e | é dl 0a, A NT v VITA E COSTUMI DEGLI ANIMALI RETTILI, PESCI ANIMALI ARTICOLATI LE DISGRAZIE D'UN PESCATORE D'ANGUILLE. VIE VISTI Di DEGLI AMINTI RETTILI, PESCI ANIMALI ARTICOLATI DI PR E EE TERZA EDIZIONE ITALIANA con 299 incisioni DISEGNATE PER LA MASSIMA PARTE SOPRA GLI ANIMALI VIVENTI E NUMEROSE NOTE ED AGGIUNTE MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1881. La presente opera e le relative incisioni sono messe dagli Editori FRATELLI TREVES, sotto la tutela delle vigenti leggi di proprietà letteraria ed artistica, per tutto il R. d’Italia, Trieste, Trentino e Canton Ticino. Tip. Fratelli Treves. AVVERTENZA DEGLI EDITORI ITALIANI Anche in questo volume sono numerose ed impor- tanti le aggiunte dell’edizione italiana. Il signor Figuier ha parlato con maggior brevità del consueto dei Rettili e degli Anfibi: la traduzione ita- liana con molte note ed aggiunte riempie questa lacuna, sovratutto per gli animali di queste due classi che vi- vono in Italia. Così pure pei pesci nostrali si sono messi a contri- buzione gli scritti dei più segnalati naturalisti italiani, scritti sparsi in diversi periodici e difficili da rinvenire, ‘ oppure in opere di molto prezzo e tirate a pochi esem- plari. L’ Iconografia della Fauna Italica del Bonaparte, le lezioni e le memorie accademiche del Gené, i lavori del De Filippi e quello segnatamente sui Pesci d’acqua dolce di Lombardia, le Notizie civili e naturali di Carlo Cattaneo, non che libri più antichi, come quelli del Redi, furono adoperati per questa nostra pubblicazione, ricavandone i brani più importanti ed utili. Furono fatte non poche aggiunte originali, fra cui un capitolo del dottor Camillo Marinoni sulla piscicoltura. Nella parte infine degli Animali articolati, dobbiamo al signor Carlo Anfosso molte aggiunte relativamente ai ragni ed ai crostacei. NI tai A: n INDICE DEI CAPITOLI ISSNR ESENTATI aa e CAR INERODUZIONESE E MM de TI ATA e CLASSE DEI RETTILI E DEGLI ANFIBI RETTILI ORDINE DEGLI OFIDI Serpenti innocui. — Biscie . . . Li AA aa Degli amori di alcuni serpenti Dostrali- VEE SONO IA Eni Rete e e anatre ei at MR o Me cen va, vo, VELINE ISTE CORIDERETTESIERA. ta alata an nf FA deh aa Malubrigdpacquati o. o get ie pera IORREnt velenosi fidi N nata np e SIT LIO Napere.<. . + N LTS oi de RR Il veleno delle BEL e ALOE I RI Le vipere d’ Europa. . . . MP A E) Ceraste, Crotali, Serpente a sonagli PAR RR SASA VERE RT GP) 0). Hu sonatelalbuggio do e ct a a a RIN IS Naje . ° ° . ° . . . ° . . . . ° è ° . Ù . . O . » ‘ORDINE DEI SAURII One a I I NT, NT RE e o apre cn LE alt Ds e a e Earn VARE RN io regie rd Gecki . DI Camaleonti . Be ST AE O N (RIBETI R R SOI PRRTOE UAO RIS SE Vv o Alligatori o Caimani » Boecodrii propriamente detti eb... Laahr Caval see 0) BONOMI SISI) FIGUIER. Rettili, Pesci e nni arcana b VII DO = L= MI O LI Ut GI DID Her DI DI LI DI DO 19 Ue E ® xa 00 LO vi a 60 62 55 67 69 85 88 9 95 ORDINE DEI CHELONII Testuggini terrestri . . VERO dg le 10 RN RAI Testuggini palustri . . . siate e OR AO Elodingamericane-e: loro uova... 0... 0. < CAO Testuggini fluviatili, Testuggini marine. . . . . . .. . . >» 408 Cacerare pesca della Tostaggine: Cl 0. +. è (e IO CREIOnie (e SFERE EI ANFIBI 0 BATRACI Rana » 117 Raganella I € Rospi . » 12 Pipa : » 12 Urodeli o Salamandre È à » 127 Sirena Proteo, Axolotl . . » 151 CLASSE DEI PESCI PESCI CARTILAGINOSI Famiglia.dei .Succiatori 0 -Gielostomi. .;\ Lamprede 5 , » 155 Famiglia dei Selach. — a È : » 155 La Torpedine e il suo apparato elettrico » 160 Pescecane . » 167 Pesca del Pesio) » 170 Gattuccio e Pesce martello » 171 Pesce sega . s at 15 Famiglia degli storionidi. —_ ‘Chimera i e diltantica. RM i 7 Poliodonte fogliato È » 175 Storioni, loro uova, e loro o i » 176 PESCI OSSEI ORDINE DEI PLETTOGNATI Gimnodonti . Ma Sclerodermi . » 187 ORDINE DEI LOFOBRANCHI » 189 Pesci aghi o Singnati Pegasi . 191 MALACOTTERIGI ORDINE DEI MALACOTTERIGI Ammoditi, sa” Gimnoto elettrico e sua pesca Murene Ofisuro, oO Pesca delle Anguille nelle oc di cani Gronghi . ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI Discoboli . 7 Pleuronettidi o pesci du Sogliole Rombo Ippoglosso . ; Platesse o Passere di mare, Ganoidi 3 Merluzzi MIIOÌ, : x Pesca del Merluzzo nei Danchi di Terra Nuiota Olio di fegato di merluzzo Naselli, Merlano»-. 0.0.0. Moletta . . . . . ° . è . . CD ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Salmonidi . . SIAT, Umble, Eperlano . . . . Lavareti e Fera . Trota ri Pesca della Trota \ Trote di lago e di mare Salmoni . Pesca del Salmone : Cheppie, Aringhe . . . Pesca e commercio dell’ Aringa Salacche, Sardelle Aetiughe .. .-.. . Esoci, Lucci Stomia Esoceto Ciprini, Cobiti Gobioni Barbio . duniche . .. . (Carpe: Pesce dorato da cn . ° - . . ’ . . . . . . . . ° . . . . . ° . . . . . . XI LO LO LO LO DO DI DI 19 NO 19 e DIEDIZIES XII Abramide, Argentina e l’ essenza d’ Oriente . . . . . . . Pag. Proget RL SII a i SOON) Mozzella, Lasca e Frogarolo - EA MER E » SUUEOICIZIA E e IRR E A e a » Siluro d’ Europa CONA: RRe IE AT en |. cd ORE » Siluro elettrico o Malatteruro . . . . ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI ADDOMINALI Percoidi, Pesce persico Spigole . Teghecc. + ; Guance a corazza, fesa CIRO Pesci rondini, o Pesci volanti Magnaroni : Scorfani o Scorpene ? Spiparelli a. 00. RNA RN MA I Faringei labirintiformi, Sia a CM Scomberoidi, Tonno . DESTRO Lapesca-del'Tonno: ,. lora a Maccarello.*. 1.0 SRO AI RE Palamita, Alalunga, Pn Pettorali pedicolati. — Rana pescatrice . Labroidi CLASSE DEGLI ANIMALI ARTICOLATI TRIBÙ DEI VERMI RE RESA RESA AR ElminiibotBEniozol eee Nematodi - = Trematodi, Cestoidi TRIBÙ DEGLI ANELLIDI Chetopodi o Anellidi tubicoli srt. Dorsibranchi, o Anellidi erranti . . . . . Abranchiati . . Anellidi apodi TRIBÙ DEI CROSTACEI Decapodi: «Le Stomapodi Anfipodi . Isopodi : Lemodipodi e Biichidboi LI DI OTO QI r9 DI LO SS LI DI 1 C LI LI DI DI o = a DI CI DI SIL DI ia iS ” (DL Gua - DI 01 DI 90 «1 > == NI XIII TRIBÙ DEGLI ARACNIDI ATA IRE o) Mg RAT SEOCRIOMIAlE "LA I SLI 0 Galeodi : » 525 Falangidi. x SE » 526 Acaridi . » ivi TRIBÙ DEI MIRIAPODI Julo. — Scolopendra ARA VI e gal Rea SOTTO [NDICE ALFABETICO DEI NOMI DEI RETTILI, PESCI ED ANIMALI ARTICOLATI > INDICE DELLE INCISIONI . 3 RR E (IA = e RETTILI E ANFIBI pe: | DE: | "n y | ui x i a de i La (0 deb x z i i Ma 2ù i ho x ‘ Ni x Neat i = PIE Ì Ò “ Ù # Ù Li A ta i 7 ® n4y ri è Ù al . "000: 7 naf RO | 2 % è Weiont } Li / è. "i sa pat {| 4 0 Li ” ’ Ù è k Ù - ( d x ‘ . \ . Li n hi . ' ” 4 î x ' TA MIMDAIN MMI CET E If Hi fl d VI ; Fig. 4. Psilli egiziani, o Incantatori di serpenti. FiGuiER. Rettili, Anfibi, ecc. 1 - Pià ia Ù Je” SA he d my AA iu 2% satin a me # MET AI i Mitici b R. Mix ARA VITA E COSTUMI DEGLI ANIMALI ISS SSIS CLASSE DEI RETTILI E DEGLI ANFIBI Queste due classi di vertebrati comprendono un certo numero ‘ d’animali che non sono ricoperti nè di peli come i mammi- feri, nè di penne come gli uccelli, e non hanno natatoie come i pesci. I Rettili presentano il particolare carattere di essere total- mente o in parte coperti di squame. Taluni si muovono stri- sciando, per la sola aderenza delle scaglie ventrali al terreno: questi sono i serpenti. Altri, come le tartarughe, i coccodrilli, le lucertole, sebbene camminino mercè l’ aiuto delle zampe, sembrano nondimeno trascinarsi nei vari mezzi ove vivono, perchè le loro gambe, sommamente corte !, non possono man- tenere il corpo in una posizione elevata. I membri locomo- tori, allorchè esistono, sono per solito quattro, ma si conoscono parecchie specie di lucertole che non ne hanno che due *. Esi- i Non è sempre la brevità delle zampe ciò che costringe i rettili che ne sono forniti a camminare toccando col ventre la terra. Ciò dipende dalla direzione speciale che presentano, dal modo come sono articolate col tronco, le ossa che rappresentano il braccio e la coscia. Mentre nei mammiferi forniti di quattro zampe queste par ti sono in direzione per- pendicolare, o quasi, al terreno, qui sono in direzione orizzontale, vol- gendosi poi allo ingiù le parti rappresentanti l’ antibraccio e la gamba, le quali fanno quindi rispettivamente un angolo retto col braccio e colla coscia. (Nota del Trad.) 2 V'ha anche fra i Saurii una specie che all’esterno non presenta traccie di arti e striscia sul ventre come le serpi. — È questa il Pseu- dosso che abita nei siti aridi della Dalmazia. (Nota del Trad.) 4 RETTILI E ANFIBI ste anche un piccolo rettile che fa eccezione alla regola pel suo modo di locomozione : è il drago. Questo animale, oltre alle sue quattro zampe, possiede certe appendici membranose, 0 prolungamenti della pelle dei fianchi, che son sorretti dalle co- ste, e perciò l’animale può lasciarsi cadere da un albero y per afferrare gl’ insetti di cui si nutre. Gli Anfibi * o Batraci, differiscono dai rettili in ciò che hanno la pelle nuda. Inoltre sopportano metamorfosi: nella prima età la loro esistenza è al tutto acquatica, e allora respirano per via di branchie come i pesci. I piccoli delle rane, dei rospi, delle salamandre, han nome' girini, e appena nati non rassomi- gliano per nulla ai genitori. Sono. esseri dal corpo smilzo e Fig. 2. Scheletro di anfibio (rana). lungo, senza nè zampe nè pinne, .col capo grosso, che bruli- cano per ogni verso in stormi innumerevoli nelle acque sta- ! Questa denominazione di Anfibi nel linguaggio volgare suona di- versamente dal linguaggio scientifico. Chiamansi volgarmente animali an- fibi, per esempio, le Foche, perchè stanno nell’acqua e fuori. Ma, siccome abbiamo veduto nel volume dove si tratta dei mammiferi, le Foche sono animali che respirano unicamente l’aria atmosferica, e non possono, sebbene nuotino moltissimo, rimanere a lungo sott'acqua. Un animale anfibio, nel significato rigoroso della parola, sarebbe quello che potesse a sua posta respirare, da un istante all’altro, ora l’aria atmosferica con polmoni, ora l’aria disciolta nell'acqua con branchie. Un animale di questa fatta non si conosce; sebbene in certi casi, siccome vedremo trat- RETTILI E ANFIBI 5 gnanti, e vivono colà precisamente come i pesci. Ma vanno man mano trasformandosi. Cominciano a svolgersi le membra ed i polmoni, le branchie si avvizziscono, e viene un giorno in cui, organizzati a dovere per un altro genere di vita, escono dalla loro umida dimora; per calcare la terra, al tutto nuova per essi. Tuttavia non dimenticano il loro nativo elemento. Mercè le loro dita palmate, possono ancora percorrere i luoghi ove passarono l'infanzia; e vi ritornano per godere del piacere del nuoto. Al- Fig. 3. Scheletro di rettile (tartaruga). cuni, come i Protei e le Sirene, son tanto privilegiati che con- servano la facoltà di muoversi in mezzo alle onde, mentre sal- tando dei pesci, avvenga un alternarsi talora dei due modi di respirazione a seconda delle stagioni e delle condizioni di vita dell'animale, oppure il farsi uno dei due modi di respirazione sussidiario dell'altro. Qui la denominazione di anfibi si dà ad una schiera di animali i quali, general- mente, vivono la prima parte della loro vita respirando nell'acqua con branchie, e l’altra parte fuori respirando con polmoni l’aria atmosferica. (Nota del Trad.) 6 RETTILI E ANFIBI tellano nei prati. Sono essi veri anfibi; vanno debitori di questa doppia esistenza a ciò, che in essi le branchie persistono 4. Nei rettili e negli anfibi adulti, come negli uccelli e nei man- miferi, la respirazione è aerea, e si compie per polmoni, ma è molto meno attiva. Inoltre gli anfibi hanno una respirazione cutanea notevolissima: alcuni, come i rospi, le raganelle o ra- nocchi verdi, assorbono anche maggior copia di ossigeno dalla pelle che non dai polmoni. La circolazione, a motivo della struttura del cuore, il quale non ha che un ventricolo, è incompiuta *. Il sangue, dopo essersi rigenerato solo in parte nei polmoni, torna a combinarsi col sangue non ancora rivivificato,, ed è questo miscuglio che scorre nell’ economia generale. Quindi i rettili e gli anfibi sono considerati come animali a sangue freddo, di cui la funzione respiratoria, sorgente d’ interno calore, si opera molto debolmente. A ragione della bassa temperatura del loro corpo, i rettili preferiscono i climi ardenti, ove il sole vibra raggi di una in- tensità ignota ai nostri paesi temperati. Perciò brulicano nelle calde latitudini dell'Asia, dell’Africa e dell'America, mentre in Europa sono rari. Anche per questa ragione cadono in letargo durante l’ inverno. Siccome non trovano in sè stessi il calore necessario per reagire contro il freddo esterno, cadono in un sonno di parecchi mesi, e non si svegliano che ai primi tepori della primavera 3. i Quello che qui è detto non è esatto. Anzi il Proteo anguino, non solamente vive sempre nell’ acqua, ma nell'acqua sotterranea e buia, e portato alla luce pur nell'acqua, in breve muore. Alla fine degli Anfibi (siccome l’autore non ne parla) aggiungeremo un capitolo in proposito. (Nota del Trad.) 2 Conviene modificare quanto qui è detto intorno al cuore dei rettili e degli anfibi. Nei coccodrilli il cuore ha quattro cavità, come negli uccelli e nei mammiferi: tuttavia segue una certa mescolanza del sangue venoso coll’arterioso, per via di un canale che mette in comunicazione il sangue che arriva al cuore con quello che ne parte. Nei rettili in generale i due ventricoli esistono, ma vi è un foro nel tramezzo che li separa, il quale forma fra di loro una comunicazione. Questo foro assai piccolo nei Che- lonii si va, man mano che si scende agli altri rettili, facendo più grande. Nei Batraci poi, questo foro si è allargato tanto da aver fatto scomparire al tutto il tramezzo ; in questi soli pertanto si può veramente dire che il cuore ha un solo ventricolo ; negli altri bisogna dire che esso ha due ventricoli comunicanti. (Nota del Trad.) 3 Non è giusto dire che il freddo sia l’unica o la principale causa ‘del letargo dei rettili. Iumboldt avvertì come al Messico gli Alligatori . RETTILI E ANFIBI 7 I serpenti, le lucertole, le tartarughe, le rane, vanno soggetti a questa legge. Taluni svernano sulla terra, sotto mucchi di sassi o entro buche; altri nella melma; altri poi in fondo alle acque. Questi animali hanno i sensi poco sviluppati. In essi, il tatto, il gusto e l’odorato sono imperfettissimi. L’udito, sebbene meno ottuso, tuttavia lascia molto a desiderare; ma la vista agisce abbastanza bene, mercè occhi grossi, dalla pupilla contrattile, facoltà che permette a corti rettili, come il geko, di distinguere gli oggetti nel buio. La voce è a P000 notevole negli anfibi e nei rettili. Nondimeno i serpenti mandano sibili acuti; alcune specie di coccodrilli fanno sentire forti urli, e le rane gracidano. I rettili e gli anfibi hanno il cervello piccolissimo. Ciò spiega la loro limitata intelligenza, e la quasi compiuta impossibilità di poterli ammaestrare. È vero che si riesce ad addomesticarli, ma non sono suscettivi di affezionarsi. Il piccolo volume del loro cervello li rende molto insensibili, e fa sì che possono sopportare certe mutilazioni che sarebbero immediatemente mortali per altri animali. Per esempio, la lu- certola, coi suoi repentini movimenti, si rompe spesso la coda. Non se ne dà per intesa. Questa perdita di una parte del suo corpo non pare commuoverla ; aspetta tranquilla il ritorno del- l'organo che la compiacente natura rinnova ogniqualvolta ciò sia necessario. Si può anche estrarle gli occhi, tagliarle una parte del capo !: questi organi si riproducono o si compiono, dopo un certo tempo, senza che l’animale abbia perciò cessato di compiere le funzioni che gli sono ancora permesse nel suo stato di amputato. Una tartaruga, cui sia tolto il cervello, con- tinua a vivere e camminare per lo spazio di sei mesi; e si è veduto una salamandra vivere abbastanza sana, sebbene il suo capo fosse, per così dire, isolato dal tronco, mercè una legatura molto serrata intorno al collo. cadono in letargo nei mesi più caldi della state. Questa sorta di letargo estivo è pure in qualche mammifero. (Nota del Trad.) 1 Quello che qui dice l’autore della lucertola non è esatto : essa ri- produce bensi la coda ricisa, ma non gli occhi nè una parte del capo. Quest’ ultimo fatto vuol essere riferito invece alle salamandre acquaiole, o tritoni, i quali in realtà riproducono coda, zampe, occhi, ed anche una porzione del capo, esportati! Un naturalista italiano in un suo seritto al congresso dei naturalisti in Vicenza l’anno 1868, svolgeva questo con- cetto, che la facilità del riprodurre parti esportate negli animali è in fTapporto diretto colla facile perdita in essi di queste parti. (N. del Tr.) 8 RETTILI E ANFIBI Un’ altra curiosa particolarità della storia dei rettili e degli anfibi è questa, che al loro svegliarsi dal letargo si spogliano dell’antico invoglio, ed ogni anno, come si suol dire, fanno pelle nuova. La loro giovinezza dura molto, in questo senso che cre- scono lentamente, e il loro crescere continua quasi per tutta la loro esistenza. Quindi hanno vita lunghissima. Ciò del resto non deve far meraviglia, quando si pensi che per parecchi mesi dell’anno esistono senza vivere, quindi non si logorano tanto presto come gli altri animali, e in conseguenza debbono rag- giungere un’ età avanzata. : La poca attività dell'organismo dei rettili e degli anfibi fa sì che il loro stomaco è poco esigente; quindi non si nutrono che raramente, e digeriscono poi anche con molta lentezza. Tranne le tartarughe, che sono erbivore, i rettili e gli anfibi si nutrono di animali vivi 1. Gli uni, come le lucertole, le rane, i rospi, ecc., inseguono i vermi, gl’insetti, i piccoli molluschi terrestri od acquatici; gli altri, come i coccodrilli ed i serpenti, aggrediscono mammiferi ed uccelli. I grossi serpenti, mercè la dilatabilità del loro esofago, inghiottono animali molto più vo- luminosi di loro. Il boa si avventa sul toro, lo avvinghia nelle sue molteplici spire, gli spezza le ossa, e poco a poco lo in- ghiotte intero. I rettili, come pure gli anfibi, sono ovipari, e la loro fecon- dità è grandissima. Le loro uova sono talora ricoperte di un invoglio calcareo; così fatte sono le uova dei rettili; talora son molli e analoghe a quelle dei pesci, come negli anfibi. Non co- vano le uova, ma le sotterrano nella sabbia, affidando al calore del sole la cura di farle schiudere. Gli anfibi le lasciano sparse nell’acqua degli stagni, oppure le trasportano sul dorso, finchè abbiano terminato di schiudersi. Usciti dall’ uovo, i piccoli debbono provvedere a tutti i loro bisogni; perchè i genitori non son più là per portar loro il nu- trimento, e difenderli contro i loro nemici. Questa protezione tanto evidente, negli animali superiori non esiste neppure nelle specie ovovivipare vale a dire in quelle in cui le uova si schiudono nel corpo della madre; i piccoli nascono vivi e pre- parati alle lotte della vita. i Non le sole tartarughe fra i rettili sono erbivore. Nelle isole Gala- pagos vi ha una specie singolare di grosso lucertolone] (Amblyrhincus cristatus), che vive in mare presso gli scogli, e si nutre esclusivamente di alghe. Questo fatto era frequente nei Saurii enormi delle epoche geologiche passate. (Nota del Trad.) RETTILI E ANFIBI 9 Gli amori di questi animali non presentano quel carattere di affetto scambievole e di tenera simpatia che si osserva nei mam- miferi e negli uccelli . Appena hanno resa sicura la continua- zione della specie, si separano, e ritornano a vivere solitaria- - mente. Certi rettili acquistano proporzioni veramente straordinarie, che talora li rendono molto formidabili. Si trovano certe tarta- rughe marine che pesano fino ad 800 chilogrammi, di cui la scaglia è lunga fino a due metri. La comune lunghezza del coccodrillo è di 3 a 4 metri, ma se ne son veduti taluni lunghi 8 e fino 10 metri, le cui fauci avevano una larghezza di 2 a 3 metri. Nell’India ed in America * si trovano enormi boa, grossi come la coscia di un uomo, e non hanno meno di 16 metri di lun- ghezza. Gli annali romani fanno menzione di un serpente lungo 40 piedi, che fu incontrato da Regolo in Africa, durante la prima guerra punica. Questi giganteschi rettili non sono, tuttavia, quelli che l’uomo deve maggiormente temere. La loro stessa statura li tradisce, per cui è agevole poterli evitare. Son ben più da temere le vi- pere, lunghe appena 60 centimetri, che s’ insinuano non viste più presso alla preda e la mordono crudelmente, lasciando nella piaga un veleno che produce una morte fulminante. Questo fa- tale potere è stato certamente l'origine del culto che alcune na- zioni dell’antichità avevano per certi rettili, e che sussiste an- cora presso alcuni popoli selvaggi. In ogni tempo i rettili e gli anfibi hanno ispirato all'uomo un insuperabile ribrezzo. Il signor Daudin cita l'esempio di una donna che cadde svenuta per aver posato inavvertitamente la mano sopra un rospo che non pensava le fosse vicino. Quante persone non possono trattenere un movimento di sgomento, appena veggono una biscia, una lucertola od una rana, animali 1 Vedi in proposito degli Amori dei Serpenti il capitolo aggiunto dopo questo. (Nota del Trad.) 2 Il Boa è un genere di serpenti propri dell’ America, e non è esaito dire che si trovino Boa nel continerite antico. Per questi serpenti si verifica una legge che si riscontra in molti altri generi di animali, secondo la quale, quando vi sono nello stesso genere specie terrestri e specie acquatiche, queste sono le più grosse. Il Boa di maggior mole e lunghezza è il cosidetto Anacondo (Eunectes murinus Wagl.), specie acquatica. Nel Musco dell’Università di Genova havvi un bellissimo esemplare di questa specie, dono di S. A. il Principe di Cari- gnano, lungo dieci metri. (Nota del Trad.) Ficuier. Rettili, Anfibi, ecc. 2 410 RETTILI E ANFIBI tuttavia inoffensivi! Parecchie cause concorrono a produrre questo fatto. Prima di tutto, la bassa temperatura del loro corpo, per cui il suo contatto produce un senso involontario di ri- brezzo a chi ne prova l’effetto; poi il liquido vischioso che se- cernono i serpenti dalle fauci, e le rane, i rospi e le salamandre, dalla pelle. Il loro sguardo fisso e spento produce pure una impressione penosa. L’odore nauseante che esalano è talmente acre, che sovente basta da solo a provocare uno svenimento. Aggiungiamo anche il timore di un pericolo, reale o spesso esagerato, e comprenderemo la cagione di questa sorta di or- rore istintivo che fa nascere in noi l’aspetto d# un rettile. Nondimeno le specie nocive sono eccezionali nei rettili, e ne- gli anfibi non trovasene alcuna; perchè è un errore credere che l’orina che il rospo scaglia mentre fugge sia un veleno *. Se in generale l’aspetto di questi animali è ributtante, non- dimeno dobbiamo riconoscere la loro incessante utilità nella economia della natura. Siccome abitano il limo ed il fondo degli impuri pantani, fanno continua guerra ai vermicciattoli, agli insetti che brulicano in quelle cloache, e che altererebbero l'atmosfera, se la natura non vi avesse posto riparo colla salu- tare presenza di questi animali in quei medesimi luoghi. A loro volta, trovano nemici accaniti negli uccelli di padule, i Il liquido di cui qui si parla, « non è orina, giacchè i batraci, come gli uccelli, mancano di vescica orinaria, e gli ureteri sboccano diretta- mente nella cloaca. Quel fluido, che par destinato ad essere riassorbito dal corpo dell'animale che ha bisogno d’una grande e perpetua umidità, è limpido come l’acqua, e manca d’ ogni odore e d'ogni sapore. Il mio collega, il prof. Lavini, di cara e venerata ricordanza, raccolse due oncie e più di questo umore per sottoporlo a chimica analisi, ma prima tentò con esso parecchie sperienze sopra alcuni animali, come conigli, pol- lastri e simili, ora stropieciando con panni intrisi di quel liquido le parti denudate di quelli animali, ora introducendone nella cute con ago vac- cinatorio, ora facendo loro ingoiare alimenti in esso immolati; ne fece anche ripetuta e forte fregagione sull'avambraccio di un contadino: ma in niuna di queste sperienze osservò egli che accadesse o sconcerto di stomaco, o dolore o enfiatura, o altro accidente; i quali risultati erano già stati per la maggior parte ottenuti un secolo prima da Antonio Vallisnieri. Un giorno, un rospo ch'io aveva abbrancato, mi spruzzò sul viso, sugli occhi e la bocca che sono pure parti squisitamente sensibili : contuttociò mi parve di essere stato spruzzato da schietta acqua e non più! Dunque anche la così detta orina dei rospi è del tutto innocua. » Abbiamo citato letteralmente le parole di Giuseppe Géné nella sua ec- cellente Storta Naturale degli Animali. (Nota del Trad.) RETTILI E ANFIBI 11 che ne impediscono la troppo prodigiosa riproduzione. In tal modo si rende stabile l'equilibrio e l’armonia degli esseri. Gli animali che ci occupano rendono servigi più diretti al- l’uomo, perchè servono alla sua alimentazione. Nel mezzodì d’ Europa si mangiano le rane; e in alcune parti pure della stessa regione, si mangiano le biscie col nome di anguille di siepe. Tutti sanno che in Inghilterra si tengono in gran conto le tartarughe, per farne la minestra. In certi paesi si mangiano le iguane, i coccodrilli, ed anche il serpente a sonagli. Perfino il brodo di vipera fu per lungo tempo vantato dagli Ippocrati dei tempi barbari. Come già abbiamo fatto osservare, l’ indole particolare della loro organizzazione porta i rettili e gli anfibi a cercare le re- gioni ove il sole versa perennemente torrenti di luce ardentis- sima. Colà ottengono quelle enormi dimensioni che distinguono i serpenti africani; colà distillano i loro più potenti veleni; colà si adornano di colori vivaci, i quali sebbene non abbiano lo splendore di quelli degli uccelli e dei pesci, fanno nondimeno bellissimo effetto. I serpenti e le tartarughe brillano di riflessi metallici svariatissimi; il corpo delle iguane e delle lucertole offre combinazioni e tinte molto variamente screziate. In que- gli stessi paesi s'incontra il camaleonte, animale notevolissimo pei mutamenti di colore, fenomeno che si incontra anche nelle nostre rane, ma in grado molto minore. I rettili e gli anfibi erano, nelle prime epoche della vita del nostro globo, numerosissimi. Si è allora che vivevano quei saurii mostruosi, di cui bastano le dimensioni a spaventarci. I rettili e gli anfibi delle prime epoche della terra avevano forme più varie, dimensioni molto più grandi, e mezzi di esi- stenza molto più svariati, che non quelli della creazione con- temporanea. I rettili dei nostri giorni non sono che i degeneri figli di quelli delle epoche geologiche. Mentre allora riempivano l’acqua colle loro spaventose ed enormi masse, spandendo il terrore in mezzo alla creazione vivente, tanto per le loro armi offensive quanto pel loro numero prodigioso, oggi son ridotti ad un piccolo numero di specie. Non si contan guari più di 1500 specie di rettili e di anfibi, di cui sole 100 apparten- gono all’ Europa. Perciò in questo libro faremo più breve la storia dei rettili e degli anfibi. RETTILI ” I Come abbiamo detto, i rettili sono animali vertebrati che re- spirano mercè polmoni, forniti di sangue rosso e freddo, vale a dire un sangue che non produce calore sufficiente a rendere la loro temperatura sensibilmente superiore a quella dell’atmo- sfera; sono sprovvisti di peli, di piume, di mammelle ; ed hanno il corpo coperto di scaglie. Tessendo la storia delle specie più notevoli descriveremo le varie abitudini, i costumi singolari, le foggie esterne svariatis- sime e tanto curiose dei rettili. La classe dei rettili si divide in tre ordini : gli Ofidi, i Sauri, i Cheloni. Parleremo successivamente di questi tre ordini. Solamente, onde i più giovani fra i nostri lettori non si sgomentino per questi nomi un po’ strani, diremo subito che gli Ofidi com- prendono i serpenti, i Sauri le lucertole, i coccodrilli, ecc., ed i Cheloni le tartarughe. Speriamo che questa nomenclatura volgare basti a rassicurare coloro che potessero sentire ripu- gnanza pei nomi scientifici testè detti. ORDINE DEGLI OFIDI Gli Ofidi, noti volgarmente col nome di Serpenti, hanno il corpo allungato, rotondo, stretto. Non hanno nè zampe nè na- tatoie. La bocca è fornita di denti aguzzi, foggiati ad uncini, discosti e non contigui. La mascella inferiore è molto dilatabile SERPENTI INNOCUI 13 colle due ossa che la costituiscono più, lunghe del cranio; non hanno collo, e le loro pupille sono immobili. La pelle è coria- cea, estensibile, squamosa o granulosa, coperta di un’epidermide caduca, che si distacca tutta intera, e si riproduce parecchie volte all’anno. Hanno movimenti pieghevoli e varii. Mercè le ondulazioni che danno al loro corpo, non camminano; per parlare esatta- mente, strisciano. Siccome hanno fatto molti naturalisti, divideremo i serpenti in due scompartimenti : i velenosi e gl’innocui. SERPENTI INNOCUI. — Questi serpenti hanno denti fermi e Fig. 4. Biscia d’acqua. pieni, vale a dire senza canali nè solchi: così sono le Biscie, i Pitoni ed i Boa. Biscie. — Le Biscie' non hanno veleno mortale, nè arme fu- nesta di sorta. Quando la loro vista ci si è fatta famigliare, le incontriamo senza disgusto nei boschi, nei campi e nei giardini. L’occhio può ammirare con compiacenza le belle tinte della loro pelle e la vivacità dei loro movimenti. Non spaventano neppure gli uccelli che le lasciano mescolarsi a’ loro giuochi, e non stuo- nano nell’armonia della natura. La Biscia comune o Biscia d’ acqua * (fig. 4) si trova nella buona stagione presso le abitazioni. Talora depone le sue uova I Fr., Couleuvres. 2 Fr., Couleuvre è collier. 14 ORDINE DEGLI OFIDI in numero di dieci o quindici a foggia di rosario, nei covoni di grano che stanno nei campi. Trovasi pure nei prati umidi, accanto ai corsi d’acqua, ove ama tuffarsi. Perciò vien detta Biscia d'acqua, Marasso d’acqua, Anguilla di siepe 4. Vien lunga talvolta fin oltre un metro. Il vertice del capo, piatto, è coperto di nove grandi scaglie, disposte in quattro file. Il disopra del corpo è di un bigio più o meno scuro, cosparso da ogni lato di macchie nere di forma irregolare. In mezzo alle due striscie fatte da queste macchie, sì distendono, dal capo fino alla coda, due altre striscie longitudinali di macchiette più pic- cole. La parte inferiore del ventre è variegata di nero, di bianco, o di azzurrognolo. Sul collo si osservano due macchie di un color giallo sbiadito o biancastro, che formano come una specie di collare (da cui è derivato il nome francese di Biscia dal col- lare dato pure a questo Ofidio); queste due macchie sono più appariscenti perchè stanno innanzi ad altre due macchie trian- golari oscurissime. Questa biscia striscia nel terreno con somma velocità, e si slancia volentieri a nuoto. Durante la buona stagione, si osserva nei luoghi umidi come nei cespugli o sui rami alti e secchi dei salici, degli aceri, o sulle sporgenze dei vecchi edifizi. Si nutre di formiche e di altri insetti, come pure di lucertole, di rane, e di topolini. Può anche andare ad aggredire gli uccellini nel nido, perchè si arrampica agevolmente sugli alberi. Sul finire d’ autunno, si riavvicina ai luoghi meno freddi, viene presso all’abitato e si rintana nei buchi sotterranei, spesso sotto le siepi, e quasi sempre in un luogo piuttosto alto per scansare le innondazioni. La biscia d’acqua, che trovasi in quasi tutta l’ Europa, può essere, in generale, maneggiata senza pericolo. Lacépède dà ragguagli molti curiosi sulla dolcezza dei suoi costumi. Si può allevarla nelle case. Ella si avvezza così bene all'uomo che la tiene con cura, che al minimo cenno viene ad avviticchiarsi alle sue dita, alle sue braccia ed al suo collo. Gl’ introduce il capo nelle labbra, gli sugge la saliva, e può nascondersi e sci- volare fra i suoi vestiti. Quando la biscia d’acqua non è stata addomesticata, ed ha vissuto nei campi, che si è fatta adulta e forte allo stato libero, se è aggre- dita, s'irrita subito. Allora gli occhi le si rianimano, vibra la lingua, 1 Con questi nomi viene indicata pure da noi la Natrix torquata. È ella assai frequente in Italia e in Lombardia. (Nota del Trad.) BISCIE 15 si rialza con vivacità, e morde anche la mano che cerca di af- ferrarla; ma la sua morsicatura è al tutto innocua. Il Serpe uccellatore, lungo circa un metro, trovasi nel mezzodì e nell’ ovest della Francia, come in tutta l’Italia. I bei colori di cui va adorno !, lo fanno distinguere benissimo dalle vipere. I suoi occhi sono orlati di squame dorate; la parte superiore del corpo è di un color verdastro molto cupo, su cui si scor- gono da un capo all’ altro macchiette giallastre di varie forme, talune allungate, altre romboidali, ecc. Il ventre è giallo. Ognuna delle grandi piastre che lo coprono offre un punto nero alle due sue estremità, ed è orlata da una sottile linea nera. Questo innocuo animale rimane quasi sempre nascosto, e quando è scoperto fugge rapidamente. È facile addomesticarlo. ° La Natrice viperina ? (fig. 5) ha il corpo di un bigio verdiccio o di un giallo sporco, ed in mezzo al dorso si osserva una fila di macchie nerastre molto vicine o unite fra loro formanti una linea ondulata; i fianchi sono ornati di macchie isolate in forma romboidale col centro di una tinta verdiccia. È più piccola della biscia d’acqua, e, come questa, abita tutta l’Europa 8. Degli amori di alcuni serpenti nostrali i, — Gli amori dei ser- penti non sembrano aver mai avuto a spettatore alcuni di que- gli uomini che per coltura d’ ingegno avrebbero potuto, o per specialità di studi avrebbero dovuto descriverli e recarli a pub- blica cognizione ; ciò poi che :parmi ancor ‘più singolare si è, che, mentre il popolo delle campagne ne sa in questo propo- sito assai più dei naturalisti, questi o non abbiano mai udito i racconti del popolo, o non li abbiano in alcun tempo stimati degni di essere ricordati nei loro libri. Nè mi si dica che que- 1 Perciò i Francesi lo chiamano Couleuvre verte et jaune. 2 Fr., Couleuvre viperine. 5 Questa specie non esiste in Lombardia; ma da noi è rappresentata dalla Natrix tessellata, affatto analoga, di cui parleremo più innanzi. (Nota del Trad.) 4 Questo capitolo, aggiunto da noi alla presente edizione, appartiene ad un grande naturalista piemontese, il professore Giuseppe Géné (n. 1800 a Turbigo, m.41847 a Torino), che nella breve sua vita ha fatto colle sue ricerche e coi suoi scritti molto onore all’ Italia. Egli dettò alcune bel- lissime pagine nelle quali espone certe sue osservazioni intorno agli amori di aleuni serpenti nostrali. Questo opuscolo del professore Géné è diventato una grande rarità bibliografica. Crediamo fare cosa gradevolis- sima ai nostri lettori, riferendolo qui per intero, tanto più che l’autore francese tocca appena di questo importante argomento. (Nota del Tr.) 16 ORDINE DEGLI OFIDI sta ripugnanza ad accogliere quanto dal semplice volgo si narra sul fatto speciale degli amori dei serpenti sia provenuta o provenga dalla diffidenza che giustamente ispirano ad ogni uomo sensato le narrazioni popolari, le quali anche quando sono veridiche nella sostanza, sogliono essere stranamente esa- gerate o false negli accessorii: io potrei addurre un grandissimo numero di esempi, i quali provano che sì fatta ripugnanza non fu mai nè la virtù nè il vizio degli scrittori di cose naturali. La storia dei serpenti che diconsi succhiare il latte delle vac- che, ebbe amorevoli spositori in Lentiglio, in Bierling ed in Gabriele Anselmi: l’antica e volgare opinione che la vipera tron- chi, dopo la ricevuta fecondazione, la testa del maschio, e perda Fig. 5. Natrice viperina. essa stessa la vita nel dar inluce i figliuoli, fu presa in esame da Giulio Cesare Baricolli; della facoltà, che a questi rettili si attribuisce, di fascinar gli animali de’ quali vogliono far preda, disputarono a lungo Sloane, Toplis, Kalm, Lewson, Catesby, Beverby, Bancroft, Smith, Barton, ed altri non pochi; per dir breve, io non conosco cosa vera o supposta, ragionevole 0 as- surda, relativa alle abitudini, alle proprietà e fin anche alle forme dei serpenti, la quale, pel ministero degli scrittori, non sia passata dalla bocca del popolo nei libri della scienza. Un solo fatto, il fatto curiosissimo degli amori di cotesti animali, non ebbe ancora, siccome dissi, questo onore, onde io, che già lo feci argomento, or sono circa dieci anni, di pochi e sfugge- voli cenni nella Biblioteca italiana, ove paiono giacere univer- , DEGLI AMORI DEI SERPENTI 17 salmente ignorati, lo verrò ora nuovamente descrivendo e con maggior copia di notizie particolareggiando. A udire ciò che dagli autori si narra degli amori delle serpî, essi sarebbero la più semplice, la più ordinaria e la men poe- tica cosa del mondo. Aristotile, parlando delloro accoppiamento, ‘dice che si avvolgono sì strettamente l'uno intorno all’altro da risvegliare a prima giunta, in chi li guardi, l’idea di un solo corpo, o di un solo serpente a due teste. Plinio traduce a un dipresso le espressioni del filosofo greco: Coéwrit amplexu adeo circumvoluta sibi ipsa, ut una eristimari biceps possit. Gli autorì poi dell’ Erpetologia generale, che si va pubblicando a Parigi, non parlano della foia di questi animali che colle seguenti pa- role: L’istinto e la necessità imperiosa che la natura ha imposto a lutti gli animali di cercare di conservare, e propagare la loro razza, porla ît maschio (dei serpenti) a fare tutti gli sforzi per avvicinarsi alla femmina, e questa ad andargli incontro. Se la storia degli amori dei serpenti stesse realmente in questi ter- mini e in questi soli termini, a mala pena meriterebbero d’es- sere ricordati, dappoichè non sarebbero per conto alcuno diversi dagli amori di ogni altro rettile e d’ ogni altro vertebrato ter- restre; si praticherebbero di volta in volta fra due soli indivi- dui, e il luogo qualsivoglia, su cui il caso facesse incontrare o: sostare i due sessi, servirebbe all’atto della fecondazione; ma le cose sono lungi dall’ essere così. I serpenti si congregano in grandissimo numero per l’opera della generazione; durano nella foia per molti giorni di seguito; le femmine non ricer- cano i maschi, ma li attendono nel proprio loro domicilio, e siccome coteste femmine, a giudicarne da parecchie osservazioni da me fatte, sono sedentarie e non lasciano che per straordinarì e gravi disturbi il domicilio una volta trascelto; così accade che ie anzidette congreghe si ripetano da un anno all’ altro e per molti anni di seguito nel medesimo luogo. Se non che, meglio di queste cose dette in maniera astratta e generale, parleranno i fatti che senz’altro passo ad esporre. Nell’ anno 1819, alla metà d’ aprile, verso l’ora del mezzodi,, m’imbattei per la prima volta, in un bosco della valle del Ti- cino, a vedere appiè di un vecchio ceppo d’ albero una ragu- nata di oltre a duecento individui del Coluber austriacus, che accavallandosi vivacemente gli uni agli altri e intralciandosi in ogni immaginabile maniera, or formavano uno sferico viluppo tutto irto di teste e di lingue vibranti, or si svolgevano in modo da formare uno strato più largo che alto, in cui gli individui sì rimescolavano e brulicavano, come anguille rinchiuse in gran FicuieR. Rettili, Anfibi, ecc. 3 18 ORDINE DEGLI OFIDI numero e piene di vita in un paniere. Lo spettacolo era nuovo pe’ miei occhi, ma da lungo tempo io lo conosceva per fama. Più e più volte aveva udito dai contadini parlare di così fatti assembramenti di biscie, soliti, secondo che essi dicevano, a vedersi in primavera; e benchè avessi sempre dubitato della piena veracità, delle animate e grafiche parole, con le quali me li avevano dipinti, non mi era per altro stato possibile di ri- fiutar totalmente la mia fede ad un fatto da molte persone e con rara concordanza d’ espressioni attestato. lo n° era in quei momenti testimonio; lo trovava pienamente conforme alle udite descrizioni; sapeva che i naturalisti non ne avean fatto parola, e quindi non è a dirsi la gioia e la curiosità con che stetti senza tirar fiato a contemplarlo. Per circa un quarto d’ora con- tinuarono quei vispi animali, senza tregua di sorta, a rimescolarsi, ‘a confondersi nel modo che ho detto: ma poi parvero sentir tutti nel medesimo istante il bisogno di un po’ di riposo: in meno che io non lo dica, quel viluppo si sciolse, gli individui si scostarono d’alcun poco gli uni dagli altri, si distesero, cia- scuno a sua volta, in linea retta, sollevarono tutti verticalmente il capo e la parte anteriore del tronco in modo da formare col resto del corpo un angolo quasi retto, e in quella positura stet- tero rigidi ed estatici per alcuni minuti. Non: ho parole che valgano ad esprimere il grazioso spettacolo che offerivano: tutte quelle testoline in tale guisa sollevate ed immobili parevano tanti piuoli conficcati nel suolo o tanti asparagi di fresco sorti da terra. Ma quel riposo fu di breve durata, come ho già fatto sentire; riscossisi tutti ad un tempo, tornarono ad accavallarsi, a invilupparsi colla foga di prima, poi di nuovo riposarono; poi ripigliarono la tresca, e così di seguito fin verso le due ore, nel qual punto, tocchi si direbbe da improvviso spavento, e mu- tato bruscamente pensiero, tutti si separarono, e chi di qua, chi di là andossene lestamente e disparvero nel bosco. Alcuni in- dividui soltanto rimasero entro una grotticina che internavasi sotto al ceppo, ai piedi del quale aveva durato quel tafferuglio, e quegli individui vi stettero quasi sempre con la testa diritta ed immobile, fin verso la sera. Due cose intanto mi avevano in quel primo giorno colpito di meraviglia. E primieramente, il Coluber austriacus è un ser- pente che incontrasi di rado nella valle del Ticino: or come e d’onde avevano potuto tanti e tanti individui convenire su quel piccolo spazio di terra? In secondo luogo, qual genero di lotta era questa che io aveva veduto? I vertebrati terrestri, quando sì disputano le femmine, rompono in furiosi combattimenti, i DEGLI AMORI DEI SERPENTI 19 quali non finiscono che con la fuga e talvolta ben anche con la morte dei più deboli: qui invece non un morto, non un si- bilo, non uno di quegli atti violenti, che rivelano un interno sentimento di gelosia o di rabbia. Più che una lotta, pareva una calca, una pressa d’ amici stimolati da uno stesso bisogno e intenti a una sola e comune ricerca. L'indomani mi trovai di buon’ora sul luogo medesimo nella speranza di assistere alla ripetizione di quella scena curiosa, e coll’ intendimento di studiarne un po’ meglio le ragioni e le particolarità. Fin verso le nove ore tutto fu solitudine e quiete: l'ingresso della grotticina era sgombro e deserto, e per quanto frugassi nelle erbe e negli arbusti per ampio tratto all’intorno non vi seppi rinvenire alcuna di quelle serpi nascoste. Ma verso l’ora anzidetta, l’aria già essendosi notabilmente riscaldata, e il sole battendo vivamente su quello spazio di terra, ne vidi quattro affacciarsi, con gran dardeggiare di lingue, all’apertura della grotticina, in cui senza alcun dubbio avevano passata la notte: verso le dieci e mezzo poi il fruscìo delle foglie che co- privano il suolo mi avvertì che la congrega ricominciava. Ed anche quello era spettacolo oltre ogni dire curioso e piacevole! Da tutte le parti intorno a me, a destra, a sinistra, a fronte, a tergo, io vedeva e sentiva giungere con moto concitato e talvolta bizzarramente convulso, quei baldi animaletti, e tanta era la loro preoccupazione e sì forte il sentimento che li dominava, che non sembravano accorgersi o menomamente curarsi della mia presenza: molti mi passavano tra i piedi o su i piedi, e tutti andavano difilati alla grotticina, e tutti vi si internavano, dando immantinente principio a quella confusione e a quel rimescola- mento di corpi, che aveva nel precedente mattino osservato. E siccome l’arrivo di nuovi individui continuava, e la grotticina non poteva più oltre capirne, così cominciò pur anche a for- marsi all’ ingresso di essa un considerabile viluppo che andò via via ingrossando fino alle ore undici, verso il qual tempo ogni arrivo cessò. Rividi allora quei lunghi avvolgimenti e quei brevi riposi, e un po’ dopo le due pomeridiane fui nuovamente testimonio del modo con cui repentinamente la moltitudine dissi- possi e scomparve. Questi congressi si ripeterono per sei o sette giorni di seguito, ed era tanta la puntualità con cui que’ serpenti vi si rendevano e ne partivano, che profetando di mano in mano ogni loro atto e perfino l’istante della loro separazione, feci non poco mera- vigliare i numerosi amici che volli avere partecipi nell’osserva- zione di quel bellissimo fatto, al quale, per dirla alla sfuggita, 20 ORDINE DEGLI OFIDI essi non sapevano assistere che coi capegli irti per raccapriccio sul capo. Ma fin qui non dissi cosa che abbia grandemente dello strano: aggiungerò adunque che alla metà di aprile, e all'ora undecima del mattino, tutta volta che il cielo fosse sereno e l’aria tepida e tranquilla, io continuai per otto anni consecutivi, cioè sino al 1827, a vedere in quel medesimo sito, appiè di quel medesimo ceppo, gli stessi amori e gli stessi innamorati. Il bosco, che era ceduo, venne in quel frattempo tagliato; per .poter adoc- chiare più addentro nella piccola grotta, io ne allargai l'apertura togliendone ciottoli e terra; vi fu benanche chi si prese lo spasso crudele di scaricare da vicino su quei poveri animali, nel forte della loro mischia, un archibugio carico di piombo minuto, ed erane risultato ogni maniera di ferite, di mutilazioni e di morti; contuttociò nè il mutamento di fisiche condizioni prodotto dal taglio delle piante, nè i guasti da me operati nella tana, nè la strage accennata valsero a rendere odioso quel luogo ai nostri serpenti; esso continuò sempre ad essere la sede delle loro riu- nioni; esso lo era ancora, per notizia da me avuta, nel 1832, e forse lo è tuttavia. Prima di passar oltre, cioè prima di porci ad indagare la ra- gione dei fatti che ho narrato, giovi sapere che quell’istinto di congregarsi in grandissimo numero nel tempo dell’amore, non è soltanto del Coluber austriacus: lo hanno anche il serpente uccellatore o saettone (Coluber atro-virens) ed il Coluber Riccioli, che da molti si stima animale rarissimo nell’ Italia superiore, ove difatti accade ben poche volte che i naturalisti lo incontrino, tanto ha pacifiche le abitudini e segrete le dimore. Ed a proposito del saettone debbo dire che, diffidente e collerico qual è in pa- ragone degli altri serpenti nostrali, non ismette questa indole neppure nei momenti dei trasporti amorosi; cosicchè mentre il Coluber Riccioli lasciasi, come il Coluber austriacus, osservar da vicino e senza dar segno d’adombrarsene, le congreghe dei saet- toni si scompigliano prontamente, e gl’individui volgonsi in fuga precipitosa per poco che vengano soverchiamente o in maniera troppo libera accostati. Alcuni, invece di fuggire, osano sca- gliarsi contro l’ osservatore e seguitarlo per lungo tratto di strada con la testa alta e con sibili rabbiosi. Toccommi un giorno questa singolare persecuzione, durante la quale il saet- tone, che erasi attaccato a’ miei passi, limitossi a fare slanci ed a darmi di cozzo nelle gambe senza far atto di morderle o di avviticchiarvisi. Ho ragioni per credere che anche la Natrix vi- perina, la quale tien luogo in Sardegna della nostrale biscia dal DEGLI AMORI DEI SERPENTI 21 collare (Natrix torquata), si comporti per l’opera della generazione come le specie delle quali ho parlato fin qui: e questa con- gettura mi viene suggerita dal ricordo di aver veduto nella primavera del 1835, un numero straordinario di questi serpenti uniti sur un piccolo spazio di terreno in riva al fiume di Riola. Comunque fossero inattivi, io non so persuadermi che si tro- vassero colà raccolti come in propria ed abituale dimora, o per semplice caso. E lo stesso dirò delle vipere. Questi rettili, tanto e a sì giusta ragione detestati, svernano, riuniti in gran nu- mero e letargici, nei luoghi acquitrinosi o prossimi alle acque, a più di un metro di profondità sulla terra. Al cessar del tor- pore e al loro ricomparire sulla faccia del suolo, il che nelle nostre valli di pianura suol accadere nel mese di marzo, quella specie di società, in cui passarono la fredda stagione, non pare sciogliersi immantinente, giacchè per tutto il corso della pri- mavera, nel sito ove una se ne trova, sanno gli abili cercatori trovarne molte altre. Ammesso dunque che in marzo e in aprile cadano gli amori, come degli altri, così anche di questi ser- penti, non sarà senza fondamento il pensare ch’ essi pure si compiano con numeroso concorso d’ individui. Ma non insisto su ciò : non ostante ogni mia diligenza, io non ho mai potuto chiarire con osservazioni dirette questo punto importante della storia naturale delle vipere. Vi sarei forse riuscito, perchè mi piacqui sempre e in maniera del tutto speciale di questo ge- nere di studi; ma i gravi ed onorevoli uffici, ai quali venni di buon’ ora chiamato, togliendomi dal poter frequentare la cara ed istruttiva solitudine delle campagne, mi tolse pur anche la facoltà di continuare le fatte ricerche. Ma passiamo ormai a dichiarare l’ origine e la composizione di quei numerosi e pittoreschi assembramenti di ofidii, che più sopra si sono descritti. Sulle prime io m’era dato a credere che la scelta del luogo, sul quale convengono con tanta costanza, e per tanti anni di seguito, venisse determinata da condizioni 0 da particolarità incomprensibili da noi, e note soltanto al senso secreto o all’istinto di questi animali. Credeva oltre a ciò che in quel gran concorso d’ individui fossero miste, senza legge alcuna di numero, le femmine ai maschi, e che quell’ agitarsi e quell’intrecciarsi fosse la lotta, colla quale ogni maschio cer- cava di sobbarcarsi ai rivali e di congiungersi ad una delle femmine. Ma non andò guari che ebbi a riconoscere false, al- meno in grandissima parte, quelle mie congetture. Avendo esa- minato i trenta o quaranta serpenti austriaci, che erano rimasti uccisi o gravemente mutilati dal colpo d’ archibugio, del quale 25 ORDINE DEGLI OFIDI ho parlato, li trovai tutti di sesso maschile, ed avendo altra volta raccolto un viluppo di oltre a sessanta serpenti del Ric- cioli, che si ravvoltolavano all'ingresso di una tana già occu- pata e zeppa d’altri individui della stessa loro specie, trovai del pari che erano maschi. Fattomi invece a raccogliere gli indi- vidui che stavano ricoverati entro alla tana, operazione che feci tre volte e in luoghi diversi, vi rinvenni costantemente fra un numero vario di maschi una sola ed unica femmina. Non è dunque un’arcana condizione topografica o d’altra natura, quella che, fa scegliere ai serpenti il luogo delle congreghe, sì bene è la presenza di una femmina, e ciò è tanto vero, che ogniqual- volta mi venne fatto di trarla fuori dalla sotterranea sua stanza e di ucciderla, l’ accorrere dei maschi cessò, e il luogo rimase per sempre abbandonato e deserto. Dalle cose che son venute sponendo in questa breve scrit- tura, si possono trarre parecchie induzioni singolari e nuove per la scienza. Così, per citarne qualcuna, risulta che fra le abitudini delle femmine dei serpenti havvi quella di non cam- biar mai di tana per lungo correre d’anni, e fors’ anche per tutto il corso della vita; che il numero dei maschi è nelle specie nostrali, e se non in tutte, in quasi tutte, di gran lunga maggiore che non quello delle femmine, e che i loro amori, come cominciano, così si compiono in assoluto silenzio. Del primo fatto io non saprei trovare nel regno animale altro esem- pio sufficientemente avverato, se forse non è nelle volpi, nei tassi o in altri sì fatti mammiferi che scavano sotterranei do- micili: del secondo gli esempi sono frequenti nella classe degli insetti. Al qual proposito non so trattenermi dal ricordare le Elafocere da me trovate ed osservate in Sardegna. Gli amori di questi coleotteri offrono con quelli dei serpenti una tale e sì stretta analogia, che per descriverli non è d’uopo di andar cer- cando altri termini fuor di quelli che pel Coluber austriacus si sono adoperati. Ogni femmina tiensi entro un buco praticato nel suolo, e i maschi, sul far della sera, vi accorrono volando e vi sì affollano in numero prodigioso per disputarsene l’ in- gresso; si formano quindi i medesimi viluppi e vi si veggono le stesse contese. In quanto poi al silenzio con che le nostre serpi sì adunano e lottano pel possesso della femmina, esso è tal fatto che contraddice in modo solenne a quei sibili o a quei fischi, coi quali pretendono gli scrittori ed il volgo che i due sessi si chiamino e si invitino fra loro. Io non so che pensarmi dell’arte degli Psilli egiziani, che diconsi trarre dai più scuri sotterranei delle case i serpenti con un fischio, che, secondo PITONI, BOA 23 Stefano Geoffroy St-Hilaire, imita il loro fischio d'amore: ciò che so di certo si è, che i serpenti nostrali non usano della facoltà di produrre quel suono che per esprimere la paura, la collera e il dolore. Pitoni, Boa. — I Pitoni sono grossi serpenti dell’India e del- l'Africa. Il famoso serpente di Regolo, di cui parlammo prece- dentemente, doveva essere una specie di questo genere, e gli fu attribuita una lunghezza di tredici metri. L’ esagerazione dei racconti degli antichi riguardo ai serpenti d’Africa e le straor- dinarie asserzioni di certi viaggiatori moderni, non fanno più meraviglia quando nelle nostre collezioni si vedono serpenti pitoni lunghi più di otto metri. I Pitoni hanno il corpo grosso e arrotondato. Vivono sugli alberi, nei luoghi caldi e umidi, sul margine delle fontane o dei corsi d’acqua, e aggrediscono gli animali che vengono a bere. Si attaccano colla coda ad un tronco d’ albero, rimangono im- mobili in imboscata, e si avventano sulla preda che passa loro a tiro, l’afferrano, la stritolano nelle spire del loro corpo. Animali grossi come gazzelle, ed anche caprioli, divengono in tal modo loro vittime. La ragione si è che hanno le mascelle dilatabilis- sime, ed essendo sprovvisti di sterno e di false coste, possono agevolmente accrescere il diametro del loro corpo, per ingoiare prede voluminose. Il genere Pitone comprende oggi cinque specie, che tulte sembrano avere lo stesso colorito. Sul loro corpo sta disegnata uno sorta di grande catena, bruna o nera, a maglie quasi qua- drangolari, che si distende sopra un fondo chiaro, ordinaria- mente giallastro, dalla nuca fino all’ estremità della coda. La regione sopracefalica è in parte coperta da una enorme macchia brunastra o nericcia. Da ogni parte del capo havvi una striscia nera, che si estende sovente dalle narici fino sopra la commes- sura delle labbra, passando dall’occhio. Come tipo di questo genere menzioneremo il Pitone di Seba, detto comunemente Boa d'Africa, che si vede vivo nelle gabbie dei rettili del Museo di storia naturale di Parigi, e che è pro- prio dell’Africa !. I Boa hanno il corpo compresso, la coda lunga e prensile, il 1 Oltre il Pitone Seba due altre specie sono proprie del suolo africano (Costa d’ Oro, e Costa di Guinea); le altre due specie tra cui il Python ‘ molurus, vivono alle Indie orientali e nelle Isole della Sonda. Se ne pos- sedono parecchi esemplari al Museo di Milano. (Nota del Trad.) 24 ORDINE DEGLI OFIDI capo relativamente piccolo, rigonfio nella parte posteriore, ri- stretto nella anteriore, terminato da un muso corto e da una bocca lievemente fessa. I più grossi son lunghi tre metri 1. Vi- vono sugli alberi, lungi dalle acque e quasi sempre in mezzo alle foreste ?. Questi sono i"Boa propriamente detti. Altri generi dello stesso gruppo vivono sulle sponde dei fiumi e dei ruscelli, per spiare gli animali che vengono ad abbeverarsi; ovvero si sospendono ai rami degli alberi che si chinano nell’acqua, e di là scagliansi . intorno al corpo della loro vittima. Questa, stretta, schiacciata nelle spire che la serrano e vanno man mano ristringendosi in breve non è più che una massa informe, cui il rettile inghiotte a poco a poco. Sebbene non siano velenosi, sebbene non aggrediscano che i piccoli animali, come capretti, aguti, pacas, ecc., i Boa sono ser- penti formidabili. Depongono nella sabbia uova membranose di forma elittica, grosse come un uovo d’oca. I piccoli che nascono sotto l’azione del calore solare, non hanno più di venti a trenta centimetri di lunghezza. Si conoscono quattro specie di boa. Il Boa constrictor (fig. 6) preferisce i luoghi asciutti’ delle foreste, un po’ nell’ interno. Proprio dell'America, abita sopra- tutto la Guiana, il Brasile, le provincie del Rio della Plata, ecc. È svariatamente colorito; nella parte superiore il fondo della pelle talora è fulvo chiaro, roseo porporino, oppure grigio vio- laceo, con o senza macchiette nerastre sui due primi terzi della lunghezza e bianco sull’ultimo terzo. I fianchi sono di un color bruno fulvo o grigiastro, e la parte inferiore uniformemente biancastra. Inoltre sul capo gli si osservano ;strisce brunastre, ed ha il corpo screziato di macchie nere più o meno sviluppate 1 Abbiamo già notato più sopra che una specie, che si può considerare siccome spettante al genere Boa, sebbene i moderni ne abbiano fatto un genere distinto (Eunectes murinus Wagl), propria dell’ America, ed acquatica, arriva a straordinarie lunghezze. Il Museo della: Università di Genova possiede un individuo di questa specie lungo dieci metri. (Nota del Trad.) 2 Un'altra distinzione caratteristica fra i Boa ed i Pi'oni è la loro stazione geografica. È volgare errore quello di chiamare col nome di serpente boa rutti quei serpenti che hanno forme gigantesche. Gli uni e gli altri sono infatti i giganti della classe ; ma i Boa sono esclusivamente americani, ed i Pitoni sono proprii del mondo antico. (Nota del Trad.) COLUBRI 25 e di forme svariatissime. La sua lunghezza totale è di quasi’ quattro metri. Le altre tre specie di Boa spettano una alle Antille, l altra al Messico, e la terza al Perù. Fig. 6. Boa constrictor. I Colubrit. — I Colubri hanno il capo coperto di grandi piastre, l’ano sprovveduto d’uncini o di sproni cornei, e la coda {1 I serpi innocui nostrali meritano una menzione assai più ampia che non sia quella fattane dall'autore. Questo argomento fu trattato dal professore Géné con quel sapere e quella grazia che brillano in tutti i suoi scritti. Perciò riferiamo in questo capitolo aggiunto, come nei due seguenti, le testuali parole di quell’insigne naturalista. (Nota del Trad.) Ficuier. Anfibi, Rettili, ece. 4 26 ORDINE DEGLI OFIDI vestita inferiormente di una doppia serie di piastrelle. È questo il genere più numeroso che sia nell'ordine degli ofidii, genere del resto innocentissimo e sul quale la natura, come sulla fa- miglia degli uccelli, delle farfalle e delle conchiglie, sembra aver profuso i più ricchi e svariati colori della sua tavolozza. Si direbbe che essa abbia fatto quanto era in suo potere per render cari all’uomo questi animali; ma non vi riuscì: quan- tunque innocenti ed elegantissimi, sono dappertutto maledetti e perseguitati. Che se la loro bellezza strappa sovente una escla- mazione di meraviglia a chi li contempla, un segreto rac- capriccio la accompagna costantemente, raccapriccio che par quasi rimproverare il Creatore d’ aver male a proposito gittati quei suoi doni su animali indegnissimi di possederli. Certo che la vera filosofia non pensa o ragiona così; ma quanti sono i veri filosofi? Moltissimi di nome, pochissimi di fatto, ed anche questi sono uomini; ‘e questi uomini, benchè persuasi del meraviglioso ordine che regge tutte le cose di quaggiù, peccano delle debolezze che sono inerenti all’ umana natura, ammirano i serpenti innocui senza amarli, e darebbero sotto mano il voto per la totale loro distruzione, se venissero una volta chiamati nei consigli della Provvidenza. L'ho detto altra volta; un odio antico quanto il mondo, e universale per quanto è diffusa l’umana famiglia, pesa sull’ordine dei serpenti; e non basteranno nè i progressi della scienza, nè le sonanti parole di qualche natura- lista. per ispegnerlo nel cuore del popolo. Quanto a me, faccio in questo luogo una schietta dichiarazione che mi duole di non aver fatto prima d’ora: io mi rido di coloro che inorridiscono al vedere un serpente uccellatore, una biscia dal collare; ma mì rido pur anche di quei tali che pretendono e vogliono far credere di mirarli e maneggiarli senza ùn’ombra di ribrezzo, e, ciò che è più, con diletto; sono bugiardi; e per non essere anch’io del loro numero, confesso apertamente di non temere, ma insieme di non amare, i serpenti, comunque privi di veleno. Non li amava il Redi, che pel primo diè opera a studiarli dopo il ri- sorgimento delle lettere; non li amava il Vallisnieri, non il Fontana, non il Mangili, non il Cuvier, non gli altri uomini illustri che pur tanto li avevano o li hanno famigliari per ob- bligo di sperienze e di studi. Dicasi infine ciò che si vuole: l’orrore pei serpenti, secondo io stimo, è una delle poche af- fezioni istintive che siano rimaste all'uomo; e se è possibile il modificare e il comprimere questa affezione, non è altrimenti possibile lo spegnerla del tutto. Ho detto che il genere dei colubri è numerosissimo, e infatti COLUBRI TERRESTRI 27 malgrado le riduzioni importanti cui lo sottoposero i più re- centi erpetologi, contiene tuttavia un buon centinaio di specie, variamente sparse nelle cinque parti del globo. Io non parlerò che dei nostrali, di quelli cioè che possono trovarsi ogni giorno sotto ai nostri passi lungo i fiumi, nei campi, nelle valli, sui colli e sui monti della subalpina contrada. I colubri dell’Italia superiore, secondo i luoghi che frequentano e secondo gli alimenti che ricercano di ‘preferenza, possono es- sere divisi in due gruppi, cioè in terrestri e in acquatici. E a codesta diversità nell’indole corrisponde una rimarchevolissima diversità nelle scaglie; quelle dei terrestri sono lisce; quelle degli acquatici sono carenate, voglio dire che ogni scaglia del dorso e dei fianchi porta nel mezzo una linea rilevata e longitudinale. Colubri terrestri. — Fra i terrestri si annoverano il Coluber atrovirens, il Coluber flavescens, il Coluber austriacus e il Coluber Riccioli; fra gli aquatici il Coluber natrix e il Coluber tes- sellatus. Il Coluber atrovirens, notissimo al popol nostro che lo chiama serpente | uccellatore i, è una delle maggiori specie d’ Europa, giacchè non è raro d’incontrarne degli individui che oltrepas- sano di qualche pollice i cinque piedi di lunghezza. Tutta la parte inferiore del suo corpo è gialla: la superiore è nero- verdastra, brizzolata di giallo, quasi come se fosse tempestata di granellini di miglio. È il più vispo, il più bizzarro, il più audace dei nostri ser- penti ed è altresì il più comune di tutti. Vive nei boschi, nei luoghi colti, lungo le siepi, fra le macerie e fra i ruderi delle antiche fabbriche, dentro il recinto stesso delle città. Il Lacé- pèede ed altri naturalisti da gabinetto, che nol videro mai al- l’ aperto, e che probabilmente sarebber fuggiti al vederselo fra i piedi, lo rappresentano blando e gentile; ma l’ esperienza lo dimostra al contrario sempre inquieto, pronto talvolta ad in- vestir l’uomo ed almeno a tenergli testa, a percuoterlo colla coda ed a morderlo. Tali sono le disposizioni che porta fin dalla prima età (cosa che non suol accadere negli altri), e queste mantiene divenuto adulto, e allora solo le depone quando la ! In Lombardia è più conosciuto sotto il nome di Mzord, Milò, Smi- rold. — Secondo il Bendiscioli, è il più bel serpente che abbiamo da noi, è agilissimo, affatto innocuo; perseguita ardentemente i nidi degli uccelli. (Nota del Trad.) (5-00 ORDINE DEGLI OFIDI stagione fredda lo assidera, o quardo una lunga schiavitù lo avvilisce e lo snerva. L’ordinario alimento di questa specie sono i ramarri, i rospi e i ratti; ma al tempo delle nidiate degli uccelli, si inerpica sugli alberi e va in cerca dei nidi, d’ onde toglie i piccini e li divora. E da ciò viene il nome volgare che porta non solamente in Piemonte, ma anche in altre parti d’Italia e nell’isola di Sardegna. Il professore Bendiscioli ebbe nei contorni di Mantova a sorprenderlo in fiera lotta colla velia cenerina (Lanius excu- bitor), la quale, quantunque debolissima in confronto di tanto avversario, lo affrontò impavida e coraggiosa ed obbligollo, dopo non breve insistenza, a dar di volta ed anche a balzare dall’albero, sul quale aveva il proprio nido e in esso i neonati pulcini. Tanto possono l’ intrepidezza e l'amor di madre sopra la mole del corpo e sulle forze fisiche e materiali! Strideva clamorosamente l’ affettuosa madre, ed irte le penne, minac- cioso lo sguardo, vispa e feroce in ogni suo movimento, gli svolazzava impetuosa d’ intorno, lo investiva, rapida come il lampo, da ogni lato, gli si precipitava sulla coda e sul dorso, librandosi prima a perpendicolo nell’atmosfera, lo punzecchiava ‘ ovunque colle unghie e col rostro, ed in men che nol dico fug- giva, per assalirlo tosto tosto di nuovo. Alle cui incitazioni non opponeva il serpente che un vano e iterato dardeggiare di lingua, un contorcimento universale di corpo, un soffiare acuto e frequentemente ripetuto e degli inutili conati di coda coi quali non percuoteva che l’aria. Ecco un nuovo fatto che milita con- tro l’arcana facoltà fascinatrice concessa da tutti gli antichi e molti moderni ai serpenti, Tutti i serpenti sono soggetti ad assumere colori nerastri vivendo nelle regioni montane ; in Sardegna incontrasi non di rado questa varietà nella provincia di Gallura e nelle Barbagie. Il padre Cetti ne parla nel modo seguente: « Questa serpe è non solo non temuta, ma amata e accarezzata. Maravigliose cose di esse si raccontano nei conventicoli delle donnicciuole : si racconta che esse già furono donne fatidiche, consapevoli dell’avvenire. Mi giova credere (aggiunge il buon gesuita) che queste storie si raccontino dalle donnicciuole medesime per ischerzo; ma non di meno un oggetto di apprezzamento e di affezione sono le serpi nere seriamente per ‘molti fra la gente rusticana. Se alcuna serpe nera apparisce nella capanna del pastore e nel casolare del villano, si piglia ciò per segno di buona fortuna, di maniera che il disturbare il colubro nero si terrebbe per lo stesso che disturbare la buona fortuna già in COLUBRI TERRESTRI 29 procinto d’ entrare in casa. Si pigliano quindi, le donnic- ciuole, la cura di conservare il colubro colla maggiore pre- mura, ponendogli quotidianamente da mangiare presso la sua buca; e vebbe già tal femmina che per due anni continuò sif- fatto ministerio. » Io rispetto troppo il padre CGetti perchè debba e possa dubitare della verità di quanto egli volle consegnare in questo brano della sua Storia naturale degli anfibi sardi; ma se le cose da lui narrate erano vere a’ suoi tempi, non lo sono di certo a’ dì nostri. Ho visitata tutta quanta quell’isola; ho interrogato sul colubro nero donnicciuole da pianura e da montagna, pastori e contadini, giovani e vecchi, dotti e indotti; e nissuno seppe darmene notizia come di animale che da loro si conoscesse 0 di cui avessero udito parlare, e molto meno come d’animale che da loro si amasse. Del resto, è troppo profondo ed esagerato nei Sardi l’orrore pei serpenti e pei rettili tutti, siccome altra volta ho detto, perchè sia lecito di supporre che possano fare una sì grande eccezione in favore della varietà nera del colubro we- cellatore. A questa specie si devono riferire le storie che si narrano a iosa nelle campagne, dei serpenti succhiavacche e dei serpenti che si introducono nella bocca di coloro che dormono. Noi co- minciamo dal negare che i serpenti amino e appetiscano il latte, a ciò indotti dal risultamento di molte prove fatte da noi e da altri con ogni possibile diligenza e perseveranza; neghiamo quindi che vadano a succhiarlo dalle vacche. Può darsi, benchè da noi non si creda, che, come fu le cento volte narrato, siasi qualche serpente attaccato nei pascoli o nelle stalle ai capezzoli delle vacche; ma se il fatto è vero, noi lo reputiamo male in- terpretato riguardo all’ intenzione. I serpenti, siccome animali che traspirano pochissimo, sentono rarissimamente e debolmente la sete; è quindi improbabile che spingansi a quell’atto per dis- setarsi. Se invece lo fanno per soddisfare la fame, avranno piut- tosto il capezzolo di mira che non il latte che vi si contiene; giacchè il loro alimento consiste unicamente e senza eccezione di sorta alcuna nelle carni di animali ‘vivi che essi addentano per una delle estremità e che inghiottono interi, come più! e più volte abbiam detto nel corso di queste lezioni. Del resto, che l’azione del poppare sia fisicamente impossibile ai serpenti, lo dimostrano la struttura generale delle parti della bocca e il modo e le vie della loro respirazione. Il vuoto non può farsi nella cavità della bocca di questi animali per la mancanza di labbra carnose, per la soverchia brevità del tragitto delle nari, 30 ORDINE DEGLI OFIDI pel difetto d’un velo al palato e per quello di una epiglottide sull’ingresso della trachea. I denti poi, essendo curvati, a punta acutissima e rivolti all’indietro, fanno bensì, e molto utilmente, l’uffizio d’uncini per rattenere la preda vivente, ma nell’azione del poppare aderirebbero sì fortemente al capezzolo della vacca e tanto vi penetrerebbero, da non esser più in balia del ser- pento medesimo il distaccarsene. Sia dunque con buona pace dei mandriani; noi non sappiamo prestar fede a una diceria, la quale, benchè sia ripetuta da più secoli, non potè mai otte- nere come cosa avverata e neppure come cosa possibile, un posto negli annali della scienza. Quanto all’ altra credenza popolare, che i serpenti s’ intro- ducano talvolta per la bocca nello stomaco di coloro che dor- mono, il fatto potrebbe essere ammessibile, se il sonno fosse sinonimo, come soltanto è immagine, della morte. Ma nel corpo che dorme vi è una sentinella, la quale nel generale assopi- mento dei sensi e delle facoltà dell’anima, veglia alla sua cu- stodia, e codesta sentinella è l'irritabilità dei tessuti. Ognuno sa come le mosche col loro passeggiare sul volto bastino, sebbene tanto piccole e leggiere, per isvegliare gli addormentati, od al- meno obbligarli a macchinali corrugamenti e contorsioni del viso. Ora che è mai la irritabilità della pelle in paragone di quella delle labbra, della lingua, del palato, e specialmente delle fauci? E come potrà mai credersi che lo insinuarsi e lo stri- sciare di un serpente possa riuscire insensibile a parti tanto dilicate e solleticabili e non rompere nella testa di un uomo il più alto sonno di cui sia capace? E poi credesi che 1’ esofago stia là, in fondo alla bocca, aperto come un tubo di latta, entro il quale senza alcuna difficoltà possa il serpente sdrucciolare e sprofondarsi? Provi chi ne ha bisogno, a cacciare un dito nella gola, e sentirà se quello sia un passaggio mal custodito dalla natura. Ma, dirà qualcuno, codesto fatto non è soltanto narrato ed asserito dagli uomini delle campagne; sonovi storie belle e stampate, che lo danno per avvenuto le più e più volte. È vero, e sarebbe sciocchezza il negarlo: in parecchie opere si tratta di serpenti che diconsi entrati in corpo a’ mietitori e ad altri lavoratori addormentatisi nei campi; ma le opere si ri- sentono dei tempi ne’ quali furono scritte, e delle persone che le dettarono. Quando la medicina stava nelle mani degli em- pirici e degli ignoranti, quando la storia naturale non era che un viluppo di favole e di assurdità simili a quelle che ora stiam confutando, ogni concrezione mucosa era un verme, una rana, una lucertola, una biscia, e trovata nello stomaco o negli COLUBRI TERRESTRI 31 intestini, od evacuata per secesso, era tosto creduta o nata colà per generazione spontanea o penetratavi dal di fuori per la via dell'esofago. Ma la medicina e la storia naturale, uscite da quelle tenebre e da quelle mani, ridono oggi di codesti svarioni, e non ammettono per credibili se non le cose possibili, le quali sono già abbastanza ed anche troppo numerose, perchè l’umano in- telletto abbia a tenersi obbligato di accrescerle colle sue fan- tastiche concezioni. Il Coluber flavescens 8° accosta , per la statura cui giunge, al Coluber atrovirens, è talvolta lo uguaglia, in prova di che posso addurre un individuo da me ucciso nelle vicinanze di Trieste, che era lungo quarantasei pollici. Sul dorso e sui fianchi è di color bruno d’oliva con minute lincette bianche, sparse qua e là; al disotto è interamente gialliccio, d’un giallo di paglia. È sparso per tutta l’Italia e abbonda specialmente nelle pia- nure del Novarese, della Lomellina, della Lombardia 4, nel- l’Agro romano, nelle Calabrie e nella Sicilia. Incontrasi anche nei contorni di Torino; e di giovanissimi e forse novellamente schiusi dalle uova, molti ne ho trovati nelle valli delle Alpi al cominciare della state, ma non ho dati sufficienti per dire in qual proporzione di quantità esso vi si trovi, paragonato a quello delle altre contrade della nostra penisola. Non so neppure con qual nome lo distinguano i Piemontesi; i Lombardi lo chia- mano Angiò o Bastoniere; e i Romani Saettone, que’ di Napoli Biscia di prato. Pone sua stanza nelle fessure dei burroni, fra le pianure, nelle siepi; si arrampica sui tronchi degli alberi e si nasconde nei loro buchi, nè di raro va ad appiat- tarsi là dove è più folta l’ erba dei prati. Insegue i piccoli quadrupedi, le rane e gli altri rettili e ricerca gli uccelli da nido. Del resto le sue abitudini sono piuttosto tranquille. È assai timido e ad ogni agitarsi di foglie, prende la fuga. Non si difende e non minaccia a meno che non sia stato irritato o ri- dotto agli estremi. Allora si rizza, soffia, sferza con la coda, si slancia e morde. Il suo sibile è forte. Non frequenta i luoghi 1 Vive nei prati e nei campi anche presso alle città, come a Mantova, nel cui territorio è comunissimo, secondo il Bendiscioli; mentre, secondo il De-Filippi, è raro nei contorni di Pavia. Benchè timido e innocuo, quando è irritato si erge verticalmente, sibila, vibra la bifida sua lingua, si avventa e morde, ma senza grave danno. Distrugge i topi ed anche i rospi e i ranocchi. Così il Cattaneo nelle Notizie naturali e civili sulla Lombardia. — Aggiungiamo ch’esso è talvolta confuso colla specie chia- mata volgarmente Milordo, Mitò. (Nota del Trad.) 82 ORDINE NEGLI OFIDI pantanosi, ma teme anche più quelli che sono eccessivamente bruciati, e sempre si vede uscire in campagna dopo le pioggie. Tenuto in domesticità, è uno dei più mansueti. Da alcuni è stato creduto che questo fosse il serpe sim- bolico d’ Esculapio, oggetto di venerazione presso gli antichi. Ma i simulacri della divinità d’ Epidauro presentano un ser- pente di gran mole avvolto ad una clava, il quale non si fa distinguere per alcun segno particolare. E poi io credo, e creder credo il vero, come Dante diceva, che il primo scultore o il primo pittore che si avvisò di mettere intorno al bastone di quel figlio d’ Apollo il serpente, non avesse già in mira una specie piuttosto che un’ altra, sibbene un serpente qualunque, perchè a tutti i serpenti attribuivano gli antichi la virtù della prudenza. Havvi nel novero degli ofidii un colubro americano che Linneo chiamò Coluber Aseulapii; ma egli è una di quelle specie che recentemente furono riconosciute siccome fornite di denti velenosi posteriori. Linneo nol sapeva; chè se lo avesse saputo è lecito giurare, che da buono e onesto medico qual era, avrebbe risparmiato una satira amara alla sua scienza e a’ suoi confratelli, personificandoli, come ha fatto, in un animale che uccide. Il colubro austriaco (Coluber austriacus di Gmelin) è lungo soltanto da venti a ventidue pollici ed è superiormente di color cenericcio, con macchie nere e alternanti sul dorso; ha una striscia fosca che gli parte dagli occhi e va verso la nuca, ed un’ altra macchia pur fosca sull’ occipite; inferiormente è dal capo fino all’ano di un bel colore violetto scuro, metallico e cangiante. Questo piccolo serpente è sparso in gran copia per tutta Europa, dalla Scandinavia e dall’ Inghilterra, contrade tanto scarse di ofidii, fino nella nostra penisola. Trovasi generalmente nella Francia, nella Svizzera, riell’ Austria ugualmente che in tutta la Germania, nell’intera Italia e nelle sue isole, eccettuata la Sardegna, checchè ne dica il principe di Canino: nell’ Italia settentrionale * però è più comune che nella meridionale, in- contrandovisi per ogni dove nelle selve, nei vigneti, negli orti, e perfino nell’ interno della città. Secondo il citato principe di Canino, nei contorni di Roma è più abbondante sui colli che i È comune (scrive il Cattaneo nell’opera citata) nei prati del Milanese e in tutta la Lombardia. Distrugge molti insetti, ed è innocuo; ma il volgo, pel suo colore rossiccio al di sopra e bruno d’acciaio al di sotto, lo confonde con una varietà della vipera. (Nota del Trad.) COLUBRI TERRESTRI 35° nelle pianure. Più volte gli è occorso di vederlo su pei monti albani fra i muschi che investono il basso tronco degli alberi e nelle praterie del campo d’ Annibale foracchiate di tane di grilli, de’ quali probabilmente non isdegna di pascersi. S° ali- menta, se vuolsi credere ai professori Metaxà e Bendiscioli, di mosche, di ragni e altri insettucci che pazientemente attende all’agguato e sui quali si slancia di un lungo salto per l’aria. Ma ciò che è più certo e più conforme alla natura di un vero ofidio, si è che dà la caccia ai più piccoli rettili, e che ingoia perfino i serpentelli appena nati di altre più grosse specie. Non ha ombra di fierezza; è timidissimo e si avvezza facilmente alla prigionia. Quando sia preso in mano e maltrattato, schizza fuori Fig. 7. Vipera comune. dall’ano un umore bianchiccio che manda un odore erbaceo men nauseante di quello degli altri serpenti. Irritandosi, allarga ed appiana il capo sicchè pare una vipera, e cagiona spavento; ed anche per la sua scarsa mole e pei colori tetri che lo ve- stono, lo si crederebbe un ofidio velenoso. De’ suoi amori e delle sue congreghe amorose ho già parlato precedentemente, sicchè stimo superfluo il ridirle. Solo dirò che nel!a valle del Ticino è un caso rarissimo l’incontrarlo, quan- tunque pel fatto di que’ numerosissimi convegni da me veduti periodicamente e per molti anni di seguito, vi si debba trovare in copia grandissima. Ove vada, ove si alloggi dopo il mese di aprile, epoca della sua generazione, io non ho mai potuto saperlo. FicuieR. Rettili, Anfibi, ecc. St 34 ORDINE DEGLI OFIDI Il Coluber Riccioli, che è l’ultimo dei colubri terrestri del Pie- monte, è una specie che non supera in lunghezza il Coluber austriacus, ma che è di lui più sottile e molto più bello a ve- dersi. Al di sopra è di colore cinerino più o meno scuro con una doppia serie di macchie dorsali nere e confluenti; al di sotto è bianco coi margini del ventre tessellati di nero; nei gio- vani poi, tutte le parti inferiori sono d’ un bel colore vivace- mente ranciato. Fu scoperto, sono circa 30 anni, dal mineralogo signor Ric- cioli sui colli di Roma, e da lui comunicato al prof. Metaxà, il quale lo pubblicò intitolandolo dal nome dello scopritore. Fuori dei contorni anzidetti di Roma cessa di trovarsi, od almeno non fu sinora trovato finchè non si giunga alla gran valle lombarda, ai colli dell’ Astigiano, del Monferrato e dell’agro torinese, ove non è raro del tutto. Io l’ho incontrato sulle colline di Chieri; il signor Comba, preparatore del museo, ne raccolse uno su quelle di Solberito, e un altro ne fu raccolto dal signor Caffer nei boschi di Druento, ma questi individui erano giovani: quanto agli adulti, nessuno ne vide più di me, giacchè come del Co- luber austriacus, così di lui ho veduto le congreghe amorose, composte ciascuna di più centinaia di individui, nella valle del Ticino. Il principe di Canino scrive, che niun serpente è più mansueto di questo : il suo sibilare è leggerissimo: non morde, anzi è cosa difficile a fargli aprire la bocca, nè si avviticchia rabbiosamente come fanno tanti altri, quando venga preso in mano; e queste notizie concordano pienamente con quanto io ebbi ad osservare nelle occasioni auzidette. Colubri d’acqua. — Resta infine che io parli delle specie acqua- tiche, cioè della comune biscia dal collare e del Coluber tessellatus. La biscia del collare ( Coluber natrix di Linneo, Natrix vul- garis 0 torquata dei moderni erpetologi) è facilmente ricono- scibile per due grandi macchie bianche che le si vedono sui lati del collo e gli formano una specie di collare donde ne venne il nome volgare che porta. Nel resto è superiormente di un colore cenericcio che tira all’ olivaceo, con macchie dorsali alterne e nereggianti: inferiormente è bianchiccio con macchie e spruzzature fosche. Non vi è forse angolo dell'Europa, dall’Andalusia e dalla Si- cilia fino alla Scozia, alla Svezia e alla Russia, in cui non viva questo innocuo serpente. La sola Sardegna, terra d’eccezioni, non lo conosce nè punto nè poco. Non isdegna del tutto i ter- reni aridi, quantunque si diletti molto dell’acqua, e spesso vi COLUBRI D’ACQUA 35 nuoti a lungo in cerca di preda. S' incontra ugualmente sui monti elevati e nelle pianure; sulle sponde dei fiumi e dei laghi, in luoghi deserti, nei boschetti, nelle siepi, nei colli, anzi perfino sul letame delle stalle, ove ama deporre le uova, e nel- l'interno degli abituri campestri. È assai mansueto, poco mor- dace e tranquillo quando è tenuto in schiavitù. Però in istato di libertà non manca totalmente d’ ardire e talvolta essendo aizzato, fa mostra di resistere all’ uomo e lo minaccia dime- nando la coda e sibilando. Sparge un puzzo nauseoso quando è rusticamente maneggiato, e ciò si deve a un liquore gialla- stro che evacua dall’ ano in gran copia. V’'ha chi si ciba delle sue carni, e queste in altri tempi si reputavano efficaci contro alcune infermità della specie umana. Per coonestare sì fatto alimento, coloro che ne fanno uso danno a questa biscia il nome di anguilla di siepe. Gode della facoltà di allargare in modo singolarissimo il capo deprimendolo al tempo stesso, lo che fa risaltare notabilmente al di qua e al di là dell’origine del collo l’estremità posteriore delle mascelle; a questa particolarità si debbono le narrazioni che hanno circolato di serpenti cornuti abitatori delie nostre regioni e le strane figure che altri ha preteso dare di tali esseri mezzo immaginarii. Abbiam detto altra volta che tutti i ser- penti cadono in epilessia, se si comprima loro per qualche tempo o si percuota ripetutamente l’ occipite. Questo, solo che abbia ricevuto un piccolo numero di percosse, perde affatto il senso ed il moto, ed è necessario un intervallo non breve perchè riacquisti l’esercizio delle sue facoltà. Arriva alla lunghezza di quaranta e più pollici e si nutre di lucertole, di rospi, di topi, ma principalmente di rane e di pesci. Rampicandosi con somma destrezza, sorprende altresì gli uccelletti nei loro nidi, sui cespugli, sulle siepi, sugli arboscelli. La femmina produce circa venti o trenta uova collegate insieme per mezzo d’ un glutine, e le depone in qualche buca del ter- reno, o in qualche ripa esposta al sole meridiano e più spesso ancora in mezzo al letame, come più sopra ho già detto: ne è raro che con la sua presenza essa invigili alla loro sicurezza, tenendone lontani i topi e gli altri nemici. Alla fine d’autunno ricovera sotterra al piè delle siepi a qualche profondità sotto la superficie del suolo, spesso in qualche tana abbandonata dai topi campestri o dalle talpe, e vi resta assiderato, come ogni altro serpente, per tutta la stagione fredda. Narra il principe di Canino che questa biscia, quando è molto ingrossata, sia per effetto dell’età, sia per qualche gran 36 ORDINE DEGLI OFIDI preda di recente inghiottita, diventa un oggetto d’ incredibile spavento pel volgo. Riceve allora il nome di Serpe ottavo per- chè credesi che sia l’ ottavo figlio che produce la vipera in ognuno dei suoi parti; le fantasie atterrite accrescono le sue Aimensioni a più doppi e gli si attribuisce gratuitamente ogni genere di perfidia. Da ultimo il Coluber tessellatus, che in Italia fu per alcuni anni conosciuto sotto al nome di Coluber gabinus perchè trovato nel lago di Gabi e così nominato dal prof. Metaxà , il quale a torto l’avea giudicato inedito, è un bel serpente grande quanto la biscia dal collare, ma di lei più svelto e più elegante. Al di sopra è di color verde olivaceo con fasce trasversali fosche, a mala pena discernibili; al di sotto è nero con macchie rosee al di qua e al di là della linea mediana del ventre. È animale ancor più acquatico della bdiscia dal collare, e vive piuttosto nelle acque profonde che nelle paludi o nei pantani. Al tempo della raccolta dei fieni si vede ergere il capo qua e là fuori delle fosse profonde che dividono i prati: più che altrove poi è comunissimo nelle risaie, ove tiensi principal- mente agli sbocchi dei canali d’irrigazione. Nuota vivacemente ad ogni profondità, si tuffa, galleggia e si ferma a lungo nel fondo. Le sue caccie consistono principalmente in rane e pesci. I contadini lombardi e risaroli del Novarese, della Lomel- lina, ecc., gli danno il nome di vipera d’acqua e assicurano che il suo morso cagiona un lungo e cocente dolore. Ma io l’ ho con ogni diligenza esaminata e non ho trovato ne’ suoi denti particolarità alcuna che la distingua dalla biscia dal collare, intorno al cui morso non ho mai udito alzarsi veruna lagnanza od accusa !. SERPENTI VELENOSI. — Parecchi serpenti sono provvisti di un apparato mercè il quale uccidoro, con rapidità spesso ful- minante, gli animali ed anche l’uomo che vadano a stuzzicarli. Questo apparato è una ghiandola collocata da ogni lato del capo. Essa secerne un terribile veleno, che per un canaletto speciale, va dentro due denti della mascella superiore. La conformazione di questi denti è in rapporto cogli usi a cui sono destinati. Più lunghi degli altri, sono talora forati da un canaletto, talora scavati da un semplice solco che comunica colla ghiandola. Fatto notevolissimo! questo veleno, uno dei più violenti che ! Gené. Storia naturale degli animali. VIPERE DÀ si conoscano, può essere inghiottito impunemente; non è nè acre, nè caustico, produce solo sulla lingua una sensazione. analoga a quella che produrrebbe un corpo grasso. Ma se s’in- troduce in quantità sufficiente in una piaga, penetra nel sangue, e produce una morte rapidissima. Del resto, è questo un carat- tere particolare a tutti i virus morbidi e velenosi. La forza del veleno varia secondo le specie dei serpenti, e secondo le circostanze in cui si trova l’animale. La medesima specie è più pericolosa nei paesi caldi che nei climi freddi o temperati. La morsicatura è tanto più grave quanto più il veleno è abbondante nella ghiandola dell’animale. Fra i serpenti velenosi menzioneremo le Vipere, i Trigono- cefali, i Crotali e le Naje. Vipere. — La Vipera comune (vedi fig. 7 a pag. 33) è lunga da Fig. 8. Denti veleniferi e lingua di vipera. trentacinque a settanta centim., e nel suo maggior diametro non ha più di ventisette millimetri. Il suo colore generale è bruno o ros- siecio, che passa talora al grigio cenerino, talora al grigio nero. Una linea ondulata, bruna o nerastra, le corre sul dorso; una fila di punti disuguali, dello stesso colore, si stende sui suoi fianchi. Il suo ventre è di color ardesia; il capo, quasi trian- solare, un po’ più largo del collo, ottuso e tronco sul davanti,. è coperto di scaglie granulose. Sei piccole piastre, di cui due son forate per le narici, che formano una macchia nerastra,. sTicoprono il muso; sopra di esso havvi una sorta di V fatto da due strisce nere. La mascella superiore è biancastra e mac- chiettata di nero, l’inferiore è gialliccia. L'occhio è piccolo, vivace,. orlato di nero. La lingua è lunga, forcuta e grigiastra. La Vipera comune si trova in tutti i luoghi boscheggiati, montuosi e sassosi dell’ Europa meridionale e temperata, in Francia, in Italia, in Inghilterra, in Germania, in Prussia, in Svezia. in Polonia e fino in Norvegia. Nei dintorni di Parigi 38 ORDINE DEGLI OFIDI si trova specialmente a Montmorency e nella foresta di Fontaine- bleau. Si nutre di lucertole, di rane, di molluschi, d’insetti e di vermi. Fa caccia anche di piccoli mammiferi, come surmu- lotti, talpe e toporagni. Passa l'inverno e il principio della primavera entro luoghi profondi, al riparo dal freddo, in uno stato di torpore. Spesso parecchie vipere stanno insieme rav- voltolate e strettamente intrecciate. La vipera cammina con movimenti repentini, a sbalzi, ir- regolari e pesanti. Quest’animale pare timido e pauroso; fugge la luce viva del giorno, e non cerca il cibo che la sera. I piccoli nascono nudi e vivi. Finchè stanno nel ventre della madre, son racchiusi entro uova, a pareti membranose. Appena nati, le piccole vipere, che non son più lunghe di quindici a venti centimetri, son lasciate in balìa di loro stesse; ma non acquistano il loro intero sviluppo che in capo a sei o sette anni. La vipera ispira molto giustamente all'uomo e agli animali timore e ribrezzo. E ciò pel terribile apparato di distruzione, di cui giova descrivere accuratamente la struttura e l’ufficio. Il veleno delle vipere. — Questo apparato velenoso è composto di tre parti: la ghiandola, il canale e il dente (fig. 8). La ghiandola ha per ufficio di secernere il veleno. Collocata ai lati del capo, posteriormente e in parte sotto il globo del- l'occhio, è fatta di un certo numero di piccole cavità composte di un tessuto granuloso, e disposte con molta regolarità, lungo i canali escretori, come le barboline di una piuma. Questa dis- posizione non è visibile che col microscopio. Il canale che deve condurre ii veleno secreto dalla ghiandola, è stretto e cilindrico. Dopo esser divenuto più gonfio nel suo breve tragitto, va a terminare entro due denti particolari, aguzzi a foggia di corna, molto più lunghi degli altri, e collocati sulla mascella superiore, l’uno a destra e l’altro a sinistra. La vipera ha dunque due denti veleniferi: sono curvi, aguzzi, convessi anteriormente, forniti di un canaletto, che comincia da un capo con un foro posto alla parte anteriore della sua base, e dal- l’altro termina con una fessura più stretta verso la punta, e dallo stesso lato. Quest'ultima fessura è come un piccolo cana- letto, un sottile solco, che continua in tutta la lunghezza della parte convessa. Questi denti veleniferi son ravvolti da una ripiegatura della gengiva, che racchiude il dente e lo nasconde in parte come in una guaina, quando questo dente è allo stato di riposo o ri- VELENO DELLE VIPERE 39 piegato. Attaccati alle ossa mascellari superiori, che sono pic- cole e mobilissime, son fatti muovere da due muscoli. Dietro ai denti del veleno si trovano germi di altri denti destinati a sostituirli qualora vengano a cadere !. Gli altri denti superiori appartengono al palato ove sono allineati in due file. Tale è l’arme formidabile della vipera. Non è dunque con la lingua, come credesi da molti anche oggi, che i serpenti vele- nosi producono le loro terribili ferite. Adoperano la lingua per toccare e per bere, ma non per pungere. Abbiamo detto che nel riposo i denti del veleno stanno ab- bassati. Quando l’animale vuole adoperarli, li fa uscire dal loro astuccio carnoso, a un dipresso come un uomo che per di- fendersi o per aggredire tira fuori dal fodero il suo coltello. Se non che quel coltello è avvelenato. La vipera adopera i suoi denti veleniferi per impadronirsi dei piccoli animali che le servono di cibo. Non aggredisce l’uomo; anzi lo fugge, quando le si accosta. Ma se egli inav- vedutamente pone un piede sulla vipera, o vuole afferrarla, essa si difende con rabbia. Osserviamo prima di tutto come fa la vipera a cacciare, quando senza essere irritata prende per nutrirsi un piccolo ani- male. In questo caso, non fa altro che mordere. Conficca i denti nel corpo della vittima. Mano mano che i denti del ve- leno penetrano fra le carni dell’ animale, il veleno scorre nel canale che lo conduce al dente, mercè la contrazione dei mu- scoli che lo fanno rialzare e premono la ghiandola, e mercè il movimento che fa il serpe richiudendo la bocca. È in questo modo che il veleno viene iniettato nella ferita ?. La vipera morde nello stesso modo quando viene afferrata dalla coda o dal mezzo del corpo; ma allorchè crede di essere aggredita ed è aizzata da qualche nemico, batte anzichè mordere. 4 I denti delle Vipere, come dei serpenti velenosi in generale, oltre ai casi accidentali per cui possono venire rotti o strappati, vanno s0g- getti ad una muta regolare; cadono spontaneamente ad un certo tempo, e vengono sostituiti da altri. (Nota del Trad.) 2 Quando la vipera morde la sua vittima, non suole impiantare tutti e due i denti veleniferi nelle carni di essa: morde diremo così, da una una parte sola, ed adopera un solo dente. Perciò se questo si rompe, ha l’altro in pronto. Dopo il morso, la vipera fa subito alcuni movimenti laterali del capo che vennero interprelati come movimenti d’ ira: essi hanno invece per iscopo di tirar fuori il dente dalle carni in cui si è confitto. (N. del T.) 40 ORDINE DEGLI OFIDI Comincia a ravvolgersi su sè stessa, formando così parecchie spire sovrapposte. Poi fa scattare il suo corpo come una molla, lo allunga con somma velocità, e supera uno spazio uguale ‘alla sua lunghezza, perchè non lascia mai il suolo. Spalanca le fauci, raddrizza i suoi denti veleniferi, e li pianta urtando col capo come se fosse un martello. Si è creduto per un pezzo che la vipera abbia la facoltà di esercitare, ad una certa distanza, una sorta di azione magnetica, ‘cui si diede il nome di fascino. In seguito, questa sorta d’impres- sione fu messa in dubbio, e venne attribuita, non a torto, ad una causa meno misteriosa, vale a dire al sentimento di pro- fondo terrore che ispira questo serpente. Questo terrore si mani- festa negli animali con tremiti, spasimi, convulsioni. Talora la vista di una specie velenosa atterrisce per modo gli animali che rimangono immobili, incapaci di fuggire e come petrificati. Allora si lasciano prendere senza tentare la benchè minima resistenza. Altri si mettono a fare movimenti disordinati che, invece di salvarli, ne affrettano il danno. Il signor Duméril padre, durante uno sperimento che faceva nella sua lezione al Museo di storia naturale per dimostrare l’azione subitanea e mortale che il morso della vipera produce ‘sugli uccellini, vide un cardellino che teneva in mano con ogni ‘precauzione, morire repentinamente alla vista della vipera. Le piccole piaghe prodotte da questo formidabile abitante dei nostri boschi, si gonfiano, divengono rosse ed echimosate, talora îivide. In breve, la persona ferita è presa da sincopi, febbre ed una serie di sintomi morbosi che spesso finiscono col produrre la morte. ‘ Quando un uomo è stato morso da una vipera, deve im- mediatamente con un fazzoletto rotolato, una cordicella o uno spago, fare una legatura sopra la parte ferita, per modo da interrompere ogni comunicazione del sangue col resto del corpo, ed impedire così l'assorbimento del veleno. È cosa buona suc- «chiare la piaga, e farla sanguinare. È pure importante fare una ‘incisione, per denudare le parti interne, e, sul momento, «cauterizzare la ferita, o con un ferro rovente, o con un agente caustico. Come agente caustico, si adopera con vantaggio un liquido composto nel modo seguente: Percloruto M"iert0" °°...» £ RIDI ACIGO \CHMGaNs so, nno 0... RANE » ACCO? CIOPIO FICO A VIS NR LE » ACQUA LEE SR o ca ORRORI ARI OL a VELENO DELLE VIPERE 41 di cui si fanno stillare alcune goccie sulla parte ferita, che si ricopre poi con filaccie. Si può anche far uso dell’iodio o ioduro di potassio iodurato. Il signor Viand-Marais ha sostituito con vantaggio a questi liquidi, il seguente composto: RICA E e e e SAID Toduro*disporassio tt e n ee » Todioame gliene ea » Per agevolare l’introduzione del caustico nella ferita, lo stesso Fig. 9. Serpente a sonagli. naturalista ha inventata una boccettina chiusa collo smeriglio, di cui il tappo, lungo e conico inferiormente, sta immerso nel liquido. Mercè questo tappo, si può far gocciare la sostanza medicinale fino nel fondo della ferita, che si è allargata prima un tantino col bisturi. Questo piccolo apparecchio può essere vantaggiosamente sostituito alla boccetta d’alcali volatile, di cui sì muniscono i cacciatori di vipere. Ma tutti questi mezzi non sono utili se non allorquando vengono applicati immediatamente. Inoltre, è necessario far FicuieR. Rettili, Anfibi, ecc. 6 42 ORDINE DEGLI OFIDI fregare il membro e il contorno della ferita, con linimenti am- moniacali; porre dopo cataplasmi emollienti per far cessare la gonfiezza e l’ ingorgo, amministrare internamente tonici e su- dorifici, e talora anche pozioni ammoniacali. Le vipere d'Europa 1. — Tre vipere infestano le contrade di Europa e sono la Vipera ammodytes, che è di tutte la meno mol- tiplicata, la Vipera berus e la Vipera aspis. La prima di queste specie si chiama Vipera dal corno, perchè realmente porta una verrucca conica alla punta del muso, la quale rivolgendosi all’insù pare un piccolo corno. Il suo dorso è cenericcio, dimezzato da una lunga fascia nera, dentata; la totale lunghezza non suole eccedere i venti pollici. Questo velenosissimo rettile, frequente nella Morea, nella Dalmazia, nell’ Istria e nell’ Ungheria, vive altresì in qualche luogo orientale del settentrione dell’ Italia, segnatamente nei contorni' di Ferrara. Soggiorna sui colli sassosi e allorchè il caldo è più intenso scende pur nelle vallicelle fresche ed erbose. Si nutre di sauri, di batraci e di piccoli quadrupedi. Quasi sempre tranquillo, anzi torpido, ei diviene iracondo e pronto alle offese in fine di primavera, quello essendo il tempo dei suoi amori ed allora il passargli d’accanto è reputato pericolosis- simo. Non mi è noto che siansi tentati sperimenti speciali sugli effetti del suo veleno, ma è voce comune che superi la forza di quello della vipera delle nostre officine (Vipera aspis) e si narrano esempi di persone perite miseramente tre sole ore dopo aver ricevuto il suo morso. Io fui un giorno a due dita di doverne sgraziatamente parlare per mia propria sperienza. Trovandomi or già sono parecchi anni, nei contorni di Gins in Ungheria, mi imbattei in una antichissima quercia, la di cui corteccia screpolata in più luoghi e divisa in lunghe falde stava ormai per distaccarsi dal tronco. I naturalisti reputano sempre fortuna l’incontro d’alberi così fatti perchè sotto a quelle morte scorze, come in opportuno ricovero e nascondiglio, si raccolgono in copia insetti molto pregiati, conchiglie rare e sauri di più sorta. Io mi diedi adunque con grandissima at- tenzione a smuovere colla destra quelle falde; e perchè non cadesse a terra e si perdesse fra l’erba alcuno dei piccoli ani- mali che io sperava trovarvi, vi. teneva sotto, appoggiata al tronco orizzontalmente, distesa a guisa di coppa, la mano si- nistra. Tutt’a un tratto sentii cadervi su e fermarvisi una massa i Questo capitolo è del nostro Gene. (Nota del Trad.) VIPERE D'EUROPA 43 fredda e carnosa, che vidi tosto grigia e screziata di nero; e i capegli mi si rizzarono sul capo e la mano di per sè stessa si aperse; era una grossa ammodite aggomitolata e resa torpida dalla brezza mattutina, giacchè quel brutto giuoco accadevami poco dopo la levata del sole, ora rigida in quel clima anche nel forte dell’ estate. Quale cadde appiè dell’albero, tale rimase quella serpe, ed io la uccisi co’ piedi. Se l’ ora fosse stata più inoltrata e la vita del rettile più desta, è quasi certo che mi avrebbe beccato e che ora saprei dire di che sappiano i farmachi ungaresi. La Vipera berus, che ora passo a esaminare, è in certi casi difficile a distinguersi dalla aspis. I colori, che sono variabilis- simi, e la statura, sono gli stessi: osservasi soltanto che la be- rus ha il capo meno triangolare, meno depresso e sensibilmente distinto dal tronco; il suo vertice poi presenta, fra minute scaglie, alcuni scudetti piani, che ricordano in miniatura le grandi piastre cefaliche dei serpenti innocui. Generalmente è gri- giastra, talvolta è rossigna, con una fascia dorsale nera, fles- suosa e dentata. ) Vive questo rettile nell'Europa più boreale e in Siberia: tro- vasi nell’Inghilterra, nelle parti settentrionali della Francia, nella Germania, nella Svizzera e nella penisola italiana *'. eccettuatane la parte media e meridionale, ed eccettuatene le sue isole. Tralascio di parlare delle sue abitudini e dell’attività del suo veleno, perchè sono identiche o non sensibilmente diverse da quelle che or andrò significando nella Vipera aspis 0 aspide. Questa specie ha il capo triangolare, molto schiacciato e ri- coperto da scaglie tutte minute. Il suo colore è per lo più cenericcio, come nella vipera precedente, ma talvolta è af- fatto nera, tal’ altra molto rosseggiante sopra e sotto; però non suole quasi mai mancare la fascia dorsale nera, che si com- pone di macchie quadrate ed alterne, ora confluenti, ora ben separate. Abita questa vipera nella Grecia, nell’ Asia Minore, nella Dalmazia, nell’ Istria, nella Provenza, nel Delfinato e nel resto della Francia, eccettuate forse le sole parti settentrionali e orien- tali. È pur comune in tutta la penisola italiana ?, ma è inesatto il dire, siccome fa il principe di Canino nella sua iconografia 1 La vipera berus si incontra in tutta la Lombardia; nel Mantovano poi è piuttosto comune. (Nota del Tygad.) 2 L’aspide non è raro da noi in Lombardia, cioè piuttosto nei paesi aridi e più al monte ed al colle che al piano. (Nota del Trad.) 44 ORDINE DEGLI OFIDI della fauna italica, che trovasi del pari in tutte le isole del Mediterraneo: esiste di certo in Sicilia, ma la Sardegna, la Corsica e Capraia non la conoscono punto. La lunga catena degli Apennini e i colli che se ne distaccano, sono forse in Italia la residenza più favorita di questo ofidio: certo è frequentis- sima nei monti della Liguria, della Toscana, dell’agro Piceno e degli Abruzzi: ed io conosco, verso le sorgenti del Taro, della Trebbia e della Staffora, un monte magnifico, il monte Bertone, il quale per due terzi dell’ anno è, a rigor di parola, inacces- sibile per l'enorme quantità di codeste vipere che popolano ogni suo cespuglio e che stanno appiattate sotto ogni sua pietra. I montanari de’ suoi contorni non s’arrischiano, dalla primavera fin verso la metà dell’autunno, nè di mandarvi le loro greggie, nè di andarvi essi stsssi a far legna; ed io medesimo, che credeva esagerata la rinomanza viperina di quella montagna, ebbi a retrocederne con molta cautela, quando nell’ agosto del 1829, mi ero fitto in capo di salirla e di visitarla contro gli scongiuri delle mie guide. Le vipere, e parlo sì dell’una che dell’ altra specie pur ora descritte, si nutrono di lucerte, di rane, di rospi, ma sopratutto di piccoli quadrupedì, di sorci, di topi campagnuoli e di talpe; ma si pascono molto di raro, e tenute in schiavitù vivono per parecchi mesi a digiuno e senza patirne. Come ogni altro ser- pente, si spogliano della pelle al risvegliarsi del letargo in- vernale e per abbandonarsi a codesto letargo si sprofondano sotto terra. Tutti gli scrittori anche più recenti, e fra questi il principe di Canino, scrivono invece che passano l’inverno sotto ai mucchi di sassi nei luoghi elevati e secchi. Le mie osserva- zioni insegnarono'il contrario di ciò. Due volte mi è accaduto di essere presente in inverno allo scavamento di canali, a pochi passi di distanza dal Ticino, e in ambo i casi ho ve- duto i contadini disseppellire alla profondità di oltre un metro un numero grandissimo di vipere, che vicine le une alle altre, ma non aggomitolate, vi svernavano immerse nel fango. Credo impertanto che ove trovinsi acque, nelle loro vicinanze e nei fanghi da loro formati si riducano le vipere in fine d’autunno per passare in letargo la cruda stagione, e che o non mai 0 sol- tanto in estate se ne discostino grandemente. Al primo svolgersi dei tepori di primavera e in sul mattino, veggonsi questi rettili ricevere la benigna influenza del sole sui golli esposti al levante e su i sentieri delle foreste; bento- sto si ricercano, si abbandonano agli atti d’ amore, il cui fine si è di vivificare da dodici a venticinque uova, che si schiudono VIPERE D'EUROPA 45 nel ventre della femmina, ove il viperino, ravvolto su sè stesso, giunge alla lunghezza di tre o quattro pollici prima di venire in luce, il che succede abitualmente nel corso del quarto mese che conseguita l’ accoppiamento. Dopo avere per questa sorta di parto abbandonata la madre, i viperini, per qualche tempo ancora, trascinano con sè gli avanzi dell’uovo che li conteneva, sotto l'apparenza di mem- brane lacerate irregolarmente; ma restano da quell’ istante af- fatto stranieri alla madre e non trovano, al sopravvenire di qualsiasi pericolo, un sicuro rifugio nelle sue fauci, come gli an- tichi scrissero e come alcuni moderni credono. La facoltà av- velenatrice non isviluppasi nei novelli che verso il quattordi- cesimo giorno, secondo le belle osservazioni del Mangili. Dopo il tempo degli amori, le vipere si fanno più rare, per- chè cambiano difficilmente di luogo; nei fortissimi calori della state poi è pressochè un caso lo incontrarle, standosi allora ritirate nel più folto delle boscaglie e nelle rive sassose dei fiumi. Si ignora la durata approssimativa della loro vita; ma è presumibile che godano di molta longevità; giacchè credesi sa- pere che non siano atte alla generazione che nel loro terzo anno, e non giungono a compiuto incremento che al sesto 0 al settimo. Non è difficile lo ucciderle quando i colpi anche di sottil verga le colgono all’ occipite; ma resistono per lun- ghissima pezza a qualsiasi grandissima o larga ferita che loro si faccia sul tronco; voglionsi poi molti e molti giorni per annegarle nell’ acqua e non pochi minuti perchè nell’ alcool passino dall’asfissia alla morte reale. Nei nostri paesi hanno pochi nemici, imperocchè, tranne l’uomo che le perseguita continuamente allo scopo di ottenerne un rimedio, che credesi efficace in alcune malattie o per libe- rarsi da un vicino pericoloso, non v’ hanno che i falchi e gli aironi che se ne pascano. Tutti gli altri animali, tanto selvatici che domestici, Je temono e, le fuggono dando segni di un or- rore invincibile. In certe provincie della Russia e della Siberia portasi, a quanto si dice, un rispetto singolare alle vipere a motivo della sciocca credenza popolare colà che l’ uccidere di questi rettili sia lo stesso che provocare a vendetta tutti gli altri individui della sua specie. Per conseguenza, questi tristi animali, che non trovano chi li persegniti, vi si moltiplicano a dismisura, mentre nei paesi più civili e più accorti dell’ Europa, il loro numero va progressivamente diminuendo di giorno in giorno. 76 ORDINE DEGLI OFIDI Secondo che mi assicurarono parecchi viperai sì del Piemonte che di Lombardia, una quarantina d’ anni fa se ne raccoglie- vano in una mattina più e più dozzine in certe valli delle Alpi contermini alla pianura, ove al dì d’oggi è impossibile il vederne due o tre individui con una intera giornata di atten- tissima esplorazione. Ho detto che le vipere sono temute da tutti gli animali. Il pericolo che accompagna il suo morso è causa più che suf- ficiente per ispiegare la proscrizione e la esecrazione, cui sono generalmente condannate. La puntura dei loro denti feritori fa sorgere in meno che non si dica, sintomi gravissimi, spavente- voli e spesso mortali, quantunque per impedirne gli effetti de- leterii, basti, siccome usano i cerretani d’ Egitto, farle prima mordere replicatamente nella cera molle, la quale ottura lo sbocco dei denti, senza che siavi bisogno d’imitare gli psilli di Egitto o i ciurmatori d’Asia, che li strappano compiutamente o che cercano di spremerne meccanicamente il veleno. Non è quindi a meravigliare, se fino dagli antichi tempi si pose ogni studio nello indagare la natura di questo fluido micidiale, nel deter- minarne in maniera precisa gli effetti, e nel rintracciare i mezzi più efficaci per neutralizzarne l’azione deleteria. I chimici, i zootomi, i naturalisti, i medici, gli empirici, tutti gareggiavano pel risolvere questi diversi problemi e in mezzo ad un viluppo d’ipotesi più o meno assurde e di asserzioni più o meno ridicole si ottennero dai loro lavori parecchie importanti verità che io verrò ora brevemente esponendo. Charas pretendeva che il veleno della vipera risiedesse non già nel liquore che ella versa dai denti forati e tubulosi, ma bensì nei suoi spiriti irritati. Se non che passò il tempo in cui non era lecito confutare opinioni di tale natura, ed il risultato di sei mila esperimenti eseguiti. a Firenze dal celebre Felice Fontana le ha fatte quasi compiutamente dimenticare. Questo ultimo naturalista cominciò dal dimostrare che il veleno della vipera è innocente per alcuni animali di sangue freddo, quali sono le vipere istesse, l’orbettino, la lumaca, la sanguisuga, ecc.; riconobbe poi che codesto veleno non è acido nè alcalino in grado sensibile. Il suo sapore, difficile a qualificarsi, lascia nella bocca una sensazione intermedia a quella che vi produrrebbe una sostanza narcotica e un sale astringente che si fossero si- multaneamente introdotti in questa cavità. La sua consistenza tiene il mezzo fra quella dell’ olio d’ uliva e della soluzione acquosa di gomma arabica. Coll’essiccazione ingiallisce e pare cristallizzarsi, anzichè coagularsi al modo del muco e del- VIPERE D'EUROPA 47 l’albumina, e conservasi lungo tempo nella cavità del dente, sia questo o non sia separato dall’osso mascellare che lo porta e dalle membrane che lo involgono alla base. Il veleno viperino non è costantemente mortale che per gli animali di piccolo volume e riesce per le grandi specie tanto più pericoloso, quanto meglio pasciuto è il serpente che morde, quanto più profonde e numerose sono le ferite che ei fa, quanto più son esse distanti le une dalle altre e quanto più calda è la temperatura del clima o della stagione. Infatti a parità di cir- costanze, veggonsi soccombere a codesta puntura, un passero in cinque o otto minuti, un piccione in otto o dodici minuti, mentre che un gatto talvolta resiste alle sue conseguenze e un montone sovente ne scampa. Un centesimo di grano di codesto fluido, introdotto in un muscolo, uccide istantaneamente un usignuolo o un canarino, mentre vuolsene sei volte tanto, secondo Fontana, per far perire un piccione e il doppio di questa ultima dose per toglier la vita ad un corvo. Questo calcolo sembra dirci che debbono ab- bisognare almeno tre grani per uccidere un uomo, e dodici grani per far morire un bue nelle circostanze ordinarie. Av- vertasi però che l’organo ferito ha una grande influenza sulla natura e sulla gravità dei sintomi. Per esempio, le punture fatte al collo sono ben altrimenti pericolose di quelle fatte alle membra, motivo della vicinanza della laringe, della faringe, dei nervi pneumo-gastrici, della moltiplicità dei vasi assorbenti e dei gangli linfatici che trovansi in quella parte del corpo, infine a motivo della sua immediata connessione col capo, coi centri principali delle sensazioni e colle vie respiratorie e digestive. Un numero considerevole di sperienze e di osservazioni hanno inoltre dimostrato fino all’ ultima evidenza, che il veleno della vipera può essere impunemente inghiottito, ogni volta che non sianvi escoriazioni o ulceri nella bocca, pel cui mezzo possa insinuarsi nel torrente della circolazione. E questo fatto della innocuità del veleno dei serpenti, preso internamente, era noto agli antichi 4. 1 L'antico genere della vipera venne per gli studii recenti ad assumere una grande importanza. Nuove forme, nuove specialità vi si poterono riscontrare, per cui, suddiviso in vari gruppi distinti, è oggidì una famiglia naturale composta di parecchi generi. — Nella raccolta degli Ofidi del Museo di Milano si possono vedere molto bene rappresentate le vipere nei nuovi generi di Dendraspis, di Acanthophis, di Vipera colle sue diverse varietà, fra cui la Cerastes, e di Echis. — Fra gli esemplari 148 ORDINE DEGLI OFIDI Ceraste. — Le Ceraste sono affini alle vipere; ne differiscono in ciò che le loro piastre sopracigliari si rialzano in punta e simulano un paio di cornetti. Cerasta di Egitto, che si trova nei luogi aridi e sabbiosi, è di un grigio giallastro sopra, con macchie irregolari più cupe. La si incontra anche nel Sahara algerino e nel Marocco. Si asse- risce che la sua puntura sia mortale 4. Crotali. — Presso le vipere stanno i Crotali *, che differiscono per questa sola particolarità: sopra e dietro le narici offrono piccole cavità speciali. In questo gruppo piglian posto il Serpente a sonagli e il Trigonocefalo. Serpente a sonagli. — Il terribile Serpente a sonagli (vedi fig. 9 a pag. 41) abita l'America; lo incontri specialmente negli Stati Uniti ed al Messico. Talora giunge alla lunghezza di due metri. Il colore del dorso è grigio misto e giallastro. Su questo fondo si distende una fila longitudinale di macchie nere orlate di bianco. Il suo capo, appiattito, è coperto, presso il muso, di sei scaglie più grandi delle altre disposte in tre file trasversali, ognuna fatta di due scaglie. Gli occhi sono scintillanti, le fauci bene aperte lascian scorgere spesso una lingua nera, sottile, bifida. I denti del veleno, lunghissimi e molto appariscenti, son collocati sul davanti deila mascella superiore. Le squame del dorso sono ovali e rialzate nel mezzo da una sporgenza che si estende nel senso del loro diametro. La parte inferiore del corpo non ha che una sola fila di grandi piastre. Il serpente a sonagli venne così chiamato per una curiosa particolarità della sua struttura. L’apice della coda è fornito di capsulette, incastrate l’una nell’altra. Quando l’animale striscia, queste capsulette mandano un lieve suono, come sarebbe quello dei baccelli secchi dei fagiuoli, nei quali sia rimasto qualche seme. L'uomo viene così avvisato della vicinanza di questo formi- dabile nemico, Il rumore delle capsulette caudali non è molto sonoro; ma si sente alla distanza di una trentina di passi, e più pregiati è a notarsi quello di Dendraspis angusticeps, animale della costa di Gabon in Africa. Di vere vipere poi vi si contano 414 specie e parecchie varietà. (Nota del Trad.) i Come si è detto, di questa e di altre specie esistono bellissimi e numerosi esemplari nella collezione del Museo di Milano. È poi a notarsi per rarità la Cerastes caudalis Smith, dell’Africa australe. (N. del Tr.) 2 Lat., Crotalus; fr., Crotale; ingl., Rattle-snake; \ed., Klapperschlange. SERPENTE A SONAGLI 49 rivela agli animali e all'uomo la presenza del più terribile dei rettili. Il serpente a sonagli vive di piccoli animali, mammiferi o rettili. Sta pazientemente spiandoli, e quando sono a tiro, si av- venta loro addosso. È ovoviviparo. I piccoli, poco dopo la nascita, , Cercano un asilo nelle fauci della loro madre. | D'estate il serpente a sonagli rimane in mezzo ai monti sas- sosi, incolti o coperti di boschi selvaggi. Ordinariamente sceglie i luoghi più caldi, presso una fontana od un ruscello, ove vanno Fig. 10. Trigonocefalo-, o Serpente ferro di lancia. ad abbeverarsi i piccoli animali. Si mette di preferenza al ri- paro di un vecchio albero caduto. Audubon, celebre viaggiatore e naturalista americano, dice che sovente s’ incontrano i ser- penti a sonagli rotolati a spira in istato di torpore quando la temperatura è bassa. Alcuni popoli americani tengono in venerazione il serpente a sonagli, e sanno tenerlo lontano dalle loro dimore senza uc- ciderlo. Fatto strano! Si asserisce che questo terribile animale non sia insensibile alla musica. Chateaubriand ha scritto a Ficuier. Rettili, Anfibi, ecc. . 7 50 ORDINE NEGLI OFIDI questo riguardo alcune linee che si leggeranno, credo, vo- lontieri: « Nel mese di luglio 1791, dice il chiaro scrittore, eravamo in viaggio nell’Alto Canadà, con alcune famiglie di selvaggi della nazione degli Unutagni. Un giorno che ci eravamo riposati in una pianura lungo le sponde del fiume Genédie un serpente a sonagli entrò nel nostro ac- campamento. Era con noi un Canadese che suonava il flauto; volendo divertirci, andò incontro al serpente con quell’arme di nuovo conio. Al- l’accostarsi del nemico, il fiero rettile si ravvolge a un tratto a spira, appiattisce il capo, gonfia le gote, contrae le labbra, mostra i denti av- velenati e le rosse fauci; la sua bifida lingua si vibra rapidamente fuori della bocca; gli occhi brillano come bracie; il suo corpo gonfio dalla collera si alza e si abbassa come un soffietto; la pelle dilatata è irta di squame, e la coda, mentre risuona sinistramente, s'agita con tale velo- cità che sembra un lieve vapore. Allora il Canadese comincia a suonare il flauto; il serpente fa un movimento di sorpresa e trae indietro il capo; chiude adagino le sue ardenti fauci. Man mano che vien colpito da quel magico effetto, i suoi occhi divengono meno feroci, le vibrazioni della coda si rallentano, e il suono che manda si va facendo più lieve finchè si dilegua del tutto. Meno perpendicolare sulla sua linea spirale, le spire del serpente affascinato vanno sempre più allargandosi e vengono a posarsi sul terreno in cerchi concentrici, le scaglie della pelle si ab- bassano e riprendono il loro splendore, e volgendo leggermente il capo esso rimane immobile in atto di chi prova intenso piacere. In tal punto il Canadese fa qualche passo mandando alcune note lente e monotone dal suo istrumento ; il rettile piega il collo, apre col capo le soffici erbe, e si mette a strisciare sulle orme del suonatore che se lo trae dietro, fermandosi quando egli si ferma, tornando a seguirlo quando lo vede allontanarsi. Così esso fu condotto fuori del nostro campo in mezzo a moltissimi spettatori tanto selvaggi che europei, che non potevano pre- star fede ai loro occhi. » Tutti sono concordi nel dire che il serpente a sonagli non se la prende coll’uomo se non quando questo lo aggredisce. Nondimeno è un nemico pericolosissimo, ed è importante co- noscere il mezzo per allontanarlo. Ausiliare eccellente per ottenere questo risultato è il maiale. Nell’ovest e nel sud dell'America, quando un campo o un po- dere è infestato da questi terribili rettili, vi si mette una scrofa coi suoi piccoli, e in poco tempo tutti i serpenti son divorati. Sembra che il corpo del maiale sia invulnerabile al veleno per la materia grassa che lo ravvolge. D'altronde esso ha un gusto particolare per la carne del serpente e lo insegue arden- temente. SERPENTE A SONAGLI DI Quando un maiale vede un serpente a sonagli, dice il dottor Jonathan Franklin, batte le mascelle, e arriccia il pelo. Il ser- pente si ravvolge a spira per colpire il nemico; il maiale si accosta senza timore, e riceve il colpo nelle ripiegature grasse che pendono da ogni lato deila mascella. Quindi tien ferma con un piede la coda del serpente, poi coi denti ne dilania la carne e la mangia con grugnito di piacere. Il maiale non è il'solo animale che l’uomo adopera per cac- ciare il serpente a sonagli. Il dottore Rufz di Lavison, che visse lungamente alle Antille francesi, e fu direttore del giardino di acclimazione di Parigi, ha pubblicato un lavoro interessantis- simo, nel quale riferisce i servigi importanti che rendono certi uccelli, specialmente il Segretario o Serpentario, per dar caccia ai serpenti a sonagli delle Antille. Siccome abbiamo detto sopra, i crotali sono i più pericolosi fra tutti i serpenti velenosi. Menzioneremo qualche fatto che dimostra la terribile forza del loro veleno. “Un crotalo, lungo circa un metro, uccise un cane in capo a quindici minuti, un altro cane dopo due ore, ed un terzo nello spazio di quattro ore. Quattro giorni dopo, ne addentò un quarto, che non visse che trenta secondi, e un quinto che durò appena quattro minuti. Tre giorni dopo, punse una rana, che spirò in capo a due secondi, e un pollo che morì dopo otto minuti. Un americano, per nome Drake, giunse un giorno a Rouen, con tre serpenti a sonagli vivi. Malgrado tutte le cure che egli prese per ripararli dal freddo, uno di questi serpenti soccom- bette. Mise la gabbia ove stavano gli altri due accanto ad una stufa, e con una bacchettina cominciò a stuzzicarli, per vedere se fossero vivi. Siccome uno dei crotali non si moveva affatto, Drake lo prese per la testa e per la coda, e si avvicinò ad una finestra, onde accertarsi della sua morte. Ad un tratto, l’animale volse repentinamente il capo, e morse il disgraziato Drake, nella parte esterna della mano sinistra. Mentre rimetteva il crotalo nella gabbia, fu nuovamente morso nella palma della stessa mano. Un medico! un medico! sclamò quell’infelice. Fregò la mano sopra del ghiaccio che eravi sul limitare dell’uscio, e due mi- nuti dopo si legò strettamente il polso con una corda. Un quarto d’ora dopo, un medico venne e cauterizzò la ferita; ma in breve sopraggiunsero sintomi terribili: deliquio, respiro affannoso, polso quasi nullo, evacuazioni involontarie. Gli occhi si chiusero, le pupille si contrassero, le membra divennero insensibili e il corpo freddo. Drake morì in capo a nove ore. 52 ORDINE DEGLI OFIDI Siccome il clima della Francia differisce poco da quello degli Stati Uniti, per conseguenza è adattatissimo alla riproduzione dei serpenti a sonagli. Inoltre, se una femmina e un maschio vivi di questi terribili rettili riuscissero a fuggire da qualche serraglio, potrebbero in poco tempo infestare il paese colla loro terribile prole. Quindi in Francia è proibita l'esposizione pub- blica di serpenti a sonagli. Nondimeno se ne possono vedere due o tre nella collezione del Museo di storia naturale di Pa- rigi. I serpenti a sonagli vi stanno chiusi in una doppia gabbia, e si hanno tutte quelle precauzioni che la prudenza esige. La proibizione di mostrare pubblicamente i serpenti a sonagli non esiste in Inghilterra come in Francia. Ciò diè luogo a dis- grazie del genere di quella che racconteremo ora, e che ac- cadde nel mese di luglio 1867. Otto serpenti a sonagli, provenienti dall'America, erano stati sbarcati a Liverpool. Un certo W. Manders, di professione mo- stratore di animali, li comprò, e li espose al pubblico a Nort- hampton, nel suo serraglio, chiudendoli in una solidissima gabbia. Da Northampton, portò la sua mostra di animali a Tundbridge- Wels, ove ebbe luogo l’accidente di cui parliamo. Sotto la gabbia dei serpenti a sonagli eravi un recipiente d’acqua calda onde conservare una temperatura dolce intorno a quegli animali. Il guardiano dei rettili, mentre faceva scaldare dell’acqua, teneva d'occhio la gabbia. Essendosi quell’ acqua messa a bollire con maggiore forza, quell'uomo si accostò un momenta al focolare, per aggiustare il fuoco, ma lasciò per disgrazia socchiusa la gabbia. Tornato che fu, si avvide che uno degli otto serpenti era fuggito. Infatti, il terribile crotalo saltava in mezzo al serraglio, si- bilando e alzando il capo con piglio minaccioso. Il guardiano chiuse in fretta la porta della gabbia, e chiamò gli altri guar- diani che stavano ripulendo ie gabbie e le stalle. Un terrore panico li invase tutti, tranne il più vecchio chiamato Godfrey. Questi riuscì a persuadere alcuni uomini di rimanere con lui, onde tentare di riprendere il rettile, Armati di vanghe, di palette, di leve, questi guardiani, con Godfrey alla testa, si avviarono contro il serpente. Cominciarono a gettargli addosso un sacco, sperando di rav- volgerlo, ma il rettile si liberò, e si diresse verso il centro della sala, sibilando spaventosamente. Altri animali eran rac- chiusi negli scompartimenti di quel luogo. Il serpente a sonagli passò loro davanti senza toccarli; ma giunto in faccia ad un SERPENTE A SONAGLI . 53 bellissimo bufalo che pesava 2000 chilogrammi, si fermò di botto, balzò nella gabbia del bufalo e lo morse alle narici, poi scivolando fra le sbarre del cancello, si avviò verso un cortile, ove i servitori del signor Manders stavano caricando paglia sopra un carro. A questo carro era aggiogato un bellissimo cavallo di razza. Il serpente si gettò sul cavallo e lo punse. Ma questi si mise subito a tirar calci ed impennarsi con tanta violenza che riuscì a far cadere il rettile. Il serpente, sbalordito dal colpo, non si era peranco riavuto, che già era schiacciato dai ferri del cavallo che furibondo lo calpe- stava. Pochi minuti dopo essere stato morso dal rettile, si vide quel bel cavallo tremare e rabbrividire. Gli occhi gli schizzavano dalle orbite e mandava nitriti lamentosi. Pochi minuti dopo, moriva nella più atroce agonia. Nello stesso tempo, il bufalo, che pel primo era stato morso dal serpente, veniva preso da orribili convulsioni; e poco dopo si sentì il rumore di un corpo pesante caduto: era quell’ enorme animale, che, perdute. le forze, moriva sua volta. I crotali non son pericolosi soltanto durante la loro vita. I loro denti conservano, anche dopo la morte di questo ofidio, il loro micidiale potere. Il signor Rousseau, assistente naturalista al Museo di storia naturale di Parigi, uccise rapidamente alcuni piccioni, pian- tando nei loro muscoli pettorali i denti del veleno di un ser- . pente a sonagli morto da due giorni. Quindi i naturalisti deb- bono usare molte precauzioni nel maneggiare gli scheletri di crotalo, sebbene preparati da molti anni, o gl’individui conser- vati nell’alcool. Invero, cotali preparazioni non sono scevre di pericolo. Il seguente fatto è un esempio notevole della persi- stenza delle proprietà tossiche dei dent del crotalo. Un abitante delle Antille era stato morso da un serpente a sonagli attraverso il cuoio di grossi stivali. Morì senza che si potesse conoscere la cagione della sua morte. Suo figlio avendo trovato fra gli effetti ereditati quegli stivali, se li mise. Poco dopo, ammalò e morì. Le vestimenta del defunto furono ven- dute. Accadde che uno dei suoi fratelli avendo voglia di posse- dere quei malaugurati stivali, li comprò, li mise una volta sola, e morì. I medici ricercarono allora le cause di questi successivi de- cessi, e si pensò agli stivali. Esaminati con maggior cura, si trovò un dente del veleno del serpente a sonagli conficcato nel 54 " ORDINE DEGLI OFIDI cuoio. Fu quel dente che punse SUGORASLERBARAA le tre sventu- rate vittime !. Ciò che abbiamo detto intorno al serpente a sonagli si rife- risce particolarmente al crotalo Durisso e al Bisquira. Si conoscono ancora cinque altre specie americane che non menzioneremo ?. . Trigonocefali.— I Trigonocefali (vedi fig. 10 a pag. 49) hanno le forme e l’ aspetto dei crotali, ma la loro coda è aguzza e sfornita di sonagli. La specie principale di questo scomparti- mento è il Trigonocefalo giallo, che si chiama anche Serpente giallo delle Antille e Vipera ferro di lancia. Questo terribile serpente si trova alla Martinica, a Santa Lucia, e nella isoletta di Boquin, presso San Vincenzo. Vien lungo talora due metri. La sua pelle non sempre è giallastra; talora è grigia, talora macchiettata di bruno. Il suo capo, assai grosso, si fa notare per uno spazio triangolare, di cui il muso e gli occhi occupano i tre angoli. Questo spazio, rialzato sui margini anteriori, rappresenta un ferro di lancia, largo alla base e un po’ arrotondato all’apice. Ai due lati della mascella superiore, si scorge un dente velenoso, talora due ed anche tre, che 1’ ani- male adopera per mordere ed infiltrare il suo veleno nelle ferite. Il Serpente giallo delle Antille rimane nascosto nelle foglie secche, entro i tronchi d’alberi tarlati, e sovente va a rimpiat- tarsi nei campi di canne da zucchero. Si nutre di lucertole, di piccoli mammiferi, specialmente di topi. La sua ferita può pro- durre la morte di animali grossi come buoi. I Neri che colti-, vano le canne da zucchero, ed i soldati al servizio nella Mar- tinica, rimangon sovente vittime del Werro di lancia. Disgraziatamente questo serpente è fecondissimo, ed il suo ve- leno è così attivo che gli animali da lui feriti muoiono tre ore, dodici ore, un giorno e talora parecchi giorni dopo essere stati punti. La morsicatura produce un dolore vivissimo, al quale tien dietro subito una enfiagione più o meno livida. Il corpo si raffredda e diviene insensibile. Il polso ed il respiro vanno ral- lentandosi, le idee si annebbiano, il coma giunge, e la pelle divien azzurrognola. Talora si prova sete ardente, attacchi di paralisi e sputi sanguigni. 1 I naturalisti che riferiscono questo fatto aggiungono, per la massima parte, che esso non merita fede. (Nota del Trad.) 2 La raccolta del Museo di Milano possiede dodici specie di Crotali, rappresentate da parecchi individui. (Nota del Trad.) TRIGONOCEFALI, NAJE 55 Al Brasile s'incontra un’altra specie di YWerro di lancia, che è il terrore degli indigeni 4. Naje. — Le Naje (ted., Brillenschlange) sono sommamente temute, perchè stillano nelle ferite un veleno sottilissimo. Hanno movenze singolarissime. Quando l’animale sta riposando, il collo non ha un diametro maggiore del capo; ma sotto l’a- zione delle passioni e di una forte collera, quel collo si gonfia; nello stesso tempo l’animale solleva verticalmente la parte an- teriore del corpo; rimanendo questa diritta e rigida come una sbarra di ferro, l’altra parte del corpo riposa sul terreno, e men- tre serve di punto di appoggio, è mobile e permette la loco- mozione. La facoltà che ha il collo di dilatarsi è il carattere principale dell’organizzazione della Naja, come il sonaglio è il carattere dei crotali. Gli antichi abitatori dell’ Egitto adoravano questi serpenti. At- tribuivano alla loro protezione la conservazione dei grani, e li lasciavano vivere in mezzo ai campi coltivati. Oggi la Naja non è più venerata in Oriente, ma serve in quasi tutti i paesi del- l'Asia, della Persia e dell’ Egitto come curiosissimo spettacolo. I popolani si raccolgono intorno a certi giocolieri, che asseri- scono aver mezzi soprannaturali per domare ed ammansare quei terribili rettili. Il psillo, o incantatore di serpenti (vedi fig. 4 a pag. 1), prende in mano una radice, che ha la prerogativa di salvarlo dal morso velenoso della naja; poi traendo fuori l’animale da un vaso nel quale lo ha racchiuso, lo stuzzica, mostrandogli un bastone. L’ani- male rialza la parte anteriore del corpo, fa gonfiare il suo collo, spalanca le fauci, allunga la lingua bifida, e fa scintillar gli occhi mentre va mandando un lungo sibilo. Allora comincia in certo modo la lotta fra il serpente ed il psillo, il quale intonando una monotona cantilena, oppone al suo nemico il pugno chiuso, ora da urna parte ora dall’altra. L'animale, cogli occhi fissi su i La raccolta del Museo di Milano conta 6 specie di Trigonocefak, ‘ alcuni propri dell'America, altri asiatici. — Qui presso poi, vanno aggiunti i Bothrops, gli Atropos ed i Tropidolemus, velenosissimi serpenti che infestano le regioni interne dell’America e delle Indie orientali, ed ancora assai poco conosciuti. Fra questi la collezione del Museo di Milano vanta il Bothrops pictus coi rappresentanti delle varie età, ed il Tropi- dolemus Wagleri, specie rarissima e che non si ritrova in altri musei. (Nota del Trad.) 56 ORDINE DEGLI OFIDI quel pugno che lo minaccia, ne segue i movimenti, dondola il capo ed il corpo, e simula così una specie di ballo. Altri psilli ottengono dalle naje un movimento del collo al- ternato e in cadenza, mercè il suono ei piccoli flauti. Si dice anche che questi misteriosi giocolieri, mercè certi loro partico- Fig. 14 L'’incantatore di serpenti, nell'India. lari contatti, sanno immergere quei pericolosi nemici in una sorta di letargia e di rigidezza cadaverica, da cui li fanno uscire a loro piacimento. In ogni caso è certo che non potrebbero maneggiare impunemente quei rettili, la cui morsicatura è pe- ricolosissima, senza aver neutralizzato o sospeso il loro veleno in un modo o nell’altro. NAJE 57 Si crede che i psilli abbiano la precauzione di esaurire ogni giorno il veleno della Naja, obbligandola a mordere a varie ri- prese un pezzo di panno. Si crede anche, per lo più, che strappino loro i denti del veleno, di cui una sola puntura basterebbe per ucciderli in un momento. Le due specie più anticamente note di questo genere sono la Naja comune e la Naja aspide. La Nuja comune, o Serpente dagli occhiali (fig. 12), ha, siccome abbiamo detto, il collo dilatabilissimo. Il suo colore è giallo bru- Fig. 12. Naja, o Serpente dagli occhiali. nastro, più pallido sotto, di rado con striscie nere trasversali, più sovente fornito sul dorso di una specie di figura a mo di oc- chiali fatta con una riga nera. L’addome ha piastre lunghe tra- sverse, il corpo lungo quattro piedi, è cilindrico e coperto di piccole scaglie, ovali e liscie; è molto sparso in parecchie re- gioni dell’ India. La Naja aspide, o Naja Azé, ha il collo meno dilatabile. Il suo colore è verdiccio macchiato di bruno. Più piccola della pre- cedente, trovasi nell’ovest e nel mezzodì dell’Africa. È comune FiGuiER. Rettili, Anfibi, ecc. 8 58 ORDINE DEGLI OFIDI specialmente in Egitto. Come tutti sanno, è per la puntura di un aspide che morì la regina Cleopatra !. 1 La natura molto compendiosa di questo lavoro intorno ai Serpenti, non ci ha permesso di citare a suo luogo le più importanti specie di questa classe di animali; ma; appena di notificare in modo più preciso le specie che si trovano in Lombardia. Ora, conservandosi al Museo di Milano una collezione di serpenti delle più ricche e delle più importanti fra tutte quante ne siano state fatte fino ad oggi, ci sia permesso di ag- giungere qui in una breve nota l'elenco delle specie più importanti di co- desta collezione del Museo Milanese. Il defunto professore Giorgio Jan, il principe degli Ofiologi moderni e già direttore del nostro Museo, col suo indefesso amore a questi studii seppe raccogliere e fondare una collezione di Ofidi di quasi 700 specie, colle quali sono rappresentate, fatta eccezione di alcune poche, tutte le diverse specie e varietà di serpenti fino ad ora conosciute. — Fra le altre meritano una menzione per la loro rarità, e in qualche caso anche per l’unicità, le seguenti specie : Rhinocheilus Le Contei. B. e G., del Texas. Heteredon pulcher Jan., della Bolivia, rarissimo e prezioso esemplare. Anomalodon madagascariensis Dum., del Magadascar, pure rarissimo ed esistente solo a Parigi. Dipsina multimaculuta Smith, dell’Africa australe. Tropidonotus Clarki B. e G., sorta di colubro del Texas. Amphiesma flaviceps Dum., delle Isole Celebes ‘e di Borneo. Helicops mortuarius K. e le altre 9 specie di questo genere di serpenti americani. Herpeton tentaculatum Lacép., di Siam. È questa una delle più preziose curiosità possedute dal Museo di Milano e che vanta in confronto dei principali Musei. va Hemiodontus elapiformis Pet., dell'Arcipelago indiano. Hapsidophrys lineatus Fisch., dell’Africa occidentale. Langaha ensifera Dum., del Madagascar e rarissima Psammophis elegans Schl., e irregularis Fisch., dell’Africa australe. Lycophidion Horstockw Schl., e altre specie di questo genere proprio di Mozambico e della Costa d'Oro (Africa). i Rhinobotrium lentiginosum Dum., specie rarissima proveniente dalla Guiana e unicamente posseduta dal Museo di Milano. Heterurus Gaymardi Schl., di Madagascar. Xenoderma javanica Reinh., di Giava, esemplare giovane ma molto bello e forse unico. Acrochordus juvanicus Hornst., di Giava. Platurus Fischerii Jan, del Mar delle Indie. Aipysurus levis Lacép., dei Mari equatoriali. Elaps Narduccù Jan, proveniente dalla Bolivia e dal Perù e che è una vera novità nelle collezioni zoologiche. Trimeresurus bungarus Schl., delle Indie orientali. ORDINE DEI SAURII La denominazione di Sauros, che Aristotile diede allo scom- partimento delle Lucertole, è stata estesa ad un complesso di rettili dal corpo allungato, coperto di scaglie o di una pelle molta rugosa; forniti per lo più di quattro zampe e colle dita munite di unghie aguzze; colle palpebre mobili e le mascelle armate di denti, con un timpano distinto, un cuore con due orec- chiette e un solo ventricolo, talora parzialmente fornito di un tramezzo !, con coste ed uno sterno, non soggetti a metamorfosi; e tutti finalmente forniti di coda. Quest’ ordine comprende parecchie famiglie che indicheremo coi nomi del loro principale rappresentante. Tali sono, risalendo la serie animale, le famiglie degli Ordettini, delle Lucertole, delle Iquane, dei Varani (che comprendono il Basilisco e il Drago volante), dei Gecki, dei Camaleonti e dei Coccodrilli. Naja nigricollis Reinh., della Guinea e rarissima, con altre 3 specie. Dendraspis angusticeps Smith., della costa Gabon. Vipera caudalis Smith, di Grands Namazois, rarissima specie. Tropidolemus Wagleri Dum., delle Isole della Sonda. Botrhops pictus Tsch., del Perù. Oltre poi a codeste specialità va notato come le due famiglie dei Ti- flopidi e degli Idrofidi, o serpenti marini, che sono tutt'ora tanto rare di rappresentanti nei Musei anche di prim’ordine, nella raccolta del Museo di Milano siano riccamente rappresentate in un colle famiglie più rare e più importanti. Nè deve essere tralasciato di notare come la raccolta del Museo di Milano sia il fondamento sopra il quale il chiarissimo professore Jan imprese la sua opera famosa: Iconographie generale des Ophidiens, che è tutt'ora in corso di pubblicazione, opera per la quale i profondi studii e le scoperte del dotto naturalista vengono ad essere conservati alla scienza dando un nuovo indirizzo allo studio sistematico dei serpenti. — E per “questo ancora la raccolta del Museo di Milano acquista grande importanza diventando una raccolta classica e originale. (Nota del Trad.) 1 Vedi la nota posta al Capitolo d’introduzione. (Nota del Trad.) 60 ORDINE DEI SAURII Orbettini. — L' Orbettino 1 (fig. 13) è un animaletto in forma di cilindro allungato, coll’aspetto esterno di serpente. Le scaglie che coprono la parte superiore e inferiore del suo corpo, sono piccolissime, brillanti, orlate di un colore bianchiccio, e rosso- fulvo in mezzo. Il ventre è bruno scuro, e la gola marmoreg- giata di bianco, di nero e di giallastro. Si osservano due mac- chie più grandi, una sopra il muso, l’altra dietro al capo, e da questo punto partono due strisce longitudinali nerastre, che vanno fino alla coda, come pure due altre, di un bruno casta- gno che partono dagli occhi. Questa livrea del resto varia se- condo i paesi, e forse secondo l’età e il sesso. L’Orbettino vive nei boschi, nelle pianure e nei luoghi in- Fig. 15. Orbettino. colti e sassosi, un po’ asciutti e sabbiosi. Si rintana entro buche, sovente sotto il musco ai pie’ degli alberi. Vivace, timido, si rimpiatta appena lo si accosta; si nutre di vermi di terra, di in- setti e di piccoli molluschi. Affatto innocuo, non potrebbe de- stare la benchè minima diffidenza, nè meritarsi i cattivi trat- tamenti dei campagnuoli. Fatto singolare, rassomiglia ad un serpente, perchè non ha estremità, ma basta toccarlo con un bastoncino per vedere che non ha la sveltezza degli Ofidii, e che invece, per così dire, è fragile. I corti muscoli che fan muovere la sua coda, possono agevolmente staccarsi al loro è i Fr., Orvet. ORBETTINO, LUSCENGOLA 61 punto d’inserzione. Perciò il suo nome scientifico è Angue fra- gile !. Accanto agli Orbettini, vengono collocate le Luscengole * (fig. 14), che si distinguono particolarmente dai primi, perchè hanno zampe. Ma queste zampe son piccolissime, quasi rudi- mentali, incompiute pel numero delle dita. Questi animali for- mano il passaggio ai Saurii perfetti: tale è la Seps calcidica, che s’incontra abbastanza comunemente nel mezzodì della Fran- Fig. 14. Luscengola. cia, in tutte le isole del Mediterraneo, in Spagna, e sulle coste africane della Barberia 3. 1 Questo piccolo Saurio è frequente fra noi, molto più nell'Italia setten- trionale, dove tuttavia è raro sulle colline, ed è al tutto ignoto in Sardegna. Corsero e corrono ancora molti pregiudizi intorno a questo animale, il più diffuso dei quali è che esso sia cieco, onde i nomi di Orbettino, Cecilia, Arbiga, Orbighina, Orbiséu, Orbaccieul, Orbola, e simili. Fatto sta che esso ha due occhi, piccoli invero, ma brillantissimi. Non è d’ uopo soggiungere che è vano ogni timore di danno da questo animale, al tutto innocuo e tranquillo. È anche detto GhRiacciuolo per la sua fragilità estrema. — Comune nei prati intorno a Milano, si trova pure nel Pavese e nel Mantovano. (Nota del Trad.) 2 Fr., Seps. 5 La Luscengola manca al Piemonte e alla Lombardia, ma è tomunis- sima per tutta l’Italia meridionale e nelle sue isole ; stanzia nei prati e negli altri luoghi erbosi ed umidi; si ciba di ragni, di piccoli insetti, di molluschi, ed è innocentissima. Si chiama anche Cicinia, Cecella, Fiena- rola; in Sardegna la chiamano Lanzinafenu o Sciligafenu. (Nota del Tr.) 62 ORDINE DEI SAURII Lucertole. — Questo gruppo di Saurii comprende le Salvaguar- die, le Ameive, generi propri dell'America e che non faremo che menzionare, e le Lucertole propriamente dette. La testa della Lucertola comune, o Lucertola dei muri 4!, è tri- angolare e piatta. La parte superiore è coperta di grandi scaglie di cui due stanno sopra gli occhi. Il suo piccolo muso è arro- tondato. Le aperture delle orecchie sono ben grandi. Le due mascelle, ornate di larghe scaglie, son munite di denti fini, un po’ adunchi e rivolti verso la gola. Ad ogni piede ha cinque dita, ben distinte e fornite di unghie ricurve, che le agevolano lo arrampicarsi sugli alberi, e il correre sveltamente sui muri. La parte superiore del capo è grigio cenerino, come pure il dorso, che inoltre» è macchiettato regolarmente di punti e di ri- ghette azzurrognole. Sul ventre e sotto la coda è di color bianco lucido, verdiccio e talora punteggiato di nero. La sua lunghezza totale può giungere a 20 centimetri, sui quali la coda rappre- senta 4 centimetri. Questo innocuo animaletto, tanto comune? nei nostri paesi, è svelto ed agile. Corre tanto velocemente che sfugge all’occhio colla rapidità dell’ uccello. Siccome abbisogna di una tempera- tura mite, cerca i luoghi riparati. Quando il sole batte in pieno sul muro, lo si vede distendersi con piacere su quella super- ficie calda. Si compenetra di quel benefico calore, e mostra la sua soddisfazione muovendo mollemente la coda. Si suol dire che la lucertola è amica dell’uomo, perchè invece di fuggire quando esso le si avvicina sembra guardarlo con compiacimento. La lucertola passa l'inverno in un buco che scava nella terra. Colà cade in torpore, e ne esce, per accoppiarsi, sul principio di primavera. Vive appaiata; il maschio e la femmina stanno uniti fedelmente, dicesi, per lo spazio di parecchi anni, si di- vidono le faccende della famiglia, la cura di far schiuder le uova, di portarle al sole e di metterle al riparo dal freddo e dall'umidità. La lucertola si nutre d’insetti, e principalmente di formiche 1 Lat., Lacerta; fr., Lezard gris o Lezard des murailles; ingl., Lizard: ted., Leuchthafer. 2 Questa specie è comunissima in Lombardia ; distrugge gli insetti. — Con questa vennero confuse altre 5 specie di lucertole che le sono af- fatto somiglianti, proprie anche della Lombardia, cioè : la Lacerta tiliguerta, la Lacerta stirpium e la Lacerta vivipara. — Così in Lombardia si con- tano 4 specie di Lucertole ed il Ramarro, che, coll’Orbettino, sono i soli rappresentanti dell’ordine dei Saurii, (Nota del Trad.) LUCERTOLE 63 e di mosche. Per ghermirle, dardeggia velocemente la sua lingua rossiccia, assai larga, bifida, e munita di asperità appena sensi- bili, ma che bastano a trattenere la preda. Non c’è fanciullo che non sappia per esperienza che la coda della lucertola, di cui le molli vertebre possono staccarsi con agevolezza, è fragilissima, e resta fra le mani di chi vuole af- ferrarla. Talora questa coda si riproduce. Quando si cerca di prendere una lucertola sul muro, questa si lascia cadere in terra, e vi rimane un’istante immobile, prima di fuggire di nuovo. La lucertola può agevolmente addomesticarsi, e sembra com- piacersi a rimanere in schiavitù. Per la somma dolcezza della sua indole diviene familiare col suo padrone. Cerca di rendere le carezze che riceve; avvicina la sua bocca a quella di lui, gli sugge la scialiva in bocca con una grazia che molte persone non le permettono tanto impunemente. Menzioneremo due altre specie di lucertole: il Ramarro c la Lucertola occhiuta (fig. 15). Non v’ha nulla di più splendido, di più vago della livrea del Ramarro !. Vive nei luoghi poco alti, boscheggiati, ma ove il sole penetra liberamente; si trova pure nei prati. Si nutre d’inset- tini, non teme l’uomo, e si ferma per guardarlo. Invece ha ti- more dei serpenti, e quando non può scansarli, li combatte coraggiosamente. Non è lungo più di 40 centimetri. Il Ramarro s’ incontra nei paesi caldi di Europa, e sulle co- ste mediterranee dell’Africa. Non è raro nel mezzodì della Fran- cia ed in Italia. Quante volte non abbiamo ammirato gli splendidi colori del ramarro, che rivaleggia col verde dei prati, e brilla al sole come uno scrigno di splendidi smeraldi! 2 1 Fr., Lezard vert. 2 In Piemonte il Ramarro si chiama Aieul. I Milanesi lo chiamano Ghezz, i Veneti Martin cozz, i Bolognesi Ligoro, i Romagnoli Ragano, i Siciliani Vanuzzo. Esso manca del tutto in Sardegna. Tutti conoscono la terzina di Dante: Come il ramarro sotto la gran fersa Dei di canicular cangiando siepe Folgore pare che la via traversa. L’Ariosto ad imitazione dell’Alighieri cantava : Va con più fretta che non va il ramarro Quando il ciel arde a traversar la via. Il Pulci nel suo Morgante scrisse: « E Filiberta ha l’occhio del ra- marro », per dire, come spiega la Crusca, ha occhio bello, attrattivo, e che guarda volontieri l’uomo. (Nota del Trad.) 64 ORDINE DEI SAURII La Luceriola occhiuta* ha la parte superiore del corpo verde, variegata, punteggiata, reticolare o ocellata di nero. Sui fianchi le si osservano grandi macchie rotonde azzurre; la parte infe- riore del corpo è bianca, cangiante in verde; divien lunga fino a 43 centimetri. Si rinviene nel mezzodì della Francia, ed in Ispagna. Va ad allogarsi in una sabbia dura, spesso fra due strati di roccia calcare, e sopra un rapido pendìo esposto più o meno direttamente al mezzogiorno. Trovasi anche fra le ra- Fig. 15. Ramarro e Lucertola occhiuta. dici dei vecchi alberi, talora nelle siepi, e talora nei vigneti. Si nutre quasi esclusivamente di vermi e d’ insetti. Dicesi tuttavia che aggredisca i topi, i toporagni, le rane e anche i serpenti. Talvolta viene allevata in domesticità e si nutre con latte 2. i Fr., Lezard occelle. 2 Questa specie, che ha talora da trenta a quaranta centimetri di lun- chezza, ed è invero bellissima, in Italia è rara: si trova meno in- frequentemente nella riviera orientale della Liguria e nel Nizzardo. (Nota del Trad.) IGUANE 65 Iquane. — L’Iguana tubercolosa (fig. 16), che abita una gran parte dell'America meridionale, è la specie più nota di questa famiglia. Si riconosce agevolmente questo rettile per la enorme saccoccia che porta sotto il collo, e la cresta dentata che dal capo gli si allunga fino all’apice della coda. Questa, le zampe ed il corpo, sono ricoperti di piccole scaglie. Disopra, è di un colore più o meno azzurrognolo, talora è anche color ardesia, e disotto di un verde giallastro. Sui lati si scorgono come tante Fig. 16. Iguana tubercolosa. ruote a zig-zag, brune, orlate di giallo. La lunghezza totale del- l’animale è di 75 centimetri. L’Iguana! è d’indole dolcissima, e non cerca a far del male; si nutre solo d’insetti e di vegetali. Se ne fa eaccia in America, perchè la sua carne è eccellente. È comunissima specialmente a Surinam, nei dintorni di Cajenna e nel Brasile. Varani. — Nella famiglia dei Varani, faremo menzione del Basilisco e del Drago volante. Secondo gli autori dell'antichità, riprodotti dagli scrittori del 1 Fr., Iguane; ing., Thick-tongued lizard; ted , Leguan, FicuiER. Rettili, Anfibi, ecc. 9 66 ORDINE DEI SAURII medio evo, il Basilisco, sebbene di piccola mole, potrebbe pro- durre, colla sua puntura, una morte istantanea. L’uomo, il cui sguardo s’ incontrasse solo per caso nel suo, era ad un tratto, dicevano gli antichi, divorato da un fuoco interno. Queste sono le favole che la tradizione ci ha trasmesse sul conto di que- st'animale. Quello che oggi porta il suo nome, non è che un essere in- nocuo, che vive sotto gli alberi della Guiana, del Messico, della Martinica, ecc., e che salta di ramo in ramo, per cogliere i semi o afferrare gl’insetti di cui si nutre. Il Basilisco dal cappuccio (fig. 17) è lungo dai 70 agli 80 cen- timetri; la sua coda, compressa, è lunga tre volte quanto il corpo. Il capo è fornito sull’occipite di una sorta di corno, a mo’ di Fig. 17. Basilisco. cappuccio arrotondato all’apice, e un tantino inclinato sul collo. Il dorso e la coda hanno ordinariamente nei maschi una cresta rialzata, sostenuta nella sua spessezza dalle apofisi spinose delle vertebre. È di un bruno fulvo sopra e biancastro sotto. Il suo petto è ornato di striscie di un bruno piombo; e da ogni lato dell’ occhio domina una riga biancastra, orlata di nero, che va a perdersi nel dorso. Il Drago degli antichi autori greci era un serpente o una lu- certola, dalla vista acutissima che custodiva i tesori e divorava gli uomini, Il drago degli artisti del medio evo era una crea- tura spaventosa e strana, metà pipistrello, metà quadrupede e serpente. Il piccolo saurio che oggi porta il nome di Drago, seb- bene non sia un mostro, è nondimeno un essere curiosissimo. VARANI, GECKI 67 Si distingue da tutti gli altri rettili per certe ali che una larga ripiegatura della pelle forma da ogni lato del suo corpo. Que- ste ali sono al tutto indipendenti dalle membra, e vengono so- stenute dalle sei prime false coste, che non cingono l’addome, ma si estendono orizzontalmente *!. È oggi il solo esempio che esista di questa disposizione orga- nica che distingueva i rettili dei tempi geologici noti col nome di Pterodattili, e che appartengono all’epoca giurassica., Il Drago volante dei nostri giorni (fig. 18) adopera questo organo come un paracadute, che lo sostiene nell’aria, quando salta di ramo in ramo, ma non può farlo muovere, come l’uccello muove le Lù Su Fig. 18. Drago volante. ali. Queste curiose appendici gli servono anche per cacciare gl’ insetti. Gecki. — I Gecki ? son piccoli saurii, dal corpo tozzo, depresso, dalle gambe corte, dal ventre che si trascina in terra, e sforniti di cresta dorsale. La loro pelle, quasi sempre di color bruno, è coperta di scaglie granulose, piccole, eguali, frammiste di altre scaglie tubercolose. Hanno il capo largo, appiattito, la bocca grande, gli occhi sporgenti, appena circondati di corte palpebre. Le zampe, fornite sotto di lastre incastrate, che possono aderire solidamente sulla superficie dei corpi anche più levigati, per- mettono loro di correre rapidamente sopra tutti i piani e in 1 Ne esistono begli esemplari al Museo di Milano. (Nota del Trad.) 2 Lat., Platydactylus; ted., Fichenfinger. 68 ORDINE DEI SAURII tutti i versi. Per lo più le loro unghie adunche e retrattili, co- me quelle dei gatti, forniscono loro il mezzo di arrampicarsi lungo gli alberi, di scalare le roccie e i muri a picco, e rima- nervi immobili per lunghe ore. Il loro corpo flessibile si piega nelle depressioni della superficie, non formandovi quasi nessuna sporgenza, e sovente confondendovisi con quella pel suo colore. La loro pupilla che si dilata e si contrae, permette loro di ri- pararsi dall’azione dei raggi del sole, e fa sì che'veggono anche al buio. I Gecki mandan suoni che rammentano il rumore che fa un palafreniere quando, per accarezzare il suo cavallo, fa scoppiet- tare la lingua contro il palato. Cercano i luoghi abitati ove tro- vano il loro nutrimento. Son timidi, innocui, incapaci di nuo- cere mordendo o colle unghie; ma il loro ributtante aspetto inspira orrore o ribrezzo, ed a torto fa loro attribuire facoltà nocevoli. Quindi si cerca di distruggerli con ogni mezzo pos- sibile. Si riconoscono circa 60 specie di Gecki sparse nelle calde re- gioni del globo. Il Gecko di muro (fig. 19), color grigio polvere nella parte su- periore del corpo, e biancastro sotto, abita le isole del Mediter- raneo, come pure i paesi che formano il bacino di questo mare, ossia una parte dell’Italia, della Francia, della Spagna, dell’A- frica, ecc. Rimane per solito nei vecchi muri; si vede nondi- CAMALEONTI 69 meno correre su-quelli delle case. Si nutre d’ogni sorta d’in- setti, e in particolare di ditteri e di aracnidi 4. Camaleonti. — Certe metafore senza fondamento, ma bene im- presse nella mente del volgo, hanno alterato singolarmente l’idea che si deve concepire di questo rettile. Si crede per so- lito che il camaleonte muti spesso forma, che non abbia colore suo proprio, ma prenda quello degli oggetti cui passa vicino. Questa singolare idea ci viene dagli antichi, che avevano fatto del camaleonte un animale invero fantastico. Per uno di quei paragoni che sono famigliari alla letteratura, questo essere fa- voloso d’ allora in poi ha servito di tipo, per indicare l’ inco- stanza morale, per dipingere quegli uomini vili e striscianti i quali, senza carattere e senza individualità, sanno piegarsi in tutti i modi e prendere tutte le opinioni. Togliendo al camaleonte tutti gli attributi immaginari di cui la fantasia degli antichi lo ha rivestito, e dipingendolo tal quale è, riman sempre un curiosissimo animale degno di fermare l’attenzione dei naturalisti, tanto perla singolare conformazione delle varie parti del suo corpo, come per le sue abitudini, ed anche per alcune particolari proprietà, che hanno potuto accre- ditare sul conto suo gli errori ed i pregiudizi del volgo. I camaleonti hanno il corpo compresso, il dorso sporgente e la pelle granulosa. Il loro capo angoloso, coll’occipite sporgente, è sostenuto da un collo grosso e corto. Le zampe sono sottili ed alte; la coda prensile ed arrotondata. Dati i suoi principali connotati, studieremo ora talune parti- colarità organiche più spiccate di questo animale. I suoi occhi son molto grossi e molto sporgenti. Il globo è coperto da una sola palpebra, che l’animale può dilatare 0 chiudere a volontà, ma che non lascia libero che un piccolo foro nel centro, attraverso il quale si scorge una pupilla vivace e brillante. Il camaleonte dunque ha l’occhio veramente ravvolto, come se in esso quest’organo fosse tanto dilicato che una luce troppo splendida potesse offenderlo. Ma ciò non è tutto: i suoi occhi 1 Questo piccolo Saurio, invero comune nelle regioni d'Italia bagnate dal Mediterraneo, in qualche parte viene chiamato Tarantola , in altre Scorpione, e corrono strani pregiudizi intorno alla sua nocevolezza, mentre invece è animaletto innocentissimo, anzi u ile per la distruzione che fa d'insettucci molesti. Il disegno che se ne dà qui è tutvaltro che fedele. (Nota del Trad.) 70 ORDINE DEI SAURII hanno una mobilità singolare. Mercè disposizioni muscolari spe- ciali, possono essere diretti insieme o separatamente, verso punti differenti. Talora l’animale volge gli occhi per modo, che uno guarda all’ indiero e l’altro innanzi. Con un occhio può vedere gli oggetti collocati sopra di sè, mentre coll’altro scorge quelli che stan sotto. Del Camaleonte si può ben dire che ha un oc- chio che guarda in Francia e l’altro in Spagna. Anche la sua lingua offre una disposizione non meno note- vole. È rotonda, lunga da cinque a sei pollici, e termina con un’appendice carnosa, e in certo modo vischiosa, mercè la quale il camaleonte aggredisce gl’ insetti, e li attira nelle sue fauci. Le zampe presentano cinque dita, lunghissime, quasi uguali, e fornite di unghie forti e adunche. Ma la pelle delle gambe si estende fino alla estremità di queste dita e le riunisce in un modo anche particolare. Non solo questa pelle riunisce fra loro le dita, ma le involge anche e ne forma due involtini, uno di tre dita, l’altro di due. Da questa conformazione si deve presumere che esiste una grandissima differenza fra i costumi dei camaleonti e quelli delle lucertole. Questi due involtini di dita allungate, sono messi per modo che possono agevolmente afferrare i rami sui quali l’animale suole appollaiarsi. Afferra i rami, tenendo un invol- tino di dita davanti, e l’altro dietro, come fanno i picchi, i cu- culi ed i pappagalli, e avendo due dita davanti e due dietro. Quindi i camaleonti si trovano in posizione migliore di equi- librio sugli alberi che non sul terreno. Perciò si veggono più sovente in quella loro dimora aerea. Del resto, la loro lunga coda, forte e prensile, serve loro da quinto membro. La ripie- gano come fanno le scintmie. La ravvolgono sui ramoscelli, e se ne servono per non cadere dagli alberi. Nondimeno per andare da un ramo all’altro si muovono con molta lentezza. La loro an- datura diviene ancor più stentata quando stanno sopra una superficie piana. Procedono solo a tastoni, posano le zampe sulla terra, una dopo l’altra, con grandi precauzioni, ed esplo- rano pure il terreno, aiutandosi colla coda. Mentre cammina, l’animale ha una certa gravità che contrasta colla sua piccola mole, e l’agilità di cui si supporrebbe fornito. Anche quando sta sopra un albero, i suoi movimenti son tanto lenti e impacciati che si potrebbe credere metterci esso una certa affettazione. È vero per altro che la disposizione degli occhi e i moti rapidi della lin- gua gli danno tutta l’agilità necessaria per trovarsi il cibo. Da lontano e in tutte le direzioni scorge la sua preda e i suoi ne- mici. Evita agevolmente questi ultimi, e quanto alla preda, la CAMALEONTI Val ghermisce rapidamente mercè la sua lingua vischiosa, che può allungare ad una distanza talvolta superiore alla lunghezza del SUO Corpo. La pelle, nei camaleonti, non aderisce ovunque ai muscoli. Vi si trovano spazi liberi, nei quali penetra l’aria, che la gonfiato e la sollevano. Questo meccanismo è volontario nel camaleonte, che può gonfiarsi notevolmente e ad un tratto, poi sgonfiarsi. Quando questa grossa vescica viva si è in tal modo vuotata, l’animale non rassomiglia più che ad un sacco di pelle nel quale ballano poche ossa. I camaleonti possono variare molto il loro colore, vale a dire essere talora bianchi, talora giallastri, altre volte verdi, rossicci ed anche neri, sia in tutto il corpo, sia solo in alcune parti. Per un pezzo questi mutamenti di colore furono attribuiti alla disterisione più o meno grande dei vasti polmoni di quest’ani- male, ed a modificazioni corrispondenti nella quantità di sangue mandata alla pelle. Ma oggi questa spiegazione è abbandonata. Secondo il signor Milne Edwards, le cagioni di queste varia- zioni di colore dipendono dal modo particolare della struttura della pelle del camaleonte. « In questa membrana, dice il signor Milne Edwards, trovansi varie materie coloranti, di cui aleune possono talora venire alla superficie e celare in certo modo le altre, mentre altre volte possono allogarsi sotto e nascondersi sotto il tegumento superficiale. » Si conoscono varie specie di camaleonti. Il tipo è il cama- leonte comune (fig. 20), che presenta due varietà: una dell’A- frica settentrionale, della Sicilia e del mezzodì della Spagna; l’altra particolare alle Indie orientali ed a Pondichery 4. Molto si è disputato sull’ etimologia dei 'greco vocabolo Ca- maleonte 2. Pretendono alcuni che esso significhi piccolo leone; altri sostengono che voglia dire camello-leone, e tutti spendono in appoggio della propria sentenza parole più o meno ingegnose. Noi non ci daremo gran pensiero di ciò, e invece di intratte- ! Molti esemplari di Camaleonte si conservano al Museo di Milano. Sono da essi rappresentate pressochè tutte le specie di questo genere. ; (Nota del Trad.) 2 Sebbene il signor Figuier abbia trattato del Camaleonte un po’ più ‘ estesamente di quello che ha fatto per altri Sauri, parecchie particolarità importanti intorno ad esso ha lasciate in disparte, od appena accennate. Perciò crediamo bene riferire quello che ne ha detto il Gené nella sua Storia naturale degli animali. (Nota del Trad.) (02 ORDINE DEI SAURII nerci ad indagare le origini del nome, entreremo senz'altro in maggiori particolarità circa la costruttura degli animali cui viene applicato. E qui avverto che tutto quanto sono per dire si riferisce quasi esclusivamente al Camaleonte comune di Barberia e di Spagna; nè fo questa avvertenza, perchè le altre specie che in numero di tredici compongono oggidì questo genere, abbiano forme od abitudini diverse; chè anzi si somigliano tutte grandemente sotto ogni rispetto fra loro; lo fo soltanto, perchè in realtà le mag- giori osservazioni che si abbiano sulla struttura e sulle abitu- dini di questi animali, vennero fornite dalla specie anzidetta, siccome quella che abitando in una contrada d’ Europa o ai limiti di essa, frequentemente fu veduta viva ed operante dagli studiosi delle cose naturali. La seconda avvertenza poi, che pia- cemi fare, riguarda la fonte da cui trassi la più gran parte delle notizie che sto per esporre. Io ho posseduto parecchi cama- leonti vivi; ma erano già malaticci quando li ricevetti nè tarda- rono guari a morire. Costretto quindi a riferirmi alle narrazioni d’altri naturalisti, non istetti dubbioso sulla scelta. Io mi appi- gliai all’ italiano Vallisnieri, il quale, sebben morto da un se- colo alla società, vive tuttora e vivrà sempre giovane nelle sue opere, perchè sono opere di candore e di verità. Solo mi dipartirò dal Vallisnieri in riguardo ad alcuni fatti fisiologici, sui quali egli non potè emettere che semplici con- getture, e che paiono aver ricevuto più plausibile spiegazione dai recenti progressi della scienza. Il capo dei camaleonti è lungo e grosso a proporzione, e di una struttura assai differente da quella degli altri rettili. Sulla parte posteriore s’innalza un alto cappuccio osseo coperto della pelle comune, terminante come in un triangolo ottuso, il quale s’avanza in fuori sopra la col- lottola a guisa di gronda che la ricopre, d’onde gira co’ suoi lembi, e passa ad unirsi colla mascella inferiore. La fronte è molto bassa e come affossata nel mezzo con due ossa laterali, che verso la parte superiore s’ innalzano a modo d’argine e poi s’incurvano attorno l’occhio per formargli la cassa, ossia l’or- bita. Il mezzo viene ad essere di figura ottusa e smussata, ar- mato nelle parti destra e sinistra da un rialzo o da una emi- nenza delle due ossa della fronte, le quali lateralmente discen- dono verso la punta, e vengono a formare un canaletto alla foggia di un embrice rovesciato o di una doccia che porta l’acqua cadente sul capo dentro il labbro inferiore, alquanto sporto infuora, e serve per abbeverarli, come diremo fra poco, non senza provvido consiglio della natura. CAMALEONTE 79 Ha il camaleonte due occhi veramente singolari e degni di ogni più attenta osservazione, e li volge per ogni parte a sua libera voglia, senza che l’uno seguai movimenti dell’altro. Egli non è obbligato di voltarli ambedue da un canto o dall’altro, come facciamo noi e tutti gli animali che hanno gii occhi mo- bili; ma è proprio e singolar pregio di questo rettile smuoverne uno non movendo l’altro; cioè guardando coll’ uno in basso, e coll’altro in alto o con l’uno gli oggetti dietro alle spalle, e coll’altro quelli che sono avanti a lui. Li muove con indicibile velocità, compensando con questi e colla lingua alla: pigrezza del corpo. Codesti occhi rotondi e sporgenti in fuori sono co- perti da una sola palpebra, che è ‘una continuazione della pelle Fig. 20. Camaleonte. del corpo, di cui conserva l’aspetto e la tessitura; nel mezzo poi di questa palpebra, apresi una tonda e piccola finestrella la quale lascia scorgere una lucidissima e nera pupilla, cinta all’ intorno da una fascia di color brillante, parendo per ap- punto una gioia legata da un cerchietto d’oro. Vallisnieri ha pur anco osservato, che qualche volta tanto riportano e ritirano la pupilla verso l’angolo interno, o verso l’esterno dell’orbita, da nasconderla affatto col suo cerchietto d’oro lucente; un giorno ne credette uno accecato, quando ad un tratto girando l’occhio la pupilla apparve e dissipò i suoi timori. Poco sopra la bocca, fra gli occhi e le labbra apronsi i fori del naso: ma ai lati del corpo non solo non si veggono i fori, ma nemmeno alcuno indizio di timpani. I naturalisti anteriori FiguieR. Rettili, Anfibi, ecc. 10 74 ORDINE DEI SAURII e contemporanei del Vallisnieri ne inferivano, che essendo privo di meati uditorii, il camaleonte doveva esser sordo, e che es- sendo sordo, doveva anche esser muto: ma il dotto Padovano avvertì con una perspicacia che lo onora, aprirsi le orecchie di questo animale dentro la bocca e la sensazione dei suoni eccitarvisi, comunque debolmente, pei moti dell’aria, che ad esse perviene sia per bocca quando è aperta, sia per le narici quando è chiusa. Contro quella pretesa afonia poi, egli assicura d’averlo udito non solamente mandar fuori un rozzo fischio, ma ben an- che, quantunque rarissime volte, stridere quasi a modo dei pi- pistrelli. I camaleonti hanno uno squarcio di bocca molto largo, arri- vando il suo taglio al di là degli occhi. Ordinariamente la ten- gon chiusa; qualche volta però l’aprono, come sbadigliando, qualche volta boccheggiano a guisa de’ pesci, come ansimando; onde si può capire come Plinio scrivesse che stanno hianti sem- per ore, quando non ne avesse veduto qualcheduno di morto, che suole per ordinario farsi seccare colla bocca aperta. Nello stato di riposo, le mascelle si combaciano e quasi s’incastrano così esattamente quella di sopra con quella di sotto che a mala pena se ne può discernere l’ unione. Dal mento pende una gran borsa, che va a terminare sull’orlo del petto, la quale i camaleonti ora allargano, ora stringono a loro pia- cimento. Dietro questa tengono increspata non solo la tromba o il tubo lanciatore della loro lingua, ma quasi tutta la lingua medesima che viene a metter capo in bocca. Questa borsa ora sì vede sospinta all'infuori, ora spianata e qualche volta incas- sata all’ indietro, secondochè ritirano e nascondono la lingua. Sulla linea di mezzo ha una serie di acute appendici, di ma- niera che, quando la sporgono in fuori, pare dentata. Il dorso è assai curvato in arco, e la pelle che lo copre è tutta quanta tempestata minutissimamente di piccoli grani o eminenze cornee, più o meno alte sopra il suo piano. Il corpo ora si gonfia tutto e pare pinguissimo, ora si restringe, s’in- erespa, e pare uno scheletro. Quello poi che fa strabiliare si è che anche i piedi e la coda seguono cotali vicende; e l’animale che sta tumidissimo parecchie ore, senza che si vegga segno alcuno di respirazione, sta altresì, se gli pare, ristretto come una foglia o come una lama di coltello senza neppur battere un fiato di respiro. Della quale stranezza darò più tardi la spiega- zione sulle orme del Vallisnieri. Le quattro zampe del camaleonte hanno la loro giuntura alla metà circa della lunghezza, come hanno le nostre braccia, e CAMALEONTI To) sono corredate all’apice di una mano, che ha cinque dita mu- nite di unghie curve, dure e acutissime. Sono le dita congiunte per mezzo di una forte pelle duplicata, con questa bella legge, che sono legate a tre a tre, e a due a due, cioè le zampe ante- riori hanno tre dita unite che guardano all’ indentro e due al- l’infuori, e le posteriori tre unite all’ infuori e due all’ indentro. Le coscie e le gambe sono assai più lunghe e men lateralmente articolate col tronco ehe in ogni altro rettile conosciuto: perciò il camaleonte è il solo animale di questa classe, che cammi- nando non trascini il ventre contro il suolo. È pigrissimo al moto, più pigro delle testuggini, e quando vuol partirsi da un luogo all’altro, fa ridere chi ha la pazienza di osservarlo. Alza prima pian piano il piede destro anteriore, e prima di por- tarlo avanti lo tiene, irresoluto e pensoso, per qualche tempo sospeso in aria: di poi avanza lentissimamente il posteriore, indi il sinistro anteriore, e finalmente il posteriore destro, e tutto fa con sì sgraziata svenevolezza, che allora pare il più stolido e il più goffo animale del mondo. Talvolta poi si pone in iscorci e in posizioni curiosissime e affatto grottesche. Per esempio, il Vallisnieri uno un giorno ne vide che, chiuso in una gabbia, teneva uno dei piedi posteriori sull’orlo dell’abbeve- ratoio, l’altro lungi per quanto potea arrivare, sopra un le- gnetto che s’attraversava alla gabbia, la coda avviticchiata da un lato dell’ una delle gretole, e i due piedi anteriori molto larghi fra loro, appiccati alla volta. E in queste strane e biz- zarre e che ad altri sarebbero violente e sforzate positure, i camaleonti stanno pazientemente parecchie ore, senza muover altro che i non mai stanchi lor occhi. Anzi accade più volte che in siti così incomodi e straordinarii placidamente dormono quasi attoniti o catalettici fino al giorno seguente. La loro eoda è lunga quanto tutto l’animale e di questa si servono molto, per assicurarsi nei precipizii e in ogni loro occasione, dalle ca- dute; di maniera che quando l’ hanno ben bene avvolticchiata a qualche ramo o a qualche chiodo, è più facile lo schiantarnela o romperla che il distaccarnela. Ma è tempo che discorriamo di una favola, della quale i poeti non potevano già sognarsene una più favolosa, nè i ciarlatani una più scherzevole e gioconda; eppure essa si guadagnò per molti secoli l’applauso e tutto il credito più fermo e solenne, che possa avere una veridica storia, nè solamente nel volgo, ma nell'animo dei minori e dei maggiori letterati del mondo. Plinio, sempre innamorato delle cose grandi e strane, ha scritto che il camaleonte è il solo animale che non si pasca di cibo, 76 ORDINE DEI SAURII nè di bevanda, e che non viva che d’aria. E tutti i poeti non solo, ma infiniti storici hanno inghiottita questa, che il Val- lisnieri chiama pliniana carota, e gli stessi moralisti hanno da ciò cavato un amplissimo campo di flagellare i vanagloriosi e superbi. Nè valse che molti e molti dopo Plinio abbian gridato e fatto toccare con mano che il camaleonte mangia: quella frot- tola ancora si legge in libri veneratissimi. Tanto godono e si compiacciono certi uomini, avvezzi a lavorare sempre o quasi sempre sul falso, di questo bellissimo inganno che fa cento volte loro a proposito, e perciò non vogliono vederlo scoperto e smentito. L’organo col quale il camaleonte piglia gli insetti, giacchè d’ insetti e non d’aria si pasce, è la lingua, e codesta lingua per la sua struttura, per la lunghezza sua, e per la ve- locità con cui opera, è veramente una solenne meraviglia. La sua forma varia moltissimo, secondochè giace inoperosa nella bocca e secondochè ne è lanciata fuori. Nel primo caso altro non si scorge fra l’una e l’altra branca della mascella inferiore che una massa carnosa e viscida, ma se di forza o per volon- tario impulso dell'animale venga tratta fuori, si vede che è più lunga dell’intero corpo dell'animale medesimo e composta: 4.° di una parte anteriore formante un grosso bitorzolo, scavato nel mezzo a forma d’imbuto o di campana; 2.° di una porzione media che somiglia ad un intestino vuoto, e che diffatti è un tubo a pareti membranose; 3.° finalmente di una base carnosa avvolta intorno a uno stile dell’osso ioide.Il bitorzolo terminale è la sola e vera lingua, ed è quella che tocca ed impiglia gli insetti col viscidume di cui è sempre spalmato; la seconda parte, ossia il tubo membranoso, anzichè lingua, dee dirsi l’or- gano lanciatore della lingua, e nello stato di riposo, piegasi di traverso un sì gran numero di volte, che finisce per apparire della pura e semplice lunghezza del bitorzolo. I camaleonti scoccano questa lingua colla velocità di una saetta contro la preda, che subito presa, ritirano in un batter d'occhio dentro le fauci. Senza muovere tutta la mole del corpo, girano solamente, se occorre, qualche poco lentissimamente il capo, guardano sempre fissamente il destinato insetto, e quando lo co- noscono a tiro della lor lingua, improvvisamente la scagliano, e tiratolo in bocca ghiottamente se ‘lo trangugiano. Sono il loro cibo favorito farfalle di ogni maniera, mosche, locuste, e sopra- tutto quelle tarme che annidano nella crusca e che tanto piac- ciono anche ai rosignuoli. Si dilettano pure di divorare lucer- tole piccole, lanciando sempre la lingua al capo, come fanno agli altri insetti più grossi, e ciò per subito stringerli ed ucci- CAMALEONTI TTh derli, o almeno sbalordirli, acciocchè non fuggano. Si sa che i ramarri grandi mangiano i ramarri piccoli, e le lucertole mag- giori le minori, come i pesci grossi i minuti, e tutti li pigliano per il capo, danno loro la stretta, aspettano per lo più tanto che non si smuovano e sbattano, e poi gli ingozzano. Così è a cre- dersi che i camaleonti mangierebbero anch'essi altri camaleon- tini, se loro si parassero davanti reggendo nel mondo questa legge inviolabile che uno viva dell’altro, e nei bruti e negli in- setti, che vivono insino d’altri animali della loro specie mede- sima. Ma comunque sia di ciò, il Vallisnieri ha osservato che ì camaleonti mai non cominciano andar a caccia del cibo, fin- tantochè la loro fredda pelle, a giudizio del tatto, non sia ben riscaldata dal sole, e che i suoi liquidi siano in moto maggiore; quindi è che nei giorni nuvolosi o piovosi nei quali la loro cute si sente sempre attualmente fredda, non mangiano stando così digiuni otto o dieci giorni senza punto patire. È pur degna di sapersi la loro estrema delicatezza nel cibo, mentre non ti- rano mai la lingua agli insetti morti, ma gli vogliono veder vivi e semoventi. E qui mi sia lecito intercalare una considerazione che a ta- luni non parrà molto nobile, ma che non cesserà per questo d’essere riguardata siccome una prova parlante della pazzia di coloro che un tempo sostenevano a spada tratta che i cama- leonti non si pascessero che d’aria. Gli alimenti di questi ani- mali essendo solidi, ne viene che ne sono pur solidi gli escre- menti: e infatti sono grossetti come una penna da scrivere e lunghi un buon traverso di dito. Ciò era noto a’ nostri buoni vecchi, ma credete voi che da questa notizia traessero argomento di cambiare la loro opinione sulla natura del cibo del cama- leonte? No, miei signori, essi continuavano a dire e a credere che viveva di sola aria, e quindi si logoravano in un modo com- passionevole il cervello nello indagare come mai l’aria si con- densasse in materie sì solide passando pel corpo di questo ani- male. Il meno che si possa dire di tanta ostinazione si è che quando la mente non vuol vedere gli occhi del corpo non vedono. E i camaleonti non solamente mangiano, ma bevono ancora. La natura non ha fatto indarno a questi animali il capo sca- vato e che viene verso la bocca con due margini laterali a fog- gia d’embrice o di canale esterno, terminato sulle labbra infe- riori, le quali sono alquanto più larghe delle superiori. L’ ha fatto a bello studio, perchè vivendo essi in luoghi aridi e ne’ deserti, potessero avere il capo in maniera, che la rugiada 78 ORDINE DEI SAURII e le pioggie cadenti potessero unirsi come ad un rivoletto scor- rente giù per la fronte sino alle labbra; e così incanalato en- trassero fra quelle e li abbeverassero. Questa bella scoperta appartiene al Vallisnieri: ma essa giacque dimenticata o non creduta dall'anno 1814, in cui fu divulgata colle stampe, fino al 1841: del che mi fa prova il tomo terzo delia grande opera erpetologica dei signori Dumeril e Bibron, il quale, pubblicato or sono pochissimi anni, tratta prolissamente d’ogni cosa che a questo genere d’animali s’appartiene, ma tace affatto di questo special modo di bevere. Chi venne a far rivivere e a confer- mare le osservazioni del nostro diligentissimo autore, senza co- noscerle, fu il signor Barthelemy, egregio direttore del museo di Marsiglia. Possessore di un camaleonte semi-domestico, che ei lasciava liberamente vagare in un giardino, lo vide, un di che pioveva, appostato e immobile sotto alle foglie d’ una pianta da tabacco, in modo di ricevere sul capo l’acqua che da quelle sgocciolava, la quale scendendo pei solchi laterali del capo me- desimo, entrava nella bocca dell'animale, che senza interruzione la inghiottiva. Questo fatto narrava il francese naturalista alla sezione zoologica del congresso tenuto dai dotti italiani a Firenze, e di esso è fatto menzione negli atti che se ne pubblicarono nell’anno seguente. Ma se riman provato il curioso modo di bere dei camaleonti stato primamente annunziato dal Vallisnieri, non è da credersi che bevano sempre in questo modo. Secondo che egli stesso avverte, gettano la lingua anche alle gocciole deil’acqua e della rugiada che veggono pendenti dal lembo delle foglie, e qualche volta le prendono anche sopra le foglie me- desime, quando le vedono ritondate, come in lucidissime perle, nella maniera appunto che sopra le foglie dei cavoli si os- serva. Quanto i camaleonti son lesti nel trangugiare gl’ insetti e gli altri animalucci che pigliano, altrettanto sono lenti nell’ in- goiare l’acqua che nell’ uno o nell’altro modo sorbiscono. In- frappongono un certo spazio di tempo tra un sorso e l’altro ed è facile il soffocarli, anzi facilmente si soffocano se si costrin- gono ad accogliere più d’ una goccia d’acqua per volta. Il che dipende con ogni probabilità dal non aver essi l’epiglottide e quel cerchietto della laringe che in tanti altri animali impedi- sce agli alimenti e alle bevande di penetrare nella trachea e di recarvi la morte. Da ultimo è da notarsi che questi rettili sono tanto goffi, 0 dirò meglio tanto schiavi dell’ istinto, che si lascierebbero mo- rire di sete, anzichè bevere a un abbeveratoio, in cui l’acqua CAMALEONTI 79 stia in massa ed immobile. Se non è in goccie cadenti 0 so- spese, l’acqua deve almeno scorrere in rivoletti, perchè sia cre- duta acqua, e allora soltanto l’assorbiscono e la ingozzano, al- zando il capo a guisa delle galline. Così dunque quasi senza volerlo e unicamente condotti dalla necessità di descrivere l’organizzazione e le abitudini del cama- leonte, abbiamo rovesciata la quanto pazza altrettanto antica opinione, che egli si pasca unicamente d’aria. Ma’ un’altra e non meno celebre chimera avevano in capo gli antichi ed ha il volgo moderno sui colori di questo animale. Sulla fede di Plinio, dagli antichi, e sulla fede degli antichi, dal volgo mo- derno si è creduto e si crede che il Camaleonte cangi il colore pigliando quello dei corpi che gli stanno d’attorno o sui quali sì porta. Quindi i poeti, gli oratori e i naturalisti a darsi nuovo e bel giuoco su codesta natura versatile ed a prestito, e mali- gnamente proverbiando chiaman Camaleonti quegli uomini, che per piacere ai potenti condannano oggi ciò che lodavano ieri.... Ma per quanto possa parere scortesia lo attentare a una cre- denza che torna sì comoda per esprimere molti vizii e molte passioni, la filosofia comanda di distruggerla o di abbandonarla, perchè erronea, e l’errore, qualunque egli siasi, disdice sempre, come all’ umana dignità, così anche all’umano linguaggio. Il Camaleonte cambia spesse volte i colori, ed è questa una fisica verità che non ammette dubbio di sorte; ma è falso, anzi falsissimo, che egli li riceva dai corpi che lo circondano o su cui posa. Il Vallisnieri, il quale ebbe vivi ed osservò in varii anni consecutivi, più camaleonti che forse non ne abbiano os- servati tutti insieme i naturalisti a lui posteriori, ci dirà come le cose procedono anche in questo particolare, che è fuor di dubbio curiosissimo. Allo imbrunire del giorno questi animali sono bianco pallidi, leggiadramente segnati di un color d’oro smaltato. Nel dormire che fanno, chiudono affatto gli occhi, e quetamente riposano sino alla mattina vegnente, se sia illustrata dal sole; ma se | torbida e nuvolosa, tirano avanti il sonno, o almeno quella pla- cida quiete per molti giorni, mantenendo sempre i descritti co- lori. E il loro capo in varie striscielle glialle come diviso o li- stato, e le liste della parte destra e sinistra vanno, a guisa di linee, a terminar tutte verso il centro dell’occhio, il quale, te- nuto chiuso, apparisce come una stella, ornata di raggi che quanto più si allontanano dal centro, tanto più si dilatano, e in loro stessi e fra loro. Dal principio del dorso sino alla radice della coda hanno già er lo traverso sei larghe liste del colore sud- 80 ORDINE DEI SAURII detto, egualmente fra sè distanti. Dove le coste incominciano a curvarsi in arco sopra il ventre, si vede una lunga fascia bianca, che principia dal collo, e va a perdersi di vista nella base della coda, sotto la quale torna ad apparire una gran macchia bianca, per ogni parte gentilmente, per così dire, sfumata. La parte de- stra e sinistra del ventre è tutta scaccata a macchie gialle, nel- l’inferior curvatura del quale v'è un’altra striscia bianca, si- mile alla menzionata. Tutte le gambe ed anche la coda sono cinte per lo traverso dei colori descritti, sicchè paiono ornati d’ un considerevole numero di anella. Immersi nel sonno man- tengono inalterabilmente questi colori, e a nulla vale che siano circondati da panni bianchi o neri, gialli o turchini, rossi 0 verdi. Rischiarati dal mattino e tocchi, per così dire, dal sole, incominciano subito ma a poco a poco ad ispogliarsi dei colori descritti, divenendo oscuri e tetri, essendo veramente una stra- vaganza curiosa come questi animali nelle tenebre divengano in gran parte bianchi e nella luce neri. Le prime parti che acquistano il colore oscuro sono gli occhi, indi il muso, poi le linee bianche laterali lungo il ventre, di poi le striscie gialle, e finalmente tutto il restante del corpo si va pian piano cari- cando di scuro, sino a tanto che tutto il bianco e tutto il giallo smarrisca, eccettuata la candida linea, ehe è iungo il ventre, la quale non annerisce, ma acquista solamente un certo squallido color di cenere. Aristotile aveva scritto che il camaleonte mutat colorem inflans: ma il Vallisnieri vide ciò essere falso, perocchè lo muta ora gonfio e tondo come un grossissimo rospo, ora viscido e schiac- ciato come un pesce sfoglia. Le macchie, le striscie e le fascie vanno e ritornano, ma sempre nello stesso stessissimo luogo; il che significa che non nascono casualmente in ogni sito, ma solamente in certi luoghi, determinati da una particolare strut- tura della pelle. Oltre al bianco, al giallo, e allo scuro i cama- leonti pigliano anche un bel color verde in primavera ed in estate. Tutte poi codeste tinte si succedono con rapidità, sfu- mano o diventano intense pel brusco effetto del caldo o del freddo, dell’ umido o del secco, dell’aspro o del molle, per lo in- collerirsi o pel quetarsi dell’animale, e per simili altre affezioni o moti interni od esterni. Manca ancora alla scienza una soddisfacente spiegazione di questo fenomeno. Il Vallisnieri lo ripeteva da una particolare tessitura della pelle e dalla copia maggiore o minore dei fluidi, che ad essa si portano in forza delle varie affezioni che commovono l’animale, Così egli diceva : veggiamo nel nudo e tubercoluto collo MATTEOTTI vi. fi) M;f }afik- (If Beit | A | i f FiGuieR. Rettili, Anfibi, ecc. Il Fig. 24. L'Alligatore e l'Inglese, che fugge descrivendo un circolo, CAMALEONTI 83 del pollo d’ India, succedersi molti vaghi e vivacissimi colori, se s’infuria o s'innamora, se si agita o si spaventa, se ha freddo o caldo, ecc. Così impallidiscono o arrossano la cresta e le pendule protuberanze del mento della gallina e del gallo do- mestico : e così finalmente nella faccia stessa e forse nel corpo tutto degli uomini, se andassero nudi, ma più in quello dei de- licati e paurosi fanciulli o delle modeste donne si leggerebbero, come nel loro volto particolarmente si leggono, i vivi caratteri delle passioni, giacchè mutano colore, benchè non in modo così sensibilmente osservabile, nè cotanto vario come i camaleonti. Questa spiegazione o quest’opinione del nostro vecchio concit- tadino, che non si scosta gran fatto da quelle che vennero più tardi messe fuori da Goddard, da Perrault, da Hasselquist e da Lacépède, ha un gran merito di semplicità, ma non risponde alle esigenze della fisiologia e dell’ottica: quindi è che Giorgio Cuvier, Vrolick, Houstan, Spittal, Vander Hoéven, Milne-Ed- «—wards, ed altri fra i più celebri scrittori, si rivolsero a cercar la causa del fatto, ora nella modificazione della respirazione, ora nell’ azione simultanea della respirazione e della circola- zione polmonare, ora finalmente nella impressionabilità e nella mobilità di certi strati, che si credette riconoscere nel pigmento sottocutaneo di questi animali. Ma la questione è ancora sub judice, e nello stato in cui trovasi, essa è troppo ardua e com- plicata, perchè possa essere con qualche utilità in questo luogo più a lungo discussa. Discorriamo invece della maniera con cui depongono le uova, con qual arte le nascondono e le ricoprono, quante ne fanno, come nascono, e quanto tempo debbono! stare nel nido per na- scere e svilupparsi. Ai 28 di settembre del 1714 il Vallisnieri ricevette dalla Bar- beria, per la via di Livorno, una camaleontessa di corpo ster- minatamente gonfio, ch’ei pose subito in un piccolo serraglietto, fatto in forma d’uccelliera in un suo giardino, in un luogo esposto a mezzogiorno, con vere verdure, acqua continuamente cadente, arena e pagliuzze e vasi aperti con vive tarme ed altri varii insetti a bella posta prigionieri, ad esca del nuovo ospite africano. Osservò un giorno che mai non istava ferma e con tutta la sua melensaggine e naturale pigrezza s’andava lunga- mente aggirando per terra, nè trovava quiete; quando si piantò in un angolo, dove non era nè arena nè polvere, e colà inco- minciò a ruzzolare colle zampe davanti, per avervi una buca. Essendo il terreno duro, vi lavorò due giorni indefessamente, allargando la buca in una fossetta assai capace, cioè larga quat- 84 ORDINE DEI SAURII tro buone dita traverse e fonda sei, nel fondo della quale ada- giatasi vi partorì le sue uova, che furono trenta di numero! Queste tutte con somma diligenza coprì colla già cavata terra servendosi a questo lavoro delle sole zampe di dietro, come fanno i gatti, quando nascondono e coprono le loro sozzure. Non contenta della cavata terra vi rammassò e ammonticellò delle foglie secche, della paglia e degli stecchetti, avendovi in- nalzato sopra una collinetta di copertura. Nel tempo del gran lavoro non mangiò mai, nè bevette: restò languida e floscia, divenne magra e smunta, nè si riebbe se non dopo molto tempo di nutrizione. Le uova delle Camaleontesse, che qualche volta vanno fino al numero di 40, somigliano per la forma a quelle delle lucertole e de' ramarri, cioè sono ovali e bianche. La loro corteccia è assai forte, ma arrendevole e membranacea, non fragile nè stritolabile, come quella degli uccelli, ed hanno pochissimo albume o pochissima chiara. Quelle che furono all’autor nostro partorite dalle molte femmine, che ricevette dall'Africa, morirono per la maggior parte o seccarono, e quelle poche nelle quali i piccoli camaleonti eransi formati felicemente, non si apersero mai: il che vuol dire che il dolce clima d’Italia centrale è clima rigido, e inop- portuno per loro. In Africa, ove i calori sono continuati e co- centi, l’ uscita dei camaleonti succede regolarmente in prima- vera, e coincide con quella delle giovani lucertole, e dei ser- penti. L’Africa intanto è la patria principale dei rettili di questa fa- miglia, e le quattordici specie, che ai nostri giorni se ne co- noscono, abitano tutte codesta parte del mondo, e le isole che ne dipendono. Tre sole, senza cessare d’essere africane, appar- tengono in pari tempo ad altri continenti. Così» il camaleonte volgare vive anche in Ispagna, e fu persin trovato, benchè una sola volta, in Sicilia; il che fa grandemente sospettare che ei fosse un individuo fuggito di prigionia: il Camaleonte bilobo si rinviene nella Georgia, e il Camaleonte a naso foreuto occupa buona parte dell’Asia e perfino dell’Australia. Il solo gran con- tinente d'America non ne conosce specie alcuna. In Africa saporitamente si mangiano i Camaleonti, abbrusto- lendoli, indi scorticandoli e di nuovo arrostendoli. Vengono por- tati a vendere nei mercati, legati a mazzo per le gambe e per la coda co’ vinchi; e gli africani pretendono che siano di un ottimo e purissimo nutrimento, conciossiachè hanno ancora fitto altamente nel capo che si pascano d’aria, e che perciò siavi in essi un non so che di volatile, di celestiale, di omogeneo COCCODRILLI 85 all’ umana natura. Aggiungono che se un animale cresce, in- grandisce, ingrossa, campa e prolifica senza cibo, bisogna che abbia in sè un occulto principio e una cagione molto vigorosa nutriente, onde pretendono che abbia forze ancor d’ ingrassare chi lo mangia, benchè egli apparisca sovente d’ una sparuta ed arcisecca magrezza. Quindi è che al tempo del Vallisnieri, usa- vano quegli sciocchi uomini, detratte le interiora, farli asciu- gare nel forno, polverizzarli, mescolar queste polveri colle vi- vande e darle da mangiare alle figliuole per ingrassarle: giac- chè come consiste oggidi, così consisteva allora in quelli aridi paesi, la maggior bellezza delle donne nella maggiore grassezza, e le più pingui erano preferite a tutte le altre, e dal marito più generosamente dotate, essendo uso colà che l’uomo porti la dote alla donna, e non la donna all’ uomo. Anche i Cinesi sono golosissimi dei Camaleonti; e abbrustoliti, o almeno ab- bronzati al fuoco, li sbucciano, e conciati col butirro ghiotta- mente li mangiano. E a noi Europei siffatto gusto degli abitanti dell’ Impero celeste non deve mai recare alcuna meraviglia, dacchè sappiamo che perfino sulla mensa dei più ricchi pro- prietarii e mercatanti hanno un posto distinto le carni dei cani, le carni dei ratti domestici e da campagna e i molli e succosi bachi da seta. Coccodrilli. — Se l’aquila è il sovrano dell’aria, la tigre ed il leone sono i tiranni delle foreste, e la balena è il mostro dei mari, il Coccodrillo ha, per esercitare il suo formidabile dominio, le spiaggie marittime e le sponde dei fiumi. Questo rettile enorme, vivendo sui confini della terra e delle acque, è il flagello, nello stesso tempo, degli abitanti delle spiaggie del mare e del con- torno dei fiumi. Più grande della tigre, del leone e dell’aquila, sarebbe il più enorme animale terrestre, se non esistessero l’ele- fante, l'ippopotamo, ed alcuni serpenti di smisurata lunghezza. I Coccodrilli hanno il capo depresso, che si allunga a muso, sul davanti del quale si osservano le narici molto vicine poste sopra un tubercolo carnoso e fornito di valvole mobili. La bocca si apre sino oltre le orecchie, Le mascelle, di smisurata lun- ghezza, sono armate di denti conici, aguzzi, ricurvi allo indietro, e disposti per modo che quando son chiuse le fauci, passano gli uni sugli altri. Questi denti son piantati in una sola fila, e conservati sempre in buon stato, mercè un sistema organico che rende sicura la loro immediata riparazione. Infatti, ogni dente è cavo alla base, per modo da divenire la cella o il fodero di un altro dente, di più forte calibro. Il dente che spunta, 86 ORDINE DEI SAURII esercita un certo assorbimento sulla base del vecchio dente, cavo, per modo che mentre il primo si sviluppa, il secondo de- perisce. In alcune specie, i denti collocati sul davanti della mascella inferiore son tanto aguzzi ed allungati che talora fo- rano il margine della superiore, e compaiono sopra il muso, quando la bocca è chiusa. La mascella inferiore sola è mobile, e non ha che un movimento dall’ alto in basso. La bocca è sfornita di labbra; quindi il coccodrillo, quando nuota o cam- mina mostra i denti, sinistro avviso alle vittime che minaccia. Tutta questa conformazione dà al Coccodrillo un aspetto ter- ribile; e vie più lo accrescono due occhi scintillanti, molto vicini l’uno all’altro, collocati obbliquamente, e ornati di una specie di sopraccigli, che ne accresce l’aspetto terribile. Questi animali hanno coda lunghissima, che alla radice è grossa come il corpo, e per la forma rassomiglia ad un remo, il che permette loro di dirigersi agevolmente nell’acqua, e nuo- tare con velocità. s I Coccodrilli hanno quattro zampe corte, di cui le posteriori hanno le dita riunite da una membrana natatoia, e solo tre unghie ad ogni zampa. La loro pelle è coriacea, fitta, resistente, protetta da scudi durissimi, frammisti a piastre di varia grandezza, secondo le parti del corpo. Sul cranio e sul muso la pelle è aderente alle ossa e non presenta traccia di scaglie. La natura, per provvedere alla difesa di questi animali, gli ha ricoperti di una corazza, resistente a tutta prova, tranne in alcune parti. Quindi le scaglie che difendono il dorso e la parte superiore della coda, son quadrate e formano strisce trasversali. Sono durissime, e tanto flessibili che si piegano senza rompersi. Nel mezzo v’ha una sorta di dura cresta che ne accresce an- cora la fortezza. In molti punti questa corazza è invulnerabile contro le palle da schioppo. Le lastre che ricoprono il ventre, la parte inferiore del capo, del collo, della coda, e delle zampe, sono pure disposte a striscie trasversali, ma meno dure e senza cresta. Da queste parti più deboli vengono aggrediti i Coccodrilli dagli abitatori delle acque loro nemici, e talora ne riportano danno. Il colore generale dei coccodrilli è un bruno scuro; talvolta il dorso è di una tinta verde, con macchie nerastre; sotto il ventre e sotto le zampe è di color grigio giallastro. Tutte queste tinte variano coll’ età, col sesso e colla natura delle acque ove vive l’animale. I ‘Coccodrilli sono ovipari, e le loro uova son fornite di un guscio duro. Le femmine depongono queste uova in certi siti COCCODRILLI 87 favorevoli, ove si schiudono senza esser covate dalla madre, mercè il solo calore ambiente. Le femmine dei Coccodrilli del Nilo le depongono nella sabbia sulle spiaggie: il calore del sole le fa in seguito schiudere. In certi paesi, come nel contorno di Caienna e di Suriman, le seppelliscono sotto certi cumuli di foglie e di steli erbacei, che ammucchiano nei luoghi umidi. Ne segue una specie di fermentazione in quei vegetali, e quindi una più alta temperatura, la quale, unita a quella dell’ atmo- sfera, fa schiudere le uova. Lacépede ha descritto un uovo che si trovava al museo di storia naturale di Parigi proveniente da un coccodrillo lungo 44 piedi, ucciso nell’ alto Egitto, al momento in cui l’ aveva deposto. Quest’ uovo, nel suo maggior diametro non ha che due pollici e cinque linee, e il suo minor diametro è di un pollice e undici linee. È ovale e biancastro. Il suo guscio è di una sostanza cretacea simile a quella di uova di gallina, ma meno dura !. Quando nascono i piccoli Coccodrilli non hanno che 15 cen- timetri circa di lunghezza, ma crescono rapidissimamente. I Coccodrilli s'incontrano nei grandi fiumi e nei luoghi paludosi. Sovente vengono a terra, perchè pel loro organismo son veri anfibi. Di notte si mettono in agguato per cogliere la preda. Mangiano esclusivamente carne, vale a dire pesci, piccoli mammiferi, uc- celli acquatici ed anche rettili. Quando hanno potuto prendere una preda voluminosa, la trascinano sott’ acqua, e dopo averla fatta morire asfissiata, la lasciano macerare in qualche sito ri- parato, e la mangian poi a brani. In tal modo talora segue che gli uomini sono portati via dai Coccodrilli; è un errore credere che essi siano divorati immediatamente da quegli aniraali. Quando un Coccodrillo ha potuto ghermire un nero o un abitatore delle spiaggie di un fiume africano, non lo divora sul momento. Lo tien sott'acqua per alcuni giorni, poi lo sbrana e se ne pasce a suo bell’agio. Perciò questo feroce animale sparge il terrore sulle sponde di tutti i fiumi ove dimora. I Coccodrilli, per la struttura generale del loro scheletro, stentano a muoversi di fianco. Questo fatto rende più agevole all'uomo poter sfuggire alle persecuzioni di sì vorace nemico. Quando si è inseguiti da un Coccodrillo, è facile fargli perdere ! Si conservano uova di Coccodrillo anche nel Museo di Milano. (Nota del Trad.) 88 ORDINE DEI SAURII la traccia descrivendo circoli e ritornando indietro sulla strada già fatta. Sulle sponde del lago di Nicaragua, in America, un Alligatore si mise ad inseguire un inglese che aveva sorpreso sulla’ spiag- gia. L'animale guadagnava terreno, e stava per raggiungere la sua preda, allorchè alcuni Spagnuoli. gridarono all’ inglese di mettersi a correre descrivendo un circolo. Avvertito tanto a proposito, ed avendo messo in pratica il consiglio ricevuto, il nostro Inglese riuscì a far perdere al Coccodrillo le sue traccie e sfuggire in tal modo al pericolo (fig. 21). I Coccodrilli vivono in Africa, in Asia ed in America. Non si incontrano nè in Europa nè nell’Oceania. Le varie specie che vivono oggi sono distribuite in modo ben determinato sulla superficie del globo. — Gli Alligatori spettano all’ America, — i Coccodrilli propriamente detti vivono sopra- tutto in Africa, — i Gaviali poi appartengono alle Indie orien> tali !. Alligatori o Caimani. — Gli Alligatori, o Coccodrilli americani, hanno per caratteri principali: il capo un terzo più largo che lungo, e il muso corto; — denti disuguali fra loro; i quarti denti inferiori affondati dentro a cavità della mascella superiore quando la bocca è chiusa; — i primi denti della mascella in- feriore, a una certa età, forano la superiore; — le gambe e i piedi posteriori arrotondati privi di creste’, e non frastagliati sui margini; gli intervalli delle dita muniti per oltre una metà di una membrana corta, formanti in tal modo zampe semi- palmate. Si ammettono generalmente cinque specie di questo genere, esclusivamente americane, di cui il tipo è l’ Alligatore dal muso di luccio. Questo coccodrillo, cui i naturalisti hanno chiamato Alligatore della Florida di Catesby, appartiene propriamente al- l'America settentrionale, ove si incontra in ogni sua parte. Vive quasi sempre in grossi branchi, nelle acque del Mississipì, e dei suoi confluenti. S' incontrano pure nei laghi e nelle paludi della Luisiana, nella Garolina e fino al 32° grado di latitudine nord. Non sembra che gli Alligatori abbandonino le acque dolci. Nella cattiva stagione, si affondano nel fango degli stagni, e ! Bellissimi esemplari di tutti e tre codesti tipi di Coccodrilli si vedono al Museo di Milano, nella cui collezione sono anche rappresentate parec- chie specie diverse. (Nota del Trad.) ALLIGATORI O CAIMANI 89 colà in istato di torpore aspettano il ritorno della primavera, che è il tempo in cui riacquistano la loro attività. Presso Bagon-Sarah, sul Mississipì, si osservano vasti spazi di bassi fondi, di laghi e di pantani. Ogni anno, questi serbatoi vengono inondati dalle terribili piene di quel fiume, e allora raccolgono stormi brulicanti di pesci. In breve il caldo prosciuga una parte di quei laghi, non lasciandovi che una profondità di due piedi, e così mette allo scoperto una enorme quantità di preda bella e pronta per gli uccelli di ripa e pei coccodrilli. \7/ Ù \} | | 14 19) } ULI Fig. 22. Alligatore, o Caimano. Milioni d’ibis, di aironi, di grù, di cormorani, vanno intorno per l’acqua inseguendo il pesce. Nella parte più profonda del lago va a raccogliersi la maggior parte del pesce, e quel punto della palude vien detto dalla gente del paese il buco degli Al- ligatori.Infatti, colà brulicano questi rettili, uno accanto all’altro, tutti intenti a divorare la preda facile del pesce che riempie il pantano, e sì trova chiuso in quel luogo per lo svaporamento di quasi tutta l’acqua. Gli Alligatori inseguono e divorano i pesci, mentre l’ibis distrugge quelli che cercano di fuggire verso la sponda. Fictier Rettili, Anfibi, ecc. 12 90 ORDINE DEI SAURII Gli Alligatori preferiscono pescare alla notte. Si raccolgono in branchi numerosi, nelle ore del silenzio e del buio, scacciano il pesce innanzi a loro, e lo spingono in qualche sito appartato. Allora fanno larga messe di quegli infelici abitanti dell’ acqua, che col moto della coda fanno entrare nella bocca sempre spalancata. Alla distanza di un miglio si sente lo stridere delle loro mascelle. S'incontrano gli Alligatori a migliaia al Messico, nelle chiare e belle acque del Claro, che si allargano in un lago tranquillo. Son tanto vicini gli uni agli altri, che sembrano fasci di legni 0 alberi recentemente tagliati, e ricoperti della loro verde cortec- cia. Quando son tutti raccolti in aspettazione della preda, un battello che viene a mettersi in mezzo a loro non li fa smuovere. Non cercano di entrare nelle barche, ma piombano avidamente su tutto ciò che cade o che vien gettato nel lago. Quanti fan- ciulli, quante povere donne, quanti neri, son rimasti in quei luoghi preda degli Alligatori! Quei mostruosi rettili non inse- guono l’uomo, ma non tralasciano di divorarlo allorchè per disgrazia viene a tiro delle loro formidabili mascelle !. Gl’indigeni del Messico danno la caccia all'Alligatore. Quando trovano un individuo isolato, addormentato o supino dopo un copioso pasto, gettano il laccio (lasso) intorno al corpo del rettile addormentato. Tengon ferme le corde coll’aiuto di bastoni, poi serran la bocca all’Alligatore e gli spezzano il capo. Gl'indiani adoperano un altro mezzo per impadronirsi di un Alligatore. Prendono quattro pezzi di legno duro, lunghi un piede, grossi come il dito mignolo, e appuntati ai due capi. Li annodano con una corda per modo che se col pensiero ci rap- presentiamo questa corda come una freccia, i quattro bastoni formeranno il capo della freccia. Poi legano l’altro capo della corda ad un albero, e si mette per esca a questa sorta di amo un pezzo di carne. Quando l’Alligatore ha abboccato la preda, le punte dell’ amo gli penetrano nella carne. Allora si aspetta che l’animale sia morto per tirarlo fuori dell’acqua, oppure si finisce di ucciderlo a sassate o a bastonate. Gli Alligatori sono voracissimi, ma, come i serpenti e le testuggini, possono sopportare lunghi digiuni. Browne, nella sua Storia naturale della Giamaica, asserisce che si son veduti alcuni Alligatori vivere parecchi mesi di seguito senza mangiare. 1 Abbiamo già detto sopra che al Messico, secondo ha osservato Hum- boldt, gli Alligatori passano in letargo i mesi più caldi dell’anno. (Nota del Trad.) COCCODRILLI PROPRIAMENTE DETTI 91 Parecchie volte fu fatto alla Giamaica il seguente sperimento. Si lega stretta la bocca di un Alligatore, e in tal condizione lo si getta in una vasca. Questi animali colla bocca chiusa, vivono così un tempo assai lungo. Di tratto in tratto si veggono ri- salire alla superficie dell’acqua, e la loro morte si fa lunga- mente aspettare. Aggiungeremo che i Coccodrilli che si allevano in schiavitù nel giardino zoologico del Museo di storia naturale di Parigi, vivono talora parecchi mesi di fila senza mangiare. La femmina dell’Alligatore ha maggior cura dei suoi piccoli che non quella del Coccodrillo propriamente detto e del Gaviale. Li conduce nell’acqua e nel fango. Colà, rigetta il cibo a metà digerito, che serve loro di nutrimento. Coccodrilli propriamente detti. — I veri Coccodrilli sono parti- colari all'Africa, ma esistono pure in America e nell’India. Il loro capo è lungo quasi il doppio che largo. I quarti denti della mascella inferiore, che sono più lunghi e più grossi di tutti gli altri, passano entro a scanalature che esistono nel margine della mascella superiore e sono visibili al di fuori. Le zampe posteriori hanno il margine esterno munito di una cresta dentata; e gli in- tervalli delle loro dita, al meno le esterne, sono al tutto palmati. Il tipo principale è il Coccodrillo comune, che giunge talora alla lunghezza di tre metri. Tutta la parte superiore del corpo di questo enorme rettile è color verde uliva, punteggiato di nero sul capo e sul collo, screziato dello stesso colore sul dorso e sulla coda; due o tre larghe fascie oblique gli si scorgono sui fianchi. Sotto il corpo è color giallo verdastro. Questo Coccodrillo è molto sparso in Africa; si trova in tutta la distesa del Nilo !, nei fiumi Senegal e Niger, nella Cafreria, a Madagascar. La maggior parte degli scrittori lo chiamano Coccodrillo del Nilo. Questa specie si trova fin nell’India. Il Coccodrillo era presso gli antichi Egizii considerato come animale sacro. Anche oggi, nei templi rovinati, si trovano mum- mie di coccodrilli benissimo conservate. I Romani facevano mostra di Coccodrilli vivi nei giuochi nautici del Colosseo. I primi furono portati, in numero solo di cinque, durante l’ edi- lità di Scauro. Sotto il regno dell’ imperatore Augusto, se ne fecero morire trentasei nel circo di Flaminio. Varie medaglie i Il Coccodrillo non si trova in tutta la distesa del Nilo; nel Basso Egitto non si vede mai; ed è cosa rarissima che un qualche giovane individuo scenda fino al Cairo. Solo nell'Alto Egitto, esso s'incontra ed è comune. (Nota del Trad.) 92 ORDINE DEI SAURII antiche rappresentano questo stesso rettile, il cui corpo è al tutto simile a quello che vive oggi nelle acque e sulle sponde del Nilo. Nella storia naturale del coccodrillo havvi un fatto in vero curioso. Su questo riguardo sentiamo ciò che narra Erodoto, il più antico degli scrittori. « Quando il Coccodrillo, dice Erodoto, sta mangiando nel Nilo, l'interno della sua bocca è sempre coperto di bdella (moscerini). Tutti gli uccelli, tranne un solo, fuggono il coccodrillo; ma questo unico uccello, il tr0- chylus, invece di fuggire, vola verso il rettile tutto premuroso e gli rende un grandissimo servigio. Ogniqualvolta il coccodrillo approda sulla terra, e mentre giace disteso colle fauci spalancate, il trockylus entra nella bocca del terribile animale e lo libera dalle bdella che vi si trovano. Il coccodrillo mostra di essere grato di ciò, non facendo mai nessun male all'ucce lino che gli rende un così bel servizio. » Il fatto riferito da Erodoto fu. per lungo tempo tenuto in conto di favola. Ma il naturalista Geoffroy Saint-Hilaire, che faceva parte della Commissione di scienziati che il generale Bo- naparte condusse seco nella spedizione d’ Egitto, ebbe campo parecchie volte di riconoscere la verità della relazione di Erodoto. « È verissimo, dice Geoffroy Saint-Hilaire in una memoria letta il 28 gennaio 1828 all’ Accademia delle scienze, che esiste un uccellino che vola continuamente qua e là, cercando ovunque, anche entro la bocca del coccodrillo, gl’insetti che formano la parte principale del suo nutri- mento. » Quest'uccello comunissimo sulle sponde del Nilo, Geoffroy Saint-Hilaire lo ha riconosciuto per una specie già descritta col nome di Charadrius egyptius. Da noi esiste un uccello che rassomiglia moltissimo al Chara- drius 2gyptius, ed è il Piviere. Le bdelle, che molestano il Coccodrillo ed anzi gli fanno guerra accanita, non sono che le nostre zanzare d'Europa. Mi- riadi di quest'insetti brulicano sulle sponde del Nilo, e quando il gigante di questo fiume, sta in riposo scaldandosi al sole, divien preda di questi miserabili pigmei; è la guerra del Leone del Moscone descritta da La Fontaine. Le zanzare si cacciano in sì gran numero nella bocca del Coccodrillo che la superficie del palato ne è ricoperta, come da una crosta brunastra. Tutti quei piccoli succiatori pungono coi loro aculei la lingua del rettile. Allora quell’ uccellino viene a farne caccia fin nella bocca del mostro, cui libera così dai suoi innumerevoli nemici. COCCODRILLI PROPRIAMENTE DETTI 93 Il Coccodrillo con una dentata stritolerebbe certo l’uccello, ma egli sa molto bene ciò di cui va debitore a quel famigliare amico. I Coccodrilli del Nilo son più voraci dell’Alligatore dell’Ame- rica. Hasselquist riferisce che nell’ alto Egitto divorano spesso. le donne che vanno ad attingere acqua nel Nilo, e i fanciulli che si trastullano sulle sponde di quel fiume. Geoffroy Saint- Hilaire dice anche, che sovente s'incontrano nella Tebaide degli Arabi cui manca una gamba o un braccio, i quali danno colpa al Coccodrillo di quella loro disgrazia. Il celebre viaggiatore Livingstone ebbe molte occasioni di in- contrarsi col feroce abitante del Nilo. Ecco una delle sue nar- razioni: « Il Coccodrillo, dice il celebre viaggiatore, fa ogni anno molte vittime tra i fanciulli che hanno l’imprudenza di divertirsi sulle sponde del Liambie quando vanno ad attingere acqua. Il Coccodrillo con un colpo della sua coda, stordisce la preda e la trascina nel fiume, ove in breve è annegata.... Generalmente, quando un Coccodrillo vede un uomo, si tuffa e si dirige di soppiatto verso il luogo ove trovasi quest'uomo ; talora nondimeno si precipita con straordinaria sveltezza verso la persona che ha scorto, come si può ben vedere dalle increspature che produce sulla superficie dell’acqua del fiume. Una antilope inseguita alla caccia e che si getta nell’acqua nelle lagune della valle Rarotsè, un uomo o un cane che vanno a cercarvi la selvaggina, sono sicuri d’essere addentati da un coccodrillo che non supponevano tanto vicino. Sovente i giovani che abitano le sponde del fiume, dopo aver ballato al chiaro della luna, vanno a bagnarsi per togliersi la polvere di cui son coperti e non com- paiono mai più. » Un’altra volta lo stesso viaggiatore raccontò di aver incontrato un Coccodrillo che aveva abbrancata una donna e la trascinava sopra un banco di sabbia. Livingstone mandò i suoi marinai, che riuscirono a salvare la povera donna, ma il mostro le avea mozzata una gamba. I Coccodrilli, che non hanno mai mangiato uomini, sono, del resto, molto meno pericolosi di quelli che, avendone assaggiato la carne, hanno preso gusto a questa preda. Ciò risulta dalle informazioni prese sui luoghi da parecchi viaggiatori. « Un abitante di Khartum, dice il signor Combes, mi asseri che prima della venuta dell’esercito egiziano, vale a dire prima delle atrocità commesse dal desterdar (si tratta qui di Mehemet-Bey, che era stato governatore 94 ORDINE DEI SAURII del Sudan' un po’ prima del viaggio del signor Combes), i Coccodrilli non si mostravano gran che ghiotti di carne umana; ma dopo gli an- negamenti cempiutisi per ordine di Mehemet-Bey, mi disse l’uomo che io aveva interrogato, e che il Nilo ebbe travolto nelle onde i cada- veri dei miei fratelli, quei mostri che dimorano in esso hanno preso gusto ad un cibo sostanzioso di cui non avevano cognizione; ed oggi sì corre grave pericolo quando si voglia attraversare il fiume a nuoto o anche solo bagnarsi sulle sponde. » I negri d’Africa danno la caccia al Coccodrillo a fucilate, o con una sorta di giavellotto dentato mirano alla articolazione delle zampe anteriori. Certi Egiziani son tanto coraggiosi da nuotare fin sotto al Coccodrillo, e ferirlo nel ventre con una pugnalata. Anche i negri del Senegal hanno lo stesso ardire. Se trovano l’animale in certe parti del fiume ove l’acqua scarseggia tanto da non poter nuotare, van difilati contro il mostro armati di lancia e col braccio sinistro ravvolto in un lembo di cuoio. Cominciano a ferirlo colla lancia negli occhi e nella gola. Poi gli cacciano nella gola il braccio che è ravvolto nel cuoio, e in tal modo gli tolgono di poter chiudere la bocca e gliela tengono aperta, finchè il nemico sia soffocato o muoia sotto i colpi dei loro compagni, Alle volte a queste ardite aggressioni si sostituiscono l’astuzia e i tranelli. In Egitto si scava un fosso sulla via che suol fare un Coccodrillo, che si riconosce del resto alle traccie che lascia sulla sabbia. Si copre questa fossa di rami e di terra. Poi si spaventa il Coccodrillo mandando altissime grida, e questo, tornando verso il fiume, rifà la strada già percorsa, passa sul fosso e vi cade dentro. Colà si uccide a bastonate o si prende nelle reti. , Altre volte, si attacca una forte corda ad un grosso albero, e all’altro capo di questa corda si lega un agnello tenuto fermo da un uncino sporgente. Le grida dell'agnello attirano il Coc- ! Mehemet-Bey, Desterdar, genero di Mohamed-Alì vicerè idi Egitto, non fu veramente governatore del Sudan. Gli abitanti di quella provincia, dopo lunghe ed insopportabili angherie, ed atti crudeli e feroci sop- portati, si erano ribellati contro Ismail Pascià figlio di Mohamed-Ali, e lo avevano arso coi sui seguaci nella sua tenda. Per vendicare la morte del figlio, Mohamed-Ali mandò con forte nerbo di soldati il genero Mehemet-Bey, noto in Egitto e temuto per gli orribili atti della sua ferocia. Il Desterdar corrispose all’aspettazione del suocero ed anche oggi sono vive le traccie della sua barbarie nel Sudan, ed il suo nome suona terrore. Gli annegamenti di cui qui si parla, sono uno dei modi più miti con cui egli abbia inferocito su quelle misere genti. (Nota del Tr.) GAVIALI 95 codrillo, il quale, volendo abboccare l’ esca, riman preso al- l’uncino. Gaviali. — I Gaviali, o coccodrilli dell'India, hanno il muso stretto, cilindrico, allungatissimo, e un tantino rigonfio al- l'apice. I denti son quasi uguali, tanto nel numero quanto nella forma, in tutte e due le mascelle; i due primi e i quarti della mascella inferiore passano nelle scanalature della supe- riore, e non in buchi. Le zampe posteriori sono frastagliate e palmate come quelle dei coccodrilli d’Africa. Questo genere, notevole specialmente pel suo capo allungatis- simo, ha per tipo il Gaviale del Gange o Gaviale longirostro *. Il suo colore è verde scuro; di sopra, con moltissime macchie irregolari brune; di sotto, è di un giallo pallido, e la sua lun- ghezza totale può giungere fino a cinque o sei metri ?. ì Ne esiste un bellissimo esemplare al Museo di Milano. 2L a collezione dei Saurii posseduta dal Museo di Milano, non è così preziosa per esemplari rari e nuovi come quella degli Ofidii, della quale si è già parlato ; tuttavia è una raccolta di molto pregio. La famiglia dei Coccodrilli è rappresentata da numerosi e voluminosi esemplari; quella dei Camaleonti è ricca di specie; gli Ascalaboti contano rappresentanti delle varie parti del mondo, fra i quali certo degno di commento il Platidactylus oualensis D.e B. delle Isole Witi Leva. Anche i Varani e le Iguane, non che le altre famiglie sono rieche di esemplari. I più pregiati poi sono: il Basiliscus vittatus Wiegm., del Messico; i Phrynosoma, con molte specie di varii paesi; i Draco, pure riccamente rappresentati ; lo Stellio nigricollis Smith, d’Angora; il Moloch horridus Gray, della Nuova Olanda; il Chlamidosaurus kingiî Gray, di Brisbane nella Nuova Olanda. Oltre a questi, anche la famiglia delle Amfisbene vi è assai ben rap- presentata, eppercio anche questa collezione di circa 200-specie è di molto lustro al Museo milanese. (Nota del Trad.) ORDINE DEI CHELONII Le Testuggini, che compongono l’ ordine dei Chelonii, si ri- conoscono a prima vista per la strana corazza di cui na- tura le provvide. Il loro corpo è coperto tutto da un doppio scudo, il quale non lascia passare che il capo, il collo, le quat- tro zampe e la coda. Tutti questi organi possono star celati in quella doppia corazza. Quale dev’ essere la sorpresa di chi incontri per la prima volta una testuggine ! Questo doppio scudo delle Testuggini è fatto di ossa appianate e intimamente saldate fra loro. La parte superiore, che suol chiamarsi scaglia, deriva dalla riunione delle coste e delle ver- tebre dorsali; il pettorale,o scudo inferiore, non è altro che uno sterno sviluppatissimo 41. Questi organi non sono che una parte dello scheletro, che invece di essere allogato nel mezzo delle parti molli, è divenuto esterno e non è coperto che da una pelle secca e sottile ?. Onde assumere questa insolita disposizione, l’ impalcatura ossea dell’ animale deve essere stata intensamente modificata. Nondimeno vi si rinvengono le medesime parti che si osservano nei vertebrati comuni; solo la forma ed il volume di molte di queste parti sono state mutate. Talora la pelle che ricopre il corpo di questi animali, con- serva una certa morbidezza e non è ricoperta di scaglie. Ma in x quasi tutti è coperta di uno strato corneo, molto consistente. i I moderni anatomici non son d'accordo intorno alla significazione di queste ossa del pettorale; alcuni le considerano come uno sterno svilup- patissimo, siecome qui è detto, altri considerano siccome rappresentanti dello sterno soltanto alcune di queste ossa, altri negano affatto la pre- senza di uno sterno, e tengono tutte queste in conto di ossa cutanee. (Nota del Trad.) ? Le ossa appianate che costituiscono la scaglia della testuggine sono veramente ossa cutanee, le quali non fanno parte dello scheletro propria- mente detto o nevro-scheletro. (Nota del Trad) TESTUGGINI TERRESTRI 97 Sul pettorale e sulla scaglia, queste squame formano larghe piastre che variano secondo le specie nella disposizione e nei- l'aspetto, e sovente sono bellissime. La scaglia 1 della Testuggine è oggetto d’ornamento, e viene adoperata in grande nell’ industria. Ben lavorata, levigata , si adopera in commercio col nome di Tartaruga. Le Testuggini si dividono in quattro gruppi: le Testuggini ter- restri, le Testuggini palustri, le Testuggini fluviatili e le Testug- ginì marine. Testuggini terrestri. — Questo primo gruppo di Testuggini si riconosce per le zampe, fatte a mo’ di monconi. Questi organi Fig. 25. Testuggine mauritanica (Testuggine terrestre). son grossi e corti. Le dita, quasi uguali e immobili, son munite di una fitta pelle, e formano una massa arrotondata, e non si mostrano di fuori che per le unghie corte, grosse e coniche. In questo gruppo la scaglia è molto convessa e talora più alta che larga; forma una solida vòlta, quasi sempre immobile, sotto la quale l’animale può riparare al tutto le membra e la coda. Questo scudo è coperto di grandi piastre cornee. In ogni tempo si sono conosciute le Testuggini terrestri. Le vediamo rappresentate su moltissimi monumenti, prodotti del- l’arte antica. Tutti sanno che la scaglia nella tartaruga era ‘41 La Testuggine dicesi in lat. Testudo; fr., Tortue; ingl., Tortoise; ted., FSchildkròte. La sua scaglia chiamasi in fr., carapace; e il pettorale, plastron. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 15 98 ORDINE DEI CHELONII considerata presso gli antichi come quella che aveva servito di modello alle prime lire, e quindi erano state consacrate a Mer- curio, dio della musica e inventore della lira. Le Testuggini terrestri formano parecchi generi che compren- dono oltre a trenta specie. Parleremo solo delle principali, cioè della Testuggine marginata, della Testuggine mauritanica, della Testuggine greca e della Testuggine elefantina. La Testuggine marginata, che per molto tempo venne scam- biata colla Testuggine greca, trovasi molto sparsa in Morea, e s’ incontra pure in Egitto e sulle coste di Barberia. La sua scaglia è ovale, oblunga, convessa, col margine posteriore molto dilatato e quasi orizzontale. Il pettorale è mobile allo indietro, la coda grossa e conica sporge appena dalla scaglia. Le piastre del disco sono di un bruno nerastro, e presentano verso il centro macchie di un bel giallo; le lastre marginali presentano per lo più due macchie triangolari, una gialla e l’altra nera; sotto il corpo è. di un color giallo sporco e con una larga macchia triangolare nera sopra sei od otto scaglie dello sterno; ed è di mole mezzana. La Testuggine mauritanica (fig. 23) trovasi comunemente nei contorni di Algeri, d’onde vengono tutte quelle che oggi si ven- dono sui mercati di Francia. La sua scaglia è ovale, convessa, il suo sterno è mobile all’indietro. Il colore generale è olivastro. Le piastre del disco sono punteggiate di macchie nerastre, e talora di un anello dello stesso colore, che copre la parte anteriore ed i lati soltanto. Le piastre del pettorale che hanno un fondo olivastro, presentano ognuna una larga macchia nera. Questa specie è un tantino più piccola della Testuggine marginata. La Testuggine greca è di piccola mole, non essendo lunga più di 28 centimetri. Abita la Grecia, l’Italia, alcune isole del Medi- terraneo, e il mezzedì della Francia, ove fu importata dall’Italia. Si nutre d’erbe, di radici, di limaccie e di lombrici. Nell’inverno cade in torpore, e passa quella stagione entro buche che scava nel terreno talora alla profondità di 60 centimetri. Verso il mese di maggio risale, e va a scaldarsi ai raggi del sole nei luoghi sabbiosi e boscheggiati. Nel mese di giugno le femmine fanno da dodici a quattordici ucva, bianche, sferiche, grosse come piccole noci. Depongono queste uova in un buco, cui ri- coprono di terra, e che rimane esposto al sole. La sua scaglia è ovale e moito convessa. Le sue piastre marginali sono in numero di venticinque; il pettorale, lungo quasi quanto la scaglia, è diviso in due grandi parti da un TESTUGGINI TERRESTRI 99 solco longitudinale. Le piastre della scaglia sono macchiettate di nero e di giallo verdastro, e formano grandi marmoreggiamenti. Nel centro delle piastre del disco, spicca inoltre una macchietta nera irregolare. Le piastre del pettorale son gialle con una macchia nera nel centro *. Queste tre specie sono ricercate per la loro carne, che dà un brodo saporitissimo. Fra le Testuggini terrestri menzioneremo pure la Testuggine elefantina, lunga oltre un metro, e abitante la maggior parte | delle isole che stanno nel canale di Mozambico, vale a dire fra la costiera orientale dell’Africa e dell’isola di Madagascar. Il Museo di storia naturale di Parigi ha posseduto alcuni esemplari di questa specie, che vissero per oltre un anno, e che pesa- vano circa 300 chilogrammi. La loro: carne è buonissima a mangiarsi. In alcune altre Testuggini terrestri, di cui si è fatto il genere Dixides, la parte anteriore del pettorale è mobile, e può, allor- chè il capo e le zampe son rientrate, riaccostarsi ai margini della scaglia’come una porta sul suo telaio. Cosiffatta è la Divide aracnoide del continente e dell’arcipelago indiano. V’ha pure certe Testuggini terrestri di cui si son fatti generi particolari. La scaglia è flessibile e può abbassarsi di dietro come il pettorale: queste sono le Cinixys. Finalmente in alcune altre, le zampe non hanno che quattro dita fornite tutte di unghie: tali sono le Zomopodes. ! Questa Testuggine, comunissima in alcune parti d’Italia (non però nelle regioni settentrionali), vendesi sui mercati in Sicilia, in Sardegna, nell'Italia centrale e meridionale; non dispiace la sua carne, ma più se ne apprezza il brodo. Secondo Targioni Tozzetti, questa specie vive, cre- scendo lentissimamente, fino a quaranta anni, e il Cetti dice di averne veduta una in Sardegna la quale contava sessant'anni di domesticità. Il signor Bibron narra che in Sicilia queste testuggini sogliono adunarsi sui margini delle strade, ove i loro scudi acquistano tal grado di calore, che a mala pena la mano può resistere a tenerle abbracciate. I maschi - allora diventano arditi o riottosi, e si disputano il possesso delle femmine con incredibile accanimento; si inseguono, si mordono specialmente alla regione del collo, cercando di rovesciarsi a vicenda sul dorso, e la lotta effettivamente non termina che dal momento in cui uno dei due combat- tenti cade supino e colle gambe in aria. In quella posizione egli è peggio che vinto, giacchè in mezzo al vano agitare delle membra per raddriz- zarsi, rimane spettatore e testimonio del felice trionfo del rivale. (Nota del Trad.) 100 ORDINE DEI CHELONII Testuggini palustri. — Questo secondo gruppo segna il pas- saggio fra le testuggini terrestri e quelle essenzialmente acqua- tiche. Portano una scaglia più o meno depressa, ovale, evasa posteriormente. I piedi hanno dita distinte, mobili, munite di unghie ricurve, e di cui le falangi son collegate alla base da una pelle flessibile, che permette loro di scostarsi le une dalle altre nulla perdendo di forza e molto acquistando di superficie. Quindi possono camminare sulla terra, nuotare tanto alla su- perficie che nella profondità delle acque, e ben anche aggrap- parsi e rampicare sulle sponde dei laghi e delie acque tranquille in cui sogliono fare abituale dimora. Queste Testuggini sono ordinariamente di piccola mole. Carni- Fig. 24. Cistudine (Testuggine palustre). vore, si nutrono di animaletti vivi. Siccome mandano uno sgradevole odore, non se ne fa caccia per mangiarle; e d’altronde, la loro scaglia non è nè molto resistente nè molto bella perchè possa adoperarsi per lavorarla. Perciò son pochissimo ricercate. Si conoscono un centinaio di specie di testuggini palustri, che trovansi distribuite nelle varie plaghe del globo, ma principal- mente nelle regioni calde e temperate. Queste sono le Cistudini, le Emidi, le Triomici, ecc. La Cistudine comune o Testuggine gialla (fig. 24) è molto sparsa in Europa. Si incontra in Grecia, in Italia !, in Ispagna, i È questa la sola specie che s'incontra anche in Lombardia, nei luoghi belli, specialmente del Mantovano e del Po. (Nota del Trad.) CISTUDINE COMUNE O TESTUGGINE GIALLA 101 in Portogallo e nei paesi meridionali della Francia; trovasi pure in Ungheria, in Germania e fino in Prussia. Abita i laghi, Fig. 25. Emide Caspica (Testuggine palustre). le paludi e gli stagni, ove vive affondata nel limo. Viene tal- volta alla superficie dell’acqua, e vi rimane per lunghe ore. Vive particolarmente d’ insetti, di molluschi, di vermi d’acqua Fig. 26. Testuggine Matamata (Testuggine palustre) e di pesciolini. Sebbene la carne della Cistudine non abbia un sapore squisito, si mangia in tutti i luoghi ove è comune. Ci contenteremo di dare qui il disegno della Emide Caspica 102 ORDINE DEI CHELONII (fig. 25) e della Testuggine Matamata (fig. 26) che presenta un aspetto singolarissimo colle sue narici allungate, a proboscide, col collo fornito di appendici cutanee, e coi due bargigli che ha sul mento. Eloditi americane e loro. uova !. — In quella parte del gran continente meridionale dell'America, cui una tarda riconoscenza fece dare il nome di Colombia, scorre uno dei più sterminati fiumi del mondo, l’Orenoco: il quale, scendendo dalle alte regioni del Popagan e serpeggiando per immense pianure, va a sboccare, dopo 1500 miglia geografiche di corso. nell'Oceano atlantico, disotto del mare delle Antille. Là dove l’Apura, altro fiume gigantesco e suo tributario, gli si congiunge, cioè fra Cabruta e la missione di Atury, in prossimità delle grandi cateratte, egli forma tre isole o tre gran banchi di sabbia, che diconsi Encaramada, Cucurupam e Pararuma. Per undici mesi dell’anno quei siti non sono albergo che di-caimani, di giaguari e di capibare: ma nell’aprile, ecco muovere da ogni provincia per molte e molte leghe all’ intorno, ecco sbucare dalle pro- fonde loro foreste, e mercanti spagnuoli e Guani, e ottomachi Caribi ed altre tribù selvagge o semi-selvagge, a mala pena conosciute di nome in Europa, ed approdare a quegl’ inospiti lidi e piantarci le loro rozze capanne. Qual motivo, quale scopo di utilità chiama su quelle sabbie pericolose tante e sì varie genti? Il motivo, o lettori, sono le uova di certe eloditi, lo scopo si è la raccolta. L’Orenoco brulica di tre specie di sif- fatte testuggini, dette matamat, arrau e terekay. Codesti animali sono timidi e soprammodo diffidenti, stanno abitualmente lontani dalle sponde, non isporgono che la testa fuori delle acque, e prontamente vi si tuffano e vi scompaiono ad ogni piccol ru- more. Ma sul finire di marzo, epoca che coincide colle più basse acque dell’Orenoco, svegliasi in esse quella segreta potenza che cambia in un tratto ogni istinto negli animali, svegliasi in esse l’amore. Allora gli individui dispersi si riuniscono in schiere, e veggonsi migliaia e migliaia di questi rettili, ordinati in lunghe file, dirigersi nuotando verso quelle isole col collo proteso e colla testa fuori d’acqua per spiare se nulla abbiano da temere dalle fiere o dagli uomini. Gli Indiani cui nulla più sta a cuore che le schiere riunite rimangan intiere, che le testuggini non si disperdano e che la deposizione delle uova si compia con { Men contentabili dell'autore francese, aggiungiamo qui uno dei più interessanti, dei più curiosi capitoli della Storta Naturale del Gene. ELODITI AMERICANE E LORO UOVA 103 ogni tranquillità, collocano sentinelle di distanza in distanza lungo le rive, e con segnali impongono ai battelli di tenersi nel largo del fiume, ed ai remiganti di non spaventare con gridi imprudenti le testuggini. La deposizione delle uova si fa sempre ed unicamente nel corso della notte, e non comincia che al cader del sole. L’ animale credendosi in sicuro, scava colle zampe posteriori una fossa di tre piedi di diametro e di due piedi di profondità. Gli Indiani assicurano, che per as- sodare la sabbia, la testuggine la umetti colla sua orina, e in prova di ciò citano un odor particolare che si sente quando si apre una di codeste fosse, o come essi dicono , uno di codesti nidi d’uova. Il bisogno che provano questi animali di partorire è sì urgente, che alcuni individui scendono nelle fosse escavate da altri, e non ancora ricoperte di terra, e vi depongono un nuovo strato d’uova, sullo strato recentemente deposto. In co- desto momento tumultuoso, un’immensa quantità d’uova va perduta e rotta: la perdita credesi perfino ammontare ad un terzo del- l’intiera raccolta, e îl giallo delle uova fracassate contribuire a cementare la sabbia. Il numero di questi animali è sì grande durante la notte, che il giorno al suo nascere non pochi ne sorprende innanzi che il parto sia terminato. Sono allora stimolati dal doppio bisogno di deporre le uova, e di chiudere o coprire le fosse scavate, affinchè le bestie fe- roci non possano trovarle. Le testuggini rimaste ultime o in ritardo non conoscono pericoli per sè stesse. Lavorano in pre- senza degli Indiani che visitano le sponde di gran mattino. Chiamansi testuggini matte, e nonostante l’impetuosità dei loro movimenti, lasciansi prendere facilmente colle mani, Prima che i missionari arrivassero sulle sponde dell’Orenoco, gli indigeni traevano molto minor utilità da una produzione che la natura ha sparso su quelle isole con larga mano. Ogni tribù scavava il terreno a suo modo, e così si rompeva inutil- mente una prodigiosa quantità. d’ uova, perchè non scavavasi con precauzione, e perchè mettevano a scoperto molte più uova che non se ne potessero aspettare. Era una miniera trattata da mani inabili. I padri gesuiti hanno il merito d’aver realiazato questo lavoro; e, quantunque i religiosi di San Francesco, che succedettero ai gesuiti nelle missioni dell’Orenoco, si vantino di seguire l’esempio dei loro predecessori, essi non fanno sgraziata- mente tutto ciò che esigerebbe la prudenza. I gesuiti non per- mettevano che si scavassero le isole intiere e ne lasciavano sempre una parte intatta, pel timor di vedere, se non distrutta, almeno considerabilmente diminuita la razza delle testuggini. I 104 ORDINE DEI CHELONII Francescani lasciano frugar dappertutto e senza riserva, e per- ciò le raccolte vedonsi d’ anno in anno divenir meno pro- duttive. Compiutasi dalle Eloditi la deposizione, e la copertura delle uova, un missionario, mandato su quelle isole dai suoi con- fratelli col titolo di commissario, spartisce in diverse porzioni o lotti il terreno ove trovansi le uova, e lo spartisce secondo il numero e la popolazione delle tribù indiane che vi sono ac- campate. Non occorre ii dire che la misura si vuol far largheg- giare in favore degli Indiani delle missioni, quantunque non siano nè meno inerti nè meno abbrutiti degli Indiani sel- vaggi. Il commissario comincia le sue operazioni colla sonda. Im- pugna una lunga pertica di legno e un giunco di bambù, e scandagliando con essi esplora fin dove si estende lo strato delle uova. Secondo le misure prese da Humboldt, codesto strato si allontana dalla sponda fino a centoventi piedi di distanza per quanto ciascun’ isola ha di circonferenza. La sua profondità media è di tre piedi. Il commissario pianta dei segni per in- dicare il punto ove ciascuna tribù deve cominciare e arrestarsi nel suo lavoro, e reca meraviglia l’udire come ciascuna tribù, veduti i limiti del proprio terreno, sappia calcolare il prodotto della imminente raccolta. Un’area esattamente misurata, di cento venti piedi di lunghezza, e di trenta in larghezza, diede sotto gli occhi del maravigliato Humboldt cento panieri d’uova, cioè non uno più non uno meno di quanti ne aveva profetati uno dei capi di quei selvaggi. Gl’ Indiani frugano nella terra colle mani: ripongono le uova che raccolgono entro panieri, che chiama mappiri, le portano al luogo dell’ accampamento, e le gettano in lunghi mastelli di legno ripieni d’acqua; le uova rotte e rimenate con palette, restano in codesti recipienti esposte al sole infino a che il giallo o il tuorlo, che viene a galla, ab- bia potuto ispessirsi. Mano mano che questa parte, eminente- mente oleosa, si riunisce alla superficie dell’acqua, la si toglie e la si rimette a bollire a un fuoco vivissimo. Assicurasi che quest’olio animale, che gli Spagnuoli chiamavano grasso di testuggine, tanto meglio e più a lungo si conservi, quanto più forte fu la bollitura alla quale venne sottoposto. Quando è ben preparato, è limpido, inodoro ed appena gialliccio. I missionari lo paragonano al miglior olio d’ oliva, e si adopera, non sola- mente per ‘abbruciarlo nelle lampade, ma ben anche e più spesso per preparare alimenti, ai quali non dà alcun gusto spiacevole. Ma non è facil cosa il procurarsi in quei paesi un ni Uh "l Ii ic A il CI AI (| _ | III) | INNI FIGUIER. Rettili, Pesca e Animali articolati. 14 accia della Testuggine. x olÈt 27 Fig. U È da 13 MER ana a — ELODITI AMERICANE E LORO UOVA 107 olio d’uova di testuggini ben puro. In generale ha un odor putrido, il quale proviene dalla mistura d’uova, in cui sonosi già formate le piccole testuggini. L'olio così fatto lascia de- positare al fondo dei vasi certe materie filamentose che lo fanno conoscere per quello che è. Ecco ora alcune nozioni statistiche, che il celebre Humboldt si procurò sul luogo, consultando i missionarii, i loro delegati e i mercanti di questa derrata. Le tre isole, delle quali si è parlato fin qui, forniscono annualmente 10,000 rubbi d’olio. Il prezzo di ciascun rubbo suol essere nel commercio di due piastre e mezza. Ora per la riproduzione di un rubbo d'’ olio, voglionsi, all’incirca, 2,500 uova. Valutando a 100, ovvero a 116 le uova che ciascuna testuggine produce, e contando che il terzo delle uova vien rotto nella sua deposizione, e sovratutto dalle testuggini matte, si capisce che per ritrarre annualmente 10,000 rubbi d’olio, è necessario che 330,000 testuggini vadano a de- porre su quelle isole 33 milioni d’uova. Ma i risultati di questi calcoli sono molto al disotto della verità. Un gran numero di questi animali vien divorato dai giaguari negli istanti in cui pigliano terra; altri incontrano questa sorte nell’ atto e prima che compiano il parto. Gli Indiani riservano moltissime uova e le portano alle loro abitazioni per mangiarle seccate al sole; ed altre moltissime ne rompono per inavvertenza durante la raccolta. Aggiungasi ancora, che la quantità delle uova che si schiudono prima che l’uomo si accinga a disotterrarle è sì prodigiosa, che tutte le rive dell'Oceano formicolano, nel tempo stesso della raccolta, di piccole testuggini di un pollice di dia- metro, che a passi concitati cercano di guadagnare le acque del fiume. Non parrebbemi quindi supposizione temeraria e fuor d’ogni probabilità di duplicare e quel numero di testuggini e quel numero d’uova. Ora, la mente nostra esca dai confini delle tre isole di Encaramada, di Cucurupam, di Pararuma, e segua l’Orenoco per le sue 1500 miglia di corso. Dappertutto troveremo isole e banchi di sabbia che restano allo scoperto dal gennaio sin verso la fine d’aprile, e dappertutto abbondano dove una, dove più specie di Eloditi. Or qual pensiero, qual congettura potrà mai avvicinarsi al numero di questi animali che vivono dalla sorgente alla foce di tal fiume? Qual imma- ginazione potrà innalzarsi al computo delle uova di cui quelle isole, quei banchi, quelle rive divengono ogni anno il deposito? Scrisse il padre Gumilla non avere le spiaggie. dell’Orenoco tanti grani d’ arena quante testuggini hanno le sue acque, e che questi animali vi renderebbero impossibile il muoversi dei 108 ORDINE DEI CHELONII navigli, se gli uomini e le fiere non ne uccidessero ogni anno un numero sterminato, e se delle loro uova non si facesse quello scempio che abbiam detto. Certamente, poste sulla bilancia della fredda ragione, queste parole del buon gesuita peccano di strabocchevole esagerazione, ma considerate come un modo di dire, come una di quelle figure rettoriche per cui la immensità delle cose vien resa concepibile coll’ immensità dei paragoni, esse paionmi, se non giuste, felicissime, e quali paiono a me, tali parranno, io credo, a chiunque abbia un’anima e un cuore, cui parlano la loro poesia i grandi fenomeni della natura. Testuggini fluviatili. — Questo terzo gruppo di Testuggini ci presenta la scaglia molto larga e piatta, le zampe depresse, e le dita riunite, fino alle unghie, da ampie membrane flessibili. Codeste membrane mutano le mani e i piedi in vere palette che fanno ufficio di remi. Qaeste Testuggini, tanto bene conformate pel mezzo ove son destinate a vivere, movono continua guerra al pesce, ai ret- tili ed ai molluschi. La loro scaglia è molle, coperta di una pelle flessibile e cartilaginosa, sostenuta da un disco osseo molto depresso, colla superficie superiore solcata di rughe o grinze. Siccome queste testugginìi sono sprovvedute di scaglie, vengono dette molli. Le Testuggini fluviatili non si trovano in Europa; abitano i fiumi, o i laghi d’acqua dolce dei paesi caldi del globo, come il Nilo e il Niger in Africa, il Mississipì e l’Ohio in America, l'Eufrate e il Gange in Asia. Possono venire molto grosse, e in conseguenza molto pesanti. Di giorno, nuotano agevolmente per inseguire la preda. Di notte, vanno in terra per dormire e riposarsi. Siccome la loro carne è tenuta in gran pregio, nei paesi ove dimorano se ne fa attiva caccia. Fra le specie di questo scompartimento, menzioneremo la Trionice egiziana (fig. 28), testuggine assai grossa che vive nel Nilo, e la Trionice spinifera, caratteristica per una fila di spine di cui è munito il margine anteriore del lembo, che dimora nei fiumi della Georgia e della Florida (America set- tentrionale). Testuggini marine. — Eccoci infine alle Testuggini marine che si distinguono specialmente per la conformazione delle estre- mità, che sono libere e piane. Queste zampe son tanto de- presse, che le dita, quantunque siano distinte, non possono fare nessun movimento isolatamente, e quindi non sono altro . TESTUGGINI MARINE 109 che remi, meravigliosamente acconci al nuoto. Anche la loro scaglia è molto piatta; sul davanti è incavata, e dietro si al- lunga ristringendosi, ed è disposta in modo che nè il capo nè le zampe non vi si possono nascondere al tutto dentro. Le Testuggini marine son quelle che offrono maggiori di- mensioni. Nuotano e sì tuffano con meravigliosa agevolezza, e possono rimanere a lungo sott acqua. Infatti, l’orifizio esterno del canale del naso è munito di una sorta di valvola, che l’ani- male solleva allorchè sta nell’aria e richiude quando si tuffa. Fig. 28. Trionice egiziana (fluviatile). Non esce guari dall’ elemento liquido se non per far le uova. Nondimeno, certe specie salgono a notte sulle spiaggie delle isole deserte, e si trascinano colà per pascolare le erbe marine, ma camminano con stento e con somma fatica. Nei mari tran- quilli, le vedi talora galleggiare come barchette, assolutamente immobili, sulla superficie delle acque. Dormono. Mercè le loro mascelle cornee, dure e taglienti come il becco di un uccello di rapina, talune brucano alghe marine; mentre altre si cibano d’animali vivi, come crostacei, zoofiti e molluschi, sopratutto seppie. 110 ORDINE DEI CHELONII Le Testuggini marine sono ovipare. Le femmine accompa- gnate dai maschi, sovente percorrono, per andare a deporre le uova, spazi di oltre duecento metri. Im certi tempi alcune femmine vanno sulle spiaggie sabbiose di qualche deserto isolotto. Colà, di notte, si trascinano ben lungi dalla spiag- gia, e colle zampe posteriori, che adoperano come grandi palette, scavano buche della profondità di circa sessanta cen- timetri. Vi depongono fino a cento uova. Colla sabbia che hanno ammucchiata le ricoprono, livellano bene il terreno, poi tornano in mare. Le uova della Testuggine marina sono rotonde, depresse e fornite di un guscio coriaceo. Mercè l’ alta temperatura che i raggi del sole comunicano all’ arena della spiaggia , nascono quindici giorni dopo essere state deposte. Le piccole testuggini, deboli, grosse appena come rane, si affrettano verso il mare, il quale, come una potente nutrice, le fa in breve sviluppare. Le femmine fanno fin tre volte le uova a due o tre settimane di intervallo. Le Testuggini marine si incontrano in branchi, più o meno numerosi, in tutti i mari dei paesi caldi specialmente verso la zona torrida, nell'Oceano equinoziale, sulle spiaggie delle Antille, di Cuba, della Giamaica, di San Domingo, nell’oceano Indiano, alle isole di Francia e del Madagascar, alle Sechelles, nel golfo del Messico, ecc., come pure nell’ oceano Pacifico, alle isole Sandwich e Galapagos. Quelle che i navigatori trovano, però molto raramente, nel grande Oceano e nel Mediterraneo, sem- brano essersi smarrite e venire da branchi migratori. Caccia e pesca della Testuggine. — Fratutti i rettili, le testug- gini marine possono dirsi i più utili fall’uomo. Nei paesi ove sonvene molte, e ove divengono grossissime, si adopera la loro scaglia come una piroga per navigare lungo la costa. La loro carne è un alimento sano e nutriente. Il grasso di molte specie, quando è fresco, può essere sostituito all’olio e al burro. Allor- chè l’odor di muschio di questo corpo grasso mette una certa ripugnanza ad adoperarlo per far cuocere gli alimenti, lo si adopera per preparare il cuoio o per l’ illuminazione. Le uova di quasi tutte le testuggini sono ricercate pel loro sapore. Final- mente le scaglie di varie specie costituiscono una preziosa sostanza molto adoperata nelle industrie, per la sua durezza, la sua trasparenza, e il bel lucido che le si può dare. Si comprende agevolmente come un animale, di cui le varie CACCIA E PESCA DELLA TESTUGGINE 101 parti son tanto bene usufruttate, sia per parte dell’uomo oggetto di attiva caccia. Si adoperano vari mezzi per prendere le testuggini. In certe località si'approfitta del tempo della deposizione delle uova. Allora i cacciatori vanno ad appostarsi nelle isole deserte onde spiare le testuggini che in quel tempo vi si recano. Ne seguono le traccie sulla sabbia. Allorchè sono trovate, chiudono loro la ritirata, le circondano, le arrovesciano sul dorso, con pali o semplicemente colle mani. Siccome in questa posizione non possono più muoversi, così i cacciatori sono sicuri di ritrovarle allo stesso posto, quando verranno a prenderle per ucciderle e portarle via. Vengono dunque lasciate sull’arena della spiaggia supine, e si continua la caccia fino a notte (fig. 27). L’indomani i cacciatori cominciano la carneficina di quei poveri animali che non hanno altra colpa che di essere utili all’ industria umana. Nel 1802 la ciurma di una nave francese sorprese una testug- gine femmina nell’isola di Lobos. Gli uomini stentarono molto a rovesciarla sul dorso, perchè era tanto forte che li trascinava seco mentre tentava fuggirsene in mare. Finalmente riuscirono nel loro intento. La sua testa era grossa come quella di un bambino, e il becco quattro volte più grande di quello di un pappagallo. Pesava 130 chilogrammi, e fornì carne a sufficienza per tutta la ciurma. Aveva nel corpo 347 uova. Le Testuggini si prendono anche entro grandi reti in larghe maglie, nelle quali l’animale rimane impigliato col capo e colle zampe. Fatto così prigioniero, non può più venire a respirare alla superficie dell’acqua, e muore asfissiato. Certi pescatori prendono le Testuggini marine col rampone, al momento ch’ esse vengono a respirare l’aria alla superficie dell’acqua in alto mare. Il rampone, legato a una corda, penetra nelle scaglie. Si lascia andare la corda per un certo tempo, poi si tira verso il bastimento. Un metodo di pesca ancor più curioso si pratica sulle coste della Cina e del canale di Mozambico. Qui i pescatori non sono uomini, ma pesci. Questi pesci, affini alla Remora, di cui parle- remo a suo tempo, son noti col nome di pescì pescatori. Hanno sul capo una ventina di piastrelle parallele, che for- mano due serie, ornate, sui margini, di piccoli uncini. I pesca- tori tengon molti di questi pesci vivi entro bigoncelli d’acqua. Quando veggono una testuggine addormentata, le si accostano e gettano uno di questi pesci in mare. Il pesce si slancia sul rettile, vi si appiccica, mercé il disco cefalico. Siccome è legato 112 ORDINE DEI CHELONII ad una lunga corda, per mezzo dell’ anello di cui è fornita la sua coda si tira il pesce pescatore e la sua vittima. Come vedete è un nuovo genere di pesca all’ amo, dove l’amo è vivo, e in- segue egli stesso la preda nelle acque. Chelonie e Sfargidi. — Non si conoscono finora che una die- cina di specie di testuggini marine, che si dividono in due generi: le Chelonie e le Sfargidi. La Chelonia franca o Testuggine franca (fig. 29) era nota agli Fantichi. Plinio dice che gli abitanti delle spiaggie del mar mm fmi Fig. 29. Testuggine franca (marina). Rosso ne facevano loro nutrimento quasi esclusivo. La sua scaglia è fatta a mo’ di cuore, poco allungata, di color fulvo con moltissime macchie castagne, ma cangianti in verdastro. Ha il dosso arrotondato e le scaglie vertebrali esagone. È lunga in tutto da un metro e 60 centimetri a dmne metri, con una larghezza minore di un quarto. Il suo peso varia da trecento cinquanta a quattrocento cinquanta chilogrammi. Questo ultimo peso è quello di una Testuggine franca che il mare rigetto nel porto di Dieppe nel 1752. Nel 1754 ne venne presa un’altra, nei dintorni di Antiochia, che pesava a un di- presso lo stesso e che misurava 2 metri e 60 dal muso fino CHELONIE E SFARGIDI i do alla coda. La scaglia sola era lunga un metro e mezzo. Pro- dusse cinquanta chilogrammi di grasso. La Testuggine franca, che si chiama anche Testuggine verde pel colore verde del suo grasso, vive nell'Oceano Atlantico. Preferisce dimorare presso le isole e le coste solitarie. È la specie più nota di questa famiglia, e quella cui si riferiscono quasi esclusivamente i particolari intorno ai costumi da noi dati più sopra. Riesce facile portarla viva in Europa, e il giar-. dino zoologico del Museo di storia naturale di Parigi ne ha posseduto parecchie. La Testuggine franca che ha una carne dilicatissima e un = — TL Zelahane Fig. 50. Testuggine imbricata (marina). grasso molto saporito, serve a fare quelle celebri zuppe di testuggine, di cui son tanto ghiotti gl’ Inglesi. La zuppa di testuggine è infatti la gloria della cucina inglese, ma è d’in- venzione recente; fu l'ammiraglio Anson che portò nel 1752 la prima testuggine che venne mangiata a Londra. La zuppa di testuggine fu per lungo tempo una vivanda costosa, ma i pro- gressi della navigazione resero quest’ animale più comune che altre volte, per cui oggi abbonda sui mercati di Londra. La maggior parte della tartaruga adoperata nell’industria vien fornita dalla Testuggine franca. È la scaglia, cioè la parte su- periore, che si adopera per preparare la tartaruga: il pettorale, O parte inferiore non serve a nulla. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 15 114 ORDINE DEI CHELONII La Chelonia imbricata * (fig. 30) somministra una tartaruga migliore di quella della Testuggine franca. Le scaglie, in questo animale, sono imbricate, e non semplicemente accostate, cioè si prolungano all’indietro le une sulle altre, ricoprendosi come le tegole di un tetto. Le mascelle di questa chelonia sono forti, allungate e ricurve verso la estremità, le zampe hanno unghie. La sua mole e il suo peso sono un po’ minori di quelli della Testuggine franca. Questa Testuggine imbricata si trova nell’ oceano Indiano e nei mari d'America. Si ciba di piante marine, di molluschi e di pesciolini. Le sue uova son buone a mangiarsi, ima la sua carne è cattiva. Non se ne fa caccia che per la scaglia. CV AND SN =—ee== ZITTI A SIN = ESE Fig. 51. Testuggine cauana. Questa scaglia che forma lo scudo delle testuggini è una so- stanza differente dal corno dei ruminanti, perchè non è nè fibrosa, nè lamellosa. È anche più trasparente e più dura. Sembra consistere in un trasudamento della materia mucosa e albuminosa, al tutto omogenea nella sua natura e che tuttavia assume i colori più vaghi. Nei paesi ove si fa caccia della Testuggine franca o della im- bricata, si toglie la scaglia all'animale, e la si spedisce in Eu- ropa. Per avere la tartaruga, si rende molle questa scaglia col I Fr., Caret. CHELONIE E SFARGIDI 115 calore dell’acqua bollente. Poi si spiana e si raddrizza met- tendola sotto il torchio. Le lastricine che si ottengono in tal modo, formano la tartaruga greggia, che poi vien lavorata e le- vigata. Questa tartaruga greggia, resa pieghevole dal calore, si foggia in tutte le forme che si vogliono. Se ne fanno vari 0g- getti: pettini, scatole, e simili. La Testuggine cauana (fig. 31) ha, come la testuggine franca, le scaglie solo raccostate. Di color bruno o castano scuro, abita il Mediterraneo e l’ oceano Atlantico. È lunga circa 1 metro e 25, e il suo peso varia dai 150 ai 200 chilogrammi. Questa Testuggine è voracissima, e si nutre specialmente di molluschi. La sua carne è cattiva e non si adopera il suo grasso che come olio da bruciare. Le Testuggini del genere Sfargide hanno il corpo ravvolto in una pelle coriacea, tubercolosa nei giovani individui, al tutto liscia negli adulti. Le zampe non hanno unghie. Non si conosce di questo genere che una sola specie, la Sfargide liuto o Testug- gine liuto (fig. 32), così chiamata per la forma della sua scaglia, che rassomiglia più o meno al liuto degli antichi, o perchè questa medesima scaglia si dice abbia servito di modello ai Greci per fabbricare i primi liuti. Questa Testuggine marina, che s'incontra nel Mediterraneo e nell’ oceano Atlantico, ha le stesse abitudini della Testuggine franca. Il suo corpo è di un bruno chiaro, colle carene della 116 GRDINE DEI CHELONII scaglia fulve. Il capo è bruno, le estremità nerastre orlate di giallo. Vien lunga da due metri a due metri e mezzo sopra una larghezza di circa un quinto della sua lunghezza. Pesa notevolmente, "perchè talora giunge fino a 700 od 800 chilo- grammi !. 4 Fra le testuggini che si osservano nella collezione del Museo di Mi- lano, sono degne di considerazione le seguenti: Testudo carbonaria Spix., del Brasile; spoglia di un vecchio individuo. Testudo elephantopus Harl., dell'Isola Galapagos; rimarchevole pei suo volume. Chelis fimbriata Schneidg., del Brasile. Emisaurus serpentinus Dum. e Bib., dell'America settentrionale. Trionye Egyptiacus Geoff., dell’Egitto. Chelonia imbricata L., dell'Oceano indiano. Chelonia midas L., dell'Oceano atlantico. Sphargis coriacca L., dell'Atlantico e del Mediterraneo. Questi esemplari danno pregio alla raccolta del Museo. (Nota del Tr.) ANFIBI 0 BATRACI Gli animali che compongono. questa classe sono stati per lungo tempo messi insieme coi rettili, mentre ne differiscono per un carattere fondamentale della loro organizzazione. Na- scendo, respirano per branchie, e in conseguenza rassomigliano ai pesci. Tanto per le forme quanto pei costumi e per la orga- nizzazione, questi animali, fisiologicamente, sono pesci in quel periodo della loro esistenza. Crescendo in età, sopportano una grande metamorfosi: assumono polmoni, e quindi hanno respi- razione aerea. Si comprende pertanto agevolmente che questa classe d’ animali non potrebbe venir messa, come si usò per molto tempo, fra i rettili, che sono animali dalla respirazione aerea, ma che debbono formare una classe particolare di ver- tebrati. | i Gli Anfibi formano l’anello di transizione fra i Pesci ed i Rettili, uniscono in certo modo questi due scompartimenti d’ ani- mali. Come vediamo, le classificazioni sbagliano sovente: i dotti fanno divisioni, la natura fa transizioni. Gli Anfibi, allo stato adulto, sono animali dal sangue freddo, dal circolo incompiuto, dalla respirazione poco attiva, e dalla pelle nuda. Abbiamo già parlato precedentemente dei loro ca- ratteri generali. Gli Anfibi portano pure il nome di Batraci, che in greco significa rane. Le Rane, le Raganelle, i Rospi, i Pipa, le Salamandre ed i Tritoni o Salamandre acquaiole, sono i rappresentanti delle principali famiglie di Anfibi di cui stiamo per delineare la istoria. Rana. — La Rana! ha sofferto grandemente della sua ras- { Fr., Grenouille; ingl., Frog; ted., Frosch. 118 ANFIBI 0 BATRACI somiglianza col rospo, perchè questa circostanza fa nascere nella mente di molte. persone sgradevoli prevenzioni contro questo piccolo ed innocuo anfibio. Se il rospo non esistesse, la rana ci parrebbe foggiata curiosamente, e ci interesserebbe pei fenomeni di trasformazione che presenta nei diversi stadii del suo sviluppo. Vedremmo in essa un animale utile, innocuo, dalle forme svelte, dalle membra sciolte ed agili, dal corpo adorno di quel bel colore verde che riposa tanto l’ occhio e che si confonde armonicamente col morbido tappeto dei nostri prati. Il corpo della tana comune (fig. 88) può giungere ad oltre due decimetri, dalla punta del muso fino alla estremità delle zampe posteriori. Il suo muso è aguzzo; gli occhi son grossi sporgenti?, e cerchiati di un color d’oro. Ha la bocca grande; il suo corpo, che va ristringendosi dietro, presenta sul dorso tubercoli ed asperità. Sopra è color verde più o meno scuro, sotto è bianco. Questi due colori, che si maritano benissimo, risaltano ancora per tre fasce gialle, che si estendono lungo il dorso, e per macchiette nere sparse qua e là. Sarebbe dunque obbedire ad una increscevole prevenzione, il volgere altrove l’occhio allorchè s’incontrain campagna questa creaturina saltellante, leggera, dalle movenze svelte e dall’atteg- giamento grazioso. Non dobbiamo quindi vedere con disgusto il margine dei nostri ruscelli rallegrato dai colori di queste crea- turine ed animato dai loro salti. Osserviamone in mezzo agli stagni i maneggi, ove rallegrano quella solitudine, senza inter- romperne la tranquillità. Le rane escono spesso dall’ acqua, non solo per cercarsi il cibo, ma anche per scaldarsi al sole. Quando stanno così in riposo, col capo alto, il corpo sollevato sulle zampe anteriori, e appoggiato sulle posteriori, hanno piuttosto l’ atteggiamento di un animale di una specie superiore, anzichè di un rettile abbietto e fangoso. Le rane si nutrono di larve, d’ insetti acquatici, di vermi, di piccoli molluschi. Preferiscono sempre la preda viva e che si muova; si mettono in agguato per abboccarla, e quando l’hanno veduta vi piombano sopra con grande vivacità. Lungi dall’ esser mute come parecchi quadrupedìi ovipari, le rane mandan suoni. Le femmine fanno sentire un brontolio particolare e poco rumoroso, prodotto dall’ aria che vibra entro a due borse vocali collocate ai lati del collo; ma il grido dei maschi è forte e si sente da molto lontano. È un gracidare che il poeta greco Aristofane cercò d’imitare mercè consonanti RANA 119 disarmoniche , brekekeukoax, coax! Specialmente in tempo di pioggia e nei giorni caldi, la sera ed il mattino, le rane man- dano questi suoni confusi. Cantano in coro, e la monotonia di questa melanconica melopea è noiosissima. Durante il feudalismo, in quel tempo beato delle età di mezzo a cui certe persone bramerebbero ricondurci, i castelli dei si- gnori e dei gentiluomini del paese erano circondati da fossi pieni solo per metà d’acqua, ove brulicava un esercito gracidante di rane. I vassalli e i contadini erano obbligati di battere il mat- tino e la sera l’acqua di quei fossi acciò le rane non distur- bassero il sonno dei padroni dei suddetti castelli. Oltre le grida stridule prolungate che abbiamo menzionato sopra, il ranocchio in certi tempi, per chiamare la femmina, manda grida sorde e lamentose che i Romani chiamavano ololo 0 ololygo, « perchè, dice Lacépède, l'accento dell'amore è sempre misto ad una certa dolcezza. » Quando viene l’autunno le rane perdono la loro consueta vora- cità. Non mangian più; e per ripararsi dal freddo si affondano, tutte riunite, assai profondamente nella melma, e nello stesso luogo. Così sepolte passano l'inverno in istato di torpore. Tal- volta il freddo fa gelare il loro corpo senza farle morire. Questo letargo si dissipa ai primi giorni di primavera. Già dal mese di marzo le rane cominciano a svegliarsi e a muo- versi. In questo tempo si riproducono. Son tanto feconde, che una femmina può fare ogni anno da seicento a mille e due- cento uova. i Queste uova sono rotonde e fatte di una sfera glutinosa e trasparente, entro la quale si scorge un globettino nerastro. Le uova galleggiano, formando una specie di rosario 4 sulla super- ficie dell’ acqua. Chiunque abbia osservato un po’ attentamente, in questo tempo, le pozzanghere delle campagne, avrà veduto galleggiare sull’acqua queste leggiere ed eleganti zattere. Dopo qualche giorno, più o meno secondo il grado di calore atmosfe- rico, il globettino nero che era l'embrione e che si è sviluppato nell’ uovo a spese della massa glutinosa che lo avvolgeva, si svolge e si slancia nell'acqua: è il girino della rana. Il corpo del girino, di forma ovoide, termina in una lunga coda compressa, che è una vera natatoia. Da ogni lato del collo stanno due grandi branchie, foggiate a pennacchio. Il girino i Le uova delle rane non sono disposte in rosari, bensì scorgonsi in ammassi appiccicati per la materia glutinosa che le circonda. Sono vera- mente disposte a mo di rosari le uova dei rospi. (Nota del Trad.) 4120 ANFIBI O BATRACI non ha zampe. In breve questi ciuffi branchiali avvizziscono, quantunque la respirazione si mantenga sempre acquatica, per- chè il girino ha inoltre come il pesce branchie interne. Poco tempo dopo, le zampe cominciano a spuntare. Le estremità posteriori son quelle che appaiono per le prime. Esse diven- gono molto lunghe prima che le zampe anteriori comincino a spuntare. Le zampe anteriori si sviluppano sotto la pelle, cui forano in seguito. Allorchè le zampe sono sviluppate, la coda comincia ad avvizzire e si va, man mano atrofizzando, per modo che nell’animale perfetto è al tutto scomparsa. Intanto i polmoni cominciano a svilupparsi e funzionare. Nella fig. 34 si possono osservare le fasi successive della trasformazione del- l’uovo della rana in girino, poi in animale perfetto. Durante questi maravigliosi mutamenti, si vede il pesce di- venir man mano anfibio. Per tener dietro giorno per giorno a questa strana metamorfosi, basta raccogliere uova di rane, e collocarle con alcune erbe acquatiche in un acquario o in un recipiente ove si tengono i pesci rossi. È questo uno spettacolo RANA 121 curiosissimo, e consigliamo i nostri lettori a procurarsi un tale passatempo istruttivo e facile. i Oggi si riconosce l’esistenza di due specie di rane europee: La Rana comune e la Rana rossa. La Itana comune è quella che abbiamo descritta e rappresentata (fig. 33). Trovasi nelle acque correnti e stagnanti 4. La Fontaine mette in scena questa specie nelle sue favole. La Rana rossa 0 Rana temporaria, un po’ più piccola della Fig. 54. Svolgimento del Girino. 1. Uovo di rana. — 2. Uovo fecondato e ravvolto in una vescichetta. — 3. Prima. età del girino — 4. Comparsa delle branchie respiratorie. — 5. Svolgimento delle branchie del girino. — 6. Formazione delle zampe posteriori del girino. — 7. Formazione delle zampe anteriori; soppressione graduata delle branchie. — 8. Svolgimento dei polmoni, diminuzione della coda. — 9. Rana perfetta. precedente, abita i luoghi umidi, i campi, ed i vigneti. Non sta nell’acqua che per riprodursi e passarvi l’inverno ?. 1 Anche in Lombardia questa specie di rana è più comune. La rana rossa è pure assai comune, massime nei siti palustri e nelle risaie. (Nota del Trad.) 2 Questa specie di rana si trova a grandi altezze sulle Alpi del Pie- monte, e si trova anche, sebbene assai più rara, sulla spiaggia della Liguria. (Nota del Trad.) Ficuren. Rettili, Pesci e Animali articolati. 16 122 ANFIBI 0 BATRACI La carne delle rane è tenerissima, molto bianca e assai d licata. Invero è molto a torto che non si apprezza ‘questo cibo. Cucinate e condite a dovere, le rane hanno un sapore che rammenta quello dei polli giovani. Quasi in tutta la Francia la carne delle rane è tenuta in poco conto; solo nelle provin- cie del mezzogiorno si osa mostrare questo gusto, e si pescano e si vendono al mercato le rane. Quindi non ho mai compreso perchè gl’Inglesi allorchè voglion deridere i Francesi li chiamano mangiatori di rane! Questo rimprovero si potrebbe rivolgere meglio ai Provenzali e agli abitanti della Linguadoca, come l’au- tore di questo libro !. Raganella. — E facile distinguere la Raganella ? 0 Ranocchio verde (fig. 35) dalle rane, pei piccoli rigonfiamenti che ha sotto le dita. Questi piccoli organi sono specie di ventose che per- mettono all'animale di attaccarsi fortemente a tutti i corpi, per quanto siano lisci. Il ramo meno scabro, la pagina inferiore di una foglia, bastano per dar presa e punto d’appoggio a questo organo dilicato. La Raganella ha la parte superiore del corpo di un bel colore verde: sotto il ventre, ove si osservano alcuni piccoli tubercoli, è bianca. Una fascia gialla, lievemente orlata di violetto, si al- lunga da ogni parte del capo e del dorso, dal muso fino alle zampe posteriori. Un striscia simile domina dalla mascella superiore fino alle zampe anteriori. Il suo capo è corto, la bocca rotonda, gli occhi alti. Molto più piccola della rana, è ancor più graziosa. D’ estate vive sulle foglie degli alberi, nei boschi umidi, passa l’inverno in fondo all’acqua, e non ne esce che al mese di maggio quando ha già deposto le uova. Si nutre d’insettini, di vermi, di molluschi nudi, e sta in agguato sempre nello stesso luogo per giorni interi. Finchè splende il sole, ri- man celata nel fogliame degli alberi; ma appena comincia il crepuscolo, allora si mette in giro e si arrampica sugli alberi. 1 In Torino si mangia in grandissima copia tanto la rana comune quanto la rossa. Nel Vercellese, nel Novarese, come in tutta la Lom- bardia, si mangia la rana comune, ma si abborre dal mangiare la rana rossa. I Liguri, siccome i Sardi, abborrono dal mangiare qualsiasi sorta di rane. (Nota del Trad ) 2 Questo ranocchio si chiama anche Jla dal nome generico latino Hyla. Prende pure il nome di Ranetta, Rana d'albero, Rana di San Martino e Ranetta di San Pietro. Con quest’ ultimo nome è più comunemente conosciuta in Lombardia, dove è assai frequente. Fr., Rainette. (Nota del Trad.) RAGANELLA 123 Ripeteremo per le Raganelle ciò che abbiamo detto per le rane: giova abbandonare ogni pregiudizio a loro riguardo, e allora si osserverà con molto piacere la bellezza dei loro colori che armonizzano tanto bene col verde delle foglie; si noteranno le loro astuzie ed i loro agguati; si terranno d’ occhio nelle loro piccole caccie; si vedranno rimaner arrovesciate sulle foglie, in una posizione che parrebbe meravigliosa se non si conoscesse l'organo di cui son fornite per potersi attaccare ai corpi più lisci. Questo spettacolo procurerà una soddisfazione pari a quella che dà la vista del piumaggio, dei movimenti, del volo di molti uccelli. Il gracidare delle Raganelle rassomiglia abbastanza a quello Fig. 55. Raganella. delle rane, sebbene sia meno aspro, e talvolta nei maschi più sonoro; si può esprimere colle sillabe caracarac, pronunziate di gola. Questo grido sopratutto si fa sentire il mattino e.la sera. Appena una Raganella comincia a gracidare, tutte le altre la imitano. Nelle notti tranquille la voce di un branco di questi piccoli anfibi si sente fino alla distanza di una lega. Rospi. — I RRospi! hanno forme tozze e spiacevoli. Non si capisce come mai la natura, che diede alle rane o alle raganelle così bei colori e anche una certa grazia, abbia potuto infliggere ai rospi un aspetto così ripugnante. 1 Lat., Bufo; fr., Crapaud; ingl., Toad; ted., Kròte. {24 ANFIBI 0 BATRACI Queste creature malgraziate occupano un vasto posto nel- l'ordine della natura; sono sparse profusamente, ma non si può dire esattamente con quale scopo particolare !. ‘ Il Rospo comune (fig. 36) è tozzo e pesante. Ordinariamente è di color grigio livido, macchiettato di bruno e di giallastro. Un gran numero di pustole e di verruche lo rendono ancor più brutto. Una pelle spessa e dura ricopre il suo dorso appiattito. Il suo largo ventre par sempre gonfio; il capo è un po’ più grosso del rimanente del corpo, la bocca è grande, gli occhi son grossi e sporgenti. Abita per solito in fondo ai fossi, specialmente in quelli ove marcisce da un pezzo acqua fetida e puzzolente. Sta anche nei letamai, nelle cantine, nei luoghi umidi ed oscuri dei boschi. Quante volte sollevando un sasso abbiamo provato una disgustosa sorpresa trovandovi sotto un Rospo rannicchiato, stomachevole a vedersi, e, vergognoso in certo modo di sè stesso, come cerchi nascondersi con tristezza agli occhi degli estranei! Il Rospo riman celato in questi fetidi ed oscuri asili tutto il giorno. Preferisce uscire la sera, e camminare anzichè correre. Quando si vuol prenderlo, lascia sgorgar nella mano tutto ciò che contiene la vescica orinaria. Se viene stuzzicato maggior- mente, allora un liquido lattiginoso e velenoso sgocciola dalle verruche del dorso. Una curiosa particolarità della sua struttura lo difende un poco dalle aggressioni esterne. La sua pelle, molto estensibile, aderisce pochissimo ai muscoli, e può a piacimento dell’ ani- male lasciare fra questo integumento e la carne una certa quantità d’aria, che gonfia il corpo e lo tiene in mezzo ad uno strato elastico di gaz, mercè il quale è meno sensibile agli urti esterni. I Rospi vivono d’insetti, di vermi e di piccoli molluschi. La sera, sopratutto nel tempo degli amori, mandano un canto la- mentoso e dolce. Vanno nelle acque degli stagni o anche solo nelle pozzanghere, per accoppiarsi e deporvi le uova. Dopo nati, i piccoli sopportano le stesse fasi dei girini delle rane 2. ! I rospi sono molto utili per la distruzione che fanno di animaletti nocevoli, sovratutto di chioccioline tanto danose alla orticoltura. Oggi in molte parti sì cercano e si tengono con cura in buon numero i rospi negli orti e nei giardini. (Nota del Trad.) 2 In Lombardia sono abbastanza comuni due specie di rospi; una di esse è comunissima e da tutti conosciuta, l’altra è spesso confusa calle rane. (Nota del Trad.) ROSPI 125 La loro vita poco attiva è nondimeno molto tenace. Respirano poco, van soggetti a letargo, e quindi possono rimanere per un tempo assai lungo rinchiusi in un luogo ristretto. Nondimeno non bisogna credere a tutto ciò che si è scritto sulla longevità del Rospo, e sulla scoperta di questi animali trovati vivi entro un sasso. È un errore di osservazione, che deriva dalla somma agevolezza che possiele il Rospo di na- scondersi nelle più strette cavità delle pietre poste nei luoghi oscuri. Quest’animale ributtarte, e che la natura ha fornito di un li- quido velenoso, arme offensiva e difensiva efficacissima !, questo mirabile lebbroso, questo solitario romito che fugge la vista Fig. 56. Rospo. dell’ uomo come se comprendesse che egli macchia il quadro splendido della natura, è nondimeno capace di educazione. Di- vien famigliare e anche si addomestica in certi casi; ma questi casi sono ben rari! Il zoologo Pennant ha riferito curiosi particolari intorno a un povero Rospo il quale, nascostosi sotto la scala di una casa, erasi abituato a venire tutte le sere, appena vedeva il lume, in una stanza da pranzo vicina al luogo ove si nascondeva. Si ! Non sì può dire che il liquido, prodotto dalle ghiandolette cutanee che ricoprono sovratutto il dorso e i lati dietro al capo del rospo, sia un’arme offensiva : l’uomo può da’ questo liquido trarre un veleno : il rospo non può adoperario come tale. (Nota del Trad.) 126 ANFIBI O BATRACI lasciava prender e porre sopra una tavola, ove gli davano da mangiare vermi ed insetti. Siccome nessuno gli aveva mai fatto male, non s’ irritava quando lo toccavano. In breve divenne grazioso (grazioso come un rospo!) e fu oggetto della curiosità generale. Anche le signore volevano vedere quell’ animale fa- migliare. Il povero anfibio visse così per lo spazio di trentasei anni. Avrebbe vissuto anche di più, se un corvo domestico, ospite esso pure della stessa casa, non fosse andato ad aggredirlo nel Fig. 57. Pipa d America. suo buco, e non gli avesse levato un occhio. D’allora in poi ri- mase sempre malaticcio, e morì in capo a un anno. Pipa. — Accanto ai rospi stanno i Pipa, il cui aspetto è tanto strano quanto schifoso. Hanno il capo piatto e triangolare. Un collo cortissimo separa questo capo dal tronco, esso pure depresso e appiattito. I loro occhi sono estremamente piccoli, di un color olivastro più o meno chiaro, e macchiettati di pun- tini rossi o rossicci. Non hanno lingua. Non esiste che una sola specie di ipa, il Pipa d'America PIPA, URODELI O SALAMANDRE 1437 (fig. 37), che abita la Guiana e parecchie provincie del Brasile. Ciò che rende questo anfibio così curioso si è il suo modo di riprodursi. È oviparo, ma non lascia nell’ acqua le sue uova come fanno i pesci. Quando la femmina ha fatto le uova, il maschio le prende, e distende sul dorso della compagna la sua futura figliuolanza, poi li feconda. Le femmine che portano sul dorso le uova fecondate, vanno poi negli stagni e vi si tuffano. In breve la pelle del dorso che regge le uova, risente una infiammazione risipolosa !, specie di irritazione prodotta dalla presenza delle uova, che allora ri- mangon racchiuse nella pelle, e scompaiono sotto questo in- tegumento. I giovani Pipa si sviluppano in questi piccoli alveoli materni. In breve si schiudono, e rimangono in tali alveoli finchè siansi sufficientemente sviluppati. Quando ne escono, hanno la forma degli adulti. Solo dopo che si è liberata della sua figliuo- lanza la femmina abbandona la sua dimora acquatica. Urodeli o Salamandre. — Le Salamandre ed ì Tritoni 0 Sala- mandre acquaiole, sono stati chiamati Urodeli, nome di famiglia che unisce queste varie specie. Il carattere esterno costante che distingue questi anfibi in modo generale, è la presenza della coda per tutta la loro vita. Nondimeno van soggetti alla metamorfosi che sopportano tutti gli altri anfibi senza coda. Fu questa particolarità che fece dar loro il nome di Urodeli (coda manifesta) ?. Le Salamandre è furono onorate di racconti favolosi. I Greci credevano che potessero vivere nel fuoco; e questo errore, che ebbe credito per tanto tempo, non è ancora al tutto dissipato neppure oggi. Moite persone hanno la ingenuità di credere che quelle innocenti ibestioline siano incombustibili. L’ amore del meraviglioso, mantenuto con cura e eccitato dall’ ignoranza e dalla superstizione, è stato spinto ancor più lontano. Si è per- fino preteso che il fuoco più ardente si spegne quando vi si ! L'allogarsi delle uova del Pipa nella pelle del dorso del progenitore, non ha nulla che fare con un processo comparabile ad una infiamma- zione. Si tratta di cellette o cavità preesistenti che si dilatano, ricevute le uova, ed albergano il piccolo girino, che rapidissimamente vi compie le sue metamorfosi. (Nota del Trad.) 2 Le rane ed i rospi invece sono anuri, ossia privi di coda. (N. d. 7.) 5 In tutte le lingue ha questo nome di Salamandra, fuorchè in tedesco, che si dice anche Erdmrolch ; e il tritone Wassermolch. (Nota del Tr.) 128 ANFIBI O BATRACI getti dentro una salamandra. Nel medio evo, questa opinione era creduta dalla maggior parte degli uomini, e si sarebbe corso qualche rischio a dire il contrario. La salamandra era l’animale necessario per gli scongiuri delle streghe e degli stre- goni. I pittori non mancavano mai di rappresentare nei loro quadri simbolici una salamandra che resisteva al fuoco del più ardente bracere. È stato necessario che i fisici ed i filosofi si dessero la pena di dimostrare coll’ esperimento l’ assurdità di queste favole. La Salamandra terrestre 6 giallo-nera (fig. 38) ha il corpo nero, verrucoso, con grandi macchie irregolari, di color giallo, sparse sul capo, sul dorso, sui fianchi, sulle zampe e sulla coda. = ò 2S >=" Fig. 58. Salamandra terrestre. Ricerca i luoghi umidi ed oscuri e non esce guari dal suo na- scondiglio che il mattino e la notte. Cammina lentamente trascinandosi a stento sul terreno, e vive di mosche, di scara- bei, di chiocciole e di lombrici. Rimane nell’ acqua per fare i piccoli che nascono vivi, e forniti già di branchie svilup- patissime. Del resto, la salamandra ha un privilegio che la fa temere come un essere malefico. Dalla superficie del suo corpo fa uscire un umore vischioso, acre e lattiginoso, di un odore forte, che le serve di difesa contro le aggressioni di parecchi animali. Mercè alcuni sperimenti si è riconosciuto che questo liquido introdotto da una piaghetta nel sistema della circola- URODELI 0 SALAMANDRL 129 zione, è un veleno potentissimo per piccoli animali e può pro- durne la morte !. Questa specie si trova in tutta l’ Europa; è stata presa, ma raramente, nei dintorni di Parigi 2. La Salamandra nera, che non presenta macchia alcuna, trovasi nelle alte montagne d’ Europa, presso le nevi, principalmente nelle Alpi *. I Tritoni o Salamandre acquaiole (fig. 39) non hanno la coda rotonda e conica come le salamandre, ma compressa. lateral- mente. I maschi si riconoscono specialmente per la cresta membranosa === = = . i Fig. 59. Salamandra acquaiola, o Tritone. e frastagliata che si estende loro lungo il dorso, dal capo alla punta della coda 4. h 1 Il professore Albini, dell’ Università di Napoli, ha dimostrato come, trattando chimicamente questa sostanza, se ne ottenga un veleno poderosis- simo. (Nota del Trad.) 2 In Italia la Salamandra giallo-nera è comune dappertutto. In Lom- bardia si incontra nei boschi, lungo le fontane e i muri umidi, nei monti e nei colli, ma non al piano. Il prof. Savi ha descritto, siccome distinta, una specie che si trova in Corsica. (Nota del. Trad.) 5 Nelle Alpi piemontesi, ad una certa altezza, la Salamandra nera è pure molto comune. (Nota del Trad.) 4 Questa cresta non è in tutte le specie di Tritoni; e quando c’è, ap- pare solo nella stagione degli amori. (Nota del Trad.) Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 17 130 ANFIBI O BATRACI I Tritoni sono animali essenzialmente acquatici, che stanno nei rigagnoli, negli stagni, nelle paludi, e che di rado vengono sulla terra. Sono carnivori e vivono di mosche, di vari insetti, di uova di rane, e non risparmiano neppure gli individui della stessa loro specie. Le femmine fanno uova isolate che attaccano sotto le foglie dei vegetali acquatici. I piccoli girini che con- servano a lungo le loro branchie, non nascono che una quindi- cina di giorni dopo. Quando si toccano questi animali fanno sentire un suono particolare, e mandano un odore al tutto caratteristico. * Si è riconosciuto che i Tritoni possono vivere assai a lungo, non solo in un acqua freddissima, ma anche in mezzo al ghiac- cio. Talvolta rimangono rinchiusi nei pezzi di ghiaccio che si formano nei fossi, e negli stagni ove dimorano. Quando questo ghiaccio si scioglie, escono dal loro torpore e riprendono i loro movimenti nello stesso tempo che la loro libertà. Lacépède narra cho si sono anche trovate in estate alcune salamandre acquaiole rinchiuse entro a pezzi di ghiaccio tolti fuori dalle ghiacciaie, ove avevano dovuto rimaner senza cibo e senza muoversi dal momento in cui si era raccolto il ghiaccio negli stagni per metterlo nelle ghiacciaie. I Tritoni presentano un altro fatto notevole, nella meravigliosa agevolezza con cui riparano le mutilazioni che si fanno loro subire. Non solo la coda torna a spuntare dopo essere stata tagliata, ma anche le zampe si riproducono similmente, e pa- recchie volte di seguito. Molto di frequente trovasi nei dintorni _di Parigi il Tritone crestato !, che ha la pelle del dorso rugosa, di un bruno verdiccio con grandi macchie nere e punti bianchi sporgenti, e di cui il ventre presenta macchie nere sopra un fondo aranciato. - 1 Questa specie di Tritone è pure sini in Italia, insieme a parecchie altre. Da noi in Lombardia se ne trovano 5 specie: Il Tritone crestato, il palmato, ed il puntato, che hanno tutti le stesse abitudini. Questi anfibi furono studiati diligentemente dal naturalista lombardo Rusconi, che ne ha fatto argomento di sue dottissime memorie accade- miche. Un altro naturalista lombardo, il De Filippi, ha pure fatte e pub- blicate importanti osservazioni intorno a questi animali. La quistione poi della riproduzione delle parti in queste ed in altre specie di anì- mali è di tutta attualità fra i naturalisti filosofi, ed ogni di nuovi fatti e scoperte sempre più interessanti vengono in luce. È però necessario tenersi ben guardinghi contro le esagerazioni e le fole che corrono sulla bocca del volgo per tutto ciò che ha del soprannaturale. (Nota del Trad.) SIRENA PROTEO, AXOLOTL 131 Il viaggiatore olandese Siebold ha fatto conoscere una specie di Salamandra acquaiola che abita le montagne più interne del Giappone, e che è notevole per la sua gigantesca mole. Invece di esser grosso un dito, come le nostre specie indigene, questo anfibio è lungo più di un metro e pesa oltre a nove chilogram- mi. Presentemente trovasi un bellissimo individuo di questa specie di salamandra nel serraglio dei rettili del Museo di storia naturale di Parigi. Sirena Proteo, Axolotl *. — Fino a questi ultimi anni vennero, dopo lunghe discussioni, considerati siccome anfibi immutabili, o perenni-branchi, alcuni animali che non si seppero allogare altrove se non che fra gli anfibi urodeli. Questi sono la Sirena, il Proteo anguino, e l’Axolotl. L’appellazione con cui vennero contrassegnati dipende da ciò, che essi conservano (almeno così si credeva ancora testè) perennemente le branchie. Oltre a ciò, hanno polmoni rudimentali. La Sirena abita nelle paludi della Carolina in America, ed ha questa notabile particolarità, di non avere che un solo paio di piedi, i piedi anteriori *. Piu singolare è il Proteo, il quale vive nell'acqua in perpetuo buio. Quando esso venga messo nell’ acqua alla luce ‘dà segno di molto patimento, ed in breve muore. Il Proteo si trova nei piccoli laghi sotterranei della Carniola, dove non penetra mai luce. Esso ha testa molto allungata e de- pressa, occhi tanto piccoli che non riescono visibili e sono con ogni probabilità inetti alla visione: è fornito ad un tempo, come la Sirena, di polmoni e di branchie, sembrando in tal modo possedere riuniti tutti gli attributi di un anfibio (fig. 40); è munito di quattro piedi, ed ha un colore bianco latteo , che alla luce si oscura *. ! L'autore avendo appena detto in principio qualche parola intorno agli animali interessantissimi di cui abbiamo messo in capo a questo capitolo i nomi, crediamo bene aggiungere qui questi cenni intorno ai fatti particolarissimi che li riguardano. Le cose più notabili e singolari in proposito si riferiscono all’Axolotl; e siccome un naturalista italiano, Arturo Issel, ne ha molto bene parlato, riferiremo in gran parte le stesse sue parole, pubblicate nell’Annuario scientifico industriale italiano. Anno IV, 1867. (Nota del Trad.) Un bell’esemplare di Sirena è conservato al Museo di Milano. Un Proteo si mantenne vivo al Musco di Milano per più di nove anni senza mangiare. — Attualmente quest’ individuo forma parte dei zatraci di esso Museo, i quali formano pure una raccolta di certa impor- tanza per la copia e la rarità degli esemplari. (Nota del Trad. 2 5 132 ANFIBI 0 BATRACI L’ Axolotl vive nel lago che circonda la città di Messico: si è di questo principalmente che vuolsi oggi fare menzione, pei fatti singolari che ha presentato in questi ultimi tempi, e che furono osservati dal naturalista francese A. Dumeril. Ecco come li riferisce il nostro Issel: Questi animali, il cui nome generico proviene dall’appellativo volgare di Axbrolote assegnato loro dai Messicani, sono batra- chidi urodeli (cioè muniti di coda), riferiti da quasi tutti i zoologi alla tribù dei perenni-branchi, di cui formano parte il Proteo Fig. 40. Proteo dei fiumi sotterranei della Carniola. della Carniola, la Sirena ed il Menobranco dell’ America set- tentrionale. Gli Axolotl furono studiati sotto il punto di vista sì zoologico che anatomico da non pochi naturalisti; ma ad onta di ciò fino ad ora rimase incerta la loro vera natura, imperocchè alcuni vedevano in loro animali perfetti, simili ai Protei e agli altri batrachidi a branchie persistenti, mentre altri invece manife- starono l’ opinione che fossero larve destinate ad assumere nuovi caratteri. Citerò fra i primi Barton, Tschudi, Hogg, Ga- = TL ' A X ato no L 10 olo È ST( neri! f lm VIGO SIRENA PROTEO, AXOLOTL 135 lori ed Horne, che adottarono una tale interpretazione in se- guito a considerazioni anatomiche e sopratutto dopo aver os- servato il completo sviluppo raggiunto dall’ apparato riprodut- tore sul batrachide messicano. Abbracciarono l’opinione opposta Schaw, Cuvier, Rusconi, Mayer, David, Latreille e Gray, fon- dandosi sull’ esistenza di vasi anastomotici fra le arterie e le vene dell’animale, sulla persistenza d’un opercolo corneo cu- taneo al disotto‘e all'indietro della mascella inferiore, e sulla imperfezione dello scheletro, caratteri tutti propri ai girini degli urodeli soggetti a metamorfosi. Spetta al Duméril il me- rito di aver dimostrato col fatto che l’ Axolotl. è veramente una larva, la quale in opportune condizioni raggiunge un ul- teriore sviluppo. Questo naturalista, osservando alcuni Axolotl viventi da circa un anno in un acquario del Museo di Storia naturale di Parigi, osservò (nel mese di dicembre del 1864 e nel gen- naio dell’ anno successivo) che una femmina acquistava un maggior volume dovuto vecisimilmente al gonfiarsi degli ovari, ed in pari tempo le labbra della cloaca diventarono turgide. Poco dopo, gli abitanti dell'acquario, manifestando insolita agita- zione, diedero opera alla riproduzione presso a poco nella stessa guisa dei Tritoni e degli altri Urodeli, cioè senza che si veri- ficasse accoppiamento. Il Duméril potè assistere alla partorizione delle uova che durò un giorno e mezzo, e che fu resa più agevole dai movimenti vivaci ed incessanti della femmina. Egli ebbe in- oltre ad accertarsi con ovvii esperimenti che la fecondazione si compie con estrema rapidità. Nel marzo dello stesso anno, nonchè nei mesi di gennaio, febbraio, aprile, giugno, dicembre, del seguente, e finalmente nel marzo e nel giugno del 1867, la medesima femmina pre- sentò nuove emissioni di uova, accompagnate dai soliti fenomeni e dalla stessa agitazione per parte degli altri individui. Fra gli Axolotl nati al principio del 1865, i quali avevano già raggiunto le proporzioni dei loro progenitori e da questi appena si distinguevano, si vide nello scorso settembre un in- dividuo che in brevissimo tempo avea subiti notevolissimi cambiamenti: i suoi ciuffi branchiali erano quasi spariti, le creste membranose della coda e del dorso erano scomparse, la forma stessa della testa appariva visibilmente modificata; e finalmente le estremità e la superficie del corpo presentavano numerose macchiette irregolari bianco-giallastre che spiccavano sulla tinta nera dell’animale. 136 ANFIBI O BATRACI Sul finire dello stesso mese, un secondo individuo subì ana- loghi cambiamenti, e di lì a poco anche un terzo ed un quarto. In seguito il numero degli individui passati allo stato perfetto giunse fino a 10. Diligenti osservazioni istituite durante le metamorfosi, posero in chiaro che queste si compiono interamente nello spazio di sedici giorni, durante i quali l’animale cessa quasi dal ci- barsi. I mutamenti esterni che subisce il batrachide sono accom- pagnati da cambiamenti nella sua interna struttura e segnata- mente nello apparato branchiale. Le metamorfosi inducono in esso una maggior semplicità, imperocchè i tre archi branchiali più interni spariscono, persistendo soltanto il più esterno, il quale perde i suoi margini membranosi seghettati e costituisce l’arti- colo posteriore delle corna tiroidi. Quanto alla porzione mediana dell’ osso ioide, si sviluppa molto, ed al pari delle altre ossa diventa più completamente ossificata. Col progresso della metamorfosi la faccia anteriore delle ver- tebre si fa meno incavata e i denti dei vomeri cangiano di luogo. Questi formavano da principio una piccola fascia diretta dall’innanzi all’ indietro e dall’ interno all’ esterno per ciascun lato e dietro l’osso intermascellare; ed in seguito facendosi più oblique, le due fasce s'incontrano sulla linea mediana e costitui- scono un angolo molto ottuso. Modificazioni non molto diverse si effettuano nei girini degli altri urodeli soggetti a metamorfosi ; delle analogie e delle differenze che presenta il fenomeno nelle varie specie, tratta diffusamente il signor Duméril nella me- moria precitata. L’atrofia e la caduta dei ciuffi branchiali è uno dei primi sintomi della metamorfosi. Il signor Duméril, dopo questa os- servazione, tentò con una semplice esperienza di determinare artificialmente l’atrofia dell’ apparato branchiale e di affrettare così il principio della trasformazione. Egli diminuì dapprima poco a poco il livello dell’ acqua nell’ acquario in guisa che i batrachidi rimanessero quasi all’asciutto e divenissero loro inu- tili le branchie. Non riuscì però nell’intento perchè gli animali deperivano, e sarebbero morti se non si fosse ristabilito il pri- mitivo livello del liquido nell’acquario. Il Duméril provò poi a recidere le branchie di alcuni Axo- lotl; ma siccome in virtù della straordinaria potenza di ripro- duzione dei tessuti nei batrachidi, gli organi rinascevano in breve tempo, egli dovette rinnovar di tanto in tanto l’operazione. Di sei Axolotl sottoposti all'esperienza, due si metamorfosarono SIRENA PROTEO, AXOLOTL 137 completamente in quattro o cinque mesi, un terzo dopo dieci mesi: gli altri tre non presentarono alcun sintomo di metamor- fosi, e verosimilmente rimarranno indefinitamente nello stato larvale. Giova intanto avvertire che una simile proporzione su- pera di molto quella che si è osservata negli individui che conservano intatte le branchie loro. Secondo l’opinione del Duméril, gli Axolotl, allorchè trovansi nelle condizioni normali, cioè nel paese d’onde sono originari, ed in libertà, debbono trasformarsi assai più sollecitamente. La schiavitù, e sopratutto il vivere in una località molto diversa da quella donde provengono, sono condizioni verosimilmente sfavo- revoli all’effettuarsi delle metamorfosi. Gli Axolotl allo stato perfetto assumono tutti i caratteri del genere Amblystoma (Tschudi) di cui si conoscono venti specie, e forse si riferiscono all’A. curidum di Hallowell. Anche al Museo di Milano esistono dall’ ottobre 1867 alcuni individui di questi Axol/ot!, speditivi da Parigi dallo stesso Du- meéril !, Per lungo tempo si mantennero essi costantemente eguali a sè stessi, facendo quasi disperare di poter ottenere nel nostro acquario la deposizione delle uova. Solo nell’estate del 1869 co- minciarono alcuni individui ad acquistare un volume maggiore ed a manifestare un’insolita agitazione; e la supposta deposizione di uova ebbe luogo, verificandosi in varie riprese quegli stessi fenomeni che furono già osservati in altre occasioni. Se però la fecondazione potè aver luogo anche nell’acquario del Museo di Milano, non si è per anco potuto notare alcuno di quei muta- menti che facciano presagire prossima la metamorfosi completa di questi animali. ! Ii prof. Cornalia, direttore del Museo ha pubblicata una relazione intorno a questi Axolotl, mentre intorno ad altri spediti dal Duméril al Museo di Napoli, ha scritto il prof. Panceri. Questi ultimi furono posti nel Lago d’Agnano. (Nota del Trad.) Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. . 18 Pinin stona 1 HA Ti t] “odgie evolita alri inno 5}) i iivrei Ù di rd i LA bd n "4 ‘ tal inhrribi sb fps Hei rdebo INCANTA «Otora 2 4 ” pr Pe Tala n : 1 Ri gros € MI Sarti ISU SL PESCI CLASSE DEI PESCI Prima di parlare della vita, dei costumi e del modo di vivere delle specie principali di pesci di mare e di acqua dolce, è ne- cessario dare una rapida occhiata alla loro organizzazione ed al modo con cui si compiono ie loro funzioni fisiologiche. I pesci sono destinati a vivere nell’acqua, e vanno debitori a questa circostanza di una impronta al tutto particolare. Sebbene abbiano forme svariatissime, sono in generale oblunghi, com- CY |} AGATA, AAA Ta ta , Agli 9 \\ ì\ ì \\ NN ì NÌ ATI è Ù N N LOSS Sì Cs = ‘ Fig. 42. Scheletro di Perca, o Pesce Persico. pressi lateralmente, un po’ assottigliati alle estremità. Non hanno collo, ed il capo si continua col tronco. Per lo più il loro corpo è coperto di squame, le quali in generale sono sottili, incassate nelle ripiegature della pelle, imbricate come le tegole di un tetto, e talvolta rassomigliano a granelli o a tubercoli. Notevolissime sono le varietà e lo splendore dei colori del corpo dei pesci. Questi colori rammentano l’ oro e l'argento, e 142 PESCI presentano tinte splendidissime, con infinite sfumature in az- zurro, in verde, in rosso ed in nero. Siccome i pesci sono conformati essenzialmente pel nuoto, le loro membra sono appropriate a questo modo di locomozione. Le membra anteriori, che corrispondono al braccio dell’ uomo ed all’ ala dell’ uccello, son fisse ai due lati del tronco, subito dietro il capo, e costituiscono le natatoie pettorali. Le membra posteriori occupano la parte posteriore del corpo, e sono dette natatoie ventrali. Inoltre i pesci hanno anche natatoie dispari. Quelle natatoie che si rialzano sul dorso si dicono dorsali; quella che sta al- l’apice della coda, vien detta caudale; finalmente spesso se ne vede un’ altra attaccata alla parte inferiore e all’ estremità del corpo, che si chiama natatoia anale. Queste natatoie del resto hanno a un dipresso la medesima struttura. Consistono quasi sempre in una ripiegatura della Fig. 45. Vescica natatoria della Carpa. pelle che è sostenuta da piccoli steli, fatti di sostanza cartila- ginosa od ossea. I muscoli destinati a far piegare la colonna vertebrale sono talmente sviluppati nei pesci, come nella maggior parte degli animali superiori, che essi soli costituiscono la maggior parte del loro corpo. Le natatoie caudale, dorsale e anale servono ad accrescere l’ estensione della specie di remo che forma il corpo di un pesce. Le natatoie pettorali e ventrali concorrono ai movimenti di progressione dell’ animale. Servono anche a mantenerlo in equilibrio e a dirigerlo nei suoi movimenti, che sono per solito meravigliosamente veloci. Un organo speciale dei pesci, che vien considerato in gene- rale come un potente aiuto pel nuoto, è la vescica nutatoria, specie di borsa piena d’aria, collocata nell’addo:ne sotto la spina dorsale, e che può essere più o meno compressa dai movimenti delle coste. Secondo il volume di questa vescica natatoria, l’a- nimale può accrescere o diminuire il peso specifico del suo corpo, vale a dire può rimanere in equilibrio, scendere o salire in mezzo alle acque. Ma quest'organo manca talora, e si è no- PESCI 143 tato che nelle specie che nuotano in fondo all’ acqua, o si na- scondono nel fango, è piccolissimo !. Subito dietro il capo, si veggono due grandi aperture; sono le fessure branchiali. Il loro margine anteriore è mobile, e si rialza e si abbassa come il battente di un uscio, per servire alla respirazione. Sotto questa sorta di coperchio stanno le branchie, organi della respirazione di questi animali acquatici. Le branchie sono laminette strette, lunghe e piatte, disposte in serie parallele, come i denti di un pettine, e stanno attac- cate sopra steli ossei, che si soglion chiamare archi branchiali. Così sono immerse nell’acqua aerata, che deve servire alla re- spirazione dell'animale. Ecco come si compie nei pesci la respirazione. L’acqua entra ‘ in bocca; passa, mercè un movimento di deglutizione dell’ani- male, sulle aperture che gli archi branchiali lasciano fra loro; va alle branchie, di cui bagna la larga e molteplice superficie, e finalmente esce fuori dalle aperture branchiali. Ognuno dei nostri lettori avrà probabilmente veduto un pesce rosso in un vaso aprire la bocca e rialzare alternatamente il suo opercolo: questi due movimenti sono i movimenti della respirazione. Mentre l’acqua sta in contatto delle branchie, il sangue che circola nella tessitura di questi organi, e che comunica loro il colore rosso che vediamo, si combina chimicamente coll’ ossi- geno dell’aria, che l’acqua contiene sempre in soluzione quando scorre liberamente, alla temperatura ordinaria, in presenza del- l’aria. In tal modo il sangue diviene ossigenato, o arterioso. Il cuore dei pesci, collocato tra le parti inferiori degli archi branchiali, si compone di un ventricolo e di una orecchietta. Esso corrisponde alla metà destra del cuore dei mammiferi e degli uccelli, perchè riceve il sangue venoso che viene da tutte le parti 1 Questa credenza che la vescica natatoria dei pesci serva loro a mo d'organo idrostatico che li aiuti a mutar facilmente livello nell’ acqua, credenza che era generale prima che i pesci fossero così diligentemente studiati come si è fatto oggi, ora vien contraddetta da molti anatomici e fisiologi. Si è osservato che talora due specie affinissime in tutto il resto offrono questa particolarità: che una è provveduta di vescica na- tatoria, l’altra ne manca. Tutta la schiera dei pescicani, eccellenti nuotatori, è sprovveduta di vescica natatoria. Taluni naturalisti considerano la vescica natatoria come un organo succursale per la respirazione: altri, con ingegnosi argomenti, si sono sforzati di dimostrare che quest’organo concorre al senso dell’udito. (Nota del Trad.) 144 PESCI del corpo e lo manda alle branchie. Da quest’'organo il sangue va in una grossa arteria che scorre lungo la colonna vertebrale. L'occhio dei pesci è per solito grandissimo; si può dire an- Fig. 44. Anatomia della Carpa. »;», Branchie. — ec, Cuore. — f, Fegato. — v, a, Vescica natatoria. — c, è, Canale intestinale. — v, 7°, Vescica natatoria. — 0, Ovario. — «, Uretra. — @, Ano. o’, Ovilotto. — w°, Uretra. che enorme, relativamente al volume del capo. Questo occhio è sprovvisto di vera palpebra; molto sovente la pelle passa davanti al globo oculare, e in quel punto diviene così traspa- PESCI 145. rente, che lascia passare i raggi luminosi. Questo leggero in- tegumento è la palpebra dell’occhio dei pesci. Fig. 45. Occhio di Pesce. î, Lente cristallina e pupilla. — ee’, Cornea. — mm, Coroide. h, Camera posteriore dell’occhio. — c, Nervo ottico. L’interno dell'occhio è ricoperto dalla membrana detta coroide, di cui lo strato esterno, sottilissimo, presenta, mercè innume- revoli cristalli microscopici, l’ aspetto di un intonaco argenteo ansa egg Vil o Ù CAO ad vii È Fig. 46. Denti della Trota. Fig. 47. Denti della Orata. o dorato, che dà agli occhi dei pesci quello splendore straordi- nario che è loro proprio. La lente cristallina dell'occhio è voluminosa, sferica, diafana. Fig. 48. Denti faringei della Carpa. Fig. 49. Denti faringei della Abramidè. Cotto che sia il pesce, la lente cristallina costituisce quella sorta di pallina bianca, opaca e dura, che sovente vien sotto i denti quando si mangia pesce un poco grosso. Checchè ne abbia scritto il Cuvier, i pesci veggono benissimo. FicuieR. Rettili, Pesci e Animali articolati. 19 146 PESCI Questi svelti cacciatori delle acque ci vedono ben da lontano, ed i pescatori sanno ciò a meraviglia. Se gli occhi dei pesci son grandi, le orecchie al contrario son piccolissime. Quest’or- gano manca esternamente. In una cavità del cranio esiste sol- tanto un orecchio interno, che è ben lungi dal presentare la struttura complicata dell'orecchio dei mammiferi e degli uccelli. Malgrado questa struttura imperfetta, i pesci sentono il benchè menomo rumore. Perciò il silenzio è indispensabile quando si pesca nei fiumi e nel mare: tutti i pescatori conoscono questo fatto. Le dimensioni della bocca e dei denti sono variabilissime nei pesci; esse stanno in rapporto colla loro voracità, che è ecces- siva in moltissimi. Le forme e lo sviluppo delle parti della bocca son tanto va- rie, che non possiamo peritarci a darne un’idea. Alcune specie sono sprovviste di denti; ma nella maggior parte dei pesci i denti sono numerosissimi. Non solo se ne osservano alle due mascelle, ma al palato, alla lingua, sul margine interno degli archi branchiali, e fino nelle fauci, vale a dire sulle ossa fa- ringee che circondano l’entrata dell’esofago. Le forme dei denti sono svariatissime. Alcuni sono piccoli‘ e tanto vicini che si sogliono dire denti di velluto. Vi sono denti a raspa e denti a pettine. Alcuni rassomigliano ai canini dei mammiferi; altri son fatti a tubercoli, rotondi o conici. L’ esofago, che tien dietro alla bocca, è corto nei pesci. Lo stomaco e gli intestini variano di forma e di dimensione. In questi animali la digestione è rapidissima. La massima parte dei pesci vive di carne; ma moltissime specie, che son prive di denti, hanno regime vegetale, I pesci crescono con maggiore o minore rapidità, secondochè il nutrimento è più o meno abbondante. Possono, senza morire, sostenere un lungo digiuno. Soltanto si veggono rimpicciolire e morire poi di sfinimento. In un dato tempo, una forza irresistibile spinge i pesci dei due sessi ad accostarsi, a riunirsi. Molte specie, che hanno per solito una bruna livrea, si adornano allora dei più vaghi colori. In breve le femmine fanno le uova. Il numero delle uova che contiene il corpo delle femmine supera ogni immaginazione umana. Molti naturalisti, fra cui Tommaso Hammer e C. F. Lud, ebbero la pazienza di numerare la quantità delle uova di alcune specie di pesci, e ne ottennero ì seguenti risultati : PESCI 147 ARINOASSC Le gta sedativi at! #1730,000 Lutetia aan +80.000,:2:- 200000 Spsliola: è cera e eni pornle pt A90,000 Pesce Perseo ae nante 000 CAMPA i e E 00:00) MNCa 0 na CIOTTI 80.000 LODIO N OO CL MAI 580,000 STOLIOREN Mt 0 NEON SCO000NA7:000:000) 1° La natura ha accumulato-nel loro corpo miriadi di uova, perchè sono innumerevoli le cause di distruzione che le minac- ciano in mezzo alle acque, e che in breve distruggerebbero la specie. Le uova, lasciate dalle femmine in mezzo all’acqua, sono fe- condate, dopo essere state deposte, dallo sperma dei maschi. In tal modo si compiono la fecondazione e la riproduzione negli animali di cui parliamo. Una scoperta importante fatta a’ nostri giorni, la fecondazione artificiale dei Pesci, fornisce il mezzo di riparare alle cause in- numerevoli di distruzione delle uova di questi animali. La fecondazione artificiale, praticata oggidì in larghissima mi- sura, e che diè origine ad un’industria nuova e preziosa, con- siste nel raccogliere le uova quando sono mature e fecondarle coll’ umore lattiginoso del maschio. Le fig. 50 e 51 insegnano il modo di compiere quest’operazione. Si prende un vaso piuttosto basso a fondo piano e colla bocca larga al pari del fondo; in esso si versa una certa quantità d’acqua che abbia la temperatura ordinaria (fra +4 3° e + 100), e quanto basti appena perchè le uova che vi si riporranno re- stino completamente coperte, non si agglomerino, ma possano venire invece ugualmente distribuite. È d’uopo aver quest’ av- | vertenza acciò il seme non si disperda soverchiamente con pericolo che la fecondazione non possa riuscire completa. Ciò posto, colla maggior rapidità possibile, perocchè da essa dipende il successo dell’ operazione, si prende pel capo e colla mano destra la femmina del pesce e coll’altra mano le si stro- piccia dolcemente il ventre dall’ alto al basso, per spingere le uova fuori dell'apertura anale. A questo punto si rinnova l’ a- cqua per levare la mucosità che sarebbe d’ostacolo alla fecon- ! Valenciennes osservò che in una femmina di pesce rombo di 50 centimetri di lunghezza il numero delle uova poteva arrivare anche a 9,000,000 (Vedi Recherches sur la composition des ceufs dans la série des animaux, 1854.) £48 LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE dazione, e quindi pigliato un pesce maschio si opera su di esso nela stessa guisa per spremerne il liquido fecondatore ; si agita allora dolcemente l’acqua in modo da portare a contatto col seme tutte le uova, e quindi si lascia riposare il tutto circa an’ ora. In capo a questo spazio di tempo la fecondazione è ‘compiuta, e le uova possono essere trasportate e spedite a chi ine fa ricerca. I due pesci che servirono a quest’ operazione ponno di nuovo esser rimessi nel loro liquido elemento. Incomincia poi il periodo di incubazione che si fa subire alle uova fecondate entro appositi apparati. Quello del signor Coste (fig. 52) è assai opportuno ed è il più adottato nei varii sta- bilimenti ittiogenici. È formato di un insieme di piccoli baci- Fig. 50. Raccolta delle uova delia femmina d’un pesce per la fecondazione artificiale. netti di legno o di terracotta !, parallelamente disposti ed a gradinata ai lati di un canale superiore che li domina e serve ad alimentarli. Ciascun bacinetto è fornito di un telaio a gra- ticcio fatto di verghe di vetro (che i Francesi chiamano cowuvettes) e collocato a circa 25 millim. sotto la superficie dell’acqua. Si pone l’apparato sotto di un robinetto in modo che il liquido cada all’una delle estremità del bacinetto superiore. Così si sta- bilisce una corrente verso l’estremità opposta, dove un'apertura {1 Nel caso che si adoperino bacinelle di terracotta, converrà lasciarle «qualche tempo nell’acqua prima di adoperarle, onde vi perdano ogni sostanza che possa riuscire nociva. PESCI 149 laterale offrendole un vuoto a destra ed a sinistra nei bacini sottostanti alternativamente, serve a richiamare la corrente dal- Bcc II i JI pa (KAT TO FMKKK KA [Ma nn Ku ACCORTI (LTT o T_rs= == Fig. 51. Fecondazione artificiale delle uova di una femmina di pesce col liquido fecondatore del maschio. l’alto, che si divide in due cadute che vanno ad alimentare i bacini al disotto. Si depongono le uova sui graticci di vetro, e la corrente con- Fig. 52. Apparato di Coste per se artificiale. tinua impedisce la formazione di muffe ! vegetali che sarebbero per le piccole uova causa di morte. Durante questo lungo pe- riodo non si deve aver altra cura che la corrente dell’ acqua non si interrompa, e di ispezionare ogni giorno le uova; ed è ! Queste crittogame sono conferve, alghe, diatomee ed alcune vancherie, che il piscicoltore deve impedire ad ogni costo. 150 LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE quando si trovano in questo stadio che si spediscono le uova in commercio !. Abbiamo detto che la fecondazione artificiale dei pesci è una invenzione recente; ma ciò non è al tutto esatto. Già nel 1420 il monaco Pinchon dell’ abbazia di Réome presso Montbard sa- peva fecondare le uova di trote col metodo della pressione del maschio e della femmina in uso oggidì. Collocava quindi queste uova in apposito apparato con sabbia in una placida corrente, dove a suo tempo si schiudevano. Ed è noto come nel medio evo i principi e i monasteri avessero stagni nei quali si man- teneva il pesce vivo e si faceva moltiplicare in abbondanza. Dopo il monaco Pinchon, Lund fece altri tentativi dello stesso genere per ripopolare i laghi della Svezia, e.Bluck allevò arti- ficialmente uova di pesci raccolti nella Sprea. Ma chi più si distinse in questi studi fu Jacobi di Hohenhausen, il quale verso il 1758 si adoperò a fecondare artificialmente le uova di trote e di salmone e fece conoscere il suo modo di procedere a Buffon. Menzioneremo pure i Romani antichi, i quali conob- bero e praticarono la moltiplicazione artificiale dei pesci in vivai e piscine e introdussero persino uova di pesce di mare nei laghi di Velino, di Bracciano e di Bolsena. Ma chi precorse ogni altra nazione in quest’ industria furono i Cinesi, i quali da tempo immemorabile praticano la piscicoltura, giovandosi per popolare i loro laghi e stagni e vivai della grande quantità di trote, di storioni ed altri pesci che rimontano i fiumi. Nel gran fiume Yang-tse-Kiang, in certa stagione, si raduna un numero prodigioso di barche, non lungi dalla città di Kieu-King-fu per far acquisto di semenza ossia uova di pesci, che sanno con acconsie disposizioni far deporre su certe stuoie e cannicci che cuoprono un’ estensione persino di nove o dieci leghe. È tanta l’importanza, come si vede, di quest’ industria, che non v'ha oggi Stato in Europa che non conti parecchi stabili- menti, ove il pesce viene moltiplicato artificialmente e poi di- stribuito sui mercati a benefizio delle popolazioni. Nè si di- spera di ripopolare im tal modo i nostri laghi e fiumi cotanto impoveriti e persino le coste del mare, col fornirli eziandio di specie nuove e più utili. ‘ A quest’uopo servono delle scatole rotonde di latta, bucherate, nelle quali sì dispongono le uova in strati intercalati con letti di muschio inumidito. Così preparate, le uova già fecondate ponno essere spedite anche in paesi lontani, senza pericolo che soffrano. PESCI 151 Dopo questa rapida rassegna e breve compendio intorno al- l’organizzazione dei pesci, diremo qualche cosa della loro clas- sificazione. I pesci si dividono in due serie, secondo la composizione del loro scheletro interno. Questo scheletro ordinariamente è osseo; nondimeno, in tutto uno scompartimento di questi animali, esso rimane sempre allo stato cartilaginoso, o fibro-cartilaginoso. Anzi in alcuni questa impalcatura offre ancora minor resistenza, e rimane in certo modo membranosa. Si è precisamente su questa particolarità di struttura che si tonda la divisione della classe dei pesci in due grandi scom- partimenti: i pesci cartilaginosi, ed i pesci ossei. PESCI CARTILAGINOSI I pesci cartilaginosi (Condrotterigi) hanno un numero molto minore di specie che non i pesci ossei. Abitano quasi esclusi- vamente le acque del mare, sebbene alcune specie siano al tutto di fiume. I pesci cartilaginosi sono generalmente animali di grossa mole, le cui forme variano da quella del pescecane fino a quella dell'anguilla. I pesci cartilaginosi si dividono in due ordini, secondochè hanno le branchie libere sùl margine esterno (Condrotterigi dalle branchie libere), oppure attaccate a questo margine tanto quanto al margine interno (Condrotterigi dalle branchie fisse). Il primo ordine comprende due famiglie: i Succiatori ed i Selacii. Il secondo ordine non comprende che una sola famiglia, quella degli Storionidi. FamIGLIA DEI SucciaTORI 0 CicLostoMI. — Questa famiglia di pesci ha per carattere distintivo la curiosa conformazione della bocca, che non è atta che al succiamento, e si compone dei più imperfetti di tutti gli animali vertebrati. Il corpo dei pesci succiatori, allungato, nudo, vischioso, ram- menta, per la forma esterna, quello dei serpenti: non hanno natatoie nè pettorali nè ventrali. Le loro vertebre son ridotte a semplici anelli cartilaginosi, appena distinti gli uni dagli altri, attraversati da un cordone tendinoso; su questi anelli ve ne sono altri più duri che circondano il midollo spinale !. Le bran- chie invece di rassomigliare ad un pettine, sembrano borse. ! La corda dorsale, che nei pesci cartilaginosi rappresenta la colonna vertebrale, si mostra molto differente nelle varie specie. In generale è come una funicella cartilaginosa, su cui sta adagiato il midollo spinale: LAMPREDE 153 Lamprede. — Le Lamprede 1 sono il tipo di questa famiglia : parleremo della Lampreda marina, della Lampreda fluviatile e della Lampreda di Planer. La Lampreda marina (fig.53) appartiene all’Oceano ed al Me- diterraneo. In primavera risale le foci dei fiumi, ove se ne fa ta- lora abbondante pesca. È unanimale lungo talora un metro, dal corpo cilindrico, marmoreggiato di bruno sopra un fondo gial- lastro ; in esso le natatoie dorsali sono separate l’una dall’ altra da un intervallo assai lungo. La sua bocca perfettamente ro- tonda è circondata da un labbro carnoso, fornito di cirri, soste- nuto da una lamina cartilaginosa; in tutta la superficie interna sì veggono parecchie file circolari di forti denti, alcuni semplici, Fig. 55. Lampreda marina. altri doppi. Sette aperture branchiali si osservano da ogni lato del collo che formano due linee longitudinali. Questo pesce, che presenta così singolare l’ aspetto e la strut- pertanto questa corda dorsale si può considerare come rappresentante propriamente i corpi delle vertebre. Una membranella fibrosa dalla corda dorsale passa a coprire e proteggere il midollo spinale, come nelle vertebre fanno gli archi superiori. In generale la corda dorsale si dilata anteriormente foggiandosi a mo di una scatola più o meno incompiuta, la quale contiene e protegge il cervello. Ma in qualche caso di massima semplicità manca questa scatola, come manca pure il cervello; non vi ha che una corda dorsale ed un midollo spinale. (Nota del Trad.) \ Lat., Petromyzon; fr., Lamproie; ingl., Lamprey; ted., Pricke. Ficuier. Rettili, Pesci e Amimali articolati. 20 154 PESCI CARTILAGINOSI tura, vive di vermi, di molluschi e d'altri pesci. La bocca, tanto formidabilmente armata, è un ampio succiatoio, un’ e- norme ventosa, mercè la quale l’ animale può attaccarsi al corpo di pesci spesso ben grossi, e suggerli come fanno le sanguisughe. Le Lamprede si preridono colle reti. Si adopera anche per pescarle la fiocina, specie di tridente a tre punte seghettate, simili al tridente che si dava al mitologico Nettuno. Si. vibra questo strumento sul pesce, allorchè lo si scorge in fondo all'acqua. La carne della Lampreda è tenuta in conto di saporita e de- licata. Nel secolo duodecimo, il re d’Inghilterra Enrico I morì, presso Elbeuf, per averne mangiato una quantità enorme. A que- sta stregua era meglio morire come il duca di Clarence anne- gato in una botte di malvasia! La Lampreda fluviatile rassomiglia molto alla Lampreda ma- rina, per la sua conformazione generale; ma nè differisce per l'armatura della bocca, che non presenta che una sola fila cir- colare di denti, e per la sua minore mole. Si è principalmente questa specie che compare sui pubblici mercati. La Lampreda fluviatile, di color nerastro sul dorso, è argentata sotto il ventre: essa s'incontra frequentemente nella Senna !. La Lampreda di Planer (fig. 54) non abbandona le acque dolci; perciò è detta anche piccola Lampreda fluviatile è. È lunga da venticinque a trenta centimetri, e presenta gli stessi colori delle precedenti, ma le sue due natatoie dorsali sono continue. Vive nelle acque di quasi tutti i fiumi di Europa, nei ruscelli poco i Tutte e tre queste specie di Lamprede si incontrano in Lombardia. La Lampreda marina giunge nel Ticino soltanto a primavera avanzata, ed in quest’ epoca sola la si prende, poichè dopo la comparsa di alcuni pochi individui, non si mostra più in tutto il rimanente dell’anno. È questa che forni il soggetto agli importantissimi studii del celebre Panizza e di Rathke pei quali la struttura intima di questo pesce e di altri molti venne perfettamente conosciuta. Dai nostri pescatori è conosciuta col nome di Zufolotto. La Lampreda di fiume è da noi molto più rara di quella di mare, ed anzi non sembra che sia stata presa altrove che nel Ticino. Non ha nessun valore nell’arte della cucina. La Lampreda di Planer è la più comune e più conosciuta da noi in Lombardia. Abita essa nei fiumi e nei fossati presso Milano. È pure da notarsi come nei cataloghi di Pesci della Lombardia sia anche notata una quarta specie di Lampreda, l’Ammocetes branchialis L., che secondo gli ultimi studii non è altro che il giovane della Lampreda comune. (Nota del Trad.) 2 In fr., dicesi anche Sucet e Chatowualle. FAMIGLIA DEI SELACII, RAZZE 155 profondi, in mezzo ai sassi, ove incontra i piccoli animali di cui si pasce. Questo pesce in gioventù non ha i caratteri dell’ adulto. Pre- senta delle metamorfosi. La sua larva era stata per un pezzo creduta il tipo di un genere particolare, il genere ammocetes dei naturalisti 4. Questa larva non diviene adulta, vale a dire non compie le sue metamorfosi se non in capo a due o tre anni di vita passati nello stato imperfetto. Fig. 54. Lampreda di Planer. FAMIGLIA DEI SeLACI. — Questa famiglia comprende il mag- gior numero di pesci cartilaginosi. La loro forma esterna è svariatissima. Hanno natatoie pettorali e ventrali. Ai lati e dietro il capo, od inferiormente, stanno cinque aperture branchiali, a foggia di fessure. Molti di questi pesci hanno nella parte supe- riore del capo due sfiatatoi. A questa famiglia appartengono le Razze, i Gattucci, le Torpedini, i pesci Martello, gli Squali ed i pesci Sega. Itazze 2. — Vi sono varie specie di Razze 3: noi menzione- 4 In fr., i pescatori la chiamano Lamprillon, come a dire Lampredina. * Lat., Raja; fr., Raie; ingl., Ray; ted., Roche. 5 Prima e gigantesca ci si presenta in mezzo alle Razze la Cephaloptera Giorna di Lacépède. Ha questa specie la forma romboidale che è comune e denominante nelle Razze propriamente dette, ma la sua testa è tron- cata in avanti, e le pinne pettorali si prolungano alle loro estremità quasi circondando il capo; sicchè danno al pesce l’aspetto come di avere due corna o due ali, d’onde il suo nome. La bocca è fornita di denti finissimi; la coda, piuttosto lunga, di pungiglione, e l’animale è coperto da una pelle liscia nera sul dorso orlata di color violaceo. Uno stupendo esemplare per dimensioni gigantesche si vede nel Museo 156 PESCI CARTILAGINOSI remo soltanto la Razza macchiettata (Raia batis) e la Razza chio- data (Raia clavata) !. La Razza macchiettata (fig. 55) ha formain certo modo rom- boedrica. L’apice del muso forma l’angolo anteriore. I due an- soli laterali son formati dai raggi più lunghi di ogni natatoia pettorale, e l'origine della coda trovasi sull’ apice dell’ angolo posteriore. Tutto questo corpo è appiattito; nondimeno si di- stingue un lieve rigonfiamento tanto sulla parte superiore quanto sulla inferiore, che segna, per così dire, il contorno del corpo Fig. 55. Razza macchiettata. propriamente detto, cioè delle tre cavità : del capo, del petto e del ventre. Queste tre cavità riunite non occupano che il cen- tro del romboedro, lasciando da ogni lato uno spazio triango- lare meno spesso, costituito dalle natatoie pettorali. La superficie di Milano ed è stato preso nel Mediterraneo. — Altri individui furono pescati nell'inverno 1868 nel Golfo di Napoli e questi servirono agli studi anatomici sulla specie, istituiti dall’egregio prof. P. Panceri. (Nota del Trad ) ! Noi invece crediamo utile riferire i nomi latini delle principali specie RAZZE 157 di queste natatoie è più larga di quella del corpo propriamente detto, e sebbene siano ricoperte di una pelle molto densa, vi si possono scorgere moltissimi raggi cartilaginosi composti e ar- ticolati. i La testa della Razza macchiettata, terminata in un muso un Fig. 56. Razza, od Arzilla chiodata. po’ aguzzo, è impegnata posteriormente nella cavità del petto. L'apertura della bocca, posta nella parte inferiore del capo, e di Razze che vivono nel Mediterraneo lungo le spiagge d’Italia, coi nomi italiani che più comunemente ad esse si danno. Raja marginata, Lacép. Razza marginata. Raja miraletus, Linn. Razza baraccola. Baractola vera. Baraccola liscia. A Venezia, Quattrocchi. Scarparo. In Sicilia, Pigara Quattrocchi. Raja quadrimaculata, Risso. Razza Quattrocchi. Baraccola chiodata. Baraccola spinosa. . Raja radula, Delaroche. Razza scuffina. Raja falsanella, Bonap. Razza falsanela. Raja batis. Linn. Razza macchiettata. Dasybatys asterias, Delaroche. Arzilla rossina. Arzilla comune. Arzilla di rena. Dasybatys clavata, Bonap. Arzilla elciodate. Arzilla pietrosa. A Napoli, Razza pie'rosa. Pigara pietrosa. In Toscana. Razza di scoglio. Dasybatys fullonica, Bonap. Arzilla scardasso. (Nota del Trad. = 158 PESCI CARTILAGINOSI anche molto lontano dall’ apice del muso, è allungata; i mar- gini son cartilaginosi e muniti di parecchie file di denti, acu- tissimi e uncinati. Le narici stanno innanzi alla bocca. Gli occhì si aprono nella parte superiore del capo; sono un tantino spor- genti, e vengono in parte riparati da una continuazione della pelle che ricopre il capo e che è morbida e retrattile. Immediatamente dietro gli occhi, si osservano due fori, 0 sfiatatoi, che comunicano coll’ interno della bocca. L’aniniale può a suo piacimento aprire o chiudere questi fori, mercè una membrana molto estensibile a mo’ di valvola. Egli è da questi due orifizi che la Razza fa entrare od uscire l’acqua necessaria o superflua ai suoi organi respiratori, allorchè non vuole ado- perare l’apertura della bocca per portar l’acqua del mare nelle sue branchie o per togliernela. Il colore generale dell’animale, nella parte superiore, è grigio cenerino sparso di macchie irregolari; nella parte inferiore è ai un bianco opaco, con parecchie file di punti nerastri. La sua coda, lunga, pieghevole e sottile, che può volgersi in vari modi, e cui essa agita come una frusta, è per la Razza un’arma offensiva e difensiva. L’adopera specialmente quando sta in agguato di qualche preda in fondo al mare quasi inte- ramente nascosta nel limo; allora, appena vede a tiro gli ani- mali di cui si nutre e non vuol muoversi nè uscire dalla melma e dalle alghe che la ricoprono, si serve della coda. Pie- gandola con forza e prontamente, colpisce la sua vittima, la ferisce o la uccide con due forti e diritti aculei collocati all’o- rigine di questa coda, e con quelli che si drizzano nella sua parte superiore. Le Razze possono farsi molto grosse, e pesare a un dì presso cento chilogrammi. In questo caso la loro carne è suf- ficiente a sfamare oltre a cento persone. Le più grosse son quelle che si accostano meno alle spiaggie abitate, anche nel tempo in cui il bisogno di far le uova o di fecondarle attira le femmine verso le coste marittime. Le uova delle Razze hanno d’ altronde una forma singolare, molto differente da quella di quasi tutte le uova dei pesci e in particolare delle uova di quasi tutti i pesci ossei. Sono esse qua- drangolari, un po’ piatte, terminate in ognuno dei loro quattro angoli da un cordoncino cilindrico. Ti paiono borse fatte di una membrana resistente e semitrasparente. Si pescano moltissime Razze macchiettate * su parecchie coste 1 Fr., Raje blanche o cendree. RAZZE 159 del nord di Europa. La loro carne è delicata. In molti paesi del Nord, sopratutto nell’ Holstein e nello Shleswig, le fanno seccare all’aria, e le mandano così secche in varii paesi d’Eu- ropa, specialmente in Germania. La Razza od Arzilla chiodaia 4 (fig. 56), alla quale si è dato questo nome pei grossi aculei di cui è armata, e che furono comparati a chiodi, abita quasi tutti i mari d’ Europa. Giunge talvolta alla lunghezza di quattro metri; e siccome è buonissima a mangiarsi, è ricercatissima dai pescatori. La si vede spesso colle Razze macchiettate sui mercati d'Europa. Lungo il dorso si osserva una fila di uncini grandi, forti e ricurvi, che si estende fino all’ apice della coda. Due di questi aculei si veg- gono sopra e sotto l’apice del muso. Altri due stanno innanzi agli occhi e tre dietro. Ogni lato della coda è munito di una fila di uncini meno forti. Vi sono ancora moltissimi altri un- cini più piccoli. Così fatti sono i chiodi di questa Razza: vedete bene che non sono ornamenti, ma mezzi di difesa. La parte superiore è ordinariamente colorita in bruno, con macchie bianche. La coda, più lunga del corpo, presenta, verso l’apice, due piccole natatoie dorsali con una natatoia caudale che la termina. Queste varie specie di Razze vivono tutte in mezzo al mare; ma secondo le stagioni dell’anno cambiano di sito. Durante la cattiva stagione si nascondono in fondo al mare. Rimangono colà in agguato, distendendo il loro largo corpo sul fondo e strisciandovi sopra. Ma non sempre le Razze rimangon distese in fondo alle acque. Vengon sovente alla superficie e vanno lungi dalle coste a fare buona caccia degli altri abitanti del mare. Colla coda ricurva, agitando le natatoie e sollevando così il loro corpo sulle onde, si lasciano ricadere sull’ acqua che spruzza spumante sotto il loro peso. Quando inseguono la preda, le Razze tengon sempre ben di- stese le natatoie pettorali, che allora sembrano grandi ali. Mercè la loro coda sciolta e mobilissima solcano le onde, per piom- bare improvvisamente sugli animali che inseguono, come l’ a- quila che piomba dall’alto dell’aria sulla sua vittima. Perciò sì è comparata la Razza all’aquila regina dell’aria. Infatti le Razze figurano fra i pesci più forti e più grossi, come l’aquila è il più grande e il più forte degli uccelli. Non inseguono gli altri pesci che pel bisogno di nutrire il loro 1 Fr., Raje bouclee. 1 160 PESCI CARTILAGINOSI | grosso corpo, e non fanno vittime spinte da inutile crudeltà. D'altronde sono dotate di un istinto superiore a quello degli altri pesci ossei o cartilaginosi; e per tutte queste ragioni i naturalisti le han chiamate le Aquile del mare, La Torpedine* e il suo apparato elettrico. — La Torpedine * (fig. 57) ha molta analogia colle Razze. Il suo corpo appiattito è foggiato a disco. Questo allargamento deriva, come nelle Razze, dall’ampiezza delle natatoie pettorali, ma qui la cintura ome- rale che le sostiene contiene entro un grande incavo un appa- rato organico notevolissimo, perchè possiede la proprietà di produrre forti scosse elettriche. Questo meraviglioso apparato sta nell’intervallo che esiste fra la punta del muso e la estre- mità della natatoia: compie il disco del corpo. Il capo presenta Fig. 57. Torpedine. una piccola bocca, tagliata trasversalmente, colle mascelle mu- nite di denti, piccoli e fitti. Gli occhi son piccoli. Dietro a questi si veggono due sfiatatoi stellati. Sotto il petto sonvi due pic- cole fessure trasversali, aperture delle cavità branchiali, come { Lat., Torpedo; fr., Torpille; ingl, Torpedo; ted., Zitteroche. 2 Il Mediterraneo lungo le spiagge d’Italia ha le tre seguenti specie di torpedini : Torpedo Narche, Risso. — Torpedine occhiatella. Torpedine occhiuta. Tremola scacchiata o vecchiuta. Tremola a macchie nere. Torpiglia. Torpedo Galvami, Risso. — Torpedine del Galvani. Torpilla liscia. Tor- pilla punteggiata. Tremola senza tacca. Tremola pizzicata. Tremola serampo. Torpedo Nobiliana, Bonaparte. — Torpedine dei Nobili. Questa ultima specie, siccome molto più rara delle precedenti, non ha nomi volgari. (Nota del Trad.) ZZZZzaza \\. Fig. 58. Pesca del Pescecane. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 2 Pra i JU La i *i sa pigro o Me “ IT 0 LA TORPEDINE E IL SUO APPARATO ELETTRICO 163 nelle Razze. La coda è grossa, corta, conica, e termina con una natatoia. In una parte di essa è fornita di pinne ventrali. Più in su, cioè sul dorso, stanno due piccole natatoie, molli e adi- pose. La pelle è tutta liscia; il colore varia secondo le specie. Ordinariamente è rossiccia con grande macchie anellate, col centro turchino scuro, talora azzurro brillante, e circondato da un cerchio bruno. Queste macchie per solito sono in numero di cinque o sei. Questi curiosi pesci s’ incontrano sulle coste del Mediterra- neo e dell’Oceano. Le scosse che fanno sentire al pescatore che vuole afferrarle, sono state osservate da molto tempo. Redi, naturalista italiano del secolo decimo settimo, fu il primo a studiarle scientifica- mente. Da poco era stata pescata una Torpedine, e l’ avevano tirata con cura sulla spiaggia. Redi dice che appena la ebbe toccata e presa in mano, sentì in questa parte una specie di formicolio che si estese al braccio ed alla spalla, cui tenne dietro un tremito sgradevole ed un forte ed acuto dolore al go- mito, per modo che dovette subito toglier via la mano. Réaumur parimente fece alcune osservazioni sugli effetti pro- dotti dalla Torpedine. « L’intorpidimento che si prova, egli scrive, è differente dagli intor- pidimenti comuni. Per tutta la lunghezza del braccio si sente un certo non so che come di attonitaggine impossibile a descriversi bene, ma che (per quanto si possa esprimere un sentimento con un paragone) ha un certo rapporto colla dolorosa sensazione che si prova nel braccio ur- tando il gomito contro un oggetto duro. » Redi osservò inoltre che il dolore e il tremito prodotti dal contatto colla Torpedine diminuiscono man mano che l’animale va morendo, e cessano allorchè è morto. Ai suoi tempi, tutti i pescatori asserivano che la virtù della Torpedine si comunica al braccio di colui che la pesca per mezzo della corda della rete, ed anche per mezzo dell’ acqua del mare. Redi non nega questo fenomeno, ma non ha potuto mai verificarlo. Egli riconobbe che l’azione dell'animale non è mai tanto potente quanto al momento in cui vien stretto fra le mani e fa ogni sforzo per fuggire. Inoltre scoperse l’organo in cui risiede la forza elettrica, e del quale in breve descrive- remo la struttura. Ma allora la fisica non era tanta avanzata che il naturalista italiano potesse stabilire esattamente la cagione dell’ intorpidi- mento prodotto dalla Torpedine, giacchè appena i fenomeni elet- trici cominciavano allora ad essere noti ad alcuni scienziati. 164 PESCI CARTILAGINOSI Redi pubblicò verso il 1670 i suoi principali lavori ; ora in quel tempo nulla aveva ancora attirata l’ attenzione sui fenomeni elettrici. Réaumur che verso il 1740 pubblicava le sue opere immor- tali sugli insetti, non era pur esso meglio di Redi in caso di comprendere la natura del fenomeno della contrazione della torpedine, perchè non si parlava ancora di elettricità. Nondi- meno Réeaumur fece uno sperimento che può dare una’ idea della forza elettrica della Torpedine. Mise insieme una Torpedine ed un’anatra in un vaso che conteneva acqua di mare e ricoperto da un pannolino onde l’anatra non potesse volar via. L'uccello poteva respirare liberamente; tuttavia dopo poche ore di questa sgradevole compagnia colla Torpedine, si trovò l’anatra morta. Intanto la scienza della elettricità cominciava a costituirsi, e in breve fece rapidi progressi. Il dottor Bancroft suppose pel primo che la Torpedine derivasse la sua forza da qualche ap- parato di natura elettrica. Finalmente Walsh, membro della Società reale di Londra, dimostrò questa verità con belli e nu- merosi sperimenti che fece all'isola di Re. Ecco alcuni speri- menti di questo fisico. Venne collocata una Torpedine viva sopra un tovagliolo ba - gnato. Per mezzo di cordoncini di seta che servivano ad iso- larli, si sospesero al soffitto due fili di ottone. Accanto alla torpedine stavano otto persone, salite sopra sgabelli isolatori. Un capo dei fili di ottone era appoggiato al tovagliolo bagnato, che, sosteneva la Torpedine; l’altro capo era immerso in un primo catino pieno d’acqua, liquido che conduce debolmente l’ elettricità. La prima persona aveva un dito di una mano entro il catino ove era il filo d’ ottone, e un dito dell’ altra mano in un secondo catino pure pieno d’acqua. La seconda persona tuffava un dito di una mano nel secondo catino e un dito dell’ altra in un terzo. La terza aveva un dito di una mano nel terzo catino e un dito dell’ altra mano entro un quarto, e così di seguito. Le otto persone comunicavano dunque fra loro, mercè l’acqua contenuta nei nove catini. Un capo del secondo filo d’ottone era immerso nel nono catino. Walsh avendo preso in mano l’altro capo di questo secondo filo metallico, e avendogli fatto toccare il dorso della Torpedine, stabilì in tal modo un circolo conduttore di parecchi piedi di lunghezza. Al momento in cui lo sperimentatore toccò la Torpedine, gli otto attori di questo interessante sperimento provarono una scossa repentina, che non differiva per nulla da quella prodotta dalla bottiglia di Leyda, e che solo avea una intensità minore. LA TORPEDINE E IL SUO APPARATO ELETTRICO 165 Quando la Torpedine era collocata sopra un sostegno isola- tore, faceva sentire a parecchie persone collocate pur esse sopra uno sgabello isolatore quaranta o cinquanta scosse, che si suc- cedevano nello spazio di un minuto e mezzo. Ogni sforzo che faceva l’ animale per dare queste scosse, era accompagnato da una depressione degli occhi, che, sporgentissimi allo stato na- turale, rientravano in breve nelle loro orbite : il resto del corpo rimaneva immobile. Toccando uno solo dei due organi della Torpedine, invece di sentire una scossa energica e repentina, si provava una sen- sazione più debole, e per così dire più lenta: una specie di intorpidimento, anzichè un urto. Tutte le sostanze proprie a lasciar passare il fiuido elettrico trasmettevano rapidamente la scossa prodotta dall’animale; tutti i corpi non conduttori fermavano queste scosse. Se si toccava l’animale con un bastoncino di ceralacca 0 di vetro, non si sentiva verun effetto; ma toccandolo con un filo o con una verga metallica, si rimaneva violentemente colpiti. Ecco i fenomeni riconosciuti da Walsh. Non si poteva met- tere in dubbio la loro identità con quelli prodotti dalla elettri- cità della bottiglia di Leyda, o dalle macchine elettriche. I fenomeni elettrici della Torpedine sono stati sottoposti, ai nostri giorni, a moltissimi nuovi sperimenti dai signori Mel- loni, Matteucci, Bequerel e Breschet. Il Matteucci, illustre scienziato toscano, morto nell’anno 1868 a Firenze, ha riconosciuto che l’intensità della scossa prodotta dalla Torpeline può essere comparata a quella che si sente da una pila di Volta, detta a colonna, di cento o cento cinquanta coppie. Veniamo ora alla struttura dell'apparato organico che serve a svolgere questa elettricità nel petto della Torpedine. È questo un organo a mo’ di mezzaluna, doppio, e posto da ogni lato della bocca e degli organi respiratori. È fatto di mol- tissimi piccoli prismi, disposti parallelamente gli uni agli altri, e perpendicolarmente al suolo. Si sono contati fino a millecento e ottantadue di questi prismi in uno dei due organi elettrici di una Torpedine lunga un metro. Senza ripetere qui tutte le descrizioni anatomiche che sono state fatte da Stannius, da Max Schultze, da Breschet, ecc. ', dell’ apparato elettrico della torpedine, diremo solo che tutti i ! Non vuol essere dimenticato qui il nome di Paolo Savi, autore di uno stupendo lavoro intorno alla anatomia della Torpedine. (N. del T.) 166 PESCI CARTILAGINOSI piccoli parallelepipedi che entrano nella sua costituzione, son separati gli uni dagli altri da tramezzi di tessuto cellulare, nel quale si distribuiscono vasi e nervi. I filetti nervosi che ogni apparato riceve son divisi in quattro tronchi principali. Secondo gli autori moderni, l’ elettricità si elabora nel cer- vello, sotto l’azione della volontà. In seguito viene trasportata, mercè i filetti nervosi, nell’ organo principale, ove serve a ca- ricare quelle specie di piccole pile voltaiche, che sembrano co- stituire l’organo che produce le scosse. Nondimeno non bisognerebbe fidarsi a fare un paragone che non ha verun fondamento fra l’organo elettrico della Torpedine e le pile dei nostri laboratorii, ai quali questo organo non può compararsi per nulla. L'apparato elettrico sembra un corpo buon conduttore che sia molto elettrizzato; basta toccare una delle superficie di questo organo per ricevere la scossa. Se i piccoli prismi che lo compongono fossero carichi come le nostre pile voltaiche, bisognerebbe toccarne le due superficie onde sentirne la scossa. Non può quindi esistere nessuna analogia tra questo apparato naturale e l’ istrumento scientifico che porta il nome di Volta. Col calore si può rianimare fino a un certo punto l’attività spenta o sospesa delle funzioni elettriche della Torpedine. Te- nuta in una massa d’acqua di mare di un metro di altezza e di 30 centimetri di diametro, e ad una temperatura di 22°, una Torpedine conservò le sue facoltà per cinque o sei ore. Invece un'altra Torpedine, che era rimasta per dieci ore in una picco- lissima quantità d’acqua di mare, ad una temperatura di 10 a 12 gradi centigradi, e che pareva morta, si rianimò un tantino quando venne messa nell’ acqua a 20°, e diede scosse per lo spazio di un’ ora. Se si tiene stretto l’ animale nella coda, e si stringa sopra e sotto con laminette di platino, per raccogliere le due elettricità, l’animale si contrae fortemente; ma questi violenti movimenti non sempre sono accompagnati da scariche elettriche, ciò che dimostra sempre più chiaramente che gli sprazzi di materia elettrica non sono l’effetto di semplici con- trazioni muscolari, ma che vanno soggetti all’azione della vo- lontà dell'animale. Quindi l’ elettricità è l’ arme di cui son stati forniti questi animali per stordire i loro nemici e per intorpidire la loro preda. Quanto sono ammirabili i vari mezzi di cui dispone la natura, e ch’essa somministra alle sue creature, per renderne sicura l’esistenza ! SQUALI 167 Squali. —.Per la forma generale, gli Squali son più affini delle Razze ai pesci comuni. Le aperture delle branchie sono ai lati dietro al capo e non sotto il corpo !, come nelle razze. Le ru- gosità della pelle li proteggono dai loro nemici. Gli Squali comprendono parecchi generi :i Pescicani, i Gattucci, i Pescì martelli, i Pescì sega, ecc. Pescecane. — Il Pescecane* (fig. 59) cresce talora fino a dieci metri, e pesa oltre a 500 chilogrammi. Ma non è solo formi- dabile per la sua enorme mole. Oltre la forza, è fornito di armi potentissime. Feroce, vorace, impetuoso, insaziabile, sparso in tutti i climi e in tutti i mari, insegue accanitamente il pesce, che fugge al suo avvicinarsi. Colle fauci spalancate minaccia gli sventurati naviganti vit- time di un naufragio, e sembra chiuder loro ogni speranza di scampo, e mostrar loro in certo modo la tomba che li aspetta. Il corpo del Pescecane è allungato, e la sua pelle fittamente coperta di piccoli tubercoli. Questa pelle è tanto dura che sì adopera per rendere ben levigati varii lavori di legno e -di avorio *, per far cinghie d’ ogni sorta, per coprire gli astucci e piccoli oggetti. La grande resistenza di questa pelle ripara il Pe- scecane contro i morsi di molti abitanti del mare, forniti di acuti Genti. Il dorso ei fianchi del Pescecane sono di color bruno cenerino, la parte inferiore del corpo è di color bianco sporco. Il suo capo è appiattito, e termina in un muso un po’ arrotondato. La bocca semicircolare è enorme. La, circonferenza della mascella supe- riore di un Pescecane lungo dieci metri, è di circa due metri, e la sua gola essendo di un diametro proporzionato a questa mostruosa apertura, non vi è da meravigliarsi leggendo nel Rondelet e in altri scrittori che un grosso Pescecane può in- ghiottire un uomo in un boccone. ‘Quando l’animale ha la bocca aperta, si vedono, dopo le labbra, che sono strette e della consistenza del cuoio, molti denti piatti, triangolari, frastagliati, bianchi come l’avorio. Se il Pescecane è adulto, ha sotto e sopra sei file di queste armi micidiali, ar- senale bene acconcio per dilaniare le vittime. i Il numero poi e la disposizione di queste aperture servono a di- stinguerne le diverse specie ed i diversi generi. (Nota del Trad.) 2 Lat., Squalus; fr., Requin; ingl., Shark; ted., Haifisch. 5 È essa quella materia adoperata e conosciuta sotto il nome di 24- qriInA. (Nota del Trad.) 168 PESCI CARTILAGINOSI Questi denti si prestano ai varii movimenti che imprimono loro, secondo la volontà dell’ animale, i muscoli posti intorno alla loro base. Il Pescecane abbassa o rialza le varie file di denti; può anche rialzare una parte di una fila e abbassare l’altra parte. Quindi questo previdente carnefice sa misurare il numero e il grado delle armi di cui ha bisogno per dilaniare la preda : contro un nemico debole e senza difesa, una fila di denti; con- tro un avversario formidabile, adopera tutto l’arsenale. Il Pescecane ha occhi piccoli e quasi rotondi, coll’iride di un verde scuro; la pupilla foggiata in forma di fessura trasversale è azzurrognola. Il suo odorato è delicatissimo. Le natatoie son fisse e rigide. Le pinne pettorali, triangolari, più grandi delle altre, si allar- gano da ogni lato, e agevolano molto la velocità del nuoto. Fig. 59. Pescecane. La pinna caudale si divide in due lobi disegualissimi, perchè il superiore è lungo più del doppio dell’altro !. Del resto questa { Questo modo di divisione della coda in due lobi dissimetrici, nel superiore dei quali, sempre assai più lungo, si insinua la spina dorsale, è un carattere di somma importanza. La pluralità dei pesci viventi nelle nostre acque hanno una coda forcuta, divisa in due lobi perfettamente simmetrici, e la spina dorsale termina là dove la coda comincia. Questi pesci sono detti omocerchi ; e su questo tipo è foggiata pressochè la totalità delle ottocento specie viventi. Soltanto la famiglia degli Squali, o dei Pescicani, si adatta sull’ altro tipo diverso chiamato eterocerco ossia a lobi della coda disuguali. Or bene questo carattere, che fra tutti i pesci viventi ci fa immediatamente distinguere uno squalo, è ancora della massima im- portanza quando si considerino quelle famiglie di pesci che or sono PESCECANE 169 coda ha una forza incredibile. Con un colpo può rompere la gamba dell’uomo più robusto. Nella stagione calda il maschio e la femmina si avvicinano e vanno di conserva scordando la loro ferocia. Le uova si schiu- dono in vari tempi nel ventre della madre, e i piccoli nascono in numero di due o tre per volta. Appena nato, il Pescecane è flagello del mare. Tutto ciò che vive gli serve: mangia Seppie, Molluschi, pesci, specialmente i Tonni ed i Merluzzi. Ma la preda che preferisce, che insegue principalmente, e tiene in miglior conto, è l’ uomo. Il Pesce- cane ama l’uomo, ma è un affetto al tutto gastronomico. Anzi, secondo alcuni autori, manifesta una preferenza per certe razze umane. Se dobbiamo aggiustar fede a taluni naturalisti o viag- giatori, quando tre o quattro varietà di carni umane vengono a sua disposizione, il Pescecane preferisce l’ Europeo all’ Asia- tico, e l’Asiatico al Nero. Nondimeno, qualunque ne sia il co- lore, il Pescecane cerca avidamente la carne umana. Frequenta con perseveranza tutti i luoghi ove spera trovare sì ghiotto boccone. Lo insegue e fa per raggiungerlo sforzi straordinari. Salta in una barca, per ghermirvi i pescatori atterriti; si getta sui lati di una nave che va velocemente, per abboccare qualche disgraziato marinaio, che si lascia vedere dal difuori, occupato in qualche lavoro intorno ai cordami; tien dietro ai bastimenti negrieri, li insegue con costanza, aspettando, per inghiottirli, i cadaveri dei Negri che vengon gettati in mare e che son morti in conseguenza dei disagi del viaggio. Intorno a questo particolare Commerson narra un fatto si- gnificantissimo. Era stato sospeso alla cima di un’ antenna, alta più di venti piedi dal mare, il cadavere di un Negro. Si vide allora un Pescecane slanciarsi a varie riprese verso quella salma, raggiungerla e dilaniarne le membra successivamente, senza badare alle grida e alle aggressioni della ciurma, che sul ponte assisteva a quello strano spettacolo. Onde un animale così grosso possa slanciarsi ad una cosiffatta altezza, è neces- scomparse dalla faccia della terra, e delle quali non si hanno che avanzi fossili. Nelle antichissime età del globo, durante tutta l’epoca paleozoica, in quei mari sconosciuti non vissero che pesci eterocerchi: — era l’apogeo della famiglia dei Pescicani che vivevano in quei mari soli padroni, e dei quali ora non ci restano che pochi e meschini testimoni negli Squali oggidi viventi. Invece i terreni più recenti, dal trias all'insù, possono ben chiamarsi il regno dei pesci omocerchi, i quali, preso una volta il sopravvento, non cedettero più il dominio del mare. (N. del 7.) FiGuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 23 170 PESCI CARTILAGINOSsI sario che i muscoli della coda e della parte posteriore del corpo siano di una forza straordinaria. Siccome la bocca del Pescecane è collocata nella parte infe- riore del capo, bisogna che si rivolti per afferrare gli oggetti che non son collocati sotto di essa. S'incontrano uomini tanto coraggiosi da trar partito di questa conformazione, e dar la caccia a questo pesce formidabile e feroce. Sulle coste dell’ A- frica si veggono i Negri andar incontro nuotando al Pescecane, e nel punto in cui l’animale si arrovescia, profittare di quel momento per aprirgli il ventre con un coltello. Questo atto straor- dinario di coraggio e di ardimento non va considerato come un mezzo di pesca del Pescecane. Ecco come si compie in quasi tutti i mari questa pesca. Pesca del Pescecane. — Si sceglie una notte buia. Si allesti- sce un amo inescato con un grosso pezzo di lardo, ed attaccato ad una forte catena di ferro. Il Pescecane si slancia su quella preda, poi la lascia. Per tentarlo si ritira l’esca. La segue egli allora e l’inghiotte avidamente. Poi cerca di affondarsi nell’ a- cqua; ma trattenuto dalla catena, si agita e si dibatte. Quando le sue forze cominciano a scemare, si tira la catena per modo da tenergli il capo fuori dell’acqua. Allora si getta giù una corda che termina con un nodo scorsoio. Si fa entrare il corpo del mostro nel nodo e poi si stringe fortemente, specialmente al- l'origine della coda. Dopo averlo ben legato per ogni verso, si tira sul bastimento (fig. 58). Colà soltanto lo si uccide, non senza grandi precauzioni contro i terribili morsi e le forte codate dell’ animale. Del resto, il Pescecane ha la vita dura, e resiste per un pezzo alle più profonde ferite. La carne del Pescecane è coriacea, di cattivo sapore, difficile a digerirsi. Nondimeno i Negri della Guinea se ne nutrono. La rendono tenera conservandola lungamente. In varie parti delle coste del Mediterraneo si mangiano i piccoli Pescicani che si trovano nel ventre della loro madre. La parte inferiore del ventre dell'animale adulto, alla quale si toglie con varie preparazioni il cattivo sapore, serve talora an- che per l’alimentazione dei pescatori delle nostre coste. In Norvegia ed in Islanda si fa seccare all’ aria per più di un anno questa parte dell’ animale. Inoltre gli Islandesi fanno gran consumo di grasso di Pescecane. Il fegato di un di questi Squali lungo venti piedi può somministrare, secondo Pantop- pidano, due barili e mezzo d’olio. Abbiamo fatto, "colla maggior cura possibile, il ritratto del GATTUCCIO E PESCE MARTELLO 6! Pescecane. L'originale non è bello. Ma per quanto spaventosa sia la nostra descrizione, sarebbe incompiuta se omettessimo di dire che questo mostro delle acque fu venerato con. onori divini. L'uomo ha sempre amato ed adorato la forza; egli bacia la mano che lo schiaccia o il dente che lo dilania. Rispetta il padrone o il re che lo batte, e venera il Pescecane! Gli abitanti di certe coste dell’ Africa adorano il Pescecane. Lo chiamano il loro gioiello, e il suo stomaco vien considerato come la via più breve per andare in paradiso. Tre o quattro volte l’anno celebrano la festa del Pescecane. Ecco come si compie questa festa sinistra. Si portano tutte le barche in mezzo al fiume; e s’invoca con strane cerimonie la protezione del Dio Pescecane. Gli si offrono polli e capre, per soddisfarne il santo appetito. Ma ciò non basta. Ogni anno si destina fin dalla nascita un bambino per servire a quel barbaro sacrificio. Il fanciullo a cui tocca quella morte orribile è stato accarezzato c festeggiato fino all’ età di dieci anni. Il giorno della festa del Pescecane, il fanciullo vien legato ad un palo sopra una punta sabbiosa; la marea risale; la vittima si mette a gridare, ma vien lasciata in balia delle onde, e i pescicani arrivano. La madre non è molto lontana. Forse piange, ma asciuga le lagrime pensando che il suo fi- gliuolo entra nel cielo da quella orribile porta. Gattuccio è Pesce martello. — Il Gattuccio !*, che può giungere a un metro e trenta centimetri circa, è voracissimo. Siccome si nutre in gran parte di pesci, ne distrugge una grandissima quan- tità. Si avventa anche sui pescatori e sulle persone che si bagnano nel mare. Si mette in agguato come le Razze, e in tal modo? sorprende la preda. La sua carne, dura e con odor di muschio, vien mangiato di rado; ma la sua pelle è molto adoperata in commercio. È conosciuta col nome di zigrino. La pelle del Gat- tuccio si adopera, come quella del Pescecane, a fare astucci e cinghie, a coprir bauli. Quando è tinta di verde o di qualche altro colore se ne fanno ornamenti per astucci. Il Cagnolo o Gattina? (fig. 60) è più piccolo del precedente. 1 Scyllium canicula, Cuvier. — Scillio gattuceio. Galeo-gatto. Gattuecio. Gatta nostrana. Cagnetto. Cagnolo. Gattina. — Fr., Grande Roussette. 2 Scyllium stellare, Bonaparte. — Scillio gattopardo. Galeo stellato. Gatta. Gatta schiava. Gatta d’aspreo. — Fr., Roussette-Rocher, o petite Roussette. 2 PESCI CARTILAGINOSI Le macchie della sua pelle son più larghe e più rare, e le na- tatoie ventrali sono tagliate quadre. Ama vivere fra gli scogli ove si nutre di molluschi, di crostacei e di pesci. Il Pesce martello (fig. 61) è caratteristico per la singolare con- formazione del capo, il quale è appiattito orizzontalmente, tronco sul davanti, coi lati che si prolungano trasversalmente in due rami che lo fanno rassomigliare ad un martello. Gli occhi di questo pesce son collocati all’estremità dei pro- lungamenti laterali del capo; son grigi, sporgenti, e la loro iride ha un color dorato. Quando l’animale è irritato, i colori di questa iride divengono fiammeggianti e spaventano i pe- scatori. Fig. 60 Cagnolo o Gattina. Sotto il capo, e presso il punto ove comincia ‘il tronco, sta la bocca, semicircolare e munita ad ogni mascella di tre o quattro file di denti larghi, aguzzi e seghettati sui lati. La specie di Pesce martello più comune nei nostri mari ha il corpo stretto, bigio, col capo nerastro. Comunemente questo pesce vien lungo fino a tre metri, e pesa 250 chilogrammi. Il suo ardimento, la sua voracità e la sua indole sanguinaria superano di molto la sua mole; se il Pesce martello non ha la forza dei grandi pescicani, talvolta li vince pel furore che dimostra. Pochi pesci sono tanto noti ai naviganti quanto questo, per la sua singolare conformazione. Spesso tien dietro alle navi, spinto dalla sua voracità, fino nei porti o in vicinanza delle coste. È PESCE SEGA 173 questa una visita che rimane impressa nella mente dei marinai, che amano raccontare i pericoli di quest'incontro, se hanno potuto sfuggirgli. Pesce sega. — Il Pesce sega si distacca da tutte le specie note dei pesci, per l’arme formidabile che porta sul capo. Quest’arme è un prolungamento del muso, che invece di essere arroton- dato o di terminare a punta, si prolunga in una estensione dura, lunghissima, stretta e piatta da cima a fondo. Quest’arme è ri- coperta di una pelle solidissima, munita da ogni lato di nu- merose scanalature forti, grandi ed allungate, che non sono Fig. 61. Pesce martello altro che i prolungamenti della sostanza dura che forma il muso, terminato in una lama di spada. Questo Squalo, armato in tal modo, e che vien lungo fino a quattro metri e mezzo, aggredisce impavido e vince agevolmente i più pericolosi abitanti del mare. Con questa sega, spesso lunga due metri, ha l’ardimento di impegnar lotta colla balena. Tutti i pescatori che frequentano i mari del Nord asseriscono che quando questi due formidabili animali s'incontrano ne segue sempre un duello, eche quasi sempre è il Pesce sega quello che ne dà il segnale. Con un colpo di coda la Balena potrebbe vin- cere il suo avversario; ma lo Squalo è agile, salta, si slancia 174 PESCI CARTILAGINOSI sull’ acqua e ricade sul colosso confieccandogli nel dorso la sua arma appuntita e dentellata. In questa strana lotta, la Balena corre il rischio di perire dissanguata. Il Pesce sega abita i due emisferi e si trova in quasi tutti i mari. Non è raro sulle coste d'Africa, ove i Negri colpiti dalla forma e dalla grandezza della sua arme, l’hanno quasi adorato. Questi popoli primitivi conservano come preziose reliquie i pezzettini del muso dentellato del Pesce sega. Il Pesce sega talora si avventa con furore contro la chiglia delle navi e vi conficca la sua spada, che si spezza nel legno. Al Museo di storia naturale di Parigi si vede un’arme del Pesce sega che fu trovata infitta nel fianco di una Balena !. FAMIGLIA pEGLI StorIoNnIDI. — Nella seconda divisione dei Pescì cartilaginosi, vale a dire nella famiglia degli Storionidi, le branchie sono libere, come nei pesci comuni. Gli Storionidi sono affini a questi ultimi pesci anche perchè non hanno che un solo orifizio branchiale molto aperto e munito di un opercolo, ma senza raggi alla membrana. Sono pesci di grossa mole, che vivono nel mare, ma che ri- salgono i fiumi, e possono vivere nelle acque dolci. Qui par- leremo solo delle Chimere, dei Poliodonti e degli Storioni. Chimera artica e antartica. — I naturalisti Glusio e Aldo- vrandi hanno battezzato questo pesce col nome di Chimera ar- tica, per la singolare conformazione. La sua strana forma, il modo singolare con cui mostra i denti e muove inegualmente le varie parti del muso, le sue contorsioni e smorfie da scimmia, la sua lunga coda, che rammenta quella di un rettile e che l’animale agita rapidamente, tutto ciò aveva molto colpito il volgo e gli antichi naturalisti. Clusio e Aidovrandi avevano paragonato questo pesce alla Chimera, mostro dell’antichità mi- tologica, che gli antichi rappresentavano con un corpo di capra, un capo di leone, una coda di drago, e una bocca spalancata che vomitava fiamme. Più tardi, si contentarono di favoleggiare che la fosse un pesce con testa di leone; e siccome il leone era allora considerato il re degli animali e bisognava pur cer- care un regno alla Chimera, si disse che regnava sulle Arin- ghe, di cui insegue le immense schiere: venne quindi chia- mata il Re d’Aringhe, o Re d’Aringhe nordico. ! Ve ne ha un piccolo, ma bello esemplare al Museo di Milano. (Nota del Trad.) CHIMERA ARTICA, E ANTARTICA 175 Questo re dei popoli acquatici è lungo da un metro e 65 centimetri a due metri, di un colore argentino, macchiettato di bruno. Abita i mari d’ Europa, e riman quasi sempre nell’O- ceano settentrionale, ove si nutre di granchi, di molluschi e di animali a conchiglia. Soltanto, per meritarsi il nome di Re delle Aringhe, che gli venne dato dai naturalisti, spesso prende un tributo sui suoi guizzanti sudditi. La Chimera antartica, che s’ incontra nei mari dell’ emisfero meridionale, rassomiglia molto, per la conformazione e pei co- stumi, alla Chimera artica. La punta del muso termina in una appendice cartilaginosa, che si estende allo innanzi e sì ri- Fig. 62. Chimera artica. curva in seguito sulla bocca. Questa appendice, che è stata rassomigliata ad una cresta, ha fatto dare il nome di Pesce gallo a questo animale. Altri paragonando lo stesso organo ad una proboscide, l’hanno chiamato Pesce elefante. Gli antichi natura- listi avevano l'inutile mania di cercare fra tutti gli esseri del creato rassomiglianze ed analogie alle quali la natura non ha mai pensato. Poliodonte fogliato. — Questo pesce, noto un tempo col nome di Cane marino, si riconosce agevolmente per l’ eccessivo pro- lungamento del muso, lungo quasi quanto tutto il capo. Questo 176 PESCI CARTILAGINOSI muso si allarga in due strisce membranose che lasciano ve- dere alla superficie una gran quantità di piccoli vasi sanguigni, la unione dei quali può compararsi al tessuto fibroso delle fo- glie; da ciò il nome di Poliodonte fogliato dato a questo pesce. Storioni, loro uova, e loro pesca. — Gli Storioni! sono fra i più grossi pesci che si conoscano. Per questo riguardo, come per la loro conformazione esterna, sono affini agli Squali, di cui abbiamo testè tracciata la storia. Ma sono ben lontani dal partecipare della forza e del vigore di questi ultimi, I loro mu- scoli son meno saldi, la loro carne è più delicata, e quindi Fig. 65. Storione comune. hanno minor forza muscolare. La bocca non è munita di molte file di denti aguzzi; perciò non hanno appetito tanto violento, e son meno feroci. Gli Storioni son pesci di mare, che risalgono periodicamente i fiumi. Se ne conoscono moltissime specie in Europa ?. Ab- 1 Lat., Accipenser; fr., Esturgeon; ingl., Sturgeon; ted., Stòr. 2 Quattro specie di Storioni si trovano da noi in Lombardia: Accipenser sturio, A. Naccari, A. Nardoi, A. Nasus. Queste quatro specie si pescano promiscuamente nel Po; ma la specie più frequente è lo storione propriamente detto (A. Sturzo). Abitatrici del mare Adriatico, risalgono nel maggio la corrente del Po; e la locali‘à più abbondante si è quella Fig. 64. pesca dello Storione nel Volga. bo GI Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. bin Gt) Y DAR Cla i CITI rid A i rese ici E È URZ è Ù LA s STORIONI, LORO UOVA, E LORO PESCA 179 bondano sopratutto nel mar Nero e nel mar di Azof. Nel Volga e nel Danubio vivono le varie specie di questo genere. Il con- sumo enorme che si fa in Russia di caviale produce una guerra accanita allo Storione in molti fiumi di Europa, e finirà per produrre la distruzione di questa specie. Lo Storione comune (fig. 63) è sparso ad un tempo nel mare del Nord, nell'Oceano, nel Mediterraneo ; alle volte si vede nel Reno, nel Po, nella Senna, nella Loira e nella Gironda. Ordi- nariamente è lungo da 2 metri a 2 metri e 30, ma può giun- gere alla lunghezza di 5 a 6 metri. Il colore generale è gial- lastro, col ventre bianco. È notevole pel numero e la forma delle piastre ossee che coprono il suo corpo, come tanti scudi. Sul dorso e sul ventre ha da 12 a 15 piastre rugose, munite di una sporgenza che, aguzza in gioventù, si spunta negli indi- vidui vecchi; sui fianchi havvi una serie di 30 a 85 scudi triangolari. Queste file di piastre sarebbero per lo Storione una valida difesa e lo renderebbero uno fra i pesci meglio coraz- zati, se non fossero saparate' le une dalle altre da intervalli troppo grandi. Anche la forma del capo è pure caratteristica. Largo alla base, va restringendosi insensibilmente fino all’apice in un muso conico. La bocca, larghissima, è situata molto al- l’indietro della punta del muso; e le mascelle, invece di denti, son munite di cartilagini. Fra la bocca ed il muso si osservano quattro cirri sottili, mobilissimi, e rassomiglianti a vermetti. Si è asserito che questi cirri attirino gli incauti pesciolini fin presso la bocca dell’animale che nasconde il capo fra le piante acquatiche. Nel mare, lo Storione si ciba di pesci di mezzana grossezza, come le Aringhe, gli Scombri, i Merluzzi. Quando s’inoltra nei fiumi, aggredisce i Salmoni, che li risalgono contemporanea- mente con esso. Lo Storione , in mezzo alle squadre dei Sal- moni, pare un gigante. E’ fu appunto chiamato il Duca dei Sal- moni, volendolo comparare ad un capo di quelle orde viaggia- trici. Lo Storione depone nei fiumi una quantità enorme di uova, che si raccolgono, come abbiamo detto, per farne il ca- viale. La sua carne è delicata e di un sapore squisitissimo. Nei paesi ove si pescano molti Storioni;j vengono seccati per con- servarli. che corrisponde presso a poco allo sbocco del Ticino nel Po, presso Pontalbera, dove si nota una grandissima profondità, e quivi si prendono in genere gli individui di maggior grossezza. Abbastanza comune è quindi lo Storione sui mercati di Milano e di Pavia; nel 1865 se ne portò uno del peso di 240 chilogrammi. (Nota del Trad.) 180 PESCI CARTILAGINOSI I fiumi che sboccano nel mar Nero e nel Caspio, contengono, oltre lo Storione comune, parecchie altre specie dello stesso genere, fra le altre lo Sterletto o piccolo Storione, e lo Storione maggiore. Il primo non cresce oltre a 65 centimetri. La sua carne è ancor più delicata e più apprezzata di quella dello Storione co- mune. Presso gli antichi, questo pesce era invero stimato ad un punto singolare. Nella decadenza di Roma sotto gli imperatori, in quel tempo di corruzione che ne precedette e ne produsse la rovina, si videro degli Storioni portati trionfalmente a suon di musica sopra tavole riccamente adorne e coperte di fiori. Lo Storione maggiore, che talora può superare il peso di cinque o seicento chilogrammi, non si trova guari che nei fiumi che si gettano nel mar Caspio e nel mar Nero. Il Volga, il Don ed il Danubio contengono gli individui più grossi. Noi andiamo debitori al naturalista russo Palas dei ragguagli che si hanno intorno al modo di pescare lo Storione maggiore nel Volga e nel Jaick. Si costruisce in questi fiumi una diga trasversale di pali che non lascia nessun intervallo abbastanza grande per dar passo all’ animale. Nel mezzo questa diga forma un angolo opposto alla corrente, e per conseguenza opposto al pesce che risale il fiume e s’ inoltra verso la punta di questo angolo. Qui havvi un’ apertura che conduce ad una sorta di recinto, fatto di reti, sul finire dell'inverno, e di palizzate di giunchi l’estate. I pe- scatori si mettono sopra una specie di palco, collocato sopra quest’apertura. Il fondo del serbatoio può essere sollevato dai’ pescatori fino alla superficie dell’acqua. Quando il pesce è entrato in questo serbatoio, i pescatori che stanno sul palco lasciano cadere una porta, che gli chiude il ritorno al mare. Si toglie allora il fondo mobile della camera, e si prende agevolmente il pesce (fig. 64). Durante il giorno, i pescatori si avveggono dell’ entrata dei grossi Storioni nel grande recinto, dal movimento che questi pesci comunicano a certe corde sospese a piccoli galleggianti. Di notte, gli Storioni che entrano nel recinto agitano, coi loro movimenti, altre corde ivi disposte e le tirano tanto da far rica- dere dietro di sè la porta da noi menzionata. Gli Storioni ri- mangono per tal modo imprigionati per la caduta di questa porta, la quale fa suonare una campana per dare l’avviso e de- stare se fa d’uopo il pescatore addormentato sul palco. Non è questo un complesso di mezzi ben combinati, e la pesca dello Storione sul Volga non vi par forse una pesca be- nissimo immaginata ? STORIONI, LORO UOVA, E LORO PESCA 181 Alla foce dei fiumi, cioè delle tante diramazioni per cui il Volga sbocca nel Caspio, la pesca degli Storioni si fa altrimenti. Il viaggiatore Gmelin, che ha percorse varie parti della Russia, descrive le pesche di Storioni che si fanno sul principio dell’in- verno nelle caverne e nelle cavità delle spiaggie presso la città di Astrakan, collocata sul mar Caspio alla foce del Volga. Si raduna un gran numero di pescatori, si mettono insieme molti piccoli bastimenti, e si prepara ogni cosa come per una bene ordinata operazione militare. Tutta quella flotta si avanza Fig. 65. Pesca dello Storione sotto il ghiaccio. silenziosamente e con cautela presso i ricoveri in fondo ai quali si sono ritirati quei pesci. Si tendono reti intorno intorno, poi ad un tratto si mandano grandissime grida. I pesci spa- ventati si precipitano fuori dalle loro caverne, e vanno a cader nelle reti. Nelle regioni settentrionali i pescatori vanno in cerca dello Storione fin sotto al ghiaccio (fig. 65). La mole notevole di questo pesce, la bonta e la qualità nu- triente della sua carne, sana e piacevole al gusto, la quantità enorme di uova che si tolgono dal corpo delle femmine, hanno I) î 182 PESCI CARTILAGINOSI eccitato il commercio e l'industria degli abitanti delle spiaggie del mar Caspio e del mar Nero. Per dare un’idea dell’abbon- danza delle uova dello Storione maggiore, basti dire che il peso delle due ovaie è quasi il terzo del peso totale dell’ ani- male; ora queste ovaie hanno pesato fino a quattrocento chi- logrammi, in una femmina del peso di 1400 chilogrammi. Si è con queste uova, ma non unicamente con questo pro- dotto, che si prepara il caviale, alimento più o meno stimato, secondo che le uova che ne sono la base sono state più o meno bene scelte, poi ripulite, maneggiate, strette e mescolate con sale e altri ingredienti. Il caviale ha fatto, non le delizie, ma le meraviglie di molti visitatori dell'Esposizione universale di Pa- rigi nel 1867, in quella trattoria russa che rimarrà per certo una delle loro più care memorie. Un altro importante prodotto dello Storione maggiore, sotto l’ aspetto industriale, è la vescica natatoria, collocata sotto la spina dorsale di questi pesci cartilaginosi. Questi organi, tolti all’animale, immersi nell’ acqua e separati dalla loro pelle esterna, tagliati in lungo, racchiusi in una tela, rammolliti colle mani e fatti a mo’ di tavolette, o di piccoli cilindri ricurvi, e poi infine messi ad un dolce calore, costituiscono quasi tutta la colla di pesce che si consuma in Europa, e che è nota’ col nome elegante e semigreco di ittiocolla. Mista alla colla forte, ha una notevole forza di adesione. Può adoperarsi per riunire i pezzi rotti della porcellana e del vetro. Si chiama colla da mangiare, quando è mescolata con una sostanza di sapore gra- devole , che permette di rammollirne in bocca, senza disgusto, alcuni pezzettini. Il grasso dello Storione maggiore, quando è fresco, si sosti- luisce all’ olio e al burro. È molto utile per gli abitanti dei paesi meridionali della Russia. La pelle di questo Storione può surrogare il cuoio di molti animali. Quella degli individui giovani, quando è stata bene ripulita di tutte le materie che potrebbero renderla opaca, e quando è ben disseccata, sostituisce i vetri delle finestre, in una parte della Russia e della Tartaria. Così ogni cosa è buona, e diviene utile all’ uomo e alla sua industria in questa grande e feconda specie di Storione che abbiamo studiata. PESCI OSSEI Con questa denominazione generalmente si comprendono i Pesci propriamente detti o i Pesci comuni. Abbiamo sin da prin- cipio fatto osservare che questo gruppo naturale d’ animali è caratterizzato dalla costituzione dello scheletro solido. I pesci ossei si dividono in sei ordini, che invero. si fondano su caratteri di pochissima importanza organica, e che pur troppo i dotti hanno battezzati con nomi barbari. Menzioneremo subito questi nomi, onde non aver più da ripeterli. Risalendo la scala di perfezione degli esseri, troviamo per i primi i Plettognati, ossia pesci dalla mascella superiore saldata al cranio (dalle voci greche plectos intrecciata, e gnatos ma- scella). |. Vengon poi quelli che hanno la mascella superiore mobile. Alcuni hanno le branchie disposte in ciuffi rotondi: sono i Lofo- branchi (dal greco lophos, cresta, ciuffo, e branchia). In altri pesci, le branchie son disposte a pettine. Questi ultimi si dividono in due grandi scompartimenti. Nel primo, tutti i raggi delle natatoie sono molli, eccettuata talvolta la prima delle natatoie dorsali o pettorali: sono questi i Malacot- terigi (greco malachos, molle, pierigion, natatoia) che formano i terzo gruppo dei pesci ossei. In un ultimo gruppo, i pesci hanno raggi ossei nella natatoia dorsale anteriore, e alcuni raggi ossei alla natatoia anale e ordinariamente uno ad ogni natatoia ventrale: sono questi gli Acantotterigi (greco akanta, spina, pterigion, natatoia) che for- mano l’ultimo gruppo dei pesci ossei. i Dobbiamo aggiungere che i Malacotterigi si suddividono essi stessi in tre ordini; il che porta a sei il numero degli ordini dei Pesci ossei, cioè: i Plettognati, i Lofobranchi, i Malacot- terigi apodi, i Malacotterigi sub-branchiati, i Malacotterigi addo- minali, e gli Acantotterigi. i ORDINE DEI PLETTOGNATI I pesci di quest'ordine segnano per la loro organizzazione il passaggio dai Pesci cartilaginosi ai Pesci ossei. Il loro scheletro, che per un tempo più o meno lungo riman molle, finisce per indurirsi. Il carattere distintivo . principale dei pesci di questo ordine consiste nell’essere l’osso mascellare saldato o fortemente attaccato sul lato dell’osso intermascellare, il quale forma solo la mandibola, e nell’articolarsi dell’arco del palato col cranio, per modo da renderlo immobile. Inoltre gli opercoli ed i raggi delle branchie son ricoperti da una pelle fitta, che non lascia esternamente se non una piccola. apertura branchiale. Questi pesci non hanno vere natatoie ven- trali, enon mostrano che vestigi di coste. Quest’ordine comprende due famiglie molto naturali, caratterizzate dal modo con cui sono armate le mascelle: le famiglie dei Gimnodonti e degli Scle- rodermi. Gimmodonti. — I pesci di questa famiglia hanno le mascelle senza denti apparenti, ma munite di una specie di becco di avorio che li rappresenta. In questa famiglia si collocano i Diodonti, i Tetrodonti, le Moli, ecc. I Tetrodonti* (fig. 66) vengon così chiamati perchè le loro mascelle larghe, dure, ossee, sporgenti, son divise entrambe anteriormente in due parti da uno spacco verticale, per modo che simulano due denti. Queste quattro porzioni di mascelle ossee che sporgono dalle labbra, rassomigliano alle mandibole dure e frastagliate delle testuggini. La loro parte anteriore talora si prolunga in punta, come le mandibole del becco di un pappagallo. Son disposte a meraviglia per schiacciare le con- chiglie dei molluschi e l’invoglio resistente dei crostacei. La pelle di questi pesci è irta di piccole spine poco sporgenti, il cui numero compensa la cortezza, e che servono a tener lon- tani i loro nemici o feriscono la mano che vuole afferrarli. In- oltre son forniti di una singolare facoltà: possono gonfiare la parte inferiore del loro corpo, dandogli una estensione tanto i Lat., Tetraodon; ted., Stuchelbauch. GIMNODONTI 185 notevole, che diviene allora come una grossa palla rigonfia, en- tro la quale scompare, per così dire, il corpo propriamente detto. Fig. 66. Tetrodonte e Pesce Mola. Egli è introducendo un’enorme quantità d’aria nello stomaco, che il pesce si gonfia così a suo piacimento, allorchè vuole in- Fig. 67. Diodonte irsuto. nalzarsi verso la superficie dell’ acqua onde resistere ad una aggressione. Infatti, in questo stato di tensione degli integu- FicuieRr. Rettili, Pesci e Animali articolati. RIA 186 s ORDINE DEI PLETTOGNATI menti, gli aculei che ricoprono la sua pelle son tanto tesi quanto possono esserlo. Si conoscono parecchie specie di questo genere !. Citeremo il Tahaca, pesce comunissimo nel Nilo. Sovente durante le in- nondazioni l’ acqua rigetta sulla terra molti di questi pesci che servono di trastullo ai figli dei fellah. I Diodonti® (fig. 67) non differiscono dai Tetrodonti che nella foggia delle mascelle ossee, ognuna delle quali forma un pezzo solo, per cui sembra che non abbiano che due soli denti: da ciò il loro nome (greco dis, due, odus, odontos, dente). Ne dif- feriscono ancora per gli aculei che sono molto più grossi e più forti di quelli dei Tetrodonti. Tutti questi pesci sono, perco sì dire, i porcospini e gli istrici del mare. Come i Tetrodonti, gonfiandosi irrigidiscono i loro aculei. Si conoscono moltissime specie di Diodonti sparse in tutti i mari, specialmente in quelli dei paesi caldi ?. Il Pesce-luna 0 Mola, detto anche Pesce tamburo, si distingue agevolmente da quelli che abbiamo menzionato pel suo corpo compresso, senza spine, e che non può gonfiarsi. Siccome è moito arrotondato nel contorno verticale che si scorge guar- dandolo da un lato, fu comparato ad un disco, e più poetica- mente alla luna, di cui la sua grande superficie particolare rammenta in certo modo lo splendore biancastro ed argentino. Ma di notte sopratutto merita il nome che gli venne dato. In- fatti, allora brilla di luce propria, di luce fosforescente. Quanto più la notte è buia, tanto più vivace appare questa rassomiglianza. Quando si guarda quel pesce in un’acqua profonda, la luce che emana dal suo corpo, e che gli strati d’acqua che attraversa fanno ondeggiare, rassomiglia al chiaror tremolante della luna velata dalla nebbia. Si prova una vera sorpresa vedendo nuotare in fondo all’ acqua quel disco lievemente luminoso; e non pensandoci sopra par proprio di vedere l’immagine della luna, quand’anco questa non sia nel firmamento. Allorchè molti di questi pesci nuotano insieme e intrecciano i loro solchi argen- tini, si crede esser presenti ad una danza di stelle. Il Pesce-luna s’incontra di frequente presso i mercanti di i Interessantissimi esemplari di questa specie, di cui parecchi pro- venienti dal Mar Rosso, fanno parte della collezione ittiologica del Museo di Milano. (Nota del Trad.) 2 Lat., Diodon; ted., Igelfisch. 5 Anche di Diodon esistono belli esemplari al Museo di Milano. SCLERODERMI 187 commestibili di Parigi; è comune nel Mediterraneo !. In questo mare può raggiungere la lunghezza di metri 1,30 e un peso considerevole. Si nutre di pesciolini, di vermi, di molluschi; la sua carne grassa e vi schiosa non è buona a mangiarsi. Selerodermi. — I pesci {che compongono questa famiglia] si distinguono agevolmente pel muso conico o piramidale, che si prolunga dagli occhi, e che termina in una piccola bocca guernita di veri denti. La loro pelle è generalmente ruvida e ricoperta di dure scaglie. Menzioneremo qui le Balestre ed i Cofani. Le Balestre ? (fig. 68) hanno il corpo compresso. La loro ma- scella è munita di otto denti, disposti in una sola. fila ad ogni mascella e coperti di vere labbra. Gli occhi son quasi a fior di testa. La bocca è piccola, ed il corpo ricoperto di squame duris- sime che sono riunite in gruppi, distribuite in scompartimenti più o meno regolari e fortemente attaccate ad una pelle spessa. In tal modo l’animale è riparato da una corazza e da un elmo cui è diffitilissimo intaccare. Le varie-specie di Balestre presentano i colori più vivaci e più grati all’ occhio. Abitano i climi caldissimi. Ad eccezione di una specie, non sono state vedute che nei paesi equa- toriali. Questi splendidi abitatori delle acque si riuniscono in branchi numerosi e producono bellissimi effetti, quando si trastullano in mezzo ai mari equatoriali, facendo scintillare come tante gemme preziose i mille jriflessi del loro corpo azzurrino. In generale, la loro carne non è stimata molto: anzi dicesi che in certi tempi dell’anno sia pericolosa. I Cofani od Ostracioni 3 (fig. 69) non hanno il corpo coperto di squame, bensì di pezzi ossei regolari. Questi pezzi son riuniti così bene fra loro, che il corpo riman come racchiuso in una specie di scatola o di cofanetto allungato, che non lascia scoperci che gli organi esterni del moto, le pinne, ed una parte più o meno grande della coda. V’ha dei Cofani col corpo trian- 4 Uno stupendo esemplare di Mola Aspera vedesi pure nel Museo di Milano. Questo pesce voluminoso venne pescato nelle vicinanze del porto di Venezia in una notte burrascosa. — Nella collezione poi esi- stono anche individui più piccoli della medesima specie, e rappresentanti di altre specie. (Nota del Trad.) 2 Lat., Balistes; fr., Baliste; ingl., File-fish; ted., Hornfisch. 5 Lat., Ostracion; fr., Coffre: ted., Kofferfisch. 188 ORDINE DEI PLETTOGNATI golare, senza spine o con spine; altri col corpo quadrangolare, senza spine, ecc. È ROSEO, = = = Fig. 68. Balestra. * Questi strani pesci s' incontrano nei mari delle Indie e del- l'America !. Sono di mezzana statura e non son mai ricercati Fig. 69. Cofano. per l’alimentazione dell’uomo, perchè la loro carne è poco ab- bondante e talvolta anche malsana. 1 Provenienti da quelle regioni sono anche i numerosi e rari esemplari posseduti dal Museo di Milano. (Nota del Trad) ORDINE DEI LOFOBRANCHI Quest’'ordine non comprende che un piccolo numero di tipi, ma moltissime specie. Qui le branchie, invece di essere a foggia di lamine o di pettine, si dividono in ciuffettini rotondi disposti a paia lungo gli archi branchiali. È una struttura al tutto . particolare, e di cui non si trova esempio in nessun altro pesce. Queste branchie son racchiuse in un grande opercolo, attaccate === ss == Fig. 70. Pesce ago. ad ogni lato da una membrana che non lascia che un piccolo foro per l’uscita dell’acqua che ha servito alla respirazione. Questi piccoli pesci, poco carnosi e coperti di corazza, com- prendono due generi, i Pesci aghi o Singnati, ed i Pegast. Pesci aghi o Singnati. — I Pesci aghi presentano una curiosis- sima particolarità organica. La loro peile, gonfiandosi, forma sotto il ventre o alla base della coda, secondo le specie, una saccoccia nella quale scivolano e si schiudono le uova, e che si spacca per lasciare uscire i piccoli. I Pesci aghi, propriamente detti, hanno il corpo sottilissimo, molto allungato, e di un diametro a un dipresso uguale in tutta la loro lunghezza. La maggior parte delle specie sono estranee all'Europa: soltanto qualcheduna abita le nostre coste, special- mente le coste del Mediterraneo. 190 ORDINE DEI LOFOBRANCHI Il Pesce ago trombetta ha il capo piccolo, il muso] allunga- tissimo, quasi cilindrico, un po’ rialzato in punta. Sull’ apice sta una bocca piccolissima, priva di denti. L’ animale, lungo mezzo metro, è ravvolto in un astuccio di color giallo variegato di bruno. Vive nell'Oceano e nel Mediterraneo, ove pescasi per inescare gli ami. Il Pesce ago, propriamente detto, abita le medesime località, e si distingue dalla specie precedente. per la lunghezza del corpo e specialmente pel capo. Appartengono a questo genere i Cavallucci marini od Ippocampi *. I Cavallucci marini, tutti piuttosto piccoli, hanno un aspetto particolare, specialmente dopo morti. Il tronco ed il capo es- siccandosi si curvano, e prendono una certa rassomiglianza col collo del cavallo. Inoltre, gli anelli che formano l’invoglio del corpo e della coda rammentano un tantino la struttura del bruco. Da queste vaghe rassomiglianze è derivato ilî nome di Ippocampo 0 Cavalluccio marino (dal greco ippos, cavallo, e Rampos grosso pesce), adottato dagli antichi per designare i cavalli di Nettuno. Questa singolare creaturina vien lunga da tre a quattro decimetri, ed i suoi colori sono variabilissimi. Si incontra nel- l'Oceano, nel Mediterraneo, nel mare delle Indie. Diamo qui il disegno (fig. 71) dell’ Ippocampo o Cavalluccio marino punteggiato. Il Cavalluccio marino dal naso corto è noto a quanti abbiano visitato Napoli e la Sicilia. Percorrendo le spiaggie di Pozzuoli, nel contorno di Napoli, i fanciulli dei contadini del paese non avevano altro da offrirci, come curiosità naturale, che i Caval- lucci di mare secchi e rugosi, col collo ricurvo e l’ aspetto al- quanto schifoso. I Cavallucci marini vivono nell’Oceano, intorno alle coste di Spagna; di tratto in tratto vanno anche sulle spiaggie della Manica. Il signor Lukis ha allevato in schiavitù due femmine di Cavallucci marini, ed ha in esse riconosciuto una certa dose d’intelligenza. « Quando i Cavallucci marini guizzano, dice questo osservatore, con- servano la posizione verticale; ma colla coda cercano sempre di affer- rare tutto ciò che possono trovare nell'acqua. Allora li vediamo attor- cigliarsi ai trorchi delle canne. Quando l’animale è ben fermo, osserva attentamente tutti gli oggetti che lo circondano, e si avventa sulla preda con somma sveltezza. Quando l’ uno si accosta all’ altro, sovente intrec- ciano le loro code, e segue una lotta allorquando si tratta di separarsi. Per venirne a capo si attaccano alle canne colla parte inferiore delle 1 Lat., Hippocampus: ingl., Sea horse; ted., Seepferdchen. PEGASI 151 gote -o del mento. Adoperano la stessa manovra quando hanno bisogno di un punto di appoggio per sollevare il corpo o vogliono ravvolgere la coda intorno a un altro oggetto. Muovono gli occhi indipendentemente l’uno dall’ altro, come nel camaleonte. Le iridi sono brillanti e orlate di turchino. » Fig. 74. Cavalluccio marino punteggiato. Pegasi. — I Pegasi*! hanno le natatoie pettorali conformate ed allargate per modo da sostenerli con agevolezza, non solo nelle acque, ma anche in mezzo all’atmosfera. Infatti sono pesci vo- lanti o almeno alati. Il volgo, nella sua passione per le analogie, ha comparato queste creaturine al celebre corsiero della mito- logia che abitava la doppia collina, e nello stesso tempo al mostro fantastico noto col nome di drago. Da ciò il nome di Pegaso-Drago dato alla specie principale di questo genere. Il Pegaso-Drago non oltrepassa un decimetro di lunghezza. Coperto di squame triangolari e comunemente azzurrognole, vive soltanto di vermi, di uova di pesci e di avanzi di sostanze organiche che trova nella terra grassa del fondo del mare. Cosif- fatte abitudini non sono nè poetiche nè feroci, e il Pegaso-Drago non merita il doppio nome che gli venne imposto se non per le sue squame e le sue aperture branchiali ?. ' Lat., Pegasus; fr., Pegase; ted., Meerdrache. ? Le famiglie dei pesci Lofobranchi sono ‘assai ben rappresentate anche nella collezione del Museo di Milano. MALACOTTERIGI Il carattere principale dei pesci che compongono l’ordine dei Malacotterigi, è, come abbiamo detto, di avere tutti i raggi delle natatoie molli, tranne alle volte il primo raggio della natatoia dorsale e delle natatoie pettorali. Questi pesci abitano l’acqua di mare a l’acqua dolce. In questo ordine troveremo pesci utilissimi all'uomo, come le Aringhe, il Merluzzo, il Salmone, la Carpa, i Lucci e molti altri. I naturalisti moderni, seguendo Cuvier, dividono i Malacot- terigi in tre ordini? gli Apodi, che sono sprovvisti di natatoie ventrali; i Subbranchiati, che hanno natatoie sotto le branchie; gli Addominali, che hanno natatoie ventrali sospese sotto l’ ad- dome. Passeremo successivamente in rassegna i tipi più curiosi e più utili che appartengono ad ognuno di questi tre ordini. ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI Una famiglia sola compone quest’ ordine, che comprende, pesci assai ricchi di generi e di specie. Questa famiglia è quella degli Anguilliformi. I pesci di questi famiglia hanno tutti forma allungata, pelle spessa e molle, per cui appena si scorgono le squame piccolis- sime, e sono sforniti di natatoie addominali. Fra i generi più importanti di quest'ordine menzioneremo gli Ammoditi, i Gimnoti, le Murene, i Gronghi e le Anguille. Fiovier. Rettili, Pesci e Amimali articolati, Fig. 72. Pesca dei Gimnoti elettrici fatta dagli Indiani delle sponde dell’ Orenoco, GIMNOTI 195 Ammoditi. — Gli Ammoditi hanno il corpo molto allungato, simile a quello di un serpente, e munito di una natatoia che si estende sopra gran parte del dorso, e di una natatoia forcuta in cima alla coda. Il muso è allungato; la mascella inferiore è più lunga della superiore. L’Ammodite-esca 1, che rappresentiamo qui (fig. 73), suol af- fondarsi nell’arena del mare; perciò in Isvezia, in Danimarca, in Inghilterra, in Germania ed in Francia, vien denominata Anguilla della sabbia. L’Ammodite scava col muso la fina arena delle spiaggie, e vi si affonda fino a circa due decimetri. Vi cerca le varie specie di vermi di cui ama cibarsi, e in questa tana si nasconde e si ri- para dal dente di molti pesci voraci, che lo inseguono perchè ne sono ghiottissimi. Quindi in molte sorta di pescagioni l’Am- modite serve di esca. Questo pesce è di un turchino argentato, più chiaro sulla parte inferiore del corpo che sulla superiore. Alcune fascie bian- che e turchine si alternano sull’addome. Gimnoti. — I Gimnoti ® hanno il corpo allungatissimo, quasi cilindrico, e serpentiforme; la coda è molto lunga relativa- mente alle altre parti del corpo. Sotto la coda si vede una na- tatoia larga e lunga. Il Gimnoto non ha che questa sola nata- toia, e per questa nudità del suo dorso venne chiamato col nome che porta (dal greco gimnos, nudo, e notos, dorso). I Gimnoti sono pesci di acqua dolce propri dell’ America del Sud. Possono crescere lunghissimi. Se ne conoscono parecchie specie, ma la più celebre, a motivo delle singolari sue proprietà elettriche, è il Gimnoto elettrico (fig. 74). Gimnoto elettrico e sua pesca. — Questo pesce aveva tutto ciò che ci voleva per colpire l'immaginazione dei viaggiatori, e destare la meraviglia dei fisici. Infatti non è egli meraviglioso vedere il Gimnoto fermare repentinamente il nemico che lo in- segue o la preda che gli fugge, sospendere ad un tratto tutti i movimenti della sua vittima, e domarla mercè una forza ignota; come pure vedere gli stessi pescatori rimaner subitamente col- piti e intorpiditi, mentre stanno per impadronirsene, senza che nulla lasci scorgere esternamente l’ arme misteriosa, di cui dispone questo pesce? Le proprietà elettriche del Gimnoto furono riconosciute per ! Fr,. Equille-appat. 2 Lat., Gymnote; ted., Ziteraal. 196 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI la prima volta, presso a Caienna, da Van Berkel. L’astronomo Richer, che nel 1678 era stato mandato a Caienna dall’Accade- mia delle scienze di Parigi, per fare operazioni geodetiche, fece Fig. 73. Ammodite-esca. \ conoscere in Europa le singolari proprietà di questo {pesce d'America. Fig. 74/'Gimnoto, o Anguilla elettrica. « Rimasi molto meravigliato, dice egli, vedendo un pesce lungo da tre a quattro piedi, simile ad una anguilla, togliere ogni movimento per un quarto d'ora al braccio ed alla parte più prossima del braccio del- l’uomo che lo toccava col dito o col bastone. Non solo fui testimonio oculare dell’effetto prodotto dal suo contatto, ma lo provai io stesso un giorno toccando uno di questi pesci ancor vivo} sebbene ferito da un uncino, mercè il quale i selvaggi lo avevano tirato dall'acqua. Non sep- pero dirmi il suo nome; ma mi accertarono che colpiva gli altri pesci colla coda per stordirli poi; il che è probabilissimo quando si consideri l’effetto che il suo contatto produce sugli uomini. » GIMNOTO ELETTRICO BR SUA PESCA 197 L’osservazione tanto chiara ed interessante di Richer non fece tuttavia grande impressione sui scienziati di Parigi, i quali pensavano al motto che mente bene chi vien da lontano. Per quasi settant'anni le cose rimasero a questo punto. Dopo questo tempo, il naturalista viaggiatore La Condamine parlò, nei suoi Viaggi in America, di un pesce che produceva i medesimi effetti già descritti da Richer. Nel 1750, un fisico per nome Ingram diede nuovi ragguagli intorno a questo pesce, che egli credeva fosse ravvolto in una atmosfera di elettricità. Nel 1755, un altro fisico, l’ olandese S’Gravesande , scri- veva: « L'effetto prodotto da questo pesce è uguale a quello della bottiglia di Leida, colla sola differenza che non si vede nessuna scintilla uscirgli dal corpo, per quanto sia forte l’urto che esso produce; perchè se il pesce è grosso, coloro che lo toccano vengono atterrati, e sentono la scossa in tutto il loro corpo. » Verso il 1773, parecchi viaggiatori naturalisti pubblicarono il risultamento delle loro ricerche. Crediamo inutile riferire le loro asserzioni, di cui parecchie furono contraddette dagli osserva- tori ad essi posteriori. Il doitor Williamson fece alcuni esperimenti sui Gimnoti, messi insieme con altri pesci. Avendo gettato alcuni pesciolini in una vasca ove viveva un Gimnoto, vide questi pesci in breve intorpiditi ed uccisi. Ma fu Alessandro di Humboldt quegli che pel primo diede una esatta descrizione di questo curioso pesce. Il celebre natura- lista tedesco lesse nel 1806, all’ Istituto di Francia, un’ impor- tante memoria sull'Angwuilla elettrica, secondo le osservazioni che aveva fatte in America con A. Bonpland. Toglieremo da quella memoria i ragguagli che ci sembrano dover offrire un ‘qualche interesse al lettore. « Attraversando le immense pianure (anos) della provincia di Caracas, per imbarcarci a San Fernando di Apure e per cominciare il nostro viaggio sull’Orenoco, ci fermammo per quindici giorni, dice Alessandro di Humboldt, a Calabozo. Era scopo del nostro soggiorno studiare i Gimnoti che si trovano abbondantissimi in quei dintorni. Mi assicurarono che presso ad Uritucu una strada un tempo frequentata è stata abban- donata per causa di questi pesci elettrici. Bisognava passare a guado un ruscello ove ogni anno si affogavano molti muli che rimanevano stor- diti dalle scosse che i Gimnoti facevano loro provare. «..... Dopo tre giorni di vana aspettazione nella città di Calabozo, ci 198 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI determinammo ad andare noi stessi sui luoghi per fare gli esperimenti all’aria aperta, sul margine di quegli stagni nei quali abbondano i Gim- noti. Andammo prima al piccolo villaggio nominato Rustro de Abasco. Di là gl’Indiani ci condussero al Cano di Bera, stagno d’acqua morta e melmosa, ma circondato da una bella vegetazione di clusia rosea, del- l'Aymenea courbaril, di grandi fichi d'India e di alcune mimose dai fiori odorosissimi. Rimanemmo ben sorpresi sentendo che sarebbero andati a prendere una trentina di cavalli mezzo selvatici nelle praterie vicine, per adoperarli alla pesca delle Anguille elettriche. L'idea di questo modo di pescare, che si chiama embarbascar con caballos (inebbriare per mezzo dei cavalli), è infatti stranissima, Il vocabolo barbasco indica le radici del lacquinia, del piscidia o di qualunque altra pianta velenosa, al contatto delle quali una grande massa d’acqua acquista in un solo mo- mento la proprietà di uccidere od almeno d’inebbriare e d’intorpidire i pesci. Questi, quando sono stati avvelenati in tal modo, vengono a gala. Siccome i cavalli spinti qua e là nello stagno producono il medesimo effetto sui pesci spaventati, si riuniscono, confondendo la causa coll’effetto le due sorta di pesche nella stessa denominazione. « Mentre il nostro òspite ci spiegava cotale strano modo di prendere il pesce in questo paese, arrivarono i cavalli ed i muli. Gli Indiani ne avevano fatto una specie di battuta, e inseguendoli da ogni lato, li ob- bligarono ad entrare nello stagno. Non potrò dare che una descrizione molto imperfetta dello spettacolo curiosissimo che ci offerse la lotta delle anguille contro i cavalli. Gli Indiani, forniti di lunghissime canne e di uncini, si mettono intorno allo stagno; alcuni salgono sugli alberi, i cui rami si allargano sulla superficie dell’acqua: tutti a furia di grida e di colpi di canna impediscono ai cavalli di approdare alla sponda. Le An- guille, stordite dallo schiamazzo prodotto dai cavalli, si difendono sca- ricando ripetutamente le loro batterie elettriche. Per lungo tempo sem- brano esse vincere i cavalli ed i muli; in ogni parte si veggono questi ultimi, storditi dalla frequenza e dalla forza delle scosse elettriche, scomparire sott'acqua; poi alcuni si rialzavano, e malgrado l’ attiva vigilanza degli Indiani, giungevano alla spiaggia, ove estenuati dalla stanchezza e le membra intorpidite dalla forza delle scosse elettriche, sl stendevano a terra in tutta la loro lunghezza. Quegli attruppamenti di Indiani che stavano intorno allo stagno; quei cavalli, colla criniera irta, collo spavento e il dolore nell’occhio, che volevano sottrarsi alla tempesta che li sorprendeva; quelle Anguille giallastre e livide che, simili a grandi serpenti acquatici, nuotavano alla superficie dell'acqua inseguendo il loro nemico: tutti quegli oggetti offrivano certamente un quadro assai pitto- resco (fig. 72). « In meno di cinque minuti, due cavalli erano già annegati. L'An- guilla, lunga più di cinque piedi, s'insinuava sotto il ventre del cavallo o del mulo: ivi produceva una scarica con tutto il suo apparato elet- trico; colpiva contemporaneamente il cuore, i visceri e sopratutto il plesso dei nervi gastrici. Non v’ha dunque da meravigliarsi che l’ effetto prodotto dal pesce sopra un grosso quadrupede sia maggiore di quello GIMNOTO ELETTRICO E SUA PESCA 199 che produce sull'uomo, cui tocca solo da una estremità. Nondimeno dubito molto che il Gimnoto uccida immediatamente i cavalli; credo piuttosto che questi, storditi dalle commozioni elettriche che ricevono una dopo l’altra, cadano in un profondo letargo. Privi al tutto della facoltà di sentire, scompaiono sott'acqua; gli altri cavalli ed i muli passan loro sul corpo, e così pochi minuti bastano a farli perire. « Io era persuaso che avrei veduto annegarsi la maggior parte dei muli; ma gli Indiani ci assicurarono che in breve la pesca sarebbe ter- minata, e che non era da temersi che il primo urto dei Gimnoti. Infatti, sia che durante il riposo la elettricità galvanica si accumuli, sia che l'organo elettrico cessi di funzionare dopo un uso prolungato, le Anguille, dopo un certo tempo, sembrano batterie scariche. Il loro movimento muscolare è ancora vivace, ma non hanno più la forza di scagliare scosse molto violente. « Quando la battaglia ebbe durato un quarto d'ora, i muli ed i ca- valli parvero meno spaventati: non drizzavano più la criniera, e i loro sguardi non mostravano tanto dolore e spavento. Non se ne videro più cadere arrovesciati; quindi le Anguille, che nuotavano con mezzo il corpo fuor dell’acqua e fuggivano i cavalli anzichè aggredirli, si ac- costarono spontaneamente alla spiaggia.... esse allora vennero prese con grande agevolezza. Si gettarono su di loro dei piccoli uncini attaccati a corde ; talora l’uncino ne prendeva due per volta. In tal modo se ne trassero molte dall’acqua senza che la corda, molto asciutta e di una certa lunghezza, comunicasse la scossa a quello che la teneva in mano.... « Quando si vede che le Anguille rovesciano un cavallo togliendogli la sensibilità, si deve certo temere di toccarle appena siano uscite dal- l’acqua. E questo timore fu così forte negli indigeni, che nessuno si arrischiò a sciogliere i Gimnoti dagli uncini e trasportarli entro piccole pozzanghere piene d’acqua fresca che avevano scavato sulla spiaggia del Cano di Bera. Bisognò quindi adattarci a ricevere noi stessi le prime scosse, che certo non erano molto dolci. Le più energiche superavano in forza le scosse elettriche più dolorose che io mi ricordi d'aver mai ricevuto per caso da una grande bottiglia di Leida forte- mente carica. Allora comprendemmo benissimo che non erano esagerate le narrazioni degli Indiani circa le persone che nuotando si annegano allorchè una di queste anguille le toccainuna gamba o nel braccio. Una scarica così violenta può togliere ad un uomo, per molti minuti, l’uso delle sue membra. Se poi il Gimnoto s’introducesse sotto il ventre ed il petto, la morte potrebbe essere istantanea dopo la scossa. « Vi sono pochi pesci di acqua dolce che siano così numerosi come i Gimnoti elettrici. Nelle immense pianure o savanne, cui si dà il nome di Llanos de Caracas o Llanos de Apure, ogni lega quadrata contiene al- meno due o tre stagni, che sono serbatoi naturali nei quali s'incontrano i Gimnoti elettrici in grande abbondanza; essi appartengono specialmente a quella parte dell’ America meridionale che viene indicata coi nomi molto incerti di Guiana spagnuola, olandese, francese e portoghese, dal- l’equatore fino al nono grado di latitudine boreale. » 200 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI Il Gimnoto supera in grossezza ed in forza tutti gli altri pescì elettrici. Humboldt ne vide taluni lunghi cinque piedi e tre pol- lici. Questo pesce muta di colore secondo l’età, il cibo, e secondo la natura dell’acqua melmosa ove vive. Sotto il capo il suo colore è di un bel giallo misto di rosso; la bocca è larga e fornita di piccoli denti disposti in parecchie file. i I Gimnoti danno le scosse elettriche in qualunque parte del corpo vengano toccati; ma si eccitano di più toccandoli sotto il. ventre e alle natatoie pettorali. Il Gimnoto comunica le più spaventose scosse senza che in lui si possa notare il benchè minimo movimento muscolare nelle natatoie, nel capo, o in qualunque altra parte del corpo. La commozione dipende unica- mente dalla volontà dell'animale, il quale non è, come sovente è stato asserito, una bottiglia di Leida che si scarica, facendo comunicare i due poli opposti. Accade talora che un Gimnoto gravemente ferito e tormentato lungo tempo non dia più che debolissime scosse; si crede che l’animale sia sfinito, lo si tocca senza tema, ed ecco che ad un tratto scarica una scossa terribile. Il fenomeno dipende talmente dalla volontà dell’ ani- male, che, ad irritarlo con due bastoncini metallici, la com- mozione, secondo Humboldt, si propaga ora dall’ uno ora dall’ altro bastoncino, sebbene le loro estremità siano vicinis- sime. ‘ Ciò che rende assolutamente certa l’indole elettrica dell’ or- gano che produce queste scosse, è il seguente sperimento, che era stato fatto per lo stesso scopo sopra la Torpedine, e che abbiamo già riferito. Salendo sopra un sostegno isolatore, si. sentono forti scosse, quando si tocchi l’animale con. una ver- ghetta metallica. Ma se tocchiamo il pesce con un tubo di vetro, un bastoncino di ceralacca, un pezzo di zolfo .od un ramoscello . di legna secco, non sentiremo nessuna scossa. Humboldt e Bonpland hanno parecchie volte ripetuto questo decisivo speri-. mento. Questi stessi osservatori hanno tentato invano di sen- tire l’effetto del Gimnoto attraverso l’ acqua, senza toccare im- mediatamente il pesce, ma solo per mezzo di un corpo solido. Uno strato d’acqua dello spessore di un millimetro, bastava ad. intercettare la scossa elettrica. Questo effetto conferma sempre, più l’indole elettrica del fenomeno. | Humboldt e Bonpland hanno descritto 1’ organo ove. risiede . la proprietà elettrica del Gimnoto. Questo organo domina tutta la punta sotto la coda, di cui occupa a un dipresso la. metà dello spessore. È diviso in quattro fascetti longitudinali: due grandi sopra, due più piccoli sotto e contro la base della na- Il AN, Ù | i | Lf, a] | | | | i | Ei TE dhs i 2 = = ==> - === = Fig. 75. Schiavo romano gettato nel vivaio delle Murene. FiGuIER. Rettili, Pesci e Animali articolati. 26 i i s MURENE 203 tatoia anale. Ogni fascetto è composto di moltissime lamelle membranose parallele, molto vicine fra loro e quasi orizzontali. Queste lamelle finiscono da un lato alla pelle, dall’ altro al piano verticale mezzano del pesce. Esse sono riunite fra loro da un numero infinito di lamelle più piccole, verticali, o di- rette trasversalmente. I canaletti prismatici e trasversali divisi da questi due ordini di lamelle sono pieni di una materia ge- tinosa. Tutto quésto apparato organico riceve molti nervi. In- fine l'organo elettrico del Gimnoto presenta disposizioni ana- loghe a quelle da noi descritte più sopra a proposito della Tor- pedine. Murene. — Le Murene son pesci che, per la forma cilindrica e svelta, rassomigliano ai serpenti. Fortissime, molto pieghe- voli, flessibili ed agili, le Murene nuotano come la biscia stri- scia; esse hanno nell’ acqua quel movimento ondulatorio che ha il serpe sulla terra. Le Murene non hanno natatoia pettorale ; la dorsale e l’anale sono riunite alla natatoia della coda. Una apertura branchiale trovasi sul lati del corpo. Si sono descritte moltissime specie di Murene che vivono in tutti i mari. La Murena comune * del Mediterraneo non ha ad ogni ma- scella che una sola fila di denti aguzzi. Può venir lunga da metri 1,35 a metri 4,75. Preferisce allogarsi nelle anfrattuosità delle rocce, e si accosta alle spiaggie in primavera. Vive di granchi e di pesciolini, ed è avida sopratutto di polpi. Questi pesci son tanto voraci, che quando manca loro il nutrimento si rodono la coda fra loro. Le Murene si pescano con reti e coll’amo; ma il loro istinto le fa sovente sfuggire ad ogni tranello. Quando hanno morso all’ esca, spesso inghiottono e tagliano coi denti la lenza, op- pure si arrovesciano e si ravvolgono in quella lenza per ti- rarla a sè e romperla. Quando son prese colla rete, vanno su- bito a cercare le maglie ove possa scivolare il loro corpo ser- pentino. i Chi abbia letto gli autori latini, sa lo straordinario amore che i Romani portavano a questo pesce: e non era un affetto puramente gastronomico. Nei tempi della decadenza dell’Impero, si videro commettere vere pazzie per le Murene. Si spendevano somme enormi pel mantenimento dei vivai ove le tenevano, e \ Fr., Murène-Helène; ingl., Eel. 204 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI si erano moltiplicate per modo che Cesare, in occasione di un sno trionfo, ne distribuì seimila ai suoi amici. Licinio Crasso era celebre a Roma per la ricchezza dei ‘suoi vivai di Murene. Sta scritto che esse obbedivano alla sua voce, e che quando le chiamava gli si slanciassero incontro, per ricevere il cibo dalla sua mano. Questo stesso Licinio Crasso, € Quinto Ortenzio, altro ricco patrizio romano, piangevano quando le Murene morivano nei loro vivai. Tutto questo non era che un affare di gusto, di moda e di passione; ma ecco dove consisteva la crudeltà e la corru- zione. Si credeva presso i Romani che le Murene nudrite di carne umana fossero più dilicate e saporite. Un ricco liberto, per nome Pollione, che non bisogna confondere col celebre oratore Fig. 76. Murena. dello stesso nome, aveva la barbarie di far gettare nella vasca delle sue Murene gli schiavi che egli giudicava avessero me- ritato la morte, e talora anche quelli che non avevano fatto nulla di male. Un giorno che egli aveva a pranzo l’imperatore Augusto, un povero schiavo che le serviva ruppe per disgrazia un vaso pre- zioso. Subito Pollione diede ordine che fosse gettato alle Mu- rene. Ma l’imperatore sdegnato fece libero quello schiavo; e per dimostrare a Pollione l'indignazione che provava per la sua condotta, fece spezzare tutti i vasi preziosi di cui il ricco liberto aveva fatto raccolta. Oggi questi pesci sono ben decaduti gastronomicamente. Non- dimeno sulle coste d’Italia si ricercano ancora. Solo i pescatori badan bene di evitare i morsi dei loro aguzzi denti. 1) (° OFISURO, ANGUILLE 205. Ofisuro. — L’ Ofisuro è affine alle Murene. Abita le acque salse della campagna di Roma e molte parti del Mediterraneo. Cresce talora fino a due metri. Sovente vien detto serpente dè mare. Ha movimenti agili, serpeggiamenti moltiplicati, e nuota rapidamente. É grosso come un braccio, bruno sopra, argentino sotto, col muso sottile e aguzzo. Anquille. — Le Anguillet1 hanno per caratteri principali di esser fornite di natatoie pettorali, sotto le quali si aprono da ogni lato le fessure branchiali, e di avere la natatoia dorsale e l’a- nale che si estendono fino alia caudale e ‘si confondono con quest’ultima che termina in una estremità aguzza. Le anguille si dividono in due gruppi, le Anguille propria- mente dette, ed i Gronghi. Chi non ha veduto, chi non conosce, chi non ha mangiato anguille? Tuttavia siamo in obbligo dì darne il ritratto. Il corpo dell’anguilla è allungatissimo, quasi cilindrico, com- i Ingl., Eel; ted., Aal. 206 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI presso verso la coda. Ha, nella maggior parte delle specie, il capo piccolo, il muso aguzzo, la mascella inferiore sporgente oltre la superiore. La sua pelle è spalmata di una mucosità vischiosa che la fa parere inverniciata, e che è causa che l’a- nimale scivola facilmente fra le dita. Questa pelle, che par nuda, è invero coperta di squame, ma queste squame sono piccolissime ed attaccate per modo che il tatto più dilicato non le fa riconoscere sull’ animale vivo. Un occhio ben acuto le rinviene solo quando l’anguilla è morta, e la sua pelle seccata. Questo pesce ha sempre bei colori, ma molto svariati. Quando l’anguilla vive in un’acqua melmosa, la parte superiore del suo corpo è di un bel nero, e la inferiore di un grigio giallastro. Ma se l’acqua è limpida e scorre sopra un fondo di sabbia, le tinte che offre l’anguilla sono più vivaci e più ridenti. La parte superiore del corpo è allora di un verde sfumato, talora anche rigato di bruno; altre volte una tinta argentina brilla nella parte inferiore dell’animale. Le natatoie dorsali sono così basse che appena si sollevano sopra il corpo. Sono riunite a quelle delle coda, tanto che si stenta a riconoscere la fine dell'una e il principio dell’altra. Malgrado la sua piccola bocca, l’ anguilla è vorace. Mangia vermi, molluschi, le uova e i piccoli degli altri pesci. S’incontra in quasi tutte le nostre acque dolci, correnti 0 stagnanti. Si adatta agevolmente a tutte le località, ama il moto e il fragore del mulino, come l’acqua tranquilla dei fossati. Di giorno, rimane nascosta nei cespugli di piante acquatiche, 0 anche si rintana nei buchi, lungo le sponde, a meno che le acque divenendo torbide non la inducano a uscire dal suo rifugio, per l’esca abbondante che portan seco le acque limacciose. Si pescano le anguille coll’amo, adoperando per adescarle grossi lombrici e pesciolini. Ma non si può dire che l’anguilla sia presa se non quando è tenuta a dovere in un paniere ben chiuso. Non v’ha pesce di fiume che sfugga tanto agevolmente, nessuno che cagioni ai pescatori tanti amari disinganni. Quante volte non abbiamo veduto un pescatore seduto al- l'ombra tranquilla di un faggio, a pochi passi da un allegro e sonoro mulino, che lo faceva lieto coll’uniforme suo gaio tic-tac, e riempiva il suo paniere attirando le anguille; e quante volte non abbiamo veduto quello stesso pescatore, dapprima tranquillo e altero, ad un tratto allibire, indispettirsi (fig. 78), perchè quelle anguille così ben chiuse in apparenza, sotto il coperchio del paniere, avean sollevato quella barriera insufficiente e in- ANGUILLE 207 gannatrice! Con un salto convulso e collerico, si erano slan- ciate tutte verso l’ onda che le chiamava a pochi passi dalla loro prigione, e siccome le nostre striscianti o saltellanti comari sanno anche tenersi bene sulla terra degli uomini, in breve ritornavano felici al loro naturale elemento, mentre il disgra- ziato pescatore rimaneva attonito guardando tutto desolato il suo desinare che saltava nel fiume. L’Anguilla si trova in tutta 1’ Europa !, fuorchè nel Danubio e nei corsi d’acqua che si versano nel mar Nero, o nel mar d’Azoff. Nelle acque correnti, nuota con agevolezza contro cor- rente, ma discendendo si lascia trascinare dall’acqua senza fare sforzi. Sovente si incontra negli stagni prosciugati da parec- chi anni. : Malgrado la loro pieghevolezza e la vivacità e rapidità con cui fuggono, di rado si salvano dai nemici che le inseguono. Le lontre, molti uccelli da ripa, come le gru, gli aironi e le cicogne, le pescano destramente. Anche il luccio e lo storione ne fanno loro preda. Un fatto ben notevole nella storia di questo pesce, il quale è stato riconosciuto in troppi casi per poterne ancora dubitare, si è che ama uscire dall’acqua per andarsi a cercare nei prati umidi i vermicciattoli di terra, ed anche le piante leguminose seminate di fresco. Allora l’ Anguilla striscia sul terreno come una biscia, e quando ha soddisfatto al suo appetito, fa ritorno alla sua umida dimora. Sembrerà certo ben singolare che i naturalisti non cono- scano il vero modo di sviluppo di questo pesce, o almeno che le loro opinioni siano su questo particolare molto contrarie. Se- condo i naturalisti moderni, e specialmente il signor E. Blan- chard, l’Anguilla non sarebbe che una larva, vale a dire lo stato primiero di un altro pesce, che non si conoscerebbe adulto. — Molti scienziati sono di questa opinione, ma altri, con buone autorità, non l’hanno mai ammessa. Ecco, per esempio, come Valenciennies, celebre ittiologo, spiegava il modo di svi- luppo dell’Anguilla. Secondo questo osservatore, l’Anguilla va in mare per far le uova. 'l'utte le anguillette sono riunite per modo da formare 1 L’Anguilla è pure una specie che va notata nella serie dei pesci della Lombardia. Il Lago Maggiore ed il Lago di Como non ne abbon- dano quanto il Benaco, sul quale, presso l’ emissario del Mincio, se ne prendono talvolta in una sola notte d’autunno più centinaia di chilo- grammi. Rimontando il Po, le Anguille invadono anche gli altri fiumi della Lombardia. .. .(Nota del Trad.) 208 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI piccoli torsellini. Son questi torsellini che gli abitanti delle spaggie dell'Oceano, presso Nantes, come i pescatori della Loira Inferiore, vanno a raccogliere, per metterli poi negli stagni, che vogliono popolare di anguille !. Dopo nati, i piccoli rimangono per alcuni giorni riuniti in palla. Quando divengon lunghi da quattro a cinque centimetri, i piccoli si liberano dei legami che li attorniano, e sembrano attaccarsi alla spiaggia che paiono suggere, per cui si suol dire che nascono dal limo. Quando questi pesciolini hanno acquistato una certa forza, risalgono in branchi numerosi la foce del fiume principale e dei suoi affluenti, e si spargono in tutte le acque circonvicine.. In certi fiumi il numero di queste anguillette è così sterminato, che non si potrebbe farsene una idea. Sulle sponde della Loira, se ne prende il carico di un cavallo. Quando le piccole anguille son lunghe dieci o dodici centimetri, son grosse come lo stelo di una penna, e di color giallo zolfo. In questo punto del loro accrescimento, non si'può dir nulla di sicuro intorno al modo di vivere e come si disperdano nelle varie acque. Questo tratto della loro istoria è ancora bene oscuro. Egli è soltanto nei porti di mare, o nel loro contorno, che si veggono venire sul mercato Anguille lunghe venti o trenta cen- timetri coi colori già degli adulti. Nelle nostre acque dolci si comincia a trovarne quando son lunghe circa un mezzo metro, ma non si veggono mai anguille coi latti o colle uova. Crescono ancor molto, e sebbene la loro lunghezza sia -per solito di un mezzo metro, possono crescere oltre a un metro e settanta cen- timetri. Se ne son vedute anche talune che pesavano TS dici chilogrammi. Le Anguille possono penetrare nei laghi interni, anche in quelli che stanno a grandi altezze al disopra del livello del mare. Vi si recano viaggiando per terra, come è stato parec- chie volte riconosciuto. Le Anguille sono tanto feconde, che in certi paesi sono sor- gente di un grandissimo guadagno. Per esempio, il mercato di 1 È congettura probabile (scrive il Cattaneo nelle Notizie civili e naturali «di Lombardia) che l’anguilla non sia vivipara, e si rechi al mare per deporvi le uova; perchè, giusta Rathk, l’orifizio dell’ovidotto sarebbe troppo an- gusto per le anguillette viventi, e la sua fecondità è assai maggiore che non soglia essere nelle specie vivipare. Ciò che gli studii moderni ac- certarono col sussidio del. microscopio, è l'apparato femmineo con ovuli organizzali come negli altri animali; e la probabile separazione dei sessi ‘anche in questa specie. (Nota del Trad.) guille. scatore d’ an 'un pe sgrazie d g. 78. Le di F . icolati. Animal arti sci e Pe FicuIER. Rettili, PESCA DELLE ANGUILLE NELLE PALUDI DI COMACCHIO 211 Londra è provvisto di Anguille da due Compagnie olandesi, ognuna delle quali adopera cinque navi che possono contenere otto o diecimila chilogrammi di Anguille vive. Le lagune salate di Comacchio, che ricevono le piene del Po, o di altri fiumi, sono state in ogni tempo rinomate per le grandi quantità di Anguille che vi si allevano, per venderle poi su tutti i mercati d’Italia e d’Europa. Pesca delle Anquille nelle paludi di Comacchio 1. — La laguna di Comacchio, di cui s'è fatto qui dietro un cenno troppo fug- gevole, merita da parte nostra una menzione particolare, giacchè è splendida prova del partito immenso che potrebbe l’uomo ri- trarre dalla tanta vita diffusa per l’acqua, ciò che egli non sa, o sa male. Un dotto francese, il signor Coste, venne testè a visitare le nostre spiaggie, e lungamente descrisse le operazioni che si son fatte e si fanno nella laguna di Comacchio per trar par- tito del pesce che vi si coltiva, come i contadini coltivano il grano nei campi: egli è dal suo lavoro che noi togliamo, ac- corciando di molto, quanto siamo per dire qui ?. Sta la laguna di Comacchio in riva all’Adriatico, fra 10 sbocco del Po e il territorio di Ravenna, a 44 chilometri da Ferrara. Essa forma uno stagno immenso di 140 miglia di circonferenza colla profondità di uno o due metri, e separata dal mare, con cui è posta in comunicazione dal porto di Magnavacca, per una semplice striscia di terra: — il Reno ed il Volano strin- gono quest’ampio stagno in una specie di delta, fiancheggian- done le sponde dal sud al nord, e scendono al mare, dove le loro foci formano due porti discosti venti chilometri l’uno dal- l’altro ; il porto di Magnavacca sta fra questi due. Cinta dai due fiumi limitrofi che già davano accesso alle acque dell’Adriatico per via di fossi irregolari inondati dal ca- nale Magnavacca, nudrita all'inverno dalle acque pluviali di molti canali, la laguna di Comacchio molto bene si prestava ad essere tramutata in campo di coltura di pesci, in cui si po- tesse trar partito della mescolanza delle acque dolci e salse. Così la trovavano i primi abitatori, i quali, isolati dal conti- nente ed affidati alle sole loro forze, presero il partito di gio- 1 Questo capitolo originale è da noi aggiunto per la presente edizione. (Nota del Trad.) 2 Coste. — Voyage d'exploration sur le littoral de la France et de l’Itahe. — Paris, 1861. L12 ORDINE DEI MALACOTTERIG! APODI varsi delle acque del mare come l' agricoltore si giova della terra dei campi. L’idea dell’industria cui si sono dati fu loro posta in mente dalla scoperta che fecero dello istinto che porta certe sorta di pesci a risalire in numero immenso il corso dei fiumi poco dopo venuti dall’uovo, e a ritornare poi adulti al mare. Seguono queste periodiche migrazioni, secondo i climi, dal mese di febbraio al marzo od all’aprile, e si possono osservare ogni anno in ogni parte del mondo là dove i corsi d’ acqua sboccano in mare. Queste miriadi di piccolissimi pesciolini, ove se ne tenesse buon conto come a Comacchio, potrebbero in ogni parte della terra porgere all’ uomo preziosissimo sus- sidio di un ottimo nutrimento. Gli abitatori di Comacchio, per trar partito in pro della loro industria di un tal fenomeno, immaginarono un doppio mec- canismo, per cui, attirate nella laguna quelle miriadi di pescio- lini, essi vengono poi portati adulti in certi recinti dove è age- volissima cosa il prenderli. Perciò in parecchi siti essi apersero larghe breccie attraverso fe dighe naturali che separano questa laguna dai due fiumi che le stanno ai fianchi. Su queste breccie gittarono ponti de- stinati a sorreggere forti chiuse, che così son come porte che si aprono per l’ingresso dei pesciolini nella laguna, e si chiudon loro dietro, una volta entrati, e nello stesso tempo danno in- gresso nella laguna a quanta acqua si voglia. Come si è detto, fra la foce del Volano e quella del Reno, nove chilometri discosto dalla prima e dodici dalla seconda, sta il porto di Magnavacca, antico canale largo 44 metri, risa- lente verso la laguna attraverso lo stretto istmo che lo separa dal mare e che dà adito al mare nella laguna, le cui acque, colla qualità di salse, prendono movimento dal flusso e riflusso di quello. Un tempo, questo canale, poco profondo, conduceva le acque dell’Adriatico, dopo un tragitto di mille metri, in certi fossi ir- regolari e tortuosi, i quali portavano quelle acque a Comacchio o nella stessa laguna. Il corso delle acque però minacciava di essere impedito dagli interrimenti ove non si fosse acconcia- mente provveduto. Il cardinale Palotta, colpito da cosiffatti inconvenienti e volendo rimediare al danno pel bene dei pe- scatori di Comacchio, durante la sua legazione a Ferrara dal 1634 al 1634, prolungò il porto di Magnavacca al di. là della città di Comacchio, fino alla riva opposta, dove andò a cercare un vasto bacino d’acqua dolce, che incorporò, innondandolo PESCA DELLE ANGUILLE NELLE PALUDI DI COMACCHIO 213 d’acqua salsa, allo apparecchio idraulico in cui l’opera sua concorreva così potentemente a convertire quel mare interno. Oh se tutti i porporati fossero come il cardinale Palotta!... Questo canale, che non ha meno di 10,000 metri di lunghezza su 6 o 7 di larghezza, dà a destra e a sinistra lungo tutto il suo corso i rami principali che si vanno dividendo e suddivi- dendo senza scemar di càlibro, e portano i flutti dell'Adriatico verso i punti della laguna che parvero più acconci fall’ uffizio loro assegnato nel lavoro della immensa macchina. Generalmente questi rami sono stati diretti verso le isole principali di cui è sparsa la laguna, onde la foce di ognuno di essi potesse sboccare in cerca delle fosse rettilinee che taglian l’isole dall’una all’altra parte: così le loro estremità, aperte in capo alle fosse, permettevano di articolare ogni anno, all’epoca delle pesche, un apparecchio detto lavorerio, a destra e a sini- stra del quale si trovava terra ferma in quantità sufficiente per starvi sopra e riporvi gli strumenti necessari al lavoro. Così gli abitatori di Comacchio si trovavano padroni assoluti delle acque, perchè lasciando scendere giù tutte le chiuse, tanto quelle dei due fiumi quanto quelle del canale Palotta, questa laguna diventava un mare interno, affatto isolato; ed aprendo le chiuse, l’acqua dell’ Adriatico si veniva ad unire con quella del Reno e del Volano in quella proporzione che meglio {si volesse. Per operare più efficacemente sovra ogni tratto particolare, fu divisa la laguna in un grande numero di scompartimenti, per modo che ognuno di questi fosse in comunicazione diretta con uno o parecchi rami dell’ Adriatico, e nello stesso tempo colle acque dolci dell’ uno o dell’ altro dei due fiumi limitrofi. Per tal modo i lavori furono meglio divisi e concentrati, e l’azione fu più intensa, compiendosi essa tanto bene sopra spazi ristretti come sullo immenso spazio totale. Così colla pazienza lunga e col lungo lavoro riuscirono gli abitatori di Comacchio ad ordinare un vero apparato di colti- vazione delle acque del mare. In questa opera loro nulla è che non risponda appuntino a tutte le particolarità dell’ istinto di quegli animali che si tratta di far venire in un determinato sito appena nati, di tenerveli fino all’età adulta, e d’incitarli poi ad uscire in certe epoche, per dirigerli là dove fosse poi agevol cosa raccoglierli a piacimento. L’opera per cui, aprendo tutte le chiuse, si mettono in co- municazione le acque della laguna eon quelle del canale , Pa- lotta e dei due fiumi limitrofi, adempie alla prima di queste 214 ORDINE DEI MALACOTTERIGI APODI due condizioni, e si può chiamare la seminagione. — L’ opera per cui si abbassano tutte le chiuse dopo l’entrata dei pescio- lini e si chiude ad essi ogni uscita, adempie alla seconda con- dizione ; è lavoro preparatorio all’allevamento del pesce. — L’o- pera infine per cui si aprono solamente le porte del canale Palotta e si dà passaggio alle correnti salse le quali attirano il pesce adulto verso gli sbocchi aperti dei rami di questo ca- nale dove si trovano i labirinti, risponde alla terza indicazione, ed è l’operazione del raccolto. I lavori della laguna di Comacchio sono semplicissimi, e in- gegnosissimi ad un tempo, e con grande vantaggio si potreb- bero imitare in molti tratti delle nostre spiaggie. Il Tasso così li ha cantati : , Come il pesce colà, dove impaluda Ne’ seni di Comacchio il nostro mare, Fugge da l’onda impetuosa e cruda, Cercando in placide acque ove ripare ; E vien che da sè stesso si rinchiuda In palustre prigion, nè può tornare : Chè quel serraglio è con mirabil uso Sempre a l’entrare aperto, all’uscir chiuso..... Oltre poi a così propizia conformazione naturale del suolo, e alle grandi opere di miglioramento fondate negli ultimi tempi, ciò che più concorre allo sviluppo di questa industria si è la organizzazione speciale e le sagge leggi che reggono quella co- lonia di pescatori. La direzione della laguna è affidata ad un appaltatore gene- rale, il quale ha un potere assoluto e si fa rappresentare dai suoi dipendenti; l'appaltatore attuale è il principe di Torlonia. — Il diritto di pesca delle anguille viene assunto {per appalto ed è lucrosissimo, prova ne sia che nel 41792 la contribuzione era fissata in 65,000 scudi romani. Oggidì però è assai dimi- nuita. Il principe Torlonia pagava prima del 1860 la somma di 18,000 scudi romani, di cui 15,000 -erano versati nel tesoro pontificio, e 3000 nella cassa comunale di Comacchio. I coloni della laguna di Comacchio sono governati da leggi. speciali, ed organizzati militarmente. Cinquecento uomini di- pendono dall’ appaltatore. Fra questi, sono 300 operai per i la- vori nella laguna, come sarebbero costruzioni di dighe, fab- briche dei labirinti e dei manufatti, ecc. Questi uomini sono divisi in famiglie, alla cui testa è messo un caporione con po- tere quasi assoluto sui suoi dipendenti. — Le varie famiglie vengono divise nelle diverse valli cui vengono assegnate, e nes- PESCA DELLE ANGUILLE NELLE PALUDI DI COMACCHIO 215 suno può allontanarsi dalle valli durante la settimana: — ogni capo di valle poi è tenuto ogni sabbato a render conto esatto della sua azienda, di cui è responsabile. — Oltre a questa brigata di operai, vi sono 120 guardiani per la polizia della laguna, sorta di soldati, dipendenti da un capo, e che fanno presso a poco l’ ufficio di doganieri; e 100 uomini circa sono addetti alla brigata d’amministrazione. Ogni anno ai due di febbraio partono i vallanti per le chiuse nella laguna e per le rive di Volano, del Reno e del canal Palotta. Le pioggie dell’ inverno hanno elevato il livello delle acque nella laguna, ed i pesciolini affluiscono per istinto verso gli sbocchi a mare; e la montata è molto curata da quei pe- scatori, perchè da essa dipende in tutto la fertilità delle loro acque. Si cura che non vi siano ostacoli alle chiuse e che queste siano aperte per dare libero accesso alle anguille; una volta entrate, vengono loro abbassate le chiuse alle spalle, sicchè si trovano a vivere ed a svilupparsi in seno alle acque della laguna finchè il direttore non creda sia venuto il tempo di metterle in vendita. — Anche un’immensa quantità di altri pesci segue le anguille durante la montata verso terra e questa è un’altra importante produzione del paese. Per l’operazione del raccolto, le anguille già ingrossate nella laguna, vengono. mano mano guidate nei labirinti o lavoreriî, manufatti assai ingegnosamente fabbricati, dimodochè al pesce, una volta entrato, non sia più possibile l’ uscita, e la raccolta venga così assicurata. Tali labirinti sono degli insenamenti della laguna entro terra, protetti da rive e da dighe, entro ai quali stanno piantate, in mezzo all’ acqua, delle fitte siepi fatte con fascine di canne palustri. Queste siepi sono disposte in modo che, aperto verso la laguna, il vertice dell’ angolo venga a ca- dere nello spazio di una seconda camera chiusa, e questa a mettere foce in un terzo scompartimento, pure tutto chiuso da siepi, che finisce in uno spazioso steccato. Il pesce che arriva dalla laguna è guidato dalle siepi dal primo nel secondo scom- partimento, e quidi si trova chiuso come in una pescaja che non ha uscita. L’anguilla non è trattenuta dalle siepi, come gli altri pesci, ma si insinua attraverso i canneti e viene a pas- sare nel terzo scompartimento, nella sua prigione, dalla quale soltanto esce per essere portata sul mercato. Le notti tempestose sono le più propizie alla pesca delle an- guille, epperò l’Ariosto scriveva degli abitatori di Comacchio: Gente desiosa che il mar si turbi, E sieno i venti atroci..... 216 ORDINE DEI MAL&ACOTTERIGI APODI È allora che gli abitatori della laguna corrono sulle dighe, i pescatori ai lavorerii, e faticano a vuotare le camere dei labi- rinti, poichè è tanta la ressa con cui le anguille corrono verso terra che potrebbero rompere e recar gravi danni ai lavorerii, Nè sembrerà questa una esagerazione quando si pensi che una volta nella notte del 4 ottobre 1699, notle procellosa, come disse il Bonaveri, si raccolsero fino a 322,520 chilogrammi di pesce. Siccome poi le anguille non viaggiano mai quando Ja luna splende in cielo, così quei pescatori seppero trar partito anche di questa circostanza per regolare la raccolta del pesce. Quando all’ epoca del raccolto, le anguille affluiscono nelle camere del labirinto con troppa furia, si accendono dei fuochi sulle rive, per il che le anguille si arrestano. Sospesa così quella furia, i pescatori possono vuotare le camere del labirinto, spengono poi i fuochi, e le anguille riprendono il loro corso verso terra. — In quanto poi agli altri pesci che furono trattenuti nelle camere anteriori, siccome per essi non v'è timore che rompano gli steccati vengono pescati dopo. La pesca delle anguille nelle lagune di Comacchio è una vera industria, fonte di ricchezze per quel paese. Ecco qui trascritti alcuni dati forniti al celebre naturalista Spallanzani dal signor Massari, appaltatore generale della pesca delle anguille in quel tempo: Anno 41784 Pesi romani 97,444 chili. 785,666 » 1782 » 110,996 » 894,960 » 1785 » 78,589 » 653,604 » 1784 » 88,175» 710,958 » 1785 » 67,568 » 544,800 » 1798-1815 » 1,894,222 la quale cifra dà una media annuale di pesi romani 120,000, pari a chil. 967,560. Dal 1813-1825 si ebbe un prodotto medio annuale di pesi romani 90,000 a 100,000, cioè chil. 725,670 a 806,800. Nell’ anno 1825 un disastro abbassò la cifra del prodotto a pesi romani 40,000, prodotto che si mantenne per gli otto anni successivi sino al 1833. Nel 1833 il prodotto fu di pesi romani 60,000 pari a chilo- grammi 483,780, e in questa proporzione continuò sino ad oggi accennando anzi ad aumento. Non è però a credersi che da queste cifre ufficiali, si debba calcolare il vero prodotto delle lagune di Comacchio. Una laguna del circuito di almeno 140 PESCA DELLE ANGUILLE NELLE PALUDI DI COMACCHIO ZA miglia come si può sorvegliare? Si calcola che almeno altret- tanto di quello che risulta dai rendiconti ufficiali, venga rubato, per cui il prodotto medio annuale in Anguille della laguna di Comacchio dovrebbe essere di pesi romani 240,000 a 250,000, pari a chil. 1,935,120 a chil. 2,015,750. Queste cifre, ripeto, non sono esagerate; poichè è ancora a tenersi calcolo della mortalità prodotta o dai rigori del freddo o dai troppi calori dell’estate. Risulta infatti che nel 1825 si do- vettero sotterrare 300,000 pesi romani (chil. 2,963,400) di pesce, mescolati a calce viva, per impedire che la peste devastasse il Fig. 79. Grongo comune. paese come nel 1671. Sono poi celebri ancora le mortalità del 1789 e quella del 1850. Tutte le Anguille prese nelle lagune vengono trasportate & Comacchio, dove nei laboratorii dell'appaltatore sono preparate per essere spedite in commercio. Questa operazione è per la più parte affidata alle donne. Le Anguille migliori provengono dalle valli superiori, e son dette miglioramenti 0 morelli; vengono essi infilati su immensi spiedi ed arrostiti al fuoco di giganteschi camini. Altre 3 qua- lità inferiori vengono distinte nel commercio, cioè gli Arrosti , i Buratelli e le Aquadelle, che vengono di preferenza chiuse in barili e conservate in salamoia, o con sale ed aceto (marinate). Moltissime poi se ne vendono anche fresche. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 28 218 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI Il commercio e l’esportazione sono pure regolati da apposite leggi. Comacchio è il centro di questo commercio; ed il suo mercato è fiorente e certamente va annoverato fra i principali mercati di pesce dell’ Europa. L'Italia, tutta la Dalmazia, e l’ Europa orientale in genere, fino la Russia, comperano al mercato di Comacchio questo alimento diventato di prima necessità in tali paesi; per esempio Vienna, Praga, Var- savia consumano ciascuna più di 1000 barili all’anno di anguille marinate. Un barile di 8 pesi ferraresi (chil. 69,04) vale sul mercato di Comacchio i seguenti prezzi: (4. qualità Scudi romani 18 pari a L. 97,20 22 » » 16 » » 86,40 da » » 14 » » 75,60 AS » 122153 » » 64,80 a L. 70,20 Questa industria è molta sostenuta dal governo e retta da savie leggi formerà ancora la ricchezza di quelle popolazioni. Gronghi. — I Gronghi* differiscono dalle anguille per la na- tatoia dorsale che comincia presso le natatoie pettorali, e per la mascella superiore, più lunga dell’inferiore. I Gronghi son grossi pesci che si trovano nei mari dei paesi caldi come in quelli dell’ Europa settentrionale. Il tipo della famiglia è il Grongo comune o Anguilla marina (fig. 79), che abita l'oceano e può venir grosso come una gamba e lungo due metri. Il Grongo comune si trova frequentemente sui no- stri mercati, ma la sua carne è tutt'altro che dilicata. ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI I pesci di quest'ordine son caratterizzati dalle pinne ventrali attaccate sotto le pettorali e sospese immediatamente alle ossa della spalla. Esclusivamente marini, abitano tutte le regioni del globo. Quest’ ordine comprende tre famiglie: i Discoboli, i Pleuronettidi 0 pesci piatti, ed i Ganoidi. 1 Lat., Conger; fr., Congre; ingl., Conger eel; ted., Meeraal. DISCOBOLI 219 Discoboli. — Questa famiglia è composta di un piccolo numero di specie, caratterizzate dalle natatoie ventrali in forma di disco. Qui si aliogano i Lepadogastri* (fig. 80), i Cielotteri (fig. 84), nei quali il disco fatto dalle natatoie ventrali è per l’animale una specie di ventosa o di succiatoio per fissarsi alle rocce, e le Re- more, pesci notevoli fra tutti, pel disco-succiatoio di cui sono provvisti. La Remora (fig. 82) abita il mar Mediterraneo. Sul capo ha una specie di disco appiattito fatto di moltissime lastre cartilagi- nose trasversali e mobili. Con quest’organo, aderisce fortemente agli scogli ed anche ai bastimenti. Si attacca ai grossi pesci, specialmente agli squali che incontra sulla sua via. E tanto forte questa aderenza, che un uomo non può riuscire a vin- cerla. La Remora si attacca talvolta al ventre di un pescecane DI III] III MwllY Fig. 80. Lepadogastro. e fa lunghi viaggi sotto quella mostruosa locomotiva animale. In tal modo va lontanissimo, senza stancarsi e senza alcun pe- ricolo, perchè i suoi nemici son tenuti lontani dal terribile mostro che suo malgrado la porta. La Kemora era celebre nei tempi antichi; le si attribuivano facoltà meravigliose e di varia sorta. Si credeva che da sola po- tesse fermare un bastimento, e si asseriva sul serio che nella battaglia di Azio la nave d’Antonio fu trattenuta da un ostacolo invisibile, per cui la vittoria rimase alle navi di Augusto. Si credeva pure che questo pesce potesse impedire il corso della giustizia, fermare la bilancia di Temi, come fermare i vascelli 1 Fr., Porte-ecuelle. ? Lat., Echeneis; fr., Echène o Sucet; ted., Schildfisch (pesce dallo scudo). 220 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI nel loro cammino. Plinio si è fatto relatore compiacente di mol- tissime ridicole favole intorno alla remora. Oppiano, nelle sue Alieutiche, descrive lo sgomento dei ma- rinai quando veggono arrestata la loro nave da questo strano nemico. Del resto, fu questa singolarità che fece dare a questo pesce i nomi di echeneis o remora, i quali, l'uno in greto e l’al- tro in latino, significano ferma navi. Non fa d’uopo ripeterlo, la Remora non ferma le navi; solo sì attacca alla chiglia per riposarsi, o farsi trasportare, senza troppa fatica, a distanze più o meno grandi. Nello stesso modo ———- =" — rr rr__— == — — Fig. 81. Ciclottero comune. I sì attacca ad ogni sorta di corpi immobili o galleggianti, agli scogli, a tronchi d’ albero trascinate dalle correnti, e anche a creature viventi, come i pescicani e le tartarughe. Nel 1867, un naturalista francese, il signor Baudelot, pub- blicò curiosissime osservazioni anatomiche sul disco della Re- mora. Abbiamo già detto che questo non s’attacca colla bocca, come le lamprede, che son fornite di una specie di succiatoio, ma bensì con un organo speciale, il disco cefalico. Quest'organo collocato, come lo indica il suo nome, sul capo dell’animale, è fatto di lastre cartilaginose, frastagliate sul margine posteriore LI PLEURONETTIDI O PESCI PIATTI 221 e mobili. Il signor Baudelot ha trovato in questo disco i pezzi ossei ed i piccoli muscoli che si osservano nelle natatoie dei pesci. Il movimento di questi piccoli muscoli basta a spiegare l’effetto di succiamento che produce la sua misteriosa aderenza contro i corpi. Pleuronettidi o pesci piatti. — Questi pesci hanno il corpo appiattito e compresso, ma in un senso differente da quello delle Razze e di altri animali analoghi. Nelle Razze il corpo è schiacciato dall’alto in basso, mentre nei pesci che formano il gruppo dei Pleuronettidi, il corpo'è depresso lateralmente. La testa dei pesci di quest'ordine non è simmetrica. I ,due occhi Fig. 82. Remora. son posti da un lato solo, le due parti della bocca sono dis- uguali. Queste particolarità di struttura, sulle quali ritorneremo par- lando dei tipi che esamineremo in seguito più attentamente, corrispondono alle abitudini ed al modo di vivere particolare di queste singolari creature. Tanto nel riposo che nel movimento, i Pleuronettidi son sempre rovesciati sul fianco; e il lato volto verso il fondo del mare è quello che non ha occhi. Si è precisamente questo modo di nuotar sul fianco che ha valso loro il nome scientifico che portano (dal gr. pleura, lato, e nectos nuotatore) 4. 1 Singolarissima certo è questa disposizione del corpo dei Pleuronettidi, per cui manca in esso la simmetria bilaterale, sempre costante in tutti gli altri vertebrati. Ma i moderni osservatori (Steenstrup) hanno scoperto che questa disposizione non si trova in questi pesci nei primordii 222 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI L’ organo principale del nuoto in questi pesci è la natatoia caudale. Ma si distinguono dagli altri pel modo con cui adope- rano questa sorta di remo. Quando stanno rovesciati sul fianco, questo remo non è orizzontale, ma verticale: batte l’acqua di sopra in giù e disotto in su. Vanno avanti in tal modo, ma molto meno rapidamente degli altri pesci. Salgono e scendono nell'acqua più prontamente, solo non volgono a destra o a si- nistra colla sveltezza degli altri pesci. Questa facoltà di alzarsi e di abbassarsi velocemente nell’ acqua è per loro tanto più utile in quanto che essi passano la maggior parte della vita a grande profondità, sui bassi fondi. Si trascinano sul limo del letto del mare, e sovente vi si nascondono per isfuggire ai loro nemici. Nella famiglia dei Pleuronettidi menzioneremo le Sogliole, i Rombi e gli Ippoglossi, e le Passere di mare. Sogliole. — Le Sogliolet hanno il corpo oblungo; il lato del capo opposto agli occhi, è per lo più munito di una specie di villosità ; il muso è rotondo, quasi sempre più sporgente della bocca. Questa bocca è incavata dal lato opposte agli occhi, e munita di denti solo da questo lato. La natatoia dorsale co- mincia sulla bocca e va fino alle natatoie caudali e terminali. La Sogliola volgare (fig. 83) abita principalmente il Mediter- raneo, ma si trova anche nell'Oceano Atlantico e nel mare Baltico. Dal lato degli occhi è di color bruno, dall’altro è bian- castra. Le natatoie pettorali sono macchiettate di nero; le sue squame son ruvide e frastagliate. Varia la sua mole secondo le coste ove abita: talora si pescano alla foce della Senna certe Sogliole lunghe un mezzo metro. Son vari i modi di pescare la Sogliola. Si adoperano ami fissi, ai quali si attaccano per esca alcuni pezzetti di pesce. Si può anche cercarla, secondo ciò che dice Lacépède, quando il sole risplende sul mare tranquillo, presso le scogliere e i banchi di sabbia dai fondi lisci, ove il pescatore scorge agevolmente il pesce. Allora si lancia un pezzo di piombo attaccato al capo di una corda fornita di uncini coi quali si acchiappa e si tira sulla spiaggia il pesce. Se l’acqua non è più profonda di due 0 della loro vita. Appena nati, questi pesci hanno gli occhi ai due lati del capo e il corpo simmetrico nel modo consueto: ma in breve questo muta, e il pesce si fa quale lo vediamo adulto. (N..d. T) 1 Lat., Solea; fr. e ingl. Sole; ted., Zunge (lingua). ROMBO 925 tre braccia, si può agganciarlo con una pertica la cui estre- mità sia munita di punte ricurve. Si prende anche la Sogliola nelle reti tese sulla spiaggia del mare, e che sì scoprono durants il riflusso. Tutti conoscono la bontà e dilicatezza della carne di questo pesce. Secondo Lacé- pède, la Sogliola ha la prerogativa di conservarsi parecchi giorni, non solo senza guastarsi, ma anzi acquistando un sa- pore più dilicato. Perciò, in circostanze uguali, le Sogliole del- Fig. 85. Sogliola zebrata e Sogliola volgare. l'Oceano sarebbero migliori a Parigi che non all’Havre, e quelle del Mediterraneo a Lione che non a Marsiglia 4. ! Il Mediterraneo lungo le nostre coste ha le seguenti specie di Sogliole : Solea vulgaris, Cuvier. — Sogliola volgare. Sogliola. Sfoglia. Sfogio. Lingua. Linguata. Linguattola. Palaja. Solea oculata, Rondelet. — Sogliola occhiuta. Solea lascaris, Risso. — Sogliola dal porro. Linguattola di rena. Solea Mangilii, Bonaparte. — Sogliola fasciata. Lingua di cane. Lingua bastarda. Sfogio peloso. Solea lutea, Bonaparte. — Sogliola gialla. Solea monochir, Bonaparte. — Sogliola pelosa. 224 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI Rombo. — Il Rombo! (fig. 84) per la forma generale rasso- miglia ad un rombo. Questa figura gli ha valso il nome (rombo o romboide) che gli è stato dato. La sua mascella inferiore, più sporgente della superiore, è come quest’ultima munita di molte file di piccoli denti. Le sue natatoie sono giallastre, con mac- chie e punti bruni. ‘Il lato sinistro è marmoreggiato di bruno e di giallo ; il lato destro che è l’inferiore, è bianco, con mac- chie brune. Fig. 84. Rombo. Si pesca il Rombo sulle coste dell’ Oceano 2. Alle foci della Senna e della Somma si prendono quasi tutti i pesci di questa specie che si consumano a Parigi. Questo grosso pesce ha una 1 Lat., Rhombus; fr., e ingl, Turbot: ted., Steinbutt. 2 Nel Mediterraneo abbiamo le seguenti specie di Rombi: Rlombus rhomboides, Bonaparte. — Rombo passero. Rhombus levis, Bonaparte. — Rombo liscio. Rombo vorace. Rombo comune. Soaze. Soato. Soata. Linguata madusca. Passera. Rhombus podas, Bonaparte. — Rombo passero (sui mercati d’Italia questa specie non si distingue dal Rhombus rhomboides e le si dà la stessa de- nominazione). Rhombus maximus, Cuvier, — Rombo chiodato. Rombo. ‘eIpue[ueoJ9 e[[jep Aummiimgii a1s09 ajjns 0sso]Sodd] ep tosod ‘Gg ‘Sta ili articolati { Pescr e Anim L) Ficuier. Rettili IPPOGLOSSO 227 carne consistente ed un eccellente sapore. I Rombi son vora- cissimi. Si nutrono di giovani pesci, e si mettono in agguato per aspettare la preda. Ippoglosso. — L’Ippoglosso * (fig. 86), che abita i mari setten trionali d'Europa, è un pesce enorme, perchè si dice che possa venir lungo fino a due o due metri e trentacinque centimetri, e pesare da centocinquanta a duecento chilogrammi. È di un Fig. 86. Ippoglosso. bruno nerastro, coperto di sopra di squame solidamente attac- cate e spalmate di un liquido vischioso. Si pescano grandi quantità di questo pesce sulle coste delle Groenlandia, della Norvegia, e in quasi tutte le regioni del Nord. Secondo Lacépède si adopera comunemente per prenderlo un grande strumento che i pescatori chiamano gaugwaad. È fatto di una corda di canapa di cinque a seicento metri di lun- ghezza, alla quale si attaccano trenta corde, meno grosse, a ognuna delle quali sia appeso un uncino ed un amo coll’esca. 1 Fr., Fletan. 228 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI Alcune tavole che galleggiano alla superficie del mare, ma che son attaccate alla grossa fune mercè corde lunghissime, mo- strano il luogo in cui sta questo enorme congegno, una volta lanciato nel mare. I Groenlandesi ordinariamente sostituiscono alle corde di ca- napa certe coreggie, o fanoni di balena, e alle volte strisce strette di pelle di squalo. Dopo ventiquattro ore si tirano fuori le corde, e non è raro trovarvi uncinati quattro o cinque grossi Ippoglossi (fig. 85). Quando si sorprendono questi pesci distesi, nelle ore calde del giorno, sui banchi di sabbia o sui fondi più vicini alla su- perficie, si uccidono a colpi di tridente. Bisogna osservare però Fig. 87. Passera di mare, o Piatessa. che per aggredire corpo a corpo questi enormi pesci, fa d’uopo aspettare che siansi indeboliti, perchè dibattendosi rovescereb - bero la barca del pescatore. I Groenlandesi fanno a pezzi l’animale, li salano poi li espon- gono all’ aria sopra dei bastoni, per farli seccare e spedirli in paesi lontani. Malgrado la sua grossa mole, l’Ippoglosso ha per nemici i delfini e i grossi uccelli di rapina che vivono sulle spiaggie. Del resto è un pesce voracissimo che divora i granchi, i mer- luzzi, ed anche le razze. Non risparmia neppure gli individui delia sua specie: gli Ippoglossi si aggrediscono fra loro e sì mangiano le natatoie e la coda. PLATESSE O PASSERE DI MARE 229 Platesse o Passere di mare. — Questi pesci hanno il corpo di forma romboidale, gli occhi in generale collocati sul lato di- ritto, una fila di denti taglienti ad ogni mascella, la natatoia dorsale che giunge solo fin sopra l’occhio superiore, lasciando, come lascia pure la natatoia terminale, un intervallo nudo fra quella e la natatoia caudale. Le Passere di mare! abitano quasi tutti i mari. Fra le specie delle nostre coste menzioneremo la Passera di mare comune * (fig. $7), che è la più stimata del genere, e che si trova comu- Fig. 88. Limanda. nemente sui mercati di Parigi. La Limanda, che deve il suo nome alle scaglie dure e frastagliate del suo corpo, è un’altra specie che fa bella mostra di sè sulle nostre mense. Ganoidi. — Tutti i pesci di questa famiglia si conoscono per le natatoie ventrali attaccate sotto la gola e aguzze in punta. Hanno il corpo allungato e un tantino compresso, il capo ben proporzionato. Le loro natatoie son molli, e le loro squame 1 Lat., Platessa; fr., Plie; ingl, Plaice: ted., Scholle. 2 Fr., Carrelet, o Plie franche. 230 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI son pure molli e piccole. La mascella è armata di parecchie file di denti conici ed ineguali. Le aperture branchiali son grandi e munite di sette raggi. Questi pesci, che vivono nei mari freddi e temperati dei due emisferi, somministrano un cibo sano, leggero e piacevole. Inoltre danno luogo ad impor- tanti pesche e ad un traffico considerevole. I Merluzzi, i Merlani, i Naselli e le Lote saranno per noi i rappresentanti di questa famiglia. Merluzzi. — Il capo del Merluzzo 1 è compresso. Gli occhi, collocati sui -lati, son vicinissimi fra loro, molto grossi e ve- lati da una membrana trasparente. Lacépede suppone che que- st’ ultima conformazione dia all’ animale la facoltà di nuotare sulle superficie dei mari del nord dell'Europa, in mezzo a monti di ghiaccio, presso alle spiaggie coperte di neve splendidissima, senza che i loro occhi siano abbagliati da quella viva luce. Ma questa opinione è abbastanza incerta. Le mascelle del Merluzzo son disuguali e armate di parec- chie file di denti forti e aguzzi, parecchi de’ quali sono mobili e possono star nascosti o rialzati a piacimento dell’animale. Il corpo -di questo pesce è allungato, lievemente compresso. Ha tre natatoie dorsali, due natatoie anali, le natatoie giugulari strette terminanti a punta, ed una caudale biforcuta. E di color grigio cenerino macchiettato di giallo sul dorso, bianco e talora rossastro sotto. Il Merluzzo, fornito di vasto stomaco, è voracissimo. Si nutre di pesci, di granchi e di molluschi. È tanto ingordo che in- ghiotte anche pezzi di legno ed altri oggetti che non possono nudrirlo. Ma può tuttavia liberarsi agevolmente degli oggetti che lo molestano. È un pesce essenzialmente marino. Non si vede mai nei fiumi o nei torrenti, e durante quasi tutto l’anno rimane nel profondo del mare. Per solito abita nella parte del- l'Oceano settentrionale che è compresa fra il 40° e il 660 grado di latitudine. Nell’ampia distesa dell'Oceano che frequenta il Merluzzo , si possono distinguer due grandi spazi pei quali esso sembra avere una certa predilezione. Il primo confina da un lato colla Groenlandia e dall’altro coll’Islanda, la Norvegia, le coste della Danimarca, della Germania, dell’ Olanda, dell’ est e del nord della Gran Bretagna, come pure delle isole Orcadi; comprende i punti indicati coi nomi di Dogger-banck, Well-banck, e Cromer; ! Lat., Gadus morrhua; fr., Morue; ing!., Cod; ted., Stockfisch e Kabeljau. OSSA PESCA DEL MERLUZZO NEI BANCHI DI TERRA NUOVA 231 e si può anche comprendervi i laghetti di acqua salsa delle isole dell’ovest della Scozia, ove stormi considerevoli di grossi Merluzzi attraggono, sopratutto verso Gareloch, i pescatori delle Orcadi, d Peterhead, di Portsoy, di Firth e di Murray. Il secondo spazio, di notorietà meno antica, e il più celebre fra i naviganti, comprende le località vicine alla Nuova Inghil- terra, al Capo Breton, alla Nuova Scozia, e specialmente all’ i- sola di Terra Nuova, presso la quale sta quel famoso banco di sabbia chiamato il grande banco, che ha quasi duecento leghe di lunghezza e sessantadue leghe di larghezza, sul quale si trovano da venti a cento metri d’acqua. Colà i Merluzzi vivono in stuoli innumerevoli, perchè vi trovano in gran copia le aringhe e gli altri animali di cui si nutrono. Questa è, secondo Lacépède, la distribuzione geografica dei Merluzzi. I Francesi, gli Americani, gl’Inglesi, gli Olandesi, i Norvegi, fanno tutti con pari ardore la pesca del Merluzzo. Egli è prin- cipalmente sul banco di Terra Nuova che si compie questa pesca. Pesca del Merluzzo nei banchi di Terra Nuova. — L’ isola di Terra Nuova era stata scoperta e visitata dai Norvegi fino dal decimo ed undicesimo secolo, vale a dire prima della scoperta dell'America; ma solo nel 1497, dopo la scoperta fatta da Cri- stoforo Colombo, il navigatore veneziano Sebastiano Cabotto, ai servigi di Enrico VII e’Inghilterra, avendo visitato quella loca - lità, le diede il nome che porta, e segnalò la grande abbon- danza di branchi di Merluzziin quei paraggi. In breve l’Inghil- terra ed altre nazioni accorsero onde far larga messe in quei campi fecondi di materia viva. Nel 1525 Giovanni Verazzani, fiorentino, prendeva possesso dell’isola in nome di Francesco I re di Francia, e ucciso dai selvaggi, vi lasciava il suo com- pagno Giacomo Cartier di S. Malò a fondarvi uno stabilimento coloniale. Nel 1578, la Francia spediva 150 navi al banco di Terra Nuova, la Spagna 125, il Portogallo 50, l’Inghilterra 40. Durante la prima metà del secolo decimottavo, i Francesi, gli Inglesi e gli Americani fecero soli la pesca del Merluzzo. La Francia però ne perdette il primato in seguito alla pace di Parigi (1763) per la quale, in uno coi possedimenti continentali dell’ America settentrionale, venne tolto alla Francia il pingue prodotto di quei mari. L’ Inghilterra, sulla fine del secolo scorso, impiegò per alcuni anni in questa pesca ben 24,000 uomini. Dal 1823 al 1831, la Francia ha spedito a Terra Nuova 341 29% ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI bastimenti., con un totale di 7085 marinai. Queste navi hanno esportato 25,718,466 chilogrammi di pesce, di cui 3,974,238 di pesce salato, 16,744,228 di Merluzzo secco, e 1,217,008 d’ olio. Tutto ciò ha dato in media una cifra di oltre a sei milioni ogni anno. Oggi più di 2000 navi con circa 30,000 marinai sono inviate dall’Inghilterra alla pesca del merluzzo 4. L'Olanda non sta in- dietro alle altre nazioni : nel 1856 esportò 1,172,203 chilogrammi di pesce variamente preparato; nel 1857, 1,297,666 chilogram- mi; nel 1858, 1,702,431, e nel 1859, 1,507,788. Sulle coste della Norvegia, dalla frontiera russa fino al capo Lindesness, la pesca del Merluzzo dà origine ad un esteso commercio e ad un’industria considerevole. Occupa più di 20,000 pescatori, che montano 5000 battelli, e si calcola ad oltre 20 milioni il numero dei pesci che somministra al consumo di quei paesi. Nel 1860, la Francia ha fornito per la pesca di questo pesce 210 bastimenti e 3275 uomini; nel 1861, 222 bastimenti e 3602 uomini; nel 1862, 232 bastimenti e 38741 uomini ?. I Merluzzi si prendono talora colle reti, talora coll’ amo. La rete che si adopera a Terra Nuova, e che è in uso lungo le coste, è rettangolare, munita di piombo al lembo inferiore, e di sughero al superiore. Una delle estremità è attaccata alla costa; l’altra si colloca in alto mare, seguendo una curva fatta dai battelli. Si trascina il pesce tirando sulle due estremità della rete, e con un colpo si prende talora il carico di parecchie navi (fig. 89). i L'Italia non v’invia un solo legno, eppure essa fa un esteso consumo di merluzzo, che acquista di seconda ed anche- di terza mano, pagan- dolo per conseguenza ad un prezzo superiore ed incoraggiando così con questo traffico le marine dei suoi vicini, a scapito di quanto la propria potrebbe profittarvi. Dalle statistiche italiane si rileva che l’Italia importa in pesci di pesca straniera , per proprio consumo, per circa 15 milioni di lire, valore commerciale. Il console italiano Trabaudi-Foscarini, in un suo rapporto, insiste sul vantaggio che avrebbe l’Italia ad avvezzare i suoi marinai alla pesca del merluzzo e de’ cetacei, ed eccita vivamente il governo a far qualche cosa in questo senso. (Nota del Trad.) _ ® Gli Scozzesi occupano non meno di 11,895 battelli, aventi 52,047 uomini di equipaggio nelle due pesche del Merluzzo e dell’Aringa. — 50,000 Americani almeno fanno loro concorrenza; e la questione delle pesche minacciò qualche volta di rompere la pace del mondo. (Nota del Trad.) "BAONN Ve. 119], IP EJOst {e IZUeUIP oZznpiaK |Ap_gosa IN TTT d 68 Pesco e Animal articolati. GUIER. Rettili, FI PESCA DEL MERLUZZO NEL BANCHI DI TERRA NUOVA 295 . Le lenze poi sono di due sorta; lenze a mano , che ogni pe- ‘scatore tende a destra ed a sinistra del battello, e le lenze di fondo, che son fatte di corde fortissime, sulle quali si fissano un certo numero di lenze parziali. Ad un capo di questa corda sta accato un uncino, che la tra- scina in fondo all’ acqua; un’ àncora è attaccata all’ altro capo. Ogni àncora dipende anche da una piccola gomena cui sta ap- peso un grosso pezzo di sughero. In tal modo si collocano fino a 3000 ami. L’esca destinata alle lenze è fresca o salata. L’aringa som- ministra la carne fresca insieme al capellano, pesciolino che in primavera scende dai mari del Nord, inseguito da stuoli di Merluzzi. Nel terrore che cagionano loro quegli innumerevoli stuoli di nemici, i capellani si spargono per tutte le distese di mare prossime a Terra Nuova, in masse tanto fitte che le onde li rigettano e li ammucchiano talora sull’arena delle spiaggie. La pesca principale che si fa di questo pesce per servire d esca alle lenze, segue sulla costa di Terra Nuova. Gli abitanti di quei luoghi portano il bottino fatto, ai pescatori che vanno a San Pietro per la pesca del Merluzzo. I bastimenti, con buona provvista di questa esca, partono da San Pietro, dirigendosi a nord-est, e si avviano verso il banco di Terra Nuova. Quando il capitano ha scelto il luogo acconcio per la pesca, dà fondo, vale a dire tien fermo il suo bastimento mercè lunghe gomene di canape. Siccome il mare in quel punto non ha una profondità maggiore di quaranta a sessanta braccia, si può agevolmente ancorarsi in quei fondi. Allora l’ equi- paggio comincia a tendere le lenze. Di tratto in tratto le si ti- rano su, si toglie via il pesce preso, si rinnuova l’esca, e si ricomincia. i Immediatamente si dà opera a mettere il pesce in una prima ‘preparazione per poterlo conservare. Si apre, gli si tolgono le interiora, si spacca in due; poi si ammucchiano i pesci aperti e si salano. Questo lavoro dura quanto dura la pesca. Il marinaio sta giorno e notte sul ponte, bagnato fino alle ossa, coperto d’ olio e di sangue, circondato di ogni sorta di detriti, dai quali emana un odore fetidissimo. Ma la pesca fatta in tal modo non basta. Si allestiscono delle barchette montate da due o tre uomini, che vanno ogni giorno più al largo, onde tendere altre lenze. In tal modo l’equipaggio gira così ben lontano tutto intorno al bastimento. Una parte dei Merluzzi è spedita in Europa, senza altra pre- 236 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI parazione che la salatura ricevuta sul ponte della nave. Il ri- manente, ed è la maggior parte, è preparato e seccato sul luogo. Egli è alle isole di San Pietro e di Miquelon che si fa princi- palmente questa operazione di essiccamento. Nel giornale Il Giro del Mondo! trovasi una descrizione di varic operazioni per seccare i Merluzzi a Terra Nuova, che l’autore, il conte di Gobineau, ha osservato all’ isola Rossa, collocata non lungi dal banco di Terra Nuova, e che non è altro che una specie di roccia posta in faccia alle Grande Terra. Fig. 90. Merluzzo. « Le case commerciali francesi, che fanno la pesca sulla costa occi- dentale di Terra Nuova, appartengono per la maggior parte, dice il signor di Gobineau, ai porti di Granville e di Saint-Brieuc. Due elementi ben distinti compongono gli equipaggi dei loro bastimenti. La minoranza degli uomini appartiene ai marinai, pescatori propriamente detti: è que- sta l’aristocrazia di bordo. Poi vi si aggiunge un numero più grande di operai, detti ciottolar (graviers). « Giunti sulla costa, questi ultimi vengono sbarcati; durante tutta la campagna non navigano più, e le loro funzioni consistono solo nel ri- cevere il pesce che i pescatori portan loro, tagliargli la testa nel pa/co (chauffant), aprirlo, mettere in disparte i fegati per estrarne l’olio, stendere 1 Vol. IX della prima serie. Milano 1868. PESCA DEL MERLUZZO NEI BANCHI DI TERRA NUOVA 237 la carne in mezzo a strati di sale, infine compiere le varie opere per l’essiccamento del pesce sulle ghiaie della spiaggia. « Un chauffant, vocabolo normanno che corrisponde al nostro palco, è una grande capanna costrutta su palizzate messe metà nell'acqua e metà sulla terra, fatte di tavole e di travi; si è cercato di far sì che l’aria potesse circolarvi liberamente. Alcune grandi vele di bastimento la ri- coprono. « Una parte del pavimento, specialmente quello che sta sull’ acqua, è a griglia; in questa parte son collocate delle specie di panche ove si taglia la testa al Merluzzo. Non si può dare una idea esatta del puzzo orribile di quel luogo ; è il carnaio più schifoso che si possa immaginare. Fig. 91. I pescatori di Merluzzo. Vi regna sempre una atmosfera carica di vapori ammoniacali ; i detriti dei pesci semiputrefatti o in piena scomposizione ammucchiati nell’acqua fitiscono per giungere fin dentro, e siccome quegli uomini non son tanto dilicati, non pensano a toglier via quelle orribili immondezze. « Stanno li col coltello in mano, tagliando i cadaveri, facendoli a pezzi, strappandone gli intestini, dilaniando le vertebre, badando bene però a non pungersi, perchè quello è il maggior pericolo cui possono andar incontro... ma tolto questo, e presa l’abitudine, quell’operaio vive senza nessun danno per la sua satute e neppure pel suo ben essere, in mezzo ad un fetore che renderebbe asfissiato chi non ci fosse av- vezzo da lunga mano. 238 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI « Un gabbiotto (cageot) è un recinto fatto di tavole che può avere due o tre metri di lunghezza ad ogni lato, ed ha la forma di un cono rove- sciato; il fondo è a griglia e domina una larga botte affondata nella terra. Si va fino a questo luogo da un sentiero che gira. Colà si met- tono i fegati del merluzzo per farli fermentare. < L'olio cola dalla griglia nella botte, d'onde poi si raccoglie e si mette nei barili. « Ogni stabilimento di pesca, all'isola Rossa come altrove, ha bisogno specialmente, oltre dei palchi e gabbiotti già descritti, di ciò che si suol dire graves, giacchè colà si secca il pesce. Senza di queste graves, non si potrebbe fare quella operazione, ed è per questo motivo che godono del diritto di occupare la costa durante la stagione della pesca. « In origine queste graves non erano che la spiaggia. Ora se ne costruiscono delle artificiali di pietra nei luoghi ben scoperti, esposti particolarmente all’azione del sole e sopratutto al vento. Il sole, si dice, non secca, ma brucia; invece il vento compie a meraviglia il suo officio, e quindi onde evitare l’uno e favorire l’altro si sono inven- tali certi congegni detti vigneaux, o intrecci fatti di lunghe fronde mobili che si possono inclinare per ogni verso, secondo che si voglia mettere il Merluzzo sotto l’azione diretta dal vento, o sottrarlo a quella dei raggi del sole, il che del resto di rado è da temere. « Ecco la messe di Terra Nuova! » La maggior parte del Merlizzo seccato a Terra Nuova si spedisce e si consuma in America ed in Africa, vale a dire alle isole della Martinica e della Guadalupa (America), alle isole della Riunione e di San Maurizio (Africa). Il Merluzzo secco è, come tutti sanno, il principale nutrimento dei negri. Ma non tutti i prodotti della pesca del Merluzzo sono pre- parati e seccati a Terra Nuova. Circa la metà dei bastimenti francesi sono armati per la pesca senza essiccamento; cioè portano essi in Francia il loro prodotto, salato precedentemente, oppure ne spediscono una certa quantità dopo la prima pe- sca, colle navi che portan loro il sale e che si caricano pel ritorno di pesce. Gli invii si dirigono principalmente verso i porti della Rochelle, di Bordò e di Cette (Hérault). Giunti nei porti di Francia, i bastimenti carichi di merluzzo salato lo scaricano, e si ammucchia il pesce entro vasti magaz- zini. Allora subito si comincia a togliergli il sale ed a seccarlo. Questa operazione si fa a Cette, verso il mese di agosto o di settembre, tempo in cui son tornati i bastimenti che eran partiti nel gennaio per Terra Nuova. Ecco in qual modo si compie questa operazione. Dopo aver tenuto i Merluzzi a molle nell’acqua dolce, per un tempo neces- sario onde toglier loro una gran parte del sale, ma non tutto, OLIO DI FEGATO DI MERLUZZO 239 si appendono i pesci sopra le corde tese, aperti e ben distesi, stringendone la coda in uno strettoio. Tutto ciò forma una serie di gallerie in mezzo alle quali può sempre circolare l’ operaio. L’esposizione troppo diretta ad un sole ardente produrrebbe un essiccamento troppo pronto, nuocerebbe alla qualità del merluzzo. Quando il sole è troppo ardente, si collocano sopra queste gal- lerie certi ripari di vimini, che lascian passare l’aria intercet- tando solamente i raggi solari. Olio di fegato di merluzzo *. — Il merluzzo oggi, oltre alla sua importanza come .pesce alimentare, è pure apprezzato per la grande copia di olio medicinale che si ha dal suo fegato. Quest’olio (oleum jecoris Mourlux) una volta avea nome di oleum Aselli majoris, ed il Merluzzo si chiamava Asellus major. Per lungo tempo quest’ olio non fu adoperato ad altro se non che all’ illuminazione, ed agli usi industriali: tuttavia il popolo, segnatamente lungo le spiaggie d’Inghilterra e del nord dell’Eu- ropa, lo adoperava in frizioni contro i reumatismi ed alcune altre malattie; ma i medici non ne tenevano verun conto. Così anche oggi vediamo in molte parti adoperati i grassi di parecchi animali, ed anche il grasso umano: per esempio, le popolazioni della Liguria marittima adoperano l’olio di tarta- ruga. i Sebbene venuto tardi fra i medicinali adoperati dai medici, oggi l'olio di fegato di Merluzzo si può dire uno dei ri- medi più alla moda: non più esternamente, ma per uso in- terno: quindi il commercio di quest’olio è divenuto notevol- mente esteso. Il Merluzzo propriamente detto non è la sola specie di questo genere che fornisca l’olio che si smercia con tal nome, e se ne porta non solo da Terra Nuova, ma anche dalle coste della Norvegia e da parecchie altre parti del Nord. È possibile che le varie specie di Gadidi, ed anche molti altri pesci possano somministrare un olio analogo. Secondo il signor Jongh, a Bergen in Norvegia si adoperano per lo più i fegati del Gadus callarius, che appartiene allo stesso genere del vero Merluzzo, ed anzi non è che una varietà dipendente dagli anni, e si ado- perano anche quelli del Gadus carbonarius e pollachivs, che sono i Naselli, vale a dire quei Gadus che hanno lo stesso numero di natatoie come i Merluzzi, ma mancano di cirri al mento. 1 Questo capitolo fu da noi aggiunto per la presente edizione. (Nota del Trad.) 240 ORDINE DEI MALACOTTERIGI SUBBRANCHIATI Non tutti gli oli di Merluzzo che si vendono in commercio hanno il medesimo colore. V’ ha l'olio nero, il bruno, e il biondo; un’altra varietà è quasi senza colore: vien chiamato olio bianco. Quest’olio si ottiene mercè una speciale preparazione. Gli altri tre olii poi sono tali e quali si estraggono dai pesci, e la sola differenza che si osserva dipende dal tempo in cui sono stati filtrati. Quando si fanno filtrare i fegati tolti dai merluzzi il primo olio che passa è biondo. Dopo un certo tempo, la tinta si fa più oscura, perchè trae seco un po’ di sangue e un po’ di bile; finalmente l’olio vien quasi nero, se l’operazione dura ancora o se il fegato comincia a scomporsi. L’olio di fegato di merluzzo contiene molto acido oleico, una certa dose d’ acido margarico, glicerina in minor quantità, e traccie più o meno evidenti di certe altre sostanze, fra le quali si osserva il jodio. Le analisi fatte dal signor Jongh insieme all’ acido oleico, segnalano una materia grassa particolare cui questo chimico diede il nome di Gaduina, e due altre materie indeterminate. La tavola seguente dà l’analisi comparativa di tre olii: nero, bruno e bianco. La prendiamo dal signor Jongh: OLIO DI FEGATO DI MERLUZZO. Nero Bruno Bianco Acido oleico, gaduina e due altre materie indeterminate . . . , 96,785 71,757 74,055 Acido marparieoot. dt LA OA 15,421 11,757 GUCE fr e OI ‘9.075 10,177 AGIO SBUATFICO: 07%, SL pMast MI (04:59 » 0.074 Acido racele0 02700 SDA » 0,046 Acido fellinico e colinico. . . . 0,299 0,062 0,045 Bilifulvina ed acido bifellinico . . 0,876 0,115 0,265 Materia solubile nell’alcool a 50 gradi Liciag 7 lot sal 1a 01038 0,015 0,006 Mat. insol. nell’acqua, nell’alcool e Relketare thai eee 0005 0,002 0,009 ode RA SII 0,041 0,057 Cloro con un po’ di bromo. . . 0,08% 0,159 0,149 ACITO MOSIORICORO ca de o e VOI 0,079 0,091 AcidoxSolioritofa = DÈ Sa PTT S SW Sia SSR SS a WVTWì SS SS SS x \ CC S SI $ SC NNOCS 7 \K CL È LC ANANACI $ > IA \ x A TS A SN n VAN < S SS S/N IN PAS Fig. 101. Sferone (rete per la pesca di fiume). La fig. 101 rappresenta lo sferone. Si colloca nelle piccole fiumane, innanzi all’entrata delle tante cavità ove il pesce viene di giorno a cercare un asilo contro il caldo, oppure un rifugio contro i suoi nemici. Si immerge il palo nell’acqua, finchè la corda e le due estremità dell’ arco posino sul fondo. Si agita l’acqua; il pesce spaventato cerca fuggire, e cade nell’apertura Fig. 102. Nassa (paniere per la pesca di fiume). spalancata della rete, nella quale si prende dopo averla tirata con precauzione dall’ acqua. La nassa (fig. 102) è un gran paniere di vimini in forma di cono allungato. Alla base ed alla punta vi sono due aperture, una larga ed evasa che riman sempre aperta, l’ altra stretta e chiusa talora da una porticina a graticella, talora da un turac- ciolo di paglia o di giunchi. Si ha cura di disporre all’entrata 3A ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI una specie di piccolo andito fatto di pezzi di giunchi sottili ed elastici, le cui estremità libere si riaccostano e quasi si riu- Fig. 103. Negossa (tranello pei pesci di fiume). niscono. Il pesce varca agevolmente questo corridoio vegetale, allontanando i sottili steli di cui è fatto, e si introduce così nel paniere. I giunchi collocati all’entrata riaccostandosi per la Fig. 104. Rete a gola. loro propria elasticità, riman chiusa la ritirata al povero pri- gioniero della nassa. La negossa (fig. 103) è un tranello pei pesci che rassomiglia alla nassa, ma nel quale invece dei giunchi vi è una rete. 3 SIA + =" = S CR S d TL = Sì ha == T[W[|(S&à* SS = <= = = = = <= = SS D SS N MI Ki Ù (URANIO SO ” OZ PRAZUZONINA SLI VIII VARIATA S 83 SS SS EK = TL ta TR = SLI = f et G SG SO SS STR == at = S SZ Fig. 105. Razzuola (rete per la pesca di fiume). Finalmente la rete a gola (fig. 104) è una doppia negossa con due entrate. La razzuola (fig. 105) è una striscia di rete che si tende in mezzo ad un fiume, come un muro che ne impedisce il corso. Con questo muro di rete teso verticalmente si spazza tutto il TROTE DI LAGO E DI MARE 253 fiume nella sua larghezza, e si tira sulla spiaggia tutto ciò che ha raccolto la rete (fig. 106). Tutti questi congegni! che si ado- perano per Ja pesca di molti pesci abboccanti, son eccellenti per prendere le trote. Trote di lago e di mare. — La Trota preferisce l’acqua chiara, fredda, corrente. Perciò è rara nella Senna;le acque di questo fiume sono troppo torbide per essa, sono troppo lente nel loro corso. Questo pesce nuota quasi sempre contro corrente; gli ei da - Fig. 106. Pescatori colla razzuola che tiran la rete. piace mettersi nei buchi delle sponde delle fiumane. Riman tanto tranquilla entro quei ripari, che talora si può prender- vela colle mani. La Trota di lago trovasi in parecchi grandi laghi d’ Europa, ! Crediamo utile aggiungere qui i nomi francesi di questi varii congegni di pesca. Lo sferone dicesi truble o trouble; la nassa, nasse; la negossa, verveux; la retea gola, louve; e la razzuola, senne. Quelli che noi diciamo pesci abboccanti sono chiamati in francese poissons gobeurs. (Nota del Trad.) 254 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI e specialmente nel lago di Ginevra 4. Presenta un corpo più lungo di quello della Trota comune, e tanto spesso che pare quasi cilindrico. Il dorso ha tinta grigio-perla, che passa sfu- mando all’ azzurrognolo ed al verdastro; i fianchi sono di un grigio pallido macchiettato di nero, la parte inferiore è di un bianco d’argento. Non si veggono macchie rosse se non sopra gli individui giovani. Si prendono talora nel lago di Ginevra certe Trote che pe- sano da quindici a venti chilogrammi. Questi pesci abbandonano le acque del lago quando è il tempo delle nozze, e risalgono molto in su il corso dei fiumi. Allora brillano dei più vivaci colori, che si modificano secondo il corso delle acque. La Trota di mare, che si chiama anche Trota salmonata, vive alternatamente nelle acque dolci e salate. Sui fianchi è di color argentino, con macchiette o punti neri sparsi; il dorso è di un grigio azzurrognolo, le parti inferiori sono di un bianco splen- dido; il che la distingue a prima vista dalla Trota comune. Secondo il sig. Blanchard, la Trota salmonata nasce nei fiumi; quando è di una certa grossezza scende nel mare, e risale poi le acque dolci per fare le uova. Si pesca principalmente la Trota salmonata nelle acque dei dipartimenti francesi dell’est, nel Reno, nell’Ill, nella Mosella, nella Mosa e nei suoi affluenti. Se ne prendono anche nella Loira. Può venire molto grossa. Il suo peso comune è di quattro a sei chilogrammi, allo stato adulto; ma se ne sono pescate del peso di quindici chilogrammi. La sua carne, di sapore squisito, è rossa, e del color del sal- mone, come lo indica il suo nome. Salmoni. — I Salmoni 2 son molto affini alle trote. Hanno pure denti forti ed aguzzi alle due mascelle, alle ossa palatine e sulla lingua. Le squame del loro corpo son piccole e disposte in ellisse allungata. Il Cavaliero * (fig. 107), specie di salmone, ha il corpo com- 1 È pur frequente da noi questa seconda specie di Trota, e viene segnalata per la mele a cui giunge, che qualche volta è perfino di 16 chilogrammi. Si pesca essa dappertutto nei fiumi alpini come il Ticino e l’Adda, e anche nei laghi da essi formati. — Comunemente però questa specie di Trota propria dei laghi, non viene distinta dall’altra specie, la Trota comune, che si pesca in abbondanza nei fiumicelli e nei torrenti, e che è vaghissima pei suoi colori e deliziosa per le sue carni. (N. d. 7.) 2 Lat., Salmo; fr., Saumon; ingl., Salmon; ted., Lachs. 5 Fr., Ombre chevalier. SALMONI 255 presso lateralmente, e più o meno svelto. Ha squame piccolis- sime, e poco distinte. ad occhio nudo. Sotto, è bianco o rossigno (nel tempo delle nozze); sopra, è di un grigio perlaceo o azzur- rognolo. I fianchi son punteggiati di macchiettine bianche e rossastre. È un abitante sedentario dei laghi dell’ Europa cen- trale; non va mai nei fiumi. Il Salmone comune (fig. 108) ha il corpo allungato, il muso rotondo, ma più lungo nei maschi che nelle femmine, colla mascella superiore munita di una cavità nella quale entra la punta de!tla mascella inferiore. Ha il dorso color ardesia, i fianchi ed il ventre di un bianco argentino o madreperlaceo. Sulla testa è sparso di grossi punti neri, come pure neri sono = = - = === =_= Fig. 107. Cavaliero. l’orlo superiore dell’occhio e gli opercoli; sui fianchi gli si os- servano macchie brune, irregolari, e di varia forma e gran- dezza. Del resto questi colori possono mutare secondo i casi. Prima di avere i caratteri qui descritti, il Salmone ha pas- sato tre fasi, ognuna delle quali è segnata da particolarità -che meritano di essere menzionate. Il Salmone giovane, o piccolo, (fig. 109) è grigiastro e rigato di nero. In capo a un anno circa, si ricopre di uno splendore metallico bellissimo. « Le parti superiori sono di un colore acciaio splendido, dice il signor Blanchard, otto o dieci macchie dello stesso azzurro, come se fossero velate da un manto d’argento, occupano i fianchi; fra queste macchie domina una tinta rossastra o ferruginosa vivacissima ; una macchia nera si vede per solito in mezzo all’ opercolo ; il ventre è di un bel celeste madreperlaceo.... » 256 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Presso gli Inglesi il giovane salmone chiamasi parr durante l'età primiera; smolt durante la seconda. Finchè i Salmoncini sono alle stato di parrs, vivono isolati. Quando sono divenuti smolts, ed hanno preso la livrea dei viaggiatori, si raccolgono in branchi, e scendono i fiumi per andare nell’Oceano. Giunti nei punti ove risale la marea, i Salmoni rimangono due o tre giorni nell'acqua salmastra, come se volessero abituarsi ad un nuovo elemento; poi scompaiono nella vasta distesa dell’ O- ceano. Dopo due mesi di una esistenza misteriosa ed a noi ancora ignota, questi pesci compaiono nuovamente nei fiumi e ritor- Fig. 108. Salmone adulto. nano nel loro luogo natio. Ma quale mutamento si è operato in essi! Quantum mutati! Lo smolt, che ha dovuto vivere due o tre anni nei fiumi per venir lungo da dodici a venti centimetri, ritorna, dopo aver dimorato due mesi nell'Oceano, col peso di un chilogrammo e mezzo a due chilogrammi! Ecco un tempo bene speso. Allora lo smol! prende il nome di grilse, sempre presso gli Inglesi. Dopo aver fatto le uova, i grilses rimangono un certo tempo nell’ acqua dolce. Un nuovo soggiorno di circa due mesi basta per farli ingrossare tanto da pesare da 3 a 6 chilogrammi. Allora il Salmone è compiuto. SALMONI 257 Ad ogni nuova gita al mare il Salmone cresce, e ciò ‘in proporzione della durata del viaggio. Nel mese di marzo del 1845, il duca di Atholl prese nella Tay un Salmone subito dopo che ebbe deposto le uova, e lo segnò con un collare di me- Fig. 109. Salmone picco!o. tallo molto largo. Pesava dieci libre. Si riuscì a ripescare lo stesso individuo, collo stesso collare, dopo cinque settimane e tre giorni; pesava allora ventuna libbra. In moltissimi casi, dice il signor Blanchard, dal quale pren- diamo la sostanza di tutti i fatti che riguardano lo sviluppo e Fig. 110. Salmoncino. le migrazioni di questi pesci, i Salmoni di varia età che hanno vissuto parecchie volte nel mare, vale a dire i grilses, i Salmoni adulti e alcuni individui in certo modo intermediari, che hanno forse dimorato per la prima volta nel mare per circa otto o dieci mesi, risalgono tutti insieme i fiumi in un dato ordine FiGuiER. Rettili, Pesci e Animali articolati. 55 258 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI che non varia molto. Gli individui vecchi formano la testa della colonna, ed i giovani tengon loro dietro. Quando è giunto il tempo della riproduzione, un maschio ed una femmina si riuniscono. Allora sembrano scegliere concordi il luogo destinato a ricevere le uova. Il maschio e la femmina poi si mettono a scavare nella ghiaia un letto della profondità di venti centimetri; la femmina vi depone le uova, il maschio le feconda, e poi le ricoprono con uno strato di arena. I Salmoni non risalgono i fiumi che per far le uova. Ritor- nano poi, con grande premura, nelle acque salse. Quando stanno volentieri in un fiume nuotano lentamente, e quasi si trastullano alla superficie dell'acqua. Ma se un bisogno li attira, o un pericolo li minaccia, possono slanciarsi fuori dell’acqua con straordinaria prontezza. Infatti la coda del Salmone è un vero remo, che muscoli potenti fanno muovere. Una cascata d’acqua, un’alta cataratta, non è pel Salmone un ostacolo grave. Piegando la colonna ver- tebrale, forma così una specie di molla; poi fa scattare svelta- mente questo arco, batte l’ acqua con forza, e slanciandosi ad una altezza di oltre quattro o cinque metri, varca la cascata d’acqua. Se ricade senza aver potuto varcare l’ ostacolo, rico- mincia in breve lo stesso maneggio, finchè alla fine riesce. Specialmente quando il capo della brigata ha saltato con buon esito, gli altri si slanciano con nuovo ardore, e questa emula- zione ha quasi sempre il suo premio. In Inghilterra molte cascate di acqua sono famose pel salto del Salmone. Quella della provincia di Pembroke è di questa sorta, e colà si va ad ammirare la forza e la maestria con cui questi pesci varcano la cataratta. In Irlanda vi sono altri due salti del Salmone rinomatissimi, uno a Leixlif, l’altro a Bally-Shannon. La cataratta di Leixlif è alta sei metri; moltissimi abitanti del paese ci vanno per vedere i Salmoni superare quest’ al- tezza. I nostri pesci acrobati ricadono spesso prima di riuscire ; perciò sul margine del torrente si collocano certi recipienti di vimini per prenderli quando hanno fallito il salto. Presso la cataratta di Kilmorak, in Scozia (fig. 111), sogliono gli abitanti dei dintornl disporre acconciamente rami di alberi sul margine delle roccie: con questi rami riescono a ritenere, quei pesci che non siano riusciti a compiere il loro salto. Dopo ciò non si considereranno più come una favola le asser- zioni di alcuni cacciatori che accertano di aver ucciso dei Sal- moni al volo. SALMONI 259 Ma quel che pare una favola, o almeno una spiritosa inven- zione, è il fatto che il dottor Jonathan Franklin attribuisce a lord Lovat. Avendo osservato che moltissimi Salmoni non riuscivano nel loro salto sulle cascate di Kilmorack, e che ricadevano sulla spiaggia, lord Lovat pensò di mettere una padella da friggere, sopra un fornello acceso sulla punta degli scogli che facevano corona al fiume. Dopo molti inutili tentativi, alcuni disgraziati Salmoni caddero per caso nella padella, e il lord potè dire, per vantare il suo paese, che i mezzi di vivere vi son tanto ab- bondanti, che basta far fuoco e mettere una padella sulla spiag- gia di un fiume per. farvi ca- dere dentro i Salmoni, i quali così risparmiano all’ uomo la fatica di pescarli! Abbiamo veduto come i pic- coli Salmoni prosperino ed in- grossino rapidamente, quando vivono nel mare. Finora non si potè fare che delle supposi- zioni sul loro modo di cibarsi durante quel tempo; ma si co- nosce come vivono durante il loro soggiorno nelle acque dol- ci. Nella prima età si cibano d’ insetti, di uova di pesce, ed anche di pesciolini, appena sono di una certa grossezza. Allo stato di grilse ed adulti mangiano moltissimo pesce. Fig. AHI. Il salto del Salmone I Salmoni sono abbastanza alla cascata di Kilmorack. numerosi nella Loira e nei grandi affluenti di questo fiume, e molto più rari nella Senna e nella Marna. Entrano anche nel Reno e nell’Elba, e in tutti i grandi fiumi del Nord dell’Europa. In Francia se ne trovavano altrevolte molti nei fiumi e sulle coste della Bretagna, come pure della Gironda; or sono abbastanza rari. Le coste della Piccardia ne sono bene provviste; ma ve n’ha meno che su quelle del l’alta e bassa Normandia. In Norvegia, specialmente nel distretto di Drontheim, la pesca del Salmone è fatta in grande, sia sulle spiaggie del mare, sia nelle acque interne. Il mar Baltico è sommamente 260 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI ricco di Salmoni; se ne fa una pesca considerevole in tutte le acque del golfo di Finlandia e di Botnia, come pure nelle acque della Lapponia svedese. Nella Gran Bretagna, i fiumi di Scozia, la Tweed, la Tay, il Don, la Dee e parecchi altri corsi d’ acqua che stanno presso alle coste, sono rinomatissimi per questa pesca; si può dire altrettanto dei principali fiumi di Irlanda !. Il Salmone era al- trevolte così abbondante in Iscozia, che malgrado la grande esportazione che se ne faceva, un bel Salmone di dodici libbre si vendeva sei pence (sessanta centesimi). Quindi i lavoratori di campagna prima di fare il contratto mettevano per condi- zione che non si darebbe loro più di tre volte alla settimana. del salmone. Questi tempi ora son mutati. Essendosi notevol- mente accresciuta l’ esportazione di questi pesci, ora il loro prezzo è aumentato. Inoltre, i mutamenti avvenuti nei corsi d’acqua, per l’uso generale della fognatura, hanno contribuito a diminuire il numero dei Salmoni. La facilità di trasportare Fig. 112. Tramaglio. il pesce a grandi distanze, collocandolo entro casse piene di ghiaccio, ha contribuito pure ad approvvigionare i mercati nei grandi centri di popolazione. Pesca del Salmone. — Varii sono i modi di pescare il Sal- mone. Si adoperano reti, nasse, ami, e tridenti, e sopratutto le reti dette tramagli. Il tramaglio, che si tende attraverso un fiume, è una rete fatta con grosso spago, lunga fino a cento braccia e alta quattro. Le maglie hanno per solito quattro o cinque pollici di lar- ghezza. Un tramaglio (fig. 112) si compone di tre tessuti di maglie intrecciate in un dato modo che si seguono. 1 Anche nei fiumi d'Italia risalgono alcune specie di Salmoni; ma quali specie sieno, oltre la Trota, non ancora si sa bene, perchè poco studiato è lo strano costume di tali pesci. (Nota del Trad ) CHEPPIE 261 I due primi hanno le stesse dimensioni, e larghe maglie. Il terzo, chiamato galleggiante, perchè è destinato a galleggiare fra i due altri, presenta maglie più fine, ed è lungo e largo tre volte gli altri. Questa rete munita di piombi e di sugheri prende nell’acqua la posizione verticale. Il pesce spinto e ravvolto nella rete, o piuttosto vella parete mobile descritta testè col nome di razzuola (fig. 105), e che trascinata dai pescatori spazza a sè dinanzi tutti gli abitanti del fiume (fig. 106), s’ impegna nelle larghe maglie del primo tessuto, spinge il galleggiante, e fa sporgere fuori di una maglia del tessuto ‘collocato avanti una porzione del galleggiante stesso, che si trova fare ernia o che, tenuto alla base dalla maglia del primo tessuto, ravvolge il pesce come in un sacco, e ne paralizza i movimenti. Quando si tira la rete, si trova il pesce impigliato in questa specie di borsa. Cheppie. — Questa famiglia ha per tipo l’Aringa. Le Cheppie ! hanno in generale il corpo allungato, e in alcuni pochi casi molto compresso, specialmente al ventre, che diviene anzi sot- tile. Le scaglie grandissime, ma che cadono agevolmente, rico- prono tutta la pelle. Le natatoie non hanno mai raggi spinosi; le ventrali sono per solito a un di presso sotto la metà del corpo, la dorsale è sempre unica e non ha natatoia adiposa. I generi principali di questa famiglia sono le Aringhe, le .Sa- lacche, le Acciughe e le Sardelle. Aringhe. — L’Aringa comune è un pesce troppo noto perchè sia necessario descriverlo. Ha colori bellissimi, e diremo solo che il suo dorso, mentre dopo morto è di un turchino d’indaco, è verde durante la vita. Del resto questi colori variano. Vanno fino a rassomigliare a caratteri scritti, che alcuni ignoranti pe- scatori hanno creduto talora significassero vocaboli misteriosi. Nel 21 novembre 1587 vennero pescate nel mare di Norvegia due Aringhe; sulcorpo delle quali sembravano stampati alcuni caratteri gotici. Queste Aringhe ebbero l’onore insigne di essere presentate al re di Norvegia Federico II. Questo principe, troppo superstizioso, impallidì alla vista di quel preteso prodigio. Nei segni cabalistici impressi sul dorso di quegli innocenti abitatori delle onde credette leggere 1’ annunzio della morte sua e della regina. I dotti vennero consultati, ed era ciò che si poteva far di meglio. La loro scienza permise loro di leggere corrente- 1 Lat., Clupea; fr., Clupe. 262 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI mente sulle miracolose aringhe: « Zn breve non pescherete aringhe quanto gli altri popoli. » Questa versione era un po’ insignifi- cante; il re dunque fece venire altri dotti, per sapere con pre- cisione l’oroscopo annunziato dal prodigio zoologico. Su questo particolare si fecero moltissime dissertazioni piene di assurde credenze. Nel 15$8 il re di Norvegia morì, come per terminare la questione. Ognuno allora rimase pienamente convinto che le due Aringhe erano messaggeri celesti, incaricati di annunziare al popolo della Norvegia la prossima fine del monarca. Ma lasciamo in disparte queste memorande prove dell’ igno- ranza e della debolezza dei popoli e dei re; veniamo alle Aringhe. Questi pesci abbondano in tutto l’Oceano boreale, vale a dire nei golfi della Groenlandia, dell'Irlanda, intorno alle isole della Lapponia, alle isole Ferde e in tutte le coste delle isole Britan- niche. Popolano i golfi della Norvegia, della Svezia, della Da- nimarca e del mare del Nord; si incontrano anche nel Baltico e nel Zuyderzee. Si trovano nella Manica, e lungo le coste di Francia fino alla Loira; ma non sembrano venire più in giù. Le Aringhe son pesci migratori che vivono in società , e si raccolgono in branchi straordinariamente fitti. Quanto al nu- mero non è a migliaia che si possa contarle, se anco contarle sì potesse; ma ci vorrebbero cifre di migliardi di migliardi per numerare le quantità d’individui che compongono gli sciami di Aringhe che riempiono l'Oceano e nuotano gli uni accanto agli altri. Un pescatore di Dieppe che si trovava a venti chilometri nord-ovest della punta d’Ailly, sopra un fondo di pesca detto la Cuvée, fu portato un giorno in mezzo ad un banco di Aringhe. Formavano colonne parallele, sopra una distesa di oltre un chilometro. Queste colonne possono avere, dicesi, fino a trenta chilometri di lunghezza su cinque o sei di lar- ghezza. Nel 1773, le Aringhe furono per due mesi tanto abbondanti sulle spiaggie marittime della Scozia, che, secondo calcoli abba- stanza esatti, se ne caricavano nel golfo Terridon mille seicento cinquanta barchette, il che formava un totale di quasi venti mila tonnellate !... e ciò tutte le notti! Qualche tempo dopo questi pesci andarono in tanta copia sulia costa occidentale dell’isola di Skye, che non si poterono tras- portare tutti quelli che erano stati presi. Quando le barchette furono cariche e tutto il paese ebbe fatto la sua provvista, i coltivatori dei dintorni adoperarono il rimanente per concimare ARINGHE 263 i loro campi. Vi lascio pensare se quell’anno le terre non fu- rono ingrassate a dovere! Nel 1825, le Aringhe entrarono nel golfo di Urn in tale e tanta abbondanza che lo riempirono dalla foce fino all’estremità, ciò che forma uno spazio di oltre una mezza lega. Una certa quantità fu spinta a terra, e le sponde superiori del golfo ne furono coperte alla profonilità di sei a diciotto pollici; tanto che nel tempo della bassa marea eravene altrettanto in fondo all’acqua. Questo banco era talmente fitto che formava in certo modo una diga vivente, e tanto forte che si spingeva innanzi tutti gli altri pesci. Infatti, si trovarono sulla spiaggia razze e varie altre sorta di pesci, che erano state spinte sulla riva colle prime file delle Aringhe, che morirono con esse. Le Aringhe rimangono in mare a varia profondità. Talora discendono negli abissi dell’ Oceano, e vi rimangono ostinata- mente; ciò fanno nei tempi burrascosi. Altre volte sfiorano per modo la superficie del mare che le loro natatoie dorsali e cau- dali sporgono dall’acqua. Una fra le più splendide scene serbate ai naviganti, è quella che presenta, in una notte tranquilla, quando sull’ orizzonte brilla la luna, la vista di colonne di Aringhe della lunghezza di cinque o sei chilometri, che si avanzano, come una falange di guerrieri, alla superficie dell’ acqua. Qui brilla un tappeto d’argento; colà i riflessi iridescenti dello zaffiro e dello sme- raldo, ed il mare sembra sparso ovunque di gemme preziose. Le scintille fosforescenti che sorgono da quell’ammasso di corpi viventi accrescono sempre più la bellezza e lo splendore del quadro. Quando le Aringhe rimangono alla superficie del mare spor- gono talora col capo fuori dell’ acqua, come se volessero aspi- rare l’aria; spesso anche saltano, per tuffarsi subito. In tal modo segue alle volte che saltano nelle barche dei pescatori. Quando milioni d’individui fanno questa sorta di maneggio, si sente un rumore simile a quello che fa la pioggia quando cade a goccioloni. Questi repentini movimenti in alto mare si attri- buiscono all’effetto delle correnti. Questi strati di materia viva procedono alle volte con tanto impeto, che solcano le onde come un bastimento che navighi a vele aperte. All’entrar dell'inverno perdono questa vivacità. Nondimeno sopportano bene il freddo, poichè si trovano fin sotto i banchi di ghiaccio dei golfi dell'Oceano Artico, e gene- ralmente appaiono in sciami sulle coste d’Irlanda subito dopo il disgelo. 264 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Questa prodigiosa abbondanza, questa mirabile ed inesauri- bile fecondità, si spiegano colle seguenti ragioni. Prima di tutto vi sono molte più femmine che maschi (sono in rapporto di sette a tre); poi il numero delle uova che ogni femmina depone ogni anno, è prodigioso; varia tra i ventunmila e i trentasei mila. Quando uno sciame di Aringhe si avvicina alla costa per far le uova, ne lascia una tal quantità che all’ ora del riflusso si vede talora sui pendii delle dighe il fondo tutto coperto di uno strato d’ uova dello spessore di due a quattro centimetri. Nei movimenti che fanno per ‘espellere le uova, le femmine perdono una parte delle squame del ventre, che Fig. 415. Aringa comune. coprono alle volte la superficie del mare come un immenso len- zuolo d’argento. Non si sa quanti giorni impieghino le uova per schiudersi. Per solito verso la fine del gennaio i bassi fondi son pieni di piccole Aringhe lunghe come spille. Al mese di aprile son già lunghe dieci o dodici centimetri, e cominciano ad allontanarsi dalle coste. L’opinione che per molto tempo si ebbe intorno alla cagione di queste migrazioni delle Aringhe è oggi molto modificata. Un tempo, si credeva che le Aringhe andassero periodicamente nelle regioni del circolo polare; cercassero colà sotto i ghiacci un riparo contro i nemici; e verso il mese di marzo venissero, in banchi immensi, a cercare le spiaggie più meridionali dell’Eu- ù . ni n il SI I A E {{KAFT] de) dei | (UITUAIVIAO 3 li 7; art MRMSRT Ì III, Su i TRS Ù Ri FAL) ki | i Il il 3" | n 1 Î Î j mi iL) | Il Î Il Il | | il È Il ti} i Il (ll ( (I i) | | COMIT) | ) | l (i) Il IHAIIT }}} (il | li Il Ii} LUNI II | | I ( Il | I} N Ill | I i I i) il LUNI | | HW} Ki III | K(TCOIII! IAN ili INNI ) | | Î | il Il {| )}) } Il (III) 8, | { (I Ù | i (00 Il ALI li IAT | Î HIT )I Il i ì AT (i I} Il ; LIAN II i} I | Il | | y | | | IN | il "i IRITII HIT MINI \ | hi I Ficuier. Rettili, Pesci e An mali articolati. 54 411, Pesca dell’Aringa. Fig. arr MA RO na enni Midi VARA ea hu ne dai la / a Nuts , ii è peppe Toi I La sii SUI Pesi, ni Pad: e WTF 1a sil sati Mi 3 sy At aan Yr PESCA E COMMERCIO DELL’ARINGA 267 ropa e dell'America. Fu persino segnata la via di cotali eserciti. ‘Credevano di averli visti dividersi in due falangi: una che si accostava alle coste d’Islanda e si allargava sul banco di Terra Nuova, d’onde poi si spandeva nei golfi e nelle baie del conti- nente americano: l’ altra che seguendo una direzione orientale scendeva lungo la Norvegia, e penetrava nel mar Baltico. Colà, facendo il giro delle Orcadi, procedeva fra la Scozia e l'Irlanda, dirigendosi verso il mezzogiorno di quest'isola, si espandeva all’ oriente dell’ Inghilterra; veniva quasi fino alla Spagna, oc- cupando tutte le rive della Francia, della Batavia e della Ger- mania bagnate dall’ Oceano. Le Aringhe viaggiatrici tornavano allora sulla loro via, scomparsendo di bel nuovo per tornare alle loro dimore boreali. i Lacépède non ammette questi grandi e periodici viaggi. Anche Valenciennes è di questa opinione. Il fatto che le Aringhe scompaiono da certe località ove un tempo la pesca era abbon- dantissima; — l’osservazione certa che, accanto a molti dei pretesi luoghi di sosta di questi animali, se ne pescano tutto l’anno; — la scoperta che le Aringhe d’America costituiscono una specie distinta da quella d’ Europa, e quindi che non na- scono nelle stesse acque; — finalmente la mancanza di prova positiva dei loro viaggi regolari nelle alte latitudini: — tutto ciò si oppone all’idea dei grandi viaggi di cui abbiamo descritto l’ itinerario, senza poter togliere però all’Aringa la qualità di pesce migratore, che non le si potrebbe negare. L’Aringa si nutre di piccoli crostacei, di pesci, e anche delle uova della sua specie. Ha per nemici i numerosi abitatori del- l'Oceano. La balena le distrugge a migliaia. Ma sopratutto l’uomo fa loro continua guerra. Pesca e commercio dell’Aringa. — Infatti la pesca dell’Aringa è sorgente di grande prosperità per certe nazioni: forma la ricchezza dell'Olanda. La seta, il caffè, il tè, le droghe, il ta- bacco, che producono un movimento commerciale così prodi- gioso, non si rivolgono che ai bisogni del lusso o del capriccio; invece, sono le necessità della pubblica alimentazione cui s0d- disfa l’Aringa. L'Olanda avrebbe languito e sarebbe in breve scomparsa dal suo artificiale territorio, se il mare non avesse offerto al suo commercio una inesauribile miniera. Quei campi infiniti, l'Olanda li ha sfruttati ardentemente, ed in tal modo ha conquistato la sua esistenza. Ogni anno immense flotte partono dalle spiaggie di quel paese per questa preziosa messe del mare. Pel popolo olandese la pesca delle Aringhe è la più importante 268 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI delle spedizioni navali. La chiama la grande pesca, mentre dice la piccola pesca quella della balena. I luoghi di pesca delle Aringhe sono le miniere d’oro del- l'Olanda. Il commercio dell’Aringa è del resto antichissimo. Lo tro- viamo già fiorente nel secolo dodicesimo; perchè nel 1195, se- condo uno storico, la città di Dunwick, in Inghilterra (pro- vincia di Suffolk), fu obbligata di somministrare al re venti- quattro mila aringhe. La pesca delle aringhe si trova anche menzionata in una cronaca del monastero di Eresham, nel- l'anno 709. Verso il 1030, i Francesi mandarono da Dieppe per questa pesca aléuni bastimenti nel mar del Nord: In Olanda inco- minciò nel secolo decimosecondo, e già dal tredicesimo gli Olandesi impiegavano due mila bastimenti a questo scopo. Gli Inglesi, i Francesi, i Danesi, gli Svedesi ed i Norvegesi, im- presero essi pure questa industria. i I Francesi, i Danesi e gli Svedesi oggi non ne forniscono che pel consumo del loro paese; il monopolio della esportazione all’estero appartiene agli Inglesi, agli Olandesi ed ai Norvegi. « La quantità di aringhe che racco'gono ogni anno i nostri vicini d'oltre Manica, dice Moquin-Tandon, è invero enorme. Solo nel piccolo porto di Yarmouth si allestiscono quattrocento navi di quaranta a settanta ton- nellate, di cui le più grandi hanno dodici uomini d’equipaggio. La ren- dita è di circa 17,500,000 franchi. Nel 1857, tre di questi bastimenti, tutti di un solo proprietario, portarono tre milioni settecento sessantadue mila pesci. « Fin dal principio di questo secolo i pescatori della Scozia hanno cominciato a gareggiare di zelo con quelli dell’ Inghilterra. Nel 1826, le pescherie scozzesi adoperavano già 40,655 barche, 44,695 pescatori e 714,041 salatori. « Nel 1605, il valore delle aringhe esportate dall'Olanda saliva a quasi cinquanta milion; la loro pesca occupava due mila barche e trentasette mila marinai. Tre anni dopo troviamo che le Provincie Unite spedivano tre mila barche in mare; che novemila bastimenti trasportavano le arin- ghe negli altri paesi, e che il commercio di questo prezioso pesce im- piegava circa duecento mila persone. « Bloch riferisce, che al suo tempo gli Olandesi salavano fino a 624 milioni di questi animali. Secondo un modo proverbiale dei Paesi Bassi, Amsterdam è fondata sulle teste delle aringhe. « Sebbene oggi sia attivissima, la pesca olandese è ben lungi dallo splendore che aveva due secoli fa. Nel 1858 ha impiegato novantacinque bastimenti; nel 1859 novantasette, e nel 1860 novantadue. Nel 18538, l'Olanda ha importato sessantasei mila e novecento quaran'ta tonnellate PESCA E COMMERCIO DELL’ARINGA 269 di mille individui cadauna; nel 1859, ventitrè mila cento novantotto, e nel 1860 ventisette mila duecento trenta. In quest’ultimo anno, la pesca ha fruttato 41,191,179 franchi, cioè 12,947 franchi per ogni nave. » La pesca norvegia ha dato nel 1862, nella stagione detta di primavera, 659,000 tonnellate di aringhe, vale a dire 764,440 ettolitri, dai quali bisogna toglier il 25 °/, di consumo interno; rimangono dunque, pel commercio estero, 494,250 tonnellate o 573,880 ettolitri, che rappresentano sul luogo un valore minimo di 8,551,675 franchi, ed uno massimo di 11,274,600 franchi. La piccola città di Haardingen, poco distante da Rotterdam, è oggi il quartier generale della pesca delle Aringhe. Essa sola spedisce un centinaio di bastimenti, la metà cioè di quanto ne impiega oggi l'Olanda. Per la pesca dell’aringa si adoperano bastimenti della portata di sessanta tonnellate. Partono generalmente al mese di giugno e di luglio per le isole Orcadi e Shetland. I pescatori vanno poi a fermarsi nel mar di Germania; nella Manica pescano nel novembre e dicembre. Questi piccoli bastimenti portan fino a sedici uomini. Quando son giunti sui luoghi di pesca, gettano le reti (fig. 114). Le reti degli Olandesi son lunghe cinquecento piedi; e com- poste di cinquanta o sessanta pezzi, in parti distinte. La parte superiore di queste reti è sostenuta da barili vuoti, o da gal- leggianti di sughero; e la parte inferiore da pietre o altri corpi pesanti collocati ad una conveniente profondità. La grandezza delle maglie delle reti è tale, che l’ Aringa vi sta impigliata per le branchie e le natatoie pettorali quando vi sì impegna il capo. Queste reti vengono gettate nei luoghi ove la presenza delle aringhe è indicata dalla abbondanza degli uccelli di acqua, degli squali e degli altri nemici di questi pesci. La loro presenza si tradisce pure per una materia” grassa che galleggia sull'acqua, e che di notte è fosforescente; per modo che le disgraziate Aringhe sembrano da loro stesse chia- mare il pe:catore. Questa pesca si fa sopratutto di notte. Quando le reti sono nell’acqua, i battelli son lasciati in balia del mare per la notte. Ogni barca è fornita di un fanale, tanto per evitare gli urti che per attrarre il pesce. Quando parecchie migliaia di battelli sol- cano il mare ad un tempo, tutte queste luci che si muovono e s’ intrecciano nell’ oscurità, sulla superficie mossa delle onde, producono un effetto singolare. 270 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Quando si crede che la rete sia sufficientemente carica, ciò che segue in spazi di tempo molto variabili, e sovente brevis- simi, — perchè Valenciennes vide prendere 110,000 Aringhe in meno di due ore, — si tiran su le reti. Se la forza degli uo- mini basta, si tirano a braccia; ‘ma per lo più si adopera l’argano. Alcuni uomini fanno salire la rete bene aperta, e staccano i barili che la fanno galleggiare; altri tolgono dalle maglie il pesce, ed altri ancora ripiegano la rete e la ripon- gono nel boccaporto ove deve stare. Intere popolazioni prendono parte a questa pesca. Dai più rimoti lidi della Norvegia fino alla piccola baia di Normandia, partono innumerevoli squadre di bastimenti leggeri, montati da pescatori norvegi, svedesi, russi, danesi, olandesi, inglesi, fran- cesi, vogliosi di prendere la lor parte d’un bottino sicuro; men- tre vere flotte meno numerose, ma composte di navi di forte stazzatura, si. avanzano fino alle Shetland e nei mari d’)- slanda. Quando le Aringhe sono in via, il loro numero è sì prodi- gioso, le loro colonne sì stipate, che si accerta che una picca piantata su certi banchi si terrebbe diritta. Con una sola gittata di rete si presero perfino 50,000 Aringhe. Dei pescatori di Dunkerque, di Calais, di Dieppe, di Boulogne, ne presero fin 38,000 in una sola notte. Si videro grosse cor- vette da pesca vicine a sommergersi sotto il peso di questi pesci impigliati nelle maglie, recidere le gomene, e non dovere la loro salvezza che all'abbandono delle reti. Non ci riman altro a dire se non che oggi è stato applicato il telegrafo elettrico in Norvegia per questa pesca, onde avvi- sare gli abitanti della costa del prossimo arrivo delle falangi di Aringhe. In tal modo, degli umili pescatori possono trarre un profitto diretto da questa meravigliosa invenzione moderna, ed è certo la prima volta che si è pensato ad agevolare le ope- razioni della pesca coll’applicazione della ‘elettricità. Negli stretti bracci del mare, detti fiordi, della Norvegia, ove la pesca. delle aringhe è il principal mezzo di esistenza di in- tere popolazioni, capita sovente che i banchi di pesci si pre- sentano ad un momento al tutto inaspettato, ed in certi punti della costa ove talora non si trovano più di una o due barche peschereccie. Prima che le barche dei golfi e dei fiordi vicini siano state chiamate per venire a partecipare al bottino, le Aringhe hanno già deposto le loro uova e sono tornate in alto mare. Per impedire questi inconvenienti, che si ripetono spesso, e PESCA E COMMERCIO DELLE ARINGHE 20 (8 le perdite che ne derivano pei pescatori, il governo della Nor- vegia ha collocato nel 1857 sopra una distesa di 200 chilometri lungo la costa frequentata dai banéhi di Aringhe una fune sot- tomarina, con stazioni a terra, collocate ad intervalli abbastanza vicini e che comunicano coi villaggi abitati dai pescatori. Ap- pena si scorge al largo un banco di Aringhe (e ciò si può sem- pre riconoscere a una certa distanza pel sollevarsi delle onde), sì spedisce un telegramma lungo la costa, per far sapere ad ogni villaggio il golfo nel quale sono entrate le Aringhe. La pesca delle Aringhe non ha sempre presentato 1’ impor- ‘tanza straordinaria che ha ai nostri tempi. Sono pochi secoli dacchè questa industria si è in tal modo diramata. Questa ra- pida e prodigiosa estensione dipende dalla scoperta che fece un semplice pescatore olandese, Giorgio Beukel, morto nel 1397. A quest'uomo l'Olanda va debitrice di tuttele suc ricchezze. Giorgio Beukel scoperse l’arte di preparare l’aringa per modo da render sicura la sua indefinita conservazione. Da quel tempo, il com- mercio delle aringhe assunse proporzioni inaudite, e 1’ Olanda si arricchì in modo incredibile. Centocinquant’ anni dopo la morte di Beukel, 1 imperatore Carlo V per rendere onore alla sua memoria mangiò solenne- mente sulla sua tomba un’aringa. Era un lieve omaggio pei benefizi che aveva procurato al suo paese l’inventore di quella nuova industria. È Ecco in che consiste la preparazione delle Aringhe. Si co- mincia dal salare le Aringhe a bordo dei bastimenti; poi si tor- nano a maneggiare e si salano nuovamente. Allora si mettono a strati dentro i barili. Chiamansi Aringhe affumicate quelle che furono collocate sopra strati di sale, infilate in bacchette e sospese nella cappa del camino, ove si affumicano lentamente. Le migliori e più rinomate sono le Aringhe di Yarmouth così preparate. Le varie località ove si fanno le pesche di aringhe, e lo stato in cui si prende questo pesce, hanno fatto variare mol- tissimo i nomi coi quali vengono indicate nel commercio. Si dicono Aringhe piene quelle che non hanno peranco deposto le uova; poi vi sono le Aringhe che hanno dato da un pezzo le uova ed i /atti (Harengs gais); poi quelle che stanno facendo le uova (Zarengs boussards); poi vi sono le salate e bianche (Za- rengs pecs), e quelle svuotate e conservate nei barili (Zarengs caques, dal nome dei barili, caques). Questi ultimi prodotti ven- gono in generale dalle grandi pesche che si fanno nei mari del Nord, fin verso le Orcadi. pf? ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Salacche. — Le Salacche*, che hanno il corpo un po’ più alto di quello delle aringhe, se ne distinguono per la disposizione dei denti (fig. 115). Se ne conoscono oltre a venti specie più o meno grandi che abitano i mari delle coste dell’ Europa, d’ Africa, delle Indie e dell'America. Il loro tipo è la Salacca comune, che vive in tutti i mari delle coste europee. In generale ha una tinta argentina col dorso verdastro, e una o due macchie nere dietro alle branchie. La Salacca sta volentieri presso alle spiaggie, e per solito risale in primavera il corso dei grandi fiumi, ove va a deporre e === \ NE (- = skptis AE ECT LUI, ET] juin ni Lu | vi III DN Fig. 115. Salacca. le. uova, come il Reno, la Senna, la Garonna, il Volga, l’Elba, il Tevere. Diviene molto grossa, ed acquista un peso di due a tre chilogrammi. Le Salacche prese nel mare son meno buone di quelle che si pescano nelle acque dolci. S'ignorano quasi le abitudini di questo pesce. Sardelle. — Una sorta di aringa ben nota è la Sardella 0 Sardina. Dimora sopratutto nei nostri mari europei. Si pesca per lo più sulla costa occidentale dell’ Inghilterra, sulle coste della Bretagna, ove è abbondantissima, e nel Mediterraneo, nel contorno della Sardegna. Anzi deve il suo nome a questa ori- gine (dal vocabolo latino Sardinia). ! Fr., Alose. SARDELLE 273 Al tempo delle uova le Sardelle si accostano verso le sponde in branchi numerosi, e si pescano in copia straordinaria nel Mediterraneo. Le Sardelle, come le aringhe, nuotano in sciami assai fitti, amano molto ia luce, e quindi i pescatori approfittano di questa loro inclinazione nel modo seguente. Accendono delle fiaccole nelle lora barchetta in tempo di notte, le Sardelle accorrono in furia e si precipitano nelle reti. — In Bretagna la pesca suol cominciare nel mese di luglio e finisce nel settembre. Si adopera per pescare la Sardella una rete a maglie piccole, e di un solo pezzo, che galleggia verticalmente fra due acque, facendo curve, ad una certa distanza dalla sponda. Uno dei capi della rete è attaccato a un piuolo piantato presso al bordo, Fig. 116. Sardella. l’altro è attaccato ad una barchetta, che va in balia del vento e del mare. In Bretagna si adoperano, per questa pesca, anche le reti galleggianti. Gli Inglesi adoperano una grande razzuola, che tre o quattro barchette fanno andare contro corrente. I Baschi adoperano ‘una rete a foggia di sacco con anelli di corno. Sulle coste della Bretagna si pesca la Sardella con barche che contengono ognuna cinque uomini. Talora si veggono mille barchette che pescano tutte in una volta lungi tre o quattro. leghe dalla costa. Non si tirano le reti che quando son cariche, di una quantità enorme di pesci, che si dispongono a strati entro ceste di vimini. Ogni barca ritorna per solito in porto. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 35 274 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI con un carico di 25,000 sardelle. Questa pesca, che dura cinque o sei mesi, produce 600 milioni di Sardelle. Ma la più singolare pesca delle Sardelle è quella che si pra- tica fra Cette ed Agde (Hérault). I pescatori gettano larghe e sterminate reti, che vengon poi a tirare sulle spiaggie cariche di una quantità immensa di pesci. Le Sardelle si conservano in varii modi. Si salano, si mettono entro barili con una salamoia mista ad ocra rossa polverizzata; si mettono anche ad affumicare come le aringhe; finalmente sì conservano nell’olio o nel burro fuso. Acciughe. — Il genere Acciuga comprende l’ Acciuga volgare, tanto ricercata pel sapore che comunica, quando è salata, ai nostri varii alimenti. È un pesciolino lungo appena dodici o quindici centimetri. Vivo, è color verde sul dorso ed argentino sotto l'addome; dopo morto, diviene di un turchino nerastro. La pesca dell’Acciuga, che dà tanto profitto, si fa sulle coste del Mediterraneo, specialmente in Sicilia, all’ isola d’ Elba, in Corsica, ad Antibo, a Fréjus, a Saint-Tropez, a Cannes, ecc.; e si fa d’ordinario nell'inverno o nei mesi di maggio, giugno e luglio, tempo in cui passano a frotte lo stretto di Gibilterra per venire nel Mediterraneo. — Si prendono facilmente, stante la loro straordinaria quantità! e coll’ accendere di notte alla poppa del battello un piccolo fanale, intorno a cui le Acciughe abbagliate si gettano da per sè stesse nelle reti-.che loro son tese. — Se ne pescano anche molte sulle coste della Dalmazia e nei dintorni di Ragusa. Le Acciughe si mangiano fresche sul luogo, ovvero si spe- discono in commercio; ma non si possono conservare durante un lungo tragitto se non dopo essere state salate. Per ciò fare sì comincia a metterle in una forte salamoia; poi si toglie loro la testa e gli intestini, e si mettono a strati nei barili o entro scatole di latta, alternando uno strato di sale e uno di pesci; poi dopo alcuni giorni si chiudono i vasi e si spediscono. Le Acciughe preparate sulle coste della Provenza, erano in 1 Per formarsi un’idea dello straordinario numero degli eserciti di ac- ciughe che dallo stretto di Gibilterra penetrano nel Mediterraneo basti il seguente fatto: Nel dicembre 1859 un banco di acciughe inseguite dai tonni e dai delfini, insinuatosi ne! seno di Balaklava (Mar Nero), vi peri vittima del suo stesso sterminato numero. Ogni traccia di vita si can- cellò in quel seno per effetto della putrefazione; ed il fondo marino vi è ivi coperto da uno strato di adipocera. (Nota del Trad.) ESOCI., LUCCI 279 addietro portate alla fiera di Beaucaire, donde si spedivano nell’interno della Francia e nel resto d’Europa. Oggi i salatori di Acciughe di Marsiglia e degli altri porti provenzali spedi- scono direttamente i loro prodotti ai varii mercati di Europa. Gli Inglesi fanno gran consumo di salsa di Acciughe. Anche gli antichi conoscevano il modo di preparare questo pesce; poichè è noto che colle Acciughe stemperate nella loro salamoia, si preparava il garum, salsa tanto stimata alle sontuose tavole dei Luculli romani e greci. Esoci. — In questa famiglia non faremo menzione che dei Lucci, degli Stomia, e degli Esoceti. Lucci. — Il genere Luccio* ha per caratteri principali, se- condo il signor E. Blanchard, corpo allungato, col dorso arro- tondato, coperto di squame di mezzana grandezza; capo largo e piatto; bocca molto larga, col palato irto di numerosissimi denti; mascella inferiore munita di grossissimi e radi denti; e la natatoia dorsale collocata molto all’indietro. Questo genere non ha in Europa per rappresentante che una sola specie, il Zuecio comune. Questo pesce ha il corpo lungo, alto verso la natatoia cau- dale quasi quanto verso la parte anteriore. Il capo, molto ap- piattito, si allunga in un muso a mo'di spatola. La bocca enorme è aperta fino agli occhi. La mascella inferiore è più lunga della superiore. Le fauci del luccio sono un arsenale ben formidabile. Denti fortissimi frammisti ad altri più piccoli guarniscono le ossa intermascellari ed il palato; alcuni denti a spazzola o a pettine ricoprono l’osso vomere e la lingua; certi grandi uncini conici, disuguali e ricurvi all’indietro, si osservano sulla mascella inferiore. Le squame dell'animale sono piccole ed in parte nascoste dalla pelle. E d’un color verde grigiastro, col dorso più scuro, i fianchi giallastri, il ventre bianchiccio, punteggiato di nero. Inoltre, i fianchi son segnati di fasce trasversali irregolari di un verde oliva. Il Luccio si trova negli stagni, nei fiumi, nei torrenti, e nei laghi. È particolarmente abbondante nella Scandinavia, nella Russia, nella Siberia, è comune nell’Europa centrale, e si trova meno frequente nell'Europa meridionale ?. i Lat., Esox; fr., Brochet; ingl., Pike; ted., Hecht. 2 Da noi, in Lombardia, questo pesce è sparso in tutte, le acque, e puossi a buon diritto chiamare il lupo dei fiumi. (Nota del Trad.) 276 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Il Luccio è il pescecane delle acque dolci. Non solo distrugge gran copia di pesci di fiume, ma aggredisce anche quelli della sua specie, e divora perfino piccoli mammiferi, uccelli acqua- tici e rettili. Boulker narra, nella sua Arte di pescare coll’ amo, che suo padre avendo preso un Luccio di trentacinque libbre, lo diede a Lord Cholmondeley. Fu quello un funesto regalo, perchè Lord Cholmondeley avendo messo quel luccio nel suo vivaio ove era molto pesce, si accorse in capo ad un anno che esso aveva divorato tutti i pesci. Non rimaneva più che una carpa di nove a dieci libbre, la quale era stata pure gra- vemente ferita. Si è veduto spesso un Luccio ghermire e tirar sott'acqua le anitre ed altri uccelli acquatici. Alcuni cacciatori che avevano ucciso delle cornacchie e che le avevano gettate nell'acqua, videro un Luccio impadronirsene sotto i loro occhi. Si è veduto un Luccio rimaner soffocato per aver voluto in- ghiottire un individuo della sua specie, che era troppo grosso per farne un solo boccone. Un altro, chiuso nel canale di lord Grower a Trenton, ghermì la testa di un cigno, mentre quest’ uccello la tuffava nell’ a- cqua, in cerca della preda. Il pesce stringeva tanto forte il col'o dell’uccello che voleva inghiottire ad ogni costo, che morirono’ entrambi per le ferite che si fecero scambievolmente. Walton riferisce che uno dei suoi amici vide un giorno un Luccio affamato battersi con una lontra. Questa aveva abboccato una carpa e stava per cibarsene, quando un Luccio che ne aveva voglia esso pure e stava in agguato nel contorno, furioso di vedersi sfuggire la preda involatagli da un altro abitatore del regno acquatico, si slanciò contro il muso della lontra, e volle strapparle la sua vittima. Da ciò, una lotta. Ma il Luccio non uscì con onore da quel duello, invero singolare! Per quanto ingordo, il Luccio ha però delle preferenze e delle antipatie, che derivano dall’ esperienza o dall’istinto. Si allontana con certo ribrezzo dalla tinca spalmata di un liquido vischioso e non prende una perca se non stretto dalla ne- cessità. E anche la tiene fra le sue mascelle trasversalmente finchè sia morta, e toglie poi con cura le spine pungenti che la perca ha sul dorso, e la mangia, ma sempre con ripugnanza e solo spinto dalla fame. Detesta gli spinarelli ancor più che la perca, perchè da gio- vine l’esperienza gli ha dimostrato i mali che possono cagio- LUCCI TT nargli. Quando un Luccio, giovane ed inesperto, va incontro colle fauci aperte al saltellante spinarello, questo, comprende il pericolo che lo minaccia, si prepara, se non ad una impos- sibile difesa, almeno alla vendetta. Arriccia le piccole lancette di cui è armato il suo dorso, e infigge la punta di quelle lan- cette nella gola dell’ aggressore, ciò che gli cagiona? terribili malattie. L'uomo teme, con ragione, le ferite di questo feroce abitatore delle acque dolci. Fig. 117. Luccio. Si narrano molti casi di gravi ferite fatte da un Luccio alle mani o alle gambe di persone che camminavano nell’ acqua, o stavano lavando la biancheria. Le tante sue armi, la forza dei suoi muscoli e la sua mole, rendono formidabile questo pesce. , Si pescano sovente Lucci del peso di trenta libbre, e talora anche di quaranta o cinquanta libbre. Spesso nelle acque della Norvegia, della Svezia e della Siberia, se ne pescano taluni lunghi fino ad un metro e mezzo. 278 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Si attribuisce a questo pesce una lunghissima esistenza, ma non v'ha certezza a questo riguardo. Il celebre naturalista del secolo decimosesto, Corrado Gesner, nella sua Storia degli ani- mali, parla di un Luccio del lago di Kayserweg, che contava duecento sessanta sette anni. Secondo ciò che narra Gesner, si era potuto fare questo calcolo per l’anello che portava quell’a- nimale, ove trovavasi incisa una inscrizione, in lingua greca, che diceva a un dipresso così: Zo sono il pesce che pel primo fui messo în questo lago, dalle mani del padrone dell’ universo Fede- rico II, il 5 ottobre 4230. Il signor Blanchard si mostra molto incredulo intorno a questa storia. Il Luccio cresce rapidamente; e questo accrescimento è in rapporto coll’abbondanza del nutrimento. Si calcola che questo pesce consuma, in una settimana, due volte il suo peso di alimenti. Fatto strano! Questo brigante delle acque dolci sembra mo- strare maggiore intelligenza degli altri pesci, ed anche pare suscettivo di un certo sentimento. L’ aneddoto che stiamo per riferire è citato in una memoria letta nel 1850 dal dottor War- wick, alla Società letteraria e filosofica di Liverpool. « Quando io abitava a Durham, una sera passeggiavo nel parco ap- partenente al conte di Stamenford, e mi diressi verso una vasca ove si teneva per un certo tempo il pesce che doveva comparire sulle mense. Un bel Luceio grosso circa sei libbre fermò la mia attenzione, ma veden- dosi da me osservato fuggi come una freccia in mezzo alle acque. « Nella sua fuga urtò col capo contro il gancio di un palo. Seppi in seguito che si era fratturato il cranio e ferito da un lato il nervo ottico. L'animale diede segni di acutissimo dolore ; si slanciò in fondo all'acqua immergendo il capo nel fango e girando tanto celeremente, che per un momento lo perdetti di vista; poi si tuffò qua e là nella vasca, finchè si slanciò al tutto fuori dell’acqua sulla sponda. Lo presi, ed esaminatolo mi accorsi che una piccolissima parte del cervello sporgeva dalla ferita del cranio. « Feci ben rientrare la parte di cervello lesa, e con un piccolo stuz- ziccadenti di argento rialzai le parli rotte del cranio. « Durante l'operazione il pesce rimase tranquillo, poi d’un salto tornò a tuffarsi nella vasca; ma dopo alcuni minuti riprese a saltare qua e là finchè si slanciò di nuovo fuori dell’acqua. Continuò quel maneggio parecchie volte. Chiamai il custode, ed aiutato da esso posi un ben- daggio sulla ferita del pesce; dopo ciò lo rigettammo nella vasca lascian- dolo al suo destino. « L'indomani mattina, appena fui sulla sponda della vasca, il Luccio mi venne incontro, proprio accanto al margine, e mi pose il suo capo sui piedi. Trovai questo fatto molto strano; ma senza badarvi troppo LUCCI 279 presi ad esaminare il cranio del pesce e riconobbi che andava bene. Passeggiai intorno alla vasca per un certo tempo. Il pesce non cessò di nuotare tenendomi dietro, girando quando io girava, ma siccome era rimasto cieco dal lato della ferita, pareva sempre inquieto allorchè l’oc- chio perduto era in faccia alla sponda sulla quale io mutava la direzione dei miei passi. « Il giorno seguente condussi meco alcuni miei giovani amici a vedere quel pesce; il Luccio mi venne incontro come al solito. Man mano si fece così docile, che accorreva appena lo chiamavo con un fischio, e mangiava nella mia mano. Invece colle altre persone rimase sempre ombroso e selvaggio come era prima. » Questo racconto è stato riferito parecchie volte; nondimeno noi ne lasciamo tutta la responsabilità al dottor Warwick. Fig. 118. Sparviero, rete per la pesca. La carne dei Lucci è assai saporita. In molti paesi si salano dopo esser stati aperti, ripuliti e tagliati a pezzi. Sulle sponde del Jaik e del Volga, in Russia, si seccano 0 si affumicano, dopo averli lasciati tre giorni nella salamoia. In alcuni luoghi, specialmente in Russia ed in Germania, si fa caviale colle loro uova. Per pescare il Luccio, si adoperano il tridente o fiocina, la lenza, lo sferone, la rete a gola, la nassa, e lo sparviero. Abbiamo parlato precedentemente della struttura dei princi- pali congegni di pesca; ma non abbiamo detto nulla dello spar- viero. Ripareremo qui a questa omissione. Lo sparviero (fig. 118) è una vasta rete a foggia di berretta conica, con maglie più o meno larghe, secondo che si voglia prendere pesce grosso o piccolo, di cui il margine esterno mu- 280 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI nito di una fila di pezzi di piombo che fa immergere subito l'apparecchio, copre una superficie circolare di circa trenta metri quadrati. Questa rete si getta, a un momento dato, alla superficie del- l’acqua; perchè scenda quindi rapidamente in fondo, onde prendere i pesci che si trovano sotto il suo perimetro. IN 1/CCO%. Fig. 419. Pescatore che si prepara a slanciare lo sparviero. Ci vogliono molte qualità per lanciar bene lo sparviero (fig. 119): ci vuol forza, destrezza ed abitudine. Stomia. — Gli Stomia (fig. 120) sono pesci dal corpo allun- gatissimo, di cui finora non si conoscono che due specie, l’una del Mediterraneo ', l’altra dell'Oceano Atlantico. Lo Stomias boa ! In [talia questo pesce, appunto per la singolare forma del suo corpo, vien chiamato Vipera di mare, ed anche in qualche parte Pesce diavolo. (Nota del Trad.) ESOCETO 281 del Mediterraneo ha il corpo stretto, compresso, coperto di scaglie piccole e sottili, di un turchino nerastro, molto scuro Fig. 120. Stomia. sul dorso e sul ventre, più chiaro sui fianchi. La testa ram- menta quella di un serpe. Fig. 121. Esoceto, o Pesce volante. Esoceto. — Nell’Esoceto (fig. 121) le natatoie sono trasformate in ali, ciò che gli fece dare il nome di pesce volante. Infatti, può 36 Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 282 ORDINE DEI MAL&COTTERIGI ADDOMINALI innalzarsi. per alcuni secondi sopra le acque, ma il suo volo non è lungo, perchè quelle ali son meglio paracadute che non ali. Salta fuori dell’ acqua quasi sempre per trastullarsi, per passare da un elemento all’ altro, ma altre volte per sfuggire ai pesci voraci che lo inseguono: Se non che qui un altro pericolo lo aspetta. Nell’aria divien preda degli uccelli rapaci che sfio- rano la superficie dell’ Oceano, e che stanno in agguato per ghermire quella preda alata, che per sua disgrazia è uscita dal suo naturale elemento. La specie più comune di questo genere è il Barbastello. La sua bella colorazione lo fa punto di mira ai suoi nemici, ed è indifeso contro di essi. Uno splendore argentino brilla su tutta la sua superficie; l’apice del capo, il dorso ed i fianchi sono di un bell’ azzurro; questo colore divien più scuro sulla natatoia dorsale, sulla pettorale e sulla coda. { pesci carnivori e gli uccelli rapaci vanno a gara per inse- guirlo nell’aria e nell'acqua; questo povero pesce non può evi- tare la Cariddi dell’ acqua senza cadere nella Scilla dell’ aria ! Parlando meno mitologicamente, cade dai denti del pescecane nel becco dell’alcione. Povero Barbastello ! la natura ti fa pagare ben caro il doppio dono che ti ha concesso; ti toglie con una mano ciò che ti ha dato coll’altra! Ciprini. — In questa famiglia si contiene la folla, la turba dei nostri pesci d’acqua dolce. Ecco quali sono definiti dal signor Blanchard i caratteri dei ciprini. Essi hanno tutte le parti della bocca sfornite di denti, mentre le ossa faringee ne son sempre provviste. Il margine della mascella superiore è fatto dalle ossa intermascellari ; hanno una sola natatoia dorsale; le natatoie ventrali sono at- taccate dietro alle pettorali; il corpo squamoso, e la membrana branchiostega con tre raggi appiattiti. In queste famiglie passeremo in rivista i*Cobiti, i Gobioni, i Barbi, le Tinche, i Ciprinopsi, le Abramidi, le Argentine , i Leucisci, le Mozzelle, le Lasche, i Frugaroli. Cobiti. — I Cobiti hanno il corpo allungato, con piccolissime scaglie; le labbra carnose ornate di cirri, i denti faringei nu- merosi, le branchie poco aperte. Sembra che in questi pesci la respirazione branchiale non sia sufficiente; il canale intestinale deve a ciò supplire. Vengono alla superficie dell’acqua, ingoiano COBITI, GOBIONI 2883 alcune boccate d’aria, e quest’'aria esce dal tubo intestinale, in istato di acido carbonico. i Il Cobite ' (fig. 122), che nei dintorni di Parigi chiamasi Barbotte, e un pesciolino lungo da otto a dieci centimetri, comunissimo nei ruscelli, negli stagni, nei piccoli fiumi, e nei laghi ove vivono piante d’acqua. Il Cobite si rintana per lo più tra le pietre, e vive d’insetti, di vermetti e di molluschi, che attira mercè i suoi cirri. Il suo corpo è lungo, grosso, e quasi cilindrico. La sua pelle è molle, vischiosa, grigiastra e marmoreggiata di macchie brune irre- golari; la bocca è munita di sei cirri. Siccome ha molta vi- vacità di movimenti, e le sue scaglie sono brillanti e ben macchiate, molte persone lo allevano entro una boccia. Si com- piacciono di vederlo salire alla superficie dell’acqua quando sta per scoppiare un uragano. E esso un barometro natante. Del resto la sua carne è assai pregiata. In certi paesi si in- grassano i Cobiti allevandoli in vivai, ove si nutrono di sangue rappreso degli animali macellati. Il Cobite di fiume, meno comune del precedente, ha una forma lunga e piatta. Ha bei colori ed è graziosamente sereziato; i suoi movimenti sono vivacissimi. Si pesca nella Senna, nella Mosa, nella Meurthe, nella Mosella e nei suoi affluenti; ma la carne è coriacea, e spiacevole per le sue finissime spine. Il Cobite di stagno, che s'incontra in Alsazia, in Lorena ed in Germania, può venir lungo da m. 0,20 a m. 0,35 ?. Gobioni. — I Gobioni si distinguono sopratutto per le loro natatoie, dorsale e anale, tronche; pei cirri in numero di due, attaccati alla base della mascella inferiore; pel loro largo capo, per le grandi scaglie, pei denti faringei conici, ricurvi e disposti su due file. Questo genere non è rappresentato in Francia, dove è noto sotto il nome di Goujon, che da una sola specie, il Gobione di fiume (fig. 123). 1 Fr., Loche. 2 Cob:te è il nome che si dà alle specie straniere di questo genere. In Lombardia è comune un suo fratello chiamato Aranthopsis che si trova nel Benaco, nei fiumi; ma più di tutto nei fossati e nelle acque pantanose che derivano dalle città. È un pesce pochissimo pregiato, volgarmente conosciuto col nome di Usellina, e serve di cibo al popolo. Nelle nostre acque se ne distinguono due specie, che però sul mercato vanno confuse. (Nota del Trad.) 284 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Il Gobione è tanto conosciuto che torna inutile descriverlo. Questo pesciolino ama in special modo le acque correnti, chiare, W/5I}I EZ4ZI N, == RG UM \INZES $$ RN S Ò Ni INI I MIRA L\ MI za SÒ NYA % Fig. 122. Cobite. poco profonde, che scorrono sopra un fondo sabbioso. Vive anche nei laghi e negli stagni; ma li abbandona in primavera Fig. 125. Gobione di fiume. per risalire i fiumi, Ciò si osserva particolarmente nei laghi di Ginevra e del Bourget, presso Aix in Savoia !. ! Si trova anche in Piemonte ed in Lombardia, dove è conosciuto sotto il nome di Bertone e di Pesce bianco. (Nota del Trad.) e GOBIONI 285 Il Gobione è socievolissimo. Va in branchi tutto l’anno, si nutre di vermi e di piccoli molluschi, che cerca sotto i ciotto- lini. Si riproduce con sommaagevolezza. Quindi in certi fiumi e abbondantissimo. Il signor Carbonnier ha fatto il calcolo che trenta pescatori collo sparviero potevano prendere ogni anno == Fig, 124. Scacchiera. nella Senna, a Parigi, fra i ponti di Bercy e di Passy circa un milione d’individui. In certe località dell’ Inghilterra, se ne prende una quantità tale che se ne dà da mangiare ai maiali. Thompson narra che in una cascata di un mulino sul Lagan, in Irlanda, i Gobioni si trovavano in sì grandi masse, che il cane del mugnaio ne faceva baldoria. Fig. 425. Caraffa pei gobioni. È forse necessario fermarci qui a parlare della passione spesso fortunata che ha il pescatore parigino pel Gobione, e della ri- nomanza di questo pesce pel suo sapore tanto particolare? Questo innocente abitatore delle acque dolci si lascia prendere con molto buon garbo, e in tal modo induce moltissime brave per- 286 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI sone, che forse non ci avrebbero pensato, a perdono una canna in mano per olfrirgli un’esca. i « Un giorno, dice il dottor Jonathan Franklin, avevo preso colla lenza un gobione che mi parve un po' ferito; gli resi la libertà. Torno a get- tar l'amo, tiro su e vedo lo stesso pesciolino, il quale, malgrado una prima lezione, non aveva potuto resistere alla tentazione di mordere al- l'esca. Il tempo era bello, ed io mi sentiva in vena di clemenza: rigettai nell'acqua per la seconda volta il pesce. Dopo un quarto d’ ora circa, sento mordere per la terza volta, e trovo attaccato per la terza volta il mio incorreggibile convitato. Pensai allora che gli stava a cuore di esser preso, ipse capi voluit, e lo misi nell'acquario, ove mori in conseguenza delle sue ferite. » Quest’ avventura non fa un grande elogio dell’ intelligenza di quest’animaletto. Per pescare i Gobioni ssi adopera una rete a maglie strette che si chiama scacchiera (fig. 1424). Si prende una barchetta e sì va a postarsi sopra un banco di fina sabbia. Quando la rete è collocata e stesa sul fondo, il pescatore, con una pertica che termina in una specie di tappo fatto di cuoio o di panni, ed è posta in mezzo alla rete, agita e smuove la sabbia onde in- torbidare l’acqua e farvi come una nuvola. I pesciolini credendo di venire nell’acqua torbida per far preda di animalucci, accor- rono e rimangon presi essi stessi quando si tira la rete. Questa pesca si suol dire col pestello perchè il pescatore agita la punta della rete nella sabbia, come quando si pesta in un mortaio. Si prendono anche i Gobioni ed altri pesciolini minuti con una specie di congegno di vetro, che si vede nelle vetrine di molti mercanti di oggetti di pesca, e di cui diamo qui il disegno (fig. 125). È una caraffa che può contenere da quattro a cinque litri: il fondo è conico e forato all’ apice. Si mette in questa caraffa una manciata di arena, e due o tre manciate di crusca; sì chiude con un turacciolo sparso di forellini, e si mette questo arnese col collo in avanti sopra un fondo di sabbia, ri- coperto di otto o dieci centimetri d’acqua. Dalla caraffa esce un fil d'acqua stemperato nella crusca che gli dà un aspetto di latte, e così attrae nel vaso i pesciolini che possono bensì en- trarvi, ma non uscirne, per le asperità taglienti contro le quali urtano quando cercano di varcare all’ indietro lo stretto canale pel quale testè sono passati tanto agevolmente. Questo è un trionfo da pescatore infingardo. Il Bonaparte, nella sua Iconografia della fauna italica, dopo aver detto che gli antichi naturalisti greci e latini non favel- larono in alcun modo di questo pesce, soggiunge: GOBIONI, BARBIO 287 ‘« Ausonio sembra sia stato il primo a farne parola applicandogli il nome di Gobio, siccome per questi versi si rende palese Tu quoque flumineas inter memorandas cohortes Gobio, non maior geminis sine pollice palmis; Praepinguis, teres, ovipara congestior alvo, Properique jubas imitatus Gobio Barbi.... « La carne dei Gobioni è bianca, di buon sapore e facile a ‘digerirsi; onde s’apprestano graditi alle dilicate mense, e alle persone di lassa ed infermiccia costituzione. Pasconsi d’ insetti acquatici, di vermi, di uova, di avanzi di corpi organizzati. Amano l’acqua pura, siccome quella che scorre placidamente sopra un letto sabbionoso, e non inquinata per mi- stura di sostanze straniere. Si mostran pure propendentissimi ad una vita tranquilla, perchè sul cominciare d’autunno soglion ritirarsi dentro quei laghi cui non sconvolge la tempesta, e al primo tepore di primavera ritornano al fiume, ove depongono le uova nei luoghi più solinghi ed ombrosi. La durata dei loro amori è di circa un- mese; moltipli- cano copiosamente, e comechè del continuo sieno pasto agli uccelli e ad altri pesci, ve ne ha nondimeno assai abbondanza.» Amano il conversar compagnevole, e trovansi congregati a grandi torme..Il numero delle femmine avanza di cinque o sei volte quello dei maschi 1. » Barbio. — Il genere Barbio, Barbo o Balbio, comprende i pesci dal corpo allungato, colla bocca posta al disotto, . con quattro cirri alla mascella superiore, le natatoie dorsale ed anale corte, la prima munita alla base di. un raggio osseo. I denti faringei che terminano ad uncino son disposti da ogni lato in tre serie. In Francia v’ ha due specie di barbi, il Barbio comune ed il meridionale. Il Barbio ® comune (fig. 126) ha il corpo lungo, stretto, as- sottigliato e rimpicciolito verso l’estremità, e meravigliosamente acconcio per un rapido nuoto. Il dorso ed.il. capo sono di un grigio olivastro o azzurrognolo a riflessi metallici. Il ventre è di un bianco madreperlaceo. Le gote sono spesso dorate splendida- mente. I lati dei capo e gli opercoli sono finamente punteggiati di nero. Alcune macchie brune irregolari figurano sui tiinchi, lungo tutto il corpo. Le natatoie son macchiate di bruno; le scaglie, assai piccole. Il capo è affilato, gli occhi di un giallo dorato pallido. Il labbro superiore della bocca, che s’ apre un po’ sotto, è carnoso, sporgente, e munito di quattro cirri. 1 Abbiamo tolta questa aggiunta, come ne andremo togliendo alcune altre, alla preziosa Iconografia della Fauna italica di Carlo Bonaparte, principe di Canino. (Notu del Trad.) 2 Lat., Barbus; fr., Barbeau; ingl., Barbel; ted., Barbe. 288 * ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINAL Il Barbio trovasi nelle acque dolci della Francia, sopratutto nella Mosa, nella Meurthe e nella Mosella; è comune in In- ghilterra nella Trent e nel Tamigi. Può venir lungo da ses- santa a sessantacinque centimetri, e pesare da quattro a cinque chilogrammi. Nel 1857 se ne prese uno a Parigi, fra il ponte della Concordia e quello d’Alma, che pesava sette chilogrammi e mezzo. Si dice che nel Volga se ne. peschino alcuni del peso di venti a venticinque chilogrammi. È abbondante pure in Germania, nel Reno, nell’Elba, nel Weser, nel Danubio *. In Fig. 126. Barbio. quest’ ultimo fiume, ogni anno se ne raccoglie in certi luoghi durante l’ equinozio di autunno il carico di dieci a dodici carri. Dalla struttura e dalla posizione della bocca si può indovinare che il Barbio cerca il suo nutrimento in fondo all’acqua, mercè ‘ In Lombardia il Balbio è assai comune e segnatamente nelle acque profonde e presso agli scogli: sempre se ne è rinvenuta un’unica specie riferibile al Balbo plebeo Val. — È color verdastro bronzino sul dorso, con macchie irregolari sui lati, colle pinne giallo-ranciate. — È poco pregiato. (Nota del Trad.) === iu! O TI | I I ti IENIIIIT] i INI IRR | ULI Ficuier. Rettili, Pesco e Animali articolati. KIMI WITUITVONIE SARI | i | Î ill Fig. 127. Pesci rossi (Ciprini o Pesci dorati della Cina in un acquario da stanza. "al TUA > NA Or sp | qs visnas o elicpeize quit ici cirie la anita ie i SL BARBIO 291 i suoi cirri. Si nutre di vermi, d’insetti, di molluschi, di sostanze. animali in scomposizione, e di materie vegetali. Finchè son giovani i Barbi vanno insieme ai branchi dei gobioni; dopo, rimangono isolati. Nondimeno, in primavera, quando è giunto il momento di fare le uova, i Barbi si riuniscono in branchi; le femmine si mettono alla testa, dopo vengono i vecchi maschi, e ì giovani formano la retroguardia. Depongono le uova fra i sassi. Si crede che in certe circostanze queste uova possano divenire un alimento nocevole. Si considerano più propizi alla pesca del Barbio i mesi di settembre e ottobre, perchè allora abbandona le correnti per andare in acque più profonde. D’inverno, questi pesci si uni- scono insieme e si nascondono sotto alcuni ripari, ove riman- gono tanto intorpiditi che si possono prendere colle mani. , Si pesca il Barbio colla lenza; ma l’esca deve esser tenuta da un peso di piombo di uno o due ettogrammi, e affondata nell'acqua. L’esca si fa con un grosso lombrico, o un pezzettino di formaggio di Gruyère, talora anche con un pezzo di carne cotta. Ma havvi ancora un’ esca che fa miglior effetto. S’ infilano nell’amo otto o dieci asticots ben grassi, si nasconde l’amo così guarnito entro una palla di terra lardellata pure degli stessi, e grossa come la metà del pugno; si getta la lenza, si UM) e non si sta molto a vedere delle meraviglie! Aggiungiamo ora quel che ne dice il Bonaparte nella Zeono- grafia della fauna italica 1: « I Barbi ricevono presso a poco da per tutto un nome trattto da’cirri carnosi che pendono loro a foggia di barbe dalla mascella superiore. Si pescano nei grandi fiumi, ne’ ruscelli, e in qualche lago eziandio. In quanto all'Europa, abbondano maggiormente nella meridionale; ciò non pertanto anche la Russia ne fornisce in copia, ed il Tamigi ne ha molti, ma gl’Inglesi non li tengono in alcun pregio. Il Bellonio scrisse che quelli del nostro Tevere sono di ottima qualità: Rome Barbi Tiberini plurimum laudantur. Egli però avrà certamente inteso parlare di coloro che venuti dall’Aniene non abbiano oltrepassato i ponti della città, im- perocchè quelli che si pescano al disotto hanno cattivo sapore, per le immondezze e le corrotte sostanze di cui si cibano. I predati entro le chiare e sassose correnti son dilicati e di facile digestione, massime nel settembre e nel maggio; e quanto più invecchiano, come Ausonio can- tava, si fan sempre più buoni. 1 Tom. II. — Questa citazione fu da noi aggiunta per la presente edizione. (Nota del Trad.) 292 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Tu melior primore evo, tibi contigit omni Spirantium ex numero non illaudata senectus. « Le uova loro però, come quelle di parecchi altri pesci, convien fug- gire in alcune stagioni, perchè producono tormenti di basso ventre, fino al punto che alcuni opiparono poter in corpo umano ingenerare il colera. Pasconsi di piante acquatiche, di lumachelle, di piccoli pesci, nè fastidi- scono le carni morte. La situazione della bocca piuttosto inferiore, fa sì che vadano scavando e rivoltando la terra per lo fondo dei fiumi col fine di procacciarsi cibo : ed è pur questa la cagione che altri pesci pa- rassiti li corteggino. Amano di nuotare contro la corrente, di albergare contro le ripe, e ricovrare negli ingrottamenti loro. E siccome il freddo li rende languidi e spossati, essi nell'inverno si radunano e sì tenace- mente si appiattano in qualche cavo o fenditura, che patiscono meglio lo strappamento delle squame che venir tolti allo schermo di questo lor tetto. Se vengano stretti da penuria di cibo sì succiano l’ un l’altro la coda in maniera che i più grossi giungono di frequente a estenuare e distruggere i più piccoli. Sogliono fecondarsi nel terzo o quarto anno di età, e depongono le uova nel cominciar della estate sopra nude pietre, ove l’acqua corre più velocemente. I figliuoli sbucciano dalle uova fra otto o quindici giorni. « Il nostro Barbo del Tevere, che trovasi ancora ne’ vicini fossi e ri- gagnoli, ha il corpo rotondetto, poco attenuato: l’ altezza maggiore è meno di un quarto della lunghezza. Il capo molto acuto discende obli- quo fino all’apice del muso, ed è il quinto di tutto il pesce. La parte assottigliata del tronco è lunga quanto i tre quarti del capo, ed alta i due terzi di sua lunghezza. Il profilo superiore dell'animale è lievemente convesso, l’inferiore, allorchè giunge alla prima anale, tostamente ripiega indietro, e, formato un seno, va risalendo lungo il margine della coda. La bocca non si protrae che fino alla metà della distanza che passa fra l'angolo anteriore dell'occhio e l’apice del muso: le barbette anteriori ripiegate all’indietro oltrepassano sensibilmente l'inserzione delle poste- riori, che tratte all’innanzi sorpassano alquanto la punta del muso. L'oc- chio entra cinque volte nella lunghezza del capo, e distà più di due dia- metri dall’apice del muso; la distanza che corre fra un occhio e l’altro è di un diametro e mezzo. La linea laterale scorre quasi retta. La pinna dorsale sorge nel mezzo tra l'apice del muso e l’origine della coda, s'in- nalza per tre quarti della lunghezza del capo, e si estende per poco più della metà di essa lunghezza. Le pettorali sono ovate, lunghe tre quarti del capo: le ventrali poco più piccole, rotondate. L’anale è un quinto minore del capo; la sua base stendesi un terzo meno di quella della dorsale, e il suo lato posteriore è poco più lungo di essa base. I due lobi acuti della caudale son lunghi ciascuno quanto il capo. « Può giungere al peso di sette in otto libbre, ma è generalmente assai minore. Due diverse razze riconoscono in questo Barbo i nostri pescivendoli e pescatori, secondo che siano di una sola tinta ovvero pun- ticchiati, o screziati in altro modo di nero: caratteri puramente acciden- tali che già spiegammo di sopra. » TINCA 293 Tinche. — La Tinca'! comune (fig. 127) si distingue agevol- mente da tutti i nostri pesci d’acqua dolce. ll suo corpo, un tantino compresso lateralmente, descrive una curva regolare sul dorso. È ornato di varie tinte sfumate, e macchiettato ir- regolarmente di nero. Del resto, i suoi colori variano un poco secondo l’età, il sesso, gli alimenti, e la qualità dell’acqua. Tutta la pelle del pesce è spalmata di un liquido seuoda [TTT I I i CATANIA Fig. 128. Tinca comune. che lascia appena vedere le scaglie, le quali sembrano piccole perchè occupano le une sulle altre una certa estensione. La Tinca è comune in tutta Europa *, si trova fino nell’Asia Minore. i Lat., Tinca; fr., Tanche; ingl., Tench; ted., Schley. 2 Si trova assai comunemente anche da noi in Lombardia, e varia nel profilo"e nelle proporzioni, fino a produrre forme assai disparate fra di loro. Varia eziandio di colore: — nei contorni di Milano, per esempio , è comune una Tinca di color plumbeo scuro uniforme; mentre per l'ordinario è di un color giallo dorato. (Nota del Trad.) 294 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Abita i grandi fiumi, i loro affluenti, e preferisce sopratutto le acque stagnanti e melmose. Si nutre di vegetali, d’insetti, di molluschi, di avanzi organici che abbondano nella melma, e li inghiotte abitualmente. Fa le uova nel mese di giugno, e le attacca alle erbe; queste uova son piccolissime e molto numerose. Se ne son contate fino a duecento cinquantamila in individui di grossezza comune. Le piccole Tinche nascono sei o sette giorni dopo deposte le uova, e crescono rapidamente. In capo ad un anno pesano centoventicinque grammi; dopo tre anni, un chilogramma o un chilogramma e mezzo; in età di sei a sette anni, da tre a quattro chilogrammi. La Tinca, che può vivere nelle acque molto poco aerate, ha la vita molto dura, perchè può passare quasi tutto un giorno fuori dell’acqua. Si pesca questo pesce colle lenze ferme, e la sola esca che si suole adoperare è il grosso lombrico rosso. Dal punto di vista gastronomico, le qualità della Tinca sono molto contestate. « Fra i pesci più ignobili (dice ancora il Bonaparte) ! è la Tinca. Forse gli antichi Romani non la credettero degna di peculiar nome, chè non ci pare che la Merula loro corrisponda, come alcuni opinarono. Perciò un solo esempio proveniente forse da lingua teutonica o da altra setten- trionale abbiam dai lessici latini in quel verso di Ausonio: Quis non et virides vulgi solatia Tincas Novit? c Ove ogni discreto lettore comprende che se quel nome fosse stato così comune come il pesce, ridonderiano di Tinche i vocabolari di Stefano e di Forcellini. Conosciamo, ma lodar non sappiamo l’arguzia del nostro Giovio, che da questo nome, quantunque gnoto, pigliasse il suo quel fa- ceto orator piacentino celebrato da Cicerone. Più graziosa si è quella di Lorenzo dei Medici, il quale quel cavaliere che una grossa Tinca hen condita non cessava di encomiare, addimandò Tiaca;e quella fu sì bella proposta, che d'allora in poi tutto lo dissero Messer Tinca, di sorte che il nome a tutta la famiglia rimase. E saria pur vago il sapere se quel cavaliere fosse il medesimo, che alla mensa di Leone X, secondochè ri- ferisce lo stesso Giovio: « A me piace assai più (disse) in fede mia una Tinca del lago Trasimeno, che la Triglia, che la Spigola, che il Rombo; » 4 Tutta questa citazione sino alla fine del capitolo, è pure un'aggiunta da noi fatta alla presente edizione. (Nota del Trad.) TINCA 295 di che tutti, non escluso il pontefice, si smascellatamente risero, che fuor degli occhi loro ne uscivano le lagrime. Ma or sì che i Toscani essendo tanto originali e saporiti in applicar nomi alle cose ed agli uomini, saria quasi da ragionare che di Messer Tinca venisse la brutta parola che ap- punto in quei tempi deontò volgarissimamente un certo malanno venuto fresco dal nuovo mondo, chè per verità quel bizzarro spirito fiorentino si meritava subito un marchio del suo gusto depravato e corrotto. Ma giac- chè ci siamo fatto lecito d'intermettere la gravità della scienza, opine- remmo che Tinca ed anche Tenca, come dicesi appo di noi con alcuna grazia di nobiltà, e dal volgo ordinariamente di Napoli e di Venezia, venga dal Tenuis dei Latini analogamente eziandio ad altri vocaboli di pesci che finora abbiam visto; senonchè Tenwis e Tenuitas elegante- mente significano cosa di bassa condizione cui quadra benissimo quel miseri solatia vulgi di Ausonio, e la stessa angustia della vita onde tanto bene suonano in Livio quelle parole: Erant in Romana juventute ado- lescentes aliquot, nec in TENUI loco orti, e quella fenuitas aerarii di Messer Tullio che sovente si piange. Che se questa etimologia non pa- resse abbastanza legittima, osservisi che qualora ripetasi dal diminutivo tenuiculus, si conoscerà più ragionevole e naturale la necessaria corru- zione in bocca del popolo , tirante al semplice ed al sonoro così nel creare come nell’ adoperar le parole. La pratica che abbiamo degl’ idio- tismi popolari non ci permette di abbracciare quella opinione diversa di un erudito che pensa far discendere Tinca da Tincta per l’atro colore che indossa. I Toscani che di sì tenue frittura di Tinche fanno uso più che altri, dicono ho fritto, quando vogliono intendere non aver danaro alcuno; quasi costretti a sì misero pasto, sogliono in piazza del pesce non far questione di contratto, poichè per ciascuna Tinca gettano contro il catino del pescivendolo la vil moneta convenuta dall’ uso. « Trovansi ora Tinche per tutta l'Europa: imperocchè nel settentrione ove non erano, si posero ad allignare per artificio come le Regine. Amano le acque stagnanti, perciò raro pescansi ne’ fiumi, e non mai nelle acque correnti. Lodansi quelle di alcuni laghi, quai sono del Fucino e di Monterosi appo noi, men forse dispregevoli di altre che vi- vono in acque vicine. Nè il colore, come alcuni pretendono, porge in- dizio di relativa Iuro bontà; perciocchè le più luride Tinche ed in più brutte acque pescate, riescono ordinariamente men cattive di quelle che più ti risplendono se le togli dalle acque chiare. Tenacissime sono di vita, resistono anche sotto il ghiaccio essendo capaci di respirare un’aria in cui di gaz ossigeno sia pressochè nulla, essendosi sperimentato che si contentano di una cinquemillesima parte di aria vitale, quando i pesci soglion goderne dentro l’acqua una centesima ed anche più. Abbondano d’uova che il pazientissimo Bloch contò a circa trecentomila in una tinea di quattro libbre, e le depongon piccole, verdognole, a mezzo giugno ordinariamente, tra piante d’acqua, tra le quali preferiscono la Potamogeton natans. E quivi almen due maschi vedi attaccarlesi quasi ai fianchi, per fecondarne il feto con sì profondo studio ed amore, che facil cosa è pigliare in un sol tratto la bigama e gli amanti, predare eosì almen tre pesci in un punto. 295 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI « Immobili quasi perfettamente e sepolte nella melma trapassano l'in- verno. Cibano animaletti teneri e vegetali molli, ma tra gl’ insetti pre- diligono un verminetto, col quale i garzoncelli le adescano coll’ amo. ‘Giova meglio prenderle con le nasse o con le reti, dalle quali siccome sogliono spiccar fuori di salto, perciò se ne raddoppiano e triplicano gli ordigni, affinchè fuggendo dall’ una ricaggiano nell'altra, e le buie notti si preferiscono all'impresa. Crescon presto in grossezza, ma raramente giungono al peso di otto o dieci libbre. Voracissime sono, e privano di buoni cibi gli altri pesci che vivono secoloro; a tale che ove si volessero fruttuosamente educar le Regine, od altri pesci più preziosi, converria non dar albergo alle Tinche, le quali, per avidità di mangiare, si lanciano spesso fuor dell’ acqua facendo caccia dei volanti animaletti. Bianca è la carne loro, ma piena di spine, molle, insipida, difficile a cuocersi, e più a digerirsi; sovente son pure compenetrate di fango, onde conviene per lungo tempo espurgarle. Talvolta le più grosse rinvengonsi vuote di polpa; e i pescatori le proverbiano allora col nome di Scuffione. » Fig. 129. Carpa comune. Carpe. — La Carpa* si riconosce facilmente per la lunga na- tatoia dorsale, per la brevità della natatoia caudale, per la bocca in cima al muso, e pei quattro cirri attaccati alla mascella superiore. Le Carpe si fanno anche notare per le loro grandi scaglie e per la grossezza dei denti faringei che sono in numero di cinque da ogni lato. La specie tipo di questo genere è la Carpa comune (fig. 129). Il suo colore generale è un verde bruniccio chiaro se il pesce ha vissuto in acque limpide, cupo se abita le acque stagnanti. ® Lat., Cyprinus; fr., Carpe; ingl., Carp; ted., Karpfe. CARPE 297 .Ha per solito sul dorso riflessi azzurrognoli, ed i fianchi son come dorati. La Carpa si trova in quasi tutte le acque dolci !. ds nei fiumi, nei torrentelli, nei laghi limpidi, nelle acque melmose. Ha una cotal forza di vita che potrebbe esser messa in qualunque condizione senza soffrirne alcun danno. Il semplice nome della Carpa sveglia dolcissime immagini. Richiama alla mente le ubertose campagne ed i paesi favoriti Fig. 150. Carpa regina. dalla natura e dall’ arte. Questo pesce quasi aristocratico ab- bisogna di un clima mite, di una buona stagione, di un cielo 1 È l’unico fra noi del genere dei Ciprini. Varia esso pure come la tinca nelle forme del corpo e nei colori cosi da costituire parecchie varietà. La carpa è assai frequente nei laghi, si accompagna alle tinche, ed è con esse la principal preda che si fa colle reti poste intorno a quei mucchi di sassi preparati artificialmente, che si chiamano garovi. È a desiderarsi che si adotti anche da noi l’uso sparso nel settentrione di ingrassare con esca opportuna questa specie, e di promuoverne la pro- pagazione , raccogliendo le uova fecondate in apposite pescaie, che in certi luoghi darebbero maggior lucro che non uneguale spazio di terra coltivata. . (Nota del Trad.) Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 58 208 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI puro e sereno, sponde fiorite e fiumi tranquilli, o stagni col- locati in fondo a valli silenziose. La carpa è il pesce che si preferisce per popolare e ravvivare le vasche dei parchi signorili o delle residenze reali: — perciò è l’ ornamento del parco di Chantilly e del palazzo di Fontainebleau. La domenica i visitatori di questo palazzo e gli abitanti della città si rac- colgono intorno alle splendide vasche ove si trastullano le Carpe; ed è pel pubblico una festa ed una gioia impareggiabile star a contemplare i loro graziosi guizzi, e le loro innocenti lotte. Le Carpe fanno le uova nel maggio e nel giugno, e sc il tempo è caldo anche nell’aprile. La femmina sceglie i siti erbosi, riman presso la superficie dell’acqua, e il maschio arriva bat- tendo fortemente l’acqua. In questo stesso tempo le Carpe che stanno nei fiumi o nelle fiumane lasciano le loro dimore, per risalire verso acque più tranquille. Se il loro cammino è interrotto da qualche ostacolo, cercano di superarlo, e si slanciano così ad un’ altezza di due metri. Perciò s’innalzano alla superficie dell’acqua, si coricano sul fianco, si piegano, avvicinano il capo all’ estremità della coda, formando così un semicerchio, scattano a un tratto come una molla, battono l’acqua e saltano. La conformazione e la forza dei muscoli permetton loro questo maneggio. Questi pesci hanno il senso dell’udito molto sviluppato. Ecco quello che riferisce intorno a ciò Riccardo Breadley, osservatore inglese del principio del secolo decimottavo : « Ebbi il piacere di vedere alcune Carpe in un grande stagno appar- tenente al signor Eden, e che mi hanno fornito l’ occasione di ricono- scere fin dove giunge la facoltà di udire in questi animali. Il proprietario essendosi messo in tasca molto seme di spinacci, mi condusse sulla sponda dello stagno. Rimanemmo silenziosi per alcuni istanti, ciò che era indispensabile per convincermi che i pesci non verrebbero se non chiamati. In breve il proprietario cominciò a chiamarti nel modo solito, e subito le Carpe vennero tutte insieme da ogni parte dello stagno in tal numero che appena appena avevano posto per rimanere serrate le une vicine alle altre. » La fecondità della Carpa è prodigiosa. Si son contate fino a diecimila uova in un individuo assai grosso. I piccoli nascono in capo a sette od otto giorni e crescono molto presto, perchè in tre anni, quando sono ben nutrite, possono pesare da due a tre chilogrammi. Non v’ha dunque da far le meraviglie se si son potute pescare alcune Carpe di un peso veramente enorme. Nel 1863, si prese nell’Aveyron una Carpa che pesava diciassette chilogrammi e mezzo. In Prussia le CARPE 299 Carpe giungono in generale al peso di venti chilogrammi, di trentacinque nel fiume Oder, ed anche di quarantacinque in Svizzera, nel lago di Zug. La longevità di questi pesci è passata in proverbio. Buffon parlò di certe Carpe le quali avevano centocinquanta anni, che vivevano nei fossi di Pontchartrain. Si dice che gli stagni del giardino reale di Charlottemburg, presso Berlino, contengano alcune Carpe di oltre duecento anni. Finalmente, si è asserito che certe Carpe della vasca di Fontainebleau, che sono di una grossezza enorme, datino dal tempo di Francesco I, vale a dire che avrebbero la rispettabile età di trecento cinquanta anni. Il ‘signor Blanchard mette in dubbio con ragione una cosiffatta longevità: egli non crede alle Carpe vecchie di vari secoli. La vita per altro è molto dura in questi pesci. Una mem- brana che copre le loro branchie e conserva l’umidità su questi organi, permette loro di respirare per molto tempo anche dopo che son fuori dell’acqua. Si trae profitto di questa circostanza per impinguarle. In Olanda si tengon le Carpe nel musco umido, e si nutrono met- tendo loro in bocca pane inzuppato nel latte. Questa medesima particolarità fa sì che si possono togliere dal luogo ove sono nate, per trasportarle altrove, senz’altra pre- cauzione che quella di rinnovare due o tre volte ogni venti- quattr’ore l’acqua delle botti nelle quali si ammucchiano. Si dice anche che si può far viaggiare una Carpa nelle erbe umide e bagnate sovente. La rapidità dello sviluppo della Carpa e la poca difficoltà del suo allevamento agevolano ai proprietari degli stagni il poterli periodicamente riempire di pesci, come diremo ora. Si getta nello stagno un certo numero di piccole Carpe pro- porzionato alla sua dimensione: dopo quattro anni circa il pesce può venire raccolto. Si scola quasi tutto lo stagno, e si fa ‘scendere l’acqua in un serbatoio inferiore, ove tutto il pesce rimane ammucchiato ed ove si raccoglie con ceste. Si lascia po lo stagno a secco per otto o dieci mesi; se fa d’uopo, si toglie via una parte dei giunchi e delle canne e si seminano altre piante, che serviranno al nutrimento delle Carpe che si introducono nello stagno riempito di nuovo. Si pesca la Carpa colla lenza negli stagni e in quei punti dell’acqua ove non esiste corrente, per esempio dietro una diga o nell’intervallo di una chiusa. Si mettono per esca fave cotte, lombrici, o pallottoline di molsa di pane. Si pesca colla lenza ferma, mettendo una canna in una piccola 300 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI forca di legno piantata in terra. Nelle acque correnti bisogna tenere in mano la canna da pescare. V’ha molta differenza, circa al sapore tra la Carpa di fiume e quella di stagno ove passa un fiume, e la Carpa di uno stagno comune. Quest’ultima ha sempre un tantino di sapore di fango. La Carpa non è un boccone delicatissimo, ec le si può applicare il motto che va? più la salsa che il pesce. Anche qui aggiungeremo quel che ne dice il Bonaparte !: « Bene sembra che questo pesce fosse chiamato Cyprinus dagli antichi, e Regina dai moderni, perchè veramente si può dire che sia la regina degli amori e l'esempio della fecondità. Desidera maggiormente di ripro- dursi nella bella stagione di primavera; e vanno allora sulle tracce della femmina più maschi per fecondarne le uova, che suol deporre ordina- riamente di maggio, o nei primi di giugno, tra ì virgulti acquatici e le giuncaglie. Due o tre cortigiani della gravida regina, registrava il signor de Lacépède, ma Plinio fino a tredici e a quattordici ne ascrisse, con ragione, tra i suoi fasti. Aggiungete che quanto più il maschio è invaso di tal cupidigia, pare che quasi gli scoppii la pelle che suole spargersi di macchie e di protuberanze. E l’uno e l’altro sesso porta infisso sul palato un gherone di una sostanza nè ossea nè carnea; che ricercato assai dagli Epuloni dicono che giovi ancora agli esercizii di Venere. Questo pesce altresì, pensarono alcuni poter nascere come la Dea senza il concorso dei genitori: la qual fantasia non è dispiaciuta agli scrittori fino al secolo decimosettimo, i quali crederono poter ingenerarsi dalle sole acque piovane, sendo che parea averle vedute nascere in circoscritti e puri bacini formatisi a caso ed ignari di qualunque altra generazione di pesci. Vero è che in quasi tutti i laghi e fiumi dell'Europa si trovano, e quantunque amino il caldo, allignano facilmente ovunque si pongano, purchè i fondi siano erbosi, e non rapide le correnti. E poichè nei paesi freddi si bramano maggiormente sul desco, e son tenacissime della vita, molte carra se ne portano dai laghi e dai fiumi meridionali nelle con- serve di Francia, di Germania, di Inghilterra, di Danimarca, ove le acque morte ai vivai destinate divenner fruttifere più di egual misura di ter- reno coltivabile. Leggiam eon piacere che vasti ricettacoli se ne formano artifizialmente ditre sorta, con opportune cautele di scoli, dighe e canali; uno stagno si alluoga alla riproduzione, un altro all’ educazione loro, il terzo all’ingrossamento ; seminatosi prima qualche sorta di granaglia, e messesi a germogliare altre piante. Dalle quali conserve i proprietarii traendole l’inverno le vendono a più caro prezzo per la carne assai de- licata nè patita dagli amori; estirpatone prima dal palato quel boccone più ghiotto che in essa è ; di maniera che il manicaretto cui dicono di lingua di ciprini vien preziosissimo sulle mense degli sponsali e nei 1 Tutta questa citazione è aggiunta da noî per la presente edizione. (Nota del Trad) CARPE 301 larghi desinari de’ principi. Raffinamento ignoto agli antichi, che secondo Aristotile e Plinio conobbero i ciprini, quantunque dessero questo nome anche ad alcun pesce di mare. Dicono che in Olanda usino conservarli vivi circondat di alga continuamente umida, ingrassandoli di pane e latte. Della domestichezza loro per altro uon si può dubitare, essendochè si veggon venire fino a’ labbri delle vasche, al suon di un fischio e pren- der l’esca dalla man del padrone. Che più? nei paesi ove l'industria è maggiore, si fanno stringer nelle mani, e palpare, e stropicciare le parti generalive con droghe e con castoro per dare opera maggiore alla ge- nerazione. Per la tanta utilità che se ne tragge, e forse per mantenerle in più caro prezzo, niun di coloro che le hanno negli stagni le dice naturali del luogo, e tutti si vantano di averle ivi chiamate dalle più famose e più lontane regioni. Da questo pur nacque la gara tra quei che pretendono averle i primi introdotte ; così un Leonardo Mascall glo- riavasi di aver portato in Inghilterra le Carpe (tali pur chiamansi dopo Cassiodoro le Regine) nel secolo decimosesto; ma non sappiamo con quanta buona ragione : imperocchè veggiam Carpe in Inghilterra fin dal 1496. Il Mascall conoscendo forse quanto di quel pesce andava goloso il giovane Enrico VIII, non uso ancora alla strage di più amabili regine, talchè la corte solea profondere generose mancie a chi le portasse sul desco reale, fu il primo che per conten'are ogni giorno la non men po- tente che discreta bramosia del monarca, le confidasse alle artifiziali conserve. Così pure in Francia mentre veggiamo in carte del secolo de- cimoquinto, che il Sant'Uffizio condannò un disgraziato di Tolosa il quale porse ad un eretico Carpam unam quam fuerat piscatus, abbiam sicura prova di abbondanza veramente artificiale negli statuti del con- vento di San Claudio del 1448, ov’ è sancito che ad ogni frate cum pit- fancia CARPARUM MINISTRARI SOLITARUM debbano porsi sul piatto duo aleca, et quatuor nuces PRO QUALIBET DIE. « Vivono lungamente fino a duecento anni, ma perdono o incanuti- scono invecchiando le scaglie. Della fecondità loro, specialmente ne’climi caldi, abbiam detto di sopra, ma se alcuni consumarono il tempo ad annoverare fino a settecentomila uova in una femmina di dieci libbre, siane tutta fede appo loro. Delle quali uova certamente abbondantissime suol impastarsi il caviale rosso in cibo degli ebrei, chè quello dello sto- rione, come di pesce senza scaglie, non han facoltà di mangiare. Libe- ramente però i ciprini cibano insetti, vermetti, molli piante d’ acqua, granaglie e bricciole di pane. Dicesi che di sei anni pesar sogliono sol- tanto tre libbre, che prima dei dieci giungano fino a sei, e possano crescere fino alle venti e alle quaranta, del che siam testimonii noi stessi. Raro è quell’amo che gli afferri, perchè sospettosi e furbi lo evitano con destrezza. Astuzia pure hanno molta per non incappar nelle reti, chè, vistele, si appiattano nel fondo, e per aderirvi maggiormente, mordono un qualche stelo. Che se tra le maglie vengon tratte, non sono men sollecite allora nè meno agili delle Spigole a zompar fuori e rituffarsi nell’acqua, giovandosi di loro opportuna muscolatura, che permette pie- garsi in arco e quasi in cerchio, dalla qual positura vibrandosi in allun- garsi acquistano forza di leva che le aiuta nel salto. » 802 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Pesce dorato della Cina. — Al genere Ciprinopsis appartiene il Pesce dorato della Cina o Pesce rosso (fig. 131). Questo pesce che in Gina:porta il nome di Kin-gu, è originario della pro- vincia di Tsce-Kiang; ma da tempo antichissimo è stato ac- climato in Europa. È divenuto un vero pesce domestico, el ha prodotto moltissime varietà. Le prime notizie intorno al Pesce dorato si sono avute dai missionari Dubelde e Lécomte. È incerto il tempo in cui questi pesci sono comparsi in Europa. Secondo Bloch, l'Inghilterra ne aveva fino dall’ anno 41611, sotto il regno di Giacomo I. Pare Fig. 151. Pesce dorato della Cina, o Pesce rosso. probabile che verso il 1730 si siano moltiplicati in Europa. Vennero spediti i primi Pesci dorati in Francia, nel porto di Lorient, dai direttori della Compagnia delle Indie, che ne fecero dono alla signora di Pompadour. Oggi, questi pesci allo stato domestico sono comunissimi in quasi tutte le parti del mondo. Servono a rallegrare l’occhio coi loro bei colori ed i loro svelti movimenti. Per solito hanno l’iride gialla, il disotto del capo rosso, le gote dorate, il dorso sparso di macchie nere, i fianchi di un rosso sfumato di arancio, il ventre variegato d’argento e di color rosato, le natatoie di un rosso vermiglio. ‘ PESCE DORATO DELLA CINA 303 Questi splendidi colori non appartengono a tutte le età del Pesce dorato. Ordinariamente nei primi anni della sua vita questo pesce è nero. Alcuni punti argentini poi annunziano la comparsa del suo bellissimo vestimento. Questi punti vanno allargandosi, si toccano, ricoprono tutta la superficie dell’ani- male, e sono poi sostituiti da un bel rosso, al quale si maritano col progredire dell’età le splendide tinte che tutti conosciamo. Altri individui invecchiando perdono i loro bei colori. Quelle tinte sfumano, le macchie impallidiscono, il rosso e l’oro si muta in una tinta argentina, od in un bianco poco brillante. Fig. 152. Abramide. Il pesce dorato vive di sostanze vegetali, di vermi e d’insetti. Si alleva nei fiumi, negli stagni, e nelle case si tiene semplice- mente entro boccie. Basta cambiargli l’acqua d’inverno ogni otto giorni, d’estate ogni due o tre giorni, e più sovente se il caldo è eccessivo. Si nutrono con molsa di pane, torlo d’uovo. duro, e polverizzato, mosche, cioccolatte. Il signor Blanchard dice che il Pesce dorato vive e si ripro- duce nei nostri fiumi come parecchie specie indigene, e che si pesca di frequente nella Senna. Non sì riconosce spesso, perchè: Lodi 304 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI il Pesce rosso che è divenuto abitante delle nostre acque perde il suo bellissimo colore, e prende le tinte brune e verdiccie della carpa. Abramide. — L’ Abramide ' comune (fig. 132), che sovente si incontra nei fiumi di Francia ?, e che si vende anche a buon prezzo su quei mercati malgrado il suo buon sapore, ha il corpo compresso e quasi a mo’ di disco per la curva del dorso e quella del ventre, ha il capo piccolo in proporzione del corpo, la bocca poco aperta, il labbro superiore sporgente, l’occhio grande. Il suo colore varia un tantino secondo l’ indole e la chiarezza delle acque nelle quali si pesca. Si nutre di sostanze vegetali e di animali acquatici. Gl’indi- vidui si riuniscono per solito in branchi, ciò che permette di farne abbondante pesca, per esempio, in parecchi laghi dell’Ir-- landa e della Baviera. L’Abramide è un pesce molto sparso in tutte le acque dolci di Europa, anche in Svezia ed in Russia. Fig. 155. Argentina. Argentina e l'essenza d'Oriente. — L'Argentina ® comune (fig. 133) è un piccolo pesce dal corpo affilato, compresso lateralmente, ci un bianco argentino, col dorso di un verde metallico che talora sfuma in un azzurro di acciaio. Le natatoie sono diafane, tranne quelle del dorso e della coda che sono grigie, le scaglie ‘on sottili, e si distaccano con agevolezza. ' Fr., Breme. 2 Questo genere di pesci, così abbondante in Francia ed in altre parti d'Europa, manca al tutto in Italia. (Nota del Trad.) 5 Fr., Ablette. ARGENTINA E L’ ESSENZA D'ORIENTE 305 Queste scaglie forniscono la sostanza madreperlacea colla quale si fabbricano le perle false. Si tolgono con un coltello, si lavano, si pestano per staccarne un pigmento nerastro, che si precipita in polvere coll’ammoniaca per scacciarne una materia organica vaporizzabile, ed aggiungendovi colla di pesce si forma una specie di pasta, che si suol chiamare essenza d'Oriente. Finalmente si introduce questa pasta entro a pallottoline di un vetro opalescente che dà riflessi iridescenti che imitano le perle vere. Ecco, mie care lettrici, come si fabbricano quelle perle false colle quali fate i vostri eleganti e brillanti vezzi. Fu un fabbricante di rosarii che a Parigi creò questa in- I | Fig. 134. Trioîto. dustria. Prima di lui per fabbricare le perle artificiali si ap- plicava la materia pigmentale dell'Argentina, sopra pallottoline di cera forate, e che si ricoprivano di una specie di vernice. Ma queste pallottoline di cera si alteravano in breve pel calore della pelle; la’ materia madreperlacea si distaccava e cadeva sulle spalle delle signore. Le perle false erano state quindi messe in disparte, quando la scoperta del fabbricante di rosarii di Parigi le ritornò alla moda. Alcune fabbriche di perle false si stabilirono sulle sponde della Senna, della Loira, della Sonna e del Rodano. Oggi questa; industria occupa a Parigi moltissimi operai, e sopratutto molte operaie. La esportazione annua dei suoi prodotti sale ad oltre un milione di franchi. Al’ Esposizione universale del 1867 si Ficvier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 39 306 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI son vedute certe perle false di questa fabbricazione, che era difficilissimo distinguere dalle perle vere. A Roma si fabbricano perle false molto rinomate in Italia, e ricercate in Francia da coloro che le conoscono. Ci vogliono quattro mila Argentine per avere una libbra di scaglie, che dà appena il quarto del peso della pasta nota col nome di essenza d'Oriente. L'Argentina non ha più di venti a venticinque centimetri di lunghezza. Siccome è facile prenderla coll’ amo, serve di con- solazione ai pescatori disgraziati. Vive in grandi stormi, e dicesi che in una notte colla rete se ne possano prendere fino a cinque mila nella bassa Senna. Si nutre di mosche, d’altri in- setti, e di pesciolini. La sua carne insipida fa sì che non è ricercata come cibo; ma si pesca molto attivamente in parecchie provincie del nord e dell’est della Francia, come pure in Germania, per trar par- tito delle scaglie, che valgono circa da venti a ventiquattro franchi il chilogramma. Triotto. — Il Triotto * (fig. 134) ha i denti faringei disposti sopra una sola fila. Si riconosce per questo carattere scientifico. Il Triotto è uno dei pesci più sparsi nelle acque, sia dei laghi che dei fiumi della maggior parte d’ Europa ?. I suoi colori sono bellissimi. Il suo dorso di un verde scuro ha riflessi dorati 0 iridescenti, talora di un bel turchino; i suoi fianchi sono argentini macchiati di bruno. Il suo ventre è madreperlaceo; gli occhi son color di sangue e cerchiati d’oro, le natatoie per solito son di un rosso brillante e appariscente. Questo pesce è vivace e petulante. È socievole, vale a dire nuota in branchi, special- mente al tempo delle uova, nelle acque poco profonde e di un corso tranquillo. Può divenire molto grosso, e giungere al peso di un chilogramma, Si pesca colla lenza, adoperando per esca frumento cotto, gamberelli, mosche, cavallette. Se ne prendono molti nei dintorni di Parigi, nella bella valle ove l’ Essonne attiva tante industrie. Del resto, la sua carne insipida è poco stimata. I Triotti si pescano nel mezzo di Parigi. Spieghiamoci. I Triotti che risalgono la Senna, si riuniscono intorno agli sboc- ! Fr., Gardon. 2 Questo pesce è molto comune anche in Lombardia; sui mercati è confuso colle Scardole, e con esse è lasciato a cibo dei poveri. (Nota del Trad.) \ TRIOTTO, MOZZELLA, LASCA E FREGAROLO 307 chi delle fogne che si versano in questo fiume; e sovente in primavera, malgrado il divieto di pesca, si possono vedere molti pescatori colla lenza tutti intorno alle fogne, sulla sponda della Senna, per sorprendervi il Triotto (fig. 135). ie [L'ESAAII DIES I Fig. 155. Pescatori di Triotti sulle rive di Parigi. Mozzella, Lasca e Fregarolo. — Siccome una troppo lunga enumerazione potrebbe stancare il lettore, ci limiteremo a far menzione e dare il disegno della Mòzzella * (fig. 136), pesce vorace, poco stimato come cibo, della Lasca * e del Fregarolo * (fig. 137), tanto notevole per le sue scaglie estremamente pic- cole, e che si trova in tutta Europa, nei fiumi, nei laghi, nei fossi, nei ruscelletti erbosi 4. ! Fr., Chevaisne o Meumer. 2 Fr., Vandoise. 3 Fr., Vairon. 4 Questo elegantissimo pesciolino è assai frequente nei ruscelli intorno Milano, nei fiumi Lambro ed Olona, dove in vivaci famiglie guizza nei siti ombrosi contro le correnti limpide e fredde. È il solo che col Luccio si avanzi fino alle teste dei fontanili, e si ricovera persino negli stessi tini delle sorgenti. — In primavera vince tutti gli altri pesci nostrali per varietà ed eleganza di colori; chè sull’addome, sulle ma- scelle, sul contorno delle Jabbra e nell’ occhio istesso , il Fregarolo si 308 ORDINE DEI MALACOTTERIGI ADDOMINALI Questo pesciolino non è stimato come alimento; serve di pa- scolo alle trote. Tutti i fanciulli lo conoscono per averlo sovente preso cogli ami fatti di spille ricurve. Fig. 156. Mozzella. Siluroidi. — I pesci che costituiscono questa ramiglia si di- stinguono dagli altri Malacotterigi addominali per la mancanza Fig. 157. Fregaroli. di vere scaglie. La loro pelle è nuda o munita di grandi piastre ossee. Senza insistere maggiormente sui particolari di struttura tinge inegualmente di un color di fiamma che fa bel contrasto col verde aurato del dorso e la fascia argentina dei la'i. (Nota del Trad.) SILURO D’ EUROPA 309 che li distinguono, ci fermeremo un istante sul Siluro d'Europa, e sul Malatteruro elettrico. Stiluro d'Europa. — Il Siluro d'Europa (fig. 138) è uno dei più grossi abitanti dei fiumi e dei laghi; perciò fu chiamato la Ba- lena delle acque dolci. Secondo Lacépède, un individuo di questa specie che fu veduto presso a Limeritz, nella Pomerania, aveva la bocca tanto grande, che un bambino di sei anni avrebbe po- tuto entrarvi. Nel Volga s’ incontrano Siluri lunghi da quattro a cinque metri. Questo pesce ha la testa grossa e piatta. Le sue due ma- scelle son fornite di moltissimi denti, e portano sei cirri. Gli Fig. 158. Siluro d’ Europa. occhi son rotondi, lontani l’uno dall’altro, e singolarmente pic- coli. Il suo dorso ‘è spesso, il suo ventre grosso, e la pelle spalmata di un liquido vischioso, alla quale si attacca una certa dose del fango su cui siriposa volentieri. Il suo colore è, sopra, di un nero verdastro che divien più chiaro sui fianchi e presenta alcune macchie di un bianco giallastro; sotto, ha sulla stessa tinta numerose macchie nerastre. Questo grosso Siluro è sparso nei grandi fiumi del settentrione d’Europa, come il Reno, il Danubio, il Volga, l’Elba, ecc. Comune in Germania come in Ungheria, abita pure alcuni laghi come quello di Harlem in Olanda e quello di Neufchàtel nella Sviz- zera. Ha costumi infingardi. Rimane in fondo alle acque, nei luoghi argillosi e sabbiosi, ove anche si affonda, per mettersi 810 | ORDINE DEI MALACOTTBRIGI ADDOMINALI in agguato. Il color bruno della sua pelle è cagione che non è facile scorgerlo in mezzo al limo ove sguazza volentieri. Agitando i suoi lunghi cirri attira gli animali imprudenti, che inghiotte agevolmente colla sua larga e spalancata bocca. In primavera, lascia il fondo dei fiumi per comparire di tratto in tratto alla superficie dell’ acqua, e deporre le uova o i latti presso le sponde. Nel bell’acquario d’acqua dolce, che era uno degli ornamenti più interessanti e più curiosi del giardino riservato dell’Esposi- zione universale di Parigi del 1867, si vedeva un enorme Siluro delle acque del Volga. Si asserisce che il Siluro è tanto vorace da aggredire perfino la specie umana. Si narra che nel 1700 un contadino ne prese uno, presso Thorn, che aveva un bambino nello stomaco. In Ungheria si parla anche di fanciulli e di fanciulle divorati mentre andavano ad attingere acqua. Si racconta infine che, sulle frontiere della Turchia, un pescatore prese un giorno un Siluro il quale aveva nello stomaco il corpo di una donna, con una borsa piena d’oro ed un anello. Ma tutte queste dicerie non meritano fede alcuna. La carne di questo pesce è, secondo Lacépède, grassa, dolce, bianca, saporita, ma è difficile a digerirsi. Nei dintorni del Volga si fa colla vescica natatoia di questo pesce una colla ab- bastanza buona. Sulle sponde del Danubio, la sua pelle, seccata al sole, ha servito per molto tempo di lardo per gli abitatori poveri di quel paese. Siluro elettrico o Malatteruro. — Il Siluro elettrico, 0 Malat- teruro (fig. 139), è un grosso pesce, corto, dal tronco arrotondato col capo depresso, colla coda lievemente compressa, e lungo da venti a sessanta centimetri. La pelle molle e poco tenace, al tutto bruniccia, presenta macchie più scure. S'incontra in molti grandi fiumi dell’interno dell’Africa, ove è comune. Questo pesce è notevole, come la torpedine ed il gimnoto, pel suo apparato elettrico. Jobert di Lamballe, nella sua memoria sull’anatomia dei pesci elettrici, asserisce che l’apparato elettrico del Siluro è posto sotto lo strato di grasso che ricopre uniformemente i muscoli del- l’animale. L’ apparato elettrico è dunque subito sotto la pelle. Esso è doppio: ogni apparato è separato dall’ altro da un tra- mezzo aponeurottico, che domina tutto il dorso ed il ventre. E fatto di parecchi strati sovrapposti, che si possono separare senza grande difficoltà. Ogni strato è rappresentato da lamine, SILURO ELETTRICO 0 MALATTERURO 11 che, addossate, formano veri rialzi separati da solcature. Messe le une sulle altre, sembrano ricoprirsi come .le tegole di un tetto. Queste lamine si dirigono dal dorso dell'animale fin verso il ventre. Nel 1858 il signor Max Schultze, di Halle, pubblicò una ec- Fig. 159. Siluro elettrico (Malatteruro). cellente descrizione, munita di disegni, dell’ apparato elettrico del Malatteruro. La forza elettrica del Siluro vivo non e stata oggetto di speri- menti scientifici esatti, ma ciò che abbiamo detto della torpedine e del gimnoto basta per dare al lettore un’idea abbastanza esatta degli effetti dei pesci elettrici in generale. ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Quest’ordine contiene i tre quarti dei pesci che si conoscono. Il carattere più spiccato e che li distingue meglio, è la presenza di raggi spinosi alle natatoie. La prima parte della loro nata- toia dorsale, o tutta la prima dorsale, quando sonvene due, è 312 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI sostenuta da raggi di questa sorta; ve n’ ha pure alcuni alla. natatoia anale, o almeno alle natatoie ventrali. Quest’ordine si divide in parecchie famiglie; passeremo ora in rassegna le più notevoli. Percoidi. — Il tipo di questa famiglia è la Perca comune, detta anche Perca fluviatile, Pesce persico, Pesce perso, e Perso di fiume (fig. 140) *. Pesce persico. — Il suo corpo ovale, un po’ compresso, si ri- stringe verso il capo e verso la coda, ciò che la fa parer gobba. I suoi colori variano secondo l’acqua ove dimora. Il fondo è Fig. 140. Perca, o Pesce persico. giallo più o meno dorato o verdiccio, che sfuma in giallo più cupo sui fianchi, e in bianco sul ventre. Il dorso è di un nero verdastro, striato di sei od otto fasce dello stesso colore. Le na- tatoie ventrali ed anali son tinte in vermiglio. Quindi quando è illuminato dal sole l’animale prende bellissimi riflessi dorati. Gli occhi rotondi, di mezzana grandezza, coll’iride di un bel giallo d’ oro, hanno una gran vivacità quando il pesce si muove. La prima natatoia dorsale ha quindici tdGni fortissimi, molto aguzzi, di cui le punte libere sono un’arme di difesa. Quando 1 Fr., Perche. In Lombardia questa specie è più’ comune nei flaghi che nei fiumi: nel Benaco sembra però mancare. (Nota del Trad. ss I Mt | i) [e=== == FicuieR. Rettili, Pesci e Animali articolati. 40 Fig. 144. Agonia di una Triglia al banchetto di Ortensio, D ni 9%; dk 3 | PESCE PERSICO S15 la Perca è minacciata rialza la natatoia, e si fa assai formidabile. Le natatoie ventrali allargandosi, e l’anale rialzandosi, possono ferire dai lati e al disopra con i raggi che sono spinosi; le natatoie pettorali solo hanno raggi sottili e deboli. La bocca è fornita di denti robusti. | Così bene armata, la Perca non si contenta di difendersi; ag- gredisce ardentemente. É anche nota per la sua voracità. Dopo essersi ben riempito lo stomaco, cerca ancora la preda. Gl’ in- setti, i pesciolini, i vermi, i girini di rana, formano il suo cibo prediletto. Per raggiungere la preda guizza come una freccia alla superficie dell’acqua. In ogni altra circostanza rimane im- mobile, a poca profondità, nei siti erbosi, all’ombra dei giunchi e delle larghe foglie delle ninfee. Si direbbe che conosce la forza delle sue armi, perchè non fugge in faccia a nessun pesce vorace, e sembra per così dire aspettare il pericolo. « Vede accostarsi il nuotatore senza muoversi affatto, dice Buitard, e quando sente la mano del pescatore, purchè questo si, contenti di non toccarla repentinamente, non fa che rialzare gli aculei delle sue natatoie per difendersi, e non cerca di fuggire. Si può anche insinuarle la mano sotto il ventre cullandola, per così dire, dolcemente, senza spaventarla. Quando si vuol prendere, si pongono adagino le dita sugli opercoli delle branchie, stringendo lentamente, e dopo due o tre codate, si lascia portar via senza fare ulteriore resistenza. Ciò che narro è sicuro, perchè l’ ho sperimentato io stesso. » Del resto è facile prendere la Perca coll’amo, purchè l’ esca sia fatta con un lombrico vivo. Si è quasi certi di prendere parecchie Perche ove se ne è già presa una; perchè amano tornare negli stessi luoghi, sopra fondi erbosi, coperti al più di settanta centimetri od un metro d’acqua. Nondimeno d’inverno vanno in acque più profonde. Dimorano nelle acque limpide dei grandi fiumi, dei laghi, o delle piccole fiumane. Questo pesce non diviene per lo più moîto grosso, non oltre- passando quasi mai la lunghezza di quattro decimetri. Quando una Perca pesa un chilogramma e mezzo si considera già come molto bella, perchè è raro trovarla di questa dimensione. — La Perca fa le uova dal mese di marzo fino al principio di giugno; si riproduce così facilmente che si sono raccolte sopra un in- dividuo piuttosto piccolo duecento ottantamila uova! Appena son deposte, queste uova, agglutinate da una materia mucilaginosa, aderiscono, come lunghi rosari, alle pietre ed alle piante acquatiche. La carne della Perca è dilicata e di piacevole sapore. Il poeta latino Ausonio ne cantava le lodi verso l’anno 380. 316 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Spigole. — Le Spigole! son molto affini alle perche. Una specie nota col nome di Spigola ragno, e che volgarmente vien chia- mata Lupo nella Bassa Linguadoca e nella Provenza (ed ha pure nelle varie parti d'Italia i nomi di Ragno, Lupo, Lupaccio, Lupacciolo, Labrace, Varolo, Spinotto), è comune nel Mediterraneo ed in certi grandi fiumi che vi sboccano. La spigola ragno (fig. 142) rassomiglia ad una perca allun- gata, il suo colore è uniformemente argentino negli adulti, macchiato di bruno nei giovani. Fig. 142. Spigola ragno. Aspi, Luccioperche, Trachini, Uranoscopi. — Gli Aspi, Albori, od Avole *, di cui una specie vive nel Rodano, e le Luccioperche * appartengono pure alla famiglia delle Perche 4. t Lat., Labrax; fr., Bar; ingl., Basse; ted., Seebarsch. ? Fr., Apron. 5 Fr., Brochet-Perche. 4 L’Alborella del Verbano e del Lago di Como, e l’Avola del Lago di Garda, differenti soltanto nel nome, sono l’unica specie di Aspio che ral- legri dell’argentine sue squame le nostre acque. Vive a stuoli; e gli individui lunghi un decimetro sono già dei più grossi. Si propaga in giugno e luglio; e talora scorrendo con impeto nell'ultimo lembo dell’acqua, dà in secco. — Serve d'esca per la bottatrice, il luccio ed il pesce persico. Il principe Bonaparte sospetta a ragione che differisca dagli Aspii di oltremonte; — inoltre è importante questo animale, perchè è su di esso, sulle tinche, e sui lucci che vennero fatte importantissime ricerche em- briologiche dal chiarissimo naturalista Rusconi. ‘(Nota del Trad.) ASPI, LUCCIOPERCHE, TRACHINI, URANOSCOPI 317: Invece i Trachini o pesci ragni! stanno in un’altra divisione di questa stessa famiglia, e sono caratterizzati sopratutto dal Fig. 145. Trachino, o Pesce ragno. capo compresso e dalla grossa spina del loro opercolo. Son pesci di forma allungata, dal muso corto, che sogliono affondarsi nella Fig. 144. Uranoscopo. . sabbia, e son molti temuti dai pescatori per le profonde pun- ture delle loro spine. Il Trachino (fig. 143) è sparso nel Medi- terraneo e nell'Oceano. 1 Fr., Vives. 318 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Gli Uranoscopi, così detti per la posizione degli occhi diretti verso il cielo (greco uranos cielo, e schopeos io guardo) per modo che non possono vedere che sopra di sè, sono affini ai precedenti. Rappresentiamo qui (fig. 144) l’Uranoscopo comune, proprio del Mediterraneo e del mare delle Indie, e che è notevole pel suo grosso capo cubo. Triglie. — Il genere Mullus comprende due importanti specie: la Triglia di scoglio, e la Triglia propriamente detta, chiamata anche Triglia di fango. La Triglia di scoglio! è sul dorso e sui fianchi di un bel rosso vermiglio chiaro, ove dominano tre striscie gialle. Il petto, la gola, il ventre e la regione sotto la coda son bianchi con una tinta lievemente rosata; le natatoie hanno i raggi più o meno rossi; l’iride dell’ occhio, di un giallo dorato pallido, è punteggiata di rosso. La testa ha due cirri. La Triglia di scoglio vive nel Mediterraneo e nell'Oceano. Si incontra talora nella Manica, ed è anche assai comune nel golfo di Guascogna; quindi si ammannisce sovente sulle mense a Bordeau e a Baiona, ove è detta Barbeau e Barberin. Ha una carne bianca, un po’ filamentosa, dura e saporita; ma è meno stimata di quella della specie di cui parleremo ora. La Triglia propriamente detta ® è tinta di bellissimi colori. La ricopre un rosso splendido, al quale si frammischiano ri- flessi argentini sui fianchi e sul ventre. Presenta i riflessi iri- descenti, ma non le righe gialle della specie precedente. La Triglia deve la sua celebrità alla sua brillante pelle. Se a queste qualità si aggiunge che ha una carne bianca, soda, piacevole al gusto, si comprenderà il favore in cui questi pesci erano presso gli antichi. I Romani consideravano la Triglia come oggetto di lusso. Per procurarsela non rispiarmiavano le spese più stravaganti. Al- levavano questi pesci nei loro vivai, non solo per mangiarli, ma anche per ammirarli. Questo amore sfrenato della. bellezza andava fino alla crudeltà. Seneca e Plinio narrano che i ricchi patrizi romani si davano il barbaro gusto di farsi morire fra le mani una Triglia, onde vedere la varietà delle tinte porporine, paonazze o azzurre, che andavano succedendosi, dal rosso ver- miglio fino al bianco pallidissimo, mano mano che l’ animale, perdendo le forze, giungeva lentamente alla morte. 1 Lat., Mullus surmuletus; fr., Mulle; ingl., Surmullet; ted., Meerbarbe. 2 Lat., Mullus barbatus: fr., Vrai Rouget o Rouget barbet. Di TRIGLIE, GUANCE A CORAZZA, PESCI CAPONI 3419 L’ oratore Ortensio, rivale di Cicerone, il quale colla sua eloquenza faceva accorrere al foro la folla del popolo, aveva una passione sfrenata per questo piccolo abitatore dell’ acqua. Si faceva venire la Triglia n rigagnoli fin sotto alla tavola ove dava un banchetto; seduto innanzi ad una mensa sontuosamente. imbandità, si compiaceva di vedere uno di questi disgraziati pesci tolto da una vasca e portato sulla tavola, palpitante nelle “convulsioni dall’ agonia, morire sotto i suoi occhi, colorandosi di mille tinte iridescenti (fig. 141). Presso i Romani, possedere questi poveri animali era divenuta una moda, una furiosa passione. Quindi: il loro prezzo divenne in breve eccessivo. Asinio Celere pagò una Triglia 8000 se- sterzi (1558 fr.). Secondo Svetonio, sotto Caligola tre Triglie furon pagate 80,000 sesterzi (5844 fr.). Pur troppo s’incontrano nella Roma imperiale molti esempi di questi barbari piaceri e di questa ostentazione di cattivo gusto. Sebbene oggi le Triglie non siano più oggetto di prodigalità e di cure smoderate, pure son sempre ricercatissime, per la loro bellezza, e per le eccellenti qualità commestibili. Sono stimate in particolare quelle della Provenza. Si trova la Triglia in parecchi mari, ma specialmente nel Mediterraneo, ove si prende in tutte le località, e più spesso sui fondi limacciosi. Si pesca coll’amo e colla rete. Guance a corazza. — I pesci che compongono questa famiglia, si fanno notare pel modo singolare con cui il loro capo è irto di spine e corazzato. Spine, piastre taglienti, danno loro un aspetto sgradevole, ed anche orrido, che ha valso loro î sopran- nomi di Rospì di mare, Diavoli, Scorpioni, Pipistrelli marini. Questi caratteri sono spiccati oltremodo nel genere Trigla 4 ed in alcuni generi affini. Di questa famiglia! studieremo i Pescì Caponi, i Pesci rondini, i Magnaroni, gli Scorfani, e gli Spina- relli. Pesci Caponi. — I Pesci Caponi®? sono pesci brillantissimi. Non vi ha nulla di più splendido della loro pelle. Ma i doni ricevuti dalla natura divengono per essi funesti. Il loro splen- i Il genere Trigla nel linguaggio sistematico latino non vuol essere confuso colla Triglia, denominazione italiana data a pesci di cui si è parlato precedentemente. Il genere latino Trigla comprende pesci nella nostra lingua chiamati Pescî Capona. (Nota del Trad.) 2 Fr., Trigles. 320 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI dore li tradisce e li conduce a perdizione. Hanno nemici nel- l’acqua e nell’aria; e senza la sua prodigiosa fecondità, questa specie sarebbe da un pezzo scomparsa. I pesci di questa famiglia giustificano meglio il nome di Guance a corazza. Le loro ossa, specialmente quelle del capo, sono dure e granellose. Si conoscono circa quindici specie di Caponi, alcuni che vivono nei nostri mari, specialmente nel Mediterraneo, altri nei mari delle Indie. Fra le specie europee, citeremo il Capone imperiale ! (fig. 145). Fig. 145. Capone imperiale. È di un bel rosso chiaro e color di rosa, più pallido sotto e più vivace sulle natatoie. Abbonda nell’ Oceano sulle coste francesi. Si vede sovente sui mercati, e la sua carne ha buon sapore. Il Capone gallinella ®, dal dorso bruniccio o rossastro, colle natatoie pettorali nere, orlate internamente di turchino, è la i Fr., Trigle rouge; detto anche Rouget commun pel suo color rosso. 2 Fr., Perlon. PESCI RONDINI, O PESCI VOLANTI S24 specie più grossa delle coste francesi, tanto nell’ Oceano come nel Mediterraneo. Il Capone Gorno !, di un color bigio bruno, talora rossastro sopra, macchiato di bianco e bianco pure sotto, è abbondantis- simo nel Mediterraneo e nell’Oceano, e si vede sovente sui mercati. Questi pesci in francese vennero detti Grondins perchè quando si trovano fra le reti dei pescatori fanno sentire una specie di grugnito più o meno forte. Pesci rondini, o Pesci volanti. — I Pesci rondini, detti greca- mente Daitilotteri, sono celebri sotto il nome di Pescì volanti. Fig. 146. Pesce rondine, o Pesce volante del Mediterraneo. Rassomigliano molto ai Caponi, se non che se ne distinguono per le loro grandi natatoie pettorali, che servon loro di para- cadute, per sostenersi quando saltano fuori dell’ acqua. Se ne conoscono parecchie specie. Le più anticamente descritte sono quella del Pesce rondine o Pesce volante del Mediterraneo (fig. 146), e quella delle Indie. Tutta la natura animata pare intenta a far guerra a queste singolari creature che hanno il doppio dono di nuotare e volare. Il Pesce volante non sfugge agli inimici che lo inseguono nelle onde, come le palamite, le ‘orade ed altri pesci voraci, se non per esporsi alle aggressioni di altri predatori che abitano gli ! Fr., Grondin; ingl, Gournard. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. DA 322 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI spazi dell’aria. Un numero sterminato di uccelli di mare, come le fregate, le diomedee, il fetonte, movono loro guerra accanita. Quindi questo disgraziato pesce è sempre inseguito, qualunque sia l'elemento a cui si affidi, Nondimeno mette una tale viva- cità e abilità a passare da un elemento all’ altro, che spesso riesce a sfuggire alle aggressioni dei suoi avversarii. Quando s’innalza sul mare a uno o due metri di altezza può percor- rere uno spazio di parecchie continaia di metri, ma non può mutar direzione nel suo corso; le natatoie distese gli fanno ufficio di paracadute. Il Pesce volante è stato paragonato con molta ragione al Drago volante dei rettili. Magnaroni. — I Magnaroni ' sono affini ai Caponi, ma hanno Fig. 147. Magnarone. il capo depresso ed armato di spine e di tubercoli. Il Magnarone comune è quasi la sola specie del genere. Il Magnarone (fig. 147), ha vari nomi nelle provincie francesi, secoudo la località. È comune in tutti icorsi d’acqua viva, il cui fondo sia sassoso. È un pesciolino lungo da dodici a quattordici centimetri, di cui la pelle nuda, molle, un po’ vischiosa, è gri- giastra, con fascie e macchie di un bruno scuro, Trae il suo carattere principale dalla forma strana del suo grosso capo. Partendo da questa enorme testa, piatta sopra, rotonda allo in- nanzi, munita di due occhietti e di una larga bocca, tutto il corpo sì assottiglia gradatamente fino all'origine della coda. L’ani- male rimane sovente celato fra i sassi o in una piccola tana. Vi resta in agguato, e si avventa con velocità sorprendente 1 Genere Cottus. In fr., Chabot. MAGNARONI, SCORFANI 0 SCORPENE 323 sulla preda che gli passa a tiro. Le larve d’insetti acquatici sono il suo cibo ordinario; alle volte manda giù anche ghiozzi, fregaroli, ed altri pesciolini. Del resto il Magnarone merita a buon. diritto il nostro inte- resse, perchè è uno dei pochi pesci nei quali il sentimento della paternità siasi sviluppato. Il maschio conduce la femmina a fat le uova in una piccola cavità, che egli ha già scavata sotto un sasso nella sabbia; vigila poi le uova con somma cura ed attenzione. Il Magnarone è poco ricercato come alimento, senza dubbio per la sua piccolezza, perchè la sua carne, che cuocendo divien rossa; non ha sgradevole sapore. Si prende coll’amo, colla nassa, e col tridente. I pescatori lo cercano per servirsene d’esca per le anguille. I Magnaroni minori sono particolarmente spinosi, e quando vengono irritati gonfiano molto il capo. Hanno forme tozze e sgarbate. La specie più comune sulle coste dell'Oceano è lunga da venti a ventiquattro centimetri, di color grigio verdastro, marmoreggiato di nero nella parte superiore del corpo. E un pesce vorace, solitario, che nuota con forza e rapidità. Come il Magnarone comune, si mette in agguato fra gli scogli della costa, entro buche nascoste sotto le alghe. I pescatori temono le ferite che fa colle sue lunghe spine. Questo pesce può vivere un pezzo fuori dell’acqua. Si asserisce che produce alcuni suoni, specialmente all’approssimarsi di una burrasca. Scorfani o Scorpene. — Gli Scorfani, o Scorpene, sono pesci che hanno uno strano aspetto per la loro testa grossa e spinosa, come pure per la pelle molle e spugnosa di cui son coperti. Le punture prodotte dalle loro spine li rendono formidabili. Tuttavia i pescatori li mangiano e la loro carne non è cattiva. Se ne conosce una ventina di specie: due, proprie del Mediter- raneo, le altre particolari dei luoghi caldi e temperati dei due Oceani, e specialmente dei mari d’America e delle Indie orien- tali. Le due specie europee son note col nome di Seorfano a grandi scaglie, e Scorfano a scaglie piccole. Diamo qui (fig. 148) ildisegno di un’altra specie, lo Scorfano volante (Pterois volitans). È questo un pesce d’acqua dolce che fu osservato particolarmente nei fiumi del Giappone, e in cui le natatoie pettorali essendo più lunghe del corpo, gli danno la facoltà di slanciarsi fuori dell’acqua, come il Pesce rondine. 324 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Spinarelli. — Gli Spinarelli, che appartengono, come le Scor- pene, alla famiglia dei Guance a corazza, devono il nome alle spine di cui è ricoperto il loro corpo. Questo nome varia, del resto, secondo i paesi. Gli Spinarelli ‘ che son comuni in quasi tutte le acque dolci della Francia, come dell’ Italia ®, vivono nelle acque chiare e correnti dei ruscelli e dei piccoli fiumi, ove le erbe acquatiche crescono in gran copia. Il loro corpo, compresso iateralmente, affusolato, è in rapporto colla rapidità e la grazia dei loro movi- menti. Il capo, sprovvisto ‘di spine, ha due grandi occhi di un Fig. 148. Scorfano volante (Pterois volitans). verde scintillante. Invece di avere la natatoia ventrale come gli altri pesci, hanno una spina forte, acuta, seghettata, solcata da un canaletto, e che si allontana dal corpo a piacimento del- l’animale. Il dorso è fornito di piastre ossee sulle quali si arti- | Lat., Gasterosteus; fr., Epinoche; ingl., Stichling;s ted., Stickleback. 2 In Lombardia questo pesce compare copioso nel Lago di Garda, mentre manca affatto nel Lago di Como, nel Lago Maggiore e nelle altre acque. — Appartiene alla varietà a coda inerme e appena giunge alla lunghezza di 1 pollice (27 mill.) (Nota del Trad.) SPINARELLI i 325 colano delle spine libere, che si abbassano sul ‘dorso quando il pesce è tranquillo, ma che si drizzano appena aggredisce o si crede minacciato. Gli Spinarelli vivono ordinariamente in branchi; sovente si veggono formare lunghe colonne. Insetti, vermi, molluschi, uova di pesce, sono il loro nutrimento solito. Son tanto voraci che si è veduto uno Spinarello divorare, nello spazio di cinque ore, settantaquattro pesciolini appena nati, della specie comunemente nota sotto il nome di Lasca. L’abbondanza di questi pesciolini nelle nostre acque dolci ha Po LN \ sN svga" N ‘ TAO dg VEN N ail ca Fig. 149. Spinarello e suo nido acquatico. dato campo a molti osservatori di studiarne i costumi e si è riusciti così a scoprire fatti invero sorprendenti, che destano rincrescimento di non potere studiare più profondamente le abi- tndini ed i costumi degli altri pesci. Certi osservatori che si son compiaciuti a tener dietro agli Spinareli nelle loro capricciose evoluzioni, hanno riconosciuto la loro indole irascibile, imovimenti delle loro spine nell’aggres- sione o nella difesa, le loro caccie, le lotte fra di loro o con altri animali. L'osservazione degli Spinarelli, già tanto curiosa, divien poi interessantissima nei mesi di giugno e luglio: è 326 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI questo il tempo in cui si riproducono. — Vari naturalisti hanno descritto e ammirato l’intelligenza e l’industria di questi piccoli abitanti delle acque dolci. Ma fu particolarmente il signor Coste, quegli che studiò, al Collegio di Francia, i loro amori, il modo come fanno le uova, e la loro nidificazione. Prendiamo ad im- prestito dalla memoria di questo scienziato, pubblicata nel Recueil des savants éirangers de l Académie des sciences, le curiose ri- velazioni che seguono. Nei primi giorni di giugno, il maschio dello Spinarello cerca un sito conveniente, e vi pone definitivamente la sua dimora. Dopo avere scavato nel fango una piccola fossa, vi porta gli steli delle piante acquatiche, che sovente va a cercar lontano, . e con questi avanzi vegetali comincia a fare una specie di tappeto. Ma siccome i materiali che compongono questa prima parte del suo edifizio potrebbero essere trasportati dalla corrente, ha la previdenza di andare a prendere un po’ d’ arena riem- piendosene la bocca, e viene a deporla su quegli avanzi. Per dare poi una certa coesione a queste materie, vi si striscia sopra col corpo, spalmandole di una mucosità che sgocciola dalla sua pelle. Per accertarsi bene che tutte le parti siano sutficiente- mente levigate, lo Spinarello agita con rapidità le sue natatoie pettorali, producendo così delle correnti che spinge verso il nido. Se si accorge che i fili d’erba si smuovono, li spinge col muso, li ammucchia, li spiana, e torna a spalmarli nuovamente. ‘Quando le cose sono a questo punto, il nostro piccolo architetto, degno rivale delle femmine degli uccelli, sceglie materiali più solidi: radici, pagliuzze, che attacca nel fitto o alla superficie della prima costruzione, in una direzione sempre uguale. Le pone in senso longitudinale, per modo che una delle loro estre- mità corrisponderà in seguito all’entrata, e l’altra l’uscita della sua abitazione. Dopo aver fatto il pavimento e le pareti laterali della sua ‘casetta, sì occupa del tetto che costruisce cogli stessi mate- riali e nello stesso modo. Ha cura di farsi una apertura ben circoscritta, e di cui il margine è artisticamente levigato e ag- glutinato. Quando è terminato, il nido dello Spinarello forma una vòlta rotonda del diametro di circa dieci centimetri. Ma non rimane un pezzo con una sola apertura. Il maschio e la femmina, ne fanno subito una seconda, attraversando il nido da una parte all’altra. Tutto ciò che abbiamo detto fin qui riguarda gli Spinarelli propriamente detti. Gli Spinarelli minori (fig. 150), che son più SPINARELLI SII piccoli e più sottili, e che presentano caratteri distintivi sui quali non possiamo dilungarci, non costruiscono i loro nidi nel fango; bensì li sospendono airami dei vegetali acquatici, e si danno molto maggior pena per nasconderli. Il maschio va, colla bocca, a cercare una sufficiente quantità di alghe e altre piante acquatiche. Le ammucchia nel luogo che ha scelto, e le lega ai punti che debbono sostenerli. Quando questi materiali accumulati formano una sufficiente massa, vi immerge dentro il corpo, e vi si ravvolge come in uno astuccio. Poi attraversa lentamente questa guaina, facendo su sè stesso un movimento di rotazione a sbalzi. Man mano che sta compiendo questa evoluzione, le conferve lo avviluppano, agglutinate dallo sfregamento del suo corpo, gli. si ravvolgono attorno in fibre circolari, ed il nilo prende così la forma di un manicotto. Il signor Coste crede che questa disposizione delle fibre in anella sia prodotta dalla fila di spine numerose che drizzandosi lungo il dorso dell’animale:agiscono circolarmente sulle alghe, come i denti delle macchine che si adoperano per cardare la lana 0 il crine. Quando la costruzione del nido è ben avanzata per ricevere le uova, il maschio, che ha rivestito la livrea deile nozze, si slancia in mezzo al branchetto delle femmine. Le guancie e il ventre non hanno più il loro solito color pallido, son divenute di un color arancio vivace; il dorso, prima grigiastro, passa per le tinte successive del verde, del turchino e dell’argento. La fem- mina segue il maschio, il quale, precipitandosi verso il nido, immerge il capo nell’ apertura, l’allarga, e cede il posto alla femmina che vi entra a sua volta. Essa vi rimane due o tre minuti, depone le uova e sfonda il nido da una parte all’ altra per uscire. Il maschio entra dopo nel nido, guizza saltellando sulle uova, ed esce subito. Per parecchi giorni attira così suc- cessivamente o la stessa femmina o altre femmine che stanno per far le uova, e le aiuta in questa dolorosa funzione , sfre- gandole col muso, come se volesse far loro coraggio. In tal modo il nido diviene un ricco deposito della prole di questi pesciolini, nel quale le uova ammassate formano un cumulo voluminoso. Tuttavia le femmine non si danno alcun pensiero delle loro uova. Anzi, non vorrebbero far altro che divorarle. Spetta allora al pesce padre, a quello che ha costrutto il nido, a quello che ha condotto la madre o le madri, di aver cura della futura prole, ed egli compie il suo ufficio a meraviglia. Il signor Coste ha osservato e descritto accuratamente i maneggi di questo animaletto che veglia alla salvezza della sua stirpe. 328 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Il nostro guardiano comincia col fortificare, ricoprendolo di pietre, il suo nido, che talora è grosso come la meta del suo corpo. Così ne difende l’entrata contro chiunque, e non ne conserva che la porta attraverso la quale è quasi sempre occupato a far passare una corrente d’acqua movendo rapidamente le sue natatoie pettorali. Queste correnti, secondo il signor Coste, hanno probabilmente per iscopo, lavando sempre le uova, di impedire che certe materie filamentose non vi si depongan sopra, e non ne fermino lo sviluppo. Lo si vede poi scacciare con malgarbo tutti gli Spinarelli maschi e femmine che tentano di accostarsi Fig. 450. Spinarello minore. al suo nido per aggredirlo. Se gli assalitori non sono che in numero di quattro o cinque, li respinge colla forza. Se il ne- mico si fa più numeroso, opera come può: agisce con astuzia, fa diversioni. I suoi artifizi però non sempre gli riescono. Il signor Coste ha veduto certi individui occupati a ricominciar cinque o sei volte di seguito un nido che sempre andava a male. Quando il maschio è riuscito a conservare il suo nido fino a che sia vicino lo schiudersi delle uova, lo si vede allora rad- doppiare di zelo. Toglie i sassi, per renderlo più permeabile all’acqua; accresce le correnti, smuove le uova, portandole talora alla superficie, talora rimettendole sul fondo. Ficuier. Rettili, Pesci e Animal articolati. 151, Pesca del Tonno, 5p E Fi FARINGEI LABIRINTIFORMI, ANABAS 331 Quando dopo dieci o dodici giorni di pene e di cure i piccoli son nati, il padre deve ancora proteggerli per un pezzo, perchè la loro voluminosa vescichetta ombelicale li rende così pesanti ed impotenti, che non potrebbero sfuggire ai loro nemici. Non permette a nessuno dei piccoli di varcare i confini del nido. Se uno si allontana, lo prende subito in bocca e lo riporta dentro. Quando il numero dei disertori cresce, ne prende molti in una volta, senza mai ferirne alcuno. Mano mano che i piccoli crescono, il padre lascia loro uno spazio maggiore per far esercizio. Ma allora la sorveglianza divien più ardua e perciò più attiva. « Si vede sempre questo pesce, dice il signor Coste, andar su e giù, come i cani da pastore, che se ne stanno sempre intorno al gregge occupati a far tornare le pecore smarrite, e son sempre pronti a difenderle contro qualunque aggressione. » Tutte queste fatiche durano da quindici a venti giorni. Allora il padre li abbandona e riprende le sue abitudini in mezzo agli altri Spinarelli. Fatto notevole! questo padre che fa il nido, che assiste le femmine, che accudisce le uova, che guida e difende i piccoli, vive in un digiuno quasi assoluto durante i lunghi giorni della nidificazione, dell’incubazione e dell’allevamento. Faringei labirintiformi. — Dopo le famiglie dei Percoidi, dei Mulli, delle Guance a corazza, di cui abbiamo parlato, men- zioneremo le quattro famiglie dei Faringei labirintiformi, degli Scomberoidi, Qei Pettorali pedicolati, dei Becchi a flauto, che terminano l’ordine degli Acantotterigi, nelle quali si comprendono specie importantissime a conoscersi. I pesci che appartengono alla piccola famiglia dei Faringei labirintiformi hanno le ossa della volta del palato (ossa faringee superiori) divise in foglietti, numerosi ed irregolari, intercettanti cellette collocate sotto l’oper- colo, e che servono a contenere una certa quantità d’ acqua. Quest’ acqua mantiene le branchie umide quando l’ animale è all’asciutto, ciò che gli permette di stare nella terra, e di stri- sciare per una distanza spesso assai grande dal suo elemento liquido e naturale. Anabas. — Gli Anabas presentano in alto grado questa note. vole particolarità di organizzazione; si trovano comunemente nella melma degli stagni e nei piccoli fiumicelli dell’ isola di Borneo, dell’isola di Giava, e di quasi tutto l’arcipelago indiano. Strisciano a terra per parecchie ore, mercè le inflessioni del 232 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI corpo, le asperità dell’opercolo e le spine delle loro natatoie. Si è anche asserito che possono arrampicarsi sulla scorza degli alberi. Ma questo fatto singolare, non fu potuto confermare da viaggiatori recenti. ‘ Scomberoidi. — La famiglia degli Scomberoidi è la più impor- tante dell'ordine di cui parliamo. Comprende i pesci che sono più utili all'uomo per la bontà della carne, per la loro mole, e per la loro abbondanza. Il Tonno, il Maccarello, la Pala- mita, ecc., hanno, fin dalla più remota antichità, fornito e forniscono tuttora all'uomo grandi ricchezze alimentari, tanto freschi, che salati. Tonno. — Il Tonno! rassomiglia molto al Maccarello per la forma generale del corpo; ma è più rotondo, e giunge alla lunghezza di uno fino a tre metri, e ad un peso che varia per solito dai cinquanta ai duecento chilogrammi. La parte superiore del corpo è di un nero azzurrognolo, ed il ventre è grigio con macchie argentate. Questi pesci si veggono talora nell’ Oceano; ma abbondano e si riprolucono particolarmente nel Mediterraneo. In certi tempi dell’anno vengono lungo le coste, in grossi branchi, strin- gendo le loro numerose file, formando così uno sterminato battaglione che si avanza sul mare, o che, nascondendosi nelle onde, si tradisce esternamente pel rumore delle acque, ie quali si aprono per dar adito a tanti e così veloci viag- giatori. In molti luoghi i branchi di Tonni si mostrano in primavera, dirigendosi verso oriente; intorno al fine dell’ estate o dell’ au- tunno si veggono seguire una opposta direzione. Quindi si fa ‘una prima pesca, sulle coste della Provenza, sulla costa della «Ciotat dal marzo al luglio, e una seconda dalla metà di luglio fino alla fine di ottobre. Ma in altri luoghi si veggono giungere i Tonni tutti insieme da direzioni molto differenti. Finalmente în certi paesi s’incontrano solo d’inverno. La pesca del Tonno risale ad una remota antichità. I Fenici, primi fra i navigatori conosciuti, andavano a farla sulle coste della Spagna. Ai nostri giorni si fa molto attivamente sulle coste della Provenza, della Sardegna, della Sicilia, ecc. 4 Lv., Thynnus; fe, Thon; ingl, Tunny; ted., Thunfisch. LA PESCA DEL TONNO : 503 La pesca del Tonno. — I tonni si pescano in due modi: colla timnara e colla madraga. Si dà il nome di tonnara ad unrecinto di rete che si forma sollecitamente in mare per trattenere i Tonni mentre passano. Quando le sentinelle, messe per ciò, hanno dato il segnale dell’arrivo di branchi di tonni, i pescatori ne sono avvertiti da una bandiera che mostra il punto verso il quale si dirige la squadra nuotante. I padroni delle barche peschereccie vanno subito coi loro battelli sul luogo indicato, e li dispongono in una linea curva, formando colle reti allestite all’ uopo un re- cinto semicircolare, volto verso la spiaggia, di cui l’ interno è Fig. 152. Tonno. stato chiamato giardino: non se ne sa la cagione, perchè è un luogo ben doloroso pei prigionieri che vi cadono dentro. I Tonni racchiusi in questo giardino, si dibattono spaventati fra la sponda e le reti. Man mano che procedono verso la riva si ristringe la cerchia delle reti, o meglio si fa una nuova cerchia interna con altre reti tenute in riserva. A questo secondo re- cinto si lascia un adito aperto, finchè tutti i tonni siano entrati nello spazio che circoscrive. Diminuendo sempre così gradata- mente, con successivi e sempre più piccoli recinti lo spazio in cui stanno racchiusi i pesci, si riesce a trattenerli sopra un fondo che non ha più di quattro metri d’acqua. Allora in questo luogo si getta una rete fatta come una razzuola, nel mezzo della 334 ORDINE DEGLI ACANTOTTERI quale havvi un manico. A furia di braccia si tira sulla spiag- gia questa rete, e si prendono i piccoli Tonni colle mani ed i grossi con appositi uncini. Si caricano sulle barche, che tornano in porto. Una sola pesca produsse a Coliioure più di quindici mila miriagrammi di Tonni. In un’altra pure molto celebre giornata, si pescarono sedici mila Tonni, ognuno dei quali pesava da dieci a quindici chilogrammi. Quando quella specie di recinto destinato alla pesca del Tonno, invece d’ essere collocato per ogni pesca, come la tonnara, è costrutto fisso nel mare, si chiama in Provenza madraga. La madraga è un vasto recinto diviso in parecchie camere. Le pareti di queste camere son sostenute da certi galleggianti di sughero, tesi da zavorre di pietre, e tenuti fermi da corde di cui una estremità è attaccata al capo della rete, e l’altra ad un’àncora. Le madraghe son destinate a trattenere i grossi branchi di Tonni quando lasciano le rive per tornarsene in alto mare. Per questa ragione si lascia fra la spiaggia del mare ed il recinto un lungo tratto che si chiama caccia. I tonni seguono questa sorta di strada, giungono al recinto, passano da una camera al- l’altra, e vanno fino all’ultima, che chiamano corpow. Onde obbligarli a riunirsi nel recinto, si spingono verso la riva mercè una lunga rete che si tiene stesa dietro di essi, at- taccata a due barche, ognuna delle quali sostiene uno degli angoli superiori della rete. Quando i pesci son raccolti in questo scompartimento, alcuni marinai rialzano una rete oriz- zontale, che forma una specie di pavimento a questo scom- partimento, e così sollevano adagino i pesci fin quasi alla superficie dell’acqua. Questa operazione richiede una intera nottata. Il mattino, i Tonni son tutti raccolti in uno spazio ristretto, collocato a una distanza dalla sponda che varia secondo i casi, ed allora da ogni parte comincia una accanita battaglia. Si colpiscono quegli infelici prigionieri colle stanghe, con uncini, e con altre armi micidiali. È uno spettacolo ben doloroso quello della pesca del Tonno in questo ultimo e drammatico periodo. Stringe il cuore a vedere quegli enormi e bellissimi pesci dibattersi, in un recinto stretto e senza uscita, sotto i colpi di una folla di pescatori ac- caniti nel loro sanguinario mestiere, e che ne fanno un macello generale. La vista di quei poveri animati, di cui alcuni feriti, quasi morti, cercano invano di lottare contro i loro feroci ag- gressori, è invero penosissima. Il mare, rosseggiante pel sangue MACCARELLO 880 sopra un lungo tratto, conserva un pezzo le tracce di quella orribile carnificinà (fig. 151). La carne del Tonno, soda e salubre, è stimatissima. Il Tonno è il salmone della Provenza, e per nostro conto lo consideriamo come molto superiore al salmone. Non vi è nulla di migliore del Tonno fresco, fritto nell’olio bollente, poi condito con sale e aceto ben forte. E, quanto poi al pesce conservato, v' ha egli nulla di più saporito e che possa competere in questo genere col tonno marinato che si prepara a Marsiglia ed a Cette? — Il Tonno godeva, molto giustamente, di una grande celebrità presso i Greci, e gli altri abitatori delle sponde del Medi- terraneo, della Propontide e del Mar Nero. I Romani davano un gran prezzo a certe parti del corpo di questo pesce, come la testa ed il ventre. Non stimavano gran che i pezzi vicini alla natatoia caudale, perchè non li trovavano sufficientemente grassi. I Romani conservavano benissimo i Tonni, tagliandoli a pezzi e chiudendoli in vasi pieni di sale. Oggi si conservano col- l’olio e col sale dopo averli cotti. Questa preparazione si fa in molte famiglie a Cette, a Montpellier, a Marsiglia, e costi- tuisce una buona riserva per l’anno: con un vaso di Tonno conservato nell’aceto di Lunel una padrona di casa è pronta ad ogni circostanza. Maccarello. — Il Maccarello * è un pesce troppo noto perchè sia necessario darne la descrizione. Chi non ha ammirato nelle peschiere questi begli animali, col dorso di un colore d’acciaio, cangianti in verde, con sfumature d’oro e di porpora, che spic- cano ancor più per le fascie di un bel nero di cui vanno or- nati; col capo turchino sopra e macchiato di nero, e il resto del corpo di ur celeste madreperlaceo sfumato d’oro e di por- pora ? ‘ Esistono due specie di Maccarelli: quello dell'Oceano e della Manica, che non ha vescica natatoria (Scomber, Scombus) cd il Maccarello particolare del Mediterraneo, che ha vescica natatoria (Scomber colias 0 Pneumatophorus). Questo squisito pesce viene indicato con vari nomi dai pesca- tori delle coste del Mediterraneo. Nella Bassa Linguadoca vien detto Veirat, in Provenza Aurion, ecc. I Romani moderni lo chiamano Maccarello, i Veneziani Scombro, i Napolitani Lacerto, ! Lat., Scomber; fr., Maquerau; ingl., Makarell; ted., Makrele. 336 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI i Genovesi Laserto, gli Spagnuoli Cavallo, i sardi Pisaro, gl’In- glesi Makarell, gli Svedesi Makrill, ecc. Fig. 155. Maccarello. E un pesce di passo. Secondo Duhamel e Anderson, i Mac- carelli rimangono l’inverno nei mari del Nord. Parton di là in Fig. 154. Bagnante attaccato dai Maccarelli. primavera, costeggiano l'Islanda, poi la Scozia e l’ Irlanda, e vanno quindi nell’Oceano Atlantico. Colà il loro esercito si di- Ma ) _ Wi ; si Hib Si pj— === Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 15 Fig, 155. Pesca del Maccarello. MACCARELLO 339 vide in due; una colonna passa innanzi la Spagna e il Porto- gallo, per andare nel Mediterraneo, mentre un’altra entra nella Manica. Questi pesci si veggono in maggio, sulle coste dell’Italia, della Francia e dell’Inghilterra, in giugno su quelle dell’Olanda e della Frisia. In luglio, una parte va nel mar Baltico, e un’altra costeggia la Norvegia, per tornarsene nel Nord. Lacépède crede che questo cammino tanto regolare, e di cui le soste sono indicate così rigorosamente, è inconciliabile con moltissime altre esatte osservazioni. Si crede dunque che i Mac- carelli passino l’inverno in fondo al mare più o meno lontani dalle coste, a cui si avvicinano verso la primavera; che sul principio della bella stagione si appressino alla spiaggia più acconcia per essi, si mostrino sovente come i tonni alla super- ficie del mare, che percorrano tratti di mare più o meno diretti o più o meno obliqui, ma che non seguano il cammino perio- dico che si è assegnato loro. Il signor Milne Edwards fa anche notare che se queste legioni di pesci scendessero tutte dai mari polari, dovrebbero mostrarsi alle isole Orcadi prima di comparire nella Manica, ed entrare più presto nel Mediterraneo che nella Manica; ora si asserisce che non sono veduti in gran copia alle Orcadi se non nella stagione piuttosto avanzata. Sembra finalmente che sieno varietà differenti quelle che visitano le diverse località ove questi pesci sono in gran copia. I più grossi Maccarelli si pescano all’ entrata della Manica, fra le isole Sorlinghe e l’isola di Bas; ma son meno stimati di quelli di mezzana grossezza. I banchi di questi pesci non sembrano entrare nel golfo di Guascogna, ma abbondano dal- l'estremità della Bretagna fino al mar del Nord. In generale si cominciano a vedere sul principio di aprile; ma sono ancor piccoli e non adulti. I più comuni ed i più buoni son quelli che s'incontrano nei mesi di giugno e luglio. Verso la fine di settembre ed in ottobre, si pescano i piccoli Maccarelli che sem- brano esser nati nell’anno. Finalmente, nel novembre, ed anche nel dicembre, i pescatori di Dieppe ne mandano qualche volta a Parigi. Del resto tutto ciò è molto irregolare. Veniamo ora al modo di pescare questi pesci. Siccome i Maccarelli sono voracissimi, così sì slanciano su qua- lunque esca ed entrano agevolmente nei recinti che si presentano loro. Pei. grandi passaggi di Maccarelli si adoperano certe grandi reti, di cui le maglie si fanno in ragione della gros- sezza del capo di questi pesci, che vi rimangono impigliati per le branchie. Queste grandi reti, che son tese verticalmente nel 340 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI mare, oppure galleggiano fra due acque, più o meno presso la superficie, son larghe due braccia, e lunghe fino a duemila braccia (fig. 155). Sulle coste della Normandia, appena arrivano i Maccarelli, si vanno a pescare nei piccoli golfi e nei piccoli porti, in barchetta, con lenze attaccate alla canna. Ma questa non è che una pic- cola pesca che si fa per divertimento. La pesca in grande di cui abbiamo parlato sopra si fa talora presso le coste, e talora in alto mare a trenta o quaranta leghe di distanza. Quando si prende una quantità di pesce superiore al consumo dei paesi vicini al luogo della pesca, si preparano quelli che si voglion conservare a lungo e mandare molto lontano, vuotan- doli, e mettendoli nel sale, ed ammucchiandoli poi nei barili, come si fa delle aringhe. La loro carne è grassa e tenera. Gli antichi la struggevano, per così dire, e ne facevano una sostanza liquida, molto nu- triente, che veniva detta garum. Il prezzo di questo liquido era assai elevato: in misure moderne, valeva circa venti franchi al litro. Era sempre acre, semi-putrefatto e nauseante, ma aveva la proprietà di stuzzicar l’ appetito e stimolare lo stomaco. Il garum teneva luogo di droghe, in un tempo in cui era ignota la coorte delle droghe indiane. Seneca lo biasimava, come noi biasimiamo l’uso del pepe e del pimento, che guasta lo stomaco e la salute dei gastronomi. L’uso del garum si è conservato per molto tempo. ll naturalista viaggiatore Pietro Belon, del sedice- simo secolo, asserisce che al suo tempo era ancora molto sti- mato a Costantinopoli. Rondelet, autore dell’ opera sui Pesci (de Piscibus), pubblicata nel 1554, opera notevolissima pel suo tempo, avendo mangiato il garum in casa di Guglielmo Pellicier, vescovo di Maguelonne e dotto naturalista, si mise a cercare la specie di pesce che somministrava quell’ intingolo. Credette poterlo attribuire, non al Maccarello, ma allo Zerro (Sparus Smaris), che oggi si classifica nella famiglia degli Sparoidi. I Maccarelli entrano nel numero dei pesci fosforescenti, cioè che brillano nell’ oscurità, sopra tutto quando un principio di putrefazione, si è impadronito del loro corpo sempre un po’ oleoso. I Maccarelli son tanto voraci, che malgrado la loro piccola mole son pieni di coraggio ed aggrediscono sovente pesci più grossi e più forti di loro. Si è anche asserito che amino la carne umana. Secondo il vescovo Pontoppidan, che viveva nel secolo decimosesto, un marinaio di una nave ancorata in un PALAMITA, ALALUNGA, PESCESPADA 341 porto della Norvegia, un giorno mentre si bagnava in mare venne aggredtio da un branco di Maccarelli. Fu soccorso subito; sì respinse con gran fatica l’avida coorte, ma era troppo tardi; quel disgraziato morì poche ore dopo. Per un giusto compenso della natura, moltissimi nemici mi- macciano i Maccarelli. I grossi abitatori del mare vanno a gara per divorarli; certi pesci, apparentemente assai deboli, come lc murene, li combattono con buon esito. Palamita, Alalunga, Pescespada. — Affini ai tonni ed ai maccarelli, sono la Palamita dei tropici ', grosso animale, celebre Fig. 156. Pescespada. \ per la caccia che dà in grossi branchi ai pesci volanti; l’ Ala- lunga ?, pesce grosso e saporito, che arriva in branchi numerosi nel golfo di Guascogna, verso il mese di giugno, dietro alle sardelle e alle acciughe, e di cui fanno attiva pesca i Baschi e gli abitatori dell’isola di Yeu; finalmente il Pescespada. Il Pescespada (tig. 156), noto fino dai tempi più antichi, ha avuto nomi particolari che rammentano il suo principale carat- tere, e la sua struttura organica. Infatti lo si riconosce a 1 Fr., Bonite des tropiques. 2 Fr., Germon. 342 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI prima vista, pel suo muso prolungato orizzontalmente e tagliente- come la lama di una spada. Presso gli antichi dicevasi Xiphius e Gladius; i moderni lo chiamano in tutte le lingue ! Spada,. Freccia, Imperatore, Pescespada sulle coste del Mediterraneo. Questo pesce può divenire grossissimo, si trova nel Mediter- raneo e nell'Oceano. Accompagna i tonni. Sembra spinto dalla voglia di servirsi a destra e a sinistra dell’arme somministra- tagli dalla natura. Si slancia con furia contro gli ostacoli e i grossi corpi in movimento, siano essi di carne o di legno, pesci. o bastimenti. Fig. 157. Pesca del Pescespada. Nel 1723, alcuni maestri d’ascia francesi esaminando il fondo di una nave che tornava da un viaggio nei mari dei tropici, trovarono la lancia di un Pescespada confitta nel legno della chiglia del bastimento. Asserirono che per piantare a quella profondità una punta di ferro della stessa grossezza e della stessa forma, ci sarebbero voluti otto o nove colpi di un mar- tello che pesasse trenta libbre. Dalla posizione della spada, era chiaro che il pesce aveva seguito la nave quando viaggiava a piene vele. La sua spada aveva attraversato un pollice della i Fr., Espadon; ingl., Swordfish; ted., Schwertfisch. PETTORALI PEDICOLATI. RANA PESCATRICE 343 ‘fodera metallica della nave, tre pollici di tavole ed un mezzo pollice della impalcatura solida. Il Pescespada imprende lotte accanite col pescesega; ed anche col pescecane. È probabile che quando si avventa contro la chiglia di una nave, creda che quella scura massa sia il corpo dell’inimico. Questo terribile gladiatore, questo paladino dell’ abisso, cade sovente esso stesso in preda di un inimico. Un abbietto e pic- colo parassita, la Pennatula filesa, gli trafigge le carni, e lo rende furibondo dal dolore. La carne del Pescespada giovane è bianca, compatta, e di squisito sapore; quella degli adulti divien più dura e rasso- miglia meglio a quella del tonno. Quindi se ne fa abbondante pesca, specialmente nello stretto di Messina (fig. 157). I pescatori di Messina e di Reggio vanno con moltissime barche, munite di fanali accesi. Un uomo salito sull’albero av- verte gli altri della presenza del Pescespada, e le barche al- lora si affrettano per prenderlo colla fiocina. Durante questa pesca, i marinai cantano una particolare melodia, ma senza parole. PETTORALI PEDICOLATI. — Rana pescatrice. — La famiglia dei Pettorali pedicolati, così detta perchè i pesci che la compongono hanno le natatoie pettorali attaccate a una specie di braccia formate dall’ allungamento delle ossa del corpo, contiene la Rana pescatrice * (fig. 158), tanto notevole per l’eccessiva gran- dezza del diametro trasversale del capo su quello del corpo; per la sua larga bocca, armata di denti aguzzi; per la pelle «che sembra tagliata a brani in molti punti; per la pelle molle, liscia, senza squame nè asperità, per quella specie di membra che ne sostengono le natatoie pettorali. Tutto ciò forma un complesso ben orrido, che rammenta quelle immagini di demoni .e di folletti coi quali per tanto tempo si è spaventata l’ igno- ranza e la superstizione delle masse. La spoglia di questo pesce, preparata in modo da renderla ‘trasparente, e illuminata da un lume acceso chiuso nell’interno, ‘ha servito parecchie volte a far credere a fantastiche appari- zioni. La Rana pescatrice, che può divenir lunga fino a due metri, vive sulla sabbia, o affondata nel fango, lasciando sporgere e -galleggiare sopra alcuni filamenti lunghi e mobili che ha sul 1 Lat, Lophius; fr., Baudroie; ingl, Fishing frog; red., Seetaufel. 344 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI capo. I pezzetti che terminano quei filamenti’, formano come un’esca naturale che il pesce agita in ogni senso, e che rasso- miglia a vermi e ad altri animali vivi. I pesci che ‘nuotano sopra di essa, sono attirati da quelle fallaci; e strane esche. Quando son presso alla sua enorme bocca, che lascia quasi sempre aperta, li inghiotte e li dilania, coi suoi forti ed aguzzi denti. Questo modo di stare in agguato, e di pescare colla lenza, per così dire, i pesci. che la sua conformazione non le permette d’inseguire, le ha fatto dare il nome di Rana pescatrice: È sparsa più 0 meno in tutto il Mediterraneo e in molte parti dell'Oceano ;, Fig. 158. Rana pescatrice. i pescatori francesi ne prendono nel golfo di Guascogna come pure nella Manica. Labroidi. — La famiglia dei Labroidi comprende: 41.0 i Tordi di mare 4, rivestiti dei più vaghi colori, perchè il giallo, il verde, il turchino, il rosso, formano sul loro corpo molte fasce o mac- chie rilevate da brillanti riflessi metallici; 2.° le Donzelle *, di cui una specie del Mediterraneo, la Donzella zigurella, è notevole: 1 Lat., Labrus; fr., Labre; ingl, Wrasse; ted., Lippfisch. 2 Lat., Julis; fr., Girelle. LABROIDI 345 pel suo colore violaceo, sul quale spicca da ogni lato una fascia aranciata; 3.° gli Insidiatori ', pesci del mare delle! Indie, che possono ad un tratto sporgere la bocca mutandola in un lungo tubo, per afferrare mentre passano gli animaletti che nuotano loro vicino; 4.° gli Scarî, pesci dei mari intertropicali, di cui una specie, lo Scaro di Creta, era stimata singolarmente dagli antichi. Rappresentiamo qui, come tipo della famiglia dei Labroidi, il Fig. 159. Tordo di mare verde e rosso. Tordo di mare verde e il Tordo di mare rosso * (fig. 159), varietà del Tordo di mare comune, detto anche Pappagallo di mare, e che vive nell'Oceano; e nella famiglia delle Donzelle, la Donzella zigurella (fig. 160), pesciolino notevole pel suo bel colore violetto, coi fianchi ornati di una striscia a ghirigoro di color arancio e che vive nell’Oceano e nel Mediterraneo. \ Fr., Felou. 2 Fr., Wiealle verte il primo, e Vieille rouge il secondo. FicuieR. Rettili, Pesci e Animali articolati. fn) ps 346 ORDINE DEGLI ACANTOTTERIGI Becchi a flauto o fistularie. — Faremo menzione anche fra gli Acantotterigi della famiglia dei Becchi a flauto (fig. 161), così Fig. 160. Donzella zigurella. nomata pel lungo tubo che formano sulla estremità del cranio le ossa della faccia. La bocca è collocata all’ apice di questo MII {tIKi] MI Fig. 161. Becco a flauto, o fistularia. tubo: questa particolarità ha valso alla famiglia di cui fa parte questo pesce, il nome singolare che porta. La figura 161 rappresenta la istularia tabaccaria, specie tipo BECCHI A FLAUTO O FISTULARIE 347 del genere Fistularia (da fistula, flauto). Il tubo del muso è lungo e piatto, e dalla natatoia caudale parte un filamento ter- minale, lungo quasi come tutto il corpo. Questa specie della famiglia dei Becchi a flauto è comune nel mar delle Antille; divien luriga fino a oltre un metro; ma la sua carne è coriacea e poco pregiata. Questo pesce vive di crostacei e di pesci più piccoli, che va a cercare sotto le roccie e fra i sassi, mercè il suo muso lungo ed affilato. Terminiamo qui questo breve sunto della storia delle princi- pali specie di pesci viventi oggi, e che potevano meritare l’ at- tenzione del lettore, per le abitudini della loro vita, pel partito che se ne ricava nell’industria, o per la parte che hanno nel- l’alimentazione pubblica. Il primo, dopo Aristotile, che abbia fatto una classificazione razionale del regno animale è Linneo, il quale si fondava nelle sue distinzioni principalmente sul sistema circolatorio : egli divise il regno animale in tre scompartimenti primarii. Anche il Lamarck, a cui l’opera sugli animali senza vertebre, sebbene scritta da più di mezzo secolo, va ancora per le mani degli studiosi come libro da consultarsi ogni giorno, divideva il regno animale in tre scompartimenti, ma partendo da altri cri- terii che non quelli del naturalista svedese; di più fu il primo che sostenesse il principio doversi procedere nelle classificazioni zoologiche dalle forme più semplici alle più complicate. Un grande progresso su tutti i suoi predecessori, come clas- sificatore, segna il Cuvier, il quale divise il regno animale in quattro divisioni primarie: Vertebrati, Molluschi, Articolati e Raggiati, prendendo come punto di partenza il sistema nerveo. Egli è il primo che qualificasse con precisione e denominasse così acconciamente il primo di questi gruppi, quello dei Ver- tebrati: da ciò l’errore molto diffuso che egli contrapponesse i Vertebrati agli Invertebrati come gruppi equipollenti. In ve- rità il Cuvier dava ai suoi quattro tipi un eguale valore, e se il primo è di gran lunga meglio definito e distinto degli altri, ciò non significa che fra questi non passino differenze forse altrettanto grandi. Riguardo al Cuvier, è degno di nota il fatto che il Baer, partendo da considerazioni embriologiche, divideva gli animali in quattro tipi: tipo Periferico, tipo Massiccio, tipo Longitudinale , tipo A simmetria doppia; questi quattro tipi cor- rispondono precisamente a quelli del Cuvier. Molte modificazioni furon fatte dopo alla. classificazione del GCuvier, ma riguardano principalmente il numero dei tipi e lo aggruppamento delle classi, anzichè il valore di queste. Così il Van Beneden divideva già il regno animale in tre tipi, corrispon- denti a quelli di Linneo, mentre il De Filippi ne faceva nove. Anche oggi tuttavia la classificazione del Cuvier è ancora il punto di ritrovo, come quella che servì di base alle posteriori, che in generale estesero il numero dei tipi limitandone i confini. Gli autori odierni stabiliscono sei o sette tipi di animali: il recentissimo trattato del Claus ne fa i seguenti nove: 1.0 Pro- tozoi. 2.° Celenterati. 3.° Echinodermi. 4.° Vermi. 5.° Artropodi. 6.° Molluscoidi 7.° Molluschi. 8.° Tunicati. 9.° Vertebrati. I tre primi corrispondono ai Raggiati di Cuvier; il 4.° eil 5.° corrispondono agli Articolati; il 6.°, il 7.° e 1’8.° ai Molluschi; e l’ultimo ha egual valore nelle due classificazioni. Noi seguiamo in questo volume, secondo che l’esperienza ci consiglia, la classificazione del Cuvier. ANIMALI ARTICOLATI Abbiamo terminato, coi Pesci, la descrizione delle prime quat- tro classi del regno animale, che costituiscono la divisione dei Vertebrati. Veniamo ora alla seconda divisione del regno ani- male, cioè agli Invertebrati. Anche qui si distinguono quattro classi, ma, diciamolo subito, sono fra loro infinitamente meno somiglianti di quello ha luogo nei Vertebrati. Queste classi sono: 1.° Gli Articolati; 2.° Gli Insetti; 3.° I Molluschi; 4.° I Zoofiti. . Si dà a questi animali il nome di Invertebrati perchè man- cano di colonna vertebrale, e, naturalmente, delle sue appen- dici, e le formazioni solide interne, rare in questi animali, sono secrezioni delle parti molli. La mancanza di una impalcatura solida nell'interno del corpo fa sì che gli Invertebrati non pos- sono giungere alle dimensioni che contraddistinguono non po- chi Vertebrati. Il sistema nerveo è negli animali senza vertebre assai poco sviluppato, sopratutto immensamente meno accentrato che nei vertebrati; e per conseguenza la sensitività è in essi molto meno squisita. Manca frequentemente ora questo ora quel senso, talora tutti e cinque, e la vita di relazione viene affidata a una sensi- tività tattile generale: talora invece esiste la funzione, mentre l'organo che la compie ci è affatto ignoto. Il loro canale digerente è più o meno allungato, più o meno complicato per appendici di visceri che cooperano alla digestione, “e variamente diretto, tanto che talora termina e viene ad aprirsi in vicinanza della bocca. Il cuore spesso manca, e in ogni caso la circolazione non è 352 ANIMALI INVERTEBRATI mai tutta chiusa, inserendosi dei seni sanguigni nelle cavità del corpo. La respirazione si compie per branchie o per vasi aerei. Il sangue non è, salvo qualche eccezione, rosso, ed è sempre freddo. Gli Invertebrati o sono sforniti di estremità, o se ne hanno, non sono mai meno di sci. La riproduzione si fa per lo più per ova, talora è vivipara, non raramente assessuale, alternandosi anche talora nella stessa specie l’una e l’altra forma. CLASSE DEGLI ANIMALI ARTICOLATI Gli animali che vengono collocati nella classe degli Artico- ati! sono forniti di caratteri abbastanza bene evidenti per po- terli riconoscere agevolmente alla prima occhiata. Questi ca- ratteri comuni rivelano un disegno generale e uniforme nella loro organizzazione. i La forma generale è in essi simmetrica, cioè le due metà laterali del corpo sono simili. Il corpo è diviso in pezzi e sembra fatto di una serie di anelli collocati uno dietro al- l’altro. Questa disposizione annulare si manifesta in differenti modi. Talora non si svela se non per un certo numero di ripiegature trasversali che fanno il giro del corpo, ma più sovente l’ ani- male è racchiuso in una serie di anelli, sorta di armatura esterna che risulta dallo indurimento della pelle, che protegge le parti molli, fornisce mezzo d’inserzione ai muscoli, e som- mistra a questi organi delle leve che determinano e rendono precisi i movimenti, È uno scheletro tegumentale. A questa forma generale va congiunto un sistema nerveo composto di una doppia serie di piccoli centri midollari, detti gangli, e riuniti in una catena longitudinale, per modo da oc- cupare la massima parte della lunghezza del corpo. Una pic- cola massa gangliare posta nel capo, e che somiglia al cervello degli animali superiori, sembra. compiere le stesse funzioni che compie in questi ultimi ?. 1 Lat., Annulata; ted., Geringelte ; ingl, Annulates ; Îr., Articules. 2 L’analogia del cervello negli articolati con quello dei vertebrati è più fisiologica che anatomica: in verità la conformazione e la strut- tura di quest organo differiscono grandemente nei due scompartimenti del regno animale. (Nota del Trad.) Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 45 354 | ANIMALI ARTICOLATI Aggiungiamo che esiste sempre un canale alimentare !, prov- visto di ingresso e di uscita distinti, che in generale i mem- bri sono numerosissimi, che il sangue è quasi sempre bianco e l'apparato della circolazione piuttosto incompleto, e avremo menzionato i caratteri generali proprii degli animali che com- pongono la classe degli articolati. Quando faremo la storia degli esseri che ci sembreranno più degni di una speciale menzione, diremo delle particolarità di organizzazione di ogni gruppo degli animali articolati. Prima di descrivere queste creature, è necessario far cono- scere la loro metodica distribuzione, vale a dire esporre il modo in cui furono classificati. Fra gli Articolati ve ne sono taluni sprovvisti di mezzi di lo- comozione, e il loro sistema gangliare è poco sviluppato o ru- dimentale: sono i Vermi (Rotiferi, Elminti, Sanguisughe). Altri hanno il corpo fornito di organi di locomozione, e il loro sistema gangliare è sviluppatissimo: sono i Crostacei (Gam- bero, Granchio, Aragosta), caratterizzati da un invoglio duro e resistente. Una terza tribù si compone degli Aracnidi, animali senza scaglia esterna dura, che respirano per polmoni o per trachee (Ragno, Scorpione). L’ultima tribù è fatta di un piccolissimo numero di animali caratterizzati specialmente dal numero notevole di piedi o zampe, onde il loro nome di Miriapodi (Scolopendra, Iulo). Distribuiremo quindi gli animali articolati in quattro tribù: 1.0 I Vermi. 2: I Crostacei. 3.° Gli Aracnidi. 4.9 I Miriapodi. 1 Questo ha luogo nella grandissima maggioranza dei casi, esistono tuttavia delle eecezioni a questa regola, quali ci presentano i cestodi e anche aleuni pochi rotiferi. (Nota del Trad.) Dali ROTATORI da TRIBU DEI VERMI La tribù dei Vermi' si compone di tre gruppi naturali, 0 sottordini: i Rotiferi, gli Elminti e gli Anellidi. Rotatori 2. — I Rotatori sono per la massima parte esseri tanto piccoli che prima della scoperta del microscopio la loro esi- stenza si supponeva appena. Per lungo tempo vennero scam- biati cogli infusorii; ma Ehrenberg pel primo dimostrò che la loro organizzazione è molto più complicata. I rotatori sono in parte rivestiti di un tegumento più o meno flessibile, e possono ricovevarsi, contraendosi, nella parte me- diana di questo tegumento. Per questa loro proprietà Dujardin aveva dato loro il nome di Sistolidi (dal greco sistello, io mi contraggo). La loro pelle è liscia e salda. In parecchie specie delle incisioni annulari di questa pelle fanno apparire il corpo articolato totalmente o in parte. Molti hanno un invoglio cutaneo tanto spesso e rigido che costituisce una scaglia. Ai tegumenti talora sono attaccate varie appendici, come unghie, peli cornei, spine, punte. Il corpo termina spesso in una coda, fornita di due punte artico- late, mobili, suscettive di agglutinarsi momentaneamente ai corpi solidi. È una sorta di piede, che serve di sostegno all'animale. Il carattere più spiccato di parecchie di queste singolari crea- ture è un apparato ciliare, vibratile, più o meno dilatato o espanso intorno alla bocca, consistente in lobi carnosi che pos- sono, a piacimento dell’ animale, espandersi, come i petali di un fiore. Il loro contorno è munito di ciglia vibratili di cui il movimento, specialmente nei Rotiferi e nei Brachioni, produce l’ apparenza di due ruote d’ incastro giranti in senso contrario con somma velocità. Da ciò il nome di rotatori che venne dato all’intero gruppo. Tutti gli antichi micrografi avevano notato con ammirazione 1 Lat., Vermes; fr., Vers; ingl, Worms; ted., Wiirmer. 2 Lat., Rotatores; ted., Raderthiere ; fr., Rotateurs. — Si chiamano cor- suetamente Rotferi questi animali, ma l'A. dà quest’ultimo nome ad un gruppo particolare, più ristretto, di essi, (Nota del Trad.) , Sao a TRIBÙ DEI VERMI questo fenomeno. Venne spiegato in varii modi. Dujardin fece osservare che ciò non è che un effetto d’ intersezione delle ciglia che si sovrappongono inchinandosi successivamente le une dopo le altre nello stesso senso. Del resto in molti rotatori le ciglia vibratili in moto non prendono l’aspetto di ruote mo- bili. La bocca è sempre collocata fra gli organi rotiformi, per modo che il vortice che producono va a riuscire direttamente alla bocca, e l’animale inghiotte o rigetta a suo piacimento i corpi solidi che sono trascinati in tale vortice. Questa bocca, che è munita di mascelle e di denti, è ampia e contrattile: ha . la forma di un imbuto o di una campana. L’intestino percorre in linea retta tutta la cavità del corpo. Certi autori hanno creduto di poter attribuire a questi esseri imperfetti un cuore e un sistema vascolare sanguigno. Sembra invece che tutti gli organi siano bagnati direttamente dal suco nutritivo che trapela dalle pareti dell’ intestino. Dei vasi spe- ciali sembrano incaricati della respirazione, alla quale gli or- gani rotatorii partecipano grandemente; infatti, le loro ciglia cagionano un pronto rinnovamento dell’ acqua, sempre carica di aria respirabile, e la loro superficie è ricoperta di un sottile epitelio. I rotatori non si riproducono nè per scissione nè per gemme: alcuni sono ovipari, altri vivipari. Questi animali sono talmente piccoli che il loro sistema nerveo è generalmente appena percettibile. Tuttavia si è con- cordi nel riconoscer loro un apparato visivo. Per lo più con- siste in un punto oculare semplice o doppio, collocato dietro al capo. Talora, ma più raramente, si riduce a tre o quattro punti rossi posti sulla fronte. Certe specie di rotatori presentano fenomeni fisiologici vera- mente prodigiosi e, si può invero dire, inesplicabili, che espor- remo con-cura. Dujardin ha fatto quattro grandi divisioni nei Rotatori: 4.° Quelli che vivono fissati per l’ estremità posteriore del COrpo ; 2.° Quelli che hanno un solo modo dì locomozione per mezzo delle loro ciglia vibratili, e sono sempre nuotatori; 3.° Quelli che hanno due modi di locomozione, e sono ta- lora striscianti a mo’ delle sanguisughe, e talora nuotatori come i precedenti ; 4.° Quelli che, sprovvisti di ciglia vibratili, ma provvisti di unghie, sono veri camminatori. I Meticerti (fr., Melicertiens) sono collocati nella prima divi- ROTATORI do sione. Hanno il corpo campaniforme, portato da un peduncolo carnoso, estensibile e contrattile, isolato o collocato in un tubo. Sul davanti e intorno alla bocca si trova una larga membrana a imbuto e a tenda, orlata di ciglia vibratili, di cui il movi- mento promuove dei vortici nell’ acqua e produce ordinaria- mente l’aspetto di una o parecchie ruote dentate. La loro bocca è munita di mascelle a mo’ di staffa a tre o più denti. La seconda divisione è molto più numerosa. Comprende ani- mali dal tegumento interamente flessibile, e altri di cui il te- gumento è in parte solido e costituisce una corazza. Fra i rotatori nuotatori corazzati menzioneremo i Brachioni (fr., Brachions). Se ne trovano moltissimi nelle acque dolci e a, NOS a, bocca e faringe munita di denti; b, glandole salivari? €, intestino ; d, e, un uovo; f, embrione. Fig. 162. Rotifero Fig. 165. Alcuni Roliferi (piccolo ingrandimento). nel campo del microscopio. nell’ acqua di mare, fra le erbe. Sono quasi tutti abbastanza voluminosi per essere veduti ad occhio nudo. Il loro guscio è fatto a mo’ di otricolo depresso o di guaina corta. È dentato sul davanti e largamente aperto, per lasciar passare una coda, terminata da un paio di stili articolati. Le mascelle sono digitate, e sopra a queste si scorge un puntino rosso che somiglia a un occhio. L’ animale porta per lungo tempo un uovo enorme alla base della coda. Fra i rotatori nuotatori a tegumento molle ci contenteremo di menzionare le /datine 1, dal corpo diafano, terminato posterior- mente da due brevi dita, dal largo imbuto ciliato, dalle ma- scelle digitate o con parecchi denti. Una specie, lunga da 1 Lat., Hydatinea ; fr., Hydatines; ted., Krystallfischen. 358 TRIBÙ DEI VERMI m. 0,50 a m. 0,75, e quindi visibile benissimo a occhio nudo, si incontra copiosamente nei fossi e nei solchi ove vivono, in primavera e in autunno, le Euglene e altri infusorii verdi. Du- jardin la trovò costantemente a Montrouge e a Batignolles, al sud e al nord di Parigi, in novembre e dicembre. Le due ultime divisioni dei rotatori non comprendono ognuna che una sola famiglia. Pei rotatori nuotatori e striscianti è la fa- miglia dei Aotiferi, e pei rotatori camminatori, la famiglia dei Tardigradi. I Rotiferi! sono animali dal corpo fusiforme, sottile nella parte anteriore, terminato posteriormente da una coda composta di parecchi articoli, munita di un paio o di parecchie paia di dita o di stili carnosi sugli ultimi articoli. Per uno strano fenomeno, la parte anteriore del loro corpo presenta un doppio aspetto secondo l’uno o l’altro modo di lo- comozione. Nello stato ordinario, questa parte termina con un tubo ciliato, mercè il quale l’animale si attacca ai corpi solidi per compiere un movimento di strisciamento. Ma se vuol mu- tare andatura, lo si vede ad un tratto tirar dentro questo tubo carnoso e fare uscir fuori due lobi arrotondati a mo’ di petali, orlati di ciglia vibratili e che si potevano distinguere già nel primo stato, attraverso ai tegumenti, come due dischi collocati in mezzo all’intervallo fra le mascelle e l'estremità del tubo. Quando l’animale spiega questo nuovo sistema locomotore, cessa di strisciare; rimane attaccato coll’ estremità della coda, producendo un doppio vortice nel liquido; oppure, abbando- nando il punto cui è attaccato, nuota liberamente nell’ acqua per mezzo di questo vortice. I rotiferi hanno due o parecchi punti rossi oculiformi e delle mascelle a staffa. Le specie di questi animali sono abbastanza numerose. Fra esse va distinto il Ztotifero comune? comunissimo in ogni paese, lungo da mezzo millimetro a un millimetro quando è più al- lungato, munito di organi ciliati rotatori larghi un decimo di millimetro circa, e caratterizzato dalla posizione dei suoi due punti rossi molti vicini all'estremità anteriore. i I Tardigradi furono molto accuratamente studiati da Doyère. Non possiamo dilungarci qui intorno alle osservazioni anato- miche e fisiologiche curiosissime che la scienza deve a questo naturalista. Ci limiteremo a far osservare che, secondo le os- servazioni di I)oyère, la forma e i rapporti del sistema nerveo, 1 Lat., Rotiferi ; fr., Rotifères: ingl., Rotifers; ted., Raderthiere. 2 Lat., Rotifer; fr., Rotifère; ted., Riisseldrichen. ROTATORI 359 appena indicati negli altri gruppi dei rotatori, sono apprezza- bilissimi nei Tardigradi. Doyère ha distribuito le varie specie di tardigradi in tre generi: il genere Emidia 1, il genere Milnesia ® e il genere Macrobioto *. La Emidia testuggine è di color rosso terra di Siena. Vive nel musco che copre i tetti di tegole-ed è comunissima a Pa- rigi. Ha movimenti lentissimi. La Milnesia tardigrada abita nel musco dei tetti; ha movi- menti vivacissimi. Il Macrobioto è trasparente e al tutto incoloro. È la specie fra tutte la più comune. Si trova in tutti i muschi che crescono sul tetti, sui muri, sulle pietre isolate; al piede degli - al- beri, ecc. I limiti di questo lavoro non ci permettono di estenderci in molti particolari intorno a questi curiosi animaletti. Del resto, dobbiamo richiamare l’attenzione del lettore sopra questi ani- mali per un altro riguardo. Infatti, se ci è sembrato acconcio destinare un capitolo alla storia dei Rotatori, si è che due fra i membri di questa micro- scopica falange di Articolati sono la sede dei fenomeni più strani che sia stato concesso all’uomo di osservare, Questi fe- nomeni hanno suscitato sperimenti memorabili, ardenti discus- sioni, perchè sollevano il misterioso e imperscrutabile problema della vita e della morte. Spiegamoci. I Rotiferi disseccati sem- brano morti e persistono in questo stato per parecchi anni; ma se si restituisce loro un po’ di acqua, ricominciano a fare mo- vimenti vivacissimi e tornano a compiere tutti gli atti della vita. Se si privano di acqua colla evaporazione, ricadono nel loro stato di morte apparente; stato dal quale si possono to- gliere aggiungendo loro dell’acqua. Questa alternativa di morte e di risurrezione apparente può ripetersi un numero indefinito di volte. ; È questo fenomeno, noto col nome di risurrezione dei rotiferi e dei tardigradi, che dobbiamo studiare qui con qualche par- ticolare. Il 2 ottobre 1701, il celebre micrografo Leuwenhoeck, avendo avuto la curiosità di mettere in un tubetto di vetro contenente acqua un po’ di un residuo disseccato che aveva raccolto in una grondaia, rimase sorpreso vedendo, meno di un’ ora dopo, un 1 Lat., Emydia ; fr., Emydie. 2 Lat., Mulnesia ; fr., Milnesie. 5 Lat., Macrobiotus ; fr., Macrobote. 360 TRIBÙ DEI VERMI gran numero di rotiferi che stavano nuotando nell’ acqua del tubo, o strisciando contro alle sue pareti. Alcune ore dopo il numero era tre o quattro volte più notevole. Needham, Baker e altri naturalisti ripeterono questo sperimento, e risposero talora affermativamente, talora negativamente .alla questione se certi animali possono tornar vivi dopo d’essere stati disseccati, e se questa disseccazione sia o non sia la morte. Nel 1776, Spallanzani riprese la questione, e la sottopose a sperimenti razionali, decisivi, servendosi con una notevole sa- gacia di tutti i mezzi di investigazione che potevano sommini- strargli la fisica e la chimica dei suoi tempi. Le osservazioni di Spallanzani sono argomento di un capitolo importante dei suoi Opuscoli di fisica animale e vegetale. Cre- diamo di far cosa grata ai nostri lettori dando un’analisi di questo notevole lavoro di Spallanzani. Il fisiologo italiano comincia col descrivere accuratamente dei Rotiferi che aveva preso nella sabbia di una grondaia. Egli mette tre di questi animalucci, con un po’ di sabbia, in una goccia d’acqua sopra una lastra di vetro e osserva. « Finchè la goccia si mantenne vigorosa i tre rotiferi si movevano spe- ditamente, recandosi per ogni dove, e frugando col muso in mezzo al- l'arena, e scommovendola tutta, quasi che s'aggirassero in busca di cibo, senza però mai oltrepassare i confini del fluido, avvicinandosi ai quali retrocedevano tostamente. Ma subito che la goccia cominciò a venir meno per lo svaporamento , i rotiferi rallentarono il moto, e il rallentamento crebbe sempre di più, finchè, disseccatasi quasi del tutto la goccia, la- sciarono tutti e tre di muoversi localmente. Proseguirono ciò non ostante, restando però fitti nel medesimo sito, a contorcersi e ad allungarsi mas- sime nella coda e nel capo, le quali due estremità ora escivano dal corpo, ora vi si seppellivano dentro, ed infine vi rimasero totalmente sepolte, seccata che fu del tutto la goccia. I tre rotiferi adunque can- giaron di aspetto, non solo riguardo al perdere ogni moto e ogni appa- renza di vita, ma rispetto anche all’essersi fortemente. sminuiti di gran- dezza, e l’aver mutata figura, divenuti essendo tre piccoli corpicciuoli sformatissimi, nè più riconoscibili per quelli ech'erano prima. « In questo stato di morte apparente li lasciai un'ora, o in quel torno ; poscia feci cader su la goccia svaporata una goccia della medesima acqua. I lettore può bene immaginarsi l’attenzione che io vi prestai per veder se accadeva questa decantata risurrezione. L’ esito fu in effetto quale appunto vien predicato. Di li a qualche minuto i tre rotiferi si eran fatti più semidesti, indi si appuntaron da un lato ; la parte appuntata cominciò a muoversi allungandosi a vicenda e accorciandosi, ben presto si appun- tarono dal lato opposto, movendosi somigliantemente questa seconda parte appuntata; nè vi volle molto ad accorgersi che le due parti in punta erano la testa e la coda dell'animale che a poco a poco si strin- ROTATORI 361 gevano ed uscivan dal corpo, entro cui, come dianzi dicemmo, al pro- sciugarsi della goccia si erano inmerse e nascoste. Ricompariti pertanto gli anelli trasversali, le linee longitudinali unitamente al restante degli organi sì esterni che interni, i tre rotiferi acquistata che ebbero la pri- miera forma e grandezza, lo che avvenne in brevissimo tempo, si diedero come prima a strisciar sull’ arena, e a recarsi qua e là con meravigliosa prestezza, dando così a vedere d'esser tornati vivi, vivissimi, arci- vivissimi » !. Spallanzani ripetè gli stessi sperimenti sopra della sabbia prosciugata e conservata per lo spazio di quattro anni. Al ri- bagnarla risorsero allora allora prontamente i rotiferi, ag- giunge il citato autore. Fece prosciugare undici volte la stessa sabbia e la bagnò lo stesso numero di volte. « .....Nè nulla importa se risorti sieno più di una volta. Ma ho avuto chiaro argomento facendo seccare per undici volte l'arena, e ribagnandola per altrettante, sempre con la morte de’rotiferi nel disseccamento e con la vita nel rammollimento di essa arena. « Questi fatti vogliono però intendersi con la dovuta modificazione Quantunque iteratamente risorgano i rotiferi, e a lungo anche lasciati in secco, certa cosa è però che fassi sempre più piccolo il numero dei ri- sorgenti, così in ragione delle replicate bagnature come del tempo che secca rimane |’ arena. Vero è che all’ undecima volta si ebbe il loro risorgimento; ma laddove nelle prime volte risorgean copiosissimi, si fecero meno abbondanti in seguito e in quell’ ultima volta si vedevan rarissimi. Debbo aggiungere, che accresciuto il numero delle bagnature alla sedicesima volta non ne risorse più un solo » 2. Spallanzani osserva, inoltre, che il numero di quelli che ri- sorgono è tanto minore quanto più lungo è il tempo trascorso da che la sabbia è asciutta. Il fatto del ritorno alla vita una volta ben riconosciuto in . queste circostanze, l’illustre osservatore si accertò che l’ azione della temperatura non era senza influenza, vale a dire che l’a- cqua abbastanza calda produceva la risurrezione più prontamente che non l’acqua alle temperatura ordinaria. Spallanzani fece un’altra curiosissima osservazione. Vide che se manca la sabbia nell’acqua che contiene i Rotiferi, la prosciu- gazione gli uccide. Non riprendono {più la loro forma nè i loro movimenti quando vengono nuovamente inumiditi. « Ma come mai può tanto la semplice mancanza di arena? D' altra parte qual connessione, qual fisico rapporto evvi mai tra la presenza ' Opere di Lazzaro Spallanzani, Milano 1826, vol. VI, pag. 487. 2 L. c., pag. 489. Fieuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 46 362 TRIBÙ DEI VERMI Loi dell’arena e il risorgimento dei rotiferi? La cagione influente su tal fenomeno non dovrebbe riporsi in tutt altro, e solo dirsi che l'arena tenesse luogo soltanto di estrinseca condizion semplicissima? Osservo che quando i rotiferi perisecono dove non è arena, i loro corpi allo svaporar dell’acqua sentono l’immediato agire dell’aria. AI opposto ne vanno esenti, o almeno non lo senton sì vivo, allora quando sen muoiono ravvolti nell’ arena. Ciò presupposto, si potrebbe mai dire che l'immediata azione dell’aria urtando con lo sfiancante suo impeto e fla- gellando quei corpicciuoli, che per non essere ancora disseccati sono tenerissimi e delicatissimi, li rendesse inabili, per l’alterazione o sconcerto prodottovi, al futuro risorgere ? » # Se si riflette su questa morte dei Rotiferi e si compara colla morte apparente degli animali che cadono in letargo, in terra o sott'acqua, o sotto al gelo; riconoscendo che in questi Roti- feri le parti solide si contraggono e si sformano, le fluide sva- porano affatto e tutto il corpo dell'animale riducesi a un in- forme atomo di materia seccata e indurita, che forata da un ago si spezza in più particelle alla maniera di un sale, Spal- lanzani esclama: « Ma come mai quest’atomo di materia, dove le parti solide non con- servan più vestigia di quel morbido, di quel pieghevole che avevan prima, e dove le parti fluide più non esistono; come, dico, in quest’atomo inaridito e sformatissimo immaginerem noi che rimanga un principio di senso e di vita?.... Concludiamo adunque, e concludiamolo fondatamente, che ne’ rotiferi già fatti aridi smunti.... rimane tolta per intero la vita, non solo per essersi distrutto il vicendevole agire tra solidi e fluidi, ma perchè questi per lo svaporamento più non ci esistono e perchè quelli col disseccarsi e indurire perduto hanno lo stato naturale dei solidi. » Spallanzani fece sui Rotiferi altre notevoli osservazioni. Ri- conobbe che questi animalucci conservavano nella sabbia asciutta la loro proprietà di tornare in vita fino a una temperatura di + 70° centigradi, mentre la perdevano passati i + 500, se la sabbia era umida. Vide che si potevano gelare e raffreddare a — 24°, senza che perciò tornassero meno prontamente in vita appena il ghiaccio si era sciolto. Vide che potevano risorgere nel vuoto, ma più lentamente e in minor numero che non nell'aria, e che quelli i quali non risorgevano nel vuoto po- tevano risorgere nell’aria. Vide ancora che se l’aria non è as- solutamente necessaria al loro risorgere, è indispensabile pel mantenimento della loro vita. Vide finalmente che certi liquidi convengono ai Rotiferi e altri sono loro nocevoli. I Ie paro: ROTATORI 363 « Per liquori vantaggiosi si vogliono intender quelli che li fanno ri- sorgere, e che risorti li conservano in vita. Tali sono l’acque de’ pozzi, de’ fiumi, del ghiaccio, della neve, l’acqua piovana, la stillata, quella de’ fossati, delle paludi, degli stagni, l’acqua fetente de’ fanghi e de’ con- cimi. Dal che si tragge che io intenda per liquori svantaggiosi. Vengono in questa classe l’acqua impepata, l’ impregnata di sal nostrale, di sal- gemma, di vetriolo, l’ inzuccherata, quella in cui è stato espresso il sugo di cipolla o d'aglio, l’orina, l'inchiostro, il vino, l’agresto, gli oli di oliva e di noci, l’acquavite, l’aceto, ecc. Intrisa dunque in ciascuno di tai li- quori l’arena a rotiferi, non è mai che ne abbia veduto risorger pur uno. Così se in ciascuno di que’ liquori faceva passare i risorti rotiferi , im- mantinente 0 poco appresso perivan tutti. « Certi odori penetranti e forti sono per egual maniera fatali ad essi. Tale sì è l’odor della canfora, il quale purchè sia tirato a lungo, priva di vita i già risorti, e fa che i disseccati più non rivivano. L’odore del- l’olio di trementina produce soltanto il primo effetto; ma se questo odore si rende più energico coll’usare il fumo di ess’ olio acceso, spoglia anche i rotiferi dell’ abitudine al risorgere. Produce l’uno e l’altro il fumo del zolfo e della canfora accesi. Il fumo del tabacco in foglia reca soltanto la morte ai rotiferi risorti » !. Ecco i delicati e ammirevoli sperimenti che Spallanzani fece sui Rotiferi. E non si fermò a questo punto. Aver veduto molto e bene era incitamento a vedere ancora e dare nuove prove di quello che può fare una meravigliosa sagacia aiutata da una instancabile pazienza ’. Nella seconda parte della sua memoria, Spallanzani molti- plica le sue osservazioni intorno ai Tardigradi. Egli descrive accuratamente questi animali, li sottopone a mille sperimenti, nota momento per momento tutta la serie dei fenomeni di cui questi piccoli e meravigliosi organismi sono sede, prevede tutte le obbiezioni e risponde a tutte. Non daremo l’analisi di questa nuova memoria, ma non pos- siamo resistere al desiderio di riprodurre qui le poche linee che servono d’introduzione a questo lavoro, poichè mettono in luce talune considerazioni che sono in certo modo disdegnate da coloro che hanno proscritto la storia naturale dal programma i L. c., pag. 518. 2 Osservazioni e sperienze intorno ad alcuni prodigiosi animali che è in balta dell’ osservatore il farli tornare da morte a vita. L. c., pag. 479. Questa memoria è divisa in due sezioni: la prima, da cui furon tolte le citazioni su riferite, è intitolata Il Rotifero; la seconda, quella di cui si parla ora, ha per titolo: Il tardigrado, le anguilline delle tegole e quelle del grano rachitico. (Nota del Trad.) 364 TRIBÙ DEI VERMI degli studii dei licei di Francia, coloro che si ostinano a tener chiuso il libro della natura agli occhi della gioventù. « L'arena delle tegole e il fango dei fossati e dei paduli, che dal non pensante vulgo si reputano quali sterili materie abbiettissime, divengono per l'osservatore filosofo un oggetto di meraviglia per le rare e pelle- grine cose che sa trovarci dentro. Ai fossati e ai paduli siam debitori dei polipi a braccio, a mazzetto, a imbuto, a bulbo, a massa, a pennacchio. Quivi hanno lor sede i vermi d’acqua dolce, i lombrichi a battello, i millepiedi a dardo, animali tutti che hanno stordito il mondo per le lor meraviglie, e che tutto insieme lo hanno arricchito di una novella filo- sofia. L'arena delle tegole se non altro albergasse che il rotifero, non sarà per questo meno illustre e meno famosa. Un animale che dopo d'essere perito risorge, e che dentro certi limiti, tante volte tisorge quante a noi piaccia, è un fenomeno quanto inaudito, altrettanto a prima vista inverosimile e paradosso, che mette in moto e sconvolge le idee più ricevute dell’animalità, che ne fa nascer delle nuove, e che diviene interessantissimo alle ricerche non meno dell’oculato Naturalista, che alle speculazioni del profondo Metafisico. Ma questo seme cresce di pregio e di celebrità col dar ricetto ad altri animali al pari del rotifero nobilitati della facoltà del risorgere, di maniera che sembra potersi dire che tutti quelli che nutre in seno sieno destinati a vivere immortali » 1. Si sarebbe potuto credere chè il fatto del prosciugamento as- soluto e della risurrezione dei Tardigradi e dei Rotiferi fosse, dopo i meravigliosi sperimenti di Spallanzani'!, definitivamente acquistato alla scienza e superiore a ogni discussione. Nondi- meno si trovarono dei naturalisti, Bory di Saint-Vincent e Blainville, che, non potendo comprendere cosiffatti fenomeni, osarono negarli a priori e a posteriori, in seguito a osservazioni superficiali e mal fatte. Doyère, nel 1842, volle rispondere a queste critiche e risol- vette di riprendere gli sperimenti di Spallanzani, con mezzi di osservazione abbastanza accurati per formare una base di con- vincimenti incrollabile. « Allorchè esposi, dice Dovère nella sua Memoria intorno ai Tardigradi, gli animali risuscitanti alla evaporazione, sia nell’acqua pura, sia nella sabbia, all'aria aperta, in un’ aria asciutta o nel vuoto, li vidi sempre disseccarsi, e disseccarsi in modo assoluto, e nella massima parte dei casi questo prosciugamento , per quanto fosse spinto in là, non li privava della facoltà di tornare in vita quando rendevo loro l’ umidità, senza la quale non possiamo concepire che sia possibile nessun mecca- nismo animale. La forma più semplice e più decisiva che si possa dare LL. C:, pag: 52% ROTATORI 265 allo sperimento è quella di collocare una Emidia o un Macrobioto sopra una lastra di vetro in una gocciolina di acqua distillata e lasciar sva- porare all’aria aperta la gocciolina e l’animale che contiene. Vi si trova sopratutto il vantaggio di poter seguire col microscopio i progressi del prosciugamento e dell’essiecamento dell’ animaluccio e dei suoi invogli. La gocciolina d’acqua è appena svaporata che esso non presenta più che l'aspetto di una lastricina trasparente, sottile e rugosa, ove si riconoscono tutt’ al più alcune tracce delle forme primitive... Questa lastricina si spezza al menomo urto, e Spallanzani ne diede un’ idea giusta comparandola a un granello di sale secco. L'azione del compres- sore non ne fa scaturire liquido di sorta, non vi s. può scorgere traccia alcuna di umidità, nè di uno stato vitale qualsiasi. Ova in questo stato l’animaletto non ha perduto, come si è detto, la facoltà di tornare in vita. » Fig. 164. Animali considerati come risuscitanti. A, Tard:grado. B, Rotifero. C, Anguillula. Doyère spinse il disseccamento ancora più in là. Mise dei Tar- digradi nel vuoto seccato coll’acido solforico, e lo mantenne per quattro giorni. In capo a questo tempo inumidì i residui degli animalucci, e trenta ore dopo parecchi di essi erano tornati vivi. Da un altro sperimento Doyère trae questa conclusione : « In tal modo, degli esseri animati che vengono prosciugati all’ aria aperta in pochi secondi, possono tornare in vita dopo d’essere rimasti durante diciassette giorni in un’aria senza umidità, alla pressione ordi- naria, e dopo ventotto altri giorni in una atmosfera parimente secca e di cui la tensione non eccedeva cinque o sei centimetri. Ora non ho dubbio alcuno che in seguito a questa prova essi non abbian dovuto giungere alla assoluta mancanza di qualsiasi umidità chimica, » Doyère non si contentò di questi sperimenti, già molto de- 366 TRIBÙ DEI VERMI cisivi. Prese dei muschi contenenti dei Rotiferi, fece seccare questi fino a che una dimora di ventiquattro ore nel vuoto asciutto non facesse più perdere loro alcun peso; ravvolse con questo musco contenente Rotiferi la pallina di un termo- metro messo in una stufa, e potè far salire la temperatura della stufa fino a che il termometro segnasse + 120° a +, 125°, senza che tutti gli animalucci, che i muschi contenevano, aves- sero perduto la facoltà di rivivere. Come spiegare gli strani fenomeni da noi ora analizzati? I Rotiferi, i Tardigtadi seccati, sono essi animali morti ? Puossi chiamare risurrezione il loro tornare in vita sotto l’azione dell'umidità ? I Tardigradi seccati, vale a dire privi del mezzo nel quale si manifesta all’ esterno la vita loro con degli atti, non posseggono forse la vita allo stato latente? E quando si restituisce loro questo mezzo liquido, questa vita oscura e latente non si manifesta essa con fenomeni esterni ? Quanto è ardua la soluzione di un cosiffatto problema! Contentiamoci di aver riconosciuto questi fatti prodigiosi, che eccitano la nostra meraviglia e la nostra ammirazione, e sem- brano voler sfidare l'intelligenza umana. La fig. 164 rappre- senta il Tardigrado e il Rotifero intorno ai quali sperimentò specialmente il Doyère. Dopo i lavori del Doyère, vennero fatte altre ricerche speri- mentali intorno alla risurrezione dei Rotiferi. Il naturalista Pouchet fece una lunga serie di sperimenti su questo argo- mento, volendo combattere la opinione che afferma la sospen- sione della vita nei Rotiferi seccati, e dimostrare che gli speri- mentatori non fecero, come dice egli, se non risuscitare degli animali che non erano morti. Nondimeno Pouchet non fece altro che confermare le osservazioni dei predecessori, quando voleva contraddirli. Egli ripetè gli sperimenti di Spallanzani e di Dovère, senza mutarvi nulla, e non potè ottenere nessun’ altra interpretazione. Egli ha preteso che gli animali che tornavano in vita non erano morti. i Era un voler fare un giuoco di parole. Il fatto del ritorno del movimento in quegli animali dopo la sua cessazione per via del disseccamento è una cosa certa, incontestabile. Chia- matelo come volete, ciò non toglie che sia molto straordinario, e questo è tutto quello che hanno voluto dire lo Spallanzani e il Doyère. Il signor Broca ha fatto un sunto notevole dei lavori pubbli- cati dal Doyère e dal Pouchet intorno a questo argomento. La Società di Biologia di Francia avendo voluto illuminarsi ELMINTI 0 ENTOZOI 367 sui valore degli sperimenti del Pouchet e su quello dei lavori del Pennetier, professore a Rouen, che aveva, come il Pouchet, fatto numerosi sperimenti sui Tardigradi, sui Rotiferi e sulle Anguillule ', il signor Broca riassunse gli sperimenti della Commissione della Società di Biologia in una notevole rela- zione intitolata Etude sur les animaux ressuscitants (in-8, Pa- rigi, 1860). La Commissione della Società di Biologia aveva moltiplicato gli sperimenti sulla risurrezione dei ‘l'ardigradi, dei Rotiferi e delle Anguillule. Riconobbe che i Tardigradi e le Anguillule resistono meno bene al disseccamento nel vuoto che non i Rotiferi; ma per questi ultimi animali non potè che con- fermare l’esattezza delle osservazioni di Spallanzani e di Doyère. Gli sperimenti riferiti nel lavoro del signor Broca non spie- gano meglio di quanto si facesse un tempo lo strano fenomeno della morte apparente e della risurrezione dei Rotiferi, e rico- noscono l’esistenza positiva di questo fenomeno. Elminti o Entozoi. — Si dà il nome di Elminti 0 Entozoi * a una divisione di Vermi che vivono entro il corpo degli ani- mali o dell’uomo, attaccati ai tessuti e nei liquidi organici. Gli Elminti non hanno nessun organo di locomozione. Non hanno neppure delle appendici che possano tenerne luogo. Non possono fare che qualche debole movimento contraendo la pelle. Il loro sistema nerveo si compone di masse gangliari e di fila- menti sottili e delicati, di cui la disposizione varia secondo le specie, e che per lungo tempo sfuggirono alle investigazioni degli anatomici *. Gli Entozoi sono interamente sprovvisti di organi dei sensi 4. Non hanno traccia di occhi, di orecchi e di organi del gusto e dell'olfatto. Soltanto la loro pelle sembra essere sede di un tatto più o meno delicato. In questi Vermi gli organi della digestione sono apprezzabili. { Lat., Anguillula; fr., Anguillule; ted., Aelchen. 2 Lat., Entozoa o Helmintes; fr., Helminthes; ingl., Intestinal worms; ted., Eingeweidewirmer. f 5 La presenza costante di un sistema nervoso non è neppur oggi di- mostrata con certezza: nei Cestoidi fu descritta come ganglio cerebrale una piccola nodosità appiattita che si trova nel capo, e che manda dei filamenti alla proboscide: ma ciò è ancor dubbio. (Nota del Trad.) 4 Esistono vermi parassiti che, nello stato embrionale, sono provveduti di macchie visive con o senza corpo rifrangente la luce. (NdT) 368 TRIBÙ DEI VERMI Questi organi presentano due principali modificazioni. Nella prima, che si osserva negli Ascaridi e negli Ossiuri, il canale intestinale ha due aperture distinte: una anteriore, o boccale, l’altra posteriore, o anale. Questo canale si estende dall’uno al- l’altro orifizio senza formare circonvoluzioni; non presentando nè esofago nè stomaco distinti, nè intestino propriamente detto. La bocca è una semplice apertura terminale, sfornita di labbra; non v’'ha nè fegato nè pancreas !. Nel secondo tipo di organizzazione (Tenie, Botriocefali), il canale digerente non ha che una sola apertura, che mette capo a un breve esofago, al quale tengon dietro dei lunghi tubi flessuosi, stesi per tutta la lunghezza dell’animale, ove talora si perdono, senza presentare apertura di sorta. V’ ha finalmente degli Entozoi, nei quali non si osservano nè organi digerenti, nè alcun altro organo funzionale. Tali sono generalmente i Vermi vescicolari. i Non si conoscono organi respiratorii degli Entozoi. Segue la respirazione senza dubbio per tutta la superficie della pelle. Pa- recchi Entozoi, come le Fasciole o Distomi, hanno un sistema circolatorio sviluppatissimo. Questo sistema si compone di tre vasi che si estendono in tutta la lunghezza dell’animale e che comunicano insieme mandando ramificazioni in tutte le parti del corpo. Questi vasi si riuniscono inferiormente in una sorta di ampolla che si considera come il serbatoio del succo nu- tritivo ?. Animali costrutti in tal modo non possono essere altro che parassiti; non possono a meno di attingere da altri esseri, alle spese dei quali vivono, le sostanze nutritive belle e fatte. Gli Entozoi nascono quasi tutti da uova, ma taluni sono vivipari. Un gran numero vanno soggetti a trasformazioni prima di giungere allo stato completo del loro sviluppo. Certe specie non compiono tutte le fasi del loro sviluppo se non vi- vendo successivamente entro varii animali. i Non è da far meraviglia se manca qui il pancreas, ghiandola della digestione che manca a tutti gli invertebrati, anche nei più complicati, là dove tutti i sistemi della vita vegetativa, e in particolare quello della digestione, raggiungono una grande perfezione. (Nota del Trad.) 2 Convien notare che questo sistema non consta di vasi a pareti di- stinte, ma è solo un sistema di lacune nel parenchima del corpo, e rap- presenta un sistema di escrezione e non un appparato circolatorio : pertanto il liquido che vi circola non ha nulla che fare col sangue, o qualsiasi succo nutritivo. (Nota del Trad.) ELMINTI 0 ENTOZOI 309 Le uova son poste negli anelli del corpo. Quando sono ma- ture vengono espulse. Queste uova vengono introdotte passi- vamente per le fosse nasali o per la via del canal digerente nel corpo di altri animali erbivori od onnivori. Quivi queste uova riproducono delle forme particolari, dei Vermi incompleti (Ci- sticerchi) che si fissano nelle sostanze degli organi, e quivi subiscono una prima trasformazione, danno origine a piccoli Vermi incompleti, di cui la forma ricorda la testa della Tenia, formando degli anelli produttori, e trasformandosi in /datidi, sorta di sacco nel quale la testa del Verme futuro è contenuta in una cavità piena d’acqua. Il Cenuro! della pecora, il Cisticerco*? del majale non sono che Tenie giovani allo stato di /Qatidi 3, vale a dire di sviluppo incompleto. Le /datidi sono quindi il prodotto delle uova delle Tenie, ma non divengono vere Tenie se non quando passano dall’ organo nel quale sono incistidate nello stomaco di un altro animale. Altre larve, note col nome di Echinococchi 4, costituiscono un gruppo particolare di Idatidi; ogni vescicola può dare origine ad altrettante Tenie. Gli Entozoi, parassiti dell'animale nel quale si sono svi- luppati, si trasmettono all’uomo quando questo si ciba di carni crude, mal salate, o poco cotte. I Cistici, di cui la forma ricorda delle vescichette, si incon- trano in mezzo ai muscoli, nel centro del cervello; questo stato non è che una fase dello sviluppo dei Cestoidi. Dunque gli Entozoi parassiti passano negli animali e nel- l’uomo per mezzo degli alimenti e si introducono nel canal di- gerente, come pure nell’interno dei tessuti e dei visceri. I loro germi microscopici sono portati dal sangue, nei varii punti del- l'organismo ove si fissano e si svolgono. Questi esseri parassiti vivono in un numero piuttosto consi- derevole di animali differenti, specialmente negli animali ver- tebrati. S' incontrano nel canal digerente, nei muscoli e nella sostanza dei visceri, come il fegato, il cervello, gli occhi, e fino nel sangue. Il cane, il gatto, il maiale, la capra, il coniglio, il cavallo, la ! Lat., Cenurus; fr., Cenure; ingl., Coenurus; ted., Hirnblasenwurm. 2 Lat., Cysticercus; fr., Cysticerque; ingl., Cysticercus; ted., Blasemvurm. 5 Lat., Hydatis; fr., Hydatides; ingl., Hydatid; ted., Blasenwurm. 4 Lat., Echinococcus; fr., Echinocoque; ingl., Echinococcus; ted., Sau- griisselblasenwurm. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 47 370 TRIBÙ DEI VERMI pecora, l'asino, il bue possono essere invasi da questi parassiti. I Rettili, i Pesci e gli Uccelli ne nutrono un gran numero. Nella gallina se ne conoscono una decina. Gli insetti stessi possono essere invasi da questi parassiti. Sebbene gli animali sani siano più spesso affetti di Entozoi che non gli animali malati, pure sovente la loro presenza costituisce vere malattie. La tenia, la trichina ne sono esempii notissimi. L’ uomo può essere invaso da quattro specie di Tenie!, che vivono nell’intestino; da tre o quattro Distomi?, che si allogano nel fegato o nell’ intestino, o circolano nel sangue; da nove o dieci Nematodi*, che si rinvengono nel canale digerente o nei muscoli. I Cestodi allo stato giovanile, e noti allora col nome di Cisticerchi, di Echinococchi e di Idatidi, stanno dentro ad or- gani chiusi, come il globo dell’occhio, il cuore o il cervello. I Vermi intestinali che l’uomo può nutrire sono, fra i Ne- matoidi (Vermi cilindrici), l’ Ascaride lombricoide *, l’ Ossiuro vermicolare ®, il Tricocefalo diseguale ©, lo Strongilo del rene, l’Anchilostoma duodenale $, ia Spirottera dell’uomo, la Filaria di Medina ?, lo Strongilo a lunga vagina 10; fra i Trematodi 1! (Vermi a mo' di foglia), il Tecosano sanguicolo; il Distoma del fegato 1°, il Distoma lanceolato (lat., D. lanceolatum) e il Distoma diseguale ; fra i Cestoidi (,Vermi nastriformi ) '#, la Tenia comune e la sua larva (Cisticerco), la Tenia nana, la Tenia a macchie gialle, la Tenia inerme, il Botriocefalo largo 14. Il Lat, Taemia; fr., Tenia; ingl., Taenia, Papeworm; ted., Bandwurm. 2 Lat, Distomum; fr., Douve; ingl., Distoma; tred., Bandwurm, Dop- pelmaul. 5 Lat., Nematodes; fr., Nematoides; ted., Fadenwirmer. * Lat., Ascaris; fr., Ascaride; ingl., Ascaris; ted., Askaride. 5 Lat, Orturus; fr., Oxyure; ingl., Thread o Maw-Worm:; ted., Spitz- schwanzwurm. 6 Lat., Thricocephalus; fr., Thricocephale; ingl, Thricocephalus; ted., Haarkopfwurm. 7 Lat., Strongylus:; fr., Strongle; ing., Wormascaris; ted., Pallisadenwurm. 8 Lat., Anchilostoma o Dochmius; fr., Anchylostome. 9 Lat., Filaria; fr., Filaire; ingl., Guineaworm; ted., Fadenwurm. 10 Lat., Strongilus longevaginatus. 1! Il nome di Trematodi, di etimologia greca, deriva dalla presenza di ventose nel corpo dei vermi di questo gruppo. 1? Lat., Distoma o Distomum epaticum; fr., Douve; ingl, Liverfluke; ted., Leberwurm. 5 Lat., Cestodes; fr., Cestoides; ted., Bandwurmer. !4 Lat., Bothriocefalus; fr., Bothriocéphale; ingl, Bothriocephalus; ted., (irubenkopfwurm. NEMATODI 971 Cisticerco triarmato, il Cisticerco tenvicelle, l Echinococco sono larve di Tenie. La presenza di questi parassiti negli organi dell’uomo e degli animali è la ragione di certe malaitie. Il capostorno della Pe- cora è cagionato dal Cenuro (Cenurus cerebralis) che va ad allo- garsi nel cervello di questo ruminante. Una malattia particolare del fegato è prodotta dal Distoma, verme che si osserva raramente nell'uomo, e spesso nella pe- cora !. La panicatura, malattia comune nel maiale, [è caratterizzata dallo sviluppo nei tessuto cellulare di {Cisticerchi vescicolari agamici, che producono il Verme solitario. La trichinosi è la malattia prodotta dalla presenza, nei mu- scoli o nell'intestino, della trichina spirale. I parassiti non vivono tutti negli stessi climi. Il Botriocefalo si trova solo in Russia, in Polonia e in Svizzera; la Tenia nana, solo in Abissinia; la Filaria di Medina è propria dell’ ovest e dell’est dell’Africa; l’ Anchilostoma non vive che nel mezzogiorno dell'Europa e nel nord dell’Africa ?. Il naturalista Rudolphi, ai quale siamo debitori di studii ac- curaii intorno agli Entozoi, li ha divisi in cinque ordini, che oggi sono stati ridotti a quattro : i Nematodi, i Teretularii,i Tre- matodi e i Cestoidi?. *» Nematodi. — I Nematodi* sono Vermi dal corpo allungato e anche filiforme, senza nessuna sorta di appendici locomotrici. La loro pelle è anellata, anzichè veramente articolata. I Vermi nematodi hanno sempre sesso separato, e il loro ca- ! La presenza del Distoma nel fegato dell’uomo è un caso rarissimo; nella pecora invece assume taivolta carattere epidemico, e può recar danni incalcolabili agli allevatori di greggi. (Nota del Trad.) 2 Recenti fatti hanno dimostrato che questo pericoloso ospite è molto meno infrequente nell'uomo di quanto si creda. AI S. Gottardo numerosi operai addetti al traforo sono stati vittime dell’ anemia prodotta dalla presenza di questo parassita. (Nota del Trad,) 5 È giusto menzionare altresì i recenti e classici studi del Leuckart, il quale scrisse sui Parassiti umani un’ opera voluminosa che fa epoca nella scienza. Mercè sua, si segue oggi dal più degli autori un’ altra classificazione: anzi il gruppo degli Entozoî non esiste più in senso si- sltematico. Del resto, l'ordine dei Teretulari comprende forme non paras- site, e quindi dovrebbe togliersi dal gruppo degli Entozo?, cioè animali che vivono nell’ interno di altri animali. (Nota del Trad.) 4 Lat., Nematodes; fr., Nematoides; ted., Fadenwirmer. SY (2, TRIBÙ DEI VERMI! nale intestinale è ordinariamente completo. Nella massima parte di essi si riconosce un cordone nerveo sottointestinale, come pure un paio di lunghi vasi che seguono i due lati del corpo. Questi vermi non vanno soggetti a metamorfosi. Compren- dono un gran numero di specie, e la maggior parte vivono pa- rassiti nello interno del corpo degli altri animali. Meritano particolarmente il nome di Verm? intestinali. Parecchi Vermi nematodi vivono nell’ uomo. Gli Ascaridi (detti erroneamente Vermi lombrici), che talora escono cogli escrementi; gli Ossiurî, molto più piccoli e che stanno nel retto dei bambini, sono Nematodi parassiti dell’uomo. Lo stesso segue degli Strongili, dei Tricocefali e di alcuni altri. Il Dragoncello o Verme di Medina, che attaccr l’uomo nelle regioni equatoriali, è un elminto dello stesso ordine. Vive entro ad ascessi sottocutanei prodotti dalla sua presenza. Le trichine ‘ che infestano la carne del maiale, in certi paesi, e passano da questi animali nell'uomo, fanno pure parte del- l'ordine dei Vermi nematodi. Finalmente, si riferiscono anche allo stesso ordine le Angwuillule, o Vermi dell’ aceto, della colla e del frumento rachitico, animali di piccolissime dimensioni. Di tutti gli animali di quest’ ordine la Trichina è la più im- portante a conoscersi, a cagione delle malattie cui dà origine. Una epidemia di trichinosi, in conseguenza di ingestione di carni di maiale avariate, avendo infierito in parecchie città della Germania, ha dato occasione ai fisiologi e ai medici dei nostri tempi di studiare questo argomento molto a fondo. Da- remo un cenno di questi fatti. La malattia indicata col nome di trichinosi, e che è meno gentile del suo nome, si svolge in seguito alla introduzione di un verme appena visibile ad occhio nudo, la Trichina, che esiste nella carne del maiale infetto, e che può esistere anche nella carne dei conigli e in quella del topo ?. La carne di maiale in- festata da questo parassita essendo mangiata, fa penetrare nei nostri tessuti questa pericolosa creatura. Una volta quivi giun- to, il verme vi si alloga, si sviluppa, si moltiplica, invade i muscoli e li divora; per modo che le infelici vittime di questo è Lat., Trichina spiralis; fr., Trichine: ted., Trichine. . 2 Nel topo anzi è costante, e vi si perpetua perchè questi animali di- vorano ì cadaveri dei proprii simili: anzi sembra appunto che da questi rosicanti i maiali traggano, divorandoli, l'infezione. Parimente la sua presenza nel gatto non ha bisogno di spiegazione. (Nota del Trad.) NEMATODI 373 flagello si sentono morire a poco a poco, letteralmente’ divorate da questo inaccessibile nemico. } Non è da oggi che si conoscono i pericoli che può presentare talora l’uso alimentare della carne di maiale. Mosè, Maometto e Buddah, che raramente vanno d’ accordo, sono concordi nel dichiarare animale immondo il maiale e proibirne l’uso ai po- poli di Oriente. Questa proibizione derivava dalle malattie che furono osservate in ogni tempo in Asia in seguito all’ uso di questa carne. Gli Orientali credono che la carne di maiale faccia venire la lebbra. Il sintomo particolare di questa malattia nota in Oriente col nome di testa grossa, permetterebbe forse di affermare che la trichinosi, e non la lebbra, abbia fatto nascere negli Orien- tali questa tradizionale opinione. La Tenia, o Verme solitario, è pure un effetto dell’ingestione della carne di maiale. Ma la Tenia è, in fondo, un ospite poco pericoloso. In Abissinia poche persone ne vanno esenti. Anzi, in quel singolare paese si crede di essere malati quando non si sente formicolare un verme nel proprio intestino. Infatti, la Tenia aumenta l’appetito e spinge a mangiar molto : segno di salute, dicono i buoni Abissinesi. Lasciamoli dire. Non è dunque il pericolo della Tenia quello che ha potuto ispirare ai legislatori d’Oriente l’idea di proscrivere l’uso della carne di maiale; ma la Trichina potrebbe benissimo non essere estranea a questo fatto. Veniamo a.delle nozioni più precise, a delle osservazioni moderne. I nostri trattati di medicina legale riferiscono un gran nu- mero di casi nei quali i salumi furono sospettati di aver cagio- nato la morte. Siccome in quel tempo non si conoscevano le Trichine, i sospetti si fermavano sopra un avvelenamento pro- dotto da un principio tossico particolare. Nessuno aveva po- tuto isolare quel principio; il che non impediva di dargli un nome. In Germania questo incomprensibile veleno veniva chia- mato Wurmstgift (veleno dei salami) o Schinkengift (veleno del prosciutto). I casi di malattia riferiti in questi lavori si spie- gano oggi colla infezione trichinica, sebbene non sia impossibile che salumi avariati contengano per sè stessi delle sostanze ve- lenose. Che cosa è la Trichina? È un verme microscopico, o almeno difficilmente visibile ad occhio nudo, perchè ha appena il dia- metro di un capello finissimo, e la sua lunghezza giunge di rado a due” millimetri. Non è conosciuto se non dall’anno 1832. 374 TRIBÙ DEI VERMI In quel tempo un anatomico inglese, Hilton, facendo l’ au- topsia di un vecchio morto all’ ospedale, scoperse nei muscoli di quell’ individuo una grande quantità di corpuscoli bianchi. Questi corpuscoli erano cisti, cioè capsule membranose che con. tenevano piccoli animali parassiti. Tre anni dopo il fisiologo inglese, Riccardo Owen, pubblicò il primo lavoro ove si trovano descritti la cisti e un piccolo verme che Paget aveva già trovato nell’interno di questa cisti. Siccome che questo piccolo verme si arrotola consuetamente a mo’ di spira nel centro della cisti, Owen gli diede il nome di Trichina spiralis, derivato da un vocabolo greco che significa capello, e da uno latino che vuol dire arrotolato. Riccardo Owen non potè tuttavia scoprire nessuno degli or- gani essenziali della Trichina. La allogò quindi nell’ordine in- fimo degli esseri. Ricerche più recenti ci hanno insegnato, invece, che la Trichina è uno degli Entozoi meglio organizzati. Il signor Virchow ha perfettamente spiegato come la Tri- china si sviluppi e si trasformi quando è penetrata nell’interno degli organi. La Trichina esiste nell’intestino del maiale. Colà vive e pro- duce i suoi piccoli, i quali sono dapprima allo stato di larve. Quando l’ intestino del maiale o della carne contenente queste larve vien mangiata dall’ uomo, le larve della Trichina giun- gono nel suo intestino e vi si fissano per qualche tempo: in- fatti, questo mezzo non conviene loro e hanno fretta di uscirne. Forano quindi la tonaca intestinale e cadono nelle vene. Quivi _ il sangue le trascina nel suo corso complicato e lontano. Pe- netrano nel cuore, poi s'impegnano, trascinate dal torrente san- guigno, nelle vene grosse e piccole. Finalmente arrivano nei muscoli. Infatti, il muscolo è la dimora consueta, il luogo di predile- zione delle Trichine. Giunte allo stato completo del loro svi- luppo, vivono alle spese dei muscoli; mangiano di questi. Quando hanno vissuto un tempo sufficiente nutrendosi della sostanza muscolare, si arrotolano su sè stesse, si ravvolgono in uno strato membranoso, cioè in una cisti, e aspettano là che una occasione favorevole le riporti nell’intestino, ove sono costrette a tornare per Compiere il loro sviluppo, accoppiarsi e riprodursi. Così incistidate, le Trichine muoiono entro al muscolo, a meno che il caso non venga a somministrar loro le condizioni necessarie al loro pieno sviluppo e alla loro riproduzione. È solo, come abbiamo detto, nell’ intestino degli animali che NEMATODI DIO) le Trichine possono giungere al loro ultimo stadio di sviluppo e riprodursi. Ma come possono giungere nell’ intestino di un animale, malgrado il loro stato di immobilità nel seno della capsula o cisti che le contiene? Ciò è difficile, ma non impos- sibile, come vedremo ora. Infatti, se le carni dell’animale che contiene nei suoi muscoli delle legioni di Trichine incistidate vengono mangiate da un altro animale, o dall’ uomo, là dige- stione facendo giungere le carni infestate di Trichine nell’in- testino, subito, in questo mezzo favorevole e particolare, le Trichine escono dalla cisti che le chiude, si spandono nell’ in- testino, terminano quivi di crescere, si accoppiano e formano nuove generazioni. Questo è il'‘curioso circolo che compie la vita di questi parassiti. Per terminare in modo più compiuto questa rapida descri- zione non ci rimane più che da mettere sotto agli occhi del lettore il disegno esatto di questo parassita. La fig. 165 rappre- senta la Trichina mentre emette le uova e veduta con un in- grandimento di 600 volte in diametro. La fig. 166 rappresenta una porzione di fibra muscolare in- vasa dalie Trichine. L’ingrandimento è qui di 200 diametri. Le Trichine non vivono sopra tutti gli animali. Il maiale e il coniglio ne hanno soli ‘', insieme all’ uomo, il doloroso pri- vilegio. Le Trichine non presentano nessun danno speciale finchè sono contenute nell’intestino; ma quando sono penetrate, come abbiamo detto sopra, nei muscoli, vi cagionano gravi disordini, rodendo le carni, separando e disseccando le fibre muscolari o tendinec, e producendo dolori intollerablli; in una parola, pro- ducendo la malattia nota col nome di trichinosi. Quali sono i sintomi di questa malattia ? Questi sintomi sono molto varii. Talora si osserva un imba- razzo gastrico, una irritazione intestinale, una dissenteria re- pentina e intensa; talora dolori muscolari, debolezza, stan- chezza, indolenzimento, cioè tutti i sintomi consueti della gotta e del reumatismo. Altre volte si osservano sintomi febbrili in- teramente analoghi a quelli della febbre tifoidea. Più spesso la trichinosi è caratterizzata da un edema al volto, con gonfia- mento delle palpebre, tumefazione della lingua, e abbondanti ‘sudori. L'andamento delle malattia è talora acuto; la morte segue allora nella quarta o quinta settimana; ma spesso è lenta, e 1 Vedi la nota precedente. (Nota del Trad.) 376 TRIBÙ DEI VERMI dopo molte settimane la convalescenza si trascina penosa- mente. i L’ammalato può ancora morire per lenta consunzione, con perdita di forze e dimagramento. Certi medici facendo l'autopsia di pretesi tisici trovarono, accanto a una lievissima affezione tubercolosa del polmone, delle Trichine sparse in tutti i mu- scoli. I sintomi che abbiamo enumerato ora hanno, pel medico esperto e specialmente prevenuto, qualche cosa di speciale che li fa distinguere da!le malattie gastriche, nervose o reuma- tiche. Nondimeno la diagnosi della trichinosi non è certa se non quando si sono trovate delle Trichine, o nelle vivande di cui gli ammalati hanno mangiato, o nei loro proprii mu- scoli. Quest’ ultimo mezzo richiede, invero, che si esporti dal corpo del malato un pezzettino a "e ea del muscolo; ma questa ope- razione non è nè pericolosa nè molto dolorosa. Middeldorff ha immaginato per quest'uso un piccolo arpione di cui si ser- vono oggi i medici tedeschi. Duchenne (di Boulogne) ha sug- gerito, per lo stesso scopo, uno strumento che chiama espor- tatore istologico e che è benis- simo disposto per agevolare l'esame microscopico dei mu- de, NYETAG Fig. 165. Trichina che emette le uova (ingrossata di 600 diametri). scoli di un ammalato. Dalla varietà dei sintomi che abbiamo menzionato sopra si capisce come la malattia indicata col nome trichinosi abbia po- tuto rimanero per tanto tempo incompresa. È difficile scoprire qualche cosa di particolare nei muscoli trichinati, esaminati ad occhio nudo. Trattati coll’ acido acetico o colla potassa, si mostrano macchiati di punticini bianchi; ma lo stesso aspetto è prodotto dal grasso, dai vasi, dai nervi, ecc. Per essere certi della presenza di questo parassita, bisogna ri- correre al microscopio adoperando un ingrandimento di 50 a 100 volte. Le parti più ammalate sono il diaframma, i muscoli ma- sticatori, la lingua, il petto, il collo, la nuca. In uno stesso mu- scolo, le Trichine preferiscono le parti vicine ai tendini. Il cuore sembra il solo organo che ne sia sempre esente. Disgraziatamente, nulla tradisce l’esistenza della malattia nel NEMATODI GIU maiale finchè non si fa l'esame microscopico della sua carne. La rivelazione vien dunque quasi sempre troppo tardi, cioè quando i consumatori della carne sono presi da sintomi gravi. In taluni casi, delle intense diarree si manifestano dopo inge- * stione della carne trichinata, e allora i vermi possono venire evacuati. Ma la stitichezza è molto più frequente, e allora le Trichine si moltiplicano nell’intestino con una rapidità spaven- tosa. Ogni Trichina madre può dare origine a 200, 400 o anche 1000 embrioni (sono vivipare); bastano quindi alcune migliaia di femmine per generare un milione di giovani Trichine. Ora queste migliaia possono trovarsi in un solo boccone di carne! Immaginatevi questo esercito di nemici invisibili, il quale, Fig. 166. Trichine ehe rodono un muscolo (ingrossata di 200 diametri). nello spazio di pochi giorni invade il corpo dell’uomo e si mette a roderlo sopra un milione di punti ad un tempo, fino a produrre la morte, dopo lunghi e crudeli tormenti. Del resto il pericolo è in ragione del numero delle Trichine ingerite. Si può non risentire che un leggerissimo disturbo quando l'infezione non è stata dapprima intensa. Nondimeno, in molti casi, un nu- mero notevole di Trichine ha potuto introdursi nell’organismo, senza determinare la morte; i vermi hanno allora finito per in- cistidarsi prima di aver cagionato gravi accidenti, I naturalisti hanno conosciuto le Trichine per lo spazio di venti anni, prima di immaginarsi l’ azione pericolosa che pos- sono esercitare sull’organismo umano. Ciò dipendeva special- Fisuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 48 378 TRIBÙ DEI VERMI mente dalla difficoltà di distinguere i sintomi proprii di questa malattia. Del resto, se si considera che la massima parte delle persone non cadono ammalate immediatamente dopo l’ingestione di carne infetta, e che quindi il sospetto deve riportarsi sopra una circostanza più prossima, si comprenderà che il caso solo doveva far scoprire la vera cagione di questa malattia. Ci vol- lero vere epidemie per svegliare l’attenzione dei medici e per- mettere loro di risalire alla sorgente del male. Il primo che osservò un’ epidemia di questo genere fu un medico di Dresda, Zeuker, nel mese di dicembre del 1859. La malattia fu cagionata da un solo maiale che era stato macel- lato in un podere. Il fattore, sua moglie e altre persone furono presi da sintomi piuttosto gravi; una serva morì. Zeuker trovò delle Trichine nei prosciutti, nelle salsiccie e nei sanguinacci. Il corpo della serva morta ne era addirittura gremito. Avendo ricevuto dal signor Zeuker alcuni pezzetti di questi muscoli, Virchow fece a Berlino una serie di sperimenti sopra animali. Diede dei pezzi di questa carne trichinata da man- giare a un coniglio (non bisogna credere che i conigli non man- gino carne). In capo a un mese l’animale morì, e si trovò il suo corpo gremito di Trichine. Un secondo coniglio, nutrito colla carne del primo, morì parimente. Si continuò a nutrire e avvelenare dei conigli morti di trichinosi, e sette od otto coni- gli furono fatti morire con questa serie di suicidii esperimentali. In tutti gli animali avvelenati in tal modo i muscoli erano gre- miti di Trichine. Un altro caso di trichinosi fu osservato, nel 1862, da Friedreich, di Heidelberg. Era un garzone di un beccaio che aveva man- giato carne triturata cruda di maiale. Quell’ uomo guarì, ma dopo una malattia di due mesi ec mezzo. Non parleremo dei numerosi casi isolati che furono pubbli- cati dopo quel tempo da medici tedeschi o inglesi. Verremo su- bito alle epidemie di trichinosi che scoppiarono in varii paesi della Germania: a Corbach, a Planen, a Calbe, a Magdeburg, a Quedlinburg, a Rugen, a Burgk, vicino a Magdeburg, a Wei- mar, a Stuttgart, a Eisleben, a Heltstedt. Nel 1863, una nave amburghese, tornando da Valparaiso, aveva a bordo un maiale, destinato al cibo dell’ equipaggio. Venne ucciso, e quindici chilogrammi di carne furono man- giati; il rimanente fu salato. Tutti quelli che avevano mangiato di quella carne si ammalarono. Due marinai morirono all’ ar- rivo della nave ad Amburgo, e i loro muscoli furono trovati gremiti di Trichine vive; il signor Virchow, al quale venne NEMATODI 379 mandata la carne salata conservata a bordo della nave, vi trovò gran copia di quei parassiti. 3 Nell’ epidemia di Heltstedt, una delle più importanti come una delle meglio studiate, si contarono oltre a 150 ammalati e 27 casi di morte. L’epidemia di Magdeburg, che durò per cin- que estati di seguito, dal 1858 al 1862, colpì più di 300 per- sone; solo nel 186? se ne riconobbe la vera indole. Una epi- demia che dominò a Biankenburg, dal 1859 al 1862, e da cui furono colpite 278 persone, parve doversi attribuire alla stessa causa. Nondimeno fu molto benigna, come quella di Mag- deburg. Non si può dire lo stesso dell’ epidemia che desolò nel 1865 la piccola città di Edersleben, vicino a Magdeburg. Il 9 dicem- bre 1865, oltre a cento bambini avevano già perduto il padre e la madre loro. Non v’era forse nel villaggio una sola casa che non avesse pagato il suo tributo. A quelia data oltre a trecento ammalati aspettavano la morte in mezzo ad atroci dolori: morte tanto più spaventosa in quanto che coloro i quali conoscono il loro stato sanno che debbono soccombere rosi vivi da un eser- cito di vermi quasi invisibili che hanno compenetrato le loro carni e li divorano. Che morte atroce! Fu quella del re An- tioco, mangiato vivo, come si legge nel secondo libro dei Mac- cabei, da innumerevoli vermi che venivano da tutte le parti del corpo. 70 od 80 abitanti della città di Edersleben, essendosi sentiti male sul principio della epidemia, erano fuggiti in fretta per salvarsi da ciò che credevano fosse colèra. Cadevano esausti di forze e rimanevano senza soccorsi. I loro cadaveri furono rin- venuti lungo le strade e sul margine dei fossi. Tutti i rimedii tentati contro la trichinosi sono rimasti im- potenti. Il picronitrato di potassa, adoperato da Friedreich, non ha giustificato le speranze che furono fondate su quel vermi- fugo. Il signor Maler crede di aver ottenuto un certo buon esito colla benzina, amministrata in dose di quattro a sei grammi al giorno. Immediatamente dopo l’ingestione della carne sospetta, è utilissima una forte purga. Ma, in generale, non si ha, nello stato presente della scienza, che da aspettare la guarigione ope- rata dalla natura: l’incistidimento delle Trichine. Tutta la no- stra attenzione deve rivolgersi quindi ai mezzi preservativi. Il signor Virchow raccomanda i mezzi seguenti per impedire lo sviluppo della trichinosi: 4.° Invigilare il nutrimento dei maiali, non dar loro mai delle sostanze animali sospette; 380 TRIBÙ DEI VERMI 2.° Fare con cura la ispezione delle carni, e, se questo è possibile, stabilire un microscopio in ogni inacello; 8.° Cuocere con cura speciale ogni carne di maiale desti- nata alle mense. Quanto al nutrimento dei maiali, è probabile che le ghiande allontanerebbero ogni pericolo, sebbene le Trichine si incon- trino anche negli animali selvatici. Nel mezzodì della Francia l’allevamento dei maiali colle ghiande e colle castagne è abba- stanza generale, e la carne degli animali nutriti in tal modo è migliore; si adopera per fare i salami di Arles e di Lione. L’esame microscopico della carne, ‘che propone in secondo luogo il professore di Berlino, incontrerebbe certamente molte difficoltà. Il signor Virchow vorrebbe introdurre il microscopio dal farmacista del villaggio, o dal sindaco, dal parroco, dal maestro di scuola, ecc.; ma bisogna pensare alle conseguenze . inevitabili della pigrizia, dell’indolenza e della ignoranza della persona a cui sarebbe affidata questa ispezione, e ai mezzi nu- merosi che rimarrebbero alla frode per sfuggire a un cosifatto esame. Non crediamo possibile applicare questo modo di ispe- zione e questo mezzo di profilassi sopra una grande scala. La cosa più certa sarà sempre, e esortiamo i nostri lettori a ri- cordarsene, di non mangiar mai carne di maiale cruda, di badare che sia sufficientemente cotta o affumicata. I signori Kiichenmeister, Haubner, e Leisering hanno fatto sperimenti per determinare il tempo della cottura necessaria per far morire le Trichine contenute nella carne di maiale. Questi esperimenti hanno dato i risultati seguenti: 1.° Le Trichine muoiuono con una salatura prolungata dei prosciutti o per una fumicazione calda delle salsiccie, continuata per lo spazio di ventiquattro ore. 2.° Resistono a una fumicazione fredda di tre giorni; ma una fumicazione continuata a freddo sembra ucciderle. 8.9 Pare che la cottura nell’ acqua bollente non le uccida con sicurezza, se non dura parccchie ore. È verissimo che una Trichina esposta all’azione diretta del- l’acqua a 100° perirà infallantemente, ma è pur certo che l’in- terno di un pezzo di carne che si sia fatta cuocere nell’ acqua bollente non giunge mai a questa temperatura. Ci vuole una mezz’orà di cottura, perchè la temperatura interna di un pezzo di carne un po’ voluminoso giunga soltanto a 55 gradi centi- gradi, e un’ora perchè salga a 75°. Ora le Trichine sopportano benissimo una temperatura di 40 a 50°, e non muoiono subito a quella di 62° o 65°. La cottura non è quindi, in generale, un NEMATODI 881 preservativo sufficiente. Si sa pure che l’interno delle costolette di maiale fresco è quasi sempre tenero, sanguinolento e semi- crudo. I prosciutti, i salami, le salsiccie, i sanguinacci, il salame di testa presentano anche minor sicurezza, specialmente, se, come in Germania, si adopera la fumicazione accelerata. Invece di lasciare i prosciutti un inverno intero nella camera per affumi- carli, prima di metterli in commercio si è pensato di spalmarli di creosato o di acido pirolignico. Ora, in questo processo ac- celerato di conservazione, le Trichine rimangono intatte nelle parti interne del prosciuto. La preparazione del sanguinaccio e delle salsiccie, con questo nuovo metodo speditivo, presenta gli stessi pericoli; si ottiene una merce più fresca, più succulenta, e che può essere venduta prontamente, ma può contenere an- che miriadi di Trichine vive. La trichinosi ha specialmente prodotto molti danni nella Ger- mania del nord, ove l’uso del prosciutto crudo è molto sparso. Ha regnato meno nella Germania del sud, che non ha questo gusto per la carne cruda. Si sono osservati pure moltissimi casi di trichinosi in Inghilterra e in America. La Francia, invece, gode per questo riguardo di una immu- nità abbastanza singolare: appena vi furono segnalati alcuni casi isolati. Ciò dipende forse dall’uso che si ha in questo paese di mangiare i salumi cotti a lungo. Forse anche la malattia vi esiste ma è scambiata con altre malattie che presentano sintomi analoghi. Segnalando i pericoli che può presentare l uso imprudente della carne di maiale, non ci attireremo sul capo, vogliamo sperare, l’ira dei salsamentari. Infatti, ciò accadde a Berlino, nel 1866, al signor Virchow. I salsamentari e i macellai hanno il più grande interesse a prendere tutte le precauzioni contro le Trichine, perchè sono esposti più degli altri ad esserne vittima. Sovente assaggiano la carne fresca; mettono il coltello in bocca per asciugarlo, sono continuamente in contatto colla sorgente dell’ infezione. Quindi nelle epidemie di Germania i macellai ne furono sempre le prime vittime. Questo non impedì ai macellai di Berlino di mandare clamori furibondi contro il signor Virchow. Lo accusavano di voler recare, senza grave motivo, un vero danno alla loro industria. Giunge- vano perfino a negare l’esistenza delle Trichine, confermati nel loro accecamento dalla resistenza di alcuni veterinari ignoranti. A questo riguardo seguì un fatto troppo carutteristico per esser passato sotto silenzio. 3982 TRIBÙ DEI VERMI Onde illuminare la quistione che teneva commossa tutta la popolazione di Berlino, il sindacato dei macellai aveva convocato in solenne adunanza un gran numero di professori dell’Univer- sità, di medici e di giornalisti. In mezzo a quelle discussioni un veterinario chiamato Urban prese la parola contro Virchow. Contestò violentemente tutti i fatti asseriti dagli scienziati, e come prova decisiva, disse che avrebbe mangiato della carne piena di Trichine. Il signor Virchow rispose a questa sfida tirando fuori dalla tasca un salame nel quale aveva allora riconosciuta la presenza dei terribili parassiti. Ne offerse una fetta al suo avversario. Questi cercò di esimersene, ma il pubblico si alzò in massa, e colle grida e coll’insistenza lo costrinse a fare ciò che aveva detto. Il nostro :veterinario, preso nella trappola, mandò giù con cattivo garbo) un boccone del salame traditore, poi uscì im- mediatamente. La storia narra che andasse da un farmacista vicino per prendere in fretta un potente vomitivo. La storia va ancora più avanti. Aggiunge che, malgrado si fosse amministrato quell’ emetico, l’ infelice autore di questo sperimento forzato sarebbe poi stato preso da paralisi e fatto preda del nemico di cui aveva negato l’esistenza. Il sindacato dei macellai, convinto dagli argomenti svolti in quella seduta dal signor Virchow, formò una società i cui membri si impegnavano a non vendere che carne sottoposta all'esame di un perito. Nondimeno altri macellai preferirono chiudere bottega anzichè sottoporsi a quelle seccature. I fatti che abbiamo qui riassunto avevano prodotto in Francia una certa emozione. Quindi il governo si occupò immediata- mente di chiarir bene la quistione e rassicurare le popolazioni contro un pericolo che si tendeva ad esagerare troppo. I signori Delpech, professore aggregato alla facoltà di medicina di Parigi, Reynal, professore alla scuola veterinaria di Alfort, membri entrambi dell’Accademia di medicina, furono incaricati di recarsi in Germania a studiare la trichinosi nell'uomo e negli animali. I due accademici fecero delle accurate ricerche a Hay nel Belgio, nell’Annover, a Magdeburg, a Berlino, a Halle, a Dresda, a Lipsia,a Magonza. Per rendere i loro studi più efficaci, chie- sero il concorso della massima parte degli scienziati tedeschi, che i loro lavori speciali e la loro posizione ufficiale potevano meglio mettere in caso di assicurare il buon esito della loro missione, vale a dire i signori Virchow, Kichenmeister, Fred- NEMATODI 383 ler, Gerlach, Ginther, Gurlt, Mùller, Haubner, Leisering, Wagner, Vinderlich, Reinhard, Kiihn, Niemeyer, Hildebrand, Schultze e Rolloff. Riassumeremo ora i fatti pratici che concernono la relazione dei signori Delpech e Reynal, relazione alla quale venne data in Francia, per ordine del governo, una grande pubblicità : 4.° Tutte le epidemie di trichinosi che erano state segnalate in Germania negli ultimi tempi sono ora terminate. Queste epidemie, eccettuata quella di Edersleben, ove un deplorevole concorso di circostanze ha prodotto le più crudeli conseguenze, non hanno dato luogo che ad una insignificante mortalità. Quelle di Zwickau, di Seitendorf e di Sommerfeld, sopra un numero di ottantasei o ottantotto ammalati, non hanno avuto nessun esito mortale. Tutte quelle epidemie erano state cagionate dall’uso, nell’ali- mentazione, della carne di maiaie carica di Trichine cruda o sottoposta all’ azione del fumo per un tempo troppo breve, 0, più raramente, di carne cotta imperfettamente. 2.° Il maiale è abbastanza frequentemente trichinato in Germania. Nell’Annover, nello spazio di ventun mesi, si trovarono, sopra venticinque mila maiali circa, undici animali carichi di Trichine, sedici sopra quattordicimila nel Brunswick, quattro su settecento a Blakenburg. 3.° L’ aspetto esterno dell’ animale vivo, come pure quello della sua carne quando è macellato, esaminato a occhio nudo o colla lente, non possono fare sospettare la presenza delle Trichine. È necessario il microscopio per farla riconoscere. L’esame microscopico, praticato con sufficiente cura, dà i ri- sultamenti più concludenti, con questa sola condizione che la carne di un solo ‘maiale sia stata adoperata nel fare i salumi esaminati. La carne triturata per le salsiccie e altri preparati dello stesso genere, ove si mescolano varie carni, possono non presentare all’osservatore più coscienzioso, in replicate investiga- zioni, che frammenti derivanti da maiali sani, mentre le partì infette potrebbero sfuggirgli. L’evidente utilità dell’ispezione delle carni di maiale fatta col microscopio ha indotto i governi e le province della Germania a renderla obbligatoria. Funziona a questo titolo nell’Annover, a Brunswick, a Magdeburg, a Gòrliz, ecc. In tutte le altre parti della Germania del Nord i macellai, che sono nel tempo stesso salsamentari, avvertono il pubblico che fanno visitare le loro carni. con cura. Ma un tale esame 384 TRIBÙ DEI VERMI non può presentare, per la massima parte del tempo, nessuna sicurezza. L’ispezione obbligatoria è l’unica che abbia serietà. Le si rimprovera la difficoltà di organizzarla nelle vaste proporzioni che richiede, e l'impossibilità di pretendere dagli ispettori delle sufficienti ricerche per riconoscere la trichinosi in un maiale pochissimo infetto. Queste due obbiezioni hanno seri fondamenti; ma rimangono ancora tanti vantaggi alla ispezione obbligatoria, che i signori Delpech e Reynal non esiterebbero a consigliarla in un paese infestato dalla trichinosi. Non esitano neppure a respingerla per la Francia, ove nessun caso di trichinosi umana o di maiale nato in modo certo in paese, non è stato ancora riconosciuto. 4. Malgrado i timori esagerati che si ebbero in Francia, i signori Delpech e Reynal asseriscono che il territorio di questa è immune da un tal malanno, e si appoggiano alle considera- zioni seguenti: La trichinosi umana è una malattia troppo facile a riconoscersi ora perchè un caso solo possa passare inosservato in questi ultimi tempi. In Germania, ove regna, si vedono entrare abbastanza fre- quentemente negli ospedali degli ammalati colpiti da questa malattia, allo stato acuto. Durante il 1865 se ne contarono tre- dici a Magdeburgo. Uno solo morì. Le autopsie di ammalati morti di altre malattie mostrano inoltre un gran numero di trichinosi antiche guarite per l’in- cistidarsi dei parassiti. La proporzione, secondo Wagner, ne è di di quattro a sei per cento autopsie a Lipsia. 5.° Sebbene la trichinosi non sia realmente nota e studiata se non dal 1860, si può dimostrare che esiste da lungo tempo in Germania, Così, si risale a dei casi incontestabili di questa malattia, che datano dal 1845 (Langenbeck e Virchow) ce dal 1848 (Wagner). 6.° Nulla di simile s’ incontra in Francia, nè la trichinosi acuta, nè la trichinosi guarita, nè ricordi di trichinosi antica. Inoltre, nei paesi ove regna, i topi degli ammazzatoi sono carichi di Trichine, come risulta dagli studi di Leisering, di Dresda, e da quelli fatti per richiesta loro a Augsburgo da Adam e a Vienna da Roll. Questi animali, esaminati a Parigi dai signori Delpech e Rey- nal, dopo il loro ritorno, non presentano tracce di sorta di Trichine”, non più del resto dei maiali che pure esaminaròno. NEMATODI 385 Non v’'ha quindi nulla di comune fra la Germania del Nord e la Francia da questo punto di vista, e finora nulla giustifica i terrori che hanno prodotto una certa diminuzione nel consumo della carne di maiale. Gli autori della relazione vanno ancora più in là: essi af- fermano che non potevano le cose andare altrimenti, e che sarà lo stesso per l'avvenire, se le abitudini presenti delle po- polazioni francesi non si modificheranno. 7.° L'uso di cuocer bene la carne di maiale, comune ge- neralmente in Francia, avrà sempre per conseguenza di impe- dire l’estendersi dell’epidemia trichinica. Tutt’al più si potranno notare alcuni casi isolati e rari. I signori Delpech e Reynal fondano questa opinione sopra fatti di cui furono testimoni nel corso della loro missione. In Germania, invece, gli operai e gli abitanti delle campagne mangiano ancora consuetamente carne cruda, intera o triturata, o preparazioni che sono rimaste esposte solo per pochi momenti all’azione del fumo e nelle quali le Trichine sono sempre vive. 8.° Per tutti questi motivi, gli autori della relazione con- siderano l’ ispezione microscopica obbligatoria come inutile in Francia. Tuttavia propongono, per scopo di studio e di con- trollo definitivo, di mettere in alcune città provviste di ammaz- zatoi e sopra vari punti del paese, un servizio di esame per mezzo del microscopio. Il cuore, il fegato, i reni, il cervello; il grasso, il lardo grasso non contengono mai Trichine. I! più timorosi possono quindi adoperare queste parti senza timore alcuno. 9.° La temperatura generalmente considerata in Germania. come sorgente sicura di morte per le Trichine è di + 75°, pur- chè tutta la profondità della carne ne sia stata compenetrata. È questa, dopo che ne ebbero fatto lo sperimento, la cifra adot- tata dai signori Delpech e Reynal. A più forte ragione affermano essi che la ebullizione, con- tinuata per un tempo sufficiente, le fa certamente morire. La salatura prolungata, e che ha invaso tutto lo spessore delia carne, produce lo stesso effetto, secondo tutti gli osserva- tori. Segue ciò egualmente se si sottopongono a una fumicazione calda di ventiquattro ore almeno, mentre una fumicazione fredda di parecchi giorni le lascia ancora vive. Vi è ogni ragione per crederle morte nei salami affumicati, anche a freddo, e conservati lungamente. Tuttavia, siccome possono esservi delle incertezze sulla pro- venienza e la fabbricazione più o meno accurata delle varie FiuieR. Rettili, Pescì e Animali articolati. 49 386 TRIBÙ DEI VERMI preparazioni di carne di maiale salate o affumicate, è cosa più prudente farle cuocere come le carni fresche. 10.° Gli autori della relazione, studiando l’origine della tri- chinosi nel maiale, unica sorgente di questa malattia per l’uomo, ne ammettono tre cause. I maiali mangiano le carogne lasciate sui letamai o nei campi, dei topi, dei gatti, dei ricci, delle faine, che si trovano natural- mente trichinate, ,senza che si sappia fino a oggi in qual modo prendano la trichinosi. Mangiano gli escrementi di altri maiali o quelli dell’uomo che si son cibati da poco di carne trichinata e che espellono con essi le femmine fecondate. Sono necessari degli sperimenti per poter scoprire i mezzi di cura della trichinosi e per spiegare certi punti dello studio di questa. Tuttavia si deve raccomandare nel modo più caldo agli sperimentatori di racchiudere con cura le' carni trichinate, e distruggere col fuoco tutto ciò che non sarà più un oggetto utile di esame. Queste sono le assennate e rassicu- ranti osservazioni fatte dai signori Del- pech e‘Reynal, inserite nella relazione indirizzata da quei dotti al ministero di agricoltura e di commercio !. Teretulari. — L’ordine dei Teretulari sì compone di vermi piatti, dal corpo sovente lunghissimo e coperto di ciglia vibratili, di cui il tubo digerente non ha, in certe specie, che un solo orifi- zio. I generi principali sono quelli dei Fig. 167. Planaria. a, bocca; db, cavità digerente; ° c, apertura degli organi ses- Nemerti (lat., Nemertes; fr., Nemerte) 0 suali; d, gangli: e, fili ; { z nervosi laterali. Borlasie, dei Prostomi (lat., Prostomum) e delle Planarie (lat., Planaria). Questi Elminti vivono nell’acqua, più :raramente sulla terra, 1 Quanto dicono a proposito della Francia i due osservatori di quel paese, si applica anche in complesso all'Italia, dove la trichina non al- ligna. Tuttavia una recente importazione fra noi di prosciutti americani intimorì grandemente il pubblico, e furon prese misure analoghe a quelle che vigono in Germania, per l’esame microscopico delle carni di maiale importate dall’ estero. A Torino nel 1879 furono per opera del prof. Per- roncito riconosciuti infetti gran nuinero di prosciutti americani, e seque- strati dalle autorità, che presero, come abbiam detto , rigorose misure preventive. Lo stesso è a Milano, a Piacenza e in altre città d' Italia. (Nota del Trad.) TREMATODI, CESTOIDI -3887 e in quest’ultimo caso cercano i luoghi umidi. Le specie ma- rine di questi vermi hanno spesso colori vivacissimi. Ve n’ha taluni, il cui corpo è lungo parecchi metri. La fig. 167 rappresenta la Nemerta 0 Borlasia. Trematodi. — Le specie che formano il gruppo dei Trematodi hanno una certa analogia con quelle della precedente divisione. Il corpo è esso pure piatto, molle e ‘articolato, ma manca di ciglia vibratili sulla sua superficie. I vermi trematodi sono pa- rassiti e vivono talora sul corpo degli animali, talora entro ai loro organi. La fig. 168 rappresenta tre specie di Trematodi. I Polistomi (lat., Polystomum) e i Distomî appartengono a questo gruppo. I Trematodi epizoici, cioè quelli che vivono alle spese degli animali, ma rimangono attaccati alla superficie esterna di questi, aggrediscono più particolarmente i pesci. Alcuni sembrano riu- nire l'ordine degli Elminti, al! quale appartengono, alla fa- miglia degli Irudinei o Sanguisughe, che costituiscono la divi- sione degli Anellidi apodi. Una specie di distoma (genere Distoma) si osserva piuttosto spesso nell’ uomo, di cui invade i canali biliari; si incontra nella pecora, nel bue, e in altri vertebrati. I vermi di questo genere sopportano metamorfosi notevolis- sime, di cui lo studio ha singolarmente rischiarato la teoria della infezione verminosa, somministrando nozioni esatte intorno al modo in cui gli Entozoi si introducono nel corpo degli ani- mali, come pure intorno ai vari ambienti nei quali possono vivere, o sulla facilità colla quale le loro uova resistono in molti casi alle cause di distruzione e non si sviluppano se non quando trovano le condizioni che sono loro favorevoli. Cestoidi. — Questi vermi hanno il corpo allungato, depresso o appiattito, continuo o articolato, col capo rarissimamente for- nito di labbra semplici, per lo più di due o quattro fossette a ventose o succiatoj. Riuniscono i due generi. Il capo, o parte anteriore dei Cestoidi, che è fornito di labbra o di uncini, ha la proprietà di produrre articoli riproduttori. Le specie principali sono la Tenia, il Botriocefalo, la Ligula. Parleremo specialmente della Tenia, l’unica di questo gruppo che sia importante conoscere bene. Le Tenie hanno il corpo allungato, depresso, articolato, con 388 TRIBÙ DEI VERMI quattro succiatoj al capo; vivono entro ai° Mammiferi e agli Uccelli. La specie parassita dell’uomo più nota è il Verme solitario 0 Tenia dai lunghi anelli (Tenia solium), biancastra, lunga da sei a otto metri; vive nell’intestino tenue. Il Verme solitario non aggredisce, a quanto pare, se non la razza bianca; è specialmente frequente in Inghilterra, in Olanda, in Francia e in Oriente. Le Tenie si distinguono in Tenie a uncini e in Tenie inermi. Le specie principali di Tenie « uncini sono: 1.° il Verme solitario dell’uomo, di cui lo stato di idatide è il cisticerco; 2.° la Tenia a sega (Tenia serrata), cisticerco dei rosicanti; 3.° la Fig. 168. Nemerta o Borlasia. Tenia nana (Tenia nana o A&gyptiaca),; 4.° la Tenia echinococco (Tenia echinococcus); 5.° la Tenia cenuro (Tenia cenurus). La Tenia mediocanellata presenta i caratteri intermedi fra le Tenie a uncini e i Botriocefali. Le tricuspidarie, o trianofore, hanno il capo diviso in due lobi [per parte, e invece di succiatoj hanno due aculei a tre punte. Le Ligule, vermi nastriformi, vivono nell’addome di al- cuni uccelli. Il modo di riproduzione della Tenia, rimasto per tanto tempo oscuro, venne riconosciuto ai nostri giorni. Ora si sa che questo Elminto si riproduce per gemmiparità, vale a dire in seguito alla comparsa dei due sessi sull’individuo, dopo che si è spon- CESTOIDI 389 taneamente diviso in due i. Questa generazione alternante , la quale in sè stessa non è altro che un caso speciale di un modo più generale ancora dello sviluppo degli esseri, la gemmiparità, spiega perfettamente lo sviluppo entro agli organi degli animali, di quegli esseri di ordine inferiore che furono chiamati Entozoi, Elminti, ecc. La scoperta di questo modo di generazione è del resto recente. Altre volte, i naturalisti non potevano riuscire a spiegare quelle singolari migrazioni degli Entozoi nella sostanza del corpo dell’uomo e degli animali e la loro tanto rapida molti- plicazione. Oggi tutti quei fatti strani si coordinano e si colle- gano insieme. Per esempio, quante ricerche non hanno pro- Fig. 169. Trematodi. A. Amfistoma; B. Polistoma dei ranocchi; C. Sacco da Cercarie, parassita della paludina (tutti e tre molto ingranditi). vocato le singolari trasformazioni dei Vermi intestinali, e le successive trasmissioni di quei parassiti a diversi individui? Si discusse per vari secoli intorno all’ origine della Tenia solium, questo preteso verme solitario, che fu creduto per lungo tempo esistere solo nell’intestino dell’uomo, ma che s’incontra anche nel cane, nel lupo, nella volpe, nella martora e nella puzzola. i Qui la dicitura dell’ autore è oscura: in realtà non è il primo indi- viduo che si divide in due, ma ne genera un nuovo per generazione, e poi altri indefinitamente, e questo nuovo individuo così generato ha in sè i due sessi. (Nota del Trad.) 390 TRIBÙ DEI VERMI Oggi, mercè la scoperta della generazione alternante, i naturalisti hanno le loro idee-ben fermate sull’origine del Verme solitario e sul modo di riproduzione che ne moltiplica gli individui nella cavità dell’intestino dell’uomo. Non sarà di poco interesse riassumere qui i lavori recenti che servirono a illuminare questa parte della storia naturale rimasta tanto a lungo oscura. La Tenia non è un individuo unico come fu creduto per tanto tempo, è una riunione di individui saldati gli uni agli altri e formanti ognuno degli anelli di questo complesso totale. Quando giunge il tempo fermato dalla natura per la riprodu- zione della specie, tutti gli individui adulti, cioè quelli che hanno acquistato il doppio apparato sessuale di cui erano fino allora sprovveduti, si staccano daì fratelli, abbandonano la co- munità, e, trascinati dalle deiezioni dell’ ospite nel quale di- moravano, appaiono alla luce. Ma questo mezzo è per essi mortale; muoiono però dopo d’aver deposto le uova preceden- temente fecondate. Fortunatamente, l’immensa maggioranza di queste uova, sebbene vivacissime, perisce per le numerose cause di distruzione da cui sono circondate. Alcune nondimeno giungono a schiudersi, e ne esce una piccola massa viva, omogenea, quasi sferica, nella quale non si distinguono altri organi se non tre paia di uncini, di cui due sono destinati a intaccare i tessuti dell’ospite che l’animale avrà scelto, o meglio nel quale la in- gestione da parte degli animali lo introdurrà per caso. Questo ospite infelice può essere un coniglio, un maiale, un animale da macello. Introdotto nel canale digerente, il giovane embrione si fissa entro a quell’organo che gli conviene, e vi si nutre per semplice assorbimento molecolare. Per via di germogliamento si forma nel suo interno una testa e un corpo di Tenia; in breve questa testa si arrovescia a mo’ di dito di guanto e si mostra armata di una corona di uncini. Gli uncini dell’ embrione primiero, divenuti inutili, in breve cadono e l'embrione stesso non è più che una appendice a mo’ di vescica più o meno voluminosa attaccata alla parte posteriore della Tenia, ancora molto incompleta, alla quale ha dato origine. In questo stato il giovane animale si riduce quindi a una testa, senza bocca, e a un collo non segmentato, al quale sta appesa una vescichetta, che, in questo periodo del suo sviluppo, gli valse il nome di Verme cistico o cisticerco. Finchè rimarrà confinato 'nel corpo dell’ ospite ove ha rag- giunto questo primo grado di organizzazione, il giovane ani- CESTOIDI 991 male non andrà soggetto a nessun'altra trasformazione, a nessun nuovo accrescimento. Ma se questo ospite, per esempio un coniglio, è mangiato da un altro animale, la piccola Tenia, passando in questo nuovo albergo, vi troverà tutte le condizioni necessarie al compimento del suo organismo. La bocca si formerà, il collo si dividerà in segmenti ben distinti, scomparirà la vescichetta che lo termi- nava, e nuovi segmenti, sempre più numerosi, si mostreranno nella parte posteriore dell’individuo primitivo, il quale, di sem- plice che era, si troverà allora composto di una moltitudine di individui, quasi tutti atti alla riproduzione. È questo l’aggregato molteplice che giunge talora a una stra- ordinaria lunghezza e che ricevette il nome volgare di Verme solitario. Non è dunque, come si crede generalmente, un indi- viduo unico, ma bensì una raccolta di individui !. . Le osservazioni che servirono a riconoscere il modo curioso di generazione e di sviluppo della Tenia furono fatte in Ger- mania dai signori Sieboldt, Leuckart e Kichenmeister. Furono confermate da sperimenti fatti in Francia, particolarmente dal signor Lafosse, professore alla scuola veterinaria di Tolosa. Avendo fatto inghiottire a dei cani il Cenuro cerebrale, specie di verme cistico che si trova nella pecora, si vide quel verme trasformarsi in Tenia. Lo sperimento inverso, vale a dire quello che consisteva nel fare inghiottire a una pecora dei pezzetti di Tenia del cane (Tenia cessata), ha prodotto dei Cenuri, e quindi la malattia che cagionano. ‘Uno sperimento molto concludente, e che merita di essere riferito, venne fatto, nel 1855, da uno dei fisiologi tedeschi, il cui nome è citato più sopra, dal signor Kiichenmeister, nello scopo di verificare l’ esattezza delle osservazioni relative allo sviluppo del Verme detto solitario negli organi dell’uomo. Una donna condannata a morte stava per essere giustiziata; il signor Kichenmeister ottenne dalle autorità il permesso di amministrare a quella donna, alcuni giorni prima della sua morte, dei Cisti- cerchi, quelli che producono la panicatura nel maiale. Questi Cisticerchi furono mescolati per qualche giorno al cibo di quella donna. 4 Morfologicamente si tratta qui veramente di un complesso di indi- vidui: ma se si considera la cosa dal punto di vista fisiologico , appare il complesso dei segmenti germogliati sull’ individuo primitivo, uniti a questo, un tutto individuato, in quanto che si richiede l’ opera comune al compimento del cielo vitale della specie. (Nota del Trad.) 392 TRIBÙ DEI VERMI Dopo il supplizio, il signor Kiichenmeister esaminò gli in- testini di quella disgraziata, e vi trovò delle Tenia solium in via di formazione e già nettamente caratterizzate. D'altra parte il signor Van Beneden, di Lovanio, dando da mangiare a dei maiali uova della Tenia umana (Tenia solium) vide la pani- catura svilupparsi negli animali sui quali aveva sperimentato. Finalmente il signor Leuckart è riuscito, nel 1855, a deter- minare lo sviluppo del Cysticercus fascilaris nel fegato del sorcio, Fig. 170. Idatidi. a. Cisticerco della lepre uscito dal suo involucro; d. Sua corona da’ uncini; ec. Posizione d’un Cenuro di pecora; d. Cenuro intiero, colle teste multiple attaccate alla sua vescichetta; e. Vescichette d’ Echinococo ; 7. Una di queste vescichette ingrandita per mostrare le teste multipl»; g. Tenia nana, proveniente dallo sviluppo d’una delle teste a uncini dell’Echìnococo. dando da mangiare a questo animale dei pezzetti della Tania erussicollis, che si trova nel gatto. All’incontro, un nostro amico, il signor Aloisio Humbert, con- servatore del Museo di Ginevra, ebbe il coraggio, nel 1854, di inghiottire cinque Cisticerchi presi sotto alla lingua di un maiale malato di panicatura. Il signor Humbert fu in breve preso da tutti i sintomi della tenia, che misero anche in peri- colo la sua vita. CESTOIDI x i 3983 Finalmente evacuò, dopo una cura acconcia, cinque Tenie benissimo organizzate. Non si vide mai sperimento più con- cludente, e mai, soggiungiamo, non si spiegò tanto zelo per la scienza. Lo sperimento di cui si tratta era già stato fatto, come abbiamo veduto, sopra animali. Rimaneva da verificarlo sul- l’uomo : è ciò che fece il signor Humbert arrischiando la pro- pria vita. La comparsa del Verme detto solitario nel corpo dell’uomo o degli animali, la sua riproduzione e il suo modo di sviluppo sono dunque oggi bene spiegati, mercè questo modo di genera- Fig. 171. Cenuro nel cervello d’una pecora. zione alternante che è una delle scoperte più recenti della storia naturale. Lo studio della riproduzione della Tenia ha condotto alla spiegazione di molti fatti rimasti per lungo tempo oscuri, e a scoprire che certi parassiti, i quali avevano ricevuto nomi speciali, non sono che giovani di un’altra spccie. Le uova della Tenia originano esseri incompleti, somiglianti alla testa del verme. Quando la testa si fissa nella sostanza di un organo, invece di giungere direttamente nel canal digerente ove deve compiersi e produrre nella sua parte superiore degli anelli riproduttori, come si vedono in quasi tutta la totalità del FiguieR. Rettili, Pesci e Animali articolati. 50 394 * TRIBÙ DEI VERMI corpo della Tenia, essa si trasforma provvisoriamente in idatide, sorta di sacca piena di sierosità, nella quale la testa del verme si trova aliora ravvolta come in un otricello pieno d’acqua. ‘ « Le idatidi, dice il signor Paolo Gervais, nascono costantemente dalle uova delle Tenie, ma non divengono a loro volta vere Tenie, cioè fornite di articoli producenti uova, se non quando passano dall’organo nel quale sono incistate, nello stomaco di un altro animale, per esempio dal corpo di un coniglio in quello di un cane, o di un lupo che avrà mangiato quel coniglio e inghiottito le idalidi che conteneva. « Questa metamorfosi segue, per le idatidi della panicatura, quando mangiamo carne di maiale ammalato di panfcatura o carne di bue o di montone contenente analoghi parassiti. Il succo gastrico non opera me- glio sulle larve della Tenia che su quegli Entozoi stessi, e questa sorta di larve, vale a dire idatidi, ingerite in condizioni simili, non tardano a compiersi producendo degli anelli che in breve si caricheranno di uova, e a divenire, in seguito alla loro dimora negli intestini, le Tenie come si conoscono. « Nello stesso modo le Trichine possono passare dal maiale nell'uomo. La cottura delle carni alimentari è il mezzo più sicuro per impedire questa pericolosa propagazione. « Il fatto della trasmissione della Tenia o Verme solitario dagli ani- mali alla nostra specie per mezzo delle idatidi sembra fosse noto agli Ebrei; ciò spiega la cagione per cui la legge di Mosè proibisce a questa nazione l'uso della carne porcina. « Si è in vista di questa trasmigrazione, e per porvi riparo, che sui nostri mercati si proibisce severamente di vendere dei maiali panicati. Dei periti sono incaricati di esaminare gli animali messi in vendita; e se hanno sospetto che siano presi da quel male, debbono far respingere la carne come malsana. « Furono descritte altre larve di Tenie, come costituenti un genere a parte di idatidi, col nome di Echinocochi. Una sola vescichetta di questi Echinococchi contiene un gran numero di teste e può originare altrettante Tenie, ma queste sonc sempre di piccola dimensione (fig. 170, e, g). Se ne è riconosciuta la presenza negli intestini del cane e in quelli dell'uomo. Quanto agli Echinocochi allo stato ancora di idatidi, essi pos- sono formare masse voluminose che si svolgono nelle varie parti del corpo. Se ne trovano abbastanza frequentemente nel fegato e nei reni. « I Cenuri hanno una conformazione analoga, ma le teste portate dalle loro vescicole idatiche sono più grosse che negli Echinococchi. Si è specialmente nel cervello degli agnelli (fig. 171) che si sviluppano; sono causa della malattia di quei ruminanti che porta il nome di capo- storno » ?. 1 Elements de Zoologie, seconda edizione, Parigi 1871, pag. 540. CESTOIDI 395 Torniamo alla Tenia nel suo stato ordinario. La fig. 172 rap- presenta le varie parti del corpo di questo verme. Gli antichi davano a questo verme il nome di Vitta; per in- dicare la sua forma appiattita, analoga a quella delle bende di cui i sagrificatori si cingevano il capo; da ciò è venuto il nome di Tenia. Le Tenie vivono nel canale intestinale dei grossi animali, e se ne rinvengono sopra quelli che abitano i climi più disparati, poichè se ne trovarono sopra dei leoni, delle tigri e delle gi- raffe, i quali vivono soltanto nelle regioni ardenti dell’Africa e dell'Asia, come pure sopra delle renne e degli orsi bianchi, che vivono nelle regioni gelate del polo. Gli antichi credevano che l’uomo non potesse mai avere più di un solo di questi animali alla volta. Il nome di Verme solitario che porta volgarmente deriva da questa erronea osservazione. Oggi è dimostrato che l’uomo e gli animali possono accoglierne parecchi ad un tempo. De Haén ne fece evacuare diciotto in pochi giorni a una donna, e Bremser ne ha osservato talora due o tre sulla stessa persona. Questi Entozoi si moltiplicano molto più nel corpo di certi animali che non di certi altri. Bloch ne contò fino a cento nel canal digerente di un luccio di tre quarti di chilogrammo, e Bremser dice di averne spesso osservato da sessanta a ottanta in quello di giovani cani. La testa, o quello che vien chiamato testa !, vale a dire la parte anteriore di un Cestoide, ha la proprietà di riprodurre l’animale intero. Quando si è evacuata una Tenia o Verme so- litario, il medico deve dunque riconoscer bene che la testa faccia parte della porzione evacuata. La testa della Tenia (fig. 173) presenta verso l’apice una corona di uncini che sembrano di natura cornea. Sotto alla corona di uncini e sulla parte rigonfia della testa, si scorgono quattro pori, od osculi, che Andry considerava a torto come occhi, e che Mery scambiava per tante aperture nasali. Da questi quattro pori nascono dei canali stretti che si dirigono allo in- dietro e che, quasi immediatamente, si riuniscono a due a due, per modo da non formare che due tubi che fiancheggiano l’ani- male da un capo all’altro. Ognuno di questi tubi è collocato verso uno dei margini dell'animale e comunica col suo opposto, 1 La festa della Tenia si dice propriamente Scolce, e i segmenti se- creti da questo, Proglottidi; il complesso dello Scolice colle Proglottidi costituisce lo Strobilo. (Nota del Trad.) 390 TRIBÙ DEI VERMI a livello di ogni articolo, per un canale trasversale che si trova verso la regione posteriore di quello. Le Tenie non hanno apparato di respirazione speciale, ed è probabile che questa funzione sia affidata alla pelle. Non si conosce neppure in modo positivo come si operi in essi la circolazione. De Blainville credeva che i due vasi laterali fossero in parte destinati a questa funzione, che servissero Fig. 172. Tenia e Botriocefalo. a. Tenia o Verme solitario; b. Sua parte cefalica; c. Uncini; d. Uno degli anelli riproduttori; e Uovo; 7. Embrione, detto larva esacanta; 9g. Due anelli riprodut- tori del Botriocefalo; R. Sua testa ; i. Uovo ciliato dello stesso. nello stesso tempo di canal digerente e' di organo di circola- zione !. Le Tenie, allo stato normale, stanno attaccate alle pareti del- l'intestino dell'animale al quale appartengono, mercè di un- cini (fig. 174) di cui è munita la loro bocca in moltissime x specie, e di succiatoj in quelle di cui la bocca è nuda. È proba- ! Fu già spiegato precedentemente, in una nota, che cosa pensino i moderni intorno a ciò. (Nota del Trad.) CESTOIDI 397 bile che possano vivere senza essere attaccate; si comprende in tal caso come vengano più agevolmente evacnate. Immerse in tal modo, almeno nella loro parte anteriore, nei liquidi intestinali degli animali vertebrati, le Tenie si nutrono senza dubbio di questi liquidi, che as- sorbono coi succiatoj del loro rigonfia- mento cefalico. I movimenti delle Tenie non sono certo sufficienti a far loro compiere una locomozione ben notevole, e che per- metterebbe all’animale di percorrere la lunghezza dell’ intestino che abita; non- dimeno, secondo Bremser, sembra che le contrazioni, le ondulazioni sue siano an- cora abbastanza veloci, e che si compiano in tutte le parti del corpo. Questo anato- . Fig. 175. Testa di Tenia mico ha osservato che i movimenti dei SOR succiatoj sono specialmente notevoli. Si è molto discusso intorno alla lunghezza delle Tenie in seguito a osservazioni malfatte. E probabile che questi Entozoi non siano lunghi più di 8 a 140 metri, ciò che è già molto ragionevole. Bremser, il quale è J \s Fig. 174. Uncini della Tenia. una grande autorità in questa materia, dice che quelli di 8 metri non sono rari e nella sua collezione ne ha parecchi di questa lunghezza. E probabile che i medici, i quali hanno creduto di osservare delle Tenic più lunghe, abbiano considerato come appartenenti a un solo di questi vermi le porzioni di parecchi individui evacuati successivamente da ammalati in uno spazio di tempo più o meno lungo. Hufeland fa menzione di un bambino di sei mesi che evacuò a poco a poco almeno trenta metri di Tenia, senza che ]a sua salute ne fosse alterata. Se quel bambino ne avesse evacuato una simile quantità ad ogni sei mesi fino all’età adulta, la lunghezza del verme sarebbe allora giunta a circa millecinque- 398 TRIBÙ DEI VERMI cento metri. Da ciò si sarebbe quindi concluso che esistono Tenie lunghe millecinquecento metri! Il Verme solitario, come si chiama volgarmente, fu lunga- mente tenuto in conto di un parassita pericoloso; ma oggi si è mutato parere. Le varie e barbare cure che si facevano altre volte sopportare agli ammalati erano più pericolose dello stesso verme. Uomini nei quali non si era mai sospettata la presenza della Tenia, e che tuttavia ne erano affetti, hanno vissuto tanto a lungo e in tanta salute quanto. quelli che ne erano esenti. Bisogna tuttavia riconoscere che la presenza di questo verme produce accidenti che è necessario combattere. Generalmente gli animali che hanno una o parecchie Tenie nell’intestino, hanno volto pallido, carni molli, magrezza, dilata- zione delle pupille, dispepsia o bulimia; ma questi fenomeni di rado sono tanto intensi perchè la presenza deile Tenie possa determinare accidenti veramente gravi. Porzioni del verme espulse colle materie fecali svelano, presto o tardi, la presenza di questo parassita. Si può liberarsi della Tenia prendendo, a digiuno, o radice di felce maschio in polvere, o corteccia dell’albero di melograno in decotto, o muschio di Corsica in decotto o in polvere. /{ ri- medio della signora Noufer, il rimedio di Bourdin furono per qualche tempo in voga. Oggi si suggerisce come specifico la polvere di kusso, pianta africana. Presa questa polvere e un purgante dopo, uno si libera certa- mente da questo sgradevole ospite. È opinione generale, e l'abbiamo esposta sopra, che, per es- sere veramente liberi dalla Tenia, bisogna espellere la testa di questo verme. Dobbiamo dire tuttavia che il naturalista tedesco Bremser, che divide con Rudolphi il merito delle ricerche più accurate intorno a questi Entozoi, non ammette questa opinione. Egli dice che sopra parecchi malati che ebbe in cura, nessuno vide uscire la testa della sua Tenia, e tuttavia 99 su 100 erano guariti *. ' Ciò dipende forse dal non aver veduto la testa che è piccolissima e molto malagevole a riconoscersi. (Nota del Trad.) ANELLIDI 399 TRIBU DEGLI ANELLIDI' Gli Anellidi hanno consuetamente da ogni parte del corpo una serie di fascetti di setole sostenute da tubercoli carnosi che tengon loro luogo di zampe. Il loro corpo è quasi sempre al- lungato e .cilindrico, spesso assottigliato all’innanzi e all’indietro, molle e diviso in un gran numero di segmenti trasversali che sono sempre simili. Da venti a trenta anelli compongono con-, suetamente il corpo di un Anellide; nondimeno questo numero può essere di molto superato. Gli anelli del capo differiscono ‘ poco da quelli dell’estremità. Il capo è raramente distinto, spesso è riunito agli anelli del corpo ed è munito di piccole mandibole o uncini. Il modo di incesso di questi animali è una certa ondulazione che li fa strisciare. Raramente presentano piedi, e quando esistono sono interamente rudimentali. Come abbiamo detto, dei fascetti di setole sono distribuiti sui due lati del corpo, sostenuti da tubercoli carnosi. Due tuber- coli sono riuniti, e quasi sempre alla base di ognuno di essi sì trova una lunga appendice molle, cilindrica e retrattile, detta cirro. Negli Anellidi privi di setole, o apodi, l'estremità del corpo è munita di ventose. La ventosa posta all’ estremità del corpo serve alla Îloco- mozione. Le setole sono le armi degli Anellidi. Si piantano nei corpi molli contro i quali battono. Siccome il capo manca quasi sempre agli Anellidi, la loro bocca è collocata sotto alla faccia inferiore del corpo, all’estre- mità anteriore. Una specie di proboscide esce da questo orifizio. ! Qui l'autore restringe singolarmente il gruppo dei Vermi, escludendo gli Anellidi, che eleva come gruppo equipollente a quelli. In tutte le classificazioni moderne di maggior valore gli Anellidi vengono riuniti coi vermi intestinali, e con altre numerose classi, nel tipo e divisioni primarie dei Vermi. i (Nota del Trad.) TRIBÙ DEGLI ANELLIDI 400 Le mandibole, che hanno consistenza cornea, sono fatte a mo’ di uncini cornei. La figura 175 mostra la struttura di un Anellide, Un canale digerente diritto solca l'interno del corpo degli Anellidi. Il loro sangue assume vari colori. Può essere rosso, giallo, violaceo, azzurrognolo o verde. Circola in una serie di vasi di cui alcuni, contrattili, tengon luogo di cuore, e di cui altri fanno ufficio S di arterie e di vene. i) Gli Anellidi respirano per branchie, dl | che sono visibili esternamente e hanno la forma di ciuffi, di pennacchi o di filamenti. In alcuni, come nelle San- guisughe, le branchie sono interne e foggiate a mo’ di vescichette. Final- mente, in altri, la respirazione si compie per tutta la superficie cutanea. Il sistema nerveo di questi animali si riduce a una serie di piccoli gangli. Uno di questi gangli nervei, posto nella parte anteriore, più sviluppato degli altri, compone il cervello. In questi animali i sensi sono po- chissimo sviluppati. I loro occhi non sono che punticini lisci, circolari, in numero variabile. x Sosta =_= car È A SÒ \iwnrs Fig. 175. Anatomia d’un Anellide. b. Testa; c. Antenne; g. Pie- di; A. Faringe ;} A”. Muscoli della faringe; n. Ghiandole sa- livari; 7. Muscoli retrattori della faringe; /. Intestino ; Vaso dorsale ; 7. Vaso cen- trale cuore); v Vaso bran- chiale; t. Vasi laterali. Il corpo degli Anellidi non è sem- pre nudo; talora è protetto da un in- voglio calcare. Le specie nude somi- gliano a vermi !, o a larve; si scavano nella terra o nella melma delle strette gallerie nelle quali dimorano; altri si allogano entro a mucchi di sabbia. Le specie dall’invoglio saldo si rinchiudono nel loro astuccio come in una conchiglia. Gli Anellidi sono timidi, e tuttavia non vivono che di rapina e sono carnivori. Sì mettono in agguato e aspettano, mentre passano, gli insetti e i piccoli crostacei. Li afferrano colla pro- boscide o li ravvolgono nelle spire del loro "corpo. Certuni fo- rano le conchiglie più dure e vanno a divorare il mollusco nel ' Vedi la nota precedente. (Nota del Trad.) ANELLIDI 401 suo ricovero. Altri suggono il sangue degli animali, altri an- cora si nutrono di sostanze animali in putrefazione. Nondimeno qualche specie mangia vegetali. Il mare racchiude un gran numero di Anellidi. Certe specie vivono nelle acque dolci, tanto di fiume quanto di stagno; ve ne sono finalmente delle terrestri. Queste ultime specie sono di color scuro, mentre gli Anellidi marini sono adorni di splendidi colori e sono ornamento del regno delle acque. Alcune specie sono fosforescenti. Lo studio degli Anellidi, particolarmente. delle Sanguisughe, ha indotto Moquin-Tandon a creare la teoria dei Zooniti. Secondo questo naturalista, gli Anellidi sarebbero non un individuo unico, ma un aggregato di individui somiglianti. Quando si esaminano gli articoli o segmenti, di cui è composto il corpo di un Anel- Fig. 176. Chetoptero. lide, si riconosce che presentano gli stessi organi ripetuti re- golarmente. Per esempio, la regione dorsale di una Sanguisuga presenta sei fasce longitudinali parallele, che si ripetono regolarmente di cinque in cinque anelli. Lo stesso animale mostra, di cinque in cinque segmenti, alla stessa distanza, delle macchie dorsali, delle ghiandole mucipare e un ganglio nerveo. La pelle della Sanguisuga presenta, di cinque in cinque anelli, lo stesso gruppo di fasci muscolari, e si incontra la ripetizione delle parti e una simmetria dello stesso genere nell’apparato riproduttore. Da questi fatti Moquin-Tandon concluse che la Sanguisuga non è ùn essere semplice, ma una raccolta di esseri simili, e dà il nome di Zooniti agli organismi individuali che compongono questo complesso. FicuirR. Rettili, Pesco e Animali articolati. 5I 402 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI Moquin-Tandon segnala degli Zooniti di quattro, di tre, di due e anche di un solo anello. Questo genere interamente particolare di organizzazione ha fatto credere che gli Anellidi possano resistere alle più grandi mutilazioni. Si è per lungo tempo affermato da molti scienziati che il tronco di un lombrico tagliato in due continua a vivere e ripara prontamente alla perdita fatta. Ma altri sostengono che questa è una affermazione assolutamente errata: le due parti del lombrico troncato a mezzo del corpo muoiono dopo una serie di contrazioni dei muscoli, quali vediamo nella coda della lucertola recisa. Questo sperimento venne fatto molte volte. Gli Anellidi depongono uova. In generale gli individui giovani non sopportano metamorfosi, nondimeno certe specie hanno trasformazioni. Le Terebelle, le Ermelle sopportano mutamenti di organizza- zione; dapprima viaggiatori, divengono in seguito sedentari. In altri Anellidi (ie Naidi, le Sillidi, le Miriane), la generazione è scissipara; vale a dire l’animale si divide in due e ogni metà isolata si compie producendo, per germinazione, la coda o il capo che gli manca. Il più curioso si è che durante parecchie generazioni que- sto modo di riproduzione per scissiparità si conserva, poi i sessi si mostrano e la specie si propaga nuovamente per mezzo di uova. La classe degli Anellidi vien divisa in quattro ordini: 41.° gli Anellidi chetopodi; 2.° gli Anellidi dorsibranchiati; 3.° gli Anellidi abranchiati; 4.9 gli Anellidi apodi. I Chetopodi * sono muniti di setole che servono alla locomozione, e sovente hanno branchie. Gli animali che fanno parte di questo gruppo vivono consuetamente entro a tubi che secerne il loro corpo: quindi vennero detti talora Anellidi tubicoli. In essi il corpo si compone del capo, del torace e dell'addome. Le branchie sono inserite sul capo. I Dorsibranchiati (lat., Dorsibranchiata) hanno gli anelli del corpo tutti simili fra loro; la maggior parte di questi anelli hanno branchie. Un gran numero di Anellidi marini appartengono a questa divisione. Gli Anellidi vivono nella melma, nelle pietre, ecc., ! Lat., Chetopoda; fr., Chetopodes ; ted., Borstenwirmer. CHETOPODI 0 ANELLIDI TUBICOLI 403 ma senza rimaner sempre nello stesso luogo : quindi si dà loro sovente la denominazione di Anellidi erranti. Gli Anellidi abranehiati (lat., Abranchiata) hanno per carattere principale, come l’indica il loro nome, il non avere branchie. Finalmente gli Anellidi apodi (lat., Apoda), sono interamente mancanti di piedi (onde il loro nome) e si muovono per mezzo di ventose collocate alle due estremità del corpo. Diremo qualche parola dei tipi’ principali di ognuno di questi ordini. Chetopodi o Anellidi tubicoli (lat., Tubicola). — Fra gli Anellidi tubicoli, vale a dire che vivono entro a un tubo calcare, i più noti sono le Serpule, le Anfitriti e le Terebelle. Le Serpule (lat., Serpula) hanno un aspetto splendido e si compongono di tubi bianca- stri, contorti e fissati in fondo al mare sopra conchiglie nel centro degli scogli. Vivono in fondo al loro astuccio, come i molluschi nella conchiglia. La fig. 177 rappresenta la Serpula Serpula comune comune. fuor del tubo. Questa specie vive, come si vede nella figura, in un tubo, entro'al quale può salire e scendere, ma non rigirarsi. Le branchie, vale a dire gli organi della respirazione, formano in- torno al capo dell'animale una specie di diadema di fili, che espande fuori, per aspirare l'ossigeno dell’ aria sciolto nel- l’acqua. Al più piccolo pericolo, quando sia minacciato da qualche nemico, esso rientra nel suo tubo flessuoso. La fig. 176 rappresenta un altro Anellide tu- bicolo, il Chetoptero (lat., Chatopterus) di Va- lenciennes, estratto dal suo tubo. Questo Anel- lide non è raro sulle coste di Francia. L’Anfitrite (lat., Amphitrites) ha un tubo non Sia calcare, ma membranoso. RA Lo Spirorbe (lat., Spirorbis) nautiloide (fig. 178), di piccolissima mole, vive sui fuchi, sulle conchiglie, sugli scogli, secerne un tubo più regolare di quello della Serpula.. Le Terebelle (lat., Terebella) vivono entro un tubo protet- tore, cilindrico, fatto di melma, argilla, granelli di sabbia e frammenti di conchiglie agglutinati; questi Anellidi si distinguono 404 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI per le numerose appendici filiformi che circondano la bocca, e per tre paia di branchie che si ramificano all’ esterno del loro corpo. Fig. 179. Terebella conchiglifera. La figura 179 rappresenta una Terebella delle coste di Francia, la Terebella conchiglifera. Dorsibranchi, o Anellidi erranti. — Fra gli Anellidi erranti i più importanti sono -le Arenicole (lat., Arenicola), le Nereidi Fig. 180. Apneuma pellucida. (lat., Nereis), ricercate dai pescatori per farne esca alle loro lenze, alle quali si possono aggiungere le Ewunici (lat., Eunice) e le Sillidi (lat., Syllis). Le Nereidi hanno le branchie a mo’ di laminette e tentacoli in numero pari, collocati da ogni lato dell'estremità del corpo. DORSIBRANCHI, O ANELLIDI ERRANTI 405 Rappresentiamo ancora come tipo curioso di Anellidi erranti il Branchellione (lat., Branchellio), specie di sanguisuga paras- sita che vive sulle Torpedini, e (fig. 180) l’ Apneuma (lat. Apneuma) pellucida, disegnata da Quatrefages. La fig. 182 rappresenta una Nereide arenicola, 1’ Arenicola dei pescatori, e la fig. 181 la Nereide mirianide. Fig. 182. Nereide arenicola. Fig. 181. Nereide mirianide. Le Eunici sono bellissimi vermi che comprendono parecchie specie europee. L’ Afrodite irta o Bruco di mare ‘, dal corpo ovoide aguzzo ai due capi e depresso, è una delle specie più belle di Anellidi propri dei nostri mari. Nella figura 188 rappresentiamo ! Lat., Aphrodites; fr., Chenille de mer. 406 Ù TRIBÙ DEGLI ANELLIBI questo Anellide. È notevolissima pei riflessi metallici verdi, bruni o dorati dei peli che porta. Un altro Anellide, la Sillide (fig. 185), venne lungamente creduto una specie estranea all’ordine di cui stiamo parlando. Fig. 184, Afrodite dagli aculei. Fig. 185. Istrice di mare, Abranchiati. — All'ordine degli Anellidi abranchiati apparten- gono i Lombrichi (Vermi di terra) !, e le Naidi, specie più piccole. I Lombrichi hanno il corpo allungato e cilindrico, composto i Lat, Lumbricus; fr., Lombric, volgarmente Ver de terre; ingl., Mad, Earth-worm; ted., Regenwurm. ABRANCHIATI 407 di segmenti, bocca senza denti, con due labbra, il superiore sporgente a mo’ di proboscide e lanceolato, fesso sotto; l’inferiore brevissimo. Fra il ventesimosesto e il ventesimosettimo segmento si 0s- serva nella parte anteriore e superiore del corpo una specie di cintura, detta la sella. LI coso | Il I ii o | i ha | Fig. 186. Cirratulo di Lamarck. Fig. 185. Sillide maculosa. I Lombrichi cercano i terreni umidi e hanno una preferenza per le terre grasse. Assorbono la terra e ne estraggono l’humus che evacuano in forma vermicolare. Durante i rigidi freddi o i caldi ardenti si affondano molto nella terra; ma quando il suolo è reso più molle dalle piogge risalgono alla superficie, e talora anche escono fuori durante i 408 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI tempi umidi. Recano danno ai raccolti, sia smuovendo la terra seminata, sia lacerando le radici delle piante quando escono dalla terra. I pescatori adoperano i Lombrichi come esca, e i contadini li danno da mangiare al pollame giovane. Il nostro Lombrico comune (Lombricus terrestris), grosso come Fig. 187. Lombrico gigante. una penna di cigno, è lungo da 20 a 83 centimetri; il suo corpo sì compone di 100 a 200 anelli (fig. 187); il Lombrica gigante può giungere alla lunghezza di 45 centimetri e alla grossezza del dito mignolo. Le Naidi (lat., Nais), piccolissimi Anellidi, poichè non hanno più di 1 decimetro di lunghezza, abbondano nelle acque stagnanti. ANELLIDI APODI 409 I Sipuncoli stanno nelle sabbie del mare poco lungi dalle coste. In Cina e nella Malesia una specie di Sipuncolo (Sipunculus Bala- nophorus) serve di esca per la pesca e anche di cibo agli abi- tanti. Anellidi apodi, — All’ordine degli Anellidi apodi, vale a dire Fig. 188 Sanguisuga officinale. DI SIIT | | NUTI n) . LIMI) senza piedi, e alla famiglia degli Irudinei, che fa parte di ‘ quest'ordine, appartengono le Sanguisughe '. Questo Anellide es- sendo molto adoperato in medicina, e dando luogo a ùn com- mercio importante, merita che se ne scriva con ogni particolare la storia. { Fr., Sangsue; ingl., Leech; ted., Blutigel. FicuieR. Rettili, Pesci e Animali articolati. 52 410 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI La Sanguisuga era nota agli antichi. Gli scrittori latini fanno menzione della sua proprietà di suggere il sangue degli altri animali. Ciò le valse dai Greci i nomi di bdella e di filaimatos (che ama il sangue). I Latini la chiamarono Hirudo e Sanguisuga, nomi che esistono anche nelle nostre nomenclature. Fu Linneo il quale creò il genere di Zirudo. Dopo i lavori dell’ illustre naturalista, il numero delle ZZirudo si è notevolmente accresciuto, ma la loro storia naturale non si è rischiarata se non lenta- mente. I numerosi studii di cui il genere Zirudo fu argomento hanno avuto per effetto la creazione di parecchi generi alle spese di quello formato da Linneo; la distinzione delle specie che erano state confuse colle altre; l’ esclusione degli animali che erano stati male a proposito classificati colle Sanguisughe, finalmente la profonda cognizione della organizzazione e della fisiologia di questi singolari animali. Queste questioni furono trattate ai giorni nostri estesamente in molti lavori: come le Mémoires sur les Annélides di Savigny, inserite nella grande opera sull’Egitto (pag. 113 e seg.): la mo- nografia del genere Zirudo di Carena; 1’ Mistoire naturelle et médicale des Sangsues di Derheims (Parigi 1825); finalmente la Monographie des Hirudinées di Moquin-Tandon, pubblicata a Montpellier nel 1827, e di cui una seconda edizione comparve nel 1844. Prenderemo per guida quest’ultimo lavoro per la de- scrizione che stiamo per fare delle specie medicinali di Sangui- sughe. I caratteri del genere Sanguisuga sono: corpo allungato, un po’ depresso; ottuso posteriormente, ristretto gradatamente sul davanti, composto di un grandissimo numero ci segmenti brevi, eguali, distintissimi, sporgenti sui lati; ventosa orale bilabiata, col labbro superiore sporgentissimo, quasi lanceolato, fatto dai cinque primi segmenti; bocca grande rispetto alla ventosa orale, mascelle dure, con due file di denticini, numerosi, molli, aguzzi e molto-fitti; due occhi poco sporgenti, disposti in linea curva, sul primo segmento, due sul terzo e due sul sesto. Questi caratteri differiscono un poco da quelli del genere Hemopis, nel quale si alloga la Sanguisuga del cavallo (Sanguisuga nera), che non può adoperarsi in medicina poichè non sugge il sangue degli animali vertebrati. I denticini delle Z#mopis sono smussati e non tanto aguzzi come quelli delle Sanguisughe. La Sanguisuga officinale (lat., Sanguisuga officinalis; franc., Sangsue verte), la più grossa delle specie note, vive negli sta- gni e nelle pozze dei fossi dell'Europa centrale e meridionale. ANELLIDI APODI 411 Ordinariamente è lunga, quando è adulta; da 10 a 13 centi- metri larga un centimetro. Alcuni individùi hanno almeno 18 centimetri di lunghezza. Il corpo è allungato, depresso ,'di color bruno-verdastro, piut- tosto chiaro, traente talora ‘al rossastro o al giallo sucido, se- gnato di sei fasce longitudinali color ruggine. Gli articoli 0 seg- menti sono molto lisci. Il ventre è di color’ olivastro, senza macchia alcuna, ma solo con due righe longitudinali laterali formate di macchie nere ravvicinatissime. Gli occhi sono ab- bastanza sporgenti, sopratutto negli individui più piccoli. I denti sono aguzzi e in numero di circa sessanta ‘paia. Sul dorso stanno dei punticini diafani disposti trasversalmente, i quali corrispondono agli organi della respirazione. La Sanguisuga medicinale (lat., Sanguisuga medicinalis; fr., Sang- sue grise) vive nelle acque dolci d’Europa, particolarmente nei paesi temperati e settentrionali. È lunga da 10 a 13 centimetri; rassomiglia molto alla Sanguisuga officinale (fig. 188). Ha il dorso di color verde meno cupo, striato di sei fasce longitudinali color ruggine. Le fasce intermedie sono segnate, di cinque in cinque anelli, da macchie nere, irregolarmente triangolari e quadrate; in al- cune varietà queste macchie nere sono talmente allungate che tendono a confondersi. I segmenti sono muniti di moltissime piccole sporgenze granulose che si manifestano o scompaiono a piacimento dell’animale. Il ventre è verde-giallastro, macchiettato di nero, orlato di due righe longitudinali nere, larghissime e molto ravvicinate in certi individui. Queste due specie di Sanguisughe sono quelle che si adoperano più frequentemente, ma tutte quelle che appartengono vera- mente al genere Sanguisuga, potrebbero all’ uopo sostituirle. Queste specie non presentano del resto fra loro grandi dif- ferenze : parecchie sono confuse dai farmacisti colla Sanguisuga verde 0 grigia. Oltre a queste due specie destinate ad uso medicinale, vanno citate le seguenti : 1.° Sanguisuga obscura: corpo bruno sul dorso, segmenti muniti nel contorno di tubercoli granulosi, ventre verdastro, con atomi neri, numerosi e poco sporgenti. Questa specie vive nelle acque del mezzodì della Francia; è lunga da 2 !/» a 5 centimetri. 2.° Sanguisuga verbana. Hirudo verbana, Carena. — Questa specie ha il corpo color verde scuro; sul dorso, delle fasce 412 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI brune trasversali e» parallele formano, estendendosi, due linee. longitudinali e interrotte; il ventre è verde giallastro, senza macchie o solo segnato di piccolissimi punti neri. Questa Sangui- suga trovasi in Italia nel lago Maggiore; non è lunga che 6 centimetri e larga 3 e mezzo. 3.° Sanguisuga interrupta: corpo verdastro, segnato sopra di Fig. 189. Struttura anatomica della Sanguisuga. A. Sistema nervoso: a. Cervello; d. Occhi e nervi ottici; c a ec”. Serie ganglio- nare sottointestinale ; B. Parte anteriore del corpo portante degli occhi ; C. Una delle tre mascelle; £ La bocca aperta, per mostrare il collocamento delle ma- scelle; /. Denti al posto; F,F°. Due denti isolati, visti al disopra e di profilo per mostrarvi i denticelli a sega; G. Parte del sistema vascolare che mostra i quat- tro tronchi principali e le loro divisioni; D. Rappresenta la bocca aperta della Sanguisuga detta Sanguisuga del cavallo (genere Hemopis). macchie isolate; segmenti tubercolosi; ventre giallastro, talora con larghe macchie nere, e sui due lati due fasce nere a ghi- rigori. Questa Sanguisuga ha una lunghezza di 8 a 10 centi- metri. Daremo ora alcuni particolari intorno alla struttura anato- mica della Sanguisuga e sul modo con cui le funzioni fisiologi- che si compiono in questo Anellide. 413. La fig. 189, mostra con evidenza le particolarità della sua organizzazione. Il corpo delle Sanguisughe è molle, suscettivo di arrotolarsi a palla e prendere varie forme. È coperto di un’ epidermide liscia, sottile, trasparente, di cui l’animale si libera ogni quattro o cinque giorni, uscendo da questa sorta di fodero a un dipresso come fanno i serpenti. Sotto all’ epidermide sta il pigmento, il quale, al microscopio, sembra fatto di un tessuto spugnoso, contenente la so- stanza colorante, e che è attraversato dalle estre- mità nervee che gli danno una vivacissima sen- sibilità. Il derma, la parte più spessa dell’invo- glio cutaneo, è fibroso e contiene una grande quantità di tubercoli granulosi, talora molto spor- genti, e che secernono un liquido appiccaticcio che lubrifica la superficie della pelle. Il canale digerente, che si allunga, senza nes- suna circonvoluzione, dalla ventosa anteriore fino alla ventosa anale, comprende la bocca, l’esofago, parecchi stomachi, degli intestini ciechi e l’inte- stino retto (fig. 190). L’ apparato circolatorio si compone di vasi laterali e di un vaso dorsale, pieno di un sangue il quale, secondo Derheims, può separarsi in due parti come quello dei mammiferi, ma di cui il coagulo non contiene che una quantità appena apprezzabile di fibrina. La respirazione delle Sanguisughe si compie per branchie, o sacchi membranosi, di cui il nu- ANELLIDI APODI Fig. 190. Tubo digestivo della sanguisuga officinale. a, L’esofago, se- mero varia da quindici a venti, e sono collocati sui lati dell’animale. Le Sanguisughe possono vivere parecchi giorni senza respirare. Vivono almeno una settimana in una boccia piena d’acqua ed'ermeticamente chiusa. guito da molte ca- mere stomacali distinte, nella Sanguisuga me- dicinale; a’.I due cechi posti da- vanti all’intesti- no; b. L’intestino. I movimenti della Sanguisuga si compiono per mezzo di muscoli di cui il suo corpo è provvisto, e che formano degli strati sovrapposti. Quando l’animale vuol progredire, fissa dapprima la sua ven- tosa anale, e col succiamento, e coll’aspirazione dell’aria, forma una sorta di coppa di cui applica perfettamente i margini, come tutti i punti del disco, sul corpo al quale vuole attaccarsi. Fa lo stesso colla sua ventosa orale, che attacca a un punto più o meno lontano. 114 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI Egli distacca allora la sua ventosa anale, la raccosta alla orale, l’ attacca nuovamente e così di seguito. L’aderenza della ventosa contro i corpi, anche più levigati, è talmente forte che difficilmente si possono staccare le Sanguisughe tirandole pel corpo, vale a dire quando si opera perpendicolarmente al piano sul: quale posano. Per distaccarle bisogna tirarle obliquamente e far scivolare il dito fra la ventosa e il sostegno al quale aderisce. I movimenti che le Sanguisughe fanno nell’ acqua si com- pongono di curve alternanti e assai moltiplicate. Le Sangui- sughe stanno in- fondo all’ acqua attaccate a corpi solidi. Si os- servò che iloro movimenti seguono le variazioni atmosferiche, che si agitano e salgono alla superficie dell’acqua all’accostarsi del temporale. -' I pescatori traggon partito di questa circostanza per prenderle alla superficie dell’acqua. Nondimeno questo fenomeno è tutt'altro che certo. Coloro che consultano una boccia contenente Sanguisughe invece di un barometro sono spesso ingannati. Le Sanguisughe sono ermafrodite, ma per la riproduzione sono necessari due individui. Fecondate, depongono le uova. Queste uova sono. deposte talora alla superficie della terra, talora entro buche rotonde, comunicanti con gallerie ove molto spesso si trovano una o due Sanguisughe. Queste uova, vol- garmente dette bozzoli, sono ovoidi. Il loro peso varia da un grammo .a un grammo e mezzo, secondo il loro stato di va- cuità o di pienezza; il loro diametro maggiore è di uno a due centimetri. L’invoglio esterno di questi bozzoli è una borra di filamenti cornei e trasparenti. Nell’ interno vi è un muco che contiene gli ovicini. Appena i piccoli sono giunti nell'uovo al loro compiuto svi- luppo, rompono l’estremità del bozzolo ed escono fuori. Le piccole Sanguisughe sono rossastre e filiformi; i vasi sanguigni si scorgono attraverso ai loro tegumenti; ma in breve il piccolo neonato riveste la livrea dei genitori. Il modo di riproduzione delle Sanguisughe era noto in Bre- tagna e in altre province della Francia da tempo antico; per- chè vi era colà l’uso da tempo immemorabile di ripopolare di Sanguisughe gli stagni esauriti da numerose pesche, trasportan- dovi i bozzoli che si estraevano dal fango degli stagni. Nondimeno questi fatti non erano stati registrati nelle »rac- colte scientifiche. ANELLIDI APODI 415 Solo nel 1821 Lenoble, medico all’ ospedale di Versaglia, li fece conoscere alla Società di agricoltura del dipartimento di Senna e Oise. Poco tempo dopo, Rayer lesse all’ Accademia di medicina di Parigi una memoria contenente nuovi ragguagli intorno ai bozzoli delle Sanguisughe. Nello stesso tempo un dotto di Londra, Rawlins Johnson, pubblicava la traduzione inglese della memoria di Lenoble, con nuove osservazioni. |‘ Finalmente parecchi farmacisti e medici o noesi particolar- mente Charpentier, di Valenciennes, Desaux, di Poitiers, Chate- lain, di Tolone, Desheims, Pallas, Guyon, Achard finalmente alla Martinicca, contribuirono a rischiarare la questione della riproduzione delle Sanguisughe. In breve l’industria se ne im- padronì e si fecero nel dipartimento della Gironda le prime prove per la moltiplicazione delle Sanguisughe entro ‘stagni artificiali. Torneremo in seguito su questa impresa industriale. Si pescano le Sanguisughe con reti di tela di crino a larghe maglie tese sopra cerchi, o gettando nell’acqua delle sostanze animali alle quali questi anellidi vanno ad attaccarsi. Certi uomini poco sensibili non hanno paura di mettersi nell’ acqua ed esporsi alle punture delle Sanguisughe, cui staccano appena giunti sulla sponda dello stagno. Le Sanguisughe hanno la vita tenacissima. Tutti sanno che tagliando in due una Sanguisuga, mentre sta suggendo il sangue di un uomo o di un animale, la parte anteriore continua ad aspirare il sangue, almeno per alcuni minuti. Se si taglia a pezzi una Sanguisuga, la vitalità di ogni suo frammento si pro- lunga per un certo tempo. Rayer ha anche conservate vive per quattro mesi delle Sanguisughe alle quali aveva esportato le due ventose. Questi fatti si spiegano colla teoria dei Zooniti di Moquin- Tandon, di cui abbiamo parlato sopra. Moquin-Tandon, dicemmo, considera ogni posizione del corpo della Sanguisuga occupata da cinque segmenti come un ani- male semplice (Zoonito), nel quale la individualità è fortemente caratterizzata, perchè possiede gli elementi della vita, vale a dire un piccolo sistema nerveo, un sistema digerente, un ap- parato per la respirazione, per la circolazione, ecc. Una serie di questi esseri riuniti come una collana vivente costituirebbe la Sanguisuga. Quindi si comprende che si possa dividere, sezionare una Sanguisuga senza che muoia, e che i frammenti separati con- tinuino a vivere della loro esistenza propria. 416 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI Malgrado la loro tenacità vitale, le Sanguisughe periscono in «gran numero e come per epidemia se non sono custodite con cura. Il farmacista deve rinnovare ogni giorno l’acqua dei serbatoi delle Sanguisughe, se non vuole vedere questi Anel- lidi ammalarsi e morire. Ora la putrefazione può determinarsi «prontamente accumulando questi animali in recipienti piccoli e «col salire della temperatura dell’acqua. I loro escrementi bastano a corrompere rapidamente quel liquido, che esala un odore infetto. Non basta dunque che il farmacista muti ogni giorno quell’ acqua, bisogna anche che «getti via tutte le Sanguisughe morte o ammalate. Nelle farmacie ove se ne fa un grande smercio si conservano le Sanguisughe entro bocce di vetro, o in vasi di terra, che ‘si mettono in cantina o in altri luoghi ove la temperatura è invariabile. Ma quando si tratta di conservarne delle grandi quantità , «difficile poter mutar l’acqua frequentemente. In questo caso è conveniente adoperare un apparecchio speciale «che venne proposto da Derheims. Nel fondo di una vasca di marmo o di pietra si dispone uno strato di quindici a trenta «centimetri di musco, di torba, e di carbone di legno in pezzet- ‘tini; si cosparge questo strato di ghiaia di cui il peso serve a «comprimere dolcemente il musco. Ad una delle estremità della ‘vasca e verso il mezzo dell’altezza delle pareti si aggiusta una sottile tavoletta di pietra bucherellata e coperta di uno strato di musco compresso da ciottolini. Si mette dell’acqua nella vasca fino a che sfiori lo strato di musco che è sulla tavola, e si ripara dalla luce la vasca con una tela di crino. Le Sanguisughe hanno così libero il campo per nuo- ‘tare nell’ acqua, passeggiare sul musco esterno, o affondarsi nello strato, per liberarsi dalle mucosità che sono le cause principali di putrefazione. Un metodo generalmente seguito per conservare a lungo grandi quantità di Sanguisughe consiste nel rinchiuderle nell’ argilla in pasta molto liquida, ciò che mantiene loro intorno dell’umi- dità e le ripara dalle variazioni di temperatura. Questo mezzo ‘ di conservazione è eccellente. Le Sanguisughe scavano nel- l’argilla delle piccole gallerie, ove vivono parecchi anni. Quando si conservano le Sanguisughe entro semplici bocce coperte di tela, è necessario che questi recipienti abbiano la capacità di cinque o sei litri per cento o duecento Sanguisughe, convien porre questo vaso in un luogo fresco , al riparo dal gelo, dai raggi del sole, dagli odori forti, e mutar l’acqua ogni D- ANELLIDI APODI 417 giorno in estate e ogni due giorni d’inverno. L’ acqua deve essere di sorgente, di fiume o di pioggia, e non di pozzo o di cisterna, che è in gran parte priva dell’aria necessaria alla re- spirazione. Si vuota interamente la boccia delle Sanguisughe versando il suo contenuto sopra uno staccio di crine. Si Java accurata- mente il vaso, come pure il pannolino che le ricopre. Si se- parano bene le Sanguisughe morte, e anche quelle che paiono ammalate’, ciò che si riconosce alla gonfiezza e al mutamento di colore delle estremità, o mercè nodosità separate da vari stringimenti. . Si riempie il vaso di nuova acqua e vi si rimettono le San- guisughe sane. A Parigi, che è un grande centro di commercio delle Sangui- sughe, i negozianti ne conservano notevoli quantità entro ma- gazzini freschi, profondi, ma ariosi, forniti abbondantemente di acqua, e ove si trovano dei grandi catini pieni d’ acqua e co- perti di tela. La tela che copre questi recipienti presenta nel mezzo una larga apertura circolare che lascia vedere l’interno del sacco, e dalla quale nondimeno le Sarguisughe non possono uscire, es- sendo questa apertura munita tutto intorno di una fascia di tela pendente e sfilacciata sotto, ciò che impedisce alle, Sangui- sughe di attaccarvisi. Quando le Sanguisughe arrivano nelle botteghe, si comincia a versarle neì catini pieni di acqua, a gettar via quelle che sono morte o ammalate, e a separarle secondo la grossezza. Si rin- chiudono le Sanguisughe riconosciute buone entro sacchi che ne contengono due o tre chilogrammi, e sì appendono questi sacchi nel magazzino. Soltanto bisogna rimetterle nell’acqua, per giro, entro i catini un giorno ogni due o tre. Le Sanguisughe ammalate poi si mettono entro fango di argilla stemperata ove sì esaminano ogni due o tre giorni, rinnovando l’ argilla ogni quindici o venti giorni in estate. Diciamo finalmente che i negozianti di Sanguisughe che stanno lontani da Parigi, e sono costretti a conservare un gran numero di questi animali, hanno preso il partito di costrurre delle vasche col fondo di argilla attraversate da una piccola corrente d’acqua !. Sul margine di questi serbatoi si mettono delle piante acquatiche. Le Sanguisughe, tornate così al loro stato i In Italia l’allevamento artificiale delle Sanguisughe si pratica, sebbene non molto estesamente, in Piemonte. Nel contorno di Torino, Fisurer. Rettili, Pesci e Animali articolati. d9 418 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI quasi naturale, si conservano in buona salute, e possono anche moltiplicarsi. L’uso delle Sanguisughe nella cura delle malattie infiamma- torie dipende dal pronto e facile sgorgare del sangue e dei liquidi promosso dall’applicazione di un certo numero di questi Anellidi intorno alla parte dolente. La Sanguisuga fora la pelle coi suoi denti aguzzi e beve il sangue. Il modo di applicare le Sanguisughe è semplicissimo, ma ri- chiede abitudine e una certa destrezza. Bisogna cominciare a lavare la parte con acqua tepida o latte, prendere le Sanguisughe pel dorso e presentare alla pelle del paziente la ventosa orale dell’animale. Talora si chiude la Sanguisuga in un panno ba- gnato o in un bicchierino da liquori, di cui si colloca l’orifizio sulla parte ove si vuol far mordere la Sangusuga. Se il dolore cagionato dalla morsicatura di una Sanguisuga non può essere sopportato dall’ammalato, si fa staccare l’ Anellide mettendogli sul dorso una sostanza irritante come sale o tabacco. Tutti sanno che le Sanguisughe non possono mordere quando sono rimpinzate di sangue, e si è notato che non hanno appe- tito durante il tempo in cui mutano la pelle. Talora le Sangui- sughe nere ((Sanguisuga del cavallo) sono frammiste alle San- guisughe propriamente dette, le quali possono mordere la pelle dell’uomo; ma accade pure che delle vere Sanguisughe non vogliano mordere senza che se ne conosca la cagione. Per farsi un’idea precisa del come una Sanguisuga opera la sua puntura, citeremo Moquin-Tandon, autore del lavoro clas- sico che ha per titolo Monographie des Hirudinées, al quale ab- biamo preso gli elementi di ciò che abbiamo detto finora. appena fuori della cinta daziaria a sud, presso alla riva sinistra del Po, vi ha una pozzanghera in cui si tengono questi anellidi. Nella parte a nord di Torino le Sanguisughe abbondavano non è gran tempo nei fossi dei prati detti di Vanchiglia, dove venivano a riversarsi i residui delle macellerie della città. Ora l'’ammazzatoio è stato traslocato e dei re- sidui si tiene maggior conto; perciò non son più così abbondanti in tali fossi. L'ingegnere De Bernardi, che ha costrutto l’ammazzatoio, fece pure un progetto al municipio per mettervi accosto una Sanguisugaia. A Pianezza, alla distanza di sei o sette chilometri da Torino, e a S. Gillio, un po’ più oltre, si fa pure l'allevamento artificiale delle San- guisughe. In Sardegna le Sanguisughe abbondano naturalmente negli stagni, per modo che se ne fa fruttuosamente il raccolto e lo smercio. (N. d. 7.) ANELLIDI APODI 419 « Quando una Sanguisuga, dice questo autore, vuole applicare la bocca per fare una morsicatura, allunga la ventosa anale e contrae le due labbra, che si ripiegano all’ infuori. Il piccolo corpo tendineo che sor- regge le mascelle si irrigidisce, e queste vengono spinte allo innanzi. La Sanguisuga fa allora entrare nella bocca, a mo’ di capezzolo, la pelle dell’ animale; la Sanguisuga la stringe colle sue tre mascelle; poi con- traendosi e restringendo alternatamente l’ anello muscolare e tendineo, riesce a lacerare il capezzolo in tre punti. I denticini dei margini interni cominciano l'incisione, e quelli posti verso la parte esterna, gradatamente più grossi e più aguzzi, si affondano successivamente nell’ invoglio cu- taneo. Il punto d’ appoggio segue tra gli anelli della ventosa, che sono allora molto ravvicinati, e che essi pure sono fissati saldissimamente alla pelle dell’ animale. » La ferita lasciata dalle Sanguisughe dopo d’esser cadute si compone di tre tracce lineari, che si riuniscono in un punto comune e formano tre piccoli angoli a un dipresso eguali, collo stesso apice. Questa piaghetta produce talora vere emorragie, che si fermano applicandovi sopra esca o una polvere stitica. La gomma arabica ferma parimente lo scolo del sangue, e ha il vantaggio di poter essere tolta facilmente con una lavatura di acqua. Non si è d’accordo sulla quantità di sangue che può aspirare una Sanguisuga. Si calcola, in media, a 3 o 4 grammi. Moquin- Tandon crede che una Sanguisuga officinale, di piccola mole, ne assorba gr. 2,7, vale a dire due volte e mezzo ilsuo peso; una Sanguisuga mezzana, gr. 4,2, o due volte il suo peso, e una San- guisuga grossissima, gr. 4,2, che è il suo peso. Si vede che la copia di sangue assorbita dalle sanguisughe di varia mole non è sempre in proporzione della loro grossezza. Quando sono rimpinzate di sangue, le Sanguisughe cadono in uno stato di sonnolenza che le rende inette, per molto tempo, a rendere nuovi servizi. Altrevolte, negli ospedali, si gettavano quasi sempre, come inutili, le Sanguisughe che avevano servito; oggi si raccolgono e si rendono nuovamente atte all’uso della medicina, Del resto questa pratica non è nuova. Da lungo tempo nelle campagne e nelle piccole città le famiglie conservano le Sangui- sughe che hanno servito, senza altra cura che cambiar loro so- ventissimo l’acqua. In capo a un certo tempo, si adoperano nuo- vamente, sia in famiglia, sia affittandole ai vicini. ‘Questa costumanza è molto sparsa nel Brasile e nelle colonie, ove le Sanguisughe che sono portate dall’ Europa hanno un prezzo altissimo. 420 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI I fatti seguenti furono citati con ragione come esempio della utilità di questa pratica. Nel 1825, nell’ ospedale di Baiona, il tornare ad applicare le stesse Sanguisughe ridusse a 1212 franchi la spesa dell'acquisto delle Sanguisughe che nel 1824 era ascesa a 3000 franchi. Nel 1826, nell’ ospedale di Pamplona, con questo metodo si ebbe un’economia di 3056 franchi. In tre anni, dal 1845 al 1847, l’Hotel-Dicu di Parigi fece in tal modo una economia di 61,690 fr. Guibourt, nel suo Traité des drogues, somministra sul modo di far sgorgare il sangue alle Sanguisughe dei ragguagli im- portantissimi, che crediamo bene di riprodurre. « Si possono adoperare, dice questo autore, due metodi per diminuire il consumo delle sanguisughe. Si possono far tornare, per quanto è pos- sibile, le sanguisughe alla loro vita naturale e aspettare che abbiano digerito il sangue cbe hanno preso; oppure si possono con mezzi spe- ciali, purgare le sanguisughe immediatamente e applicarle di nuovo, quasi senza ritardo, per uso medicinale. « Il metodo di sgorgamento naturale può certamente essere adoperato, anche in grande, come dimostrano i fatti seguenti: « Nel 1825 i flebotomi dell'ospedale militare di Baiona misero in una vasca novemila duecento quarantacinque sanguisughe, provenienti da applicazioni fatte in giugno e in luglio. Verso la fine dell’anno essi hanno potuto adoperare nuovamente settemila quattrocento quaranta cin- que sanguisughe, che furono giudicate di buonissima qualità. « ]l 1.° aprile 1851, nella vasca alimentata da un filo di acqua dove si trovavano parecchie piante acquatiche, il signor Chatelain fece gettare dodicimila sanguisughe rimpinzate di sangue. Dopo quattro mesi e mezzo di dimora, la vasca venne vuolata, e se ne estrassero quattro mila sei- cento individui che si contraevano in forma di oliva e pronte a fare un buon ufficio; nondimeno la loro digestione non era ancor terminata. « In una vasca di due metri e mezzo quadrati di trenta centimetri di profondità, piena in parte di argilla bianca untuosa, di consistenza molle, i signori Bouchardat e Soubeiran deposero successivamente seimila cin- quecento sanguisughe. Il suolo e l’ argilla avevano un conveniente pendio perchè l’ acqua giungendo a intervalli sulla superficie, scolasse da uno scaricatoio a.graticcio, posto nella parte più in declivio: in tal modo l’argilla era inumidita, ma non coperta d’acqua, tranne nella parte bassa. Ogni giorno si toglievano le sanguisughe che erano venute a morire alla superficie. Lo sperimento cominciato nel dicembre, terminò in giu- gnd; le sanguisughe estratte dall’ argilla erano ben vive; tinsero subito l’acqua in verde. Dopo due o tre giorni, erano di qualità superiore alle ’ migliori sanguisughe del commercio; si attaccavano sul momento e ri- manevano altaccate per lungo tempo agli ammalati. Nondimero questo metodo fu abbandonato per quello di sgorgamento immediato. « Molti processi furono consigliati per purgare immediatamente le ANELLIDI APODI 424 sanguisughe. I signori Petit e Olivier hanno suggerito di praticare una piccola apertura sul dorso (verso l’ origine dei due grandi sacchi dige- renti, dopo il sessantaduesimo anello) e di agevolare l’uscita del sangue con una lieve pressione. Questo metodo mi sembra poco praticabile, sopratutto in grande, e deve essere nocevolissimo alle sanguisughe. « Il signor Tournal, di Narbona, immaginò di purgare le sanguisughe rovesciandole come un dito di guanto, mercè uno stiletto a punta smus- sata, di legno, che si appoggia contro la ventosa anale e si spinge di sotto in su fino a farlo venir fuori, sempre rivestito della ventosa, dalla bocca. Continuando ancora a rovesciare la sanguisuga sul pezzettino di legno, si finisce per rovesciarla interamente, la pelle rivestendo all’ in- terno, in tutta la sua lunghezza, il pezzo di legno, e il canale intestinale trovandosi al di fuori; allora si lava l’animale e si rimettono gli organi nella loro posizione normale. Secondo il signor Tournal, la sanguisuga non sembra soffrire molto di questa singolare operazione, ed è acconcia a servire sull’istante. Moquin-Tandon erede, invece, che le sanguisughe non possano essere rovesciate senza profonde lacerazioni, di cui soffrono lungamente. È cosa chiara del resto che questo metodo non è praticabile in grande. « Altre persone hanno consigliato di far purgare le sanguisughe col- locandole sulla cenere, sul carbone, sulla segatura di legno, sul sale, nell’ acqua salata, nell'acqua mescolata con vino rosso o bianco, ecc. Si lavano poi nell’ acqua fresca e si muta l’acqua ogni giorno, come fu detto precedentemente per le sanguisughe vergini. « Il signor Giuseppe Martin prescrive di fare sgorgare le sanguisughe stringendole fra le dita, dalla estremità posteriore fino all’anteriore, come sì pratica quando si vuole riconoscere l’ingorgo delle sanguisughe. Solo è necessario spingere la pressione fino a che il sangue esca dalla bocca. Ma è difficile giungere a questo effetto senza produrre lacerazioni in- terne, alle quali le sanguisughe soccombono presto o tardi. Nondimeno è questo processo che oggi è in uso negli ospedali di Parigi, ma com- binato coll’immersione nell’acqua salata calda, che dà al sangue maggior fluidità, e dispone le sanguisughe a rigettarlo più facilmente. « All’ Hotel-Dieu di Parigi, un uomo è incaricato specialmente di attaccare le sanguisughe nelle sale degli uomini, e una donna compie le stesse funzioni nelle sale delle donne. Le sanguisughe prescritte sono inviate dalla farmacia al letto di ogni ammalato, in un vaso di terra coperto di una tela forata da un buco, dal quale parte un canaletto di tela aperto che non arriva in fondo al vaso. Le sanguisughe estratte dal vaso sono applicate subito, poi, essendo il vaso coperto di nuovo, a misura che cadono si rimettono nel vaso pel condotto di tela rimasto aperto. Si è in quegli stessi vasi che essi tornano in farmacia, ove sono contate, poi fatte sgorgare. Per essere certi della regolarità di questo servizio e interessare gli impiegati alla sua buona riuscita, si accorda un premio di un centesimo agli infermieri per ogni sanguisuga piena che vedono in buono stato, e un altro premio di due centesimi al- l’uomo incaricato di purgarle, per ogni sanguisuga resa atta a servire 422 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI e che produce un buon effetto. Questa operazione va fatta il giorno stesso in cui le sanguisughe vengono posate. Perciò, se ne prende una dozzina che si gettano in acqua salsa fatta con sedici parti di sale ma- rino e cento parti di acqua, scaldata a quaranta o quarantacinque gradi. Si premono successivamente queste sanguisughe un tantino colle dita; così rendono senza sforzo tutto il sangue che hanno preso. Le sangui- sughe purgate sono messe in riposo entro vasi pieni di acqua fresca che si rinnova ogni giorno. In capo a otto o dieci giorni sono atte ad essere nuovamente applicate; si attaccano tanto presto quanto le migliori sanguisughe del commercio e succhiano tanto sangue quanto quelle. Le sanguisughe che si sono adoperate due volte vengono purgate ancora una volta; se sono ancora in buono stato, si adoperano nuovamente; se sembranv stanche, si mettono in piccoli stagni. « Il signor Ebrard preferisce all’uso dell'acqua salsa quello dell’acqua inacidita con un quarto o un ottavo di aceto. « Si è potuto temere che l’applicazione delle sanguisughe che hanno succhiato, da poco tempo, il sangue di una persona ammalata, potesse avere gravi inconvenienti; ma da che l’uso delle sanguisughe purgate è in atto negli ospedali di Parigi in grande, non vi è stato nessun esempio di accidente’ prodotto da quest’ uso. Precedentemente il dottor Pallas aveva dimostrato, con sperimenti fatti su sè stesso, l’ innocuità delle ferite fatte da sanguisughe già adoperate, che erano state lavate e conservate per alcuni giorni nella terra umida. Non ha neppure temuto di applicarsi delle sanguisughe che si erano rimpinzate sopra un bubbone all’ inguine e sui margini di un’ulcera sifilitica: questi anellidi si attaccarono benissimo, e le loro punture guarirono agevolmente come delle morsicature comuni. Nondimeno |’ amministrazione degli ospedali di Parigi, per impedire qualunque recriminazione, non ha mai fatto adoperare fuori degli ospedali stabiliti specialmente per le malattie sifi- litiche le sanguisughe che erano state applicate sugli ammalati di quei stabilimenti. » Veniamo al commercio delle Sanguisughe. Sul principio del nostro secolo, le Sanguisughe valevano ap- pena da trenta a sessanta centesimi al cento; le paludi della Francia ne somministravano allora una quantità più che suffi- ciente pel consumo del paese; il di più si mandava all’ estero. Ma verso la metà del secolo, in seguito allo estendersi del si- stema di Broussais, che prescriveva le frequenti emissioni di sangue coi salassi e le Sanguisughe, il consumo superò tal- mente la produzione, che la Francia fu costretta ad attingere le Sanguisughe nel Belgio, in Spagna, in Boemia, in Italia, e perfino in Africa. Nel 1835, il prezzo delle Sanguisughe era asceso da 150 a 200 franchi il cento. Le paludi erano esaurite in Francia; ed eccettuate alcune parti del Belgio e della Solo- ANELLIDI APODI 423 gna, la pesca commerciale era cessata in Francia, o almeno il suo prodotto era assorbito dai bisogni della popolazione locale. In quel tempo la Spagna, come la Francia, non sommini- strava più Sanguisughe. La Toscana ne aveva ancora, ma di qualità inferiore. La Boemia era esaurita, e anche le paludi della Ungheria cominciavano a spopolarsi. Bisognava far venire le Sanguisughe dalle frontiere della Russia e della Turchia. Il commercio delle Sanguisughe era allora fra le mani di un commerciante chiamato Gallois, di cui le grandi vasche stavano nel villaggio delle Vertus, vicino a Parigi, e che aveva un vasto stabilimento in Ungheria, a Palota, presso a Pesth. Si pesca- vano questi Anellidi nelle paludi delle frontiere della Russia e della Toscana. Si raccoglievano dapprima nei serbatoi di Palota, d’onde si spedivano, dietro richiesta, a Parigi. Ci volevano molte precauzioni per questo trasporto. Si prendevano le Sanguisughe nei serbatoj di Palota, si mettevano in sacchi di tela che ne potevano contenere da venticinque a trenta chilogrammi; si disponevano i sacchi gli uni accanto agli altri in un veicolo a mo’ di carro da trasporto, sopra amache sovrapposte, e si affi- davano alla posta, che le trasportava a Parigiin dodici o quin- dici giorni. Bisognava fare una sosta a metà del viaggio, per scansare le malattie e la morte di quegli animali viaggiatori. Per questo scopo si erano stabiliti a Kehl, vicino a Strasburgo, dei grandi recipienti di legno nei quali se ne mettevano altri più piccoli. I grandi e i piccoli erano pieni d’acqua, si vuotavano i sacchi pieni di sanguisughe nei recipienti piccoli. Tutte le sanguisughe sane uscivano dai recipienti piccoli e cadevano nei grandi; tutte quelle che rimanevano in fondo ai recipienti interni erano ma- late o morte. Si lasciavano a Kehl. Si lavavano i sacchi, si tor- navano a riempire e si partiva. Nello stabilimento del villaggio delle Vertus si distribuivano le Sanguisughe entro grandi serbatoj ad acqua corrente, di cui i margini erano guarniti di giunchi. Vi rimanevano un mese ed erano vendute all’ingrosso. Oggi le Sanguisughe sono meno adoperate in medicina che non verso il tempo di cui parlavamo sopra, vale a dire verso il 1835. La dottrina di Broussais è passata di moda, e le idee di Bouillaud avendo perduto il loro impero, il numero delle Sanguisughe domandate dal commercio è notevolmente scemato. Nondimeno le paludi di Sanguisughe dell'Europa non sono an- cora ripopolate; le pescherie dell'Ungheria, della Bosnia, della Valacchia e del basso Danubio sono sempre insufficienti. La 424 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI Turchia di Europa, l’ Asia Minore, la Russia meridionale, la Georgia, l'Armenia, somministrano sole le Sanguisughe al com- mercio presente. Vengono spedite. con dei piroscafi che vanno a Trieste pel fiume, e da Trieste a Marsiglia colle navi del Mediterraneo. L’ Africa spedisce pure delle Sanguisughe a Mar- siglia. Kehl e Strasburgo ricevono quelle che vengono dall’Un- gheria, finalmente Amburgo spedisce in Olanda un certo nu- mero di Sanguisughe pescate nelle paludi delia Russia e deila Polonia. i La scarsità sempre crescente delle Sanguisughe ha fatto sì che si è cercato di moltiplicare questi Anellidi entro bacini naturali o artificiali. Venne creata una muova industria: la moltiplicazione artificiale delle Sanquisughe, o l’irudinicultura, per adoperare il vocabolo scientifico. Gli allevatori di Sanguisughe costruiscono dei serbatoj artifi- ciali, che non debbono avere meno di 60 a 70 metri quadrati, per scansare l'ingombro che fa morire le sanguisughe, e perchè vi trovino nutrimento sufficiente. Si preferiscono i serbatoj naturali se si vuole allogarvi le Sanguisughe con poca spesa. Nondimeno è più difficile impe- dire alle Sanguisughe di uscirne, c ai loro nemici di giungere fino ad esse. In ogni caso, bisogna cominciare col prosciuga- mento di questi serbatoj, per poter togliere con molta cura i voraci crostacei che vi si possono trovare. Da una relazione di Soubeiran, contenente delle Istruzioni per gli allevatori di sanguisughe, togliamo la descrizione dei ba- cini naturali destinati alla riproduzione delle Sanguisughe. « Il fondo dello stagno, dice Soubeiran, deve esser fatto di una terra dolce e argillosa, perchè le sanguisughe vi si possano affondare. I fondi di torba sono pure acconci a questo scopo. Si può anche ricorrere alle praterie basse; dopo d’ aver scavato il suolo, se ne copre il fondo con 50 centimetri di terra di palude. c L'acqua deve essere abbastanza poco profonda perchè il sole possa scaldarla, nondimeno è necessario avere in certi punti una profondità di 2 a 5 metri, ove vanno a ricoverarsi le sanguisughe durante i geli invernali e durante le siccità estive. In altri punti il fondo deve alzarsi in isole coperte di erbe, sulle quali le sanguisughe possano passeggiare. « Un’ acqua troppo corrente non vale nulla; ma è cosa utile rinno- varla lentamente. Le sanguisughe possono parimente riuscire bene in un’acqua stagnante, purchè vi crescano in gran copia delle erbe acqua- tiche che la purificano. Ciò che bisogna sopratutto cercar di ottenere è un livello costante, senza il quale i bozzoli deposti sui margini sono distrutti dalla siccità o dalle inondazioni. « Le rive dello stagno debbono innalzarsi in un pendio poco inclinato, - ANELLIDI APODI 425 affinchè le sanguisughe possano uscire liberamente dall’ acqua per de- porre i loro bozzoli. Il signor Faber suggerisce di disporre sui margini dello stagno, a livello delle acque più basse, un terreno piano di due o tre metri di larghezza; di caricare questo terreno con uno strato di terra melmosa sulla quale si coltivano delle piante acquatiche. Le san- guisughe nel tempo di deporre le uova andrebbero colà a dimorare. « È cosa utile che la parte occupata dall’acqua sia la sede di ura ab- bondante vegetazione. Le piante purificano l’ acqua coll’ ossigeno che esalano al sole; riparano le sanguisughe e agevolano loro i mezzi di liberarsi della pelle durante la muta. Le tife, il calamo odorato, le iridi, il fellandrio, la asperella di palude, il caltha, sui margini: le potamogeton, le miriofille, le cRara, nel mezzo delle acque, sono i vegetali più acconci. « Resta ancora un’altra precauzione da prendere: quella d’ impedire la venuta dei nemici delle sanguisughe. Se è quasi impossibile riuscire a liberarle da quelli che vivono nelle paludi, almeno bisogna ripararle dai nemici esterni, che sono principalmente le anatre domestiche e sel- vatiche, gli aironi, le talpe, i musaragni. Perciò i serbatoj debbono es- sere circondati da un muricciuolo o da una cinta di tavole piantate nella terra di sessanta centimetri di altezza. Bisogna anche dare la caccia agli uccelli selvatici nella stagione in cui vengono. < Finalmente si presenta la questione del nu'rimento. Se gli stagni sono popolati di sanguisughe rimpinzate, si può farne a meno, ma ter- minato un dato periodo, e quando lo stagno non contiene più che san- guisughe giovani o non piene, principalmente in primavera, quando si vuol spingere la riproduzione, è necessario gettare alle sanguisughe dei pesciolini, delle salamandre, sopratutto dei ranocchi, di cui sono ghiot- tissime. Si può anche, entro un certo limite, stendere del sangue coagu- lato sopra tavole che si fanno stare a galla sull'acqua. Si cessa nei mesi di luglio e agosto, quando i bozzoli sono formati; e due mesi dopo si può mettere sul mercato una parte delle sanguisughe adulte, non le giovani. » L’irudinicultura si fa in Francia nei dintorni di Bordò. Questa industria ha preso da parecchi anni una importanza piuttosto grande. Si allevano le Sanguisughe talora in paludi o stagni na- turali, talora in certi stagni in miniatura detti barrai/s, talora in bacini artificiali della profondità di un metro circa, talora final- mente entro fossi a zig zag. Per stabilire i barrai!ls, si scelgono dei terreni prossimi a un fiume e più bassi del suo livello. Si dividono in molte parti, di un ettaro o due, che si circondano di una specie di diga di terra munita di un fosso interno ed esterno. Delle chiuse per- mettono di far passare l’acqua dal di fuori al di dentro e recipro- camente. In primavera, si fanno entrare nel barrai! venti o trenta centimetri d’acqua e vi si gettano le grosse Sanguisughe che debbono servire alla riproduzione. Verso il 415 di giugno, si FiGuier. Rettili, Pescî e Animali articolati. 54 426 TRIBÙ DEGLI ANELLIDI fanno scolare le acque e si lascia il terreno asciutto; allora le Sanguisughe depongono le uova e mettono i loro bozzoli su tutta la superficie dello stagno. Per nutrire le piccole Sanguisughe negli stagni, si fa loro succhiare di tratto in tratto il sangue di animali vivi, come cavalli, asini, e raramente delle bovine. In certi tempi si fanno entrare questi animali negli stagni, e le Sanguisughe si affret- tano ad andare a pungerli. Nei barrails, nei bacini e nei fossi, i metodi di nutrimento sono meno barbari. Alcuni allevatori fanno galleggiare sull’acqua delle tavolette coperte di sangue rappreso; altri pescano le Sanguisughe di tanto in tanto per immergerle entro sangue liquido, o anche per chiuderle in un sacco ove s’ introduce la gamba di un cavallo vivo. Altri finalmente riempiono di sangue liquido dei budelli di vitello e li spargono nei fossi. Il migliore di questi metodi, quello che riesce meglio, è l’uso delle tavolette coperte di san- gue coagulato che si fanno gal- leggiare sull’acqua. Per allevare in piccolo le Sanguisughe, il signor Méeus, di Parigi, immaginò uno stagno domestico, che il signor Vayson, di Bordò ha perfezionato, e che oggi si chiama vaysonniere. Questa vaysonnière è un vaso di terra cotta, della forma di un cono tronco rovesciato. La sua base inferiore è gremita di bucherellini che non lasciano passare le Sanguisughe. Si riempie di terra melmosa e vi si collocano gli animali, coprendo l'apertura superiore con una tela grossolana. La fig. 191 rappresenta questo stagno domestico. C, è la terra melmosa; B, l’acqua; A, le piante acquatiche. In questo riparo artificiale le Sanguisughe si riproducono benissimo. Se si vogliono spedire le Sanguisughe, si imballa il vaso in una cassa, dopo di avere inumidito la terra. Invece, se si vuole conservarle sul luogo, si mette il fondo del vaso in un mastello di cui l’acqua ha un decimetro di altezza, e si lascia in quest’acqua. La terra si stempera nella parte inferiore mentre riman quasi asciutta alla superficie; le Sanguisughe possono così scegliere la zona che convien loro meglio. Non solo vi stanno benissimo, ma vi si riproducono. Fig. 191. Stagno domestico per le sanguisughe. CROSTACEI 427 TRIBU' DEI CROSTACRI I Crostacei (dal latino crustatus, incrostato) ! sono animali arti- colati, dai segmenti distinti e mobili, di sufficiente consistenza, che portano una doppia serie di appendici articolate componenti delle antenne, che hanno cinque o sette paia di zampe e che respirano per branchie. Per far conoscere la struttura, l’ organizzazione e le funzioni fisiche proprie ai Crostacei in generale, prenderemo per tipo la specie che fu particolarmente studiata e che ha servito a illu- minare la storia di tutti gli animali di questa classe: vogliamo parlare del Gambero. ? Lo scheletro del Gambero è tutto esterno. Noi rompiamo questa parte per mangiare la carne dell'animale. Questo invoglio durissimo nel Gambero è semplicemente corneo in altri Crostacei. Gade una volta all'anno. Allora la pelle è molle, e l’animale si nasconde, per sottrarsi ai suoi nemici. Ma in pochi giorni torna salda, e il Crostaceo ricompare con tutti i suoi mezzi. In questo tempo, vale a dire un po’ prima della caduta dell’ in- voglio saldo, lo stomaco del Gambero ha secreto una certa quantità di materia calcare. Sono specie di palle cretacee, che da lungo tempo portano il nome di occhi di Gambero. Quando la pelle è caduta, queste concrezioni si sciolgono nello stomaco e la calce che le componeva, portandosi sulla nuova pelle, le dà rapidamente la consistenza di cui abbisogna. È questo certa- mente uno dei fenomeni più singolari in cui si manifesta la meravigliosa previdenza della natura e la semplicità dei suoi mezzi. Il Gambero ha dieci zampe, ma negli altri Crostacei questo numero è più notevole. Per esempio, l’Onisco ne ha quattordici. Quando il numero delle zampe cresce, questi organi sono in- caricati di una funzione che non si supponeva di veder loro compiere; servono alla respirazione. È cosa abbastanza curiosa 1 Lat., Crustacea; Îr., Crustaces; ingl., Crustacea; ted., Krustentmere. 2 Lat., Astacus; fr., Eerevisse; ingl., Cray-fish; ted., Krebs. 428 TRIBÙ DEI CROSTACEI vedere un animale respirare per le zampe; ma quando si sa che intere classi di animali respirano per la pelle, la sorpresa è minore. Fig. 192. Gambero maschio, visto per disopra. Esaminando la testa del Gambero, si scorgono le antenne. Sono quattro sorta di corna filamentose, flessibilissime, due lunghe c. Stomaco ; 77277. SUOÌ muscolì; f. Fegato; 4%. Intestino; @. Ano. Fig. 194. Tubo digestivo del Gambero. ‘Pert] Fig. 195. Gambero femmina, visto per disotto e due più brevi, queste ultime collocate internamente alle pre- cedenti. Questi organi servono al tatto. e forse all’odorato. Alla base delle antenne e sterne sta scavata una piccolissima fossetta TRIBÙ DEI CROSTACEI 429 chiusa da una membrana; è l’orecchio, che in questi Crostacei è ridotto a una semplice capsula appena visibile. Dietro alle antenne stanno gli occhi. Gli occhi, nei Crostacei, sono una specie di grosse pallottole lucenti sostenute da peduncoli mobili. Si compongono di un gran numero di faccette che cor- rispondono ad altrettanti occhi semplici. In certi Crostacei, fra gli altri nel genere Gelasino, i pedicelli L'A ssoeennena Rapune,. so Delahaye d: Fig. 195. Sistema nervoso e branchie del Gambero. c. Cervello, parte sopraesofagea del sistema nervoso; e. Stomaco e nervi stomaco- gastrici, comparati al sistema nerveo simpatico da certi autori, e da altri ai nervi pneumogastrici ; è. Intestino egualmente rigettato a destra per lasciar ve- dere la catena dei gangli nervosi sottointestinali ; 9g, 9°, 97. Gangli toraciei; g””?. L'ultimo dei gangli addominali; 7.0. Nervi delle zampe anteriori chiamate pin- zette; br, br°. Branchie visibili :nella cavità respiratoria dopo spogliata della parte dorsale del guscio che ricopre il cefalo-torace. oculari sono lunghissimi. Quando l’animale non vuole adoperarli li mette in una scanalatura della fronte. I, Crostacei inferiori hanno gli occhi sessili, come dicono i naturalisti, vale a dire non sostenuti da pedicelli. In questo caso gli occhi non sono più a faccette: sono semplici globi formati da un certo numero di piccole membrane trasparenti vicine le une alle altre. Sotto al capo si vede la bocca. Accanto al suo orifizio stanno 430 TRIBÙ DEI CROSTACEI le lamelle, in numero di tre paia nel Gambero, che si ricoprono le une colle altre e di cui la forma ricorda un poco quella delle zampe. Si chiamano piedi-mascelle. Sotto, vi sono due altre paia di lamelle più piccole che costituiscono le mascelle. Finalmente più lontano vengono le mandibole, destinate a triturare gli ali- menti. Queste mandibole sono due rami cornei, grossi e corti, ravvicinati fra loro per la larga superficie triturante. Le mandibole servono alla masticazione, mentre le altre ap- pendici non fanno che dirigere l’alimento verso la bocca. Tutti i Crostacei non sono forniti di un apparato di mastica- zione tanto ben fatto. Aicuni che vivono parassiti sopra altri animali, hanno la bocca a mo’ di succiatoio, nella composizione del quale entrano dei rudimenti di mandibole e di mascelle. Nei Limerli non v ha appendice boccale. Le basi delle zampe munite di spine, e vicine le une alle altre in prossimità della bocca, ne compiono le funzioni. La coda del Gambero, o ciò che a noi sembra una coda, è realmente il suo addome. Questo addome, composto di anelli liberi, termina posteriormente con dei pezzi cornei piatti, che sono la vera coda, vale a dire la pinna caudale. Sotto all’ addome si trovano delle appendici munite di ciglia o peli; sono le false zampe addominali. Questi organi servono al nuoto, ma il loro uso principale è quello di dare un punto di appoggio alle uova. In altre specie di Crostacei le false zampe servono, come abbiamo detto, alla respirazione. I visceri, cioè gli organi interni del Gambero posti sotto alla scaglia, si compongono dello stomaco, del fegato, del cuore, del- l'intestino e delle branchie. Lo stomaco è un ampio sacco posto verticalmente secondo l’asse dell’ animale. Contiene tre grosse piastre rugose, che si muovono l’una contro l’ altra, a guisa di macine, per stritolare gli alimenti. Questa specie di stomaco meccanico funziona dunque come il ventriglio degli uccelli. Il fegato è composto di due masse giallastre, molli, poste sui lati dello stomaco. È fatto di tubi numerosi e brevi che s’aprono gli uni negli altri. La bile che secerne si versa all’origine del- l’intestino. La fig. 194 rappresenta il canal digerente del Gambero. Le branchie, cioè gli organi della respirazione, son collocate (fig. 195 br, br) sui lati del corpo. Sono specie di ciuffi filamentosi, fissi alla base delle zampe e molto vicini gli uni agli altri. Ogni filamento è un tubo che il sangue viene a ri- empire. L’acqua penetra sotto alla scaglia, bagna le branchie e TRIBÙ DEI CROSTACEI 431 torna a uscire per un’apertura collocata sui lati della bocca. Il movimento delle zampe e dei piedi-mascelle agevola la respira- zione. Questi organi hanno per effetto di agitare le branchie, acciocchè tutti i filamenti che li compongono siano messi in contatto coll’aria. Questo modo di respirazione è proprio del Gambero, dei Granchi, delle Aragoste e di tuttii Crostacei loro affini. Ma in altri Crostacei sono le false zampe addominali, o anche le zampe ordinarie mutate in sottili lamelle, che servono alla respirazione. Il sangue penetra nelle lamelle sempre in movimento, ed è at- traverso alla loro sottile membrana che l’aria contenuta nel- l’acqua vivifica il sangue. Il cuore è collocato sul dorso dell’ animale, sotto al margine posteriore della scaglia. Distribuisce il sangue da parecchie arterie in tutta la massa del corpo. i I Crostacei portano sempre le loro uova. Nei Gamberi e nei Granchi stanno agglutinate sotto alla coda e alle false zampe addominali. I movimenti che l animale imprime alla coda le fanno costantemente dondolare nell’acqua. Al menomo pericolo, l’animale piega la coda su sè stessa e nasconde le uova in una sorta di tasca. In altri Crostacei, come gli Onisci, le uova sono contenute in una cavità posta fra le zampe, sotto la parte anteriore del corpo, fra le lamelle delle branchie, In altri ancora sono rinchiuse entro sacchi che le femmine si trasci- nano dietro. I Grostacei possono, come parecchi Rettili, riprodurre i loro membri mutilati. I Gamberi ne presentano esempi abbastanza frequenti. In certi Crostacei, come il Gambero, l’Aragosta, ecc., la pelle cuocendo divien rossa. In altri, come il Palemone (Gamberello), la pelle divien soltanto color di rosa; ma nella massima parte di essi non si osserva nessun effetto di questo genere. I chimici hanno trovato che questo mutamento di colorazione per effetto del caldo è dovuto a una sostanza giallastra conte- nuta nel guscio di questi animali, la quale si trasforma in sostanza rossa per la semplice azione del calore, cioè senza mutar di composizione, nè attingere nessuna sostanza dal mezzo nel quale segue il fenomeno. In altri termini, la sostanza rossa ha la stessa composizione chimica della sostanza gialla; si tratta qui del fenomeno che i chimici chiamano isomerta. I Crostacei sono sparsi nel mare e nelle acque dolci; certe specie piccolissime pullulano nelle acque stagnanti; alcune vi- vono fuori dell’acqua nei luoghi umidi. 432 TRIBÙ DEI CROSTACEI Eccettuate le grosse specie aghe sono alimentari, i Crostacei sono esseri poco importanti nel complesso della natura. Ci in- teressano solo per la stranezza delle loro forme e per varie particolarità della loro organizzazione e del loro genere di vita. La massima parte dei Crostacei si riproducono per uova, ma ve n’ha di ovovivipari e anche di ermafroditi. La massima parte dei giovani Crostacei nascono somiglianti ai loro genitori e non ne differiscono che per la mole. Certe specie solo vanno soggette a metamorfosi; quindi è accaduto che più di una volta si sono scambiate per specie particolari le larve de’ giovani Crostacei. Le Fillosonee, per es., sono le larve delle Langoste o Palinuri. Questi giovani esseri sono composti di un corpo piatto, traspa- rente e membranoso. La loro testa ha la foggia di un disco o scudo, che aderisce in parte al torace. Le Langoste, o Palinuri i, depongono le uova in aprile. Le uova, che somigliano a granellini, si fissano e si attaccano alle false zampe. Ingrossano mentre la madre le porta sotto l’ ad- dome. Dopo una ventina di ‘giorni, l’Aragosta le distacca e le abbandona nelle acque. Quindici giorni dopo, ne nasce una creaturina, dal corpo a lamelle o a foglietti: è la larva, o la prima metamorfosi dell’ Aragosta, che era stata creduta una specie particolare. In seguito a una serie di trasformazioni questa larva diviene l’Aragosta. Le Zoee, che furono parimente per lungo tempo considerate come specie particolari, sono i giovani dei Granchi. Portano una spessa scaglia, sotto alla quale si confondono il capo e il torace. L’addome termina con una piastra larga e profondamente bi- forcata. La bocca, semplice, portà due paia di lunghi doppi remi; le vere zampe sono rudimentali. Questa vera larva di- viene, crescendo e compiendo le sue metamorfosi, l’animale che conosciamo col nome di Granchio. I Lernei, parassiti dalle forme bizzarre che vivono sui Pesci, sono pure essi larve di Crostacei. Sono forniti di un' occhio frontale e di lamine natatorie. Al- l’uscire dell’ uovo, nuotano coll’ aiuto dei piedi terminati da un largo ciuffo di peli. Durante il secondo periodo della loro vita, il giovane Lerneo possiede sul davanti tre paia di zampe terminate da unghie ri- i Lat., Palinurus; fr., Langouste; ingl., Roch-lobster, Large-lobster; ted., Seekrebs. TRIBÙ DEI CROSTACEI 433 curve, atte alla locomozione e che gli permettono di attaccarsi ai pesci. Dopo parecchie altre metamorfosi divengono, i Lernei, animali succiatori che introducono le appendici della loro bocca nel corpo o nelle branchie dei pesci e vivono quivi parassiti. In generale, i Crostacei sono acquatici e marini. Alcuni vi- vono in alto mare, altri stannò lungo le coste e scendono an- che sulla spiaggia. Molte fra le specie più piccole (Ciclopi, Cipridi, Limnadi, Gamberi) sono fluviatili, e stanno volontieri nelle acque tran- quille. Alcune specie (Onisco) sono terrestri e vivono nei luoghi umidi. Questi animali s'incontrano in tutte le latitudini; nondimeno sono più abbondanti nelle regioni calde e temperate che nei paesi freddi. Alcune specie hanno un’area di abitazione più o meno speciale e non escono da certi climi. i I Crostacei sono poco intelligenti, ma sono animosi. Per fug- gire ai loro nemici, scelgono un ricovero nei luoghi di accesso difficile. Quando non hanno mezzo alcuno di scampo, alzano le chele e cercano di afferrare il loro avversario. « Grossi, robusti, pieni di astuzie, dice Michelet !, îi Granchi sono un popolo battagliero. Hanno tanto bene l’istinto della guerra, che sanno adoperare anche il fragore per spaventare i loro nemici. Con aspetto minaccioso si avviano alla lotta, colle tenaglie alte e facendo schioccare le loro pinze. Però sono cauti innanzi a una forza superiore. Non sono Achilli, ma piuttosto Annibali. Appena si sentono forti, aggrediscono. Mangiano i vivi e i morti. » L’ Ossistoma è un ladro notturno ; il Brigus lascia il mare e va a rubare le frutta; il Bernardo l Eremita, portando seco la conchiglia che ha rubato, va a far provvista; quando viene la sera. I Crostacei servono di alimento; le grosse specie (Langoste, Granchi paguri ?, Portumie, Granchi, ecc.), come pure le piccole specie (Gamberi, Cerangoni, Palemoni, ecc.), sono ricercatis- sime. La loro carne è nutriente, ma un po’ difficile a digerirsi. Il signor Milne Edwards, dopo lunghi studi intorno ai Gro- stacei, divide oggi questa classe di animali invertebrati in tre sottoclassi: la prima sottoclasse comprende i Crostacei comuni, i La Mer. 2 Lat., Cancer pagurus; fr., Tourteau; ted., Grosser Taschenkrebs. FiGUiER. Rettili, Pesrcì e Animali articolati. 55 434 TRIBÙ DEI CROSTACEI che hanno pezzi boccali distinti e membri propriamente detti; la seconda sottoclasse contiene gli //iosuri, di cui la bocca, sfor- nita di organi speciali, è circondata da piedi-mascelle ove la base serve di apparato boccale; la terza sottoclasse comprende i Cirripedi, animali liberi durante la prima età, fissi quando sono adulti e allora coperti da una conchiglia multivalve. Non seguiremo questa classificazione, un po’ complicata per le nostre descrizioni elementari, e che del resto comprende un ordine di animali, i Cirripedi, che abbiamo già collocato nei Molluschi, e studiato nel volume dei Zoofiti e Molluschi !. Seguiremo qui la classificazione adottata generalmente, che divide i Crostacei in due scompartimenti: Crostacei masticatori e Crostacei succiatori, divisi tutti in sei ordini. La seguente tavola riassume questa classificazione. [5 paia di zampe, di cui le an- . ‘ —teriori sono terminate da una grossa pinza; la testa ty distinta dal corsaletto da chi 5 Granchio, Gle- Decapodi ...; rangoni, Gam- semplice scanalatura; occhi » beri, Aragoste. peduncolali.....1. savana f . Stomapodi . . mita, Squilla, paia di zampe vicino ar 3 Alemide. NA Bernardo l’Ere- ] bocca; branchie attaccate alle false zampe addominali. 7 paia di zampe ambulatorie, piedi-mascelle riunite 80- x 7 MASTICATORI. Talitro. ni d. fipodi . . pra una base comune; 0c-) Anfipodi . .. chi senza peduncoli. . . . .\ CROSTACEI. FEO RIO: _ EE_T—__een << ——. paia di zampe; mancano i 4 palpi alle mandibole; oc->4. Isopodi . ... } Onisco. chi senza peduncoli. . . . - ; Bocca a proboscide cilindrica, ) \ munita di appendici atte a' 5. Lemodipodi. . Ciamo. IOLAEC RR SIRIA de SUCCIATORI. Corpo terminato da un’appen- è MOST - : dice lunga e aguzza; testa 6. Brachiopodio y Caliga, Lernea, a foggia di scudo ...... Entomostraci. è Dafnia. Decapodi. ? — Nell’ ordine dei Crostacei decapodi distingue- remo tre sezioni: i Decapodi brachiuri (o a coda breve), i De- capodi macruri (o a coda lunga) e i Decapodi anomuri (0 a coda anormale). i I Cirripedi vengono oggi da tutti i classificatori allogati fra i Gro- stacei. (Nota del Trad.) ? Lat., Decapoda; fr., Decapodes; ingl., Decapoda; ted., Zehfisser. DECAPODI 435 Fra i Decapodi brachiuri *, il genere Granchio (lat. Cancer) ? è il più importante a conoscersi. I Granchi sono conformati per correre anzichè per nuotare. Il loro addome, quasi rudimentale, non consiste se non in una specie di grembiule ricurvo sotto al torace. La scaglia è larghissima e sembra, a prima vista, ricoprire tutto il loro corpo, perchè l’addome non si vede che quando si mette l’animale supino. Nello scudo inferiore vicino all’origine delle zampe del terzo paio, stanno due aperture destinate al passaggio delle uova. Le antenne sono brevi; i piedi-mascelle esterni ricoprono tutto l'apparato boccale; le zampe del primo paio terminano con una sorta di mano armata di una pinza. Le zampe delle quattro paia seguenti sono terminate da un tarso stiliforme, e l'addome non porta che appendici rudi- mentali fissate sopra due o quattro dei segmenti che seguono il primo. Comunissimi sulle coste dell’ Oceano, i Granchi sono ancora più copiosi nelle regioni equatoriali. Sono carnivori, e si nutrono di animali marini vivi o morti. Anfibii, vanno in caccia la notte, e il giorno si’rintanano fra i crepacci degli scogli. Possono camminare andando avanti, indietro e di fianco; ma sono timidi, sfuggono i luoghi frequentati. Nel tempo degli amori questi animali divengono furenti, si veggono allora lot- tare fra loro pel possesso di una femmina, urtarsi col capo, come gli arieti, e aggredirsi colle pinze. I Granchi sono commestibili, ma è un cibo poco stimato. Le specie dei Granchi più note sono: 4.° Il Granchio paguro (fig. 196). Questa specie, che è molto numerosa sulle coste di Francia, è notevole per la sua grossa mole e pel buon sapore della sua carne. Il Granchio paguro ha forma ovalare e color bruno rosso sopra; se ne trovano spesso con scaglia di quasi 830 centimetri di larghezza. La sinonimia del Granchio paguro è piuttosto imbrogliata. Sulie coste di Francia ha vari nomi Tourteau, Poupart, Houvet, Paguro, ecc.; i naturalisti lo hanno successivamente chiamato Cancer menas (Rondelet), Cancer imbriatus (Olivi), Cancer pa- gurus (Linneo), Platycarcinus pagurus (Latreille, Edwards). Si 1 Lat., Brachura; fr., Brachyures; ted., Krabbe. 2 Fr., Crabe; ingl., Crab; ted., Krabbe. 436 TRIBÙ DEI CROSTACEI riconosce agevolmente dalla fronte a tridente e dalla scaglia quasi liscia, finamente granita e con nove intaccature per ogni lato sul margine anteriore. Le sue pinze, grosse e terminate da dita nere guarnite di enormi tubercoli, hanno quasi tanta forza quanto quelle dell’Aragosta. a ij lg ! gl ) NON (1) A ALA | Ii Ill II UNI] i) iI] bIDI) Il) IL | HI i Alcuni di questi animali pesano fino a tre chilogrammi. Si incontrano molto numerosi nell’ Oceano e nella Manica; sono meno abbondanti nel Mediterraneo. La loro scaglia è coperta di una caluggine vellutata. Invece di scostàre le zampe e le pinze Fig. 196. Granchio paguro. DECAPODI 437 quando vengono toccati, le raccolgono sotto al corpo, e fanno il morto quando sono inseguiti. i Il Granchio comune, 0 Carcino menade (Carcinus menas, fig. 197), è molto meno grosso, ma è più comune. Si trova in abbon- or Fig. 197. Granchio comune, o Carcino menade. | N) Il | n i IL I Li i i fl} MUTO | IAT \ I} |{l sl) LA ti INA I \ il I v LUI | ì | N l i) {III SUIT DI VIA ili ii SER UIIz, I| RARA URLA FLINT AT VIATRN VARA ITALIANI AAVV VARCELOSFRNA LIFANTININ(\K I CIA Ita SU] danza sopra molli spiaggie, negli stagni salati, alle foci dei fiumi, ecc. Si incontra dal mar Nero fino alla costa della Norvegia. Sulle coste di Normandia vien detto Granchio arrabbiato. È il Cranque 438 TRIBÙ DEI CROSTACEI dei Provenzali e degli abitanti della Linguadoca. Può rimanere per lungo tempo esposto all’ aria senza morire; quindi vien trasportato talora fino a Parigi e in città lontane dal mare. Si mangia, sebbene la sua carne sia di qualità inferiore a quella della specie precedente. Comunissimo sulle coste di Francia, e particolarmente su quelle di Normandia, questo Crostaceo si trova, nel tempo della bassa marea, nascosto sotto alle pietre o affondato nella sabbia. Sebbene la sua carne non sia delicatissima, se ne fa gran con- sumo. Durante i mesi di giugno e di luglio se ne spediscono molti nelle città della Normandia. Nella prima età, il Carcino menade è adorno di vari colori; allora la sua scaglia è sparsa di macchie bianche, rosse e nere, che prendono talora forme stranissime. La femmina depone circa cento ottantacinquemila uova, che sono dapprima di color giallo e roseo e volgono al bruno qualche tempo prima di schiudersi. Questo Crostaceo, quando è ancora molle, per la muta della scaglia serve di esca ai pescatori. Sulle coste francesi esistono varie piccole specie di Granchi nuotatori appartenenti al genere Poriunio e che sono comme- stibili. Di questi uno è il Portunio vellutato (Granchio lanoso, Granchio spagnuolo), che Linneo chiamò Portunus puber e Penant Cancer velutorius. Il corpo di questo crostaceo (fig. 198) è lungo da sette a otto centimetri. La sua scaglia, villosa, porta sopra ai due lati del margine anteriore cinque denti diretti all’innanzi. Le pinze sono granu- lose; ma si distingue dagli altri Granchi per la forma delle zampe posteriori, di cui l’ ultimo pezzo è ovale, con una linea sporgente in mezzo. Questo animale è comunissimo sulle coste di Francia e d’Inghilterra. Citeremo il Granchio Ragno di mare, che deve il nome al suo aspetto ripugnante, e di cui il corpo, coperto di tubercoli villosi, è lungo 441 centimetri sopra 8 di larghezza. Cinque forti punte da ogni lato della scaglia, una sesta sotto all’ orbita oculare, due lunghe spine sulla fronte compiono la sua armatura. È impossibile immaginarsi un animale più orrido. Il suo corpo è irto di rialzi, e rassomiglia a un ragno immenso, con zampe diseguali, che fosse munito di pinze e coperto di spine e di bitorzoli. Per colmo di bruttezza, sovente sulla sua scaglia crescono delle folte alghe. DECAPODI 439 Esiste pure (fig. 199) un altro Granchio molto pericoloso pei bagnanti, proprio dei mari del Giappone. La corazza triangolare, convessa, e le estremità sono tutte irte d’acutissime spine che al minimo contatto si introducono come punte di temperino nella pelle; ma è falso che queste armi siano attossicate. Si mangiano anche le Telfuse o Granchi fluviatili, di cui si trovano specie in Algeria, in Egitto, nell'Asia Minore, in Grecia, in Italia, e anche nell’India, come pure nell'Africa meridionale. La Telfusa di fiume (Cancer fluviatilis) del P. Belon era nota agli antichi. Plinio, Ippocrate, Dioscoride ne parlano e si vede rappresentata sopra certe medaglie antiche. E lunga 3 centi- metri e della stessa larghezza, con macchie sulla scaglia. Questo Crostaceo è agilissimo; abita i laghi e le foci dei fiumi. Si scosta sovente dai fiumi e può rimanere un mese senza tornarvi. In Italia si mangia la Telfusa fluviatile, alla quale si attri- buiscono proprietà meravigliose contro le malattie di petto. A questi Granchi fluviatili vanno riferiti i Granchi di cui si tratta nella Batracomiomachia o Combattimento dei Topì colle Rane, poemetto attribuito a Omero. I Granchi sono talmente numerosi che non si può sollevare una pietra sulla spiaggia senza far fuggire uno di questi animali. Sono esseri voraci e feroci; si divorano fra loro, e sono tanto poco sensibili al dolore che spesso si vede, con disgusto, un Granchio vinto e divorato dal suo vincitore, occupato a sbranare e divorare un altro Granchio più piccolo. Per pescare i Granchi sulle coste marine, si scava la sabbia delle spiaggie con pale, oppure si alzano le pietre che servon loro di ricovero. Talora bisogna andarli a cercare fin nei ia degli scogli e sovente allora bisogna adoperare il martello per spezzare gli scogli e un gancio di ferro per estrarne gli abitatori. In Francia, sulle coste della Bretagna, i bambini, muniti di bacchette di nocciuolo tagliate a punta, cercano di scovare il Granchio dal suo buco. Una volta riconosciuto il luogo, con un forte colpo si giunge all’ animale, che afferra subito colle pinze l’ arme micidiale. Basta allora tirar con forza il bastoncino per portar fuori il Granchio, che difficilmente se ne stacca. Sulle coste della Manica, i pescatori vanno, durante la bassa marea, intorno agli scogli, e depongono qua e là sulla spiaggia dei pezzi di carne, a ognuno dei quali è attaccato uno spago, legato dall’ altra parte a un sasso di mezzana dimensione. Il sulle coste dell'Oceano 440 TRIBÙ DEI CROSTACEI mare sale, e i Granchi, uscendo dai loro» covi, si avventano sulla carne, che trascinano nei loro buchi; ma lo spago tien dietro e la pietra pure. Nella marea seguente il pescatore va in cerca dei suoi spaghi ed è sicuro di riuscire sull’ uscio dei ladri. ‘ig. 198. Portunio vellutato. Nondimeno questi modi di pesca sono metodi da dilettanti. La pesca dei Granchi si fa in mare, con delle reti, come pel Gambero e l’Aragosta. I grossi Granchi che giungono sui mercati di Francia appar- tengono al Granchio paguro. DECAPODI 441 I Gecarcini 1 si trovano in Asia e in America. Sono abbon- danti sopratutto alle Antille, ove son noti coi nomi di Turlurà, di Granchi di terra, ecc. ‘ Invece di vivere nell’ acqua come i Crostacei comuni, sono terragnoli, e sebbene abbiano branchie, alcuni rimangono asfis- siati se vengono sommersi nell’ acqua. La loro respirazione è Fig. 199. Granchio istrice. infatti troppo attiva perchè la piccola quantità di ossigeno di- sciolto nell'acqua possa bastare ai loro bisogni, mentre nell’aria trovano ossigeno in gran copia. Questi Granchi terragnoli stanno nei boschi umidi e si na- ! Lat., Gecarcinus; fr, Gecarcin; ted., Landkrabbe. FicuieR. Pesci Rettili, e Animali articolati. 56 442 TRIBÙ DEI CROSTACEI ‘ scondono nei buchi, che scavano nel terreno. I luoghi di loro preferenza variano secondo le specie : alcune vivono nei terreni bassi e paludosi che si trovano vicino al mare, altre sopra le colline boscheggiate, lungi dal litorale. Queste ultime, in certi tempi, abbandonano la loro consueta dimora per andare al mare. Vivono principalmente di sostanze vegetali e sono notturni o crepuscolari. Corrono con grande rapidità, ed è sopratutto nel tempo delle pioggie che abbandonano i loro covi. Se ne sono formati vari generi coi nomi di Gecarcino, Uca, ecc. La specie di Gecarcino, o Granchio di terra, più comune è il Gecarcino turbino, o Granchio dipinto, che è proprio delle Antille. È un Crostaceo di grossa mole, che vive di vegetali. Il suo corpo è color rosso sangue, talora violaceo. Abita i boschi e le macchie, nascondendosi entro buche che ha scavato nel terreno paludoso. Dicesi che i Turlurù turino i loro covi durante la muta. In certi tempi vanno al mare. Allora si riuniscono in schiere e varcano grandi distanze, senza lasciarsi arrestare da nessun ostacolo e deva- stando ogni cosa sul loro cammino. \ I coloni sono ghiotti della carne di questi Fig. 200. animali, ma in certi casi è malsana. Pinnotero. Alle Antille si fa la caccia ai Turlurù du- rante la stagione delle grandi pioggie, vale a dire durante i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre. L’acqua invadendo i loro covi, i Granchi ne escono in schiere per cercare un riparo sotto la boscaglia. E appunto in quel momento che i negri si mettono ad inseguirli e ne prendono delle grandi quantità. Alcuni coloni fanno l’ allevamento di questi Crostacei , e li tengono in piccoli recinti costrutti all’ uopo. Li ingrassano ci- bandoli di goiave e di patate, e riescono così a renderne mi- gliore la carne. I Pinnoteri *, invece (fig. 200), sono essenzialmente marini. Sono piccoli Crostacei cne si trovano sovente nelle Arselle o nelle Ostriche, e alle quali il volgo attribuisce le proprietà malefiche che hanno talora questi molluschi. Nulla giustifica quest’accusa. V’hanno Pinnoteri nella Manica, nell’ Oceano e nel Mediter- raneo. Agli Stati Uniti si cercano come alimento. 1 Lat., Pinnotherus; fr., Pinnothère; ted., Muschelwachter. DECAPODI 443 Gli antichi sempre disposti a spiegare i fatti più comuni in modo poetico, dicevano che i Pinnoteri erano i servitori delle Arselle che li albergavano. Il loro ufficio consisteva nel pungere l’animale per avvertirlo di un pericolo e fargli chiudere le valve. Il gruppo dei Decapodi macruri' (dalla lunga coda) si distingue per la lunghezza dell'addome, che porta dietro una vera pinna natatoia. Molto più acquatici dei Crostacei che abbiamo esa- minato, non lasciano mai l’acqua. I tipi principali di questo gruppo sono: i Gamberi, le Aragoste, la Langosta e i Gamberelli e i Crangoni, nome volgare questo che serve a indicare due specie differenti: il Palemon e, il Crangon. Abbiamo già descritto l’organizzazione del Gambero, che ab- biamo preso come tipo generale, per far conoscere la struttura dei Crostacei. Gi rimane quindi da parlare soltanto dei costumi di questo abitatore delle acque. Il Gambero o Gamberello (Astacus fluviatilis) abita i laghi, i fiumi, i ruscelli e tutti i corsi d’acqua dolce. Le sue pinze in- feriormente sono di color rossastro. Si distingue per questo carattere dalle altre due specie che si trovano in Francia, il Gamberello dalle lunghe corna (Astacus longicornis) e il Gambe- rello pallipede (Astacus pallipes), di cui le zampe sono biancastre nella parte inferiore. Queste specie portano pure il nome di Gamberello dalle zampe rosse e Gamberello dalle zampe bianche 2. Il Gamberello di fiume rinnova la sua scaglia ogni anno verso il mese di settembre. Réaumur descrisse con cura questa sorta di muta. Alcuni giorni prima di spogliar la pelle, dice Réaumur, i Gamberi cessano di mangiare; allora, se si posa il dito sulla scaglia, questa piega; il che dimostra che non è sostenuta dalla carne. Un po’ prima del momento della muta, il Gambero sfrega le zampe le une contro le altre, si rivolta sul dorso, piega e stende la coda parecchie volte, muove le antenne e fa altri movimenti, senza dubbio per spogliarsi dalla pelle. Fa gon- fiare il proprio corpo, e si fa fra il primo anello dell'addome 1 Lat., Macrura; fr., Macroures; ted., Langschwdngen. 2 Si trova in Sicilia una specie affine a queste, sebbene di altro ge- nere, la Astacoîdes typhlops. 444 TRIBÙ DEI CROSTACEI e della scaglia un’apertura che scopre il corpo del Gambero. È di color bruno scuro, mentre la scaglia vecchia è di color bruno verdastro. Dopo questa rottura, l’animale si riposa per qualche tempo; poi fa vari movimenti, gonfiando le parti che sono sotto la scaglia. Gambero di mare. 01. uo. 92 D! Fi La parte posteriore di questa è in breve sollevata, e l'anteriore non rimane attaccata se non nella bocca; allora in un quarto d’ora il Gamberello è interamente spoglio. Tira il capo indietro, libera gli occhi, le antenne, le pinze, e successivamente tutte le zampe. Le due prime sono difficili a sguainarsi, perchè l’ultima delle cinque parti di cui sono composte è molto più grossa della penul- DECAPODI 445 tima. Ma si comprende agevolmente questa operazione, quando si sa che ognuno di questi anelli scagliosi che formano ogni parte è diviso in due pezzi longitudinali che si scostano l’ uno dall’altro, nel tempo della muta, mercè uno sforzo dell’animale. Finalmente, soggiunge Réaumur, il Gamberello si ritira sotto alla sua scaglia, e all'istante fa un movimento all’ innanzi, stende la coda e si spoglia dei suoi anelli. L’operazione della muta è tinto violenta che parecchi Gam- Fig. 202. Larve di Gamberi di mare. 1. Embrione nell’uovo ; 2. All’uscire dall’uovo } 3. Dopo la prima muta. beri ne muoiono, specialmente i più giovani ; quelli che resistono rimangono debolissimi. Dopo la muta, le zampe sono molii e l’animale non è coperto che di una membrana; ma in due o tre giorni questa mem- brana diviene un nuovo invoglio tanto duro quanto l’antico. È necessario pel Gambero che la nuova pelle si indurisca prontamente; perchè se fosse incontrato in quello stato di mol- lezza da altri Crostacei, non essendo più difeso dalla sua sca- glia, diverrebbe subito loro preda. 446 TRIBÙ DEI CROSTACEI Quindi quando si approssima il tempo che deve lasciare la scaglia, il Gambero si rintana entro buche e altri luoghi ove è al riparo da ogni pericolo. Questa scaglia non cresce; perciò il Gambero, che aumenta di mole ogni anno, vi sta dentro allo stretto ed è costretto ad uscirne. I Gamberi presentano un altro fatto non meno notevole: le zampe o le antenne, quando vengono tagliate, si riproducono. da \ rali ATE Amat Fig. 205. Parti esterne d’un Gambero. a. Primo paio d’antenne; db. Secondo paio d’antenne; c. Tubercoli uditivi; d. Piedi mascelle; e. Veri piedi; 7. Aperture sessuali; g. False gambe addominali; %. Ano. Dobbiamo a Réaumur i primi sperimenti intorno a questo argomento. Questo valente naturalista riconobbe che, rompendo la zampa di un Gambero nella giuntura di un’articolazione, si vede, due giorni dopo, una membrana rossastra, che ricopre le carni. Cinque giorni dopo, questa membrana fa sporgenza e sembra gonfia, poi si allunga sempre più, si lacera, e lascia vedere una gamba molle, che cresce in grossezza e in lunghezza e si ricopre di un invoglio saldo. ‘ DECAPODI 447 I pezzi calcari noti col nome di occhi di gambero, che si for- mano nello stomaco durante la muta, erano altre volte adope- rate in medicina, Oggi non hanno nessun. uso. Sono sostituiti nelle farmacie da argilla in polvere, e meglio anche dal carbonato di ma- gnesia. La pesca del Gambero si fa in varii modi. Più sovente si pescano colle reti. La sera, si attacca la rete, sotto un pezzo di carne putrefatta, esca che attira questi voraci Crostacei. Talora sì mette della carne in una fascina gettata nell’ acqua ; si tira fuori la fascina, quando i Gamberi sono entrati da tutte le parti fra i ramoscelli. Si pesca pure il Gambero con bastoncini fessi; si mette nella spaccatura un’ esca, e si colloca nelle acque frequentate dai Gamberi. Questi non tardano ad attaccarsi all’ esca; si tiran fuori poi i bastoncini con precauzione, e si fa scivolare sotto ogni bastoncino un paniere. Il Gambero, appena uscito dall’a- . cqua, abbandona il corpo che stava divorando e cade nel paniere. Si prendono anche i Gamberi semplicemente colle mani, nei loro buchi, seguendo il corso dei ruscelli che preferiscono. Infatti, il Gambero sta nei buchi e sotto i sassi, nelle acque vive e correnti. Non ne esce che per cercarsi il nutrimento, che consiste in piccoli molluschi, pesciolini e larve d’ insetti acquatici, e in. carni corrotte di animali morti che galleggiano sull’acqua. } Il Gambero vive più di venti anni, e cresce di mole in pro- porzione dell’età. i Questo Crostaceo è un cibo di lusso, perchè il suo prezzo è in ogni parte piuttosto alto. I Gamberi non sono tanto abbondanti quanto si vorrebbe, perchè il loro accrescimento è lentissimo e la loro moltiplica- zione limitata. D'altra parte non hanno la prodigiosa fecondità degli altri Crostacei, meno ancora quella dei Pesci, perchè la femmina non depone più di cento uova all’anno. L’Aragosta * era altre volte considerata come una specie del genere Astacus, vale a dire appartenente al genere Gambero, e le si dava il nome di Gambero di mare; ma oggi se ne fa un genere distinto col nome di Homarus. L’Aragosta si distingue dal Gambero per una scaglia unita : t Lat., Astacus o Homarus marinus; fr., Homard; ingl, Lobster; ited., Hunmer. 448 TRIBÙ DEI CROSTACEI per le sue branchie che sembrano braccia, in numero di venti per lato; per zampe sommamente grosse, ovolari e diseguali, che terminano in pinze di grande forza. Questo Decapodo è di color bruno verdastro; i filetti delle an- Fig. 204. Langosta. tenne sono rossastri, la sua scaglia diviene cuocendo di un rosso vivo. Si trovano varie specie di Aragoste nel Mediterraneo c nel- l'Oceano. L’Aragosta comune (Homarus vulgaris), che giunge fino a 50 Reel I == L=“ = % {97Z==z=== Ficuier. Rettili, Pesci ce Animali articolati. | | | I) | | ill La i il RI NI I) Il Fig. 205. Aragosta. DECAPODI 454 centimetri di lunghezza, sta presso alle coste, nei luoghi. sco- gliosi e a poco notevole profondità. La sua carne è ricercatis- sima, specialmente durante la fregola. Vive sulle coste dell'Oceano, della Manica e del Mediterraneo. La femmina depone le uova nel mezzo dell’estate. i L’Aragosta abita l'Oceano, il Mediterraneo e i mari dell’Ame- Fig. 206. Larva d’Aragosta vista al microscopio (da Gerbe). Si vede per trasparenza il canale digerente ed il sistema circolatorio. rica. Se ne trova una specie sulle coste del capo di Buona Speranza. L’Aragosta si pesca con masse, vale a dire entro a panieri di giunco col ritroso, d’onde non può più uscire quando vi è entrata. La pesca dell’ Aragosta è un’ industria molto lucrosa per gli abitanti dell’isola di Helgoland, nel mare del Nord. I pescatori di quest'isola vanno fino ad Amburgo a vendere la loro raccolta. 452 TRIBÙ DEI CROSTACEI I Norvegesi pescano pure molte Aragoste sulle loro coste. Le vendono, per la massima parte, agli Inglesi e agli Olandesi, che s'incaricano poi di farle pervenire nei vari porti di mare, trasportandole chiuse vive entro barche a doppio fondo costrutte appositamente. p Nella massima parte dei porti ove giungono le Aragoste sì Fig. 208. Alfeo. Fig. 207. Crangone, fanno cuocere questi animali, e si marinano, per mandarle nell’ interno del paese, a meno che non si possa disporre di una ferrovia 1. 1 Sulle nostre coste le Aragoste non sono rare, tuttavia il loro prezzo è molto elevato. (Nota del Trad ) DECAPODI 453 La Langosta (fig. 204) è una specie del genere Zomarus che gii? non bisogna confondere coll’Aragosta (Zomarus vulgaris). Le sue zampe sono molto meno grosse, non ha pinze e le sue antenne sono più lunghe, più grosse e più irsute. Fig. 210. Pandalo ornato. 209. Caramota, Fig. Le antenne delle Langoste sono cilindriche, le zampe hanno un dito solo. Hanno la fronte armata di due grosse corna ricurve, la di cui scaglia è generalmente irta di moltissime spine. Questi Crostacei frequentano per la massima parte le coste rocciose. L’Oceano ne somministra alle coste francesi una specie 454 TRIBÙ DEI CROSTACEI abbondantissima. La carne delia Langosta è più stimata di quella dell’Aragosta. Gli Scilari, e alcuni Macruri che vi si accostano sommamente, hanno, come le Langoste, tutte le zampe monodattile , disposi- zione che è abbastarza rara in questo scompartimento; ma sono caratterizzati dalla forma singolare delle antenne esterne che sono larghissime e lamellose. Nel Mediterraneo ne esistono due specie. Le Galatee, di cui parecchie specie vivono pure sulle nostre coste, hanno le zampe del primo paio terminate da una grande mano didattila, e le zampe del quinto paio, esili, inette alla loco- mozione e ripiegate sotto le altre. Col nome di Gamberelli si vogliono indicare due Crostacei decapodi dell’ordine dei Macruri, cioè il Crangone comune 1 e il Palemone a denti di sega ?. Si riconosce agevolmente il Palemone dalla cresta dentata che porta sul capo. Il genere Palemone presenta i seguenti caratteri: corpo co- perto di una scaglia e di piastre sottili molto meno salde degli integumenti degli altri animali dello stesso ordine. Questo corpo è compresso, arcato, allungato e ristretto all'indietro. La scaglia termina da ogni lato, sul davanti, con due denti aguzzi. Dalla parte anteriore del mezzo del dorso si alza una carena che si stacca e viene avanti poi a mo’ di becco compresso in forma di lama di spada. La bocca è perpendicolare, con una spina o dente a ogni lato, e i margini superiori e interni sono aguzzi, ordinaria- mente dentati a sega e cigliati. Gli occhi sono abbastanza grossi, ravvicinati, inseriti da ogni lato all’origine del becco, avanzati e ricevuti, in parte, nella con- cavità della base del primo articolo del peduncolo delle antenne intermedie. Le antenne laterali o inferiori sono più lunghe del corpo. Le antenne intermedie sono fatte di tre filetti. Quasi tutti i Palemoni sono marini; alcune specie soltanto vivono nei fiumi. Si trovano sulle nostre coste, ma più numerosi alla foce dei finmi. Nuotano abbastanza in fretta per sfuggire ai pesci che li inseguono; nuotano all’ innanzi quando sono tranquilli, e all'indietro quando sono minacciati. L’arrivo dei Palemoni sulle coste e alle imboccature dei fiumi 1 Lat., Crangon vulgaris; fr., Crangon; ted., Crangon. 2 Lat., Palaemon serratus; fr., Palemon à dents de scie; ingl., Prawn; ted., Palaàmon. DECAPODI 495 è sempre seguito da un numero infinito di pesci, che se ne nutrono e che, secondo Latreille, non li mangiano che introdu- cendoli a ritroso nel loro stomaco, a cagione della lama tagliente di cui è armato il corpo di quelli. La fecondità dei Palemoni è tanto grande che sfida tutti i nemici della specie, e anche i pescatori che ne prendono quan- tità enormi. Si pescano i Gamberelli di mare con una rete a foggia di tasca, tenuta aperta da un semicerchio di legno di cui i capi sono muniti di una fune, e che una donna nell'acqua fino alla cintola spinge con uno o due manichi. Solca il suolo, e di tanto in tanto alza la rete e raccoglie i Gamberelli catturati, che getta nella sua cesta (fig. 212). La carne dei Palemoni è stimata buona quanto quella delle Aragoste, delle Langoste e di altri Crostacei. Questi animali non vivono a lungo fuori dell’ acqua salsa; e siccome si guastano in fretta, si ha la precauzione di farli cuocere appena tolti dal mare. Sui mercati di Francia si vendono in questa condizione. Il color naturale di questi animali è bianco giallastro o azzur- rognolo, ma colla cottura diventano color di rosa. Il Palemone sega (Palemon serratus) è la specie che, unita- mente al Crangone, porta, come abbiam detto sopra, il nome di Gamberello di mare. “ Questa specie è comunissima sulle coste d’Italia, di Francia e d’Inghilterra. A Parigi si vende quasi tutto l’anno. Altrevolte in Bretagna, il Gamberello valeva tre centesimi il chilogrammo! Si trova pure sulle nostre coste il Palemone squilla (lat., Pa- lemon squilla), affinissimo al precedente, tranne che ha il ventre più largo. I Crangoni, che somigliano ai Palemoni per la forma gene- rale, sono più appiattiti, mancano di ventre e hanno le zampe anteriori terminate da un solo dito, che si ripiega a mo’ di ar- tiglio contro la mano. La loro carne è un po’ meno stimata di quella dei Palemoni. I loro tegumenti, di color grigiastro, non diventano rossi per la cottura, come i Palemoni; la loro tinta divien soltanto un po’ più carica. I Crangoni sono pure tanto comuni da noi quanto i Palemoni. I Gamberelli di mare fanno parte di quegli animali che in certi tempi possono avere la carne velenosa. Nel mese di settembre 1857 più di trecentocinquanta famiglie 456 TRIBÙ DEI CROSTACEI di Amiens furono prese nello stesso tempo da fortissime coliche che si attribuirono dapprima’ ad attacchi di colera. Quest’'incomodo era dovuto all’ uso di Gamberelli portati da Boulogne, e parevano tanto freschi quanto quelli che si man- giano consuetamente senza danno. A Nantes furono osservati, in quello stesso tempo, simili ac- cidenti provocati dai Gamberelli. : I medesimi fatti furono pure osservati a Copenaga. La ma- lattia che produssero, non si sa in quali circostanze, era una eruzione cutanea, una sorta di pseudo-scarlattina, accompagnata da leggera febbre, senza coliche. Fig. 211. Paguro Bernardo. Si dice che un solo Gamberello basti a produrre questa eruzione. Il signor Eschricht calcola che su cento persone che fanno uso alimentare del Gamberello o dell’Aragosta, una è colta da que- sto male, che egli attribuisce a idiosincrasia. Ordinariamente le persone che sono disturbate quando man- giano Gamberelli di mare non possono digerire neppure le Ara- goste e i Gamberi. Il terzo sottordine dei Decapodi, quello degli Anomuri (dalla coda anormale) !, comprende Crostacei che hanno la forma ge- ! Lat., Anomura; fr., Anomoures; ted., Anomura. ‘i[[fodequeo) 10p Vosed 616 dl Pescì e Ammali articolati. FiGuiER. Rettili, o » SET - pa È Visae MAREA T SER e \ rd DECAPODI 459 nerale dei precedenti, ma di cui l’addome presenta disposizioni particolari. I più notevoli sono le specie che hanno il ventre molle, in- teramente privo di invoglio saldo. Così mal difesi, questi Cro- stacei soccomberebbero alle aggressioni dei numerosi loro nemici. Cercano quindi dei nicchi di conchiglia vuoti e vi si allogano. per modo da sporger fuori soltanto le zampe. La specie più nota dei Paguri è il Pagurus Bernardus, o Ber- nardo l’ Eremita *! (fig. 211), che vive sulle coste marine del- l'Oceano e del Mediterraneo. Questo curioso animale vive, come si è detto, nel nicchio vuoto di un mollusco. La parte posteriore del suo corpo essendo priva di corazza salda la alloga nel nicchio di un mollusco, per difenderne la parte terminale. Ordinariamente si alloga nel nicchio scelto da esso sulla spiaggia, ma talora aggredisce e uccide un mollusco vivo, sc trova la dimora di quello di suo gusto, poi vi mette il proprio domicilio. Bernardo l’Eremita, chiuso nel suo nicchio non lasciando fuori che il capo e le zampe, spia i piccoli molluschi e i zoofiti di cui si nutre. Per mutar di posto, si trascina dietro la casa, come una sentinella che si portasse seco il casotto. Una volta o molte volte all’ anno, vale a dire nel momento della muta, è costretto a cercare un nicchio più grande e allora corre il rischio di essere divorato dai suoi numerosi nemici. Del resto, si alloga entro differenti conchiglie, purchè siano analoghe di forma. Cambia indifferentemente la conchiglia di una Imnea per quella di una Cerita. Quando è costretto a cambiar casa, se un Bernardo l’Eremita incontra uno dei suoi congeneri in possesso di un nicchio che gli pare acconcio per sè, s'impegna una lotta fra i due paguri, e il più debole è costretto a darla vinta al più forte. Questi crostacei si muovono benissimo in fondo al mare; escono talora dall’acqua, ma in terra trascinerebbero con stento la propria casa. Depongono le uova due volte all’ anno; queste uova stanno attaccate sotto la coda a certi filamenti o barboline che occupano nna sola fila da un lato dell’addome. Le specie della famiglia dei Paguri vivono consuetamente sulla terra, talora anche molto lungi dalla riva, nei boschi; cammi- t Fr., Bernard l’Ermte; ingl., Hermit-Crab; ted., Bernhardkrebs. 460 TRIBÙ DEI CROSTACEI nano in modo irregolare, e la più piccola eminenza diventa un ostacolo, che li fa inciampare, rotolare col loro nicchio. I pesci sono avidissimi della carne dei Paguri; danno loro continuamente la caccia e ne divorano quantità enormi. Studiando i generi principali dei Decapodi, abbiamo fatto conoscere i Crostacei più importanti, pei loro costumi e per gli Fig. 215. Paguro colla conchiglia che tiene aderenti Serpule pesca'e alle isole Gleuans (30 braccia sotto il livello del mare). usi a cui servono, sia nell’alimentazione, sia nell’industria. Gli altri ordini di Crostacei di cui abbiamo dato la lista sono molto meno interessanti a conoscersi, perchè non sono alimentari © non servono a nessun scopo industriale. Quindi diremo poche parole intorno a questi ultimi ordini. Stomapodi. — Gli Stomapodi (zampe vicine alla bocca) hanno sette paia di zampe. STOMAPODI 461 Le due prime, vicine alla bocca, possono ad un tempo servire alla presa degli alimenti e a camminare. Le Squille fanno parte di quest'ordine di Crostacei. Hanno il corpo allungato, la scaglia corta e piatta. L’addome, sviluppa- tissimo, invece, porta sotto larghe lamine mobili, che servono da organi di respirazione. La Squilla mantide, o Mantide marina * (fig. 214), la specie più nota, è comunissima nel Mediterraneo. Rassomiglia un poco all’insetto di cui porta il nome, special- mente per l’uncino a mo’ di falcetto che termina le sue zampe anteriori. Questo uncino ripiegandosi sul margine tagliente che lo precede, taglia come un paio di forbici. Fig. 214. Squilla mantide piccola. Anfipodi. — Gli Anfipodi ® sono piccoli Crostacei che mancano di scaglia. Il loro corpo, composto di anelli simili, è ricurvo su sè stesso a mo’ di arco. Hanno quattordici zampe, le posteriori ordina- riamente più lunghe delle anteriori. Alla base di ogni zampa vi sorio delle vescichette che sembrano destinate alla respirazione. Gli occhi degli Anfipodi, come tutti quelli degli altri Cro- stacei di cui ci rimane da parlare, non sono portati da pedicelli: sono sessili, secondo il termine tecnico, e si compongono di granellini trasparenti posati sui lati della fronte. Gli Anfipodi sono Crostaceini che nuotano di fianco. Vivono pure fuor dell’acqua, e parecchi di essi saltano con molta agilità. La massima parte di questi animali sono marini. I Z'alitri 3, o Pulci di mare, sono la specie più nota; brulicano sulle spiaggie sabbiose. Il Gamberello dei ruscelli (Gammarus fluviatilis 1), che è lungo Lat., Squilla mantis; fr., Mante de mer; ted., Heuschreckenkrebs. Lat., Amphipoda; fr., Amphipodes; ted., Flohkrebse. 3 Lat., Talitrus; fr., Talitre; ted., Meerfloh. 4 Fr., Crevelte des ruisseaux; ingl., Sea-fleas; ted., Flohkreùs. [ORSI 462 TRIBÙ DEI CROSTACEI un centimetro o un centimetro e mezzo, vive nei nostri fiumi in mezzo alle piante acquatiche, sulle quali gli piace di iner- picarsi. Nuota velocemente, imprimendo al corpo dei movimenti al- ternanti di flessione e di distensione. Il Gamberello pulce (Gammarus pulex) non differisce dal pre- cedente se non pel suo addome liscio. Queste due specie si tro- vano nei ruscelli di Europa, sopratutto nei bacini delle sor- genti. i Isopodi. — I Crostacei isopodi! (dai piedi simili) formano un ordine importante, sebbene non contenga che animali di pic- cola mole. Hanno il corpo fatto di anelli eguali fra loro. Son forniti di quattordici zampe, che differiscono solo per le dimensioni. La i maggior parte di questi animaletti si arrotolano a palla quando sono inseguiti, o appena toccati, come fanno gli insetti del- l'ordine dei Coleotteri. Gli Zsopodi non hanno zampe addominali; sono sostituite da lamelle cornee che si ricoprono e nascondono delle vescichette respiratorie. Le femmine portano le uova sotto al petto in una tasca for- mata da produzioni lamellose della base delle zampe. I Crostacei isopodi sono acquatici e terragnoli. Citeremo prima quelli che vivono nel mare: le /dotee ®, dal corpo stretto e al- lungato, ordinariamente di color verdastro; le Cimotee 5, più rotonde e più larghe; le ZLimmoree, piccoli animali di mezzo centimetro di lunghezza, che rodono il legno delle navi e re- cano gravi danni pel loro sterminato moltiplicarsi. Fra gli Isopodi terragnoli, notereme le Ligie e gli Onisci. Le Ligie (lat., Ligia) si riconoscono per due stili a forca che hanno nella parte posteriore del corpo. Una specie di Ligia di- mora sulla spiaggia del mare: è la Ligia oceanica; |’ altra si trova nei muschi umidi : è un animaletto che corre velocemente: se ne è fatto il genere Ligidia. La specie più comune è la Li- gidia dei muschi. Gli Onisci* sono Crostacei terragnoli comunissimi in tutti i luoghi oscuri e più o meno umidi, come le cantine, le cucine, ' Lat, /Isopoda; fr., Isopodes; ted., Assel. 2 Lat., Idothea; fr., Idotées: ted., Schachtassel. 5 Lat, Cymothoe; fr., Cymothées; ingl., Fish- lice: ted., Fischassel. * Lat., Oniscus; fr., Cloporte; ted., Landassel. ISOPODI, LEMODIPODI, BRANCHIOPODI 463 i granai. Vivono sotto le pietre, i pezzi di legno, i vasi di fiori, le cortecce, ecc., cercando sempre i luoghi senza luce. Hanno corpo ovolare e piatto, color grigio ferro o nerastro. Portano le uova in una tasca pettorale. I piccoli, che nascono affatto bianchi, rimangono in quel luogo fino a che siano abbastanza robusti per andare in cerca del loro alimento. Siccome una forma affine porta il nome volgare di Porcellino di Sant Antonio, i naturalisti hanno creato per questo genere il nome Porcellion. Finalmente, siccome si fanno a palla, furon detti Armadilli, dal nome Armadillo che gli Spagnuoli danno a certi piccoli mammiferi dell’ America meridionale, che sogliono rotolarsi a palla. Gli Onisci sono voracissimij mangiano indistintamente tutto ciò che cade loro sotto le mandibole: frutte mature cadute a terra, pezzettini di sostanze vegetali, animali morti. Sono di grande nocumento ai giardini, perchè rodono le giovani piante e distruggono le seminagioni. Alcuni Crostacei isopodi sono parassiti: tali sono i Bopiri ! che si allogano nella scaglia dei Palemoni. Hanno corpo piatto, ovale, senza occhi, con piccolissime zampe che non possono servir loro a nulla; la concavità inferiore del loro corpo forma una specie di sacca che contiene le uova. Una specie s’ incontra nelle acque dolci, ruscelli, pozzan- ghere, ecc.; è l’Asello ? il cui corpo è piatto e un po’ allungato; nuota e cammina lentissimamente. I naturalisti collocano nell’ordine degli Zsopodi, e accanto agli Onisci, i Trilobiti 3, animali di cui la specie, oggi estinta, ca- ratterizza i terreni secondari. Lemodipodi (lat., Lemodipoda) e Branchiopodi 4. — Veniamo ora alla divisione dei Crostacei succiatori. Come indica il loro nome, questi Crostacei suggono il sangue degli animali sui quali vivono parassiti. La loro organizzazione è in rapporto con questo modo di esistenza. Colle zampe mu- nite di robusti artigli o di ventose si attaccano sul corpo della loro vittima, e vi scelgono i punti meno resistenti e più ricchi 1 Lat., Bopyrus; fr., Bopyre; ted., Lausassel. 2 Lat., Asellus; fr., Asell:; ted., Wasserassel. 5 Lat, Trilobites; fr., Trilobites; ted., Trilobiten. 4 Lat., Branchiopoda; fr., Branchiopodes ; ted., Kiemenfiissler. 464 TRIBÙ DEI CROSTACEI di fluido sanguigno. Infatti s'incontrano per lo più sulle bran- chie dei Pesci e dei Crostacei. « Hanno la bocca munita di un vero succiatoio, specie di tubo membranoso, che contiene degli stili aguzzi e seghettati per forare la pelle. Le specie di questi Crostacei sono abbastanza numerose e sì I. Armadillo volgare F, Armadillo volgare. 219; 220: “ig. Fig. Asello. Fig. 218. D. Porcellio scaber. T. Fig. 221. ( Porcellio scaber. al 4» ( ” do 9 Fig. 215. A. Limnoria terebrans. Fig. 216. B. Ligia oceanica. | i III TIT I | Fio. I{IR TIUINII Ill | Il | | incontrano quasi tutte sulle branchie dei Pesci di mare. Perciò vengono chiamati volgarmente /Lidocchi di pesci. Alcuni hanno la parte inferiore del corpo coperta da uno scudo, altri ne sono privi; tutti portano dietro due lunghi tubi, contenenti uova. I Caligi * possono essere presi come esempio di Crostacei ! Lat., Caligus; fr, Calige; ted:, Flunderlans. LEMODIPODI E BRANCHIOPODI 465 succiatori muniti di scudo dorsale. Citeremo fra gli altri le Lernee, di cui si conoscono numerose specie. S' incontrano nelle acque stagnanti dei Crostacei singolar- mente foggiati, che hanno la regione inferiore del corpo munita NN pi pic "i bn in tutta la sua lunghezza di zampe fogliacee, disposte in gran numero le une dopo le altre. Queste zampe lamellose, sempre in movimento, servono di organi respiratori o di branchie, e i crostacei che le portano diconsi perciò Branchiopodi Sion branchiali). Quest’ ordine FiGuiER. Rettili, Pesci e Animali articolati. 59 Fig. 222. Limulo longispino, 466 TRIBÙ DEI CROSTACEI contiene gli Apidi!, i Branchipi ?, le Limnadie *, le Dafnie 4, le Cipridi >, e i Ciclopi 5, tutti abitatori delle nostre acque tran- quille, che popolano colle loro innumerevoli schiere. Si riconoscono gli Apidi per lo scudo ovale e convesso che copre il loro corpo come una scaglia; questo scudo presenta all’innanzi tre piccoli occhi portati da un peduncolo. Il corpo termina posteriormente dietro una coda cilindrica, munita di due filetti. Questi animali, che hanno solo tre o quattro centimetri di lunghezza, appaiono talora in grandissima copia, e nuotano sul dorso, nelle acque stagnanti. È uno spettacolo curioso quello di vedere i movimenti delle loro numerose zampe in forma di foglie. Le uova resistono al freddo e al disseccamento, ciò che spiega come questi Crostacei appaiano entro pozze rimaste a lungo asciutte, o nelle quali non si era veduto nessuno di questi animaletti da molti anni. I Branchipi, ancora più piccoli e più sottili degli Apidi, hanno degli occhi sostenuti da un peduncolo. Fra gli occhi sorgono due piccoli stili. Il corpo è privo di scaglia. Vivono come gli Apidi nelle pozze, e stanno quasi sempre nella melma d’onde escono di tratto in tratto per nuotare e respirare. Le Astemie (lat., Astemia) rassomigliano ai Branchipi. Abi- tano negli stagni salati. Le Limnadie, grosse a un dipresso come una moneta da un centesimo, hanno il corpo chiuso fra due valve cornee, traspa- renti, formate da un prolungamento della scaglia. I movimenti di questi Crostacei sono graziosissimi; nuotano colle due valve socchiuse, e fanno nell’acqua ogni sorta di evoluzioni. La tras- parenza delle valve lascia scorgere l’animale chiuso in questa sorta di nicchio e lascia ammirare il muoversi delle sue zampe membranose. Questi Crostaceini portano le loro uova sotto la scaglia per alcuni giorni, poi la Limnadia le distribuisce nell'acqua. Le Limnadie non vivono nelle acque stagnanti, come gli A pidi, i Branchipi e le Astemie. ! La‘., Apus; fr., Apus; ted., Blattkrebs. 2 Lat., Branchipus; fr., Branchipe; ted., Kiemenfuss. 5 La!.. Limnadia; fr., Limnadies. 4 Lat., Daphnia; fr., Daphnies; ted., Wasserfloh. ò Lat, Cypris; fr., Cypris. 6 Lat., Cyelops; fr., Cyclope; ted, Cyclop. ‘LEMODIPODI E BRANCHIOPODI 467 Han d’uopo di un’acqua calma, ma pura, sopra un fondo ar- gilloso. Quindi questi Crostacei sono abbastanza rari. Le stesse acque che contengono gli Apidi brulicano di Dafnie e di Cipridi, crostacei piccolissimi, pure rinchiusi in una specie di conchiglia bivalva. Le Dafnie si riconoscono pel loro capo curvo all’ingiù e al- lungato a mo’ di becco 0 di muso, come pure pei lunghi steli biforcati che l’animale adopera come remi. Una delle più comuni è stata chiamata Dafnia-Pulce, a cagione del suo muoversi a salti. Le forme dei Cipridi sono globulose od ovoidi. Dalle loro valve escono dei pennellini di ciglia che servono loro a nuotare. I Ciclopi sono così chiamati perchè hanno un occhio solo. Sono parimente piccoli Crostacei propri delle acque stagnanti, che sono privi di scaglia e di valve. Il loro corpo si allunga all’ indietro a mo’ di coda aguzza. Nelle femmine all’estremità della coda stanno appesi due sacchi contenenti uova. Si possono collocare nell’ ordine dei Lemodipodi o dei Bran- chiopodi gli Agami o Pidocchi di balena, animali lunghi solo quindici o venti millimetri, di aspetto schifoso per la loro forma tozza e pel corpo munito di grosse zampe terminate da un un- cino acutissimo. Questi Crostaceini vivono parassiti sul corpo della Balena e di parecchi pesci di mare. Nelle nostre acque dolci questi Crostacei parassiti sono rap- presentati da un piccolo animale di forma arrotondata, lungo sei od otto millimetri, l’Argulo fogliaceo *. Il suo corpo è coperto di uno scudo ovale, trasparente, incavato posteriormente; due grosse ventose terminano le zampe anteriori. Vive sugli Spinarelli, sulle Perche, sulle Trote, sulle Carpe, e senza dubbio sopra tutti i nostri pesci di fiume. Al quadro della classificazione dei Crostacei che abbiamo messo sotto l’occhio del lettore (pag. 484), i naturalisti moderni aggiungono un gruppo particolare, i Xifosuri (coda a mo’ di spada) *, che contiene un genere solo, il genere Limulo 3. La forma di questi Crostacei è abbastanza curiosa. Il corpo, i Lai., Argulus foliaceus; fr., Argule foliace; ted., Karpfenlaus. 2 Questi crostacei si chiamano consuetamente dagli autori Peczlopodi, in latino Poecrlopoda. 5 Lat., Limulus; fr., Limule; ingl., Sheild-crab ; ted., Molukkenkrebs. 468 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI grandissimo, poichè può giungere fino a 35 centimetri di lun- ghezza, è diviso in due parti diseguali. La più grande, che compone un disco ovolare, rappresenta il torace. La seconda, più stretta e più breve, è l'addome. Al- l'addome sta attaccato un lungo stilo mobile, corneo, di cui l’a- nimale può servirsi come di una spada. Due scudi coprono il corpo. Il primo, molto convesso, lascia uscire il capo e le zampe; presenta all’innanzi e nel mezzo due grossi occhi a faccette, ma sessili, riavvicinati l’ uno al- l’altro. Il secondo scudo protegge l’apparato respiratorio, che si com- pone di grandi lamine branchiali avvicinate fra loro come i fogli di un libro. 1 Questi animali non hanno pezzi boccali speciali: le sei paia di zampe anteriori, vicine alla bocca e munite di forti spine, funzionano come mascelle per acciuffare e dividere gli ali- menti. I Limuli vivono nei mari dell’ America e dell’ Asia e riman- gono sempre vicino alle coste. In America son detti Pesci casseruole, senza dubbio per la forma della scaglia, che si può adoperare a mo’ di vaso, e che, infatti, ha una certa rassomiglianza con una padella. Si mangia sulle coste dell'America la carne di questi Crostacei. TRIBU' DEGLI ARACNIDI Gli Aracnidi (dal greco araknis, ragno !) hanno il capo unito al corsaletto, senz’ ali, nè antenne, e quattro paia di zampe; dal che talvolta venne loro il nome di Ottopodi. Il corpo di un Aracnide è composto di un piccolo numero di segmenti, o anelli, che formano due parti ben distinte: 1.° l’ad- dome, talora composto di una massa molle e senza divisione, come nel Ragno, talora separato in anelli, come nello Scor- pione; 2.° il cefalo-torace, composto del capo e del corsaletto riuniti, e portanti la bocca e gli occhi. La bocca di un Aracnide è generalmente munita di un paio 1 Lat,, Arachnida; fr., Arachnides; ted., Arachniden. TRIBÙ DEGLI ARACNIDI 469 di mandibole terminate da uncini talora mobili, talora disposte a pinze, di un paio di mascelle laminose e di un labbro inferiore. Gli uncini mobili delle mandibole sono scavati di un canale AO Ao Fig. 225. Migale che sgozza un uccello mosca. che serve a portar fuori un liquido che una ghiandola velenosa secerne; questo veleno determina l’intorpidimento degli insetti punti dall’Aracnide. 470 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Le zampe fissate al cefalo-torace sono lunghe e terminate da uncini. Il canale intestinale è diritto. Vicino all’ orifizio stanno le ghiandole che secernono il fiele col quale questi animali fanno le ragnatele che servon loro a trattenere gli insetti nel volo. Gli Aracnidi respirano alcuni per piccoli polmoni, altri per trachee. Alcune specie hanno ad un tempo polmoni e trachee. Gli Aracnidi sono forniti di occhi semplici, ordinariamente in numero di otto, e di una organizzazione molto compiuta, poichè riuniscono la cornea trasparente, il cristallino, l’ umore vitreo e la retina. Il senso dell’ udito e del tatto esistono evidentemente negli Aracnidi. Non si può negar loro una vera intelligenza, quando si vede l’arte meravigliosa colla quale costruiscono la loro dimora, tes- sono le loro tele, e le astuzie che spiegano per dar la caccia agli insetti. Gli Aracnidi si nutrono di insetti che prendono vivi nelle ragnatele, ma che non divorano: suggono solo il sangue e i liquidi contenuti nel corpo delle loro vittime. Il veleno degli Aracnidi è mortale pei piccoli animali, e può cagionare disturbi ad animali grossi e anche all’uomo. Gli Aracnidi si sviluppano per uova, che sono quasi sempre avvolte in un bozzolo di seta. Talora queste uova sono abbandonate dalla madre, talora sono portate da essa sotto al ventre. Gli Aracnidi sopportano qualche metamorfosi, o meglio qual- che muta, prima di giungere all’età adulta. Così gli Acari non hanno che tre paia di zampe nella prima età, ed acquistano il quarto in età più avanzata. Il naturalista Latreille divideva la classe degli Aracnidi in due ordini, secondo il loro modo di respirazione e di circolazione. Distingueva gli Aracnidi in polmonati e tracheati, i primi che respirano per sacchi polmonari e muniti di un apparato cir- colatorio compiuto, i secondi che respirano per trachee e non hanno traccia di apparecchi circolatori. Ma Dugès di Montpellier ha dimostrato che i Ragni dei ge- neri segestria e disdera hanno ad un tempo polmoni e trachee. Sembra pure che certe specie inferiori, come i Ragni tardi- 1 Quello che si dice qui degli Aracnidi conviene solo ai ragni, che costituiscono uno scompartimento della tribù. (Nota del Trad.) ARANEIDI 471 gradi, manchino di organi speciali per la respirazione, e assor- bano l’ossigeno atmosferico per tutta la superficie della pelle. Queste scoperte banno fatto abbandonare l’antica divisione di Latreille. Oggi gli Aracnidi sono divisi in cinque ordini: gli Araneidi, gli Scorpionidi, i Galeodidi, i Falangidi, e gli Acaridi. Araneidi 1. — L’aspetto del Ragno ispira ripulsione e disgusto. Si trova che è un animale sucido, schifoso, velenoso, ecc. Sono accuse queste ben gravi per una creatura tanto piccola! Senza dubbio i Ragni non hanno aspetto piacevole. Generalmente sono scuri e il corpo loro è villoso; hanno lunghe zampe e il loro carattere è selvaggio; finalmente portano del veleno. Ma certe specie splendono per tinte vivacissime, e il loro veleno è fatale soltanto ai piccoli animali, l’uomo è ben poco sensibile alla sua azione. Non siamo quindi ingiusti verso questo essere dislegnato e pensiamo che la Natura nulla fece di inutile. Creò i Ragni per liberarci da una infinità d’insetti importuni, come le mosche, le zanzare, ecc., i quali senza di essi ci tormenterebbero con- tinuamente. Quindi, tenuto conto dei servizi che ci rendono, non badiamo al loro aspetto poco attraente, non abbiamone paura, poichè non ci possono fare alcun male, mentre anche i più grossi sono timidi e fuggono al nostro avvicinarsi. Esaminiamo spregiudicata- mente le loro abitudini e i loro costumi; l’ industria che mo- strano farà perdonare il loro brutto aspetto. Gli Araneidi si dividono in due gruppi naturali: le Migale e i Ragni propriamente detti. Le Migale ®? hanno per carattere membra robuste, gli occhi collocati innanzi al cefalo-torace, zampe lunghissime, quattro stimma e quattro sacchi respiratori. Le Migali vivono nei paesi più caldi dell’Africa, dell'Asia, e dell'America; un piccolissimo numero si trova nei nostri climi. Stanno in agguato sugli alberi, fra i sassi o nei fessi delle rocce. Certe Migali vivono entro a buchi abbastanza comodi. che si sono scavati. Le Migali sono i ragni più grossi che si conoscano. Parago- nati a quelli dei nostri paesi, la loro mole può sembrare colossale. 4 Lat., Araneida; fr., Arancides ; ted, Webespinnen. 2 Lat., Mygalae ; fr., Mygales; ted., Vogelspinne. 472 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Alcuni, nello stato di riposo, occupano colle zampe uno spazio circolare di sedici a venti centimetri di diametro. Per queste loro dimensioni straordinarie sono detti in America Ra- gni-Granchi. Le Migali vanno in caccia quasi sempre la notte; allora si avventano sopra piccoli rettili e uccelli-mosche. Nella Colom- TC \Y Ae I WS E) bia le Migali aggrediscono anche pulcini; questa depredazione li ha fatti chiamare in spagnolo Ragno dei Pulcini. Le piccole Migali si nutrono solo d’insetti. Moreau di Jonnés, che fece alle Antille molte e varie osservazioni, dice che una delle specie di questo genere, la Migale canceride, mette le uova entro bozzoli che porta seco ovunque, e che dentro a questi contò fino a milleottocento o duemila piccoli. Fiz. 225. Zolla.contenen'e tre buche di Migali scavatrici. Fictier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 60 ARANEIDI 479 La Migale avicularia (fig. 223), comunissima alla Martinica, cresce grossissima. Si alloga nelle screpolature degli alberi e fra le pietre e nei fessi delle rocce. La dimora che si aggiusta nei cavi degli alberi o nei buchi dei muri consiste in un tubo ristretto alla sua estremità poste- riore, formato di una seta bianchissima. Il nido che la Migale sì costruisce in questa cella è grande come una grossa noce ed è composto dello stesso tessuto di cui è costrutta la dimora, ma in strato triplo o quadruplo, per dare più sicura e più ef- ficace protezione ai piccoli. La femmina veglia alla sicurezza del suo bozzolo, e non si allontana che per andare in cerca» del proprio nutrimento. Il suo nome di Migale avicolare significa che aggredisce gli uccel- lini (da avis, uccello). Il corpo di questo Aracnide è straordinariamente peloso; an- che le zampe sono coperte di peli. Le Migali vanno la notte in caccia; si arrampicano sugli alberi per impadronirsi degli uc- celli-mosca, si mettono in agguato sul margine dei buchi, nella terra, nei fessi degli alberi o sotto alle foglie per ghermire gli insetti. Sono dotate di forza notevole, e difficilmente si può far loro abbandonare la preda. Il loro morso è molto temuto dagli in- digeni. La fecondità della Migale aviculare è portentosa; diverreb- bero formidabili pel loro numero se le grosse formiche del paese non distruggessero una grande quantità dei loro piccoli appena usciti dall’uovo. Le Migali chiudono le uova entro un bozzolo di seta bianca, di un tessuto molto fitto. Lo conservano sotto al corsaletto per mezzo dei palpi e lo trasportano seco. Se qualche cosa le minaccia, lo abbandonano per un momento, e ritornano a prenderlo appena il pericolo è scomparso. Un solo bozzolo di Migale contiene ordinariamente da mille ottocento a, duemila piccoli. Meno notevole della precedente per la sua forza, la Migale muratrice (fig. 224) si fa ammirare per la sua industria. Scava gallerie sotterranee di 30 a 60 centimetri di profondità, in certi luoghi in pendio e protetti per la loro altezza contro le inon- dazioni, poi tappezza di sete sottili le pareti di questa abita- zione, e ne tura l’ ingresso per mezzo di un opercolo che sta attaccato all'apertura per una cerniera. Questa porta cade e chiude la cella. Se un nemico tenta di 476 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI aprirla, la Migale tien ferma la valvola di dentro, e solo quando ogni suo sforzo non basta va a ricoverarsi in fondo al suo covo. a Se si ferma con una spilla, dice Walckenaer nella sua Storia degl? Insetti atteri, l'opercolo'che chiude la dimora della Migale muratrice, se femmina, ( 7. Migale scavatrice mase 0 II dii du Fig 13 y All; \ { Ù voi li ne vede unaltro l'indomani che essa ha costrutto sulla stessa apertura. Questi Araneidi lavorano sempre la notte alle loro case e inseguono la preda. Il fondo di queste dimore contiene avanzi di ogni sorla d’insetti, e anche di Coleotteri abbastanza grossi; li prendono nelle reti che tes- sono nei terreni prossimi alla loro abitazione. Vivono, dopo aver de- ARANEIDI 4TT Pi posto le uova, in società coi maschi. Dorthès ha parecchie volte trovato, nella stessa dimora, il maschio e la femmina con una trentina di pic— coli. » La Migale muratrice vive nel nord della Francia, e nel mezzodi nei dintorni di Montpellier. D. Licosa saccata, femmina. B. Tarantola. 929. Pio, 231. D Fig. Licosa saccata, maschio. al do 2928. A. Licosa andrenivora. (La D Fig 250. ( SO Si trova nella Corsica, nelle isole Jonie e nell’India. La forma e l’estensione dei nidi di questo Aracnide variano. Nelle isole Jonie, si trovano più frequentemente sul tronco degli olivi, ordinariamente due o tre al piede dello stesso albero. 478 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Venne fatta una curiosa osservazione sul conto di questi Ragni. : Parecchie Migali muratrici, chiuse nei loro nidi, erano con- servate come oggetto di curiosità, e si apriva spesso l’ uscio del loro nido per osservarle. Le Migali finirono per essere seccate di queste visite. Perciò chiusero l’uscio della loro casa. Fabbricarono un pezzo di stoffa di seta che servì loro a turare l’apertura della porta come con una portiera. ; La tappezzeria era tanto saldamente attaccata all’ apertura e alle pareti, che era impossibile aprire la botola senza distrug- gere il nido. La Migale scavatrice, che vive in Corsica, ha gli stessi costu- mì della precedente. Si costruisce sotto il suolo dei ripari sotterranei che chiude con una porta. Questa Migale, che ha color bruno chiaro, uniforme, pone la sua dimora in un terreno argilloso, di color rosso, e le dà un diametro di un centimetro circa. Audouin, che descrive accuratamente questa abitazione, dice che il suo interno non solo venne scavato nella terra, ma che il Ragno lo rivestì poi di una specie di fino cemento, che ne rese la parete liscia e le- vigata come se la cazzuola vi fosse passata sopra. Una tela sottile morbidissima ne ricopre l’ interno e si trova collocata con cura degna di essere notata, perchè, come fa osservare Audouin, non è stesa immediatamente sulla parete dello scavo, ma, come i nostri arazzi di gala, è stesa sopra a una tela più grossolana, composta di numerosi fili. La porta si chiude dal di fuori, e quando il Ragno vuole uscire, non ha che da spingerla. Questa sorta di coperchio, che ha lo spessore di 6 millim., risulta di un miscuglio di strati di terra e di strati di tela, in numero Ci oltre trenta, che si trovano incastrati a un dipresso come una serie di capsula sempre più piccole che fossero messe le une sulle altre. Questa porta chiude ermetica- mente. L'animale la ricopre esternamente con terra, poi la rende rugosa e analoga al suolo circostante, per modo che possa sfuggire all'occhio del nemico. Ma internamente questo coper- chio è liscio e tappezzato di una tela di seta molto più consi- stente di quella che copre le pareti del sotterraneo. L'animale vi ha praticato una serie di forellini, disposti regolarissima- mente. Questi fori hanno un uso notevole e che forma uno dei punti più curiosi della storia di questo animale: sono destinati aricevere gli uncini che armano la bocca del Ragno. Se dal di fuori si solleva la porta di questo sotterraneo, la Migale scava- ARANEIDI 479 trice trattiene l’opercolo fissando le mandibole nei detti fori, men- tre colle zampe si attacca alla tappezzeria che riveste la parte superiore della sua cella. Le Migali non fanno tela; mondimeno certe specie tendono qua e là, dicesi, alcuni fili, nei quali vengono ad impigliarsi grossi insetti e Colibrì. Mala maggior parte va in caccia; giron- zando la sera o la notte e visitano i nidi degli uccelli Mosca, di cui divorano i piccoli. Alle Antille si teme molto la morsicatura delle Migali. Se- condo certi autori, produce un dolore fortissimo, seguito da feb- bre, senza del resto avere altre conseguenze. Il genere Ragno * è caratterizzato da occhi spesso lontani, da uncini alle mandibole che si chiudono lateralmente ,i da palpi inseriti alla base delle mascelle, da due stimme e due sacchi respiratori. Il genere Ragno comprende ‘un gran numero di specie ed è rappresentato in tutte le parti del globo. Fra queste specie, le più importanti sono le Licose, le Epeire, le Sfasi, le Erese, le Argironette, finalmente i Ragni propriamente detti. Le Licose ? si fanno notare per membri anteriori sensibil- mente più lunghi di quelli del secondo paio. Gli occhi sono disposti a quadrilatero, e i due posteriori non sono portati so- pra una eminenza. Questi aracnidi, noti col nome di Ragni- Lupi, stanno quasi tutti in terra. Alcuni si allogano nei fessi dei muri; altri entro buche scavate sotto terra e di cui le pareti sono fortificate con fili che impediscono le frane del terreno.” Le Licose passano l’inverno in fondo a questi cavi, dopo di aver avuto la precauzione di chiuderne l'ingresso per ripararsi dal freddo. Le Licose sono molto carnivore. Collocate all’ ingresso dei loro buchi, spiano i piccoli animali per ghermirli e divorarli. La femmina attacca all’addome, con fili di seta, il bozzolo che contiene le uova, e le porta seco ovunque. I piccoli, dopo nati, si raccolgono sul ventre della madre e vi stanno per un certo tempo. Questa riunione di famiglia ha qualche cosa di schifoso. La Licosa Tarantola, così detta perchè è copiosa nei dintorni di Taranto, città della Puglia, nell'Italia meridionale, è celebre t Lat., Aranea; fr., Araignee; ingl., Spider; ted., Spirme. 2 Lat., Lycosa; fr., Lycose; red., Jagdspinne. 5 Lat., Lycosa tarentula; fr., Tarentule; ingl, Tarentula ; \ed., Tarantel. 480 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI da lungo celebre. Leone Dufour ha dato intorno alla Tarantola dei ragguagli precisi, che qui riportiamo. « La Tarantola, dice il Dufour, vive nei luoghi scoperti, asciutti, aridi, incolti, esposti al sole. Sta ordinariamente, almeno quando è adulta, entro a condotti sotterranei, in veri covili che si scava da sè stessa. ‘Queste gallerie cilindriche e sovente del diametro di due centimetri e mezzo si affondano fin oltre a trenta centimetri nel suolo; ma non sono perpendicolari, come si è asserito. L'abitante di questo tubo mostra di essere nel tempo stesso accorto cacciatore e abile ingegnere. Non si trattava solo per esso di costrurre un covo profondo per difendersi dalle insidie dei suoi nemici, bisognava anche metter là il suo osservatorio per spiare la sua preda e avventarlesi sopra come un dardo. La Taran- tola ha previsto ogni cosa e il condotto sotterraneo ha infatti una dire- zione verticale, ma a dieci o dodici centimetri dal suolo si piega in angolo ottuso e forma un gomito orizzontale, poi torna ad essere per- pendicolare. Si è all'origine di questo gomito che la Tarantola si mette in sentinella, e neppure un istante perde di vista l’ingresso della sua dimora. » La Tarantola cerca i luoghi asciutti ed esposti al sole. Si na- sconde nei buchi che ha scavato. Questi buchi, che sono cilin- drici, hanno fino a 8 centimetri di diametro e 3 decimetri di profondità. Questo cavo, che le serve di asilo contro ai nemici, è pure il suo luogo di osservazione, ove può spiare la preda e avventarvisi sopra. Il covile è meravigliosamente disposto per la difesa e l’aggressione. Dapprima verticale, si incurva a 1 cen- timetro e mezzo dalla superfici del suolo. La Tarantola rimane di consueto sul principio di questa curva, senza perdere un istante di vista la porta. Allora si possono vedere i suoi occhi brillare come diamanti, dal fondo del suo covo. All’ ingresso esterno della tana vi è una specie di vestibolo, vero tranello per gli insetti, ai quali presenta, in apparenza, un luogo di riposo, e non è altro che il vestibolo della morte. La Tarantola, per quanto grossa e robusta, si è lasciata addomesticare. Il dottor J. Franklin ci dice che uno di questi ragni fu conservato per oltre cinque mesi, chiuso in un bicchiere coperto di carta. Il bicchiere era in una camera da letto sopra una tavola. La Tarantola si avvezzò ben presto alla sua nuova cella, e divenne, col tempo, tanto famigliare che veniva a pren- dere sulle dita del suo padrone una mosca viva. Dopo d’aver dato alla sua vittima il colpo di grazia colle mascelle, non si contentava, come fanno molti altri ragni, di suggere il capo della sua vittima, le ammaccava il corpo e piantava le an- tenne nella sua bocca. Respingeva poi gli avanzi della mosca e li LÌ Via \ì ANRÒN FiGuieR. Rettili, Pesco e Animali articolati. tf il LATIULIE Il Il i ‘a diadema e sua lela peil n 4 d Fig. 252. | vauzaree sa è * ARANEIDI 483 spazzava fuori della sua cella. Dopo d’aver mangiato, non man- cava di fare la propria teletta, che consisteva nello spazzolare coi tarsi dei piedi le mandibole e le antenne. Ciò fatto, riprendeva il suo atteggiamento di immobile gravità. La sera e la notte, soggiunge il dottor Franklin, erano i mo- menti in cui passeggiava; allora tentava di fuggire. Fu intesa grattare parecchie volte il coperchio di carta dèlla sua prigione. Queste abitudini notturne hanno confermato i naturalisti nel- l'opinione che la massima parte dei ragni possono distinguere gli oggetti tanto la notte quanto il giorno. Tutti conoscono gli effetti patologici che si attribuiscono alla puntura della Tarantola, effetti cui fu anche dato il nome di tarantismo. Tutti sanno pure la cura singolare che si fa a que- sta malattia, e che consiste nel ballare fino a perdere il fiato, con accompagnamento di una musica allo stesso diapason. Le persone punte da questo aracnide risentono, dicesi, singo- lari fenomeni nervosi. Gridano, ridono, sospirano e fanno ogni sorta di stravaganze. Si è durante la canicola che si vedon sempre aver luogo questi accidenti nei contadini della Puglia occupati allora alla mietitura, e che durante il lavoro sono punti da questo aracnide. Il modo di cura adoperato altre volte sui tarantolati, cioè sulle persone punte dalla Tarantola, era dei più singolari. I loro compagni si mettevano: a suonare, col tamburello napoletano, differenti arie, principalmente la Pastorale e la Tarantella, di cui la musica fu notata in parecchie opere, e che il composi- tore Auber ha riprodotto a un dipresso letteralmeute nella Ta- rantella della Muta di Portici. Gli ammalati si mettevano subito a ballare. Quando erano abbattuti dalla stanchezza e bagnati di sudore, si mettevano a letto. Si addormentavano, e allo svegliarsi, dicesi, sì trovavano guariti. Faremo una breve rassegna degli scritti antichi e moderni che parlano della Tarantola e del tarantismo. Baglivi, nel 1696, scrisse sulla Tarantola un lavoro ove esa- gerava singolarmente gli effetti del tarantismo. Swammerdam contestò le asserzioni di Baglivi, e pretese che gli effetti della puntura di questo Ragno si limitano a una gonfiezza di color livido, e a delle flittene, che invadono il contorno della parte morsicata, tutto ciò accompagnato di un po’ di febbre. Dopo il lavoro di Baglivi, quello che fece più rumore fu il Trattato della Tarantola, pubblicato a Napoli, nel 1709, da Va- letta, monaco di Sant'Agostino. L’autore risponde alle obbiezioiti di coloro che hanno messo in dubbio il fenomeno del tarantismo, e cita parecchie persone che erano state morse dalla Tarantola. 484 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Alcune, dice egli, appartengono a famiglie ragguardevoli, e be lungi dal voler narrar delle favole, avrebbero desiderato, per scansarne la vergogna, di poter tenere nascosta la sventura che era loro accaduta. Roberto Boyle, parlando, nel suo trattato dei Movimenti per stordimento, della morsicatura della Tarantola e della cura di questa malattia operata dal ballo e dalla musica, dice « che. avendo avuto egli stesso alcuni dubbii intorno a questo argo- mento, fu, dopo altento esame, convinto che la relazione era interamente vera. » Il dottor Mead, nel suo Trattato dei Veleni, diede un saggio intorno alla Tarantola, nel quale tenta confermare colle sue proprie riflessioni gli asserti degli antichi naturalisti. Il dottor Serao, medico italiano, in un lavoro sullo stesso ar- Fig. 255. Epeira diadema, maschio. Fig. 254. Epeira diadema, femmin®. gomento, combatte i pregiudizii popolari relativi alla puntura della Tarantola. Dimostrò che i pretesi effetti di questa puntura non sono che inganni dei popolani, che, per guadagnare un po’ di danaro, fingono di esser punti e fanno contorsioni stu- diate. Serao afferma di aver fatto parecchi sperimenti con delle Tarantole, e mai nè uomo nè animale, dopo di essere stato punto, ha provato nessun altro male alla parte ferita che una leggerissima infiammazione, simile a quella che vien prodotta dalla puntura dello Scorpione, e che scompare da sè stessa senza cagionare il menomo pericolo. In Sicilia, ove l'estate è ancora più calda che nella Puglia, la Tarantola, soggiunge Serao, non è pericolosa per nulla, e non si ricorre mai alla musica nè al ballo: per la cura del pre- teso tarantismo. : Il naturalista inglese Swinburne, in un viaggio che fece im ARANEIDI 485 Italia, verso il 1778, ricercò con cura minuziosa tutti i partico- lari che hanno relazione con questo Ragno; ma la stagione non era abbastanza avanzata: non si potè mostrargli nessun taran- tato (nome che si dà alle persone morsicate dalla Tarantola). Riuscì nondimeno a in- durre una donna, che era stata altre volte morsa da questo Ragno, a ballare la tarantella. Cominciò es- sa a inchinarsi, con piglio di stupore, sopra un seg- giolone, mentre gli stru- menti suonavano un’aria melanconica. In breve bal- zò in piedi mandando grida acute. Si mise a correre ‘ qua e là per la stanza, come persona ubbriaca. Tenendo nelle mani un fazzoletto lo alzava e lo abbassava alternatamente, con moto cadenzato. Quan- do la musica divenne più animata, isuoi movimenti andarono accelerandosi ; saltava da una parte e dal- l’altra, con molta forza e varietà nei suoi passi; di tratto in tratto mandava alte grida. Questa scena non era per nulla piace- vole, e Swinburne si af- frettò a mettervi fine. Il naturalista inglese ci dice che in ogni luogo ove debbono ballare i tarantati si tendono, intorno alla Fig. 255. Arginoreti (Ragni acquatici). piazza, dei nastri e dei grappoli d’ uva. Gli attori di questa commedia coreografica sono vestiti di bianco e portano dei nastri rossi, verdi e gialli. Si sospendono sulle spalle una sciarpa bianca, si lasciano cadere i capelli sul collo, e respingono il capo indietro il più possibile. Swinburne soggiunge che questo ballo è fedele imitazione de? 486 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI balli degli antichi sacerdoti e sacerdotesse di Bacco. L’introdu- zione del cristianesimo avrebbe fatto, secondo lui, abolire quelle danze, che appartenevano ai riti del paganesimo; ma gli Italiani avrebbero risuscitato i balli delle Baccanti coi pretesi delirii pro- dotti dalla puntura della Tarantola !. A questa spiegazione mitologico-istorica, preferiamo l'ipotesi di Serao, vale a dire una semplice superchieria dei contadini che si danno il divertimento del ballo, per ottenere qualche mo- neta dai creduli viaggiatori. Tuttavia dobbiamo aggiungere che ai nostri tempi il signor Ozanam, bibliotecario della facoltà di medicina di Parigi, in uno Etude sur le venin des Arachnides et sur son emploi thérapéutique, suivie d'une dissertation sur le tarantisme, pubblicato nel 1856 nel giornale omeopatico l’Art médical, ammette gli effetti attri- buiti alla puntura della Tarantola. Questo.scrittore si esprime nel modo seguente intorno al tarantismo: « 1.0 La puntura della Tarantola determina realmente i fenomeni del tarantismo. « 2.0 Il tarantismo nervoso ha realmente esistito per lo spazio di due secoli in Europa, come malattia epidemica . « 5.0 Esiste ancora in Abissinia, col nome di tigretrero. « 4.0 Il veleno della Tarantola, secondo la legge di similitudine, do- vrà sollevare e guarire il tarantismo, se si riproduce in Europa. « 5.0 L'azione salutare della musica sui malati colpiti o dal ta- rantismo nervoso, 0 dalla puntura della Tarantola, sembra reale e di- mostrata. » Noi riportiamo qui le asserzioni dell'onorevole medico, lascian- dogliene tutta la responsabilità. Bisogna riconoscere che le Licose-Tarantole della Puglia dif- feriscono dalle Tarantole di Spagna, del mezzodì della Fran- cia, ecc. Walckenaer riconosce loro, infatti, dei caratteri parti- colari. Oltre i caratteri proprii delle Licose del sotto-genere Tarantola, hanno il ventre color fulvo-rosso attraversato da una fascia nera, e hanno delle macchie ad angolo sull’addome, co- me pure sul cefalo-torace. Gli occhi della linea anteriore sono un po’ più grossi dei laterali della stessa linea, e sono neri come quelli. Questo carattere distingue le Tarantole della Pu- glia da quelle di Narbona e di Spagna. I Ragni-Tarantola esistono in Algeria, in Egitto, in Crimea, in Grecia, in varie parti d’Italia, in parecchie isole del Medi- terrano, nel mezzodì della Francia, particolarmente vicino a ! Viaggio nelle Due Sicilie 4 vol. in-8, 41785. ARANEIDI 487 Narbona, in Spagna, ecc. Ma in nessun paese cagionano gli ac- cidenti descritti sul conto di quelli delle Puglie. Le Tarantole sono forse più velenose in quest’ultimo paese che non altrove ? oppure bisogna attribuire all’immaginazione e ai pregiudizii i fatti singolari che gli autori hanno descritto con tanta compia- cenza? Solo delle osservazioni accurate possono risolvere questa questione !. Tutto ciò che possiamo dire ancora è che l’ imma- ginazione sembra avere qui una parte essenziale, ed è proba- bile che i tarantolati della Puglia guarirebbero benissimo 'se fossero lasciati tranquilli e sottoposti alle precauzioni sempli- cissime adoperate contro le punture degli Scorpioni e dei Ragni comuni, Le Epeire ? hanno due occhi da ogni lato del capo, quasi continui, e quattro altri formanti un quadrilatero sulla fronte. Le loro mascelle, dilatate alla base, rappresentano una paletta rotonda. Tessono una tela tesa verticalmente composta di fili disposti in cerchi concentrici, e attaccati sopra un gran numero di sete che formano tanti raggi che partono dal centro. Le Epeire stanno nel centro della loro tela, per spiarvi la preda, che vi si impiglia volando; oppure si rintanano in un luogo d’onde spiano tutto ciò che segue alla superficie di essa. Questa tana non è talora che un semplice canaletto di seta fortificato da foglie riavvicinate con dei fili; talora una cella che sembra un nido d’uccello e che è aperta sopra. Cuvier dice che la ragnatela di certe Epeire esotiche è composta di fili tanto resistenti che trattiene i piccoli uccelli e imbarazza anche l’ uomo che vi rimane impigliato. I navigatori che anda- rono in cerca di Lapeyrouse videro gli indigeni dell’Australia e quelii di alcune isole del mare del Sud mangiare delle Epeire qnando difettavano di cibo. L’ Epeira diudema è comune in Europa. Vive sopratutto nei giardini. È il più grande dei «Ragni dei nostri paesi. Ha ad- dome ovale, cotonnoso e di colore giallo-rossastro, di cui le tinte variano nelle varie stagioni. Sopra è adorno di cerchi e di punti neri e bianchi, disposti per modo da rappresentare una specie di benda. Il fondo sul quale stanno questa benda e quei puntini bianchi è di una magnificenza senza pari quando si 1 Uno studio recente del defunto prof. Panceri di Napoli, dove sono riferiti numerosi e svariati sperimenti, respinge le antiche opinioni dei medici e naturalisti, e sostiene la innocuità del morso della Tarantola. (Nota del Trad.) 2 Lal., Epeira; fr., Epere; ingl., Spider; ted., Kreuzspinne. 488 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI osserva colla lente alla luce del sole. Il colore dei ragni giovani di questa specie varia d’altronde moltissimo ; in alcuni l'addome è color di porpora e adorno di punti bianchi, i piedi son gialli, e gli anelli di color più cupo; altri hanno l’addome bruno-rosso, adorno di bianco; ma i piedi sono di color verde -pallido, con anelli di color porpora o nero. Fig. 257. B. Ragno domestico, femmina. Fig. 259. D. Coelotes saxatilis. Fig. 256. A. Ragno domestico, maschio. Le Sfasi hanno le zampe anteriori più lunghe delle altre. Gli occhi sono disposti a due a due, su quattro file, per modo da . formare un ovale trasversale, tronco ai due capi. Le Eresi hanno tarsi terminati da tre uncini. dl loro occhi sono in numero di otto, di cui quattro sono riaccostati a trape- zio, e gli altri quattro posti sui lati, per modo da formare un quadrilatero molto più grande; le loro mascelle sono diritte. , 8. C. Ragno labirintico. 23 Fig. ARANEIDI 489 Le Argironete * sono caratterizzate dagli occhi, di cui due sono collocati, da ogni lato del gruppo oculare, sopra una eminenza e molto ravvicinati, mentre gli altri quattro formano un quadrilatero; le loro mascelle sono inclinate. to. gno striato, uova. D. Teridio denta Fig. 245. F. Theridion lepidanorum. Fig. 241. B. Ra Fio. 243. gno striato, femmina., C. Ragno striato, maschio. Fig. 244. E. Ragno tozzo. Fig. 240. A. Ra Fio. 242. Questi Aracnidi vivono nelle paludi; perciò Walckenaer li chiamò Naîadi. Questo naturalista descrive nel modo seguente i lavori della specie più nota, l’ Argironeta : 1 Lat., Argyroneta; fr, Argyronéte; ted., Wasserspinne. Ficuirr. Rettili, Pesci e Animali articolati. 62 490 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI « Questo ragno si costruisce, dice Walekenaer, in fondo alle acque stagnanti, una tana a mo’ di campana, che attacca pei margini ai fili d’ erba vicini, per mezzo di moltissime fila dirette in ogni senso; ma non potendo i Ragni respirare se non nell’ aria, bisognava che questa campana ne fosse piena e potesse contenerla. Perciò |’ Arginoreta com- pone questa campana di fili agglutinati, che formano un tessuto abba- stanza fitto per essere impermeabile, e la riempie in un modo singolare. Sale alla superficie dell’acqua nuotando supina e ne fa uscire ad ‘un tratto l'addome ; una bolla d’aria viene subito ad unirsi allo strato leggero di questo fluido che ravvolgeva già una parte del suo corpo, e gli dà uno splendore argentino; tuffandosi allora con sveltezza, trascina seco quella bolla e va a deporla sotto alla campana preparata per riceverla. Con questo meneggio ripetuto sufficientemente, la campana si riempie, l'aria che la respirazione consuma si ripara, e l’animale provvede a sè stesso il mezzo mercè il quale può vivere. » L'Argironeta sì mette sotto a questa campana per spiare la preda; vi depone il suo bozzolo, e vi si chiude per svernare. Il maschio sì costruisce per proprio uso un castello d’aria speciale poco discosto da quello della femmina. Poi fa una breccia attraverso alle sete che formano la chiusura della resi- denza della femmina; e le due bolle d’aria aderenti al loro corpo, trovandosi riunite assieme, non formano più che una sola e grande cella. Il Ragno acquatico, comunissimo fra gli abitatori delle nostre acque dolci, sembra, quando è nell’acqua, coperto di una ver- nice d’argento. Questo mantello non è altro che la bolla d’aria che ha traspirato dal suo corpo, e ha servito al nostro animale per fare il curioso maneggio che abbiamo descritto sopra e che assicura la sua esistenza sott'acqua. La femmina accudisce i suoi piccoli, e colloca e stabilisce loro delle dimore subacque simili alla sua. Durante l’ inverno il maschio e la femmina stanno dentro a quelle campane vuote che trovano. Non hanno che a chiuderle tessendo una tela alla base di esse. Si vede che questo povero Ragno ha realizzato prima dell’in- l'industria umana la campana del palombaro e ia respirazione artificiale sott'acqua per mezzo di una provvista d’aria, invenzione che appartiene al nostro secolo. La natura aveva preceduto l’in- gegno umano. Infatti, il luogo ove si rieovera è una sorta di campana da palombaro. La sua casa è un bozzolo ovale, pieno d’aria, fode- rato di seta e tenuto fermo mercè dei fili tesi in tutte le dire- zioni. ARANEIDI 491 Come mai la natura ha insegnato ad animali che respirano l’aria, il modo di riempir d’aria la loro cella acquatica? Come ha mostrato loro il mezzo di portarsi seco una bolla d’aria sot- t'acqua? È questo un mistero che supera la nostra mente. Que- sta vita acquatica di un essere che respira aria è una delle più grandi singolarità del regno animale. Del resto non vi si può vedere che una disposizione provvidenziale. Gli insetti che vi- vono nelle acque stagnanti essendo numerosissimi, la loro mol- tiplicazione esige che sia tenuta entro a certi limiti. Il Ragno d’acqua è uno degli agenti ai quali l’autore della natura ha affidato l’ ufficio di mettere un freno al soverchiare della vita acquatica. I Ragni propriamente detti sono quelli che hanno dato luogo a moltissime osservazioni. Con questo nome si intende spe- cialmente il Ragno domestico e il Ragno dei giardini, o Ragno geometra. I Ragni propriamente detti hanno il corpo diviso in due parti : il capo che forma col torace ciò che suol dirsi cefalotorace, e l’addome che sta attaccato a questo per uno strettissimo pic- ciuolo. Il cefalotorace purta gli occhi, i pezzi boccali e le zampe. Privi degli occhi dalle mille faccette degli Insetti e dei Cro- stacei, i Ragni hanno sei occhi semplici, disposti sul davanti della fronte nel modo più acconcio perchè la vista possa com- piersi in tutte le direzioni. Questi occhi, completi del resto, co- me già dicemmo, vale a dire contenenti la cornea trasparente, il cristallino e la retina, sono riuniti talora sulla cima della fronte, talora sono collocati su due file trasversali parallele, vi - cino al suo margine anteriore e riuniti verso gli angoli e nel mezzo. Gli occhi variano molto nei Ragni per le loro disposi- zioni e la loro grossezza. Su queste differenze sopratutto i na- turalisti si fondano per caratterizzare e distinguere i generi e le specie. La bocca si compone di quattro parti principali: due mandi- boie e due mascelle. Le mandibole, sempre fortissime, termi- nano con due uncini ricurvi, eccessivamente aguzzi ‘e che si muovono talora orizzontalmente, talora verticalmente. Questi uncini sono le armi che servono al Ragno per uccidere gli insetti. Le mascelle sono pezzi cornei, posti dietro alle mandibole. Portano ognuna un palpo, appendice composta di parecchi arti- coli e abbastanza simile alle zampe, sebbene molto più piccola. Le zampe, sempre in numero di otto, sono lunghe e svelte, munite di unghie e coperte di peli. Nelle specie che tessono grandi tele le unghie delle zampe posteriori portano delle sca- 492 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI nalature simili ai denti di un pettine. Il Ragno le adopera con molta destrezza per attaccare il suo filo. I Ragni debbono alla flessibilità delle zampe la facoltà di correre con tanta velocità, di arrampicarsi sopra i corpi verticali, di saltare o di scivo- lare sulle foglie, di nuotare sull’acqua e anche di tuffarsi. L’a- gilità di certe specie è cosiffatta che quando si crede di averle in mano sono già lontane. Tale è l’organizzazione del Ragno per vedere, per sentire, per uccidere la preda, per correre, arrampicarsi, saltare e nuotare. Ma non si limitano a questo i suoi mezzi: può anche tendere Fig. 246. A. Epeira bicorne. Fig. 247. B. Ragno ornato. Fig. 218. C. Linifia terricola. Fig. 249. D. Tetragnantha extensa. insidie. Per ciò fare, ha avuto in dono dalla natura un apparato dei più curiosi. Il Ragno è fornito di due sorta di secrezioni: una perla seta che deve servirgli a tessere la tela, l’altra pel veleno col quale uccide gli insetti. La secrezione del veleno si compie in una vescichetta che si apre alla base delle mandibole, ed è fornita di un canale escre- tore che porta il liquido velenoso all’estremità dell’ uncino, d’onde scola al di fuori. Quando un Ragno ha ghermito un in- setto fra le zampe, lo trapassa cogli uncini. Con ciò preme contro la ghiandola, e ne segue l’ uscita del veleno che s’ intro- duce nella ferita e cagiona la morte istantanea della vittima. ’ ARANEIDI 493 È la stessa disposizione anatomica che s'incontra nei serpenti velenosi. La seta che serve al Ragno a tessere la sua tela viene se- creta da una ghiandola collocata alla estremità del canale inte- stinale, e composta della riunione di parecchi vasi contorti e rigonfi verso il mezzo. La sostanza racchiusa in questi vasi rassomiglia a una gomma vischiosa, insolubile nell’ acqua e nell’ alcool, che si frange come il vetro, e presenta mor- bidezza soltanto quando è divisa in sottilissimi fili. Questa sostanza si apre un varco per quattro trafile, che stanno collo- cate verso l’ estremità dell’ addome e chiuse da una piastrella Fig. 250. A. Ragno crestato._ Fig. 251. B. Ragno giallo, femmina. Fig. 252 C. Ragno di Cambridge.. Fig. 255. D Ragno giallo, maschio. Fig. 254. E. Ragno lancia. forata da una infinità di bucherellini. Si è valutato il numero diquesti orifizi a più di mille in certe specie. La sostanza mor- bida, uscendo da queste aperture impercettibili, forma, precisa- mente come nelle trafile delle nostre officine di metallurgia, una quantità di fili di una finezza incredibile, in numero eguale a quello dei fori. Questi fili tanto prodigiosamente tenui si riu- niscono insieme, nell’uscire, e formano i fili resistenti che sono ‘ destinati a fare le ragnatele. Il Ragno colle zampe dipana que- sti fili e li riunisce in uno solo. I fili che i Ragni secernono sono di differente natura. Per es., negli Orbiteli i fili disposti in cerchio sono agglutinanti, men- 494 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI tre i fili disposti in raggi non lo sono. Il sacco destinato a con- tenere le uova è di una tessitura affatto differente, e talora una sorta di bavella ravvolge queste uova. È cosa certa, da ciò che abbiamo detto, che i Ragni hanno dei serbatoi di sostanza sericea per differenti sorta di fili; ma finora non si sono potuti distinguere i differenti vasi che secernono questi fili piuttosto che altri. Al momento in cuii fili sono usciti dalle trafile, sono vischiosi. Solo dopo alcuni minuti, mercè la evaporazione dell’acqua, di- vengono secchi. In estate basta un momento per asciugare que= sti fili, perchè in questa stagione i Ragni si servono de’ fili ap- pena sono usciti dalle trafile. | Tutti hanno osservato nei bei giorni di primavera e di autunno quei fiocchi bianchi, morbidi che svolazzano nell’aria e che sono detti di Santa Maria. Povero fil, che la mia fantasia, Quand’ era giovincello, Credeva che la Vergine Maria Fidasse al venticello, Fil prezioso, dal vento levato Al suo sericeo velo, Qual cherubin col soffio ti ha lanciato Così lontan dal cielo ? Da Betlem, borgo benedetto, vieni, Sei fragile vapore Di quell’ incenso che i Re Magi armeni Portavano al Signore ? Del Nil sotto ai palmizi un dì una spina Al manto ti rapio, In cui, fuggendo, del ciel la regina Tenea celato un Dio ? Il soffio freddo e positivo della scienza ha dissipato questi sogni gentili della poesia; invece di un’origine misteriosa e ce- leste, essa ci presenta una realtà piuttosto sconsolante. Oggi si sa chei /ilîì di Santa Maria, di cui la natura è rimasta per tanto tempo un mistero, che certi naturalisti, come Raspail, conside- ravano come albumina atmosferica, altri come una polvere fe- condatrice vegetale, non sono altro che una agglomerazione di fili di giovani Ragni. L’analisi chimica ha dimestrato che que- sti fili hanno la stessa composizione di quelli del Ragno. Del resto, lo studio accurato fatto sui Ragni nei luoghi ove sì tro- vavano numerosi e in aperta campagna ha confermato questa scoperta. I fili di Santa Maria sono i fili più grandi delle Epeire, ARANEIDI . 495 «quelli che debbono servire a ordire i raggi della tela. Questi fili, incurvati dal peso dell’ umidità, si riuniscono, finiscono per avvoltolarsi in gomitolo, e formano quei prodotti che il vento trascina seco e che svolazzano per l’ aria, a cagione della loro prodigiosa leggerezza. Nel secolo scorso si cercò di trar partito della seta dei Ragni per fare delle stoffe. Si fabbricarono con questa seta delle calze e dei guanti. Bon di Saint-Hilaire, presidente della corte di Montpellier, fu quello che ebbe, sul principio del secolo decimottavo, la prima idea di far filare e tessere la seta dei Ragni e di farne dei guanti, delle calze, e altri oggetti. Questa scoperta fece un certo rumore, e alcuni industriali tentarono di imitare i metodi del presidente di Montpellier. Si sostituirono i bozzoli che quest’ ultimo ado- perava colla seta ottenuta direttamente dalle trafile del Ragno. Luigi XIV volle avere un vestito di ragnatela, ma la poca sal- dezza del tessuto glielo fece abbandonare subito. Un negoziante inglese, chiamato Rolt, ebbe più tardi l’idea di avvolgere i fili di Ragno intorno a un leggero arcolaio, che mise in comunica- zione con un motore. Il naturalista Alcide d’Orbigny portò al Museo di storia naturale di Parigi un esemplare della seta di un Ragno, di cui affermava averne raccolto gran copia in Ame- rica. Con quella seta si era fatto tessere di che farsi un paio di pantaloni, in America. È inutile dire che i tentativi fatti per fabbricare stoffe colla ragnatela non hanno mai avuto nulla di serio. Fermiamoci un istante sull’arte meravigliosa che spiega il Ragno per fare la sua tela. Non possiamo saziarci dail’ammirare la maestria, l’ intelligenza di questo animaletto. Si rimane at- toniti innanzi all’abilità, alla precisione matematica del suo la- voro, ai mezzi che spiega per vincere ogni ostacolo, ai metodi ingegnosi che adopera per aggiustare una maglia o liberarsi da un oggetto incomodo. Allorchè il Ragno domestico si dispone a fare la sua ragna- tela, emette dapprima una gocciolina del suo liquido vischioso, che è tenacissimo; poi arrampicandosi lungo il muro, e rac- cogliendo i suoi fili, a misura che si avanza, si dirige dal lato opposto dello stesso muro, ove l’altro capo del filo deve essere attaccato. Un primo filo essendo così fermato ai due lati del muro a ognuna delle sue estremità, il Ragno corre su quel filo in su e in giù, continuando a raddoppiarlo e a renderlo più forte, per- chè da quel primo filo dipende la saldezza di tutto il suo la- voro. Quando questa base è compiuta, esso pone altri fili pa- 496 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI ralleli al primo, e incrocia poi altri fili sopra di quelli, mentre la sostanza vischiosa di cui sono fatti serve a consolidare gli uni e gli altri. All’angolo della tela dispone una specie di im- buto : è il luogo ove resterà nascosto in agguato della preda. Fig. 255. Nido e fili del Ragno. Le ragnatele differiscono, come si vede, dalle tele che fa l’uomo. Nei nostri tessuti, vi. ha una catena e una orditura: i fili della catena s’ intrecciano con quelli che formano l’orditura, mentre i fili della ragnatela sono semplicemente sovrapposti, e non ARANEIDI 497 sono mai intrecciati; aderiscono fra loro nei punti pei quali si toccano, non sono tessuti dalla spoletta, nè stretti dopo l’in- crociamento. I fili che servono di cimosa alla tela sono doppii o triplici. Per fare questa parte della tela il Ragno apre tutte le sue tra- ;7. B. Filodromo allungato. 5 9 259. D. Ragno smeraldo. PIg. Fig. 260. E. Ragno corridore, maschio, Fig. 2%8. C. Ragno corridore, femmina. Fig. 256. A. Ragno pallido. Fio. file ad un tempo e incolla parecchi fili gli uni sugli altri, per- chè è necessario che i capi della tela siano orlati e resi più forti, perchè non si lacerino. Il Ragno ha anche cura di fer- mare e sostenere questa parte con briglie, o fili doppii, che non manca di fermare tutto intorno alla sua tela. Di tratto in tratto il nostro industrioso operaio toglie la pol- Fisuier. Rettila, Pesci e Animali articolati. 65 498 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI vere caduta sulla sua tela e la ripulisce. Per far questo, le dà una scossa con una zampa; ma misura tanto giustamente la forza del colpo colla delicatezza della tela che non vi è mai nulla di rotto nel tessuto. Da tutte le parti della tela partono varii fili, che si riuniscono, come tanti raggi, in un centro nel punto che serve di ricovero all'animale. In tal modo è avvertito, dalle vibrazioni della tela, della presenza della preda, e può ghermirla subito. Il suo riti- rarsi in fondo al nascondiglio ha un altro vantaggio: è l’age- volezza che gli dà di potersi cibare della preda in luogo sicuro. Può, inoltre, celare all’ occhio i cadaveri d’insetti, e non lasciar traccia alcuna che potrebbe far conoscere il suo ricovero, poi- chè la sua vista potrebbe ispirare ad altri insetti la paura di avvicinarsi alla ragnatela. ‘ Segue talora che la mosca fatta prigioniera è molto grossa; allora una lotta s'impegna, la mosca si agita con violenza; ma il Ragno, lungi dal lasciarla andare, la ravvolge colla seta che fa uscire dalle trafile, poi se la porta, così imbavagliata, nel suo covo. Quando gli insetti sono troppo grossi, si afferma che il Ragno aiuta esso stesso il prigioniero a rompere i fili della tela perchè possa fuggire. Il Ragno dei giardini, o Ragno geometra, fa la sua tela in modo diverso. Attacca un capo dei suoi fili col liquido appiccaticcio che lo impregna nel punto in cui sta appeso, e poi, coi piedi posteriori, estrae parecchi altri fili dalle sue trafile e li allunga indefinitamente. Il vento li spinge sopra una pianta vicina, 0 sopra un altro oggetto, al quale si attaccano per la loro na- tura vischiosa. Quando un primo filo è attaccato, se ne fa un ponte, sul quale passa e ripassa, rinforzando sempre più il filo con altri fili che vi aggiunge. Poi, a poca distanza dal primo filo, ne tende un secondo, poi un terzo. Allora fissa obliqua- mente altri fili di traverso, per modo da formare una rete nel centro della quale finisce per allogarsi. Nel formare questa tela, il Ragno è diretto sopratutto dal senso del tatto, che in quest’animale è sviluppatissimo. Egli sente, per così dire, ogni filo. Riconosce che il numero dei raggi è compiuto ponendosi nel centro della rete e toccando poi ogni - raggio uno dopo l’altro, colle zampe. Se nel tessuto vi sono delle lacune o dei difetti, aggiusta il proprio lavoro. Il nostro indu- strioso animale opera quindi come i ciechi, che vedono, per così dire, colle dita. Quindi i Ragni tessono la loro tela tanto di notte quanto di giorno. Se ne sono veduti alcuni i quali, chiusi nei luoghi più tenebrosi, producevano ragnatele.di grande perfezione. ARANEIDI 499 La massima parte dei Ragni tessono la loro tela in luoghi di facile accesso per essi; ma ve ne hanno altri che scelgono dei luoghi ove non si crederebbe possibile di trovarveli. Non è raro vedere le ragnatele del Ragno geometra fissate ad oggetti fra i quali l’animale non può aver camminato, come i rami di piante che crescono nell’acqua e che sono separate da distanze piuttosto grandi. Come fa allora il Ragno a stendere i suoi fili ? Per rispondere a questa domanda non ricorreremo ad argomenti, ma riferiremo un fatto. Un grosso Ragno di giardino era stato messo sopra un ba- stone lungo circa quattro decimetri e collocato perpendicolarmente entro un vaso pieno d’acqua. Dopo d’aver attaccato il suo filo (come fanno tutti i Ragni prima di muoversi) al capo superiore del bastone, scivolò, scendendo sopra uno dei lati del bastone, fino a che sentì l’acqua colle sue zampe anteriori. Il Ragno si allontanò immediatamente dal bastone, e risalì coll’ aiuto del filo sulla cima del suo albero. Ripetè quasi venti volte quel- l'esercizio, lasciandosi scivolare di tratto in tratto da un lato di- verso del bastone, ma per lo ‘più lungo la stessa strada che aveva percorso senza riuscire. « Stanco della monotonia di queste operazioni, dice l’ osservatore, signor Kirby, lasciai la stanza per alcune ore. Al mio ritorno, fui sor- preso vedendo il mio prigioniero evaso, e non fu poco piacere per me scoprire, dopo vane ricerche; un filo che si estendeva dal margine su- periore del bastone ad un armadio lontano quindici o venti centimetri, Curioso di osservare io stesso il processo mercè il quale quella corda era stata fatta e gettata sull’ abisso, riposi il Ragno nel luogo ove era prima. Dopo d’esser salito parecchie volte ed essere disceso come aveva fatto prima, si lasciò cadere fino al fondo del bastone, sorretto, non come la prima volta da un filo, ma, questa seconda volta, da due fili che non erano di lunghezza eguale. Uno di questi fili era lontano dal- l’altro (vi erano tra loro circa due millimetri). L'animale si diri- geva, come suole consueiamente, con una zampa posteriore. Quando il Ragno fu giunto quasi alla superficie dell’acqua si fermò di botto e tagliò presso alle trafile il filo più corto. « Questo filo aderiva ancora per un capo nella parte superiore del bastone e ondeggiava nell’ aria tanto leggero che il menomo soffio lo portava qua e là. Presentando una matita al capo staccato di questa corda volante, riconobbi che questo capo non aderiva al semplice con- tatto; lo arrotolai dunque una o due volte intorno alla matita e lo tirai verso di me. Il Ragno, che dapprima s’ era arrampicato sulla cima del bastone, tirò dal canto suo con una delle zampe, e trovando la corda sufficientemente salda, si arrischiò a camminare lungo quel punto aereo, fortificandolo con un altro filo a misura che si avanzava, e arrivò in tal modo fino alla matita. » 500 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Un altro osservatore, Rennie, aveva messo parecchi Ra- gni entro bicchieri vuoti, poi aveva posto questi bicchieri in , mezzo a piattini pieni di acqua. I Ragni avendo bene ricono- ‘sciuto scendendo parecchie volte lungo l’esterno dei bicchieri, «che erano in una torre circondata d’acqua, si misero tutti al- Fig. 264. D. Ragno sericeo, femmina. Fig. 266. F. Drassus micans. Fig. 262. B. Drassus Cupreus. Gloto. 267. G Fig. 265. C. Bozzolo del Drassus. 19) Fig. 265. E. Drassus micans, uova. Fig. 261. A. Ragno sericeo, maschio. Fig. l’opera, per gettare un ponte di seta sopra la distesa di acqua che li teneva prigionieri. Cominciarono ad assicurarsi della di- rezione del vento. Per ciò alzavano le zampe in aria, per sen- ‘ tire da che parte veniva la corrente d’aria. Non trovando nes- suna corrente d’aria sui margini del bicchiere, parvero per un momento perdere ogni speranza. Infatti, come costrurre un ponte ARANEIDI 501 sull'acqua senza verun appoggio? Ognuno di essi si pose, con rassegnazione, in atteggiamento di riposo, e aspettò pazientemente una brezza favorevole. Il signor Rennie avendo, dopo un po’ di tempo, prodotto una corrente d’aria, soffiando dolcemente colla bocca, uno dei ragni che era sul margine del bicchiere si mostrò agitatissimo. In breve attaccò un filo al margine del bicchiere; e la corrente d’aria avendo spinto verso un mobile vicino il filo che ondeggiava, l’estremità di esso vi si attaccò, e il Ragno potè fuggire dirigendosi lungo quel filo e rinforzandolo mano mano che passava sopra quel ponte vacillante. Nelle sue Promenades d’un naturaliste aux environs de Paris, il signor Aristide Roger descrive nel modo seguendo il lavoro | Fig. 268. A. Ragno nutrice. — Fig:1269. B. Cinifl) ferox. Fig. 270. C. Ergatis benigna, femmina. Fig.271. D. Ergatis benigna, maschio. di uno di questi strani tessitori, del quale tenne dietro, per un’ora, ai meravigliosi maneggi nella foresta di Marly: « Era, dice il signor Aristide Roger, un grosso Ragno della specie detta Epeira diadema, e comunissima alla fine dell’ estate nei giardini e nei boschi. Aveva scelto per tendere la sua tela uno spazio largo un metro circa, fra il tronco di una giovane betulla e la cima di un noc- ciuolo. Immobile all’ estremità di questo, pareva riflettere e cercare coi suoi otto occhi le varie punte dei rami ove avrebbe potuto attaccare 1 suoi fili. Mi nascosi dietro a un arbusto vicino per non inquietarlo, e presi ad esaminarlo attentamente. Ad un tratto lo vidi precipitarsi dal- l’alto del suo osservatorio; ma, invece di cader per terra, sì arrestò, sospeso per un filo, a sessanta centimetri circa dal suolo. Allora, a poco a poco cominciò a' dondolarsi è si mise ad oscillare come un pendolo 502 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI nello spazio libero ove voleva allogarsi. In capo a qualche secondo , le oscillazioni crebbero sempre di più, e in breve il Ragno potè toccare il tronco della betulla e attaccarvisi saldamente colle zampe. Lo spazio era varcato, un primo ponte di seta riuniva l’ albero e il nocciuolo. « L’industrioso tessitore fissò saldamente il suo filo sulla corteccia della betulla, alla ‘stessa altezza da questo lato come dall’ altro, e si slanciò ad un tratto su quella corda trasversale con una audacia e una agilità da fare invidia al più ardito funambulo. Sopra vari punti di que- sta corda annodò poi una infinità di altri fili che attaccò per la loro estremità inferiore, gli uni al tronco della betulla, gli altri alle foglie del noceiuolo, altri infine sulla cima delle piante che crescevano fra questi due arbusti. Questi fili, intrecciati nello stesso punto, dovevano comporre i raggi della tela. Appena furono terminati, il filatore andò infatti al punto d’ incrociamento , e, scegliendolo come centro, si mise a rannodare i raggi con dei filì trasversali. « Perciò, a misura che il cordone di seta usciva dalla trafila, lo prendeva con una zampa, e saltando rapidamente da un raggio all’ altro lo attaccava successivamente a ognuno di essi. In poco tempo costrusse così una serie di poligoni concentrici di una perfetta regolarità, e di cui i più esterni erano anche i più larghi. « La tela sembrandogli allora sufficientemente sviluppata, ritornò re- pentinamente in mezzo, allungò da tutte le parti le sue zampe schifose, e scosse con tutte le sue forze la rete di seta che aveva allora tessuto, volendo evidentemente provarne la saldezza. « Ad un tratto, una foglia secca staccata da un albero vicino turbina nell’aria e viene a cadere e impigliarsi disgraziatamente nelle maglie del tranelio ove nessun insetto era ancora caduto. Il Ragno, meravigliato dapprima, ebbe un fremito di rabbia; scosse più fortemente che mai la sua tela per staccarne la malaugurata foglia che lo tradiva; ma mal- grado i suoi sforzi non potè riuscirvi. Allora slanciandosi verso il punto ingombro, tentò invano ancora di liberarlo colle zampe, e dovette rasse- gnarsi a rompere alcune maglie perchè la foglia cadesse sul suolo. I fili rotti furono prontamente riaggiustati, e il Ragno tornò al centro della sua tela. « Per compensarlo della sua fatica e anche dello spettacolo curioso che mi aveva dato, presi una grossa mosca che da alcuni istanti mi annoiava col suo continuo ronzare, e gliela gettai. Il Ragno le si pre- cipitò sopra, la prese colle pinze, la imprigionò in un viluppo di seta, e siccome dopo tanto lavoro doveva avere appetito, fece senza dubbio, quella sera, il miglior pasto che avesse fatto in vita sua. « La forma e la disposizione delle tele ordite dai Ragni variano molto nelle varie specie. L’ Epeira diadema, di cui ho parlato sopra, il Ragno scalare ', notevole pel suo colore bruno o limone, e tutti i Ragni glo- bulosi che loro rassomigliano, tessono una tela verticale e inerociata di Lat., Epeira scalaris; fr., Epéire o Araignee scalaire. ARANEIDI È 503 fili a raggi; il Ragno reticolato 1 e l' Antriade 2 fissano obliquamente i loro alle finestrelle delle cantine; il Ragno che vive sulle ortiche si li- ‘mita a tendere irregolarmente le sue fila su parecchi piani; il Ragno triangolare 3 ordisce una tela piena, fitta, orizzontale sovrastata da una rete più piccola e più rilasciata; il Ragno domestico * aggiunge alla sua una cella ove si nasconde ; il Ragno delle pietre e la Segestria perfida si costruiscono solo delle celle morbide; la Smeraldina non adopera le sue trafile che per attaccare fra loro le foglie sotto le quali cerca un ricovero. « La grossezza e la resistenza dei fili di seta prodotti dagli Aracnidi sono ordinariamente proporzionate al volume e alla forza dell’ animale. Le ragnatele di un Ragno dell'America meridionale fermano gli uccelli; quelle dei più grossi ragni dei nostri climi resistono appena all’ urto di un’ ape. Nondimeno con queste ultime si è riuscito a fare delle stoffe abbastanza resistenti, ma troppo care perchè il loro uso possa farsi ge- nerale. I fili che secernono gli Aracnidi servono loro non solo a tessere le loro tele, ma anche a farsi dei ricoveri e fabbricarsi dei bozzoli per ravvolgere le loro uova. » Il Ragno dei giardini (Ragno geometra), di cui abbiamo de- scritto sopra lo industrioso lavoro, occupa il centro della sua tela, più sovente sta nascosto in fondo al suo covo. Immobile colle zampe stese, spia il momento in cui una mosca viene a impigliarsi nella sua rete. Appena un insetto è preso, egli si avventa sopra l’ infelice animale, lo trapassa coi suoi uncini, lo avvolge in numerosi giri di una seta fitta e lo porta nella sua tana per succhiarlo a suo bell’agio. Poi getta fuori il corpo della vittima e viene a riparare i guasti che l’ insetto, dibattendosi, ha cagionato alla sua tela. Finalmente, si rimette in agguato. Il fragno domestico (Tegenaria) mette il suo tranello negli an- goli dei muri, e sta dentro a un tubo, innanzi al quale la sua tela si estende orizzontalmente. Altri gettano fili fra i rami e le foglie degli alberi e costruiscono inesplicabili labirinti, 0 co- prono colle loro tele le erbe, i fiori, gli arbusti. Sovente accade che il vento, o qualche grosso animale, le strugge in un minuto il paziente lavoro del Ragno. che è co- stretto ad assistere, impassibile, al compimento della propria rovina. Una volta passato il pericolo, cerca di riaccomodare la sua tela, per quanto è possibile, perchè la riserva di sostanza ! Lat., Epeira reticulata; fr., Araignéee reticulee. 2 Lat., Epeira antriada; fr., Antriade, 5 Lat., Epeira triangularis; fr., Epeire triangulaire. 4 Lat., Tegenaria domestica; fr., Tegénaire o Araignée domestique; \el., Hausspinne. 504 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI vischiosa che possiede essendo una volta consumata, non può essere rinnovata che in capo a molto tempo. Talora questo serbatoio si esaurisce totalmente. Allora il po- vero animale è esposto a ogni rischio. Quando questa disgrazia accade a un vecchio Ragno, esso è ridotto all'ultima estremità. La sua tela è distrutta e non ha materiale per farne un’altra. Nondimeno il nostro animale, da molto tempo avvezzo a vivere di astuzie, non dispera della propria sorte. Cerca di trovare la tela di un altro Ragno più giovane e più debole e lo aggredi- sce. Ordinariamente è l’ usurpatore che trionfa; il giovane Ra- gno, battuto e cacciato dalla sua dimora, è costretto a tessere una nuova tela, mentre il.vecchio rimane padrone della posizione. Se invece è battuto nella lotta, e non ha potuto conquistarsi una ragnatela, si contenta di quello che può ottenere con una caccia accidentale; ma questa esistenza è molto precaria, e in capo a due o tre mesi il vagabondo muore di fame. I luoghi che scelgono i Ragni per tessere la loro tela variano secondo le specie, e senza dubbio secondo i climi. Alcuni pre- feriscono l’aria aperta; amano mettersi fra i cespugli e le piante, cioè nei luoghi ove le mosche volano a ciel sereno. Altri si al- logano negli angoli delle finestre, nei canti delle stanze. Sono certi di trovarvi il loro cibo, come pure un ricovero o dei mezzi di fuga. Molti Ragni tessono la loro tela nelle stalle, nelle tet- toie, nelle cantine e nei luoghi deserti, ove sembra che non do- vrebbero incontrare nessuna mosca. Generalmente scelgono di preferenza i luoghi solitarii, gli angoli oscuri o inaccessibili ove non penetrano nè l’agitazione del lavoro umano, nè Je cure della massaia. Nella Bibbia si legge che Saul inseguendo David e i suoi guer- rieri non entrò nella grotta di Adallam perchè un Ragno aveva rapidamente tessuto la sua tela davanti all’apertura della grotta ove erano nascosti i fuggiaschi. Saul, avendo veduto quella ra- gnatela, pensò che era inutile spingere le ricerche in un luogo che portava tracce tanto evidenti dell’assenza di ogni creatura umana. Si è sul finire dell’estate e in autunno che i Ragni pullulano e i piccini escono dalle loro innumerevoli uova. È appunto in quel tempo che si veggono volar per l’aria quei leggeri fili di Santa Maria, che non sono altro, come abbiamo detto, se non mucchi di ragnatele, che il vento porta seco, ammucchia le une sulle altre e fa girare per l’aria. Lo stesso apparato che serve a produrre i fili dà pure la so- stanza di cui il Ragno circonda le sue uova per proteggerle. ARANEIDI 505 ‘Questa materia è talora una specie di bozzolo, fatto di una sostanza resistente quanto la bavella, talora un tessuto somi- gliante al ta/fetà, ma talmente fitto che è impossibile distinguerne gli elementi. Altre volte il Ragno accosta due foglie, fra le quali fabbrica un piccolo nido morbidissimo e di smagliante candi- 5. B. Ragno cinabro. D. Ragno formica 75. g. 27 g.2 1 Fi Fig. 276. E. Saltico formicario. Fig. 272. A. Saltico di Blackwall. Fig. 274. C. Ragno ballerino. dezza; oppure riunisce gli steli di varie erbe, li attacca fra: loro, e si fa una cella nella quale si racchiude colle sue uova. Tutti i ragni, anche quelli che non fanno tele, sono muniti di serbatoi di sostanza sericea, che adoperano per riunire le uova in un involtino. Alcuni, per esempio le Licose, portano sempre secoloro quel prezioso deposito, che tengono fra le FicuieR. Pesci, Rettili e Animali articolati. 64 506 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI zampe anteriori o che appendono alla loro trafila. È curioso in primavera, durante una bella giornata di. sole, tener d’occhio la Licosa dal sacco errante sulle strade col suo bozzolo verde ag- glutinato all'addome. Se si tenta di ghermirla per toglierle il suo bozzolo, lasciandola subito libera, essa non fugge. Cerca sollecitamente le sue uova, corre in tutte le direzioni; e se ha la fortuna di ritrovarle, le ghermisce subito e se la dà a gambe. L’osservatore da noi già citato, Aristide Roger, nelle sue Pro- menades d'un naturaliste, fa le seguenti osservazioni sul modo in cui le varie specie: di Ragni ravvolgono i loro bozzoli con una sostanza vischiosa. « Il Ragno apoclise, che s'incontra nei boschi umidi, ravvolge le uova con un doppio invoglio; la Cucurbitina involta le sue con seta e foglie ; il Falangista, che vive nelle nostre cantine, agglutina le uova che ha deposto in palla rotonda e porta appesa alle mandibole; il .S7sifo e il Critticolo tengono fra le zampe il bozzolo ove le loro uova sono chiuse, lottano fino alla morte per difenderle, e l’ aprono colle mandibole per farne uscire i piccoli. Tulti i Ragni cacciatori si trascinano costantemente dietro il loro bozzolo; i Corridori lo tirano su e lo appendono ad una pianta, lo riparano sotto a una cupola di seta, e gli rimangono vicini fino a che le uova siano schiuse. La Clubione dimora finalmente vari giorni accanto ai piccini, li protegge e li accudisce come fa una gallina dei pulcini e li porta sul dorso quando non sono abbastanza forti per camminare da soli. « I Ragni acquatici presentano a um dipresso gli stessi costumi di quelli che vivono sulla terra senza far tela, e furono perciò chiamati col nome generico di Ragni-Lupi. Mentre alla superficie degli stagni nuotano i Trombididi e le Idracne dai colori brillanti, Argironeta co- struisce nel seno delle acque, con arte meravigliosa, un morbido guscio di seta che riempie d’aria e trasforma in una vera campana da palom- baro. L’attacca saldamente alle piante acquatiche, vi depone le uova che ravvolge in un bozzolo candidissimo, e dispone per ogni verso le proprie fila che vanno a por capo al suo nido. » Alcuni ragni collocano le uova sopra un albero o sopra un muro; altri le portano ravvolte in un bozzolo rotondo, fittis- simo, e si veggono spesso trascinarsi dietro questo bozzolo mercè un filo che lo tiene attaccato alla madre. I Ragni sono eminentemente carnivori. Qualsiasi insetto che possano ghermire è preso e divorato; la guerra e la rapina compongono la loro esistenza. Sono tanto crudeli che si divo- rano vicendevolmente. Se due Ragni in cerca di cibo s’' incon- trano, subito s'impegna una lotta, che finisce soltanto colla vita ARANEIDI 507 «di uno di essi. Quello che ha dovuto soccombere è sempre suc- chiato e divorato dal suo avversario. Quando due Ragni di eguale grossezza s’ incontrano e si com- battono, nè l’ uno nè l’altro vuol cedere. Si afferrano colle un- ghie, e si stringono con tanta forza che bisogna che uno dei due perisca. Leewenhoek vide un ragno il quale, essendo solo ferito. al piede da un nemico, e non potendo più servirsi del piede, fuggì portandoselo in aria; poco dopo il membro intero cadde dal corpo. Quando i Ragni sono feriti al capo, o alle parti superiori del corpo, muoiono sempre. Il Ragno, solitario e selvaggio, che aggredisce e divora la pro- pria specie, è nondimeno animato pei suoi piccoli di un vivo sentimento d’affetto. Un naturalista narra che una sera il caso condusse sui suoi passi un Ragno femmina carico del suo prezioso peso. La cu- riosità spinse il nostro osservatore ad impadronirsi del bozzolo che trascinava la madre. Il povero Ragno, che dapprima fug- giva velocemente malgrado il suo carico, mostrò allora che non temeva per sè. Privo del prezioso fardello, si fermò interdetto e desolato, poi andando e tornando, cercava per ogni verso senza pensare a fuggire. Il bozzolo pieno di uova essendogli stato reso, se ne impadronì avidamente, lo strinse fra le zampe, e si al- lontanò con prontezza. Il nostro naturalista volle sapere fino a qual punto vi era discernimento in questo singolare modo di agire. Il bozzolo venne nuovamente tolto al ragno femmina, e sostituito da una pallot- tolina di cotone della stessa forma e della stessa grandezza. Il ragno la respinse sdegnosamente. Una pallina di mollica di pane fu pure presentata, ma ogni cosa fu respinta nello stesso modo. Il povero animale non ebbe riposo e non pensò a fug- gire se non quando ebbe riavuto il solo bene al quale poneva un prezzo inestimabile 1. Tutti gli autori fanno menzione dell’affetto dei Ragni pei loro piccoli. I Ragni-Lupi lacerano il bozzolo che racchiude le loro uova, per agevolare l’ uscita ai piccoli, nel momento in cui si schiudono. Poi i piccoli salgono sul dorso della madre che li porta in tal modo e che divide con essi la preda che incontra. Le mosche costituiscono il cibo più consueto dei ragni. Pren- dono sovente nella loro ragnatela delle mosche più grosse di t Histoire naturelle des Insectes et des Mollusques per Antelme, 1844, in-12, tomo II, pag. 126-128. 508 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI essi; il che non impedisce loro di ucciderle; ma degli insetti più piccoli, in special modo le formiche, li spaventano a tal punto che abbandonano la loro tela e fuggono. Del resto, sembra che tutti i Ragni non siano coraggiosi se non sulla loro tela. Quando corrono sulla terra, sono timidi e fug- gono davanti agli insetti che prendono tanto bene nella loro rete. I Ragni possono vivere un pezzo senza mangiare. {l maggior numero si chiudono nella loro tana sul principio dell’ inverno, e non escono se non la primavera dopo. Prima dello svernare, questi Ragni, che si sono nutriti abbondantemente, sono molto grassi; ma venuta la primavera hanno vissuto, come tutti gli animali letargici, alle spese della propria sostanza, e sono ma- grissimi. Da ciò che precede si può giudicare dell’ utilità dei Ragni. Questi animali, lungi dal nuocere all’agricoltura, distruggono invece moltissimi insetti nocevoli ai vegetali. Quindi Walkenacer ha dato ad una specie di Aracnidi il nome di Teridio benefico (Theridion benignum), perchè questa piccola specie sta ordina- riamente nei grappoli dell’ uva e s’ impadronisce degli insettini che vivrebbero colà alle spese del frutto. Come abbiamo detto, è in autunno che i Ragni abbondano. In questo tempo gli insetti volano ancora, ma debbono morire al giungere dell'inverno, e il Ragno sembra allora mandato ap- posta perchè gli insetti invece di morire di freddo e non ser- vire a nulla, mantengano l’esistenza degli Aracnidi che li di- vorano, e che hanno essi stessi un ufficio segnato dalle leggi della natura, perchè la natura, questa madre impareggiabile, non distrugge mai che per creare nuovamente. Il cerchio degli animali che si divorano fra loro ha sempre una ragione, che, sebbene possa esserci talora celata, nondimeno esiste. La caccia perpetua che i Ragni fanno agli insetti deve dun- que farli considerare come animali utili. Del resto, è la sola qualità che si possa riconoscere loro. Diremo ora che che certi originali affermano che il Ragno è buono da mangiare. Il celebre astronomo Delalande avea sem- pre in tasca una scatoletta piena di ragni e di onisci che rosic- chiava come fossero confetti. Nella Nuova Caledonia e in Australia si trova una grossa Epeira commestibile, che la Società di Apicoltura ha menzio- nato nel 1874 nel suo regolamento sull’ Esposizione degli insetti. Si avrà un giorno l’idea singolare di acclimare in Europa e ammannire sulle mense questo Ragno commestibile? È per- messo di dubitarne. ARANEIDI 508 Un fatto curioso della vita dei Ragni si riferisce ai loro,amori. In tempo ordinario, nessun legame, nessun affetto, quindi nes- suna ricerca si manifesta fra questi animali. Ognuno vive da sè. Talora un maschio dimora in uno dei capi di una ‘stessa tela occupata già da una femmina, ma riman sempre a rispet- pera diadema, o Ragno diadema, 4 Fig. 277. Amori deli’7 Ri I INTEN TS (73 Pal PAU ZI. \S AN VAR tt — La, ì Gi tosa distanza, egli teme di essere divorato dalla sua vicina. Solo nella stagione della riproduzione il maschio crede suo dovere di cercarsi una compagna. Se ne incontra una, adopera la più grande circospezione prima di farsi vedere da questa. Quando la femmina non mostra di essere di umor bellicoso, il maschio 540 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI si mette a girarle attorno, si arrischia a presentarsi sulla sua tela, ma non senza aver avuto la precauzione di serbarsi una via di scampo, tendendo un filo col quale poter fuggire, se. la femmina gli fa un cattivo accoglimento. Si avanza lentamente e si accosta a poco a poco; se la femmina rimane immobile, comincia a toccarla con una delle zampe anteriori e dà subito indietro. A poco a poco sembra farsi coraggio: si riavvicina e la tocca nuovamente colla zampa. Quando l’incontro è termi- nato con piena soddisfazione da ambe le parti, il maschio fugge in fretta, per non essere ucciso dalla sua selvaggia amante. ID certo che se il maschio fosse caduto repentinamente sulla tela della femmina una lotta terribile si sarebbe impegnata, e uno dei due sarebbe rimasto morto. I Ragni hanno numerosi nemici. Un gran numero di uccelli e di rettili, alcuni mammiferi, come le Scimmie e gli Scoiattoli, fanno loro una guerra senza misericordia. Le Scolopendre e pa- recchi insetti sono per essi nemici molto formidabili. Certe specie di Sfegi e Ai Calabroni (insetti imenotteri) danno caccia ai Ragni, per dar da mangiare ai loro piccoli. Lo Sphex e il Pompilo fo- rano il Ragno col pungiglione e lo portano nel loro nido, inte- ramente intorpidito e in uno stato di letargo per cui può ser- vire di pasto alle piccole larve di questi due insetti. Certi Icneu- monidi e Calcididi, altri insctti dell'ordine degli Imenotteri, sono nemici terribili dei Ragni, perchè ne forano le uova colla punta del loro ovopositore per deporre un uovo entro a quello del Ragno. Si può attribuire ai Ragni una certa intelligenza, perchè si lasciano addomesticare e talora sono sensibili alla musica. È nota la storia di Pellisson, celebrata da Delille nel poema l’ Imagination !. Pellisson chiuso nella Bastiglia come prigio- niero di Stato aveva per compagno uno stupido Basco, che non sapeva altro che suonare la piva. Avendo notato un ragno che faceva la sua ragnatela contro allo spiraglio della sua prigione, Pellisson imprese ad addomesticare l’animaletto. Perciò met- teva delle mosche sul margine dello spiraglio,' mentre il Ba- sco suonava il suo strumento. Il Ragno si avvezzò al suono della piva, si arrischiò a uscire dal suo buco e ad avventarsi sulla preda che gli si offriva. Dopo un esercizio di parecchi mesi, Pellisson riuscì a disciplinare tanto bene il suo Ragno, che alla prima nota della piva partiva per andare a prendere una mosca in fondo alla camera e fino sulle ginocchia del pri- ! Canto VI. ARANEIDI 5II gioniero. E stato detto che il carceriere di Pellisson uccise il Ragno melomane, per far dispetto al prigioniero; ma questo atto barbaro è una semplice invenzione. Leone Dufour aveva pure ammaestrato una Tarantola a ve- nire a prendergli fra le dita una mosca viva. Questo fatto non è il solo che dimostri che questi Aracnidi. sono sensibili alla musica. Gretry aveva addomesticato un Ra- gno, che faceva scendere a volontà dalla sua tela, agli accordi del pianoforte. Una bambina di dieci anni s’era divertita a mettere in una boccia un piccolo ragno nero che aveva preso nella ragnatela. Lo nutrì di mosche e l’avvezzò a venirle a prendere sul mar- gine del vaso, e per così dire fra le sue dita. Quando la bam- bina prendeva la sua lezione di pianoforte, si poneva accanto la boccia ove il Ragno era chiuso, e apriva la boccia; il Ragno, senza che gli si presentasse una mosca, usciva allora, e stava ‘sul pianoforte finchè si suonava. Tornava nella boccia finita la lezione. Walckenaer fu testimonio del seguente fatto: Una signora, che stava suonando l’arpa in una stanza vicina a un giardino, vide un ragno attaccato al soffitto, sopra il suo capo. Subito la signora trasporta l’arpa all’altra estremità della stanza; ma appena comincia a toccare il suo strumento, il ra- gno si muove e viene a fermarsi sull’arpa. Colà rimane immo- bile e come attaccato al soffitto, La signora, di cui questo feno- meno desta la curiosità, muta di nuovo l’arpa di posto e ri- mane alcuni momenti senza suonare; il ragno non le tien dic- tro, e aspetta, immobile; ma appena i suoni armonici sono ricominciati, l’aracnide corre a collocarsi di nuovo sopra lo strumento che li produce. La signora ripetè varie volte lo sperimento; riuscì ad attirare il ragno in ogri parte della camera, e si fece seguire da esso come Orfeo si faceva seguire da Anfione. Certi ragni sembrano dotati del singolar privilegio di predire il tempo. Sembra un fatto vero per le Epeire e i ragni dome- stici. Quando si vede, di buon mattino, le Epeire spicciarsi a ordire la loro ragnatela, si può esser certi di una bella giornata; e se si conosce il nido di qualche ragno domestico, lo si vedrà postato, colle zampe tese, pronto a scagliarsi sulla prima mo- sca che verrà a impigliarsi nella sua tela. Ma, invece, se le Epeire non lavorano, specialmente se i Ragni domestici (Tege- narie) si trovano in posizione inversa, cioè coll’addome sul da- vanti della sua cella, ciò annuncia quasi certamente cattivo tempo. DI2 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI La storia delle guerre della prima rivoluzione francese ha con- sservato un esempio curioso del fatto della predizione del tempo per mezzo dei ragni. La Francia dovette il partito preso dai suoi generali, nel 1792, di continuare e por termine nella stessa campagna alla conquista dell'Olanda, a una previsione meteoro- logica di questa fatta. Quando, attraverso ai ghiacci, l’esercito francese invadeva i ‘Paesi Bassi, uno sgelo apparente sembrava annunciare ai ge- merali la perdita totale dell’armata, se non avessero fatto riti- rare le loro truppe. Centomila uomini e una poderosa artiglieria erano in piena marcia sul terreno protetto dalle dighe. Lo sgelo che pareva imminente stava per distruggere quel corpo d’ar- mata. Si comprende quale fosse l’ansietà dei capi. L’aiutante generale, Quatremère Disjauval, fa loro animo. Afferma che passerà prima del momento dello sgelo un tratto di tempo suf- ficiente per compiere la loro conquista. Durante una lunga pri- zionia, a Utrecht, come prigioniero di guerra, Quatremère-Disjau- val aveva osservato e studiato i ragni in prigione; sapeva ri- conoscere ai loro movimenti, e parecchi giorni prima, le va- riazioni del tempo. In quel momento critico, ricorse ai suoi voracoli consueti. Lo sgelo era cominciato, e tuttavia l’aiutante generale, cogli occhi fissi sui movimenti dei Ragni, predisse con certezza che stava per venire un freddo rigidissimo. Mandò, in un bicchiere, alcuni ragni che garantivano questo pronostico al generale Vandamme, che li spedì al generale in capo, all’Aia. Quest ultimo credette dover riferirsene a questi singolari pro- feti, e diede ordine di continuare ad avanzarsi sui ghiacci. La predizione si avverò, e l'Olanda venne conquistata dai Francesi. I ragni sono sparsi in quasi tutto il globo; ma sotto ai tro- pici specialmente vivono le specie più grosse, e quelle dalle forme strane, dai colori vivaci e variati. Colà vivono quelle belle Epeire di cui si è formato il genere Argyope, che si fanno notare per lo splendore dei colori argentini ‘e dorati, e quelle altre specie irte di spine lunghe e robuste (i Gasteracanti), i quali si trovano solo nelle parti più calde dell'America, dell'Asia e dell’Africa. Le specie che fanno ragnatele sembrano divenir meno numerose a misura che si va verso il nord; all’ incontro, sembrano essere più abbondanti nel sud. Nel nord, le specie che s'incontrano più frequentemente sono i Tomisi !, le Licose, le Clubione, le Tegenarie, specie tutte che vivono nelle caverne, sotto alle pietre; sono anche quelle che ‘ Lat, Thomisus; fr, Thomise; ted., Krabbenspinne. Fie. 278. Club'ona errante e sua tela. Ficuier. Rettili, Pesco e Animuli articolati. 65 ARANEIDI 5) s'imcontrano sulle alte montagne; ma i Ragni che hanno co- lori più vivaci.sono quelli che, come le Epeire, fanno le ra- gnatele all’aria aperta; come i Tomisi, le Sparase, ecc., che fre- quentano i fiori. Invece le Clubione, le Tegenarie, le Licose, che hanno colori bruni e grigiastri, sono i ragni che vivono nei luoghi più cupi e più reconditi. I Ragni furono divisi da Latreille, nel suo Regno animale, in molti scompartimenti, fondati sui costumi e sulle abitudini di questi animali, ciò che permette di rannodare più facilmente i generi e le specie. Walckenaer, nella sua Storia naturale de- gli Insetti atteri, classifica i Ragni secondo lo stesso sistema, ma ne fa un’applicazione un po’ differente e che venne appro- vata dai naturalisti. Divide i Ragni in terrestri e acquatici. Di- vide poi i Terrestri in Vagabondi (che corrono in cerca della preda), in Erranti (che errano intorno ai nidi) e in Sedentarii (che fanno ragnatele per impadronirsi della preda). I Vagabondi sono poi divisi in Tubicoli, che vivono entro a tubi morbidis- simi: questi contengono i generi Disdera e Segestria; in Cellulicoli, composti dei generi Uptidi e Scitodi; in Corridori, che compren- dono “i generi Lycosa, Dolomedi, Sterena, Ctenus, Hersilia, Spha - sus, Dyctien, Dolophones; in Volteggiatori, comprendenti i generi Myrmecia, Eresus, Chersis, Attus; e in Camminatori, che com- pongono i generi Arkys, Delena, Thomisus, Lelenops, Eripus, Phi- lodromus, Olios, Sparassus, Clastes. Poi Walckenaer divide i Ragni erranti in Miditeli, che comprendono i generi Clubiona (fig. 277), Desis, Drassus; e in Filiteli, comprendenti i generi Clotho, Euyo, Latrodectus, Pholcus, Artema. Divide poi i Sedentarii in Tapiteli, contenenti i generi Tegenaria, Lachesis, Agelena, Nyssus; in Orbi- teli, comprendenti i generi Epeira, Plectane, Tetragnatha, Ulobo- rus, Zosìs; in Napiteli, componenti un genere solo, Linyphia ; e in etiteli, che comprendono i generi Argus, Episina, The- ridion. Vengono finalmente gli acquatici detti anche Nuotatori; i quali non contengono che il genere Argyroneta. La divisione fatta da Walckenaer è benissimo ordinata e fa- cile a comprendersi. Le ragnatele erano altre volte vantate come rimedio contro le febbri intermittenti, purchè si mangiassero fra due fette di pane col burro. Non è necessario dire che questo specifico è da molto tempo messo in ridicolo. Non si adoperano le ragnatele se non per arrestare il sangue dei tagli e di piccole ferite. 516 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Scorpionidi !. La famiglia degli Scorpionidi comprende ani- mali che esternamente somigliano pochissimo ai ragni, sebbene ne abbiano l’organizzazione interna. Il loro carattere principale è quello di avere delle zampe fisse sulle mascelle, e che ten- gono il luogo dei palpi negli altri Aracnidi. Onde il nome di Viti i INI ti il K{IIKN Scorpione europeo (ingrandilo). Pedipalpi, vale a dire zampe a mo’di palpi, dato alla famiglia degli Scorpionidi. Gli Scorpioni sono i principali rappresentanti della famiglia degli Scorpionidi o Pedipalpi, che comprende solo pochissimi generi. 1 Lat., Scorpionida; fr., Scorpionides; ingl., Scorpions; ted., Scorpione. SCORPIONIDI BI7 Il corpo degli Scorpioni, in generale, è allungato e terminato repentinamente da una coda lunga, composta di sei articoli, di cui l’ultimo finisce in punta arcata, acuta, e costituisce una sorta di aculeo. Sulla punta di questo aculeo si vedono due pic- coli orifizii che servono di uscita a un liquido velenoso conte- nuto in un serbatoio interno. I palpi degli Scorpioni sono gran- dissimi. Sotto ai palpi si trovano due organi singolari, foggiati a pettini, di cui non si conosce l’ uso. Gli Scorpioni hanno otto piedi eguali, sei occhi e i palpi a mo’ di pinze da gambero. Respirano per organi somiglianti aì Fig. 280. Anatomia dello Scorpione. A. Corpo d-llo Scorpione anatomizzato che mostra ji suoi organi a Il vaso dorsale e le principali arterie alle quali dà origine. — d. Canale dige- rente. — D’. Ano. — c. Catena dei ganglì nervei. — c’. Uno dei due occhi principali e suo nervo ottico proveniente dal cervello; glì occhi laterali sono posti più allo innanzi. — dd’. Sacchi pseudopolmonari. — e. Aculeo e sua glandula velenosa. B. Sistema nerveo cefalotoracico. e. Parte sottoesofagea del cervello. — e’. Occhi principali e loro nervi ottici. — e”. Gangli nervei del torace riuniti in una massa unica. — e’. Primi gangli nervei dell’addome. C. Parte inferiore del corpo che mostra le appendici boccali, come pure la base delle zampe, e in d uno degli otto orifizi dei sa.chi pseudupolmonari. polmoni; il canal digerente è diritto; attraversa il fegato, che riempie quasi tutta la cavità dell’addome e del cefalo-torace. Gli Scorpioni sono ovipari. La figura 280 mostra i particolari della struttura anatomica degli Scorpioni. Gli Scorpioni vivono nei paesi caldi dei due emisferi, e la loro mole varia secondo le regioni. Quelli d’ Eu- ropa non hanno più di 2 centimetri e mezzo di lunghezza, men- tre quelli d'Africa e dell’ India crescon lunghi fino a 12 e 16 centimetri. Vivono nei luoghi sabbiosi e si nascondono sotto alle pietre, nei luoghi oscuri e freschi. Corrono velocemente, incur- 518 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI . vando la coda sul dorso a mo’ d’arco e dirigendola in tuttî 1 sensi come arme offensiva e difensiva. E infatti lo Scorpione punge coll’apice della coda, mentre gli altri Aracnidi pungono colle mandibole. Ghermiscono fra le loro pinze gli insetti che servon loro di cibo, e che sono Punteruoli, piccoli Coleotteri, come pure Granchiolini e Onisci. Dopo d’averli punti coll’ago velenoso della coda, se li portano alla bocca e li divorano. Questi animali hanno nell’addome due ghiandole che secer- nono un fluido velenoso, e che presentano ognuna una vesci- chetta, donde nasce un condotto che va a finire nell’aculeo del- l’animale. Il veleno esce da una piccola fessura collocata ai duc lati della punta di questo aculeo. È la stessa disposizione come nel Ragno, e la stessa ancora che si osserva nei Serpenti ve- lenosi. È Lo Scorpione ha come il Serpente il triste privilegio di span- dere attorno a sè il terrore. Diciamo tuttavia che è molto te- muto specialmente da coloro che ebbero poche occasioni di ve- derlo. Ispira molte apprensioni agli abitanti del nord della Fran- cia, ove questo animale non è noto che per le narrazioni che ne sono fatte; ma gli abitanti del Mezzodì lo temono meno, mentre colà è più comune. Siccome nella mia infanzia ebbi degli Scorpioni nel pagliericcio del mio letto, e nella mia gio- ventù non poteva, sulla montagna di Cette, spostare una pietra senza farne uscire uno Scorpione, non ebbi mai il minimo senso di timore per questo piccolo Aracnide, di cui si sono notevolmente esagerate le proprietà venefiche. Malgrado tutto quello che se ne disse, le sue punture non hanno gravi conseguenze; i ri- medii che si danno per vincerlo rendono più serio il male, in- vece di dissiparlo. Gli antichi, che conobbero lo Scorpione, poichè la figura di questo animale è uno dei segni del zodiaco celeste, non lo te- mevano per nulla. Eliano narra che i sacerdoti d’Iside, a Copte in Egitto, calpestavano impunemente coi piedi gli Scorpioni, che erano molto abbondantiintorno a quella città. In Grecia si badava così poco alle loro punture, che Plutarco dice di aver veduto uomini mangiarli. In Egitto uno di questi animali rappresentato vicino a un Coccodrillo, voleva significare, nel linguaggio dei geroglifici, due nemici di pari forza. I naturalisti che fecero indagini sulla famiglia degli Scor - pioni ne distinsero parecchie specie, malgrado l’ uniformità della loro fisonomia. Non citeremo qui se non le specie più note. é SCORPIONIDI 519 In Francia non v’ hanno che due specie di Scorpioni, che vi- vono entrambi nel Mezzogiorno. La più comune 1, che è la più piccola e la meno pericolosa, è lo Scorpione flavicaudo (dalla coda fulva *). Questo Aracnide, che è lungo poco più di 4 cen- timetri, vive sotto ai sassi o nei buchi dei muri. S’introduce nelle case e si ricovera spesso nel pagliericcio dei letti. È bruno, ha le zampe e la coda di un bel color fulvo. La sua puntura non è più pericolosa di quella dell’ape. La seconda specie è lo Scorpione oecitanico *, che si trova molto numeroso sulla montagna di Cette, a Souvignargues (di- partimento del Gard), nei dintorni della sorgente di Lez (a due leghe da Montpellier), e al Vernet (Pirenei Orientali) 4. Un naturalista di Montpellier, il dottor Maccary, pubblicò, nel 1810, uno scritto intitolato: Memoiîre sur le Scorpion qui se Irouve sur la montagne de Cette. Prima di lui, Maupertuis aveva studiato gli Scorpioni di questa specie, e aveva dimostrato che la loro azione è talora nulla sui cani e sui polli. Ma Mauper- tuis vide talora soccombere dei cani punti dallo Scorpione. Ecco il sunto delle osservazioni di questo naturalista: Maupertuis stuzzicò uno Scorpione occitanico a pungere un cane su tre parti del ventre: un’ ora dopo, il cane era _gon- fio; si ammalò gravemente : cominciò poco dopo a rigettare tutto ciò che aveva nello stomaco, e durante quasi tre ore con- tinuò ad espellere un liquido biancastro; questa evacuazione parve scemare un poco la gonfiezza, che aumentò e scemò al- ternatamente durante tre ore consecutive. In seguito il povero animale cadde in convulsioni, si trascinò penosamente sulle zampe anteriori, e morì cinque ore circa dopo d'essere stato punto. Qualche giorno dopo venne fatto lo stesso sperimento sopra un altro cane, che fu fatto ferire ancor, più gravemente del- l’altro. Nondimeno, non parve che ne soffrisse. Siccome conti- nuava ad essere di buon umore, fu lasciato libero, e non diede il menomo segno di aver sofferto. ! Questa specie si trova nel nostro paese, fino alle Alpi del Tirolo. (Nota del Trad.) ? Lat., Scorpio flavicaudus (europeus); fr., Scorpion flavicaude; ted., Karpatische Scorpion. 5 Lat., Scorpio occitanus o Androctonus; fr., Scorpion occitamien; tel., Gekielte Scorpion. 4 Questa specie si trova anche in Italia, in Spagna, in Grecia, in Egitto. (Nota del Trad.) 520 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Lo stesso sperimento venne fatto da Maupertuis con altri Scor- pioni sopra sette cani e su tre galline, senza che si notasse in nessuno di questi animali alcun malessere. Un naturalista di Montpellier, Amoreux, riconobbe, come Maupertuis e Maccary, che il veleno degli Scorpioni non pro- duce sempre effetti morbosi negli stessi animali. Questa diffe- Scorpione del Capo. Pig. 281. renza di azione si spiega colle variazioni che presenta l’inten- sità del veleno secondo le stagioni: le punture sono meno pericolose d’inverno che d’ estate. Bisogna aggiungere che gli Scorpioni sembrano aver bisogno di riparare le perdite prodottesi nel pungere. Per questa cagione le loro prime punture sono più dolorose delle altre. SCORPIGNIDI 521 Lo Scorpione occitanico, ignoto in Francia, è molto sparso in Italia, in Spagna e nel nord dell’Africa. In Algeria punge so- vente i soldati francesi nei campi: ma le sue punture non hanno gravità di sorta. Delle abluzioni con un po’ d’acqua am- moniacale neutralizzano il veleno. Il solo effetto che, risulta Fig. 282. Scorpione tunisino. i il dalla puntura è un dolore abbastanza persistente nella parte ferita; ma il male passa senza farci nulla. Non esiste esempio che la puntura dello Scorpione occitanico abbia mai cagionato la morte di un uomo. Oltre allo Scorpione flavicaudo e allo Scorpione occitanico, ne FiGuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 66 es TRIBÙ DEGLI ARACNIDI esistono in Algeria due altre specie: 1.° lo Scorpione palmato, di cui le zampe sono larghe e granulose; 2.° lo Scorpione tunisino, dalla coda larga, coi margini seghettati e che si considera come il più pericoloso di questa sorta di animali. Lo Scorpione tunisino (Scorpio tunetanus, Scorpio funestus , fig. 282 !) si trova in varie parti dell’Algeria, nel Sahara alge- rino e nell’Alto Egitto. Sebbene, secondo ciò che dicono gli in- digeni, la puntura dello Scorpione tunisino possa cagionare la morte, nessun medico dell’esercito francese in Africa, nessuno dei viaggiatori che hanno visitato la Nubia, hanno potuto rico- noscere il fatto. Nondimeno gli Arabi del sud dell'Algeria temono molto questo Scorpione. Quando sono punti, arrivano al campo fran- cese di gran galoppo per farsi curare le ferite dai medici mi- litari, che li guariscono ben presto con delle compresse inzup- pate nell’ammoniaca. Nulla conferma l’asserto degli Arabi che la puntura dello Scorpione tunisino sia mortale all’uomo. Certo è soltanto che fa morire prontamente i cani e il pollame. L’America meridionale possiede parecchie specie di Scorpioni, ma nessuna è formidabile. Si è detto che una specie del Mes- sico, di color bianchiccio, produca delle punture mortali. Ma nessun fatto autentico conferma questo asserto. Truter e Sommerville, i quali percorsero il mezzodì dell’Africa, assicurano che gli indigeni si espongono impunemente alle pun- ture dello Scorpione nero, che non è altro se non lo Scorpione tunisino. i Nelle Indie non si ha molta paura degli Scorpioni, poichè vengono destinati a un giuoco che ricorda il combattimento dei galli. Si prendono due grossi scorpioni e si pongono sotto a due grandi bicchieri; sotto al bicchiere si lascia un piccolo passaggio pel quale si fa entrare del fumo di tabacco. I due Scorpioni si mettono a correre qua e là, e quando s’incontrano cominciano a combattere. La lotta non termina che colla morte di uno di essi. Gli spettatori scommettono per lo Scorpione tur- chino chiaro o per lo Scorpione turchino scuro, come si scom- mette in Inghilterra, nei combattimenti di galli, per uno o per l’altro dei due piumati campioni. Una favola molto creduta è quella che lo Scorpione si tra- ! Secondo E. L. Taschenberg, questo Scorpio tunetanus sarebbe iden- tico alla Scorpio o Buthus occitamicus, di cui si parla sopra a lungo. Certo si è che nei moderni trattati questo Scorpione tunisino non si trova neppure in sinonimia. (Nota del Trad.) SCORPIONIDI 523 passi col proprio aculeo, e si suicidi quando non vede modo alcuno di sfuggire ai suoi nemici. Questa favola ha per conse- guenza un giuoco crudele. Si usa mettere uno Scorpione in mezzo a un circolo di carboni ardenti, per vedere se per sfug- gire a questo supplizio egli si trapasserà col proprio aculeo. Lo Scorpione percorre angosciosamente la cintura di fuoco che lo circonda da ogni parte; gira e rigira facendo salti disperati, alzando in aria il suo aculeo impotente; poi rimane semplice- mente arso vivo. Si consumerebbe inutilmente l’ inchiostro a voler dimostrare che questo sollazzo è sciocco del pari che barbaro, perchè du- rerà senza dubbio finchè vi saranno Scorpioni e fanciulli. Lo Scorpione è di indole selvaggia. Quando è preso, va in fu- ria, si slancia contro alla parete del vaso nel quale è rinchiuso, e cerca di pungere col suo aculeo tutto ciò che gli sta vicino. Maupertuis mise tre Scorpioni e un topo insieme nello stesso recipiente, e sul momento ognuno dei tre scorpioni punse il topo sopra differenti parti del corpo. Il topo, assalito in quel modo, rimase per qualche tempo sulle difese, ma finì per andar in collera e uccise i suoi tre nemici. Del resto sopravvisse alle ferite che aveva ricevute. Walckenaer fece la prova del coraggio dello Scorpione contro un grosso ragno. Pose in un bicchiere parecchi individui delle due specie. Il ragno cominciò a cercare di ravvolgere lo scor- pione in una tela che tessè in fretta; ma lo Scorpione sfuggì a quel pericolo pungendo a morte il ragno. Poco dopo lo Scorpione gli strappò le zampe e ne succhiò il corpo a suo bell’ agio. Sovente gli Scorpioni si uccidono fra loro. Maupertuis ne mise un centinaio nello stesso vaso; appena a contatto comin- ciarono a sfogare la loro rabbia distruggendosi a vicenda. Fu una carneficina generale. In capo a pochissimi giorni non ne rimasero che quattordici che avevano uccisò o mangiato gli altri. Ma la perversità di questo animale si rivela specialmente per la sua crudeltà verso i piccoli. Maupertuis avendo rinchiuso in un bicchiere una femmina di Scorpione che era gravida, la vide divorare i proprii piccoli a misura che nascevano; uno solo sfuggì alla carneficina, ponendosi sul dorso della madre. Aggiungeremo, come scioglimento di questo dramma zoologico, che il neonato vendicò i fratelli uccidendo la madre snaturata. Il nostro naturalista vide rappresentare in un bicchiere la scena di Oreste e Clitennestra della tragedia Elettra di Sofocle e dell’ Agamennone di Euripide. 524 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI Altre volte si prescriveva contro la puntura degli Scorpioni l'olio detto di scorpione. Da lungo tempo si è rinunziato a questo medicamento da donnicciuole; gli effetti che può pro- durre non dipen&ono da altro se non dall’ammoniaca prove- niente dalla scomposizione del corpo dello Scorpione. L’ olio solo, con o senza infusione di scorpione, è del resto un buon rimedio contro all’ infiammazione proveniente da quelle punture. Dopo la famiglia degli Scorpioni, si allogano due altre fami- glie, quelle dei Frini! e dei Telifoni*?, che appartengono essi pure ai paesi caldi. Fig. 285. Frino palmato. Le Frine sono grosse specie di Aracnidi, di cui il cefaloto- race porta otto occhi disposti a un dipresso come quelli dei Telifoni, e di cui l'addome a mo’ di disco è inserito per un pedi- cello ristretto. I palpi sono lunghi, ma con un dito solo, e il loro primo paio di zampe è allungatissimo, specialmente nelle parti che corrispondono alla gamba e al tarso degli altri Arac- nidi. Il loro corpo è diviso in segmenti numerosi e piccolis- simi. Respirano mercè una sorta di polmoni, come i Telifoni e gli Scorpioni. ‘ Lat., Phrynus; fr., Phryine; red., Tarantelskorpion. 2 Lat., Thelyphonus; fr., Thelyphone; ted., Fadenskorpion. GALEODI 025 I Telifoni hanno la statura degli Scorpioni, ai quali somi- gliano per la struttura. La loro coda è sottile e non hanno acu- leo. Questi piccoli animali abitano le regioni più calde dell’A- frica, dell'America e dell’Asia. * Solpuga Galeode. Fig. 284 Galeodì !. — I Galeodi sono Aracnidi di statura abbastanza grande, che giungono fino alla lunghezza di 5 centimetri e di cui la forma rammenta quella dei Ragni. Il loro aspetto ha al- cunchè di orrido e di spaventoso: hanno il corpo coperto di » è 1 Lat, Galeodes o Solpuge; fr., Galeodrs; ted., Skorpionspinnen. 526 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI peli, la bocca armata di tanaglie robuste, munite esse pure di denti acuti. Corrono agilmente sulle sabbie ardenti del deserto e fanno guerra accanita a tutti gli insetti che incontrano. Di- cesi che la loro puntura sia velenosa. I Galeodi hanno molta analogia di struttura coi Cheliferi. Poco si conoscono i loro costumi; si sa soltanto che corrono velocissimamente e cercano generalmente il buio. Si trovano nei paesi caldi e sabbiosi dell’ antico continente, in Asia, in Africa e nel mezzodì dell’ Europa. Humboldt ne incontrò una specie piccolissima nelle regioni equatoriali d’America. Falangidi*!. — I Falangidi si riconoscono alle zampe lunghe e sottili, che cadono con somma facilità e si muovono ancora dopo di essere state separate dal corpo. La specie comune, detta Falciatore dei muri, ama infatti di rimanere sui muri; stende intorno a sè le sue lunge zampe, come tante sentinelle che l’avvertono dell’avvicinarsi di un insetto. Il nome francese di Falciatori viene loro dalla rassomi- glianza che si è creduto di trovare tra i corpi di questi ani- mali e quello dei lavoranti che falciano l’erba nei nostri prati. Nondimeno questi animali camminano talora con sveltezza e percorrono molto terreno in poco tempo, ciò che permette loro anche di evitare i pericoli che li minacciano. Quando un Fal- ciatore è in riposo, ha il corpo sul suolo, e le zampe stese in- torno a sè; se qualche animaliccio viene, per caso, a toccarlo, subito rizzasi in aria, mercè le sue lunghe zampe che rialza, ma non fugge se non quando il perico:0 è imminente. I, Falciatori si nutrono d’ insetti come i ragni e gli scor- pioni. Sebbene somiglino ai ragni, non hanno seta e non filano. Acaridi. — Col nome di Acaridi ? si è riunito un numero piuttosto grande di animali parassiti di cui la bocca è munita di un succiatoio. Nondimeno alcuni hanno mandibole e ma- scelle come i precedenti, e vivono sulla terra e nell’acqua. Tali sono i Trombidii*, begli animaletti di color rosso vivo che si veggono in primavera trascinarsi numerosi sulle aiuole; e le Idracne* o ragni d’acqua. Questi hanno corpo globuloso, spesso ! Lat., Phalangium; fr., Falangides; ted., Weberknecht. 2 Lat., Acarina o Acaridae; fr., Acariens o Acarides; ingl., Acaride: ted., Milben. 5 Lat, Trombidium; fr., Trombidion; ted., Laufmilbe. ® 4 Lat., Hydracna; fr., Hydrachne; ingl., WAterspider; ted., Wassermilbe. lo) ACARIDI 527 adorno di bellissimi colori, e le zampe sono munite di ciglia che permettono loro di nuotare agevolmente nelle acque sta- gnanti, loro dimora consueta. Quando si esamina al microscopio una sorta di polvere che si vede sul formaggio vecchio, sulla carne secca affumicata delle credenze, sul pane stantio, sulle conserve secche conservate troppo tempo, sugli uccelli e sugli insetti conservati nei musei di storia naturale, si vedono brulicare a migliaia certi anima- lucci simili a ragni; sono, come si chiamano oggi, Acari !. Fra gli Acaridi citeremo i generi Zrodes e Acarus. Xli Zssodì?, più noti coi nomi di Zecche, hanno un succiatoio che introducono nella pelle degli animali e dell’ uomo. Fissati nel punto che hanno scelto, suggono il sangue e ingrossano al punto da divenire globulosi come dei piselli. Si prova una certa resistenza quando si vogliono svellere, tanto il loro suc- ciatoio si affonda nella pelle. Le Zecche vivono nei boschi, at- taccate agli arbusti e alle piante, e si lasciano cadere sugli ani- mali che passano loro vicino. Gli Acari che vivono sui commestibili, o Acari domestici, sono animali quasi invisibili a occhio nudo. Sono agilissimi. Son di color bianco sucido, un po’ bruno. La loro pelle, lucentissima, è tesa e non forma nè pieghe nè rughe. Le zampe sono abba- stanza lunghe ed eguali. Se vengono esaminati col microscopio, si scorgono sui loro corpi dei lunghi peli ricurvi. L'animale può muovere a piacimento da una parte o dall’altra questa sorta di aculei che ricordano le setole di certi Anellidi. Gli Acarì della farina differiscono dagli Acari domestici. Sono impercettibili a occhio nudo; hanno il corpo bianco, ma la te- sta e le zampe un po’ rossastre. Queste zampe non sono termi- nate da una vescichetta, come si vede negli Acari domestici. Tutte le parti del corpo. sono in essi munite di peli. Questi Acari camminano sempre velocemente nella farina, ove stanno sempre. Il loro numero è talora immenso; il pane può conte- nerne delle migliaia, specialmente quando è fatto con farina un po’ vecchia. Gli Acari, animali molto brutti e quasi microscopici, si rico- noscono alla forma ovale del corpo e alle zampe discoste le une dalle altre, due paia anteriormente e due paia posterior- mente. L’estremità di queste zampe è munita di ventose. Vi- vono sopra una quantità di sostanze vegetali o animali in de- ! Lat., Acarus; fr., Mite; ted., Milbe. 2 Lat., Ixeodes; fr., Ixode; ted., Holzbock. 528 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI composizione. Per esempio, si trovano numerosissimi sulle croste dei vecchi formaggi, specialmente sulla crosta del vecchio formaggio di Roquefort o su quella del formaggio di Gruyère. Fig. 285. Idracna geografica. Fig. 286. Larva dell’Idracna geografica. L’Acaro delle galline e d’altro pollame (fig. 296) appartiene al genere Dermaniso. È una specie di questo genere somigliantissima all’Acaro del formaggio, ma più piccola, che produce la schifosa malattia nota Fig. 287. A. Ixode toracico. Fig. 288. B. Gamaso. Fig. 289. C. Trombidio irsuto. Fig. 290. D. Acaro della farina. col nome di rogna o scabbia. L’impercettibile Acaro s’ introduce sotto l'epidermide e determina la produzione di una vescichetta intorno alla quale si scava delle gallerie; depone le uova in queste ultime, e tale è la sua fecondità che in breve il parassita ha invaso tutto il corpo e prodotto la malattia della rogna. ACARIDI 529 Daremo alcuni particolari sulle osservazioni fatte ai nostri tempi intorno a questo Acaro e sugli effetti che produce. . 291. A. Issode rinoceronte. Fig. 292. B. Laptusantum nadis. . 295. C. Issode dell’ippopotamo. Fig. 294. D. Issode elegante. All’Acaro che produce la rogna nell’ uomo si dà il nome di Sarcopte dell’uomo (da sark, carne e copto, taglio 4). Il Sarcopie dell’uomo, vale a dire il microscopico essere che produce la rogna nell'uomo, è stato noto ai medici del medio Fig. 296. Acaro delle galline. evo, ma soltanto nel nostro secolo venne studiato in modo ac- curato. i La prima menzione dell’insetto della rogna si trova negli scritti dell'arabo Avenzoar, che visse nel dodicesimo secolo. 1 Lat., Scarcoples scabiei; fr., Sarcopte; ingl., Sarcoptes; ted., Kratzmilbe Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 67 530 TRIBÙ DEGLI ARACNIDI « V’ ha, dice questo medico, una cosa nota col nome di Soab, che solca il corpo esternamente : esiste nella pelle, e quando questa si apre in qualche punto, ne esce un animale sommamente piccolo e che sfugge quasi al sensi. » Malgrado questa positiva indicazione, trascorse un tempo lun- ghissimo prima che si spingessero le ricerche più oltre. Giulio Scaligero fu il primo che ne riparlò nel 1557, nella sua critica del Trattato della Sottilità di Cardano. « I Padovani, dice egli, chiamano l’Acaro Pedicelli, i Torinesi Scirerie. i Guasconi Brigaut. È tanto piccolo che si può appena vederlo. Si alloga sotto all’ epidermide, in modo che dà pizzicore pei solchi che si scava. Tolto con un ago e messo sull’ unghia, comincia poco a poco a muo- versi, specialmente se viene esposto ai raggi del sole. Sehiacciandolo fra le unghie, si sente un piccolo rumore e se ne fa uscire la sostanza acquea. » Queste osservazioni avevano fatto ammettere da parecchi me- dici che un insetto parassita produceva la rogna, ma nessun fatto preciso era formulato a questo riguardo. Fu il medico italiano Aldrovandi, il quale nel 1596 fece fare un gran passo a questa questione, riconoscendo che il Sarcopte si scava delle gallerie fra la pelle e l'epidermide. Quaranta anni dopo Mouffet estese ancora queste osservazioni. Nel suo Theatrum Insectorum dice che i popolani, i quali sono malati di rogna, estraggono gli Acari dalla loro pelle colla punta di una spilla, e che que- sti animali s’introducono sotto all’ epidermide, vi scavano delle gallerie e producono durante il lavoro un prurito molto mo- lesto. Durante l’ultima metà del secolo decimosettimo, parecchi me- dici tedeschi si occuparono di questo argomento e pubblicarono dei disegni dell’Acaro della rogna, o ne fecero delle descrizioni più o meno esatte. Hauptmann lo rappresentò con sei zampe e quattro uncini, e Miller ne diede una tavola più corretta negli Acta eruditorum del 1682. Nel 1687, un naturalista italiano, Certoni, diede intorno al- l’Acaro della scabbia particolari molto più estesi di quanto si era fatto fino allora, e li corredò di una figura migliore di quelle che erano conosciute. Certoni riferisce di aver parecchie volte veduto delle povere donne estrarre con una certa spilla degli Acari dalla pelle dei loro bambini affetti di scabbia. Soggiunge che a Livorno i ga- leotti si fanno reciprocamente questo servizio. ACARIDI 91 Nel secolo decimottavo, Linneo si occupò dello Acaro della scabbia. Gli diede dapprima il nome di Acarus humanus subcu- taneus, poi quello di Acarus scabiei. Ma più tardi Linneo con- fuse l’animale della scabbia con quello della farina, e giunge fino ad asserire che spesso si produceva la scabbia nei bambini spolverandoli con farina piena di Acari. De Geer rettificò l’er- rore di Linneo; segno i caratteri dell’ Acaro della scabbia, di quello della farina e di quello del formaggio, e di tutti e tre con notevole esattezza. Malgrado tutte queste osservazioni, l’esistenza dell’Acaro nelle vescichette della scabbia era ancora contestata, quando, nel 1820, un farmacista dell’ ospedale di San Luigi a Parigi, Galès, an- nunciò che l’Acaro era positivamente la cagione di quella ma- lattia. Asserì di aver raccolto più di trecento di questi micro- scopici Aracnidi e di essersi inoculato un. principio di scabbia ponendosi sul dorso della mano tre Acari che vi aveva tenuto fermi con un vetro d’ orologio tenuto a posto con una fascia- tura. Nella sua tesi intorno a questo argomento Galès diede il disegno dell’animale. I dotti avevano accolto con gran favore le scoperte di Galés. Quindi destò molta meraviglia, sei od otto anni dopo le ricerche del farmacista, dell’ ospedale di San Luigi, di vederle messe in dubbio. Alibert, Biette, Rayer e altri medici che studiavano le malattie della pelle, non avendo potuto trovare l’Acaro, vennero a negarne l’esistenza. Il dottor Lugol offerse anche un premio di trecento franchi a chi gli avesse fatto vedere quest’ animale. D’ altra parte Ra- spail asseriva che Galès s’era ingannato, e che aveva disegnato l’Acaro del formaggio per l’Acaro della scabbia. Il dubbio e l’incertezza erano a questo punto quando Renucci studente di medicina, nato in Corsica, paese ove la scabbia è sommamente sparsa, si esercitò egli stesso a cercare questo animale e annunciò, nel 1839, che avrebbe estratto fuori dei Sarcopti da alcuni rognosi in presenza di un numeroso pub- blico. Innanzi a una adunanza di medici, fra i quali vi erano Ali- bert, Lugol e Raspail, Renucci mostrò col modo più evidente l’ esistenza del Sarcopte; ne raccolse parecchi sotto agli occhi di questi medici. La storia dell’Acarus Scabiei, o Sarcopte dell’uomo, fu in breve compiuta dalle minute osservazioni del dottor Albino Gras. Questo medico, facendo sperimenti analoghi a quelli di Galès, s'inoculò la scabbia a varie riprese, mercè dei Sarcopti messi in contatto } 532 TRIBÙ DEGLI ARACGNIDI della pelle. In un tempo assai breve, questi si affondarono sotto all’epidermide, e si videro svilupparsi le pustole caratteristiche di questa malattia. Finalmente, in certi sperimenti fatti all’ o- spedale generale di Rouen, e continuati con altrettanto coraggio che costanza, il dottor Pillore vide l’Acaro originare delle pu- stole simili a quelle della scabbia.. Oggi nessuno mette più in dubbio che la malattia della scabbia \ \ «Ma 4 1! Ù e) Fig. 297. Sarcopte dell’uomo straordinariamente ingrandito. non sia prodotta dal Surcopte dell’uomo, il quale è l'elemento contagioso di essa, di cui è anche il segno riconoscibile. Quando si sa che la malattia della scabbia è dovuta all’inva- sione del Sarcopte, si spiegano tutte le circostanze che presenta questa malattia. Tutti sanno che la scabbia si comunica age- volmente, sia per contatto, sia per coabitazione, sia adoperando gli stessi vestiti e la stessa biancheria. ACARIDI 99 L’uomo può comunicare questa malattia non solo a individui della sua specie, ma anche ad animali di specie molto differenti, e può riprenderla poi da questi ultimi. Si sa che la malattia della scabbia si guarisce agevolissima- mente amministrando lo zolfo sotto varie forme, cioè: frizioni con pomata solforata, bagni solforosi, vapori di solfo, ecc. Delpech adoperava, all’ ospedale di sant’ Eligio di Montpellier, un mezzo efficacissimo per guarire i rognosi. Ordinava un bagno di acqua pura, e una volta nel bagno, l’ammalato si fregava la pelle con un pezzo di tela un po’ ruvida impregnata di sa- pone nero, con sufficiente forza per aprire le vescichette e tra- Fig. 298. Strada percorsa dai Sarcopti nella pelle umana rasente due peli (vista al microscopio). scinare l’acaro nella lavatura. Dopo il bagno, si fanno frizioni con olio di oliva; questo, turando le trachee respiratorie dell’a- nimale, lo priva d’aria e lo fa morire. L'uso dello zolfo ha tuttavia prevalso; questo mezzo è oggi il solo adoperato come mezzo per curare la scabbia. Un’altra specie di Acaro dimora nei boschi e si attacca ai cani, ai buoi, e particolarmente sui cani da caccia: è la zecca. Aderisce saldamente alla pelle degli animali sui quali si attacca, e la fora colla sua proboscide, per suggerne il sangue. Le zecche non hanno corpo peloso, tutt’ al più hanno alcuni peli sulle zampe. Ordinariamente sono di color grigio; se ne trovano tuttavia alcune di color rosso sulle pecore. 594 TRIBÙ DEI MIRIAPODI TRIBU' DEI MIRIAPODI La tribù dei Miriapodi ! (dal greco pous, podos piede, è murioi diecimila) non contiene che un piccolissimo numero di ani- mali, i quali sono pure di poca importanza. Questa tribù comprende animali articolati, con segmenti nu - merosi, quasi tutti eguali e simili, senza addome distinto dal torace, col capo munito di due antenne, e di due paia di zampe ad ogni anello del corpo. La testa e il torace, ecco di che si compone il corpo di un Miriapode. Il numero degli anelli che compongono il corpo e il numero delle zampe che ne dipendono variano notevolmente; non è tuttavia mai minore di sei. Le due antenne servono al tatto. Gli occhi sono semplici o composti, talora mancano in- teramente. Il canal digerente è al tutto diritto. Nella bocca si notano due mandibole grosse, senza palpi, formate da due pezzi articolati; sotto a queste è una specie di labbro, diviso in quattro pezzi, parimente articolati, e che, con due paia di piedini ricurvi e ravvicinati alla bocca, rappresen- tano i piedimascelle dei Crostacei. I Miriapodi respirano per trachee , ‘che s'aprono sui due lati del corpo con stimme; ogni segmento è diviso in due mezzi segmenti, di cui uno solo presenta due stimme. Secondo De Geer, Savi e P. Gervais, che ne studiarono lo sviluppo, questi animali sarebbero soggetti a certe metamorfosi. Uscendo dall’uovo sarebbero sprovveduti di piedi, e solo. più tardi si svilupperebbero loro le zampe. Secondo De Geer e Paolo Gervais, i giovani Juli sono forniti di piedi uscendo dal- l'uovo; ma coll’età il numero dei piedi, e quindi dei segmenti del corpo, va aumentando. I Miriapodi vivono ordinariamente nei luoghi umidi e om- brosi, sotto ai sassi, alle foglie, alle cortecce, e anche nelle no- stre case. 1 Lat, Myriapoda; fr., Myriapodes; ing!., Myriapoda; red., Tausend- jussler. TRIBÙ DEI MIRIAPODI Deo I costumi di questi animali variano secondo la natura delle famiglie a cui appartengono. Certe specie, come il G/lomeride ', sono frugivore, altre come le Scolopendre ?, sono carnivore. La massima parte temono l’asciutto e muoiono in fretta nell’ aria molto secca. I Miriapodi, e in particolare le Scolopendre, resistono a me- raviglia alle più grandi mutilazioni. Quando si stacca la testa a un Geofilo, lo si vede subito camminare nel senso della coda, e può vivere così per un certo tempo. Se gli si toglie poi l’e- stremità anale, ricomincia dapprima a camminare in senso in- verso, come per fuggire l’oggetto che lo ha ferito; ma si può subito vedere che non ha più una direzione ben determinata, perchè cammina talora dallo innanzi allo indietro e viceversa. Gli Juli* resistono alla mutilazione meno degli altri animali di questa classe. I Miriapodi vivono piuttosto a lungo. Secondo Savi, solo dopo due anni alcuni giungono allo stato adulto. Acquistano spesso dimensioni piuttosto notevoli, e non è raro trovarne alcuni lunghi da 16 a 20 centimetri. Il signor Lebas, entomologo che dimorò a lungo nella Colombia, afferma di aver veduto una Scolopendra che era lunga e grossa come il suo antibraccio. Avendola pesata, riconobbe che pesava quattro chilogrammi. La classe dei Miriapodi non comprende che due famiglie: i Chilognati * (labbra-mascelle), rappresentati dal genere Julo, e i Chilopodi * (labbra-zampe), che hanno per tipo il genere Sco- lopendra. Gli Juli hanno il corpo cilindrico, allungato, composto di anelli stretti e quindi numerosissimi. Ogni anello porta due paia di zampe brevi e sottili, accostate per le basi, che sono inserite molto vicino alla linea mediana. La bocca è fatta di due mandibole e di un grosso labbro corneo, che rappresenta le mascelle; d’onde il nome di Chilognati dato a questo primo gruppo. QuestiMiriapodi camminano trascinandosi; procedono lentamente e sembrano scivolare sul suolo; nello stato di ri- poso, rimangono ordinariamente arrotolati come serpentelli. t Lat., Glomeris; fr., Glomeris; ted., Schalenassel. 2 Lat., Scolopendra; fr., Scolopendre; red., Bandassel. 5 Lat., Julus; fr., Iule; ingl. Millepede; ted., Vielfuss. 4 Lat., Chilognatha; fr., Chilognathes; ingl, Chilognatha; ted., Zwer- paarfiissler o Schnurasseln. 5 Lat, Chilopoda; fr., Chilopodes; ingl., Chilopoda; ted., Einpaarfiissler, Lippenfissler. 536 TRIBÙ .DEÌ MIRIAPODI Gli Juli sono abbastanza comuni; si trovano sotto alle pietre, sugli arbusti, i fiori, le frutta cadute dagli alberi. Si fa loro carico di rodere i frutti e di nuocere ai raccolti; ma si deve riconoscere che non intaccano per lo più che le frutta cadute dagli alberi, e sempre quelle che sono già rotte. Uno dei fenomeni più notevoli della loro esistenza è la muta, che è una specie di metamorfosi. All’uscire dall’uovo, il loro corpo è fatto a mo’ di una piccola fava, è liscio ‘e senza ap- pendici. » Diciotto giorni dopo la nascita il piccolo animale sopporta una prima muta, e allora soltanto i giovani prendono la forma degli adulti; ma non hanno ancora che ventidue segmenti in tutto, e ventisei paia di zampe, di cui diciotto soltanto servono alla locomozione. Un mese dopo segue una seconda muta; il corpo acquista ventitrè segmenti e trentasei paia di zampe, e. queste nuove parti sembrano essersi sviluppate nella parte po- steriore del corpo. Un mese dopo, viene una terza muta, nella quale l’animale acquista trenta segmenti e trentasei paia di zampe, così successivamente; per modo tale che gli adulti ‘ hanno il corpo composto di cinquantanove segmenti nei maschi e di sessantatrè nelle femmine. Dopo gli Juli vengono i G/lomeris, che hanno la forma e l’ aspetto degli Onisci e si appallottolano come quei Crostacei. Vivono sotto alle pietre, nelle regioni montuose esposte al sole. Le Scolopendre hanno il corpo allungato e appiattito, com- posto di anelli larghi perfettamente distinti gli uni dagli altri, «e non hanno ognuno che un paio di zampe attaccate vicino al margine dell’ anello: quindi i loro movimenti sono velo- cissimi. La bocca delle Scolopendre è munita di due mandibole e di due specie di labbra, di cui una, divisa in quattro parti, porta delle appendici simili a zampe, ciò che spiega il nome di Chi- topodi, mentre l’altra è formata da due pezzi cornei, allargati, saldati alla base e terminati da una punta aguzza, munita di una piccola apertura. Quest’ ultimo pezzo è in comunicazione con delle ghiandole velenifere; e costituisce un apparato vele- nifero, che è molto energico nelle Scolopendre di grossa mole. Le Scolopendre sono animali di rapina che vivono special- mente nei paesi caldi. Fuggono la luce e rimangono nascosti «li giorno sotto ai sassi o nei cavi degli alberi. Le specie grosse sono lunghe fino a due decimetri. La loro morsicatura è con- siderata come pericolosa. Nei nostri paesi le Scolopendre sono piccole e innocue, Così TRIBÙ DEI MIRIAPODI 097 è il Zitolio forficato *, piccolissima Scolopendra, di color bruno, che rimane sotto al legno, alle pietre, ai vasi da fiori, ecc., corre con grande sveltezza. Altre specie dal corpo sottile e aliungatissimo, munito di un gran numero di zampe, vivono nella terra. Ma se le Scolopendre dei nostri climi sono animali piccoli e insignificanti, non è lo stesso di quelle che abitano le Indie Fig. 299. Scolopendra e genere affini. a. Cryptops dei giardini , ingrandito. — b Scolopendra, parte anteriore del corpo, veduta disotto. — c. Occhi della parte destra. — d. Scutigera, testa. — e. Scolopendra, antenna. — f. Scolopendra, parte anteriore del corpo e bétca, vedute disopra. — 9g. Id, sue pinze bocca'i. — /. Id., parte posteriore del corpo, veduta disopra. — ?. Id., disotto. — &. Uno degli anelli che mostra lo s'iema tracheale e una zampa. — K’. Stigma isolato. — 7. Stigma in forma di vaglio d’una Scolopendra del genere Eterostoma. — m. Antesna di Geofito. e l’Africa. In quei paesi si trovano delle specie di Scolopendre lunghe tre decimetri. Le Scolopendre dell’ India stanno nei boschi e si cibano di Serpenti. Talora penetrano nelle case, e si afferma che sono tanto comuni in alcune regioni particolari che gli abitanti sono costretti a tenere le gambe dei letti entro a vasi pieni d’acqua per non essere disturbati la notte da quegli animali. Variano molto pel colore e per la mole. Alcune sono di color bruno rossiccio ; ! Lat., Litholius forficatus; fr., Litholie fourchue; ted., Steinkriescher. Ficuier. Rettili, Pesci e Animali articolati. 68 538 TRIBÙ DEI MIRIAPODI altre di color giallo d’ ocra, giallo livido o lievemente tinto di rosso. Se ne vedono, ma raramente, alcune lunghe più di 32 centimetri. Le zampe, numerosissime, sono terminate da un uncino, o unghia, acutissimo, di color nero lucido e di ineguale grandezza. Gli occhi, in numero di otto, sono piccolissimi. Il numero degli anelli del corpo aumenta coll’eta. Tutte le zampe di questo animale sono avvelenate, ma le sue vere armi sono due specie di uncini aguzzi, che stanno sotto la bocca e coi quali distrugge la preda. Ognuno di questi uncinì ha una piccola apertura, che comunica mercè un cana- letto colla ghiandola che secerne il liquido velenoso che scola dalla piaga fatta dall’animale coi suoi uncini. Per conoscere le proprietà di questo veleno, Lecuwenhoek mise una grossa mosca a portata di una Scolopendra, che la ghermì colle due zampe di mezzo e la fece passare da un paio di zampe all’altro, fino a che la mosca si trovò sotto agli un- cini, che l’animale le piantò nel corpo. La mosca morì sul mo- mento. Bernardino di Saint-Pierre dice che, nell’ isola di Francia, il suo cane fu morso da una Scolopendra che era lunga 16 cen- timetri. Il cane rimase ammalato per tre settimane. Bernardino di Saint-Pierre soggiunge che si divertì molto stando ad osser- vare una Scolopendra vinta da un gran numero di formiche. Queste l’assalirono tutte in una volta; dopo averla ghermita per le sue innumerevoli zampe, la portarono via, come fanno parecchi operai che si riuniscono per trasportare un lungo trave. Il veleno della Scoiopendra non è guari più pericoloso di quello dello scorpione: raramente è fatale ai grossi animali. La specie principale di Scolopendre, tanto esotiche quanto indigene, sono : 1.° La Scolopendra mordente (lat., Scolopendra morsicans), di cui abbiamo parlato, e che si trova alle Antille ed è comune anche in tutta l'America meridionale. 2.° La Scolopendra a pennello, il cui corpo è formato di quindici anelli, ognuno dei quali porta un paio di piedi, ed è coperto sotto da otto piastre o mezzi segmenti a mo’ di scudi. Ha piedi allungati, occhi grandi e a faccette. Si vede, princi- palmente nei tempi piovosi e di notte, correre sui muri velo- cemente, in caccia di insctti, che uccide di colpo cogli uncini dal veleno. 3.0 La Scolopendra dalle trenta zampe, lunga 2 centimetri soltanto, liscia, lucente, talora color bruno pece, talora color TRIBÙ DEI MIRIAPODI 539 fulvo che volge all’ambra. Si trova frequentemente, d’ estate,. nei giardini del mezzodì della Francia e di Parigi. 4.° La Scolopendra elettrica, che è talvolta elettrica e lu- minosa durante la notte, e si distingue specialmente pel gran numero delle zampe, che possono giungere fino ad oltre cento qua- ranta e più. Si incontra nei dintorni di Parigi. FINE DEI RETTILI, PESCI E ANIMALI ARTICOLATI, i RURTO: 3 INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEI RETTILI, PESCI ED ANIMALI ARTICOLATI CITATI IN QUESTO VOLUME RETTILI. E A Ealoeerete n ne E RE Eloditi americane .- .. . 102 — 108 Aljigatori oCanmani . ..° 88 — 9L ‘Emide.> 0.0 a TOO Amblyrhineus cristatus . . ... 8 Ameive - Vide 62 F Amori di alcuni serpenti. . +. 15 Amguetiraoile nia le e Reno di 'langia. = SIMO 264 Aspide 5 42 G B Conall So ge Basilisco . ss OSIO A O Biscie . 3 — 15 Boa. 23 — 25 H C Homappdest atte e O O Camaleonti 00 — 89 I (eraste . 5 48 Chelonie . Ie ATOA IRA o YI O Cinixis : 2199 (istudime , 100 — 102 L Coccodrilli g 859 — DD (olubri tt: Re E OI FILO o RE E Crotali, DA apo ASI certo 33 ie en Dendraspis Dixides Drago volante . . . . 66 — 67 Natrice viperma....,... - 15 Luscongole: gue due (Da Ut | Eat Asp ne ge a SIINO ONDEtn IO STE PSel dosso eo Pterodattili Ramarro Salvaguardie. . . SeOrpione.. ._ la e. Seps calcidica . . . Serpente a sonagli. Serpente giallo . Serpe uccellatore . plarerdi i o è Tarantola . Testuggini . . Trigonocefali Trionice Vv Varani Veleno delle vipere Vipere. INDICE ALFABETICO 60/— 61 DO D . . 1 09 Ww 63 SIMENON OO 96 — 116 REA; . 108 ANFIBI 0 BATRACI. A Amblystoma . Axolotl GILMORE 5 BIST 151 — 137 d — 119 lare Ripa e ela IRR e Raganella Rana . "a Ranocchio verde ROSPI int e MISTE S Salamandre Sirena. + T Tritoni . U Lrodeltea ao: , PESCI A Abramide. . Acanthopsis . Acciughe . Alalunga . : Alborellaz. 06 Ammoditi. a. Apabast eee Amguille sua Aquile del mare Argentina ANDARE: Aspi, Albori, Avole 120 — . . i di pa a O o > DI DI De tO o 130 . 304 609 274 SAI 2S9 LI SUl95 . 951 218 155 . 304 271 SISI Balena delle acque dolci . Balestra... #5 Barbastello . . Barbio o Balbio Becchi a flauto . Bertone fee Bottatrice ©. . Caenolo: te (‘ane marmo, . CAponi ..0.. .. te CAF Cavallero... (‘avallueci marini Gayialo: Nan. Cheppie;r:ce.. (‘himera artica e (tielotteri . . pri 1... ONIONS... MOTARI 0. Didone Discoholi. . Demalleto 300 Eperlano .. ... Hisoseto . . ere. 0, Fistularia . Fregarolo : ‘.. ZITTO LAN PIRA ale ie CO to D . 246 281 . 247 . 346 307 242 INDICE ALFABETICO (eminente Gattuecio. . . Gimnodonte . . Gimnoti . Gnomi gie Gronsbe, o. Insidiatori . Ippocampi . . Ippoglosso . Rabrodi Sii. Lacerto o Macca Lamprede . rasta i Lavareti Lepadogastri . Limanda . Lota aeede ere Luccioperche , Lupaccio . . Maccarello 3 n Magnaroni Merlano .. i. Merluzzi . Merluzzo lungo . Molaneenteno Mozzella: wu Murene. ... NERA (Ni Ostracioni . +. Sui DI . 549 INI ivi 187 203 289 218 ilo) 190 c 228 -1205 . 187 544 Palamita . , Pappagallo di mare Passera di mare Pegasi Percaso Pesce ago trombetta . » bianco » .cCane.. » = capone » diavolo » dorato della Cina . ) luna. » martello . » persico » ragno. » rondine, 0 Pesce volante . 321 » Sega » spada. » tamburo . Platessa . Pleuronettidi Poliodonte fogliato . R Rana pescatrice . Razze . Remora Rombo Salacche . SAONA Sardolle. 0 a Scardola . Scaro . Sclerodermi . Scomberoidi . Scorfani o Scorpene Serpente di mare . Siluro d'Europa » elettrico o Malatter Sogliole INDICE ALFABETICO 167 — INI 302 — 504 LI — 199 uo eo 222 — 223 Spigole Spinarelli Squali. Stomia Sterletto . Storionidi Tahaca ». Tetrodonti Tinca . Tonno . AZI Tordo di mare . .. Torpedine Trachini . Triglie Triotto Rotoli Umble Uranoscopi Usellina . Vipera di mare . ZIONTOR: SR ne . 316 324 — 331 167 — 174 280 » 180 . 280 . 340 A NIMALI ARTICOLATI. A Acaridi Acari domestici. » del formaggio » della farina . » della scabbia » delle galline Afrodite irta. Agami. Anellidi . 0260 — 593 20 LI 5290 — 53 na 5 lena SARDO 399 — 426 Anfipodi . Anfitrite . Anguillule Apneuma . Aracnidi . Aragosta . Araneidi . Arenicole. Argironeta Argulo fogliaceo Armadillo Ascaridi . Asello.. Astacus fluviatilis . Astemie . B Bernardo l’ eremita Botriocefalo . . , Bracchioni Branchellione Branchiopodi Branchipi. Brigus Caligi. Carcino menade. Cenuro della pecora Cestoidi . Chetopodi. . Chetoptero . Chilognati . |, Chilopodi . Ciclopi Cimoteo . Cipridi . Cirripedi . Cisticerco del maiale , Cistici, Glubiono's--.... Crangoni. . + Critticolo. +. + Crostacei. +» Cucurbitina + INDICE ALFABETICO nat ari 409 - 372 . 405 933 452 916 405 . 489 . 467 . 463 BP ST . 463 aapato REESE. (1) + 499 . 388 . 397 .- 405 . 465 si gegli RO appa = 1495 . 464 . 438 . 369 38 . 403 ivi ORD ivi . 466 . 462 » 467 . 434 . 369 oe givi e DO 1400 506 . 427 — 468 . 506 D Damie,. -- . gela Ta 466 Decapodi anomuri . . 456 — 460 Decapodi brachiuri. . 434 —- 443 Decapodi macruri . . 443 — 456 Dermaniso 528 Distomi 387 Dorsibranchi. . 404 Dragoncello . 372 E Echinococchi . 369 Elminti o entozoi . 367 Emidia 3 359 Epeira diadema . 487 Eresi . 488 BUnICIERRENEANO 405 - F Falangidi . 926 Falangista 206 Falciatore dei muri 526 Fillosonee 432 Frine . 524 G Galatee a 454 Galeodi RR 0) Gamberelli . 443 — 447 Gamberello dei ruscelli . 461 Gamberello pulce . 462 CAMPO I 42% Gecarcini o Granchi di terra 442 Glomeride IO se de Granchi e AR 44 Granchi fluviatili o telfuse . 439 Granchio arrabbiato 437 Granchio comune . ivi 438 Granchio ragno di mare . Ficuier. Pesci, Rettili e Animali articolati. 69 546 Idatidi . Idatine Idotee . Tdracne* pd ne Ifiosuri Isopodi Issodi o Zecche. Juli Langosta . Lemodipodi . Permoe <. «elia Lernei : Licosa tarantola Licose . Ligie . Ligula. Limmoree Limnadie . Limulo Litolio forficato . Lombrichi Macrobioto . Mantide marina Migale avicolare Migale muratrice . Migale scavatrice . Milnesia . Nirapodita: it. +; Nora Naidi . Nematodi. ò Nemerta o Borlasia Nereidi INDICE ALFABETICO . 369 — 39£ .- 397 . 462 . 5906 — 526 . 434 . 462 — 463 - 527 . 534 — 539 (0) Onisco. Agi e Ossistoma . 433 — 462 Ossiuri 2 . 372 E Palemone sega . A . 455 Palemone squilla