. La differenza unica fra esse e le soluzioni ordinarie consiste in ciò, che la sostanza disciolta sì trova nelle soluzioni colloidali allo stato di aggregati molecolari assai com- plessi. Da questo stato di aggregazione molecolare dipendono le proprietà par- ticolari delle soluzioni colloidali, cioè i valori piccolissimi deila pressione osmotica, i minimi abbassamenti del punto di congelamento, i minimi innal- zamenti del punto di ebullizione, la lentezza della diffusione, ecc. 2°. Le soluzioni colloidali non sono vere soluzioni, ma debbono invece ritenersi come sospensioni nelle quali la sostanza colloide si trova in uno stato di estrema suddivisione. Le deboli pressioni osmotiche osservate dipen- dono unicamente da traccie di sostanze cristalloidi che assai difficilmente pos- sono eliminarsi. Soluzioni colloidali pure non dovrebbero presentare nessuna pressione osmotica, e conseguentemente nessuna differenza fra il loro punto di congelamento e di ebullizione e quello dell’acqua pura. Fra queste due opposte opinioni vennero emesse 0 potrebbero immagi- narsi alcune ipotesi intermedie. Citeremo fra queste quella recentemente esposta da W. B. Hardy ('), secondo il quale una parte della sostanza colloide si troverebbe disciolta, e la massima parte invece sospesa nella sua stessa solu- zione. Non volendo accettare il concetto che si tratti di sospensioni, si po- trebbe inoltre supporre che si abbia uno stato speciale di soluzione nel quale le particelle sciolte non esercitassero alcuna pressione osmotica. Una suppo- sizione di questo genere fu esposta dal Krafft (2), il quale accettando incon- dizionatamente la teoria cinetica delle soluzioni, ammette che le molecole colloidi si muovano non secondo traiettorie rettilinee, ma secondo traiettorie curvilinee chiuse; la risultante dei loro movimenti e quindi la pressione osmo- tica sarebbe nulla. Una ipotesi più verosimile si potrebbe fare ammettendo che nelle soluzioni colloidali la polimerizzazione delle molecole della sostanza disciolta sia non solamente grande, ma addirittura infinita ; ciò spiegherebbe ugualmente bene il non aversi alcuna pressione osmotica. Per potere però discutere con fondamento queste diverse teorie, occorre anzitutto risolvere una questione di fatto fondamentale : le pressioni osmotiche, e le corrispondenti variazioni nei punti di congelamento e di ebullizione pre- sentano nelle soluzioni colloidali realmente valori minimi, o questi valori non sono piuttosto (dopo una dialisi sufficiente) addirittura nulli ? Già il Kraft (1. c.) ebbe ad accennare che soluzioni colloidali concen- trate di saponi presentano esattamente lo stesso punto di ebullizione dell’acqua pura. La questione non è però facile a risolvere, poichè è assai difficile il liberare, anche per dialisi prolungata, una soluzione colloidale dalle ultime (1) Zeitschr. physik. Chemie XXXIII, 385. (?) Berichte XXIX, 1341. — 356 — traccie di sostanza cristalloide che possono di per sè determinare i piccoli abbassamenti in questione. Una prova decisiva dell’esistenza reale di una pressione osmotica dovuta al colloide si credette di avere nella esperienza di Linebarger (1), il quale misurò la pressione osmotica determinata dall'acido wolframico in una cellula chiusa da una membrana animale non permeabile pei colloidi, ma permeabile invece per i cristalloidi che possono rimanere nella soluzione. Però anzitutto Sabanejeff (2) provò più tardi la non esistenza dell'acido wolframico colloidale; e ad ogni modo un'esperienza isolata non sarebbe concludente; anche così operando errori sono possibili ed anche facili, poichè fino a che la dialisi non è assolutamente terminata, ed il cristalloide non ha assunto la identica concentrazione dentro e fuori della cellula, esso esercita sempre una pressione uguale alla differenza delle due concentrazioni. La questione che noi ci siamo posti ne involge un’altra. Se le soluzioni colloidali sono vere soluzioni e le loro pressioni osmotiche reali per quanto piccole, la differenza fra esse e le soluzioni ordinarie è puramente graduale; è da aspettarsi quindi che vi siano sostanze formanti un passaggio fra i cri- stalloidi ed i colloidi. Nel caso inverso la differenza deve essere sostanziale, senza transizione. In realtà si hanno molte sostanze, ad es. la destrina, l’acido molibdico ecc., che vennero chiamate semi-colloidi perchè in soluzione dimo- strano aggregati molecolari considerevoli, ma non enormi come quelli dei veri colloidi. Noi abbiamo anzitutto preparato le soluzioni di alcuni veri colloidi e quindi quelle di alcune di questi semi-colloidi, e ne abbiamo studiato le proprietà. Abbiamo anzitutto sperimentato sulle soluzioni dei seguenti colloidi : acido silicico, idrato ferrico, idrato cromico, ferrocianuro ferrico, albumina d'uovo e gelatina. Dei metodi di preparazione e dei dettagli delle esperienze parleremo diffusamente altrove. Il metodo generale seguito fu il seguente: Le soluzioni venivano sotto- poste alla dialisi durante un periodo mai inferiore a due settimane, e talvolta superiore ad un mese. Durante questo periodo, e specialmente nei primi giorni, veniva assai spesso cambiata l’acqua nel recipiente esterno. Durante questa dialisi nessuna traccia di sostanza colloide diffondeva attraverso il dializzatore; ciò per alcuno sostanze come l' idrato ferrico o me- glio ancora l'azzurro di Berlino era assai facile da riscontrare anche per pic- colissime traccie. Allorchò il liquido esterno non palesava più traccia apprez- zabile del cristalloide impiegato nella preparazione, si cambiava ancora l'acqua, si lasciava la soluzione colloidale ancora per alcuni giorni in equilibrio con (1) Silliman Journ. [3] XLIII, 218. (2) Zeitschr. anorg. Chemie, XIV, 354. — 357 — questa, e finalmente si confrontava il suo punto di congelamento, non con quello dell’acqua pura, ma con quello di questo liquido esterno. Le esperienze venivano naturalmente ripetute più volte, e per ogni esperienza si eseguirono sempre varie letture. Così operando con soluzioni variamente concentrate dei colloidi suddetti, non abbiamo potuto mai osservare differenze apprezzabili nel punto di con- gelamento dei due liquidi. Le minime oscillazioni (di qualche millesimo di grado) talvolta osservate erano sempre saltuarie, talvolta al di sopra cioè, e talvolta al di sotto del punto di congelamento del liquido esterno, e quindi evidentemente dovute ad errori di lettura. Nelle soluzioni di questi colloidi si hanno quindi abbassamenti dei punti di congelamento assolutamente nulli, od almeno assai inferiori ai limiti di sensibilità dei metodi di osservazione. Abbiamo anche eseguite alcune determinazioni di tensione di vapore col metodo di Ostwald e Walker, alquanto modificato, ponendo cioè in serie cin- que bolle di Liebig, le prime tre riempite della soluzione colloidale, e le ultime due col liquido esterno. Le variazioni di peso delle ultime quattro bolle dopo 24 ore di passaggio della corrente d’aria, differivano sempre fra loro di valori minimi ed oscillanti. Noi abbiamo studiato quindi le soluzioni di alcuni cosidetti semicolloidi, e principalmente di destrina e di acido molibdico. Il comportamento di queste è però sostanzialmente diverso da quello dei colloidi veri. Anzitutto questi corpi passano sempre e con facilità relativamente grande attraverso alle pareti del dializzatore; solamente con una velocità minore dei cristalloidi, ciò che è da aspettarsi per la differenza nei pesi molecolari; le loro soluzioni dànno abbassamenti dei punti di congelamento piccoli, ma net- tamente osservabili e proporzionali alla concentrazione. Per es. con diverse soluzioni di destrina ottenemmo pei pesi molecolari valori concordanti assai bene con quello che si calcola per una molecola (C Hio 05)7 = 1135. Infine e sopratutto le soluzioni di queste sostanze non coagulano nè gelatinizzano sotto l’azione di alcun reagente. Non vi è quindi alcuna ragione per ritenere queste sostanze come col- loidi; le loro soluzioni sono semplicemente soluzioni di corpi a peso mole- colare elevato. La differenza fra esse e le soluzioni dei veri colloidi non è quindi graduale, ma sostanziale. Questi sono i nostri risultati sperimentali; i quali meritano certo di es- sere confermati con nuove e più numerose esperienze, ciò che ci proponiamo di fare. Essi ci sembrano però fin d'ora abbastanza ben fondati per poterne dedurre, con sufficiente probabilità, alcune considerazioni teoriche. Noi cercheremo di applicare a questo problema la teoria delle fasì, che è singolarmente atta a risolvere tali questioni, e che si tentò già di appli- care (Hardy, 1. c.) allo studio delle gelatine, ma non, per quanto ci consti, a quello delle soluzioni colloidali. — 358 — Se le soluzioni colloidali sono vere soluzioni omogenee, esse devono con- siderarsi come formanti una sola fase; se esse sono sospensioni, per quanto finissime, si hanno evidentemente due fasi, il liquido, e le particelle sospese. Deve risultare da ciò una differenza di comportamento nelle proprietà fisiche. Data una soluzione colloidale in presenza del vapor d'acqua, si ha nella prima ipotesi un sistema bivariante, nella seconda uno monovariante; quindi nella prima ipotesi dovrebbe essere possibile avere la stessa tensione di va- pore a due diverse temperature (variando la concentrazione); nella seconda ipotesi invece il sistema potrebbe bensì esistere a diverse temperature e sotto diverse tensioni di vapore, ma ad una data temperatura corrisponderebbe una ed una sola pressione; in tal caso l'aumento della concentrazione sarebbe solo apparente, perchè la sostanza aggiunta resterebbe sospesa. Questo secondo i nostri risultati sperimentali sembra essere ciò che realmente sì verifica. Analogamente procede la cosa per il congelamento delle soluzioni col- loidali. Nella prima ipotesi si hanno qui tre fasi coesistenti: ghiaccio, solu- zione e vapore, quindi un sistema monovariante; nella seconda quattro cioè in più la sostanza colloide sospesa; quindi si avrebbe un sistema invariante. Nel primo caso si potrebbero avere parecchie temperature di congelamento corrispondenti alle diverse concentrazioni; nel secondo questo sistema inva- riante può aversi ad una sola temperatura. Questo è, secondo noi, quello che effettivamente accade. I fatti starebbero quindi per fare ammettere che le soluzioni colloidali siano sospensioni. A questa conclusione sembrerebbe che si potesse arrivare già coll’applicazione della teoria delle soluzioni senza applicare la legge delle fasi; in tal caso però sarebbe possibile rispondere, come già dicemmo, ed in modo abbastanza plausibile, con una nuova ipotesi; coll'ammettere cioè, come fece Krafft, uno stato speciale di soluzione nel quale la sostanza sciolta non potesse esercitare pressione osmotica. La legge delle fasi non permette invece di sfuggire nemmeno così alle nostre conclusioni, poichè per quanto si possa immaginare uno stato particolare delle molecole disciolte, una soluzione per esser tale dovrebbe pur sempre essere omogenea, e costituire cioè una fase sola; mentre i dati sperimentali conducono alla conclusione seguente: che le soluzioni colloidali si debbono considerare come formate da due fasi. Ad una identica conclusione giunsero recentemente Stoeckl e Vanino ('), basandosi sulle proprietà ottiche delle soluzioni colloidali dei metalli. In una seconda Nota ci occuperemo delle condizioni nelle quali ha luogo la coagulazione o la gelatinizzazione delle soluzioni colloidali. (1) Zeitschr. f. physik. Chemie. — 359 — Chimica. — Preparazione e caratteri dell’ a-pirriluretano (*). Nota di A. PICCININI e L. SALMONI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nel campo dei derivati pirrolici e indolici non si era ancora sperimen- tata la bella serie di reazioni, proposta dal Curtius, per ottenere la sostitu- zione del carbossile col gruppo amminico e fondata su alcune trasformazioni delle idrazidi degli acidi (?). Abbiamo perciò intrapreso una serie di studî in proposito, incominciando coll’ acido @-pirrolcarbonico. Diciamo subito che finora non ci è stato possibile di raggiungere l' ul- timo termine cui dovevano condurre le reazioni del Curtius; sembra infatti che l’aminopirrolo, conformemente, del resto, a quanto lascia prevedere la teoria, sia così instabile da non reggere all'azione di parecchi reattivi. Sic- come però noi abbiamo operato finora con piccolissima quantità di prodotto, non è escluso che si possa giungere anche alla preparazione dell’ aminopir- rolo, per la via che abbiamo scelta. Comunichiamo quindi i risultati otte- nuti fino ad oggi, nell'intento di assicurarci l’indisturbato proseguimento delle nostre ricerche. L'idrazide dell’ acido a-carbopirrolico FS a NH sì forma quantitativamente riscaldando l'etere metilico dell’ acido con la quan- tità necessaria di soluzione acquosa di idrato d'idrazina al 50 per cento. La reazione si svolge rapidamente e l’idrazide separasi in forma di polvere in- colora, pesante, cristallina, la quale purificata per cristallizzazione dall’ alcool diluito, fonde a 231-232° con ingiallimento verso 210°. Come tutte le idrazidi primarie è dotata di proprietà riducenti energiche e si condensa colla massima facilità, colle aldeidi; il pirrotlidrazone della dbenzaldeide, CH,N.CONH-N=CH.C;H;, cristallizza in pagliette incolore e fonde a 164-165°. L'acido nitroso agisce in modo normale sulla pirroilidrazide, trasfor- mandola totalmente nella o. vl Le 00. n<| (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Bologna. (2) Curtius, Berl. Ber. 29-782, Renpiconti. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 47 — 360 — questa sostanza è insolubile nell’ acqua fredda, solubilissima nell’ etere, solu- bile pure senza scomposizione nell’ alcool freddo; fonde a 105° con svolgi- mento di gas; deflagra debolmente scaldata su lamina di platino. L' idrogeno nascente in ambiente acido la trasforma totalmente in a-carbopirrolamide. L'a-pirroilazide, bollita con alcool assoluto, subisce la caratteristica trasformazione osservata dal Curtius in tante azidi e, svolgendo azoto, pro- duce il corrispondente pir7 1 Orbene, se tali condizioni sono soddisfatte, denotando con Wr, ToUGE DI RIVIS RE NOAVA] il numero di cui ci occupiamo, si ha (2) MORNARCEs Moda e) k o) de) (AI __V Var Viy ()) rT—k r—_k Si rT—k r— k MeIPrZOR A e ret fer) rT—k r—k r—k ek Ivi le v si suppongon disposte in ordine decrescente; / denota il numero di quelle diverse da 1, « il mumero di quelle uguali a v,, # il numero di quelle uguali a va+1, ---, 9 il numero di quelle uguali a 7. Giacchè la formola ora scritta è vera quando v=v,=...=w=1, volendo far vedere che essa è vera qualunque siano le v, supporremo qual- cuna di esse diversa da 1, e inoltre supporremo le v tali che le (1) sian soddisfatte. Ciò posto, ammettiamo vera la (2) in ogni spazio di dimensione inferiore ad ” e distinguiamo il caso in cui », > 2, dal caso in cui 1,==2. Nel primo caso chiamiamo omologhi due punti A, A' di C quando esiste | un S, che incontra semplicemente la C in t—/+-1 punti, fra cui A, ed ha | ancora con C contatti v, — punto, ...,v,_1 — punto e (v — 1) — punto in A'. Gli indici della corrispondenza sono: IZ — Vj + 1 5 r—_v+ 1 9 k— V, + 1,5 Preis tai ovo 1](@—0+1), [n—1,7-1,k5-1jn,e term, 00h come si rileva tenendo presenti le (1) e proiettando una volta da A e una volta dall’ Sy_r osculatore a C in A'. Le coincidenze di questa corrispondenza si hanno nei punti in cui gli S, di cui si vuole il numero, hanno con C contatti d'ordine a —1, e pre- — 981 — cisamente per ognuno di quegli Sx si hanno d coincidenze. Onde, in virtù del principio di corrispondenza di Chasles, si ha ERA MRO vg= 5! [o—m+1,r-w+1,%—w+1j vv 1] + ti Lr1,8—]; DVI MD, che si riduce subito alla (2) se al posto dei simboli che compariscono nel secondo membro, si sostituiscono le espressioni ch'essi denotano. Nel caso in cui v= 2, basterà considerare su C una corrispondenza involutoria chia- mando omologhi due punti della curva quando esiste un S, passante sempli- cemente per ognuno di essi che incontra semplicemente C in t —/+ 1 altri punti, e che ha inoltre con la curva medesima contatti v, — punto, ..., ?,-, — punto. In tal modo troveremo [A 0/6 een. = 2((—-/+1)[a-1,7-1,%k-1; Eng 0 VE VOTO] la quale, sostituendo al posto di [n—1,r—-1,% valore, si riduce alla (2) (!). La formola (2) è atta non solo a risolvere il problema che ci siamo proposti, enunciato nelle due maniere or ora considerate, ma anche a risol- vere un gran numero di questioni che provengono dalla considerazione di una involuzione segnata sopra una curva razionale di S, dalle /orme (varietà ad 7 —1 dimensioni) di un dato sistema. Si possono ad esempio, grazie alla (2), estendere i teoremi che il Deruyts dà alla fine della Nota citata a pie di pagina. eo a lisuo (‘) Per &=r — 1 la (2) dà una nota formola di De-Jonquières per le curve razionali. Cfr. De-Jonquières, Mémoire sur les contacts multiples d’ordre quelconque, ete. (Crelle, Bd. 66, 1866). Il sig. Deruyts in una sua Nota: Sur les groupes neutres, etc. (Bulletin de l’Acad. roy. de Belgique, (3), t. 35, 1898), dà una proposizione che equivale a questa: Una curva . ‘ —r—-l o & 3 . razionale ©" ammette t!v,...v4 (Co t ) spazi S,_r aventi con essa contatti t Vi — punto, ..., Vi — punto, essendo Du=r_-t+2. E necessario avvertire che, come I rilevasi dalla (2), essa è valida solo quando le » son diverse fra loro. Cristallografia. — orma cristallina del Tolano. Nota di G. BoERIS, presentata dal Socio STRUEVER. In una Nota di Bruni e Gorni (!), e in un'altra di Garelli e Calzo- lari (2), stampate in questi Rendiconti, sono inserite alcune mie osservazioni cristallografiche sullo stilbene, il dibenzile e l’azobenzolo, le quali fanno ri- saltare la somiglianza notevolissima di forma cristallina che passa fra questi composti. Il vedere quindi se essa si mantiene nel tolano non era senza interesse. Avendo avuto in dono dal prof. Korner alcuni cristalli di tale sostanza, li sottoposi a misure e trovai che la detta somiglianza sussiste e quanto mai spiccata. Ecco, integralmente, i risultati del mio studio sul Tolano: CCHsj—C=C—CH; Sistema cristallino: monoclino a:b:c = 2,21081:1 : 1,35990 = 64° 59 Forme osservate: {100{ 5001{ {110} }021{ }111} {201} }403{ }201| Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato N (021):(001) 67 44-68. 5. 6755. + 99 (110):(110) 52 57-53 8 59 Ù 6 (110):(001) 7850-7920 017 + 25 (100):(201) Lat 28 45 9$ 44 1 (201):(001) 36 00-36 26 36 16 36 15 4 (001):(403) 48 42-48 44 48 43 48 41 9 (403):(201) 18 00-18 14 18 8 18 1 3 (201):(100) È du 48 18 di (001):(111) 61 8-6128 6116 6119 3 (111):(110) 39 18-39 28 39 28 39 34 3 (201):(111) e 58 20 58 38 1 (I11):(021) Si 22 58 92 54 1 (1) Soluzioni solide e miscele isomorfe fra composti a catena aperta saturi e non saturi. Vol. VIII, 1° sem., 570. (®) Sul comportamento crioscopico di sostanze aventi costituzione simile a quella del solvente. Vol. VIII, 1° sem., 579. II =, den Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato N (021):(110) ci 25 45 25.50 1 (110):(201) LA 72 37 72 43 1 (201):(021) 72 7-72.35 7218 7221 5 (021):(110) 40 36-41 00 40 47 40 42 5) (110):(201) 66 43-67 16 66 57 66 57 8 (111):(100) = 52,47 82,50 1 ((DUO)e(C01) = 15,45 73,92 1 (111):(403) -_ 54,12 53,57 1 (403):(110) gici 79,30 79,40 1 (100):(110) 603,15-03,37 63,26 63,28 2 (021):(111) 56, 5-06,15 56,10 99,96 2 (021):(100) cm 80,40 80,51 1 (021):(021) 44, 9-44,20 44,16 44,10 1 (021):(403) a 75,53 75,88 1 (201):(111) 79,55-80,00 80,00 80,00 4 Sfaldatura non osservata. Piani degli assì ottici normali a :010!. Le bisettrici acute sono conte- nute nel piano di simmetria, ed approssimativamente parallele allo spigolo [100]. Dispersione orizzontale poco evidente, dispersione degli assi ottici abbastanza forte: 0 < »v. Per lo stilbene C©H;—CH=CH—C;H; le costanti che ebbi già a de- terminare sono ORI QNT 40083865054 Le forme osservate sono: }100} }001{ }110} j403{ }201! SI11{. Per il dibenzile C}H;—CH,—CH,— CH; caleolai a:b:c=2,08060:1:1,25217 8 = 6496 notando le forme }100} }001{ }201{ }111!. Infine per l'azobenzolo CCH;—N=N—C;H. ebbi DACIA 0005133123 MM =5034! ed osservai le forme: }100{ }001{ }110} }021{ }I11{ }201{ }403{. gi — Petrografia. — / ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta (Umbria). Nota di G. pe ANGELIS D'Ossar, presentata dal Socio TARAMELLI. Il Verri fu il primo che segnalò la presenza di ciottoli poligenici nella formazione arenaceo-marnosa del Monte Deruta. Sulle falde di questo monte se ne trovano in varie località. I ciottoli si rinvengono, o sporadicamente, o raccolti in lenti conglome- ratiche più o meno potenti e diffuse. Essi dalle più piccole dimensioni arri- vano a quelle di un metro di diametro; generalmente però oscillano fra i centim. 4-10. L'arenaria che cementa il ciottolame è più o meno grossolana e risulta degli stessi elementi litologici e dei loro minerali disaggregati ed alterati. Quando la grana diviene uniforme e sottile, allora non si può distin- guere dalle arenarie della formazione includente. Uno studio, che sì proponga l'indagine dei caratteri litologici distintivi fra la natura petrografica dei ciottoli e quella delle arenarie umbre, riuscirà, senza dubbio, interessante e ricco di risultati. Sgraziatamente però niuno si potrà mettere all'opera se non sarà prima determinato il riferimento cronologico delle arenarie con i dati paleontologici e stratigrafici. 1 La collezione svariata dei ciottoli esotici, che forma l'oggetto del pre- sente studio petrografico, fu raccolta quasi esclusivamente presso il Molino lungo l'Attone, in quel di Bevagna. Per portare pertanto il mio debole contributo alla lontana e difficile solu- zione dell’interessante quistione mi sono accinto a far conoscere la natura litologica ed il valore cronologico, quando fu possibile, dei czo/loli esotzei del Miocene medio del Monte Deruta. Passo per ora alla descrizione della raccolta. Rocce semplici. 1. Calcare paesino. Il colore, la struttura e la natura litologica è della più tipica paesina. I ciottoli sono criptocristallini, ma alquanto marnosi. Oltre alle solite ed intrecciantesi sottili vene spatiche, ve ne hanno di quelle maggiori, in cui fra la calcite si rinvengono granuli di quarzo e di ossidi di ferro. Non rari. Focene superiore. 2. Calcare alberese tipico. Di questa roccia alcuni ciottoli presentano la compattezza, la frattura, il colore e le dendriti. Al microscopio si scor- gono avanzi indeterminabili di organismi. Non rari. Hocene superztore. — 389 — 3. Calcare alberese oscuro. Gli stessi caratteri litologici dei prece- denti. Al microse. avanzi di foraminiferi : Globigerina, Textilaria, Nonio- nina? ecc.; i guscetti di questi animali sono di frequente ripieni di un mi- nerale di ferro, che spesso è totalmente o parzialmente trasformato in limonite. Non mancano spicule di spugne. Rari. Zocene superiore. 4. Calcare grigio, compatto, scheggioso, con vene spatiche. Struttura frammentizia. Al microse. molti foraminiferi, come: Globigerina, abbondanti Textilaria e vere Nummulites. La roccia somiglia ad un calcare eocenico appenninico. Frequenti. Zocene. o. Calcare rosato. Piccolo ciottolino che. mostra anche ad occhio nudo i foraminiferi che contiene, i quali però al microscopio sono indeter- minabili. Per i caratteri litologici si avvicina al calcare rosato cretaceo dell'Appennino, ma ha più intimi rapporti con quello del Giurassico della Toscana. Rarissimo. Giurassico? 6. Calcare criptocristallino, compatto, scheggioso, struttura oolitica, grigio-chiaro. È attraversato da molte vene spatiche. Anche questo calcare si avvicina a quello analogo del Liassico inferiore dell’ Appennino, ma offre più somiglianze con quello omotassiale della Toscana. Al microse. si rende chiara la struttura oolitica e nell'interno di qualche oolite si osservano in- certi foraminiferi. Rari. Zrassico. 7. Calcare nero, compatto, attraversato da una fittissima rete di sot- tilissime vene spatiche. Senza fossili. Per quanto si conosce nell'Italia media non trovo riscontro che in rocce o del Triassico inferiore o del Permo-car- bonifero. Notevolissime sono sulla superficie alcune strie molto somiglianti a quelle che solcano i ciottoli dei ghiaccia). Rarissimi. Epoca? 8. Calcare scheggioso, compatto, grigio, con pochi e mal conservati foraminiferi. La forma del ciottolo è discoidale e porta sulla superficie fori scavati sicuramente da molluschi marini, ciò che costituisce per noi un fatto degno di nota. Non raro. Epoca? 9. 0alcare scheggioso, oscuro, compatto, con sottili vene spatiche. Contiene foraminiferi indeterminabili e piccole laminette di mica oscura, pro- fondamente cloritizzata. Frequenti. Probabilmente Zocene. 10. Calcare oscuro, compatto, con grosse vene spatiche, contiene gra- nuli di quarzo, un minerale verde in piccole masserelle e resti di foramini- feri. Frequente. poca? 11. Calcare arenaceo, giallo-oscuro esternamente, grigio nell’ interno; compatto. È costituito quasi esclusivamente da frammenti di Briozoi e mo. raminiferi. Avanzi incerti di Nummulites. Non rari. Probabilmente, per il carattere litologico. Zocene. 12. Piromaca. Noduli silicei, grigio-oseuri, di origine organica, uguali a quelli che si trovano inclusi nelle rocce mesozoiche appenniniche. Fre- quenti. Mesozoico. — 386 — 13. Quarzite. Frequentissimi ciottoli, di color bianco-latteo. Il quarzo è il principale minerale, ma non mancano le solite impurità che conferi- scono colori diversi. Sono discretamente arrotondati. Hanno la maggiore diffu- sione, giacchè sì trovano in tutti i versanti del Monte Deruta. Rocce composte. Massicce. Gramiti. 1 ciottoli granitici sono molto frequenti, ma sgraziatamente così alterati da non permettere sempre uno studio petrografico; ciò che si verifica anche per gli gneiss. Generalmente i graniti sono mineralogicamente molto somiglianti fra loro e di una grande semplicità; essi però si differen- ziano specialmente per la grana ed il colore. Descrivo i tipi principali. 14. Granito microclinico. Un ciottolo subangoloso, grigio, con struttura finamente granosa, deve essere così denominato. Macroscop. si riconosce il feldspato bianco-latteo, il quarzo oscuro e piccoli puntini dati dal minerale colorante. — Al microscop. si riconosce la struttura epidiomorfa granosa. Il feldspato è abbondante, meno il quarzo, scarsa la mica. — Il feldspato è quasi totalmente microclino, come si riconosce dalla Getterstructur, e micro- pertite. V ha pure l’ortoclasio. In cristalli tabulari, polisintetici, noi tro- viamo pure il plagioclasio che, con tutta probabilità, appartiene all'oligo- clasio. — Il quarzo è allotriomorfo. — La mica oscura, biotite, alterata in clorite. — Frequenti i cristalli di apatite nel feldspato, rari i granuli di magnetite. Per la presenza degli stessi minerali e per il loro relativo rapporto e condizione, deve riportarsi a questa stessa roccia un altro ciottolo, che ne differisce specialmente per la grana più grossa e per il colore più oscuro, Dippiù quì si hanno lamine di mica oscura di maggiori dimensioni; la mu- scovite è scarsa, ma presente. Rari. 15. Granito biotitico 0 granitite. Roccia bianca con punti neri non frequenti, nè grandi. Internamente il ciottolo è abbastanza fresco. Anche macroscopicamente si riconosce la struttura ipidiomorfa granosa dovuta al feld- spato, al quarzo ed alla mica. Al microscopio si riconosce la grande quantità di feldspato, circa */, della massa, poi il quarzo e la mica. — Il feldspato appartiene all’ortoclasio in buona parte; in individui idiomorfi rispetto al quarzo, ma non agli altri feldspati. La struttura caratteristica a grata fa riconoscere per microclino piccole plaghette tabulari. La geminazione poli- sintetica. fittissima, secondo la legge dell’albite, di parecchi individui idio- morfi, tabulari, dimostra la presenza del plagioclasio. Parecchie osservazioni intorno all'angolo di estinzione delle lamelle emitrope nella zona normale a (010) ha dato per media un valore di pochi gradi. Col sistema di Becke nei contatti favorevoli col quarzo ottenni, nella posizione incrociata, 0 > Y; «>. Per queste ragioni il feldspato appartiene alla serie più acida del- l'oligoclasio. — Il quarzo, abbondante in individui allotriomorfi, presenta — 397 — l'estinzione ondulosa. — La mica oscura. biotite, è quasi completamente trasformata in clorite ed in ocra gialla: dove è ancora conservata presenta un forte pleocroismo da a giallo-chiaro a c bruno-oscuro. Nulla d’importante intorno ai rari minerali accessori ed agli inclusi. — Frequenti ciottoli; in alcuni è più abbondante la mica e gli elementi variano di poco nelle pro- porzioni. 16. Granito biotitico 0 granitite. Roccia grigio-oscura, minutamente granosa. Al microscopio si riconosce: feldspato, quarzo e mica. — Il feld- Spato appartiene in maggior parte all'ortoclasio e subordinatamente al pla- gioclasio. Il primo si presenta non limpidissimo in forme tabulari, non idiomorfe rispetto al plagioclasio. Questo in piccole tavolette è facilmente riconoscibile per la sottile lamellazione. Piccolissimo è il valore dell’angolo di estinzione, anzi essa è quasi contemporanea nelle lamelle emitrope secondo la legge dell’albite. L'osservazione secondo il sistema di Becke ha dato @ > y' e e >@' nella posizione incrociata. Anche qui adunque abbiamo un plagio- clasio della serie acida. — Il quarzo abbondante in individui allotriomorfi. — La mica oscura, biotite, è quasi completamente trasformata in clorite: dove è conservata, presenta forte pleocroismo. — Non vi ha altro di notevole. meno l'alterazione del feldspato in muscovite. A questa roccia si avvicinano altri ciottoli che differiscono solo per maggiore o minore alterazione dei minerali e per piccolissime differenze di grana. Sono frequenti. 17. Granito biotitico 0 granitite. La roccia è grigia per l'associazione di un minerale grigio-oscuro abbondante e di un altro bianco, meno fre- quente. Qua e là si osservano piccoli punti oscuri o di color di ocra gialla. La struttura ipidiomorfa granosa è lla più tipica. — Al microse. si 0s- serva che il feldspato costituisce quasi ‘/ della massa generale. Predomina l'ortoclasio in grossi individui, inalterato. Non mancano individui, idiomorfi. tabulari, di plagioclasio facilmente riconoscibili per la geminazione polisin- tetica. Il valore dell'angolo di estinzione simmetrica nella zona normale a (010) è di pochissimi gradi. Inoltre il sistema Becke, nei favorevoli con- tatti col quarzo, mi ha dato, nella posizione parallela, w>ea' es >y : nella incrociata © = y'; #> e’. Il plagioclasio adunque appartiene alla serie del- l'oligoclasio. — Il quarzo è abbondante in granuli allotriomorfi. — La mica biotite è alquanto rara ed in piccole laminette, trasformata quasi comple- tamente in clorite, porta punteggiature di ocra gialla. Nulla di notevole per gli altri minerali. Questi ciottoli sono non rari ed abbastanza. simili, alcuno però con grana più grossa e con i minerali meno alterati. Si ha in un ciottolo il passaggio alla seguente roccia. 18. Pegmatite. Chiamo così questa roccia perchè presentando una grande somiglianza con la precedente, da cui differisce per un maggiore sviluppo degli individui feldspatici (mm. 17) e per la diminuzione della mica, la sospetto - RenpicentI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. Sil — 588 — di natura filoniana. — Al microse. si scorge il feldspato ortoclasio molto abbondante. Sono frequenti lamine di microclino riconoscibile per la Gitter- structur. Il plagioclasio è meno frequente e si riconosce per la geminazione polisintetica. Spesso i grossi cristalli sono spezzati e come risaldati. Il valore piccolissimo dell'angolo di estinzione, nelle sezioni normali a (010), delle lamelle emitropi; ed il risultato col sistema Becke, nella posizione paral- lella, o>«, «>y'; fa ascrivere il plagioclasio alla serie più acida. — Il quarzo è relativamente scarso ed in non grandi individui allotriomorfi. — La mica oscura, rara e cloritizzata. — Niun altro minerale degno di nota. Fosso del Crocifisso (Torgiano). 19. Porfido quarzo-uralitico. Roccia di aspetto portirico ; nella massa generale, apparentemente omogenea, di color grigio debolmente tendente verso il violaceo, spiccano elementi quarzosi, oscuri, di cirea mm. 2, porfiricamente disseminati. Vi sono anche altri inclusi porfirici, biancastri che debbonsi riportare al feldspato, essi sono più piccoli e meno frequenti. Questi due minerali non sono idiomorfi, ma spesso arrotondati, corrosi e ridotti a gra- nuli. — Al microse. il quarzo si vede fresco, limpido e quasi sempre capric- ciosamente corroso dalla massa fondamentale che sovente lo compenetra: alcune sezioni però sono subesagone e talvolta formate da più cristalli riuniti. — Il feldspato di maggiori dimensioni appartiene ad un ortoclasio un poco so- dico come si rivela dal valore dell'angolo di estinzione, e contiene piccole lenti di un'altro feldspato, quasi come un principio di micropertite. Non manca il plagioclasio finamente lamellare, che per l'estinzione quasi contemporanea delle lamelle emitrope, secondo la legge dell’ albite, deve essere ascritto all’oligoclasio. I feldspati però sono alquanto alterati e quindi non permet- tono ulteriore determinazione. — Vi ha poi, non abbondante, l’uralite, in piccole pagliette che non mostrano chiari i contorni dell’augite. Essa però sì riconosce per il suo colore verde-chiaro, per il forte pleocroismo, per ì colori d’interferenza meno vivaci di quelli dell’ augite, per l’ intima struttura lamellare con fibre che estinguono quasi parallelamente. Non ho potuto vedere la sfaldatura dell’anfibolo. — La pasta fondamentale risulta degli stessi ele- menti, ma di piccole dimensioni. Non sì osserva quasi la base felsitica, ma solo la microcristallina. Non ho potuto rintracciarvi nè sferoliti, nè pseudo- sferoliti. Si potrebbe chiamare Porfido microgranito, corrispondente al granito con augite. Il Rosenbusch vorrebbe piuttosto denominare questa roccia Por- firite uralitica; ma io non lo faccio per la presente perchè vi è l’ ortoclasio in grossi elementi; mentre lo seguirò per la seguente che più sì avvicina al tipo della Valle di Fassa. Rari. 20. Porfrite quarzo-uralitica. — Roccia con distinto abito portirico, con una pasta, apparentemente omogenea, con grandi inclusi di quarzo, grigio- oscuri, che raggiungono le dimensioni di mm. 7. V' hanno ancora inclusi feldspatici, di color rosa-chiaro, di minori dimensioni, sino a mm. 4; e final- mente un minerale nero che non raggiungo mm. 1. Il quarzo ed il feldspato sono corrosi. — Al microsc. il quarzo è il più tipico dei porfidi. — Il feld- spato spetta in predominanza e nei grossi individui al plagioclasio; forse è presente anche l’ortoclasio, ma non ho potuto confermarlo a causa delle altera- zioni. Il plagioclasio appartiene alla serie dell’ oligoclasio, dacchè l’ estinzione delle lamelle emitrope, secondo la legge dell’ albite, è quasi contemporanea. I cristalli spesso sono profondamente alterati da intrusioni di associazione granofira costituita dagli elementi sostanziali. — Si hanno poi sezioni pres- sochè rettangolari e pagliuzze di uralite. riconoscibile per i caratteri ora esposti. — La massa fondamentale si risolve in piccoli granuli degli stessi elementi fra cui pare che manchi quasi totalmente la base felsitica di cui si ha appena traccia. Non si osserva altro di notevole. — Anche questa roccia impor- tante (Rosenbusch, Z/em. Gesteinslehre, pag. 315) è rara fra i ciottoli esotici. 21. Porfîrite quarso-uralitica. Aspetto porfirico. Entro una pasta omo- genea di un vago colore paonazzo, spiccano inclusi feldspatici mm. 4 verde-chiari; qua e là piccoli granuli di color verde cupo. — Al microse. gl'inelusi chiari si rivelano per feldspati, idiomorfi, plagioclasici con gemi- nazione polisintetica. Non si possono ulteriormente determinare dacchè sono alterati, talvolta pure in muscovite, e sono compenetrati da una massa gra- nosa uguale alla fondamentale. — Gl' inclusi verdi presentano l'abito del- l'augite, ma questa è del tutto uralitizzata e macchiata di ocra. — Il quarzo sì trova in piccoli granuli allotriomorfi, ma freschi. — Masserelle rare di pirite. — La massa fondamentale è tutta cristallina e costituita degli stessi elementi citati, ma in piccole proporzioni. Abbondantissime e vaghe sono le reciproche compenetrazioni di quarzo e feldspato che probabilmente appartiene all'ortoclasio, ma non sì può affermare, come accade di soventi in simili rocce. L'aspetto però della compenetrazione è uguale a quello che pre- sentano i Granofiri, di cui si osservano pure non chiarissime pseudosferuliti. — Deruta. Rarissimi. 22. Porfirite quarzo-uralitica. Roccia con pasta fondamentale grigio- violacea, entro la quale porfiricamente vi sono bianchi feldspati mm. 2-4, con inclusioni oscure; granuli di quarzo più rari, ma maggiori mm. 8-6; ed un minerale nero. — Al microse. si riconosce il feldspato per plagiocla- sico, con la geminazione polisintetica; ma è torbido per incipiente caoliniz- zazione e per la compenetrazione di una sostanza granosa di feldspato e quarzo. I caratteri ottici che presenta lo dimostrano della serie più acida. — Il quarzo è fresco e spesso corroso. — Il minerale oscuro era l'augite, in sezioni allungate secondo l’asse verticale, ma ora è uralite macchiata di ocra opaca. — Rara la pirite. — Nella pasta fondamentale granulare si osser- vano gli stessi minerali: fra i feldspati non si può escludere l'ortoclasio. In- teressanti sono le belle pseudosferuliti che divengono più riconoscibili ado- perando la lamina di gesso: esse risultano di fibre quarzose e feldspatiche. Deruta. Rarissimi. — 390 — Rocce composte. Stratificate. 23. Gneiss micaceo. Roccia bianco-grigiastra, con abbondanti strate- relli di mica oscura di spessore quasi uguale a quelli chiari e regolarmente alternanti. — Al microscopio sì riconosce la presenza degli elementi sostan- ziali; feldspato, quarzo e mica, tutti in individui di discrete dimensioni, i quali però localmente divengono più piccoli, per assumere la struttura granosa. Le lamine di mica oscura si vedono riunite in lunghe listerelle, si ha pure qualche pagliuzza isolata. Tutti i minerali presentano alterazioni. — Il feldspato è abbondante ed appartiene non solo all’ ortoclasio, che in forme tabulari è il più diffuso, ma anche al plagioclasio. L'ortoclasio spesso com- prende lamelle lenticolari e fusiformi di albite per costituire la micropertite, mentre che altre volte la struttura caratteristica ( Gi/terstruetur) rivela delle piccole e rare plaghe tabulari di microclino. Il plagioclasio. con sottile la- mellazione, secondo la legge dell’albite, ci offre una estinzione simmetrica di un piccolo valore angolare, quindi probabilmente appartiene all’ oligoclasio, ciò che ho potuto confermare col sistema di Becke. Il feldspato mostra sovente una incipiente trasformazione in caolino ed in rari casi in muscovite. — Il quarzo in plaghe grandi o piccole è sempre allotriomorfo, contiene piccoli inclusi probabilmente di feldspato; l'estinzione ondulosa è evidentissima. — La mica oscura, molto pleocroica, in lamelle allungate e profondamente al- terate in clorite. — Noto: aghetti di apatite inclusi nei feldspati, piccoli nuclei di magnetite esternamente in parte limonitizzati, finalmente granuli ricono- scibilissimi di zircone entro la mica. — Tutti i materiali hanno subìto in- genti forze dinamiche, come si riconosce dallo stiramento dei materiali 0 dalla estinzione undulosa accentuatissima del quarzo. Qui, con l’' Heim, si potrebbe ben distinguere la schistosità della roccia dovuta alla pressione, allo schiacciamento ed alla laminazione e l’altra nata dall’ originaria strut- tura di segregazione. Simili al ciottolo descritto se ne trovano molti altri, essendo lo gneiss la roccia cristallina antica più frequente. Essi si raccordano tutti a questo tipo; nelle diverse sezioni microscopiche di altri non ho notato differenze no- tevoli. Spesso è più abbondante la mica, altre volte le differenze nascono dalla maggiore o minore alterazione che hanno subìto i diversi minerali componenti. Solo un ciottolo ha mostrato una grandissima abbondanza di mica bianca rispetto alla oscura. Frequentissimi. Rocce clastiche. 24. Arenaria grigio-chiara, ad elementi riconoscibili ad occhio nudo, tenace, compatta, senza fossili. Al microscopio fa riconoscere i grani di quarzo — 391 — N in grande abbondanza, subordinatamente vi è il feldspato, rappresentato anche dal plagioclasio con geminazione polisintetica. Non manca la mica oscura, ma predomina la muscovite. Sono scarsissimamente rappresentati gli altri minerali. Somiglia macroscopic. perfettamente alle arenarie grossolane eoceniche. Rari. Locene. 25. Arenaria giallastra, a grana sottile, ad abbondante cemento calcareo. Frequentissime, al microsc., le sezioni di foraminifere indecifrabili. Anche questo ciottolo presenta piccoli fori indubbiamente prodotti da molluschi ma- rini terebranti. Somiglia alle simili rocce dell’ Eocene e del Miocene. Rari. Probabilmente Zocene. 26. Arenaria grigia, a grana più minuta della precedente; del resto nulla di notevole. Non rari. Epoca? 27. Arenaria oscura, compatta, a grana sottilissima, con poco cemento nel quale non manca il calcare che fa effervescenza all’ acido cloridrico. La punta d'acciaio appena vi lascia una traccia. Al microse. si esservano infiniti granuli di quarzo e poco cemento, in modo che la roccia potrebbe anche chia- marsi quarzite; ma la natura clastica è evidente. Somiglia a rocce analoghe paleozoiche e più alle eocemiche della Toscana. Raro nel fosso del Crocifisso (Torgiano). Zocene ? 28. Conglomerato. Un ciottolo di conglomerato ad elementi cristal- lini con cemento spatico. Si scorgono frammenti di rocce cristalline, di cristalli di feldspato, di quarzo ecc. Rarissimo. Epoca ? In un'altra prossima Nota procurerò di indagare, per quanto è possibile, il luogo di origine dei ezottoli esotici che ho cercato di descrivere. Geologia. — Swll esistenza dello sancleano nell’ Alta Valle. Tiberina. Nota del prof. A. SiLvesTRI, presentata dal Socio Ta- RAMELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sw comportamento dell’ acetilene con alcuni ossi- danti (*). Nota di A. BascHIERI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN. L'azione degli ossidanti sopra i composti contenenti il triplo legame non è ben nota in tutti i particolari. Io, per incarico ricevuto dal prof. Cia- mician, ho studiato l’ ossidazione dell’acetilene con diversi reagenti. Ho tentata l’azione del permanganato potassico, dell'acido cromico e dell'acido nitrico sopra l’acetilene; e mentre le due prime mi hanno fornito (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. — 392 — risultati conformi in gran parte a quelli già ottenuti dal Berthelot (!), col- l’unica differenza che non potei riscontrare l'acido acetico, più volte isolato dal predetto autore; l’ acido nitrico invece mi ha dato risultati, i quali, al- meno per quanto a me consta, non erano ancora stati ottenuti. Infatti, ossidando l’acetilene in opportune condizioni con acido nitrico della densità 1,52, ho ottenuto parecchi prodotti, di cui alcuni sono di na- tura acida, altri di carattere neutro. Tra i primi ho potuto isolare ed identificare il nitroformio (C(NO,):H) che analizzai allo stato di sale potassico ed ammonico, constatando per cia- scuno di essì le caratteristiche indicate da Schisckoff (2), da v. Meyer (#) e più recentemente da Hantzsch (4). Il nitroformio costituisce la parte più importante delle sostanze acide formatesi nell’ossidazione, quando si prescinda dall’ anidride carbonica che sì svolge sempre in copia nella reazione. Gli altri acidi che accompagnano il nitroformio sembrano essere di na- tura molto più complessa; sono solidi e una parte notevole di essi cristal- lizza dal benzolo in aghi giallo-chiari, fondenti a 145°-150°; sembra tuttavia che una frazione della miscela subisca per l'ebollizione col benzolo una de- composizione parziale con sviluppo di acido cianidrico. Dai prodotti neutri ho potuto isolare principalmente due sostanze: l'una, che si forma in scarsa quantità, è liquida, si può distillare nel vuoto, a 15 mm. di pressione bolle a 92°, e si presenta come un olio giallo chiaro di odore aromatico, insolubile nell'acqua di cui è più pesante. L'altra, solida, è solubile nella maggior parte dei solventi comuni: etere, alcool, acqua, benzolo, etere di petrolio, e da tutti questi si può fare cri- stallizzare. Si separa da tutti sotto forma di aghi bianco-giallastri che comin- «ciano a rammollire a 116°, fondendo a 120°. È assai stabile, e scaldata su lamina di platino deflagra debolmente, lasciando abbondante residuo di car- bone; se si opera in un tubetto, si avverte nettamente l'odore di acido prus- sico. L'analisi di questa sostanza ha condotto alla formola C5HyN,0;. Nulla si può dire per ora sulla costituzione di questo corpo; però non sembra cosa azzardata il supporre che esista qualche relazione di struttura tra esso e l’eulite C$HgN0;, che si ha per azione dell'acido nitrico sul- l'acido itaconico (?). È per altro probabile che la materia in questione con- tenga qualche gruppo CN, perchè bollita colla potassa alcoolica svolge am- moniaca. (1) Berthelot, Comptes rendus, LXIV, pag. 385; Ann. Supp. 5, pag. 95, e 150 pag. 374, ” Bulletin Société chimique 1870, febbraio, pag. 193 e maggio, pag. 113; Berichte 1870, pag. 142. (£) Schisckoff, Annalen 1011, pag. 213; 103, pag. 364. (3) V. Meyer, Ann. £S®, pag. 172. (4) Hantzsch, Berichte XXXII, pag. 628. (5) Beilstein, Handb. d. Org. Ch., Bd. IV, pag. 716. — 3939 — Da quanto ho osservato risulta nuovamente dimostrata la tendenza che ha l’acetilene di dare prodotti condensati con reagenti varî, tendenza già nota in passato e che riceve conferma anche nel recentissimo lavoro del Band ('), il quale per azione del cloruro di alluminio sull’ acetilene, ottenne composti contenenti molti atomi di carbonio. Mi riserbo di pubblicare altrove e per esteso i metodi seguiti nelle mie esperienze. Chimica. — Sw comportamento dei nitroderivati sciolti in acido formico. Nota 2* di G. Bruni e P. BERTI (°), presentata dal Socio G. CIAMICIAN In questa nota riferiamo il seguito delle esperienze da noi eseguite sulla dissociazione dei nitroderivati aromatici sciolti in acido formico. Nella Nota precedente (3) avevamo indicato come il punto più impor- tante da risolversi per studiare la causa di questa dissociazione fosse il se- guente: se la presenza di un atomo di idrogeno mobile nella molecola sia necessaria alla dissociazione del composto. A tale scopo ci siamo proposti di studiare il comportamento delle solu- zioni del trinitromesitilene Cs(CHs), . (NO»), nel quale non esiste più alcun +3.5 4,6, atomo di idrogeno mobile confrontandolo con quello degli altri nitroderivati e segnatamente di alcuni i quali avessero ancora un atomo di idrogeno. Come corpi che presentassero tali condizioni scegliemmo il dinitromesitilene CH (CHa), (NO), ed il trinitro-p-xilolo CH (CH), (N0),. 23. » di. 1919 Il trinitro-p-xilolo si dimostrò infatti assai fortemente dissociato. Pei composti nitrici del mesitilene non ci fu però possibile risolvere la questione mediante determinazioni crioscopiche, poichè a bassa temperatura essi sono quasi affatto insolubili in acido formico, mentre lo sono discreta- mente a caldo. Dovremmo quindi ricorrere a determinazioni ebullioscopiche. Qui però ci fu necessario un lavoro preliminare, non essendo nota la costante molecolare d’ innalzamento dell'acido formico. Dovemmo determinare approssimativamente questa grandezza scioglien- dovi sostanze presumibilmente normali come l’acido benzoico e il #8- naftolo, e trovammo il valore K = 34. Per quanto la cosa si potesse già @ prior presumere certa, si volle poi verificare con aitroderivati già studiati per via crioscopica, se essì si (1) Band. Chemiker Zeitung, pag. 628, maggio 1900. (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale dell’Università di Bologna. (3) Rendiconti di questa Accademia, 1900, 1° semestre, pag. 273. — 394 — mostrassero dissociati anche all'ebullizione, e si constatò difatti una notevo- lissima dissociazione nelle soluzioni del trinitrobenzolo e del trinitroanisolo. L'esame delle soluzioni del dinitro- e del trinitromesitilene ci mostrò quindi che il primo corpo è esso pure fortemente dissociato, e che l'ultimo al contrario dà valori perfettamente normali. Resta perciò assodato questo fatto: perchè un nitroderivato aromatico sia dissociato in acido formico, è necessaria la presenza di un atomo di idrogeno mobile nel suo nucleo benzenico. Il comportamento del trinitromesitilene diverso da quello di tutti gli altri nitroderivati aromatici, sta in accordo colle altre proprietà fisiche e chimiche di questa sostanza, e già anzitutto col suo colore e col suo aspetto esterno. Per quanto, come è noto da molto tempo, e come fece rilevare anche recentemente il Marckwald ('), i polinitroderivati e l'acido picrico stesso dai solventi anidri cristallizzino bianchi, pure nessun occhio sperimentato po- trebbe confondere tale colore, che è sempre un bianco opaco o latteo, col bianco perfetto e splendente del trinitromesitilene che non differisce in nulla da quello degli idrocarburi come la naftalina. Inoltre le soluzioni formiche incolore del trinitromesitilene non si colo- rano affatto in giallo per aggiunta d'acqua, come fanno quelle di tutti gli altri polinitroderivati. Infine le soluzioni alcooliche o metiliche non danno alcuna colorazione colla potassa o coll'’ammoniaca alcoolica. Tutti questi fatti parlano contro all'ipotesi esposta nell'ultima Nota, che la dissociazione sia dovuta alla formazione di composti di addizione. Si po- trebbe supporre bensì che i gruppi nitrici del trinitromesitilene non potessero formare composti di addizione per impedimenti sterici come quelli osservati da V. Meyer nell’ eterificazione degli acidi carbossilici aromatici, essendo cioè ciascuno di tali gruppi nitrici compreso fra due gruppi metilici; tale supposizione è però dimostrata infondata dal fatto che il dinitromesitilene i cui due gruppi nitrici sì trovano nelle stesse condizioni è invece forte- mente dissociato. Noi abbiamo però voluto constatare direttamente la esistenza o meno di composti di addizione, studiando l'andamento completo della curva di congelamento delle miscele di acido formico e di un nitroderivato che in soluzione sì dissocil. Come tale venne scelto l'o- nitroclorobenzolo che, come diremo più avanti, è fortemente dissociato. L'andamento di tale curva, i cui dettagli sperimentali daremo più avanti, è indicato esattamente dalla fig. 2*, e schematicamente dall’annessa fig. 1° (I), dalla quale si vede come essa escluda l'esistenza di un composto di addi- zione. (1) Berichte, XXXIII, 1128.. — 395 — Infatti essa è composta di due soli rami incrociantisi in un unico punto crioidratico, l'andamento normale cioè per le miscele di due corpi che non si combinano fra loro. [l ramo più lungo di tale curva (quello che parte dal punto di conge- lamento del cloronitrobenzolo) è, quale venne constatato in miscele di altre 0%, 50.9/o 100.90 sostanze non combinantisi fra loro, una curva a doppia curvatura ma non presenta alcun punto di massimo, nè alcuna discontinuità nell’andamento che accenni all'esistenza di un composto di addizione per quanto instabile. Ciò riuscirà più evidente ove si confronti la nostra curva con quella determinata da Kurilof (1) per le miscele di benzolo ed acido picrico (che come è noto dànno un composto instabile) che è riportata schematicamente nella fig. 12 (II). Possiamo quindi concludere che l'ipotesi dell’esser dovuta la dissocia- zione dei nitroderivati aromatici alla formazione di composti di addizione, appare da escludersi. Sulla vera causa della dissociazione non ci si può ancora pronunciare con certezza; si può però affermare che, perchè essa avvenga, è necessaria la presenza di un atomo di idrogeno nel nucleo benzenico. Faremo quindi rilevare un fatto notevole, ed è che il numero dei gruppi nitrici esistenti nella mo- (*) Zeitschr. f. phys. Ch., XXIII, pag. 672. RenDICONTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. 52 — 396 — lecola non sembra esercitare un’ influenza decisiva sul grado della dissocia- zione, come si rileva dalle tabelle date nella nota precedente ed in questa. È ben vero che il dinitrobenzolo ed il trinitrobenzolo sono più disso- ciati del mononitrobenzolo; ma anche l'introduzione di altri gruppi negativi nella molecola produce l'aumento del grado di dissociazione; infatti non vi ha differenza notevole sotto questo aspetto, ad esempio fra i polinitrobenzoli ed i cloronitrobenzoli. Queste considerazioni potrebbero indurre a ritornare all'antica ipotesi di V. Meyer, che la dissociabilità sia dovuta agli atomi di idrogeno del nucleo benzenico stesso, e causata dalla presenza dei gruppi nitrici fortemente elet- tronegativi. Contro questa ipotesi non sta finora in realtà alcun argomento decisivo, poichè la formazione dei composti di Hantzsch può essere spiegata anche in base ad essa. Sarebbe però necessario il vedere se questa sia un'azione specifica dei gruppi nitrici o se altri atomi o gruppi elettronegativi possano produrre gli stessi effetti. Ci riserviamo di proseguire le nostre ricerche anche in questo senso. Riguardo all'altra ipotesi da noi prima esposta, che la dissociazione sia dovuta alla formazione di un gruppo isonitrico, si vedrà che le esperienze qui descritte non portano alcun argomento nè in favore, nè contro di essa. Diamo ora i risultati sperimentali sopra accennati e quelli delle deter- minazioni crioscopiche eseguite su alcuni altri nitroderivati, come i cloroni- troderivati isomeri, gli acidi nitrobenzoici ed i loro eteri metilici. Determinazioni crioscopiche. Concentrazioni Abbass. term. Peso mol. (K = 27,7) Depress. mol. Trinitro- p- xilolo: Cs H, N30; = 241 0,513 0,910 142 47,0 o- cloronitrobenzolo: © H, CINO, = 157,5 0,781 09,17 127 34,2 1,501 09,325 128 34,0 2,740 09,59 143 30,4 m- cloronitrobenzolo : C; H, CINO;, = 157,5 0,651 09,155 116 97,9 1,441 00,345 115 37,7 2,645 09,545 134 32,4 — 397 — Concentrazioni Abbass. term. Peso mol. (K = 27,7) Depress. mol. p- cloronitrobenzolo: 0; Hi CINO, = 157,5 0,571 0°,135 Ty 37,2 1,496 00,345 120 36,9 Acido o- nitrobenzoico: 0, H; NO, = 167 1,053 0°,245 119 38,3 1.744 09,39 123 37,5 2,854 0°,61 129 36,5 Acido m- nitrobenzoico: 0, H; NO, = 167 1,514 09,25 145,5 DI Acido p- nitrobenzoico: C, H; NO, = 167 0,300 0°,08 103 44,5 o- nitrobenzoato metilico: C, H, NO,= 181 0.712 09,17 116 43,2 1,508 09,35 126 39,6 2.570 0°,49 145 34,5 m- nitrobenzoato metilico: Cs H, NO,= 181 0,803 09,19 ig 42.8 1.723 09,40 119 42,0 2.569 09,58 122 40,8 p- nitrobenzoato metilico: Cz H, NO,= 181 0,751 09,15 138 36,1 1,426 0°,28 141 39,9 Determinazioni ebullioscopiche. Come dicemmo, la costante ebullioscopica dell’acido formico non era nota. Noi eseguimmo quindi alcune determinazioni con due sostanze presu- mibilmente normali, #- naftolo ed acido benzoico, ed avemmo per valore medio K = 84. Questo valore non sta molto in accordo con quello che si dedurrebbe dal calore latente di vaporizzazione, come risulterebbe da antiche misure di Favre e Silbermann (!) e di Berthelot e Ogier (2). Faremo però notare che i numeri di tali autori sono anche affatto sconcordanti fra loro e non si ha inoltre alcun dato intorno alla purezza delle sostanze da loro (1) Ann. ch. phys. [3], XXXVII, 461 (1853). (2) Ann. ch. phys. [5], XXIII, 201 (1881). — 398 — impiegate, ciò che ha una grande importanza trattandosi di un corpo che così difficilmente si può avere anidro, come l’acido formico. Sarebbe quindi assai utile una nuova determinazione del calore latente di vaporizzazione. Favre e Silbermann dànno il valore: w = 120,72. Berthelot e Ogier: w = 103,7. Dalle nostre determinazioni esso risulterebbe secondo la formola di van 't Hoff: 2 Sia ( 2 DEE pe Am t7 do ) K — 1825290 Nelle determinazioni fu impiegato l'apparecchio di Beckmann nuovo modello Concentrazioni Innalz. term. Peso mol. (K = 34) Innalz. mol. B- naftolo: C,, H:30 = 144 0,647 00,15 146,6 33,4 1,601 00,375 145,1 33,7 2,436 00,535 154,8 31,6 Acido benzoico: C,Hyj0,= 122 1,915 00,54 120,6 34,4 3,031 00,84 125,9 33,8 1.3.5 Trinitrobenzolo: Cs Ha N3 06 = 213 0,846 00,165 174,9 41.5 1,690 00,305 188,4 38,4 2,457 09,435 192 37,0 ‘2.4.6 Trinitroanisolo: C.,H; N30, = 243 0,484 00,10 164,6 50,0 0,980 00,19 175,9 47,0 1,690 00,29 198,1 41,7 Dinitromesitilene: C, H,, NN 0,= 210 0,425 0°,10 144,5 49,4 0,827 09,19 148 48,9 1,295 00,27 165 43,7 Trinitromesitilene: Cs Hi N35 06 = 255 0,434 09,06 246 35,2 0,874 09,12 247,6 35,0 | 1,348 09,19 241,2 35,9 i — 399 — Determinazione della curva di congelamento delle miscele di 0- cloronitrobenzolo e acido formica. Per la determinazione della curva di congelamento adoperammo il solito apparecchio di Beckmann, servendoci di un termometro diviso in decimi di grado. 0 10 20.80 40 50 60 70 80 90 100 Molecole di cloronitrobenzolo in 100. Merz Nella tabella seguente diamo i risultati delle nostre esperienze indicando nella 2* e 3* colonna le quantità in grammi di acido formico e di cloroni- trobenzolo; nella 4* e 5* colonna le stesse quantità riferite a 100 grammi di soluzione; nella 6% e 7* le quantità di molecole riferite a 100 molecole di miscela; nell'ultima infine diamo le temperature di congelamento. Nella curva qui sopra tracciata indichiamo sull’ asse delle ascisse le quantità di molecole di cloronitrobenzolo per 100 di miscela, e su quello delle ordinate le temperature di congelamento. — 400 — Esperienze vat and XIV XV XVI XVII VIT XIX xOx XXI XXII VOR | XXIV | XXV XXVI XXVII XXVIII XXIX VDC XXXI Grammi Acido formico Cloro- nitrobenzolo 0,00 0,1066 0,2012 0,3649 0,4800 0,7220 0,9995 1,0228 2,0157 3,0901 3,9770 4,9512 5,8550 7,5973 9,2932 11,1484 12,9594 14,5294 16,1474 29,1051 12,41 16,47 18,94 6,62 24,22 32,70 3,60 —**°*°**&*=*=*<@*''É'‘tf&îî?'>'°'faorrnran___—_—_—__—_===> Concentrazione in grammi Concentrazione in molecole | Tempe- perature Acido formico 100,00 99,225 98,512 97,333 96,603 94,976 93.176 90,967 83,63 76,92 72,14 67,54 63,76 57,55 52,57 48,08 45,30 41,50 37,05 32,80 98,72 93,99 20,89 18,38 17,11 13,26 12,62 7,46 5,51 2,74 0,00 Cloro- nitrobenzolo 0,00 0,775 1,488 2.667 3,397 5,024 6,824 9,033 16,37 23,08 27,86 32,46 36,24 49,45 47,43 51,97 54,70 58,50 62,95 67,20 71,28 76,72 79,11 81,62 89,89 86,74 87,38 92,54 94,49 97,26 100,00 Acido formico 100,00 99,772 99,552 99,190 98,983 98,478 97,006 97,118 94,474 91,597 89,65 87,44 85,44 31,93 78,76 75,56 72,68 70,46 66,47 60,92 58,91 51,40 ATAA 43,47 41,41 34,19 33,14 21,65 16,48 9,23 0,00 Cloro- nitrobenzolo 0,00 0,228 0,448 0,810 1,017 1,522 2,094 2,882 5,526 8,403 10,35 12,56 14,56 18,07 21,24 24,44 97,32 29,64 33,53 39,08 ! 41,09 | 48,60 52,56 56,53 58,59 65,81 66,86 78,35 83,52 90,77 100,00 di congela- mento 6 0 ut UU Ss Sa Si SD 24 SPA 93 175 57 45 — 401 — Fisiologia. — L'azione dei farmaci antiperiodici sul pa- rassita della Malaria (*). Nota IV dei dottori D. Lo Monaco e IL. PANICHI, presentata dal Socio LucIanI. Una delle quistioni più importanti non ancora risolute che riguardano la patologia dell’ infezione palustre, è quella di potere stabilire se il paras- sita malarico sviluppi un veleno, come i bacilli patogeni. A questa quistione si riannoda l’altra, la quale dovrebbe spiegarci per quale meccanismo molte febbri malariche, specialmente le primaverili, possano guarire da sè senza l'aiuto della cura specifica. Il nessun rapporto che talora esiste tra la quantità dei parassiti ade- renti ai globuli e circolanti nel sangue di ammalati di febbre estiva, e l’'in- tensità dei sintomi clinici; il fatto che spesso nei casi di febbre malarica sperimentale all'inizio dell’elevazione termica non si trovano parassiti glo- bulari, e l'osservazione che la morte per malaria può avvenire anche quando non si trovano nel sangue forme parassitarie, hanno fatto ammettere la for- mazione di una tossina pirogena la quale avrebbe origine dalle forme spo- rulanti ed agirebbe producendo l’ intossicamento del plasma (Baccelli). D'altra parte l'anemia, il coma, la nefrite acuta, e gli altri sintomi che si osser- vano nelle febbri malariche gravi aumentano le probabilità che anche nella malaria ci sia un veleno specifico. Le esperienze peraltro condotte con molto rigore allo scopo di mettere in evidenza queste sostanze venefiche, sono finora riuscite negative per quanto siano stati tentati tutti i metodi di ricerca che nelle altre malattie d’infezione hanno dato buoni risultati (Celli). Ciò non ostante è da osservare che probabilmente i metodi che giovano per le ricerche delle tossine nelle malattie bacillari, nel caso della malaria non sono appli- cabili, sia perchè finora non è stato trovato fuori del vivente un terreno adatto di cultura per il parassita malarico, sia perchè esso non si sviluppa se viene trasportato in organismi animali eterogenei. ° Gli studî contemporaneamente eseguiti allo scopo di spiegare l’ immu- nità nella malaria con la teoria cellulare, hanno invece dato risultati sod- disfacenti. Molti autori, infatti, che si sono occupati della malaria, hanno sostenuto il concetto che in questa malattia la difesa dell'organismo viene compiuta dai leucociti. Marchiafava, Celli, Guarnieri, Bignami, Bastianelli ed altri, hanno osservato i fenomeni del fagocitismo direttamente sotto il campo del microscopio, prendendo il sangue dai vasi o dagli organi dei morti per perniciosa. È merito però di Golgi (2) di aver notato che nelle febbri malariche primaverili (terzana o quartana) si presentano coll’ insorgere della (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia di Roma. (2) Att. Acc. Medica di Roma, 1891-92. — 402 — febbre le manifestazioni del fagocitismo, le quali aumentano nel decorso di essa e terminano nelle prime ore del periodo apirettico, per poi ricominciare appena s' inizia il nuovo accesso febbrile. I risultati di queste osservazioni furono da Golgi riassunte nella seguente legge: « Il fagocitismo è processo che svolgesi periodicamente quale regolare funzione dei leucociti, funzione che si compie con precisabili modalità in corrispondenza di determinate fasi del ciclo evolutivo dei parassiti malarici, e in determinati periodi di ciascuno accesso febbrile =. Da questa legge l’autore, oltre a stabilire che dalla pre- senza delle forme fagocitarie nel sangue si può giudicare se è preesistito, e approssimativamente da quante ore, un accesso febbrile, crede di potere af- fermare che se molte febbri non divengono perniciose, ciò si deve alla di- struzione dei parassiti fatta dai leucociti. Le osservazioni posteriori però hanno dimostrato che l’aggravarsi o l’attenuarsi del decorso dell’ infezione malarica, non dipende dalle maggiori o minori manifestazioni fagocitarie. Bastianelli, Marchiafava e Bignami misero in rilievo il fatto che il reperto dei fagociti nel sangue circolante è sempre proporzionale alla quantità dei parassiti, e trovasi quindi minimo nella quartana, più ricco nella terzana, e ancora più ricco nelle estive. Dimodochè non si ha la prova che i fago- citi sieno più attivi in quelle febbri la cui guarigione avviene facilmente, nè d'altra parte nei casi gravi si è autorizzati a credere che i fagociti sì rifiutino nella loro funzione, perchè le manifestazioni fagocitarie in essi sono per l'appunto più notevoli. Si deve quindi escludere che la guarigione spon- tanea dell'infezione dipenda dalla fagocitosi, nè i fenomeni che altri autori hanno messo in rilievo, come la morte spontanea delle forme parassitarie in via di sviluppo (forme libere, globuli ottonati) e il passaggio in gameti e in semilune di molti parassiti, sono sufficienti a farci comprendere il mec- canismo della completa scomparsa dei parassiti nei malarici. Bastianelli (!) in conseguenza sostiene che, se si vuol dare la massima importanza all’azione del fagocitismo, si è costretti a pensare che a un certo periodo dell’ infezione intervenga qualche fattore, per il quale i parassiti facilmente cadono in preda dei globuli bianchi; ma, non essendo ciò dimostrato, preferisce attri- buire il fenomeno alle diverse qualità biologiche dei parassiti, all'attività e alla variabile virulenza di essi. Tutto ciò restava per quanto appoggiato dai sintomi clinici nel campo delle ipotesi, nè alcun fatto nuovo finora è venuto a portare la luce su queste quistioni. La malaria così può essere compresa in quella classe di infezioni, per le quali la teoria fagocitaria è stata trovata insufficiente a spiegare il fenomeno dell’immunità. Tra queste infezioni si notano specialmente quelle che sono prodotte da microbi appartenenti al gruppo dei vibrioni, per i quali l'immunità è stata invece attribuita a sostanze battericide che si trovano (1) Riforma Medica, maggio 1888. 409 x negli umori organici. La presenza di esse è stata per la 1° volta osservata da Pfeiffer, il quale dimostrò che iniettando nella cavità peritoneale di una cavia o di un coniglio precedentemente immunizzato contro il colera, una certa quantità di vibrioni colerici, un gran numero di essi subisce dopo breve tempo una modificazione molto interessante. Essi prima divengono quasi tutti immobili, e molti assumono la forma di granuli rotondi, dopo questi gra- nuli sono meno colorabili, si disgregano e la coltura subisce una distruzione assai rapida. Paragonando il fenomeno di Pfeiffer con i risultati da noi ottenuti stu- diando l’azione della chinina sui parassiti malarici, non è difficile trovarvi molti punti di rassomiglianza. Pfeiffer ammette la presenza delle sostanze battericide nel colera, perchè negli organismi immunizzati contro questa malattia, i vibrioni colerici si disgregano; e noi ci crediamo autorizzati ad ammettere nella malaria la presenza di sostanze antiparassitarie per il fatto che la resistenza dei parassiti alla chinina, cambia periodicamente, atte- nuandosi durante l’accesso febbrile. Questa attenuazione, oltrechè dalle espe- rienze 22 vitro, è confermata anche da quelle cliniche, le quali dimostrano che durante l'elevazione della temperatura, per produrre la guarigione del- l'infezione, occorrono dosi di chinina molto più piccole di quelle che dovreb- bero prescriversi nel periodo apirettico. Il fenomeno di Pfeiffer non solo è stato ritrovato in altre malattie infettive, ma sulla natura delle sostanze battericide sono venuti fuori moltissimi lavori, i quali per mezzo di nuovi ed appropriati metodi, dimostrano con grande evidenza che esse sono speci- fiche e di origine leucocitaria. Di questi metodi i quali ci metteranno in grado di riconfermare la esistenza delle sostanze antiparassitarie e di defi- nirne la natura e le proprietà, intendiamo servirci nei prossimi nostri studî sulla malaria. Ma fin d'ora con l'ammettere in questa infezione la comparsa di sostanze antiparassitarie, si può concepire quanta influenza esse esercitano sul decorso della malattia; e, se si ritiene possibile che le sostanze anti- parassitarie possano alle volte, per ragioni a noi ignote, diminuire o aumen- tare, il meccanismo delle guarigioni spontanee e dell'esito letale, nei casi gravi, non ci sarà più ignoto. Non bisogna però mai tralasciare di mettere in rapporto l'influenza delle sostanze antiparassitarie sul decorso delle varie infezioni malariche con le proprietà biologiche dei diversi parassiti. Nella febbre terzana primaverile la virulenza dei parassiti è tanto bassa che può essere vinta dalle dosi terapeutiche di chinina, facendo pur a meno dell’azione delle sostanze antiparassitarie della cui presenza noi ci gioviamo, o per pre- scrivere quantità più piccole del rimedio specifico, o per ispiegare come avven- gono le guarigioni spontanee; nelle estive invece la virulenza dei parassiti è tanto forte, che la chinina non riescirebbe a vincere l'infezione, se con- temporaneamente le sostanze antiparassitarie non diminuissero la resistenza dei parassiti. (O, d DI RenpIconTI. 1900, Vol. IX, 1° Sem. — 404 — PERSONALE ACCADEMICO Nell’adunanza generale del 9 giugno 1900, colle forme prescritte dallo Statuto, l'Accademia procedette alla elezione del Presidente, del Vicepresi- dente e dell’Amministratore aggiunto. Lo spoglio dei voti venne fatto dai Soci scrutatori LANCIANI e RIGHI. La votazione pel Presidente dette i risultati seguenti: Votanti 51. — MEesseDAGLIA voti 35; CreMoNA 12; ViLLarI P. 1; schede bianche o disperse 3. — Eletto MESSEDAGLIA. La votazione pel Vicepresidente dette i seguenti risultati: Votanti 51. — BLASERNA voti 32; CannIZzARO 5; CREMONA 5; schede bianche 9. — Eletto BLASERNA. Queste nomine, a termini dell'art. 15 dello Statuto accademico, saranno sottoposte all’ approvazione di S. M. il Re. La votazione per l'Amministratore aggiunto dette i risultati seguenti: Votanti 49. — GATTI voti 31; CeRRUTI il: Bopio 2; ScHuPFER 1; To- paRO 1; schede bianche 3. — Eletto GATTI. La Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali deliberò di pro- ceder subito alla elezione del suo Segretario e del Segretario aggiunto, cariche rimaste vacanti. La elezione del Segretario dette i seguenti risultati: Votanti 26 — CerRruUTI voti 19; Grassi 1; schede bianche 6. — Eletto CERRUTI. La elezione pel Segretario aggiunto dette i risultati seguenti: Votanti 27. Grassi voti 21; Srrilver 1; schede bianche 5. — Eletto GRASSI. Vari INDICE DEL VOLUME IX, SERIE 5°. — RENDICONTI 1900 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AGAMENNONE. « Il pendolo orizzontale nella sismometria ». 107. — « Sismoscopio elettrico a doppio effetto per le scosse sussultorie ». 204. — « Sopra un nuovo tipo di sismometro- grafo ». 304. ALBINI. — V. Pirotta. ALmansi. « Integrazione della doppia equa- zione di Laplace ». 273; 298. Amapuzzi e Leone. « Il fenomeno di Hall in un liquido non elettrolita ». 252. ANGELI. « Sopra i nitrochetoni e gli orto- nitroderivati ». 41. AscoLi. Viene comunicata una sua lettera, relativa alla sua rappresentanza del- l'Accademia alle feste pel 2° centenario dell’Accademia delle scienze di Berlino. 270; — riceve un voto di plauso pelmodo col quale rappresentò l'Accademia dei Lincei alle feste anzidette. 326. B BascHieRI. « Sul comportamento dell’ace- tilene con alcuni ossidanti ». 391. BELTRAMI (Presidente). Annuncio della sua morte. 95. Berti. — V. Bruni. BerTtRAND. Annuncio della sua morte. 312. BLASERNA (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 29; 92; 181; 270; 313; 376. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci: Bassani, Borzì. 92; Cocchi. 23; 376; Cossa. 23; D'Achiardi. 92; Delpino. 23; D'Ovidio. 269; Darwin, Darboux. 181; De Lapparent. 312; Gegenbaur, Green- hill. 92; Haeckel. 92; 312; Helmere. 92; Huggins. 181; Klein. 312; Kdl- licker. 181; Mattirolo. 376; Millose- vich. 23; Mosso. 312; Naccari. 269; Noether. 312; Pincherle. 376; Pirotta. 92; Pfliger. 269; 376; Righi. 312; Taramelli, Veronese. 92. — Id. dei signori: Balch. 376; Bequinot. 269; Bombicci.92; Bonci, Brédichine. 181; Canevari. 181; Cassani. 269; Catto- lica. 376; De Lorenzo. 92; De Toni. 23; 181; Guarini-Foresio. 92; Jatta. 23; Joly. 269; Lanciai. 23; Lindman. 8760; Lussana. 92; Nordstedt. 376; Oddone. 181; Robinski. 376; Romiti. 181; Sars. 92; 181; Vèzes. 269. -- Presenta il tomo 4° delle @uvres com- pleètes di A. Cauchy. 23; la Relazione sulle ricerche eseguite in Africa sulla malaria dei signori oss, Annett e — 406 — Austen. 269; una Monografia sugli anellidi dell'Inghilterra di W. Car- michael Mc. Intosh. 269; il vol. 1° dei risultati scientifici della « Spedizione norvegese al polo nord » di Y. Mansen. 813; la « Storia della R. Accademia delle scienze di Berlino » di A. Har- nack.313;il 4° fascicolo dell’ « Atlante fotografico della Luna » dei signori Levy e Puiseur. 313. BLASERNA (Segretario). Presenta una copia della medaglia coniata in onore del Socio straniero prof. Stokes e inviata in dono dall’ Università di Cambridge. 181; un volume pubblicato dalla So- cietà filosofica di Cambridge in onore dello stesso Socio Stokes. 376. — Dà comunicazione dei telegrammi e delle lettere di condoglianza, per la morte del Presidente Beltrami, inviate all’Accademia da Soci e da Istituti scientifici. 142; 269; 312. — Presenta un piego suggellato del sig. Vi- cini. 181. — Dà comunicazione degli elenchi dei la- vori presentati per concorrere al premio Reale per la Chimica e ai premî del Ministero della Pubblica Istruzione per le Scienze fisiche e chimiche, pel 1899. 24. — E eletto Vicepresidente dell’Accad. 404. BoerIs. « Sopra la perowskite di S. Am- brogio in valle di Susa ». 9; 52. — « Formacristallina del Tolano ». 342; 382. BoxnarELLI. Invia, per esame, la sua Me- moria: « Appunti sulla costituzione geologica dell’isola di Creta ». 137. Sua approvazione. 312. BrunI e BERTI. « Sul comportamento crio- scopico dei nitroderivati sciolti in acido formico ». 273. — Sulle proprietà dell’ipoazotide come sol- vente ». 321. — « Sul comportamento dei nitroderivati sciolti in acido formico ». 395. Detto e Pappapà. « Sulla natura e sulle proprietà delle soluzioni colloidali ». 354. C Cancani. « I rombi laziali del 16 febbraio 1900 ». 304. CapPELLINI. « La Rovina ‘della Piana del Soldato presso Grotta Arpaia a Porto Venere nel 1895 ». 143. — « Balenottera miocenica della Repub- blica di S. Marino ». 233. Cerruti. Presenta il vol. IX della edizione nazionale delle Opere di Galileo Ga- lilei e ne parla. 24. — È eletto Segretario della Classe di scien- ze fisiche, matematiche e naturali. 404. — « Commemorazione del defunto Presi- dente Eugenio Beltrami ». 139. CLerIci. « Appunti per la geologia del Viterbese ». 56. Corsino. « Correnti indotte in un trasfor- matore per l'interruzione della corrente primaria con l'apparecchio di Weh- nelt ». 102. Cremona. Fa omaggio di due pubblicazioni del prof. C. Guidi. 270. D D’AcHiarpi. « Larderellite dei soffioni della Toscana ». 342. De AnceLIs d’Ossat. « I ciottoli eso- tici nel Miocene del Monte Deruta ». 384. De Francesco. « Sull’integrazione delle equazioni differenziali del moto spon- taneo di un corpo rigido in uno spa- zio di curvatura costante ». 245. De SreranI. Fa parte della Commissione esaminatrice della Memoria Bonarelli. 137. D1r LEGGE. « Osservazione dell’ eclisse di sole del 28 maggio 1900, fatta al R. Osservatorio del Campidoglio ». 328. F Foà C. « L’innesto delle ovaia, in rap- porto con alcune questioni di biologia generale ». 176; 230. FrancHI. « Sulla presenza di roccie gia- deitiche nelle Alpi occidentali e nel- l'Appennino ligure ». 349. — 407 — G GartI. È eletto Amministrat. aggiunto 404. GiacomeLLi. « Sulla latitudine del Monte Mario n. 329. Gorini. « Sulle inclusioni cellulari nell’in- nesto vaccinico della cornea e sui loro rapporti colle inclusioni cellulari nei tumori maligni ». 266. GranpIs. « Studî sulle leggi che regolano l’eliminazione dell’acido carbonico nella respirazione. — Influenza della concen- trazione del sangue sulla tensione del CO. contenutovi ». 84; 130. — «Influenza dello stato igrometrico sul passaggio del CO» dal sangue all’aria ». 224. — « Studî sulla composizione della pla- centa. — Componenti solidi e liquidi, sostanze organiche, materie estrattive ed albuminose della placenta ». 170. — «La composizione delle ceneri della placenta ». 262. Derto e MainINI. « Di una reazione colo- rata la quale permette di svelare i sali di calcio depositati nei tessuti orga- nici ». 280. Grassi. Cenno necrologico del Socio Z'om- masi-Crudeli ». 375. — È eletto Segretario aggiunto della Classe di scienze fisiche, matematiche e na- turali. 404, GuaLpi e MarTIRANO. « L'azione della chi- nina sulle semilune ». 177. GuaLiELMo. « Intorno ad alcuni modi per correggere e per evitare l’ errore di ca- pillarità negli areometri a peso costante e a volume costante, ed intorno ad al- cune nuove forme dei medesimi ». 9. — «Intorno ad alcuni nuovi areometri ad immersione totale, ad inclinazione va- riabile e a riflessione ». 33; 71. L Leone. — V. Amaduzzi. Levi-Crvira. « Complementi al teorema di Malus-Dupin ». 102; 185; 297. Lra1s. Annuncio della sua morte. 269. Lovisato. « Fayalite alterata delle gra- nuliti di Villacidro ». 345. Lo Monaco e PanIcHI. « L'azione dei far- maci antiperiodici sul parassita della malaria ». 366; 401. M Marnini. — V. Grandis. Martirano. — V. Gualdi. MessEDAGLIA. — « I venti, l’ orientazione geografica e la navigazione in Omero ». 236. — È eletto Presidente dell’Accademia.404. MiLLosevica E. La Classe di scienze fisi- che, matematiche e naturali delibera di concedergli un incoraggiamento. 63. — « Osservazioni del nuovo pianeta EY 1899 ». 65. — « Sull’orbita del pianeta (306) Unitas ». 148. — « Osservazioni del nuovo pianeta FA 1900 ». 150. — «Osservazioni del nuovo pianeta Schwas- smann ». 286. — « Osservazioni del nuovo pianeta FG 1900 ». 327. MirLosevica F. « Minerali e pseudomor- fosi nella miniera di Malfidano (Sar- degna) ». 153. — « Appunti di Mineralogia Sarda ». 336. Mincazzini. « Cambiamenti morfologici dell'epitelio intestinale durante 1’ as- sorbimento delle sostanze alimentari ». 16. MorEscHINI. — « Sopra un fenomeno che si verifica nel raffreddamento delle sostanze sovraffuse ». 13. Mosso U. « Temperatura del corpo nel di- : giuno, e velocità di assimilazione degli idrati di carbonio ». 77. — « Velocità di assorbimento e di assimi- lazione degli albuminoidi e dei grassi». 84; 122. 0 OrtoLEvA. « Azione del jodio sull’acido malonico in soluzione piridica ». 160; 214. — 408 — PampaLonI. «I terreni carboniferi di Seui ed oolitici della Perdaliana in Sarde- gna n. 321; 345. Panicni. — V. Zo Monaco. ParERNÒ. « Sulla costituzione dell’acido usnico ». 295. : Pesci. « Conposti organo-mercurici dell’ a- cido benzoico ». 255. PrcciNINI e SALMONI. « Preparazione e ca- ratteri dell’ @-pirriluretano ». 359. PirortAa e ALBINI. « Osservazioni sulla Biologia del Tartufo giallo (Terfezia Leonis Tul.)». 4. PrrortA e Loneo. « Osservazioni e ricerche sul Cynomorium coccineumL.». 150. — « Basigamia, Mesogamia, Acrogamia ». 296. PLANcHER. « Nuove ricerche sull’azione dei ioduri alcoolici sugli indoli ». 115. —.« Sopra alcune trasformazioni del tetra- idrocarbazolo ». 218. k ReIna. « Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a Monte Pisanello nel 1899 ». 189. Rimini. « Sopra l’isocanfora ». 160. — « Nuove ricerche sul sruppo della can- fora ». 164; 210. Russo. « Sull’aggruppamento dei primi ele- menti sessuali nelle larve di Ante- don rosacea Linck., e sul valore che ne deriva per i rapporti di affinità tra Crinoidea, Holothurioidea e Cystoidea». 312; 361. 0 )) SaLmoni. — V. Piccinini. Sant. « Intorno alla germinazione dell’ o- livo n. 47. SEVERI. « I gruppi neutri con elementi mul- tipli in una involuzione sopra un ente razionale ». 379. SILVESTRI. « Sull’esistenza dello zancleano nell'alta valle Tiberina ». 391. Supino. « Osservazioni sopra fenomeni che avvengono durante lo sviluppo postem- brionale della Calliphora ery- throcephala». 164. TaccHInI. « Sulla distribuzione in latitu- dine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2° e 3° trimestre del 1899 ». 3. — « Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 4° trimestre del 1899 ». 285. — « Sulla distibuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel 4° tri- mestre del 1899 ». 287. Tacconi. « Sulla Wulfenite del Sarrabus ». 1122, TARAMELLI. Presenta una Memoria del dott. Bonarelli perchè sia sottoposta ad esame. 137. — Riferisce sulla Memoria precedente. 312. Toparo. Fa omaggio di due fascicoli delle Ricerche fatte nel Laboratorio di ana- tomia normale della Università di Roma e altri Laboratorî biologici, e un volume pubblicato in occasione del 25° anno d'insegnamento del Socio prof. Luciani. 376. — « Cenno necrologico del Socio Z'ommasi- Crudeli ». 374. Tommasi-CrupELI. Annuncio della sua morte. 374. V Vicini. Invia un piego suggellato da con- servarsi negli archivi accademici. 181. — 409 — ViLLarI. « Come l’aria ixata perde la sua proprietà scaricatrice e come svolge cariche di elevati potenziali ». 273; 288. VioLa. « Le deviazioni minime della luce mediante prismi di sostanze aniso- trope ». 196. — « Sopra il sismografo a pendolo verti- cale ». 309; 317. VireRBI. « Sulle trasformazioni delle equa- zioni della dinamica a due variabili ». 33; 66. Z Zunino. « Azione della potassa sull’ epiclo- ridina in presenza di alcoli ». 309. — 410 — INDICE PER MATERIE A Astronomia. Osservazione dell’eclisse di sole del 23 maggio 1900, fatta al R. Os- servatorio del Campidoglio. A. Di Leg- ge. 328. — Sulla latitudine del Monte Mario. /. Gia- comelli. 329. — Osservazioni del nuovo pianeta EY 1899. 4. Millosevich. 65. — Sull’orbita del pianeta (306) Unitas. Id. 148. — Osservazioni del nuovo pianeta FÀ 1900. Id. 150. — Osservazioni del nuovo pianeta Schwas- sman. /d. 236. — Osservazioni del nuovo pianeta FG 1900. VASMIITA — Sulla distribuzione in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osserva- torio del Collegio Romano nel 2° e 8° trimestre del 1899. P. Tacchini. 3. — Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 4° trimestre del 1899. /d. 285. — Sulla distribuzione in latitudine dei fe- nomeni solari osservati al R. Osser- vatorio del Collegio Romano nel4° tri: mestre del 1899. /d. 287. B BroLogra. L'innesto delle ovaia, in rap- porto con alcune questioni di biologia generale. C. Fod. 176; 230. Botanica. Osservazioni sulla Biologia del Tartufo giallo (Terfezia Leonis Tul.). R. Pirotta e A. Albini. 4. — Osservazioni e ricerche sul Cynomo- riumcoccineum L. /d. e B. Longo. 150. — Basigamia, Mesogamia, Acrogamia. /d. Id. 296. Cc CÒÙimica. Sopra i nitrochetoni e gli ortu- nitroderivati. A. Angeli. 41. — Sul comportamento dell’acetilene con alcuni ossidanti. A. Baschieri. 391. — Sul comportamento crioscopico dei ni- troderivati sciolti in acido formico. G. Bruni e P. Berti. 273. — Sulle proprietà dell’ ipoazotide come sol- vente. /d. Id. 321. — Sul comportamento dei nitroderivati sciolti in acido formico. /d. Id. 393. — Sulla natura e sulle proprietà delle so- luzioni colloidali. G. Bruni e N. Pap- padà. 354. — Di una reazione colorata la quale per- mette di svelare i sali di calcio depo- sitati nei tessuti organici. V. Grandis e C. Mainini. 280. — Azione del jodio sull’acido malonico in soluzione piridica. G. Ortoleva. 160; 214. — Sulla costituzione dell'acido usnico. E. Paternò. 295. — Composti organo-mercurici dell'acido benzoico. Z. Pesci. 255. — 411 — CHimica. Preparazione e caratteri dell’ «- pirriluretano. A. Piccinini e L. Sal- moni. 359. — Nuove ricerche sull’ azione dei ioduri alcoolici sugli indoli. G. Plancher.115. — Sopra alcune trasformazioni del tetrai- drocarbazolo. /d. 218. — Sopra l’isocanfora. E. Rimini. 160. — Nuove ricerche sul gruppo della can- fora. Id. 164; 210. — Azione della potassa sull’epicloridrina in presenza di alcoli. V. Zunino. 309. Chimica AGRARIA. Intorno alla germina- zione dell’olivo. G. Sani. 47. CHimica Fisica. Sopra un fenomeno che si verifica nel raffreddamento delle so- stanze sovraffuse. R. Moreschini. 13. Concorsi a premi. Elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la Chimica, e ai premî del Ministero della Pubblica istruzione per le Scienze fisiche e chimiche, pel 1899. 24. — E concesso un incoraggiamento al prof. E. Maillosevich. 63. Corrispondenza relativa al cambio de- gli atti. 29; 92; 181; 270; 313; 376. CrIstAaLLOGRAFIA. La deviazione minima della luce mediante prismi di sostanze anisotrope. C. Viola. 196. Elezioni del Presidente, del Vicepre- sidente, dell’Amministratore aggiunto e dei Segretarî della Classe di scienze fisiche, matematiche naturali. 404. F Frsica. Il fenomeno di Hall in un liquido non elettrolita. LZ. Amaduzzi e L. Leone. 252. — Correnti indotte in un trasformatore per l'interruzione della corrente primaria con l'apparecchio di Wehnelt. I. 0. Corbino. 102. Fisica. Intorno ad alcuni modi per correg- gere e per evitare l’errore di capil- larità negli areometri a peso costante e a volume costante, ed intorno ad alcune nuove forme dei medesimi. G. Guglielmo. 9. — Intorno ad alcuni nuovi areometri ad immersione totale, ad inclinazione va- riabile e a riflessione. /d. 33; 71. — Come l’aria ixata perde la sua proprietà scaricatrice e come svolge cariche di elevati potenziali, £. Villari. 273; 288. Fisica TERRESTRE. Jl pendolo orizzontale nella sismometria. G. Agamennone. 107. — Sismoscopio elettrico a doppio effetto per le scosse sussultorie. /d. 204. — Sopra un nuovo tipo di sismometrografo. Id. 304. — I rombi laziali del 16 febbraio 1900. A. Cancani. 304. — Sopra il sismografo a pendolo verticale. C. Viola. 309; 317. FistoLogia. Studi sulle leggi che rego- lano l’eliminazione dell’acido carbonico nella respirazione. — Influenza della concentrazione del sangue sulla ten- sione del CO» contenutovi. V. Gran- dis. 84; 130. — Influenza dello stato igrometrico sul passaggio del CO» dal sangue all’aria. Id. 224. — Studî sulla composizione della placenta. — Componenti solidi e liquidi, sostanze organiche, materie estrattive ed albu- minose della placenta. /d. 170. — La composizione delle ceneri della pla- centa. /d. 262. — L’azione della chinina sulle semilune. T. Gualdi e FP. Martirano. 177. — L’azione dei farmaci antiperiodici sul parassita della malaria. D. Zo Monaco e L. Panichi. 366; 401. — Temperatura del corpo nel digiuno, e velocità di assimilazione degli idrati di carbonio. UV. Mosso. 77. —- Velocità di assorbimento e di assimila- zione degli albuminoidi e dei grassi. Id. 84; 122. — 412 — GropesIA. Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a Monte Pisanello nel 1899. V. Reina. 189. GroLogia. La Rovina della Piana del Sol- dato presso Grotta Arpaia a Porto Ve- nere nel 1895. G. Capellini. 143. — Appunti per la geologia del Viterbese. E. Clerici. 56. — I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta. G. De Angelis d’Ossat. 384. — I terreni carboniferi di Seui ed oolitici della Perdaliana in Sardegna. L. Pam- paloni. 321; 345. — Sull’esistenza dello zancleano nell’alta valle Tiberina. A. Silvestri. 391. M MarkMmatIca. Integrazione della doppia equazione di Laplace. £. Almansi. 273; 298. — Complementi al teorema di Malus-Du- pin. 7 LZevi-Civita. 102; 185; 237. — I gruppi neutri con elementi multipli in una involuzione sopra un ente ra- zionale. FP. Severi. 379. — Sulle trasformazioni delle equazioni della dinamica a due variabili. A. Viterbi. 38; 66. Meccanica. Sull’integrazione delle equa- zioni differenziali del moto spontaneo di un corpo rigido in uno spazio di curvatura costante. D. De Francesco. 245. MineraLoGIa. Sopra la perowskite di San- t'Ambrogio in valle di Susa. G. Boeris. 9; 52. — Forma cristallina del Tolano. /d. 342; 382. — Larderellite dei soffioni della Toscana. G. D'Achiardi. 342. — Sulla presenza di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell'Appennino ligure. S. Franchi. 349. MineraLogIa.Fayalite alterata delle gra- nuliti di Villacidro. D. Lovisato. 345. — Minerali e pseudomorfosi nella miniera di Malfidano (Sardegna). H. Millose- vich. 153. — Appunti di Mineralogia Sarda. /d. 336. — Sulla Wulfenite del Sarrabus. 4. Zac- coni. 72. MorroLocia. Cambiamenti morfologici del- l’epitelio intestinale durante l’ assorbi- mento delle sostanze alimentari. P. Mingazzini. 16. N Necrologie. Annuncio della morte del Presidente Beltrami. 95; sua comme- morazione. 139. — Annuncio della morte dei Soci Zza1s. 269; Bertrand. 312; Z'ommasi-Crudeli. 374. P PaLeonToLOGIA. Balenottera miocenica del- la Repubblica di S. Marino. /d. 233. ParassitoLoGIA. Sulle inclusioni cellulari nell’innesto vaccinico della cornea e sui loro rapporti colle inclusioni cellu- lari nei tumori maligni. C. Gorini. 266. S StupIi OMERICI. I venti, l’orientazione geo- grafica e la navigazione in Omero. A. Messedaglia. 286. Z ZooLogra. Sull’aggruppamento dei primi elementi sessuali nelle larve di Ante- don rosacea Linck., e sul valore che ne deriva per i rapporti di affinità tra Crinoidea, Holothurioidea e Cystoidea. A. Russo. 312; 361. — Osservazioni sopra fenomeni che avven- gono durante lo sviluppo postembrio- nale della Calliphora erythro- cephala. F. Supino. 164. ERRATA-CORRIGE. A pag. 151 linea 12 invece di quattro leggi Ire. STTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 3/0) See tO UENSDA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 gennaio 1900. Volume IX. — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE JE Col 1892 si è iniziata la Serie quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fiz siche matematiche e naturali si pubblicano ye- , golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3.L’Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno delliAcca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL, 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. — 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o în esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avwerte che i manoseritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa e carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. l'omo I-XXIII. : Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. Ill. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2% MemoRrIE delia Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 3° Memorik della Classe di scienze moral:, storiche e filologiche Vol SIVNENSAVZIESVIE VATI. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volt d2)=—=1 (1, 2)2=A-XEX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fase. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VIII. (1892-99) Fasc. 9°-10°, MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Mole] MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE Al RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscnuer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1900. CN DEE E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 gennaio 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCÌ 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni solari osservati al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 2° e 3° trimestre del ISSgRe RS VE ea Ge Pirotta e Albini. Osservazioni sulla Biologia del Tartufo giallo (Lerferia Leoni Tubes: Boeris. Sopra la perowskite di S. Ambrogio in valle di Susa (pres. dal Socio .Struever) (*) » Guglielmo. Intorno ad alcuni modi per correggere e per evitare l’errore di capillarità negli areometri a peso costante è a volume costani ed intorno ad alcune nuove forme dei me- desimi (pres. dal Socio Blaserra) . . . 3 ; ” Moreschini. Sopra un fenomeno che si LO n Li -gdomonto du. n od (pres. dal Corrisp. Nasini). . ; ER Mingazzini. Cambiamenti morfologici lic ie dia al io delle so- stanze alimentari (pres. dalSotio 404810) CM PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle ua dai Soci: Cossa, Cocchi, Delpino, Millosevich è dai signori: De Zoni, Lanciai, Jatta. Pre- senta inoltre il tomo 4° delle Oeuvres complètes di A. Cauchy. . . + + » Cerruti. Presenta il vol. IX della edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei e ne ts » CONCORSI A PREMI Blaserna (Segretario). Comunica gli elenchi dei lasuri presentati per concorrere al premio Reale per la Chimica e a quelli del Ministero della PP. I. per le Scienze fisiche e chi- miche, pel 18990 Gs... RI CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dè conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . . . >» BuLLETTINO BIBLIOGRAFICO. (36) 23 24 29 (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. l'IP DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 1900 SWRIEH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 gennaio 1900. Volume IX. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. 2 sonian INstjf, È i 19 ROMA \ FEB 261900) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI “Uona_ Muse PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie queta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre.i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme - seguenti : AE 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali sì pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine, ; 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni ‘ 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, @ 25 1 ‘agli estranei... qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è ‘ posta a.suo. carito. 2 AI Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali. che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. -. d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ; 3. Nei primi tre casi, previsti dall' art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchò nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se i estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE dela Classe di scienze fisiche matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol IV. NV VE VIEVII > Serie 8* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. IL (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fase. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VIH. (1892-99) Fase. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscneR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoreLi. — Milano, Pisa e Napoli. lare RENDICONTI — Gennaio 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 gennaio 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI Q PRESENTATE DA SOCI Viterbi. Sulle trasformazioni delle equazioni della dinamica a due variabili (pres. dal Corrisp. Ricc) ()- | le a I a Pag. 88 Guglielmo. Intorno ad alcuni nuovi areometri ad immersione totale, ad inclinazione valciabile e a riflessione (pres. dal Socio Blaserna) . RE... . . + 2 PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni siunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Bassani, Boreì, D'Achiardi, Haeekel, Gegenbaur. Greenhili, Helmert, Pirotta, Taramelli, Veronese; e dai signori Bombicci, Guarini-Foresio, De Lorenzo, Lussana, Sans » CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli AGE BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. i (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 92 ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CGCXCVII. L9OO See UBENTI CA RENDICONTI Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 febbraio 1900. Volume IXN.° — Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELIA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 (S \ AR 50] 900, xl sonia "SUtutN Cd DI ational MsZ ESTRATTO DAI REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE T do Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali sì pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni oO estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suv carico. 4.1 Rendiconti non riproducono Je discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indì- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50: se estranei. La spesa di un numero di copie in più. che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. “ Ò LI Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell'Accaderma pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2° MEMORIE delia Classe di scienze fisiche matematiche e naturali 3* MEMORIE della Classe di scienze moral:, storiche e filologiche » VeE CIV VENEVE-VIII Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali Vol. I. (1, 2)- — II. (1, 2) — IIHI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpicoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologicke Vol. I-VIII. (1892-99) Fase. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VolsbahE MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. #@; per gli altri pacsi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHER & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napo. RENDICONTI — Febbraio 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 febbraio 1900. Messedaglia (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Presidente dell’Accademia Eugenio Beltrami: 00 oi i e Ip I e MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia per la seduta del 18 febbraio 1900. Viterbi. Sulla trasformazione delle equazioni della dinamica a due variabili (pres. dal Corrisp. TQIO RAI Levi-Cuvita. enni ii fonia di Malus Dia Gres dal Socio di) ©. ES Corbino. Correnti indotte in un trasformatore per l'interruzione della corrente primaria con l'apparecchio di Vehnelt (pres. dal Socio Blaserna). . . SSR ra e Agamennone. Il pendolo orizzontale nella sismometria (pres. ra) SEE » Plancher. Nuove ricerche sull’azione dei ioduri alcoolici sugli indoli (pres. .) Surio Li mician) DEIR URI È SB) Mosso U. Velocità di 0 e di assimila i fcoli Albini di grassi i dal Socio A. M0sso)i e RM 3 Ma e Grandis. Studi sulle leggi che regolano l’eliminazione del CO» nella a — Influenza della concentrazione del sangue sulla tensione del CO» contenutovi (pres. dal Socio Luczanz) » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Bonarelli. Appunti sulla costituzione geologica dell'isola di Creta (pres. dal Socio a- romeni) e TARE ORO E BA I ORO E gi I ANO 95 187 (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 1900 SPETTRI QUO ENSTA RENDICONTI Classe di scienze tisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 marzo 1900. Volume IX.° — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. È nian Ins + x\so dl I 11 1900 i di 2tional Musee i ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | | 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia ‘fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci e da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte - che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei, La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell'Accademia pontificia doi Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol..I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE delra Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2) — HI-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). i MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MkmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 5°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VIII. (1892-99) Fasc. 9°-10°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, IL MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 marzo 1900. Cerruti. Commemorazione del defunto Presidente ZHugenio Beltrami. . . . Pag. Blaserna (Segretario). Dà comunicazione dei telegrammi e delle lettere di ignaveliana in- Viate all'Accademia davSoci esda Isttmmesgientifici © ER, MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Capellini. La Rovina della piana del soldato presso Grotta Arpaia a Porto Venere nel 1895 Pas. Mullosevich. Sull'orbita del: pianeta (806) Wniasi | . <<. SR Id: Osservazione! delenuovo pianeta RAGIONE E ESD Pirotta e Longo. Osservazioni e ricerche sul Cynomorium coccineum io e] F. Millosevich. Minerali e pseudomorfosi della miniera di Malfidano (Sardegna) (pres. dal Socio Struver). <.<. 05 » Ortoleva. Azione del jodio acido maligno in iii pitifica Gra. ‘dal Sodio "Pa IMAA O I E A Rimini. Sopra l’ isocanfora d- n). O: i RS OR Id. Nuove ricerche nel sruppo della canfora (pres. Id) © IO LE es Supino. Osservazioni sopra fenomeni che ayvengono durante lo sviluppo poste della Calliphora erythrocephala (pres, dal Socio Grassi) . . . RSS) Grandis. Studî sulla composizione della placenta. — Componenti solidi e , liquidi, sostanze organiche, materie estrattive ed albuminose della placenta (pres. dal Socio Zuciani) . » Foà. L’ innesto delle ovaia, in rapporto con alcune questioni di biologia generale (pres. dal SOCIO RARO 0550) (A pron Gualdi e Martirano. L'azione della vini Li 0 ai DI sosia Gras Sr PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Darboux, Darwin, Huggins, Kollicker e dai signori Oddone, Bonci, Canevari, Ro- miti, De Toni; Brédithine; Soft ESS RE CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Presenta una copia della medaglia coniata in onore del Socio straniero prof. Stokes, e inviata in dono dalla Università di Cambridge . . . . SRI R) Id. Presenta un piego suggellato, inviato dal sig. A. Vicini, perchè sia e, ziali Archivi accademici . . . Ss E Id. Dà conto della conan alan al cambio degli Atti Sr TAR BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 139 142 176 177 181 Sk TA DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 1950 SEBRIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1900. Volume IX.° — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE HR Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. pi Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 6°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VIII. (1892-99) Fase. 12°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA-R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. ©; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepri. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Marzo 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Levi-Civita. Complementi al teorema di Malus-Dupin (pres. dal Socio Cerruti) . . . Pag. Reina. Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a Monte Pisarello meleL8997(presidal5Socio002en000) Se Viola. Le deviazioni minime della luce mediante prismi di sostanze anisotrope (pres. dal SOCIO BIISCIMO EIA IMM o » Agamennone. Sismoscopio elettrico a doppio effetto per le scosse sussultorie (pres. dal Socio Tacchini). eli A SR Rimini. Nuove ricerche nel sruppo della canfora (pres. dal Socio Paterno) . . n Ortoleva. Azione del jodio sull’acido malonico in soluzione piridica (pres. Jd.). . . . » Plancher. Sopra alcune trasformazioni del tetraidrocarbazolo (pres. dal Socio -Ciamician). » Grandis. Studî sulle leggi che regolano l’eliminazione del COs nella respirazione. — Influenza dello stato igrometrico sul passaggio del CO» dal sangue all’aria (pres. dal Socio Zuciaza) » Foà. L’ innesto delle ovaia, in rapporto con alcune questioni di biologia generale (pres. dal Socio A: Mosso) Set SI AS 185 189 196 204 210 214 218 224 230 9a ASETI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. lSOO SHBERIH QUINTA RENDICONTI Seduta del 1° aprile 1900. Volume IX. — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. : i | (| ROMA asonian Institugy TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCE % fa) S 4 MAY 2 19004 Lational Must È 4 PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte queta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze f- siche matematiche e naturali si pubblicano re golarmente due volte almese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e es tanei; nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni. 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi fono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. ) II, 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife: risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica. nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. : 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli au-. tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. gra pr Me ate RAIL apr ds Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1: — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IlI. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2* MEMORIE dela Classe di serenze fisiche, matematiche e naturali 3° MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIIL Serie 3» — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL. (1, 2). — IN-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIIT. Serie 4% — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze. morali, storiche e filalogiche. Vol. I-X. Serie 5% —- RENDICONTI della Closse di screnze fisiche, motematiche e naturali. Vol. I-TX. (1892-1900) 1° Sem. Fase. 7° ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-VHI. (1392-99) Fase. 12°. MeMoRIE della Classe di. scienze fisiche, matemotiche e naturali. Vol. I, II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONII DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCHI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. «Il prezzo dr associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : i Ermanvo Loescner & C.° — Roma, Tormo e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° aprile 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Capellini. Balenottera miocenica della Repubblica di San Marino . ./././.... Pag. Messedaglia. I venti, l’orientazione geografica e la navigazione in Omero . . ../.. » Maillosevich. Osservazione del nuovo pianeta Schwassmann. . . ERA DE Levi-Civita. Complementi al teorema di Malus-Dupin (pres. dal Socio: Grrati OO De Francesco. Sull’integrazione delle equazioni differenziali del moto spontaneo di un corpo rigido in uno spazio di curvatura costante (pres. dal Socio Volterra) . . . a Amaduzzi e Leone. Il fenomeno di Hall in un liquido non elettrolita (pres. dal Socio Fighi) » Pesci. Composti organo mercurici dell'acido benzoico (pres. dal Socio Ciamician) . . . » Grandis. La composizione delle ceneri della placenta (pres. dal Socio Zuciemi) . «+. . » Gorini. Sulle inclusioni cellulari nell’innesto vaccinico della cornea e sui loro rapporti colle inclusioni cellulari nei tumori maligni (pres. dal Socio Cremona). . ./ 0.» PERSONALE ACCADEMICO Messedaglia (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero Emanuele Liais . . > Blaserna (Segretario). Comunica altre lettere di condoglianza inviate all'Accademia da Soci e da Istituti scientifici per la morte del Presidente Beltrami . ../. 0...» PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci D'Ovidio, Naccari, Pfliger, e dai signori Cassani, Beguinot, Joly e Vezes. Presenta inoltre una Relazione sulle ricerche, eseguite in Africa, sulla malaria dai signori Ross, Annett e Austen, e una e sugli amellidi dell'Inghilterra di I. Carmichael Me. MP . o) Cremona. Fa omaggio; a nome dia di ii dici del <> Guidi. PES) CORRISPONDENZA Messedaglia (Presidente). Dà comunicazione di una lettera colla quale il Socio Ascoli, che rappresentò l'Accademia alle feste pel 2° centenario dell’Accademia delle scienze di Ber- lino, rende conto del mandato affidatogli. . . . RESI 10) Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza n di cambio. degli Atti. SI BuULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 269 270 COR DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 5199) EEE PI CQ, USENET A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 aprile 1900. Volume IX. —f Fascicolo 82° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 AE =xisonian in Insé DX \ MAY 28 1900 , Uonal Musero e ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE pe Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze, fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. . Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIIL Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpicoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fase. 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fase. 2°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoerLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Aprile 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 aprile 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Villari. Come l’aria ixata perde la sua proprietà scaricatrice e come svolge cariche di elevati potenziali (*) : Pag. 273 Almansi. Integrazione della doppia equazione di Laplace (pres. dal Socio Volterra) (®) . »» Bruni e Berti. Sul comportamento crioscopico dei nitroderivati sciolti in acido formico (pres. a Mome-del'Soc0 UMM) Grandis e Mainini. Di una reazione colorata la quale permette di svelare i sali di calcio depositati nei tessuti organici (pres. dal Socio Zuciani) . ./ i...» 280 . (*) Questa Nota sarà pubblicata ne] prossimo fascicolo. APTIE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. L9IOO SEE, UEN FESGA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 maggio 1900. Volume IX.° Fascicolo 9° ROMA Aa TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI" (TUN PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 1° SEMESTRE. ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE T Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali valgono Je norme seguenti ; 1. 1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili dele l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne. desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Aceca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentata da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2, La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli ‘Atti dell’Accade- mia o in sunto o în esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. — d) Colla semplice pro- posta dell’ invio delia Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre © cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è — data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli. autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 | dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli su tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. NBT CA Ped art TA PIT USO] CSM RAZER N IRA EIA A AR EC E NESSO SR i Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1a — Atti dell'Accademia pontificia doi Nuovi Lincer. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXITV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. li. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI 2° MemoRIE dela Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 3 MEMORIE della Classe di screnze morali, storiche e filologiche i Vol. IV. V. VI. VIL VII Serie 3° — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — IH. (1, 2). — HI-XKX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIr della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIK della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Seme 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 9°. RENDICONTI della Olasse di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fasc. 2° Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATRMATICHE K NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. f£9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napo. RENDICONTI — Maggio 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 maggio 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle macchie, facole e protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 4° trimestre del 1899... ._. o acevoRapi Id. Sulla distribuzione in latitudine dei fenomeni ri Lo al R. Ossia del Col- legio Romano nel 4° trimestre del 1899... .. È ; ; È » Villari. Come l’aria ixata perde la sua, proprietà Lia e come stalzo (aucte di denti prealpi : i e SR e Paternò. Sulla costituzione ‘dell 20. usnico 0) —< EER Pirotta e Longo. Basigamia, Mesogamia, Acrogamia. . . . gg Almansi. Integrazione della doppia equazione di Laplace (pres. dal .1, ai Ei Agamennone. Sopra un nuovo tipo di sismometrografo (pres. dal Socio Z'acchimi) (). . » Cancani. I rombi laziali del 16 febbraio 1900 (pres. /d4.) . . . ae Viola. Sopra il sismografo a pendolo verticale (pres. dal Socio Blaterno) (fe Zunino. Azione della potassa sull’epicloridrina in presenza di alcoli (pres. dal Socio Paternd) » Russo. Sull’aggruppamento dei primi elementi sessuali nelle larve di Antedon rosacea Linck, e sul valore che ne deriva per i rapporti di affinità tra Crinoidea, Holothu- rioidea e Cystoidea (pres. dal Socio Grassi) (°) <<. / ../<... no RELAZIONI DI COMMISSIONI Blaserna (Segretario) a nome dei Soci Z'arametlli (relatore) e De Stefani, legge una Relazione colla quale si approva la stampa della Memoria del dott. Bonarell, intitolata: « Appunti sulla costituzione geologica dell’isola di Creta w. . . (OG CS PERSONALE Pmi Blaserna (Segretario). Comunica altre lettere di condoglianza inviate all'Accademia da Soci, da Istituti scientifici e dal Comune di Cremona per la morte del Presidente Beltrami. > Messedaglia (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero Giuseppe Bertrand» PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Mosso, Righi, De Lapparent, Haeckel, Klew, Noether; richiama inoltre l’attenzione della Classe sul vol. 1° della pubblicazione contenente i risultati scientifici della « Spedi- zione norvegese al polo nord » di Y. Nanser; sulla « Storia della R. Accademia delle scienze di Berlino » di A. Zaonack; e sul 4° fascicolo dell’ « Atlante fotografico della Luna » eseguito dai signori Loewy e Puiseua e pubblicato dall'Osservatorio di Parigi. . . . . . » CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. ERRATA-CORRIGE A pag. 151 linea 12 invece di quattro leggi Ire. 312 (*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. (**) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 2 Doo DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 1900 Sg BERO DENTE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 maggio 1900. Volume IX. — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI i p° È PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 3 1900 - ci î: br Bi A va tI 5 I i bai Ù Di: n N L “ 7 di \WES G > pi S è È (a) 3) SLA QUO È | SE no 6 Und! N | È \ ata RI) | (RE WAY | Sii luca f Il | Di \ H «| W: s 9 IT NWI 54] T h i Ù Y 7 SN SP ; Ì N Si be "| (ARL 27 //1 ; Bi. SITU N AT SU) | a, . j È PI) od SA (a 7%; ne SA a = U | E >, —& SH} \ GRA VW e A ll mi na E i de; LE eri 1 af È i. N \ Jun 2 Lation al Mu e ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE JE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume 7 due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - «) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademma pontiticia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2» — Vol. 1. (1873-74). Vol. H. (1874-75). Vol. Il. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2- MEMORIE delia Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. 3: MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VIL VIII Serie 3» — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — IH-XIX. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. i Serie 5* — RenpiconTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fasc. 2° MemorIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vols HH: MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Maggio 1900. FN-DEG. E (lasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 maggio 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Viola. Sopra il sismografo a pendolo verticale (pres. dal Socio Blaserna) . Pag. 317 Pampaloni. I terreni carboniferi di Seui ed oolitici della Perdaliana in Sardegna (pres. dal Socio De Stefani) (*) È 5 093 Brum e Berti. Sulle proprietà dell’ ipoazotide come solvente (pres. dal Socio Ciamician) » » CORRISPONDENZA Messedaglia (Vicepresidente). Propone alla Classe, che approva la proposta, un voto di plauso al Socio Ascoli, il quale rappresentò l'Accademia dei Lincei alle feste pel 2° centenario » 826 dell’Accademia delle scienze di Berlino . (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. | ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 90 Sere QUEEN TA — RENDICONTI | Classe di scienze tisiche, matematiche e naturalì. Seduta del 3 giugno 1900. Volume IX.° — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DKL CAV. V. SALVIUCCI 1900 SE D> € > N ì 9 K 94 NEEEESÀ è A SCE = NR 9, ire de |) NOUS SO | e 2 d À LI PAN 3 5 i) ch O, Na è) SI : i 7 Le È Fi y î INVZIa® Ni cal " Va Yo 4 | FX \ 7 9; Le MII Wo) 4 È, SY 4 s Be” ; DI EU o3E ARTE Z FIRsSsSE x ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE YT da Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconii della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 90 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.3 Rendiconti nou riproducono le discus- sioni verbali che sì fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 6) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casì, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delia Classe di screnze fisiche, matematiche e naturali 3° MEMORIE della Classe di scienze moral:, storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII ‘Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — IN-XIX. MEMORIE della Classe di sciense morali, storrche e filologiche Vol. I-XIII. ‘Serie 4* — RenDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scerienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. ‘Serle 5* — RENDICONTI della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fase. 11°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fase. 2° MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IVI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due CAT al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- da penare ad un semestre. rezzo di associazione per ogni volume e per tutta titalia di L. 19; per gli altri paesi Te spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Giugno 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 giugno 1900. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Mitlosevich. Osservazioni del nuovo pianeta FG 1900 . . . . Pag. Di Legge. Osservazione dell’eclisse di sole del 28 maggio 1900, fatta al R. dro del Campidoglio (pres. dal Socio Blaserza) ... |. e > Giacomelli. Sulla latitudine di Monte Mario (pres. Id). See FERIE A Millosevich F. Appunti di Mineralogia Sarda (pres. dal Socio Str Ln): A e Boeris. Forma cristallina del Tolano (pres. /d.) (*) . sia ” D'Achiardi G. Larderellite dei soffioni della Toscana de dali dirti i. D'ACALLI ” Lovisato. Fayalite alterata delle granuliti di Villacidro (pres. dal Socio Struever) (*). » Pampaloni. I terreni carboniferi di Seui ed oolitici della Perdaliana in Sardegna (pres. dal Socio De Stefan). +... - ; sen Franchi. Sulla presenza di roccie pindeitiché di Sorta Ico e Adige ligne (pres. dal Socio Struever). . . SEUI SOI Bruni e Pappadà. Sulla natura e MG i. dallo i colloidali pra dal Socio Ciamician) E n cy Piccinini e Salmona. Proparizione e dini dell Ca i Ia Jo n Baschieri. Sul comportamento dell’acetilene ton alcuni ossidanti (pres. TIVO SS EE Russo. Sull’aggruppamento dei primi elementi sessuali nelle larve di Antedon rosacea Linck. e sul valore che ne deriva per i rapporti di affinità tra Crinoidea, Holothu- ricidea e Cystoidea (pres. dal Socio Grasst) . . . 5 Ten Lo Monaco e Panichi. L'azione dei farmaci antiperiodici sul 0. della Malaria (pres. dal Socio Luciani) Gi die e e A PERSONALE ACCADEMICO Messedaglia (Vicepresidente). Dà il doloroso annuncio della perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio nazionale senatore Corrado MORAR Todaro e Grassi. Cenni necrologici del Socio Zommasi-Crudeli . . ..... 0... PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Cocchi, Mattirolo, Pincherle, Pflueger e dai signori Cattolica; Balch, Lindman, Nordstedt, Robinski. Presenta inoltre un volume pubblicato. dalla Società filosofica di Cambridge, ‘in occasione del giubileo del Socio straniero G. Stokes. . . Aa Todaro. Fa omaggio di due fascicoli delle Arcerche fatte nel Laboratorio di nai oa nor- male della Università di Roha, e di un volume pubblicato in occasione del 25° anno d'insegnamento del Socio prof. Lucio... e CORRISPONDENZA Blaserna (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 376 (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Au IL DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVII. 1900 SER, VENT A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 giugno 1900. Volume IX. — Fascicolo 12° e Indice del volume. 1° SEMESTRE. o (i; AUG 2 1909) cl al NU sv ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1900 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE JE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i fendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine, 9. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio . di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - e) Con un ringra- ziamento all'autore: - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VII Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — Il. (1, 2). — HI-XIX. 3 MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Nola Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1900) 1° Sem. Fasc. 12°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IH-1X. (1892-1900) Fase. 2° MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, IL MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIA ZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DRI LINCRI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni voiume e per tutta l’Italia di L. 190; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHeR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI = Giugno 1900. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche 6 naturali. Seduta del 17 giugno 1900. . MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Severi. I gruppi neutri con elementi multipli, in un involuzione sopra un ente razionale (pres. dal Corrisp. Segre) . . + eee Boeris. Forma cristallina del Trolano Dre Ù I i 1 ? n° 882 De Angelis d’ Ossat. I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Piiuta (Umbria) 0 dal Socio Paramelli). . . ERRE Silvestri. Sull'esistenza dello ia nell A Ita Valle ‘Finerina i Ido) (= eri 391 Baschieri. Sul comportamento dell’acetilene con alcuni ossidanti (pres. dal Socio Ciamician) » —» Bruni e Berti. Sul comportamento dei nitroderivati sciolti in acido formico (pres. Id). » 398 Lo. Monaco e Panichi. L'azione dei farmaci anfiperiodici sul parassita della Malaria (pres. dal Socio Luciani) n 401 PERSONALE ACCADEMICO >isultato delle clezioni nella Classe di scienze fisiche, matematiche € naturali. Elezione dei Soci: Messedaglia a Presidente; Blaserna a Vicepresidente ; Gatti ad Amministratore aggiunto; Cer uti a Segretario ; Grassi a Segretario aggiunto Se Se n» 404 Indice del vol. IX, 1° semestre 1900050 Se Ia 0) ©) Qui Nota sarà pibbijg di nel pro 260. n. bite si x A z ne si cali TE e Caldi 3 usi a — > n i aa siii DE cita = sai I ST EE a i ecu > ” ne. dti ge LUI, 9088 01356 868