RR ONPRTA. de 9 cho sa so Mi LORI NEL IRtL] i TANA IDA N i bla li ni EVA TANO mor VAN i) I i] DI n Vir ICAO sai RIVISTA PATOLOGIA VEGETALE SOTTO LA DIREZIONE DEI PROFF, DOCENTE DI PATOLOGIA VEGETALE E PROF. PKESSO LA R. SCUOLA ENOLOGICA DI AVELLINO NELLA R. SCUOLA SUP. D'AGRICOLTURA DI PORTICI COL CONCORSO DI ILLUSTRI SCIENZIATI ITALIANI E STRANIERI Vol. I. Num. 1.° Marzo 1892, PADOVA TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO db | UT ESRI TO Ù ì 55 1 pel x I a Pat sd > MO O cfr - SA ù È 1 n: » Pi e a, n A Li ® A } fa i na i . si SÉ = ( 3 poi e?” pa cr dn, y ' tall | TT dI Va È 4 ved ag INDICE ALFABETICO delle materie contentite nel vol. I. Lavori originali Berlese A. — Contro l Ocneria dispar id. — Intorno alle Cocciniglie degli agrumi nica al suGdo di aa id. — La Tignuola del Melo ed il modo di combatterla . id. — Dell’ azione di alcuni liquidi insetticidi sulle larve di Cock; e ambiguella id. — Sulla azione delle soluzioni Gi aa sopra Di e ut diverse . id. e N. si iesnio gigli effetti di dn insetticidi Arial ir rettamente sugli insetti Berlese A. N. — Rapporti tra Dematophora e Rogellinia id. — La fitoptosi del Pero. id. — Osservazioni critiche sulla vara cospora io id. — Sopra una nuova malattia del Leccio Bochicchio N. (Vedi Berlese A.) Peglion V.— La Ticchiolatura del Pero . id. — Studio anatomico di alcune ipertrofie a el (04) ui can- didus in alcuni organi di Raphanus raphanistrum . id. — La distruzione degl’ insetti nocivi per mezzo di funghi paras- siti (rivista sintetica). Sannino F. A — Intorno ad una maniera officia di Sa la Schizo- neura del Melo . Piccole comunicazioni — Notizie ete. Peglion V.— Una nuova malattia dei meloni cagionata da Alternaria Bras- stcae Î. nigrescens id. — La ruggine dell’ Endivia î id. — Il Oycloconium oleaginum nell’ Ttalia sneridionale» Viala — Cambiamento di nome della Laestadia Bidwellii . Cronaca dei parassiti Bibliografia . 98-190 96 296 299 347 144 140 348 LO ssegne di lavori italiani ed esteri Rassegne di 1 taliani ed est Bolle G.— La malattia della Vite denominata Antracnosi o vaiuolo e mezzo per prevenirla - È Briosi e Cavara—I funghi parassiti delle Pi sue cattiva od ubi 7 7 Briosi — L’'avvizzimento dei germogli del Gelso . Cavara Y. — Una malattia dei limoni. Conti V.— La Ruggine nei seminati Cuboni G. — Anomalie fiorali del Colehicum ia 3 - : 2 id. — Osservazioni anatomiche sugli acini di uva disseccati dal Mal del Secco : ; a - 3 ; Delacroix G. — Le hanneton et sa larve, moyens de destruction 5 Galloway G. B.— Suggestions in regard to the treatment of Cercospora CINCUMSCISSA . 5 3 È : : 2 Girard. A. — Traitement de la maladie des pommes 10 terre par les com- posés cuivriques. ° . Hess W.— Die Feinde des Obstbaums aus dem Thianciele Hartig R. — Lerhbuch der Baumkrankheiten x : ; Kossmahl A.— Durch Cladosporium getòdte Pflanzen von Pinus rigida . Kruch O. Studio anatomico di un zoocecidio di Pier:dium vulgare. Leclerc du Sablon — Sur une maladie du Platane . - E : - Le Corbeiller — La Rouille des blés et 1° épine-vinette 2 E = Lopriore G. — Die schwirze des Getreides . Loverdo F. — Les maladies cryptogamiques des AR Massalongo C.— Due nuovi entomocecidii scoperti sulla Diplacne on e Cynodon dactylon . id. — Sulla scoperta in Italia della Caliyptorpora Goa mi id. Sulla scoperta della Taphrina deformans . - id. — Mostruosità osservata nei fiori di Jasminum gr o um. id. — Intorno ai fiori doppi di Dalla variabilis . : ’ id. — Sull' alterazione di colore dei fiori di Amaranthus retro flexus infetti dalle oospore di Cystopus Bliti . - } ; id. — Acarocecidii nella flora Veronese. . ; 3 id. — Osservazioni intorno ad un PETRE entomocaa ii del- l’Ellera . ; 5 3 - - ; Magyet et Viala — La maladie rouge de A Vione Mezey Gyula —A White Rot vagy a Sz0l6 fcoroibadac Millardet — Les gelées printanières de la Vigne. ì 1 ; id. et Gayon — Nouvelles observations sur 1] efficacité È diverses bouillies dans le traitement du Mildiou 4 7 Passerini G. — Sopra alcuni Phoma . s ; : È è : Pichi P. — Alcuni esperimenti fisiopatologici sulla Vite in relazione al paras- sitismo della Peronospora . : : ° ; 5 : Pierce N. B.— The California Vine disease / 3 i : 7 ; id. — A Disease of Almond trees. i ; . i } ; 118 151 301 329 150. 304 305 119 314 155 332 319 333 303 331 127 124 -113 324 305 306 307 308 ivi ivi 324 330 159 511 340 317 Pirotta R. — Sopra alcuni casi di mostruosità nell’ Janopsidium acaule . Prillieux E. — Sur une maladie du Cognassier . 7 ; * : Prunet — Sur la perforation des Tubercules des Pommes de terre par les shizomes du Chiendent. ; 3 : 5 è ; . Prillieux et Delacroix — La Maladie du pied du blé causée par 1 Ophio bolus graminis . ; È 5 . id. id. — La Nuile, maladie des Melons dn par le Scolecotrichum melophtorum Schribaux T. Le piétin cu maladie du pied des céréales ) : o Targioni-Tozzetti e Del Guercio — Emulsioni insetticide È 5 ° id. id. — Nuove emulsioni insetticide . È id. id. — Esperienze tentate per determinare la tolleranza delle giovani vege- tazioni della Vite verso vari in- setticidi . È : 5 id. id. — Sulla resistenza agl’ i dei te- neri getti e frutti di Melo, Pero, Susino etc.. ; A 1 id. id. — Esperienze tentate per edo la tignuola del Pruno e dell’ Evonimo id. id. — Esperienze tentate per distruggere la Schizoneura Lanigera, Chiona- spis e Aspidiotus etc. x id. id. — Esperienze tentate per distruggere la tignuola dei fiori e dei frutti del- la vite 5 - } " 5 Viala et Sauvagean — Sur la maladie de Californie, maladie de la vigne causée par Plasmodiophora californica . ; id. id. — Sur la brunissure, maladie de la Vigne causée par Plasmodiophora Vitis. . , 3 È È id. —"— Monographie du Pourridié des vignes et arbres fruitiers . s id. — Les maladies de la Vigne. - x ; : Î 7 id. — Une maladie des Greffes-boutures . È : è 5 5 Woglino P. — Ricerche intorno allo sviluppo del micelio della peronospora nelle gemme della Vite . È 3 " : 2 : W. Zopf — Ueber die Wiirzelbraiin der Lupinen, eine neue Pilze Krankheit 108 ivi È ENOLOGICA DI AVELLINO de EH “Dott ANTONIO BERLESE PROF, DI. ZOOLOGIA, GENERALE ED AGRARIA. A NELLA R. SCUOLA. rare age VETO] EG o E i - sup. p AGRICOLTURA DI PORTICI Vol. I. Num. 1.° Marzo 1892. Prezzo L.1. PADOVA TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO i Zi Si AI LETTORI ‘importanza degli studi di Patologia vegetale, messa in rilievo in quest ultimi anni dal sem- pre crescente contributo di lavori scientifici e di pratici corollari, relativi ai parassiti delle piante, ed aumentata da più larga e grave azione dei detti paras- siti, indusse a rivolgere gli sforzi degli studiosi e dei pratici a più completamente illustrare e combattere i parassiti che minacciano le piante colturali. Questa la ragione del presente periodico, che ci sembra maggiormente giustificato perchè destinato, non solo a pubblicare lavori originali compresi per la loro natura nel cerchio segnato dal titolo del Giornale, ma anche alla revisione critica di quanto da noi ed al- trove si produce sullo stesso argomento. Duplice è il concetto che ci informerà quindi nella scelta dei lavori che costituiranno la presente Ri- 4 vista, ossia scientifico e pratico, per quanto lo scopo sia unico cioè di illustrare i parassiti delle piante, le malattie che producono, e portare sul campo pratico, oltrecchè le cognizioni suddette, anche i modi efficaci a combattere convenientemente i parassiti. Saremo grati a tutti coloro che vorranno incorag- giare il presente periodico, sia col concorso di lavori scientifici o pratici sull'argomento, sia ancora coll’ ac- cogliere volentieri questo giornale che, nella sua spe- cialità, crediamo unico in Italia. I DIRETTORI Marzo 1892. Rapporti tra DEMATOPHORA e ROSELLINIA pel Prof. Dott. AUGUSTO NAPOLEONE BERLESE Il micelio dei pirenomiceti in qualche caso è abbon- dantissimo e si porta anche all’esterno del substrato co- stituendo un bisso più o meno denso, il quale non di rado è dato da micelio così detto sterile, mentre altre volte è costituito dagli stati conidici del fungo stesso. In questo bisso si formano poi di regola i periteci. La presenza di que- sto denso micelio esterno, più spesso bruno, giustifica la di- visione: Sphaeriae byssisedae, del Fries, divisione natu- ralmente che non ha oggi un serio valore sistematico. Però è utile notare che mentre le esigenze della moderna tas- sonomia giustamente fanno collocare in luoghi molto di- stanti alcuni generi provveduti di bisso, ne allontanano altri i quali presentano nei caratteri vegetativi, ed evo- lutivi delle forti affinità, come io ebbi occasione di con- statare, e come a suo tempo esporrò. Intanto giova ricordare che tra le specie bissisede vi è una intera sezione del genere /ose/linia, comprendente specie bene distinte per diversi caratteri, e di qualcuna delle quali fu accuratamente seguito lo sviluppo. Ed è della organogenia di una delle suddette specie e precisamente della /tosellinia aquila che io mi occupo nel presente lavoro. Questa specie quantunque frequente, e quantunque sia stata oggetto di studio accurato prin- cipalmente da parte dei Fratelli Tulasne, pure non venne mai seguita nel suo sviluppo. Ciò che mi decise ad occuparmi di questa specie, fu ancora l’apparsa dell’accurato lavoro del Viala Mono- graphie du Pourridié des Vignes et des arbres fruitiers. L’attento esame della detta pubblicazione mi fece bale- nare il sospetto che tra la così detta Dematophora neca- 6 trix e le Rosellinie bissisede, specialmente la /. Desma- zierti, la fe. quercina, e la f. aquila esistessero degli stretti rapporti morfo-biologici, e tali forse da non giusti- ficare interamente l’allontanamento della detta Demato- phora del genere /Posellinia, e meno che mai quindi dalla classe dei Pirenomiceti. Lo studio dello sviluppo della Ar. BERT, l'esame ac- curato della /. Desmazierti e di parecchie altre affini !), e la lettura del bel lavoro dell’ Hartig sulla /. quercina ?) accompagnata dallo studio diretto della specie della quale ebbi esemplari dalla gentilezza del sig. Hartig stesso, che qui ben volentieri pubblicamente ringrazio, mi resero maggiormente persuaso che esistono tra i due generi sud- detti delle forti affinità. Presento ora i risultati delle mie ricerche, dolente di non aver potuto confortare la mia tesi anche coll’ esame microscopico della Dem:atophora ne- catrix, ciò che spero mi sia concesso di fare in un avve- nire non molto lontano *). L’ Hartig 4) trattando della Dematophora necatrix, della ) E qui soddisfo ai grato dovere di ringraziare i chiariss. Profes- sori P. A. Saccardo e R. Pirotta per il materiale scientifico che colla usuale loro cortesia mi favorirono. Ebbi dal Prof. Saccardo esemplari di R. Desmazieri, e dal Prof. Pi- rotta l’intera collezione di Rosellinie esistente nel Museo dell’Istituto Botanico di Roma, e ciò mi permise di fare numerosi e minuziosi con- fronti. 2?) R. Hartig Der Eichenwurzeltòdter in Unters. aus dem forstbot. Instit. Minchen I, 1880 et Lerb. der Baumkrank. p. 100-104, t. VII-IX. 3) Il chiariss. Prof. P. Viala, al quale mi diressi per avere qualche esemplare di Dematophora necatrix allo stato ascoforo, mostrossi dolente di non poter soddisfare, per ora, al mio desiderio in causa della scar- sezza del materiale a sua disposizione. Tengo a cuore la promessa che questo egregio scienziato mi fece di spedirmi qualche esemplare di Dematophora, tostochè le colture di detto fungo, le quali sono già da qualche tempo intraprese alla R. Scuola di Montpellier, avranno dato gli attesi risultati. 4) Hartig R. Rbizomorpha (Dematophora) necatrix in Unters. a. d. forst- bot. Inst. Miinchen III, p. 1880. 7 quale non conosceva lo stato ascoforo, seppe con accu- rate ricerche porre in evidenza le forme scleroziali, e le rizomorfiche nonchè le conidiche, le quali ultime, è buono ricordarlo sin d’ora, appartengono ad un ifomicete compo- sto che non si può allontanare dal genere Graphium. Il Viala ') in seguito ad un lungo studio sopra questa specie venne alla conclusione che la morfologia della Der. necatrix è piuttosto complessa, poichè appartengono a questa specie varie forme di riproduzione, che potremo riassumere così. I. Micelio bianco, fioccoso proveniente direttamente dalla germinazione dei conidi o dallo sviluppo di altri rami miceliali. II. Micelio bruno proveniente da una colorazione che assume successivamente il micelio bianco stesso. III Cordoni rizoidi provenienti dall’unione di filamenti miceliali, e trasformantisi poi in cordoni rizomorfici. IV. Micelio interno, sottocorticale in forma di nastri bianchi o di filamenti semplici. V. Clamidospore (rigonfiamenti vescicolari originanti- si nel micelio). VI. Sclerozi prodotti dal micelio interno. VII. Conidiofori (forme stilboidee che crescono sugli sclerozi). VII. Picnidi provenienti dalle trasformazioni degli sclerozi. IX. Periteci sviluppantisi in senso al micelio esterno. Osserviamo ora la organogenia della /osellinia aquila. Questo fungo si sviluppa alla base dei tronchi degli alberi, e più di frequente alla base dei rami che vengono piantati nel terreno per fare delle siepi o per sostegno ecc. Lo rinvenni abbastanza frequentemente sopra diverse pian- te nelle siepi dei dintorni di Avellino, ma non è raro osser- 1) P. Viala Les Malad. de la Vign. Ed. II, 1885, p. 341-355; et Mo- nographie citata. 8 varlo anche sopra qualche pollone moriente proveniente da una ceppaja interrata. È caratteristico il fatto, che si osserva del resto anche per altre /tose/linie, come pure per la Dematophora necatrix, che il fungo non si sviluppa (specialmente lo stato ascoforo) di regola, che a livello del suolo od a non molti centimetri di profondità. Quantunque, specialmente nei rami morti piantati nel terreno, la parte che si trova più infossata, offra condizioni migliori allo svi- luppo del tungo essendo costantemente più umida della superiore e spesso più decomposta, e più facilmente at- traversabile dai micelii, pure il fungo invadendola col micelio non si manifesta in generale all’esterno, nè con forme miceliali, nè con periteci o conidiofori. Si potrà ora obbiettare che la /tosellinia aquila è un fungo saprofita, mentre la Dematophora è parassita. A tale proposito sarà utile osservare che la infezione della Rosellinia aquila avviene spesso sui rami piantati nel terreno, quando questi non sono ancora disseccati, e quan- do i tessuti non sono decomposti, mentre non avviene quando il ramo è putrescente, ed inoltre che anche la Dematophora necatrix, come pure la /osellinia quercina (per tacere di altri funghi) possono benissimo vivere allo stato di saprofiti. E valga l’ aggiungere che parecchi altri funghi vivono prima da parassiti sopra un dato substrato, mentre allorchè questo è stato ucciso dalla loro azione parassitaria, continuano a vivere prosperosamente allo stato di puri saprofiti. In ultimo luogo dirò che alcuni fatti mi avvalorano nel sospetto che anche la ose/linia aquila, almeno in certi casi, possa vivere allo stato di parassita in diverse piante giovani. Tale parte della biologia del fungo riserbomi a chia- rire con ulteriori ricerche. Dalle fin qui fatte osservazioni verrei alla conclusione che la forma veramente saprofitica sarebbe la conidica, poichè spesse volte mi sono imbattuto in ricchissime ve- getazioni di Sporotrichum fuscum, le quali letteralmente 9 invadevano interi cumuli di sottili rami morti, ed abban- donati in luogo molto umido, ad una avanzata putrefa- zione. Non vidi però mai formarsi in queste condizioni lo stato ascoforo, e desumo che quello straordinario sviluppo conidico, anche in vista che si forma spesso al principiar della primavera, abbia lo scopo di diffondere la specie. Del resto la questione di saprofitismo e parassitismo dei funghi è tutt'altro che risoluta, ed i continui studi ci por- tano spesso a riconoscere un’ azione veramente parassita- ria in forme che si erano ritenute per l’innanzi semplice- mente saprofitiche. La rosellinia aquila allo stato ascoforo si presenta sotto forma di grossi periteci, mammiformi, cinti da un denso bisso bruno, piuttosto molle. Se collochiamo un pezzo di ramo portante questo mi- celio in un cristallizzatore coperto da campana di vetro, alla volta della quale sta adagiato un foglio di carta da filtro adeguatamente bagnata, ed esponiamo il tutto ad una temperatura di 18-20 c., osserveremo dopo 12 ore l’apparsa sul ramo di filamenti bianchi della lunghezza di uno o due millimitri, localizzati a cespituli in date re- gioni, e radianti dal punto d’inserzione (Tav. I, fig. 1). Questi filamenti provengono spesso da piccoli pulvinoli di micelio bruno preesistente, esterno, come pure da mi- celio interno subcorticale, nel qual caso passano attra- verso alle numerose soluzioni di continuità che si osser- vano nella corteccia. Non provengono mai dal vecchio micelio che ha guadagnato le più interne regioni del le- gno. Se si pone allo scoperto il legno, sia tagliando il ramo, o spezzandolo lungo il midollo, si vedrà, dopo 24 ore, dacchè il ramo è in coltura, (ove si tratti di ramo vecchio e totalmente inquinato dai miceli) una fine pelu- ria nero-olivacea, proveniente direttamente dai filamenti miceliali bruni che serpeggiano tra gli elementi legnosi. Questa lanugine consta di filamenti analoghi a quelli che invadono il legno ma sembra che al pari di questi abbia îi0 perduto la facoltà di produrre rami conidiofori, od altri corpi riproduttori, poichè almeno nelle mie colture, i fi- lamenti rimasero per sempre sterili. Se il micelio bruno non è molto vecchio come quello che si annida nella zona generatrice, negli strati perider- matici, ed anche nella regione periferica del corpo legnoso, allora può, anche in coltura, dare origine a micelio bianco cotonoso. Il micelio bianco ben presto si sviluppa copiosamente sui rami posti in coltura, dimodochè dopo 3-4 giorni, ri- manendo costante la temperatura, il ramo è interamente ricoperto da un fitto micelio fioccoso, candido somigliante al cotone e lungo anche qualche centimetro (fig. 2-3). Se que- sto micelio viene in contatto con qualche ramo sano, l’in- vade interamente. Così si attacca pure alla parete del cri- stallizzatore e per buon tratto la ricopre se viene con questa a contatto. Lasciato in balìa di se stesso il micelio persi- ste vegeto per parecchi giorni, dopo comincia ad avviz- zire lentamente, mentre assume una leggiera tinta gialla- stra, e va man mano che avvizzisce, cacciando alla sua su- perficie numerose goccioline di acqua. Mentre nei primi due o tre giorni i filamenti miceliali sono rigidi e leggier- mente radianti in modo che danno alramo che ricoprono, l’aspetto di una spazzola cilindrica; in seguito sviluppan- dosi maggiormente, e ramificandosi in vario modo, si in- trecciano così da costituire una massa cotonosa, molle, delicata, quale si osserva anche nella Dematophora ne- catrix. La produzione del micelio bianco fioccoso nella /o- sellinta aquila è periodica, poichè sullo stesso ramo si può ottenere per molte volte di seguito. Tra una gene- razione e l’altra però passa sempre un certo tempo che può prolungarsi anche oltre qualche settimana. In questo periodo di quiete il micelio non si sviluppa, anche se il substrato è posto nelle condizioni più favorevoli. Osservato al microscopio il micelio bianco si presenta. tì costituito da filamenti trasparenti, ricchi di plasma inco- loro, finmamente granuloso, frequentemente settati e ripetu- tamente ramosi. È singolare il fatto (che si osserva anche nel micelio bianco della Dematophora necatrix) che i fi- lamenti di detto micelio fioccoso sono di diametro variabile. Alcuni sono grossi robusti e presentano un diametro di 5 w. mentre altri sono più sottili, più esili e non misurano trasversalmente che 2t/, u. (fig. 4). Non ho mai osservato però differenze diametrali nello stesso filamento miceliale. Trasportati in coltura cellulare in decozione di fimo que- sti filamenti continuano a svilupparsi; soltanto anzichè essere retti, presentano delle frequenti sinuosità, cosicchè appariscono quasi varicosi. Il micelio bianco fioccoso è secondo me destinato alla diffusione delle specie, ed è quello che penetrando nel ter- reno lo attraversa anche per buon tratto onde venire in contatto con nuovi substrati. Lasciato in balìa di sè stesso, questo micelio bianco assume una leggera tinta giallastra, e si condensa in nastri poco consistenti. Osservati al mi- croscopio questi nastri si vedono formati da cordoni di varia grossezza i quali costituiscono una specie di rete a maglie fitte, di diametro variabile, cordoni risultanti dal- l'unione e dalla gelificazione di un maggiore o minore numero di filamenti. Lo stato nel quale si trovano i fila- menti che costituiscono un cordone, fa ragionevolmente supporre che essi abbiano perduta qualsiasi vitalità ; però è utile tener conto di un fatto che nella biologia della presente specie è di un grande valore. Studiando i cordoni suddetti si vede che non tutti pre- sentano una struttura omogenea ; anzi il più delle volte in seno agli stessi si vedono delle speciali formazioni cel lulari disposte a rosario, press’ a poco simili a quelle os- servate da Viala nei miceli della Demzatophora necatrix, e ritenute dallo stesso come clamidospore analoghe a quelle delle Mucorinee. Queste coroncine (Tav. 1. fig. 5) provengono direttamente dall’ anormale sviluppo degli iz elementi che costituivano una data porzione di un fila- mento. Infatti questi elementi si sono qual più qual meno ingrossati, talchè alcuni anche hanno raggiunta la forma di vere sferette. Spesso le coroncine sono indivise, però talvolta presentano delle ramificazioni le quali possono avere diversa origine, cioè, o provengono da una si- multanea differenziazione degli elementi costituenti una ramificazione del filamento principale, oppure sono date da un successivo sviluppo di questo filamento. Più fre- quente è il primo caso. Gli elementi che si sono ingros- sati a sfera, conservano, anzi portano ad un più alto grado, la loro individualizzazione biologica, e ciascuno costitui sce un tutto a sè. Le porzioni del filamento poste agli apici della coroncina non rimangono distinte, bensì gelifi- cano le loro pareti come tutti gli altri filamenti. Sembrami accertato che queste coroncine rappresen- tino organi atti a conservare la specie in condizioni sfa- vorevoli di sviluppo. Infatti se intorno ad esse si rinnova un ambiente fa- vorevole, prontamente emettono delle piccole e numerose gemmazioni, le quali si allungano in seguito in rami. Le catenelle specialmente allorchè portano le suddette gem- mazioni, hanno tutto l'aspetto degli stadi iniziali delle spore-bulbilli osservate dall’ Eidam '), dal Mattirolo ?), dal Zukal *) e da me ‘) ed al pari di questi organi compiono l’ufficio di conservare la specie. Sono da ritenersi quindi come apparecchi perduranti, e forse clamidosporici come li chiama il Viala. In alcuni casi l’ingrossamento a sfera era così accentuato, che gli articoli erano quasi staccati !) Eidam Zur Kenntniss der Entwickel. bei d. Ascomyc. in Cohn’s 3eitr, Biol. III, Bd. 3. *) Mattirolo, Sullo sviluppo di due nuovi Ipocreacei e sulle spore- bulbilli. In Nuovo Giorn. Bot. Ital, 1884. ’) Zukal Unters. biolog. und morphol. Werth der Pilzbulbill. in Ver. S. k. k. zool.-bot. Ges. in Wien 1886. ') Berlese sullo sviluppo di alcune nuove ipocreacee. Malpighia 1892. 13 l’uno dall'altro, però una vera disarticolazione non mi ac- cadde mai di vedere. Il diametro di questi articoli è va- riabile; come dimensione massima possiamo notare i 12 w. e come minima i 6 uv. Le sferule conservano sempre la loro tinta jalina, e risaltano bene in seno al cordone gial- liccio prodotto della gelificazione dei filamenti miceliali. Il protoplasma che- contengono, (almeno nei casi osser- vati, cioè in fiocchi che si erano sviluppati da due mesi) è fimamente granuloso e trasparente, l’esosporio, o per meglio dire la membrana esterna non è affatto ispessita. Forse ciò avverrà in un'epoca posteriore a quelle nelle quali vennero fatte da me l’ osservazioni. Il micelio bianco non sembra atto a sporificare. Pa- recchie volte ne seguii lo sviluppo, sia in coltura in grande, che cellulare onde vedere se compariva qualche apparec- chio riproduttore, ma non mi venne mai fatto constatarne la presenza. Ciò tenderebbe maggiormente a convalidare l’ i- dea, essere il micelio bianco destinato esclusivamente alla diffusione delle specie; però non è del tutto impossibile che quello, direttamente proveniente dalla germinazione delle ascospore, possa produrre dei microconidi come del re- sto fu constatato dal Brefeld ') per specie congeneri, cioè Rosellinia velutina, R. librincola, R. pulveracea, R. ambigua ecc. per tacere di molti altri funghi affini. Le ascospore di /?. aquila, assoggettate a varie colture, non germogliarono mai. Nella maggior parte dei casi il mi celio bianco che si sviluppa copiosamente sopra i rami posti in coltura, proviene da micelio preesistente. Io ho sempre constatato una forte produzione di detto micelio bianco, tutte le volte che assoggettavo a coltura dei rami portanti i periteci della Rosellinia. Soltanto quando detti periteci erano vecchi assai e vuoti, ed il ramo fradicio, allora non aveva luogo sviluppo di miceli. La /osellinia aquila non vive sul legno putrescente. 1) Brefeld Unters. Ges. Mykol. Heft X, Ascomyc. II, 1891. 14 , Potei ottenere micelio bianco anche da esemplari che stavano in erbario da due anni. Ritengo però che que- sto periodo di tempo non sia l’ultimo limite di resistenza vitale del micelio di /tose/ln:a aquila. Detta resistenza notasi pure nella Dematophora ed in altri funghi. Quando si sviluppano i periteci, il micelio ha invaso tutti gli elementi corticali, ha attraversato spesso anche la zona generatrice intralibrale, e non di rado si è pure internato negli elementi legnosi. L’assisa subero-felloge- nica è largamente invasa ed il contenuto dei suoi ele- menti è largamente attraversato da filamenti miceliali che lo consumano, gli elementi floematici ricchi di sostanze pla- stiche sono pure inquinati di miceli. . Questi filamenti, come dissi, si portano spesso anche nella zona generatrice intralibrale e la spogliano degli elementi plastici di cui è ricca, si insinuano pure tra gli elementi legnosi, penetrando a preferenza in quelli dei raggi midollari. I tubi miceliali interni diversificano da quelli esterni poichè non conservano lo stesso diametro in tutto il loro percorso, bensì sono più o meno allargati, inoltre sono spesso sinuosi, talvolta assai grossi tal altra molto sottili, presentano spesso delle ramificazioni. In prin- cipio contengono un plasma trasparente, sono incolori, ed hanno una membrana sottilissima; in seguito però si fanno bruni, robusti, si dividono frequentemente con setti. Egli è principalmente nel legno vecchio che si vedono tali filamenti miceliali, ed alle volte sono sì copiosi e riu- niti in punti determinati, da dare al disco del ramo in taglio trasversale l'aspetto picchiettato, mentre la sezio- ne longitudinale presenta delle linee nere, sinuose, ana- loghe a quelle prodotte dallo stroma di molte Diaporthe, Eutypa ed altri funghi. Questi miceli bruni non hanno però perduta la loro vitalità, cosicchè ponendo in coltura un ramo tagliato, vediamo formarsi nella regione del ta- glio, come dissi altrove, una peluria bruna, proveniente direttamente dal micelio interno e costituita da filamenti 15 analoghi, ma che rimangono sterili. Se il micelio bruno non è molto vecchio, dà origine, come dissi, anche attraverso al legno, a micelio bianco. I filamenti miceliali bianchi che serpeggiano tra gli strati di periderma, non sono isolati bensì raccolti in fa- sci, in nastri od in ammassi più o meno irregolari. In certi punti anche sotto parecchi strati di periderma questi cor- doni miceliali delicatissimi, diventano generatori, e danno origine ad un fascio di filamenti pure bianchi che si innalzano perpendicolarmente al cordone stesso, ed eser- citando col loro sviluppo una pressione sempre crescente sul sovero sovrastante, determinano in breve la rottura di tutti gli strati, ed escono attraverso l'apertura così for- mata (Tav. I, fig. 9-10). Usciti si allungano notevolmente, si ramificano riccamente e costituiscono il micelio bianco, il quale in breve raggiunge notevoli dimensioni. Questo micelio dopo aver vegetato per un tempo piuttosto lungo, se non è venuto in contatto con altri substrati, e se si trova in condizioni sfavorevoli, si raccoglie in cordoni, ed assume quella tinta giallastra che abbiamo ricordata, i cordoni si avvizziscono mentre che nel loro seno si dif- ferenzia spesso una porzione di filamento in clamidospore. Nei rami infossati nel terreno invece i filamenti ispessi- scono un pò le pareti, divengono rigidi ed assumono una tinta bruna. Costituiscono allora il micelio bruno esterno. Nel punto in cui i filamenti escono a fascio dal ramo, quando sono passati allo stato di micelio bruno, si sal- dano in modo da formare uno strato di pseudo-parenchima press’ a poco alla superficie del ramo. Talvolta i fasci di micelio bruno sono così avvicinati l’uno all’altro che in seguito alla formazione del pseudo-parenchima suddetto, ha luogo pure la formazione di una specie di crosta pseudo- parenchimatica che ricopre il ramo col suo micelio bruno, anche per estensioni notevoli. Più spesso però i fasci di micelio sono assai ravvicinati ma ognuno è coperto da una speciale corteccia scleroziale. In seno alla massa di 16 micelio bianco sottostante compaiono poi i periteci come vedremo in seguito, ed è perciò che spesso questi inva- dono il ramo per grandi tratti. Io ho osservato un grosso ramo di acero il quale per ben 40 centimetri era tutto co- perto di periteci fittissimi. Avvenuta la formazione della crosta pseudo-parenchi- matica, spesso in quell’annata non ha luogo un ulteriore sviluppo ; però se la stagione è propizia, i miceli sottostanti a detta crosta, e più spesso i filamenti di micelio che essa porta, emettono delle ramificazioni le quali in breve si sviluppano notevolmente, si ramificano a loro volta, più e più volte, i nuovi rami si innalzano verticalmente sul substrato, emettono simpodicamente delle nuove ramifica- zioni così da avere l’aspetto di candelabri. Gli ultimi rami (che hanno una tinta assai pallida, sbiadita) si rigonfiano all’apice in un conidio ovoidale, trasparente, poi lateral mente a questo conidio, il ramo si allunga nuovamente per breve tratto e all'apice si forma un altro conidio. L’ope- razione si può ripetere anche parecchie volte, sicchè ab- biamo per ogni ramo la formazione di parecchi conidi. (fig. 6-7). Quando i fasci di micelio bianco uscenti dal substrato sono discosti uno dall'altro, come succede nei primi tempi dello sviluppo del fungo, e quando il detto micelio bianco interno non ha largamente invaso l’ospite, allora abbiamo la formazione di cespituli prima bianchi molli, cotonosi, in seguito bruni e rigidi. La crosta pseudo-parenchima- tica, stromatica che porta questi cespuglietti, non è di frequente addossata alla superficie del ramo; al di sotto di detta crosta trovasi il micelio bianco raccolto in mas- se, provenienti direttamente da cordoni o dai nastri di micelio bianco interno e formati per sviluppo interca- lare degli stessi. Questo micelio costituisce colla crosta suddetta un vero sclerozio oppure uno stroma. Detta crosta in seguito a spese del micelio bianco sottostante diventa di parecchi strati ed acquista un forte spessore, 17 Una sezione longitudinale praticata nel tardo autunno od anche al principio dell'inverno in un cespitolo bruno formato nell’anno precedente, ci mostra l’esistenza al di sotto del cespitolo stesso di un corpo scleroziforme, co- Stituito, come dissi, dalla crosta stromatica, prima ricor- data, che diventa col tempo grossa, nera e dura, e dal mi- celio bianco sottostante. Non sarebbe inesatto considerare questo: corpo scleroziale un vero stroma, poichè presenta tutte le caratteristiche di certi stromi di altri pirenomiceti, specialmente degli affini Hypoxylon. Oltre a ciò in seno al micelio bianco, sia sottostante alla crosta pseudo-parenchimatica, sia ancora in regioni più profonde si formano numerosissimi periteci. Tutta la massa di micelio bianco continua a svilupparsi ed a por- tarsi all’esterno facendo pressione sulla crosta stromatica stessa la quale finisce col rompersi non potendo tener dietro allo sviluppo dei periteci, e questi alla fine escono dal corpo scleroziale, e rimangono al disopra della crosta stessa, attorniati dal fitto micelio bruno esterno. Non è raro il caso di vedere i periteci formarsi in seno a micelio bianco proveniente dai tessuti invasi e non differenziato in crosta stromatica alla periferia. In tal caso i sottilissimi filamenti ricchi di plasma provenienti dalla massa di micelio bianco serpeggiante tra gli strati di peri- derma, collo sviluppo spingono in su il micelio bruno ste- rile, esterno, come lo mostrano le fig. 10 e 12 della tav. I. Circa l'origine dei periteci devo dire che essi si for- mano direttamente a spese del micelio bianco ricco di plasma che costituisce il corpo dello sclerozio. (Continua) 18 Suoli effetti di alcuni insetticidi applicati direttamente suoli insetti. In questa serie di esperienze di cui ora pubblichiamo una piccola parte, colla promessa di pubblicare anche la rimanente, abbiamo voluto constatare sperimentalmente l’effetto di alcuni fra gli insetticidi più giustificatamente consigliati, applicati direttamente sugli insetti. Abbiamo usato un piccolo polverizzatore, per met- terci così quanto più era per noi possibile, in queste espe- rienze di laboratorio, in condizioni analoghe a trattamenti piu larghi sul campo, dove è la pompa a getto polveriz- zato che più si presta a bene e sollecitamente distribuire i liquidi velenosi sugli insetti. Ad evitare il sospetto che l’azione degli insetticidi stessi potesse essere modificata dall’azione dei loro vapori in ambiente chiuso abbiamo usato ampie gabbie di rete metallica esposte in luogo bene ventilato, sotto le quali collocavamo gli insetti spruzzati di liquido insetticida ; dopo averli rimossi dal luogo in cui l’ insetticida stesso fu sparso, perchè l’ eccesso del liquido non influisse troppo notevol- mente sull’ effetto di quella parte che rimane aderente al corpo delle vittime di queste prove. Ed invero succede spesso che bagnando abbondantemente un insetto con un insetticida poco volatile, questo, mentre l’insetto trattato rimane sopraffatto dalla irrorazione e dai primi effetti del veleno, si concentra per evaporazione dell’acqua e il grado di diluizione dell’ insetticida usato si altera scemando, con effetti sempre più tossici. Abbiamo invece calcolato, che si doveva da noi tener conto soltanto dell'effetto del li- quido aderente al corpo dell'insetto e perciò ci parve del caso la precauzione sopra indicata. Nella serie di prove che ora esponiamo, abbiamo scelto come soggetti ottimi di esperimento le grosse larve di Ocnerta dispar L., prossime a incristalidare, come insetti tra i più resistenti all’azione tossica degli insetticidi. Di 19 più ci parve facile constatarne la morte, dal mancato in- crisalidamento oltrechè dalla maggiore o minore immobi- lità di insetti ordinariamente vivacissimi. Notiamo che scegliemmo le larve che ci parvero più sane per evitare di sottoporre a prove bruchi malati per- chè internamente divorati da mosche parassite (Zackina) cosicchè potesse sorgere poi il dubbio se la morte ai ve- leni o piuttosto ai parassiti fosse dovuta. Era però facile evitare questo pericolo giacchè per cattiva sorte (cat- tiva per i boschi di questa Scuola spogliati dalle larve in discorso) solo una parte di larve insignificante (da noi calcolata approssimativamente dall’ 8 al 10°/) era attac- cata dai parassiti suddetti. Abbiamo usato i seguenti insetticidi. Solfuro di carbonio solubile, stemperato nell’ acqua in emulsione al 2%, al 5% e al 109. Petrolio solubile (reso emulsionabile colla aggiunta di sapone resinoso) al 5°/, e al 10°/. Olio pesante di catrame (reso ancor questo emulsio- nabile coll’ aggiunta di sapone resinoso), al 1°/%, 2%, 2% (Per questo insetticida adottiamo come più breve, la greca traduzione della parole OZzo di catrame, usata dai fab- bricanti che mettono in commercio questo insetticida sotto il nome di /22teleina). Estratto fenicato di Tabacco della Ditta Rognone, Gra- deg Torno, sciolto nell'acqua: al 29 e al 5%. Osserviamo finalmente che per testimonianza dei fab- bricanti, come per analisi nostra, il solfuro di carbonio solubile, il petrolio solubile e la ttelezna contengono l839/ circa di principio attivo. Quanto all’estratto fenicato di Tabacco Rognone, nulla possiamo dire circa la sua composizione perchè ci è ignota. I risultati delle nostre prove sono riassunti nelle se- guenti tabelle dove il confronto degli effetti riesce più fa- cile e pronto, 20 Esperim. 1. Esperim, 2, Esperim. 3. —————— rm se ario oi {Numero e condizione ‘trattamento. Pitteleina al 0 e 0 5 larve femmine delle larve prima delli larva maschio. Applicazione piuttosto ‘6 pom. Giorno ro Giugno, ore 10 pom. | Giorno 12 Giugno, ore 6 pom. Giorno 15 Giugno, ore 5 pom. Giorno 17 Giugno, ore 6 pom, Giorno 9 Giugno, ore|La larva di ma- schio è in terra e non ha forza di salire, tutte le al- tre si sono arram- picate sulla tela della gabbia. Pre- sentano gocciole di emulsione sui peli e la pelle, tra i peli, lucente co- me se verniciata. La larva maschio e una femmina sembrano morte perchè messe sul ventre non si vol- tano, le altre a toccarle presen- tano traccie di sensibilità, ma so- no immobili. Due giacciono in terra apparente- mente morte, due sono sospese € due sono incri- salidate. Quattro morte; 2 incrisalidate. Estratto di Ta- bacco fenicato Rognone al 5, Pitteleina all’ 1°/, _Tr———_—_1m__— mr ——m_6y6T6T ymam@——.vry———6m6—6——m—n@@ 8 larve femmine.|6 larve femmine. abbondante degli insetticidi, praticata Tutte salite sulla tela della gabbia, nel resto come nel caso prece- dente Nn): Tutte salite sulla tela della gabbia, nel resto come nel N. 1. Sette larve anco-|Una sembra mor- ra camminano;|ta, due presen- una immobile, tano traccie di sensibilità, le al- tre tre cammi- nano. Una morta, una|Due morte, una interraimmobile,|sospesa e 3 giac- cinque vive e so-|ciono in terra spese sulla tela,|pressochè immo- tre crisalidi, bili. s morte e tre in-|Tutte morte. crisalidate. > dati di Esperim. 4. Esperim. 5. Esperim. 6. Solfuro di carbonio Solfuro di carbonio Petrolio solubile solubile al 2°/, solubile al 59, al 10%, 6 larve femmine, 6 larve femmine. 6 larve femmine. con polverizzatore nel giorno 9 Giugno ore 5,45 pom. Due in terra e quattro|]Nessuna salita sui ferri|Due salite sulla tela della salite sulla tela della gab- della gabbia, sembrano|gabbia, ma rimangono bia; mel resto come N. 1.|morte ; del resto bagnate|penzoloni attaccate alla come nel N. 1. tela stessa colle zampe posteriori; nel resto come DEleNzI: Tutte presentano traccie Tutte presentano traccie|Sembrano tutte morte, di sensibilità; tre hanno]di sensibilità e alcune an-|quelle in terra giacciono] emesso i fili per incrisa-|.che camminano. ammucchiate come fu- lidare. rono poste. Una in terra viva, una|Quattro giacciono interra| Tutte morte e in via di sospesa e quattro sono|forse morte, e due sono|disseccamento. incrisalidate. sospese ma non incrisa- lidate. idem come sopra. deri COMCCSOpra.ie, Sliescraczesnr neces fgenialidiz ana morta:in/Tutte morte. 0 =_= terra, una fuggita. 22 Esperinì. 7. Esperim. S. Esperim. 9. (Numero e condizione delle larve prima del trattamento Tabacco fenicato ditta Rognone Pitteleina Solfuro di carbo- al 2°/, al5% nio al 10°/, | s larve femmine|s larve femmine |5 larve de iprossime ad in-|prossime a in-|prossime a in- icrisalidare e vi-|crisalidare e vi-|crisalidare e vi- \vacissime. vacissime. vacissime. | Applicazione piuttosto abbondante degli insetticidi, praticata col polverizzatore nel giorno 12 Giugno a ore 7 pom. (Giorno 13 Giugno, ore (6 pom. Giorno 15 Giugno, ore 6 pom. (Giorno 17 Giugno, ore 6 pom. Upa morta, una!Quattro morte,|Tre morte, una salita sulla telaluna presenta|sensibile viva- della gabbia, e| leggerissime |cemente e una] tre in terra che|traccie di sen-|cammina. presentanotrac-|sibilità, cie di sensibilità e anche cam- minano. Due sono mor-| Tutte morte te, tre sono vive ecamminano se Tre morte, due vive che cam- minano se toc- toccate. cate. Una isola vival......--- Setea Idem come so- iche cammina, pra, però le vive, lle altre morte. sì presentano meno vivaci e non possono ar- rampicarsi. 23 Esemp. 10. Esemp. li. Esemp. 12. Petrolio solubile |Pitteleina al 2 °/, Pitteleina | al 5%/ all'1% ! Numero delle larve e|5 larve di fem-|s larve di fem-|s larve di fem- loro condizione prima|mina prossime|mina prossime|mina prossime del trattamento. a incrisalidare e|ad incrisalidare|a incrisalidare e vivacissime. e vivacissime. |vivacissime. Applicazione abbondante degli insetticidi, praticata col polverizzatore, nel giorno 15 Giugno a ore 4 pem. Giorno 17 Giugno, ore| Tutte morte, |Morte tutte fino|Una morta, una s pom. nessuna ha po-|dal giorno 16,|in terra vivace, tuto salire sullaimon hanno po-|e tre incrisali- tela della gab-|tuto salire sulla|date. bia tela nè muover- si dal posto in cui furono trat- tate. Riassumiamo quindi nel quadro che segue i risultati sovraeposti nelle precedenti tabelle. cofoI *9) |00*5*juan|00°7 used OUON | 9INOTPIU *IUIOIS *IUJOIS S odop | 92)10U1 9]10UI OAIE] AIB] 21,1, | 9] ONNI "6 "9 *“1OdstH | ‘u0dstH WATT LI OIUO.IR) *qRInosga) uI01S £L odop [odop 198 o 12 0 LUO (IR) ns C]IioWI VAIC] 14010] 4 *“10dSH 0 ” 06 IP OLUOatO Ip 04nJ[og| Ip oanypog|ip_ o4ngoc SI UO] SL 9u99|52°813U389|00°£ 3099 [004 *u99 09°1‘]099) g‘o ‘]u99 0}o]duo) ‘101013 £ odop 9]J10UI QAIC] 9] NNT, °9 *I10dsHg 0) 004 I 01[01)9q] opaxdno) | 0)oxduro9 UJOI3 | *10.1013 t odop | S odop 9)J0UI 9].J0 0 QAIL] FAIR] 9] 2UNL |] UNI "OI "E *JOdSH | *10dST og ge | 8 I 01]01]oqg | V9BABI, 0)}V1ISH QuUOnNq *IUI013 t odop onburo ns 9)10U0I QAICI OInenòÒ Se *I1O0dSH 0) (0) ta LG OVICUI, 0)}R1)SH] 0)9[duro) IUJOIS £ odop 2} J0UWI QAIE[ I 9NDL "8 *1O0dSH 0/ Gm /od TB VuI9d]I]}K] QUONI ‘QUIOIS un odop 9]10UI QAIE] ST 2HNL "II *10dSH "IUIOIS S odop 198 ns 911001 SAIL] OINnenò "I *IOdSH ) - (LC) Il CuI]d] ILPA | *QUINISVI] *"IU1019 t odop aonburo ns ezio BAJE[EU(] "GI *10dSH *IU1015 s odop ‘07)})O ns 2)1J0U QAIP] onbur9 Vo II CORI] BI] Ip rWIs9ZU89 ur (ouoiziod -o1d e]eoiIp -UI E] Opuo9 -0s O3NIIp) Bpiomn} osuI Ip oJn[ unos -EIO IP 0])SO9 | OFVIINSTA | 25 CONCLUSIONI Ed ora ecco le conclusioni che si possono trarre, a parer nostro, dalle esperienze sopra esposte. Non è il caso di sottilizzare troppo sui dati segnati nelle tabelle prece- denti, perchè riconosciamo anzitutto la ristrettezza degli esperimenti nel loro numero, e avvertiamo una quantità di circostanze delle quali non è possibile tener conto, per- chè inerenti allo stato di maggiore o minore vitalità delle larve sottoposte ad esperimento, o a condizioni diverse per ogni singolo individuo trattato, nel momento stesso dell’applicazione dell’insetticida. Riconosciamo inoltre che per ottenere dati più sicuri e positivi, sarebbero neces- sari esperimenti in gran numero, per attenersi poscia alle medie dei singoli risultati. E questo è nella nostra intenzione di fare in seguito, con maggiore ampiezza e su più larga scala. Ma per ora alcuni risultati salienti, sono a parer no- stro egualmente apprezzabili nel nostro caso e su questi insistiamo. Nè trascureremo anche considerazioni d’in- dole economica ben sapendo che quando dagli esperi- menti di gabinetto si passa alla loro applicazione indu- striale, accanto alla efficacia massima, è richiesta anche la massima economia. Dalle esposte tabelle risulta adunque senza dubbio, come dato più saliente, la minore attività della emulsione di solfuro di carbonio per applicazione diretta, in con- fronto delle altre sostanze impiegate. Diffatti (esp. 4) il solfuro di carbonio in emulsione al 2°, dopo sette giorni uccide una sola larva su sei; in emulsione al 5°/ (N. 5), muoiono tutte nel predetto ter- mine, e in emulsione al 10%, dopo quattro giorni, due larve su cinque sono ancor vive, lasciando supporre che 26 nel termine di giorni sette, come nella prova N. 5, sareb- bero egualmente tutte morte. Ma qui è evidente che non si tratta più di azione del solturo di carbonio nè per vapore nè per contatto diretto, poichè è impossibile supporre, che per quanto frenata la svaporazione del solfuro stesso per l’azione dell’acqua e della sostanza saponosa, questa dopo un giorno dall’ap- plicazione non abbia sperduto nell'aria tutto il principio attivo. La morte quindi delle larve è dovuta evidente- mente al sapone che deve agire sia come insetticida, sia meccanicamente impedendo la respirazione. Diffatti l’azione immediata del solfuro di carbonio sulle larve è dimostrata o dalla pronta morte degli insetti quando l’insetticida è in dose forte (N. 9, tre riconosciute morte su cinque il giorno dopo del trattamento) o da una specie di sbalor- dimento che tronca l’attività delle larve stesse abbatten- dole quasi le uccida, senza però impedire che in se- guito, svaporato il solfuro, le larve in quello stato non riprendano almeno in parte la loro attività. Le prove al N. 4 e 5 dimostrano precisamente questo effetto, in modo evidente. Confrontata poi l’azione del solfuro di carbonio in emulsione a dosi del 2%, 59, 10° con quanto risulta per gli altri insetticidi nelle stesse proporzioni, si ricono- sce quanto esponiamo qui appresso. In dose al 2° non ha azione apprezzabile. Una sola larva morta (dopo 7 giorni) su 6, e le cin- que rimanenti perfettamente sane o ristabilite dal primo effetto dell’insetticida. Neghiamo adunque l’azione letale dell’ insetticida sud- detto nella proporzione del 2°%/ almeno per gli insetti sot- toposti all'esperimento, mentre nella stessa proporzione vedremo la /’0teletna e l estratto di Tabacco Rognone, molto più attivi. Il solfuro di carbonio in emulsione al 59/ (N. 5) si mostra di azione sempre poco efficace ed incerta, non uc- cide nessuna larva immediatamente e queste muoiono in 27 seguito per altra cagione estranea all’azione del solfuro, mentre l’estratto di Tabacco Rognone nelle stesse pro- porzioni (N. 3) uccide tutte le larve dopo cinque giorni dall’ applicazione, e la /?tteleina ed il Petrolio, sempre al 5% (N. 8 e 10) uccidono tutte le larve dopo tre giorni (Pitteleina) o dopo due (Petrolio). d’uopo giungere alla dose elevata del 10°/ perchè il solfuro di carbonio (N. 9) presenti azione evidente per quanto incompleta e sempre inferiore a quella della /%t teleina-al 2%, del Petrolio al 59/, e dell'estratto di ta- bacco Rognone al 2°/. L'azione adunque in questo caso del solfuro di carbonio in emulsione al 10%, non può es- sere paragonata che a quella della P?ttelezna all’ 19: ONAEZZETN. 12). Questi risultati sui quali ci sembra di non poter muo- vere obbiezione, ci inducono ad escludere la maggiore efficacia del solfuro di carbonio in emulsione applicato agli insetti direttamente in confronto degli altri insetticidi da noi sperimentati. Non entriamo poi a discutere della azione dell’insetticida a dosi così elevate sulle piante per- chè non è qui il caso, ma quanto al costo del liquido in- setticida diluito nelle indicate proporzioni accenniamo nella relativa tabella. Per il petrolio abbiamo usato dosi forti, ma esclusa quella nella proporzione del 10° di insetticida come di forza superiore alla necessaria, abbiamo ottenuto gli stessi clictoh cioè morte di tutte le larve, colla dose del 59. Non abbiamo insistito più oltre, per riguardo al prezzo del principio attivo, e alla difficoltà di ottenerne economi- camente una mescolanza prontamente solubile. Più pra- tici e più attivi ci risultarono dunque la /iffeleina e 1’ e- stratto di Tabacco Rognone. Per questi insetticidi come per il petrolio, si nota come effetto sugli insetti, il gra- duale loro avvelenamento, cosicchè se le larve appena trattate sembrano pressochè indifferenti all’azione del- l’insetticida, questo in processo di tempo vince la loro vi- 28 talità e le uccide. E qui giacchè per questi due liquidi i risultati si possano dire equivalenti (per quanto si sia ottenuto resultato assoluto colla /2zftelezna al 2° e col l'estratto di Tabacco Rognone solo al 5%/ può trovar posto la discussione della convenienza dal lato economico di un insetticida piuttosto che dell'altro. La tabella che esponiamo qui in fine, fa rilevare queste differenze di prezzi. Avvertiamo inoltre che i prezzi stessi sono desunti dai cataloghi e listini di fabbriche speciali e che quindi non ne assumiamo per conto nostro alcuna responsabilità '). Tabella che rileva l’effetto dei diversi insetticidi a diverse diluizioni e il loro prezzo calcolato in centesimi di lira per ciascun litro (di soluzione od emulsione acquosa). Risultato Risultato Risultato mediocre buono completo Solfuro di carbonio solu- | Cent. 5,00 Cent. 10,00 bile Prezzo L. 1,00 il Kilogr. Petrolio solubite Prezzo Cent. 7,50 L. 1,50 il Kilogr. Estratto di Tabacco Ro- Cent. 3,00 Cent. 8,75 gnone Prezzo L. 1,75 il Kilogr. Pitteleina Prezzo L. 0,80 Cent. 1,6 Cent. 4,00 il Kilogr. -——_______ n —————————————t—t—t—t————@——t—1mt———————@ Prof. ANTONIO BERLESE Dott. NICOLA BocHICCHIO ì) Per il Solfuro di carbonio solubile, Petrolio solubile, e Pitteleina, Vedi Catalogo della Fabbrica A. Petrobelli e C.° in Padova. Per l’ Estratto di Tabacco fenicato, vedi Listino della Ditta Rognone, Gra- glia e C.° — Via Ospedale 36. Torino. 29 RASSEGNE Prillieux et Delacroix. La Nuile, maladie des Melons, pro- duite par le Scolecotrichum melophtorum. — In Bull. Soc. Myc. France 1891, db. 218. Sotto il nome di Nuile (nebbia) gli ortolani francesi indicano una speciale alterazione patologica cui vanno soggette varie piante colti- vate, fra le quali principalmente i melloni. I recenti studi di Prillicux e Delacroix hanno stabilito con sufficiente certezza quale ne sia la causa, che prima si riteneva essere data solo dall’ influenza nociva di un insieme di condizioni atmosferiche sfavorevoli. La nuile dei melloni si appalesa sotto forma di pustole brunastre sparse sugli steli, sulle foglie e su’ frutti, macchie che si allargano e si approfondiscono corrodendo i tessuti. Nel loro interno si trova il micelio di un fungo, che non tarda a fruttificare, ricoprendo le pu- stole con un fitto strato di ife conidiofore olivacee, erette, settate portanti all'apice, od ai lati di questo, i conidii dei quali alcuni ri- mangono indivisi ed altri, che ingrossano un po’ di più, si dividono, a mezzo di un setto mediano, in due loggie. Tale fungillo è stato ri- ferito al genere Scolecotrichum (Hyphomyceteae-Dematieae Sacc.) e denomi- nato Scolecotrichum melophtorum. Gli autori suddetti contano di poter studiare più estesamente lo sviluppo e le fasi della malattia onde poter dopo consigliare i rimedi più efficaci contro questo nuovo parassita, il quale è abbastanza dif- fuso in Francia, a giudicarne dai campioni provenienti contempora- neamente da Versailles, Lonjumeau (Seine et Oise) e da Montrichard (Soir et Cher). È utile ricordare due altre malattie dei melloni i cui caratteri esterni si avvicinano alquanto alla presente ma che poi ne differiscono so- stanzialmente: la prima, detta anche nebbia delle mellonaje, dovuta al parassitismo del Gloeosporium Lagenarium (Pass.) Sacc. et Roum. fu osservata nel 1843 da Montagne in Francia, nel 1867 dal Saccardo e dal Passerini a Padova ed a Parma, nel 1876 in Inghilterra da Berke- ley; la seconda causata dal parassitismo del Colletotrichum oligochaetu m descritto nel 1889 da Cavara, fu da questo autore riscontrata abbastan- za frequente nelle mellonaie dei dintorni di Pavia. Amendue queste 30 specie di funghi appartengono all’ordine dei Melanconiei, famiglia delle Jalospore e non sono quindi affatto confrontabili con la specie recen- temente descritta da Prillieux et Delacroix. V. PEGLION. W. Zopf. (Ueber die Wurzelbraine der Lupineen, eine neue Pilz- krankheit (Intorno all’ annerimento delle radici dei Lupini, nuova malattia prodotta da Funghi). In Zeitschr. fùr Pflanzenkrank. II, Heft. 1891). Sopra i Lupini il Prof. Zopf notò un parassita, ch’ egli aveva fin dal 1876 nominato Tbielavia basicola, e che lo ritenne ora causa di una nuova malattia dei Lupini distinta dalla Ruggine e dalla Nebbia pro- dotte pure dal parassitismo di funghi. (Uromyces Genistae-tinctoriae, U. Anthillidis, Erysiphe Martii, E. communis). In questa nuova malattia viene intaccata la parte ipogea della pianta, e nel corso del tempo questa parte prende una più o meno intensa colorazione bruna che in seguito diventa affatto nera. Quando l’imbrunimento ha raggiunto il più alto punto, le radici si raggrinzano, e presentano un'alterazione putrida così profonda, che a voler strap- pare una pianta malata dal terreno, ne segue invece con estrema fa- cilità la rottura della stessa, al limite tra la parte epigea e l’ipogea. Di mano in mano che l’alterazione putrida procede fino a raggiun- gere il suindicato limite, si manifestano pure delle perturbazioni nella funzionalità delle radici, dal che ne segue un’evidente alterazione pa- tologica degli organi epigei. Le piante intaccate, in rapporto alle sane rimangono stentate, hanno caule sottile, piccole foglie per lo più gial- liccie, e scarsi fiori, e producono semi stentati. Oltre ai Lupini questa malattia si manifesta anche nei Piselli, nella Trigonella coerulea, etc. Il fungo che produce questa malattia, presenta diverse forme di organi di riproduzione e cioè due conidiche ed una ascofora. La pri- ma forma conidica è data da conidi piccoli ovoidi, destinati alla dif- fusione del parassita. La seconda forma è costituita da conidi bruni, settati somiglianti alle teleutospore di Phragmidium, e secondo lo Zopf stesso riferibili alla Torula basicola di B. et C. Questi conidi per la loro grossa membrana e per il loro contenuto sono da considerarsi come organi ibernanti (Daverconidien) e destinati a conservare la spe- cie. La forma ascofora infine è data da piccoli periteci, astomi bruni, contenenti aschi ottospori. La struttura speciale del peritecio, la forma degli aschi etc,, fanno collocare questa specie tra le Perisporiacee, 31 Fin ora la malattia si è sviluppata su piccola scala, per cui non ap- porto danni tali da condurre allo studio dei rimedi. A. N. BERLESE. Rassegna di Entomologia Agraria Per l’importanza del soggetto, come pure per la accuratezza con cui la questione è trattata, meritano speciale menzione i lavori della R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze, intorno alle sostanze insetticide e alle sperienze con queste praticate. I lavori costituiscono una serie che non può esser interrotta senza comprometterne la in- telligenza, per cui vanno riveduti tutti nel loro nesso e nei particolari. Emulsioni insetticide (Giornale Le stazioni sperimentali agrarie Ita- liane, vol. XX). Gli autori (Chh. prof). A. Targioni-Tozzetti e G. Del Guercio) ri- levano che la formula che il prof. Franceschini consiglia per emul. sionare l’olio pesante di catrame, ed usarlo in seguito contro la Diaspis pentagona cioè , Insetticida . - : o Riza Soda Solway . 7 5 350010 Acqua. . - î . 087,723 con cui è cercata piuttosto una condizione di equilibrio tra l’insetti- cida più denso dell’acqua e l’acqua stessa densificata colla soluzione del sale, è non solo un regresso di fronte alle vecchie formule della R. Stazione di Entomologia agraria, colle quali almeno una mesco- lanza più completa dell’insetticida nell’acqua pure si otteneva, ma non risponde neppure allo scopo che il Franceschini stesso si prefiggeva, poichè per ottenerlo sarebbe stato necessario maggior concorso di sale solubile, cioè in soluzione del 9%, nell'acqua. (Questo al TON. di temperatura e per un olio pesante di catrame colla densità 8°, 5 B.°). Nella distribuzione poi del liquido, risultante dalla composizione di un’ acqua così salina, € dall’olio di catrame nelle suindicate pro- porzioni, si ha immediata separazione del liquido acquoso dall’ inset- ticida, con effetti difformi sugli insetti da combattere e disastrosi sulle gemme delle piante. Questa miscela per quanto possa essere più © meno vantaggiosamente impiegata nella lavatura dei tronchi e dei rami dei gelsi, spogli di fronde durante l'inverno, non può assoluta- 32 mente essere usata nella aspersione di piante in attività di germo. gliamento. Così i risultati delle sperienze accurate e numerose condotte dalla R. Stazione di Entomolog. Agraria, sono i seguenti: 1.° Che tutti i miscugli, qualunque sieno i rapporti delle densità dei componenti, rimangono eterogenei e di stabilità mal sicura; 2.° Che l'omogeneità e la stabilità vanno crescendo dal miscuglio puramente acquoso a quello acquoso salino neutro, a quelli acquoso alcalini e fra questi dal miscuglio con carbonato di soda, a quello con carbonato di potassa. 3.° Che scemano invece per l'aggiunta di acqua, anche in pro- porzioni inferiori alla dose per la quale si riduce a 4,5%, la propor- zione del sale disciolto per miscugli con olio di catrame; ed aumen- tano invece, ed anche oltrepassano fino a un certo punto quest’ul- timo termine nei miscugli con acido fenico. Gli autori in seguito trattano dei Miscugli alcalini oleosi, ecci- pienti il Solfuro di carbonio, il Petrolio, l’acido fenico e l'olio pesante di catrame. Tutte queste mescolanze però si presentano poco stabili se allungate coll’acqua poco diversamente da quelle sopraricordate. Vengono esposte in seguito le emulsioni che si possono ottenere mescolando gli insetticidi sopranominati a soluzioni gelatinose, ad es. secondo la formula Solfuro di carbonio . ; : 10,0 Colla4 . ; : 5 i 5 3,6 Acqua . SIRO ; 7 o 50,0 da allungarsi in 200 parti di acqua. L’aggiunta di olio di pesce al miscuglio, ad esempio secondo la formula Solfuro di carbonio . > «100 Olio di pesce. ; è 7 . 5,0 Golla* n : A Mia 3,6 Acqua . : È . È ; 5,0 ne accresce la stabilità. Per questi miscugli gli autori concludono: 1.° Che la colla riesce come ottimo eccipiente emulsivo nell’acqua, nella proporzione del 1 e del 2°/, ed anche in proporzione minore. 2.° Che dei corpi sperimentati, quelli che meglio si mescolano con la colla, sono in rapporto decrescente: 1,° acido fenico, 2.° l’olio pesante di catrame, 3.° il solfuro di carbonio ed il petrolio, isolati o fra loro variamente mescolati, (Continua) | PITTELEINA (Oto di catrame solubile formula Prof. A. BERLESE) A DELLA = FABBRICA DI PRODOTTI CHIMICI ai ED APPARECCHI CRITTOGAMICI ED INSETTICIDI A, PETROBELLI e C.° Padova | È il più pratico, efficace ed economico insetticida finora conosciuto. Si scioglie prontamente in qualunque proporzione nell’ acqua. «La sua soluzione all’ 1 p. °/, è efficacissimo insetticida contro la | Tignuola del melo (Hyponomeuta malinellus), il Pidocchio del me- «lo (Schizoneura lanigera), la Cimice del pero (Tingis pyri), la Ti- gnuola della vite (Cochylis ambiguella) e contro le larve di tutte le ‘| Cocciniglie (pidocchi) degli agrumi, e gli Afidi, ; Si distribuisce sulle piante col mezzo delle pompe irroratrici da | peronospora. ° La Pitteleina è V’insetticida più attivo contro gli insetti che si co- | nosca, e nella indicata proporzione, affatto innocuo alle piante. La Pitteleina è l’insetticida più economico che si trovi finora in com- pr poichè la sua soluzione acquosa all’ 1 p. °/, costa meno di un | centesimo al litro. 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Ogni numero consta di 3 fogli di stampa (pagine 32 contiene 1-2 tavole litografiche colorate od in nero, nelle quali sono accuratamente figurati.i parassiti animali e vegetali e le alterazioni che questi producono nelle piante. a Il testo è destinato alla descrizione dei detti parassiti, delle mala tie ed ancora all’ esposizione dei rimedi ed esperimenti più efficaci p combattere. i parassiti stessi. ae L’annata di 12 numeri costa L. 12, Un numero sej rato costa L. 1,50. i L’abbonamento alla Rivista è annuale e decorre. 1.° Marzo 1892, e si fa presso il Prof. Dott. Augusto Ne poleone Berlese alla R. Scuola Enologica di Avellino. pi Il pagamento è anticipato. ia REI La Redazione Tutti coloro che ricevendo il presente numero a titolo di sag non intendono abbonarsi alla r.% annata, sono vivamente pregati respingerlo al più presto al Sig. Prof. A. N. Berlese ad Avelli III T.-S,.--- . TTT_—_KAR: OTT N—_< Tous ceux qui ont recu le présent numero à titre d’ n’entendent pas de s’abboner è la première année SOTTO LA DIREZIONE DEI PROFF. Dott. AUGUSTO NAPOLEONE BERLESE DOCENTE DI PATOLOGIA VEGETALE î È E PROF. PRESSO LA R. SCUOLA ENOLOGICA DI AVELLINO ma E — Dott. ANTONIO BERLESE i . PROF, DI ZOOLOGIA GENERALE ED AGRARIA |°—‘’NELLA R. SCUOLA SUP, D'AGRICOLTURA DI PORTICI a p m. 2-5. Aprile-Luglio 1892. PADOVA | — TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO SOMMARIO OO A. N. Berlese — Rapporti tra Rosellinia e Dema- | tophora (cont. e fine) con tav. II < «DAB A. Berlese — Contro l’ Ocneria dispar. » » — Intorno alle Cocciniglie degli Agrumi ed al modo di combatterle A. N. Berlese — La fitoptosi del Pero (con a IV) A. F. Sannino — Intorno ad una maniera efficace di combattere la Schizoneura del Melo V. Peglion — La distruzione degli insetti nocivi al- l'agricoltura per mezzo di funghi parassiti A. Berlese — Rassegne di Entomologia agraria . Rassegna di lavori di Patologia vegetale Cronaca dei parassiti Notizie . i - RIVISTA DI PATOLOGIA VEGETALE La Rivista di Patologia vegetale, è destinata alla. scrizione ed illustrazione dei parassiti e delle malat; delle piante, ed all’ esposizione dei rimedi esperimen i più efficaci per combattere i parassiti stessi. : IL’ annata di 12 numeri costa L. 12. i L’abbonamento alla Rivista è annuale, ‘acegnedà 1.° Marzo 1892, e si fa presso il Prof. Dott. Augusto. poleone Hone alla R. Scuola Enologica di Avellino. . Il pagamento è anticipato. Tutti coloro che ricevendo il presente numero a titolo di sag non intendono abbonarsi alla 1.* annata, sono vivamente pregati respingerlo al più presto al Sig. Prof. A. N. Berlese ad Avelli SNSNSNSISSE SSIS SS SASSSIS SSIS SSSIINNSSIINISINISNINSNSINTNLI Tous ceux qui ont regu le présent numéro à titre d’essai et’ n’entendent pas de s’abboner à la premiére année, sont instamm priés de bien vouloir le renvoyer au plus t6t a Monsieur le Prof. N. Berlese à Avellino (Italia). Erezione ERO dA ent de te e” Rapporti tra DEMATOPHORA e ROSELLINIA pel Prof. AuGUSTO NAPOLEONE BERLESE (continuazione e fine - con tavola III°) ______ | ——Dissi che la /vosellinia aquila allo stato ascoforo pre- senta dei grossi periteci, mammiformi, con un piccolissimo | ostiolo, e cinti da un denso bisso bruno, dell’aspetto del velluto. (Tav. III fig. 10). a Questi periteci non si formano che molto tempo dopo | cheavvennero l'infezione e lo sviluppo dello stato conidico. «In buon numero di casi, dopo una crescente invasione | dello stato conidiale, e dopo buon numero di generazioni | dello stesso, succedutesi sul medesimo substrato, soprav- | vengono condizioni poco o punto favorevoli allo sviluppo | dello stato ascoforo, e talora anche alla vita di quello co- v: nidiale, per cui il fungo, almeno nella parte esterna, avviz- | zisce e muore. Quando però si mantengono buone con- | dizioni, specialmente di umidità, allo stato conidiale suc- | cede l’ascoforo. i È bene fare osservare che questo_ stato non si forma | che dopo una serie di generazioni conidiali, € quando è | cessata la formazione dei conidi, per cui i peritcci, al loro | uscire dalla crosta stromatica, sono attorniati da un mi- ‘celio che sembra sterile, mentre"è costituito dagli avanzi delle generazioni conidiali sviluppatesi e succedutesi pri- ‘ma della forma ascofora. | Ho cercato di constatare quanto tempo impiegano i pe- riteci per formarsi. Le prime fasi hanno uno sviluppo ra- ‘pido, la parte corticante invece cresce lentamente. In me- dia si può ammettere che alla completa formazione dei 3 3) 34 periteci sia necessario qualche mese. Così per la Dema- tophora necatrix occorrono secondo il Viala, non meno di sei mesi, o per lo meno in questa specie, detti organi non si mostrarono che sei mesi dopo che il mezzo am- biente era stato convenientemente modificato. Però non è fuor di logica l’ammettere che in natura due mesi possano essere bastevoli per avere delle com- plete formazioni periteciali, quando si mantengono le con- dizioni favorevoli. In coltura invece la durata dello svi luppo varia a seconda che le condizioni influenti sono più o meno adatte. i Certo è che questi organi non appariscono che allor- quando i miceli hanno largamente invaso il substrato, e prodotta una più o meno profonda decomposizione nei tessuti, specialmente corticali. Ciò, è bene notarlo, osser- vasi pure nella Demzatophora necatrix come nella /rosel- linta quercina. Forse a questo fatto devesi la particolarità che nella Dematophora necatrix, il Sig. Viala non osservò ancora i periteci sopra ceppi 272 stu. In vero siccome la loro ap- parsa accade allorquando la vite è da tempo uccisa, e soltanto se si avverano condizioni speciali, ne viene che più spesso il ceppo morto viene sterrato e forse distrutto prima dell’apparsa dei periteci, o abbandonato in luoghi nei quali può facilmente sfuggire alle ricerche del pa- tologo. Il Viala, a quanto sembra, non ha seguito la organo- genia dei periteci, poichè non tenne parola dello sviluppo di questi organi. Sarebbe stato assai interessante il se- guire passo passo i periteci nel loro sviluppo, poichè forse si avrebbe potuto avere qualche altro fatto impor- tante sulla loro natura, e sull’affinità che essi presentano coi periteci delle Rosellinie. La mancanza di ostiolo (che non è un fatto di si grave importanza da. allontanare un fungo dalla classe dei Pi- renomiceti, quando tutti gli altri caratteri morfologici e 35 biologici ve lo conducono) si avrebbe forse potuto vedere che è più apparente che reale, come a suo tempo vedre- mo, poichè la direzione degli aschi, delle parafisi, e so- pratutto delle perifisi, avrebbero potuto dimostrare che un accenno all'esistenza dell’ostiolo forse c’ era. A parer nostro, una più completa anatomia del peri- tecio, e lo studio del suo sviluppo, avrebbero potuto for- nire un serio e decisivo concetto circa la natura di que- st’ organo, ed avrebbero potuto dimostrare in quale fa- miglia il fungo era convenientemente collocato. Questi studi ho cercato di fare io sulla /ose/linia aquila e sulla /?. Desmazieri, e spero con essi, almeno per quanto si riferisce all’ anatomia, poter dimostrare che nessuna differenza v’è tra le caratteristiche che presen- tano questi funghi, e quelle proprie alla Demzatophora ne- catrix e ricordate dal Viala nel citato lavoro. Gli stati iniziali del peritecio della Mosel/linia aquila riflettono in linea generale quelli della /. quercira, colla differenza che non vi è un distinto anteridio come lo di- segnò l’ Hartig per quest’ ultima specie. È notevole il fatto invece che gli stati iniziali della no- stra specie ricordano molto da vicino quelli della Xy/a- ria polymorpha, i quali io pure potei seguire in giova- nissimi stromi raccolti nei dintorni di Avellino. Una prima branca miceliale si sviluppa da un filamento del micelio bianco che costituisce il corpo di uno sclero- zio. Questa branca si differenzia dal micelio circostante per il contenuto più rifrangente, e sopratutto per la mag- giore grossezza; si ravvolge in breve a spira sopra sè stessa, mentre della sua base, come pure dallo stesso fila- mento che la porta, si sviluppano parecchi filamenti che l’attorniano, e intrecciandosi tra di loro costituiscono il gomitolo periteciale. (Tav. II, fig. 14). Questo gomitolo si distingue bene dal micelio in seno al quale giace, poichè è formato da filamenti ricchi di pla- sma assai rifrangente. Questo primo gomitolo si ingran- 36 disce, mentre la prima ifa spirale viene presto rias- sorbita. In seguito, nel centro di esso se ne differenzia un se- condo, che si distingue dal primo per essere costituito da filamenti più grossi. È il nucleo periteciale. (Tav. III, fig. 15). La parte esteriore si divide in breve con setti in di- verse direzioni, e va a costituire un pseudoparenchima di parecchi strati. Gli interni mantengono gli elementi a pareti sottili, quelli più esterni invece vanno man mano ispessendosi, e si colorano in bruno. Alla fine le cellule degli strati più esterni si vuotano, ispessiscono molto le pareti che diventano assai oscure e fragili. Nel nucleo periteciale durante la formazione della pa- rete del peritecio avvengono delle importanti modifica- zioni. Anzitutto si divide l’intero gomitolo con setti e va a costituire pure una massa parenchimatosa, molto rifran- gente, nella quale a poco a poco vanno sviluppandosi gli aschi. Questi organi in principio sono costituiti da cel- lule claviformi, che si allungano abbastanza rapidamente, in tubi cilindrici ripieni di protoplasma granuloso e ricco di gocce oleose. In seno a questo protoplasma, per divisione parziale, si formano otto sporidi ovoidali, quasi simultaneamente, i quali per molto tempo si mantengono incolori, e privi di membrana, indi si attorniano di una membrana netta- mente delineata che rimane ialina per parecchio tempo, poi a poco a poco prende una tinta bruna di più in più carica, fino a che a maturità ha un colore intensa- mente fuliggineo. Per molto tempo sono visibili nell’in- terno delle ascospore due (talvolta una centrale) gocce oleose, grandi, le quali sono meno visibili e più piccole negli sporidi maturi, e scompaiono in quelli vecchi. Gli sporidi della /?. a9uz/a hanno lo stesso colore di quelli della Dematophora necatrix e sono un po’ più 37 brevi. Minori differenze offrono quelli della /. quercina e della /e. Desmazieri, (Vab. III, fig. 22) le quali specie, anche per gli stati conidici, si avvicinano maggiormente alla De- matophora. Del resto nelle /osellinie negli Hypoxylon e nelle Xy/aria gli sporidi, sempre intensamente fuligginei, hanno forme che si aggirano tra il tipo quasi isodiame- trico, ed il fusoideo. Spesso sono questi organi ovoidi ed un po’ inequilaterali. Prima e durante lo sviluppo degli aschi, spuntano presso ai loro punti d’inserzione numerose papille, che in breve si differenziano in, vere parafisi, guttulate e divise tratto tratto da setti traversali. (Tav. III, fig. 19). Questi organi sono copiosissimi, un po’ più lunghi del- l’asco, e formano una densa massa filamentosa in seno alla quale sono immersi gli aschi disposti in modo d’aver il loro asse longitudinale parallelo o quasi a quello delle parafisi stesse. Lo strato imeniale, al pari della Demzatophora neca- trix, della /vosellinia quercina, della Xylaria polymor- pha, e di altri funghi, non si limita alla parte basilare in- terna del peritecio, bensì occupa quasi tutta la superficie interna dello stesso, in modo che gli aschi dirigonsi radial- mente verso il centro del peritecio. Verso la parte supe- riore gli aschi mancano, non-così le parafisi, le quali vanno facendosi gradatamente più corte man mano che si av- vicinano all'apice, e costituiscono le perifisi, che disegnano in tal modo il canale ostiolare, il quale attraversa l'in- tera papilla di cui è provveduto il peritecio. Analoga co- stituzione abbiamo nella /Mosellnia quercina (per tacere di moltissimi altri pirenomiceti) e sarebbe necessario, che tagli longitudinali, perfettamente mediani, praticati attra- verso ai periteci giovani e non ancora carbonacei, della Dematophora necatrix, dimostrassero se dette perifisi esi- stono anche in questa specie, e se accennano quindi ad una impercettibile apertura ostiolare. In una delle due figure di periteci ingranditi, date dal 38 Viala, vi è nella parte superiore, centrale del peritecio, un piccolo rialzo papillare, che accennerebbe all’ esistenza di una papilla ostiolare. Gli aschi maturi della /tose/lnia aquila, della KR. quer- cina e di altre specie di detto genere ed affini, offrono una singolarità degna di nota. La loro parte superiore non è occupata dal primo sporidio della serie, bensì hanno uno spazio, apparentemente vuoto, o pieno di plasma fluido. Talvolta detto apice è alquanto ingrossato a bolla, in una parola esiste alla sommità degli aschi in queste specie una grossa e singolare foveola, la quale talvolta ha un diametro trasversale maggiore di quello del rimanente asco. In qualche specie di pirenomiceti (Diaporthe etc.) talvolta la detta foveola sembra separata dalla grande cavità dell’asco in seguito ad un forte ispessimento cen- tripeto della membrana del Weigel. Le belle figure del- l’Hartig, e le nostre, mostrano le diverse grandezzze delle foveole apicali. (Tav. II, fig. 20). Ora vediamo che cosa dice il Viala a proposito della struttura degli aschi della Dematophora necatrix. «Les asques sont surmontées à leur sommet libre d’une chambre à air, isolée par une cloison épaisse; cette chambre mesure 28 à 35 v. de long sur S à 9 u. de diamètre. Elle forme calotte, et elle est entourée d’une membrane plus épaisse que celle de l’asque. C’est encore là un caractère anatomique très particulier au D. meca- trix. L’interieur de la chambre à air est ombré et vide». Gli aschi tanto nella /ose/linia aquila, che nella fr. quercina come pure nella Dematophora necatrix, ed in molti altri ascomiceti, principalmente affini (ypoxy/on, Xylaria etc.) sono lungamente stipitati, e gli sporidi di- sposti obliquamente in una sola serie, occupano la re- gione superiore dell’asco stesso. La struttura della parete dei periteci della /ose/linza aquila, offre ancora alcune particolarità, le quali forte- mente l’avvicinano alla Dematophora necatrix. 39 Infatti detta: parete è, come dicemmo, costituita da parecchi strati di cellule. Di queste le più esterne sono più piccole, più brune, e le pareti più ispessite, cosicchè dànno al peritecio stesso la consistenza detta carbonacea. I più interni invece sono formati da cellule a pareti sot- tili, trasparenti. Di questi lo strato ultimo posa sull’ime- niale, che è dato da cellule piccole le quali portano diret- tamente gli aschi. È un fatto degno di nota quello ch’ io osservai in questa specie, cioè che avvenuta la dissemi- nazione degli sporidi, o per lo meno quando il peritecio è molto maturo, con grande facilità si stacca dalla parete uno strato interno, membranaceo, di colore bruniccio ros- sastro ed assai sottile (Tav. II, fig. 13). La parete del peritecio riveste questo strato a guisa di un guscio, e facilmente, come dissi, da esso si distacca. Basta con cura spezzare con una lancetta la parete esterna del peritecio, per mettere allo scoperto lo strato interno, il quale, ad operazione felicemente compiuta, riproduce esattamente la forma del peritecio medesimo. Siccome questo strato interno si stacca nei periteci molto maturi, o vecchi, non potei stabilire se appartenga all’imeniale, o se sia invece la regione interna molle dis- seccatasi della parete stessa. Probabilmente è dato da am- bedue questi strati riuniti. La struttura della parete del peritecio della Derzato- phora necatrix, quale ce la descrive il Viala, e perfetta- mente simile a quella della /rose/linia aquila. Quest'autore dice che l’inviluppo (perzdizim) è assai spesso, e composto di due parti principali. L’ esteriore è costituita da cellule irregolarmente poligonali, a lume as- sai stretto, ed a membrana assai spessa. Le pareti di que- ste cellule, riunite fra loro senza soluzioni di continuità, hanno uno spessore tre o quattro volte maggiore del lume delle cellule stesse. A misura che ci avviciniamo all in- terno del peritecio, troviamo cellule di lume maggiore, di membrana più sottile, e più pallida. « A. questa parte d’in- 40 viluppo colorato (continua il Viala) ne sucede verso l’in- terno un’ altra, relativamente spessa, formata da una zona densa di filamenti bianchi intrecciati, e saldati, meno densi però dello strato esterno. Allorchè il contenuto interno - del frutto è riassorbito, questa zona persiste, e la si trova addossata alla parete dura ed esterna del peritecio, dalla quale si toglie come una pelle membranosa, pergamena- cea, bianca o leggermente rossastra ». I periteci della Demzatophora necatrix sono portati da un corto peduncolo. È bene ricordare che nel genere Rosellinia non è un fatto nuovo la presenza di periteci pedunculati, e la /. 7assiana offre un esempio bellissimo di simile particolarità morfologica. Rimane ora da trattare la questione dell’ostiolo, alla quale il Viala, non del tutto a torto, annette tanta im- portanza. Ricordo a tale proposito quanto dissi sopra, e che, cioè sarebbero stati necessari degli studi sullo sviluppo del pe- ritecio, e sulla sua struttura rispetto alla direzione degli aschi, parafisi e perifisi, onde venire a cognizione della vera natura sua. Però anche prescindendo da questi studi, vi hanno tali e tanti punti di contatto nella morfologia e nella biologia della Dematophora e delle Moselliniae, da palesare una forte affinità tra loro. È vero che nella Dematophora necatrix abbiamo dei periteci interamente e costantemente chiusi, ma, anche a parte le considerazioni che ho fatte più sopra circa lo studio biologico ed anatomico che sarebbe stato neces- sario fare, onde dimostrare se un vero ostiolo, o tracce di ostiolo esistano, rimane il fatto che nei Pirenomiceti abbiamo altre specie a peritecio perfettamente chiuso, e le quali non si possono in alcun modo allontanare da questa classe. Veggasi la Leptospora spermoides! I pe- riteci sono perfettamente globosi, assolutamente privi di qualsiasi traccia d’ostiolo, rugosi, coriacei, assai resistenti, ed aggregati come nella Dematophora. Ma tra le Rosel- 4i linie stesse, più d'una specie ha periteci con ostiolo, ob- soleto vel inconspicuo! Tenuto conto della presenza di veri cordoni rizomor- fici nella Dematophora necatrix, si affaccia la questione se questi organi miceliali possano appartenere a pireno- miceti. È una vecchia quanto discussa questione soste- nuta e combattuta da Scienziati di grande valore. Non intendo qui trattarla per esteso, soltanto sommariamente esporrò alcune osservazioni onde non si possa impugnare la presenza di cordoni rizomorfici nella Demzatophora per escludere che si tratti di un Pirenomicete. Il Bail ') a proposito della relazione che passa tra /7y- poxylon e Rihisomorpha disse: Kurz, unsre A0Risomorpha geht in ein zweitiftiges, fruchtragendes, vollkommen entwi- ckeltes /ypoxy/on vulgare iber, und zwar so evident, dass durch dieses eines Exemplar fiir immer di Warheit er- wiesen ist; die /?fzizomorphae subcorlicales sind unentwi- ckelte Formen von sporenfiirenden Pilzen, z. B. wie man bis jetzt allein mit wissenschaftlicher Sicherheit angeben kann, von Hypoxylon vulgare. Il De Bary trattò pure la questione nella /Vora (1802, n. 6, p. 90) ed ammise le idee del Trail. Il Tulasne invece in più luoghi, e specialmente nel Vol. II della Carpologia (p. 12-13) respinse l’ipotesi di una relazione tra //hisomorphae e Pirenomiceti, allegando la differenza anatomica tra queste ed i cordoni rizomorfici delle Xy/arzae, e ritenne piuttosto che le Rizomorfe fos- sero stati miceliali di Imenomiceti. Ciò è in parte vero, e le posteriori ricerche dimostrarono che qualche specie di questo gruppo possiede distinti cordoni rizomorfici. Ma non si può escludere che simili cordoni appartengono an- che al cielo di sviluppo di speciali Pirenomiceti, e ce ne offrono esempi la /tosellinia quercina, il Melanomma ctir- 1) Bail. T. Rbizom. et Hypoyl. in Act. Acad. Nat. Cur, Tom. XXVII. 42 cinans. l Hypoxylon vulgare, la Xylarla Hypoxylon, ed altri. Ma sulla questione dei miceli sterili, e sui loro rap- porti con funghi superiori, spero mi sia dato ritornare fra non molto. Tutto questo dissi fin qui, serve ancora più a dimo- strare che la Dematophora necatrix divide troppe parti colarità di struttura col gruppo delle SpAaerzaceae phaeo- sporae per poterne essere allontanata. Si potrà obbiettare che le Rosellinie sono funghi sem- plici laddove le Xy/arza e gli 4ypoxylon sono composti e stromatici. Ciò è vero, ma niuna maggiore vicinanza delle Rosellinie agli /ypoxy/on e di questi alle Xy/arza! . Tra specie del primo genere e del secondo, come tra spe- cie del secondo e del terzo esistono numerosi punti di passaggio. La stessa /vosellinia aquila ha non di rado periteci che confluiscono a due o tre in un corpo unico. una sezione longitudinale ci mostra in questo caso molta analogia con certi Hypoxylon. La organogenia stessa dei periteci è in questi tre generi (almeno per le specie stu- diate) molto simile, e dissi già che la /e. aguzla ricorda nello sviluppo periteciale la Xy/arzia polymorpha. L’affinità tra osellinia ed Hypoxvyvlon fu notata pure dal Tulasne, e ciò potrà ancora servire per dimostrare come la fruttificazione offra un valido e sicuro concetto di affinità, anche allora quando i caratteri vegetativi non potrebbero da soli fornirci questo concetto. Vediamo ora brevemente quali sono i criteri sistema- tici che riguardano la Dematophora in discorso I periteci della Dematophora necatrix sono complète- ment clos, come dice il Viala, e questo fungo in causa della costituzione morfologica di detti organi interamente e costantemente chiusi, provveduti di una parete formata di parecchi strati cellulari, e di un contenuto pseudopa- renchimatico, o gleba, con aschi immersi in essa, dal detto autore viene collocato presso le Tuberacee, e precisa- de a 43 mente in una famiglia speciale, che sarebbe assai netta- mente caratterizzata, e che fu chiamata dal Viala stesso Dematophoreae. Le Dematophoreac, sarebbero natu- ralmente classificate fra le Tuberacee vere e le Elafomi- cetee. Colle prime si attaccherebbero mediante le vdno- cystis, e le Genea a gleba uniloculare, e colle Elafomi- cetee poi si unirebbero mediante certi E/aphomyces cro- stacei, e mediante il Cerrococcum geophilum. Inoltre le Derzatophoreae sarebbero le prime Tubera- cee di cui sono noti gli stati conidiofori e picnidici. Non è qui il caso di fare delle considerazioni se le Tuberacee possano e devano avere gli stati secondarii. Il mezzo e le condizioni speciali nei quali crescono fanno a prima vista supporre che in esse non sia di immediata utilità l’esistenza di speciali organi di moltiplicazione, al- l’infuori dei sotterranei, ma ripeto non è qui il caso di esporre ora delle considerazioni che collo stato attuale delle nostre cognizioni sulla biologia dei Tuberacei non possono essere che avventate, e forse sconfessate do- mani. Circa la struttura ed il contenuto del peritecio della Dematophora necatrix, dissi abbastanza, e chiaramente risulta che, il peridio corrisponde esattamente alla pa- rete del peritecio della osel/linia aquila, e di altre, la gleba alle parafisi. Mi sembra quindi che, più che alle Tuberacee, la Derzatophora sia affine ai Pirenomiceti, e più che coi generi Hydnocystis, Genea, Elaphomyces, Ce- nococcum etc. presenti delle affinità colle /Posel/linia. Anzi non si possa distaccare da questo genere. Perfino gli stati conidiali della Dematophora necatrix corrispondono a quelli di certe Rosellinie. Infatti quello della Dematophora è una forma stilboi- dea, un vero Graphium, quello della /Rosellinia Desma- steri, è pure un Graphium, e così ancora quello della k. quercina. L’aspetto della A. Desmazierit è anzi simile a quello 44 della Dematophora necatrix, e credei opportuno figurare questa /rosellinia (Vedi Tav. III, fig. 21-22) onde mostrare maggiormente le affinità che vi sono tra Demzatophora e foosellinia. In molte /tosel/linie ed Hypoxylon gli sporidi almeno in parte rimangono per lungo tempo entro ai periteci, costituendo una polvere nera, mentre gli aschi sono di- strutti. Ciò si osserva pure nella Dermatophora necatrix. Da tutto quanto ho esposto mi parrebbe di poter con- cludere che la Derzatophora necatrix, anzichè essere una Tuberacea è un genuino pirenomicete, il quale presenta così forti affinità col genere /rosel/linia, da non poter es- ser ragionevolmente allontanata dal detto genere. Ed era nel vero quell’acuto osservatore che è Roberto Hartig ') allorchè disse « Vergleicht man die Form der Conidien und die Art der Entstehung derselben an den Conidientraegern der /vosellinia quercina, deren Rhizoc- tonien dem Mycelium des Weinstockpilzes so ihnlich sind und die Wurzeln der Eichen tédten, so dringt sich uns die Vermuthung auf, dass Wir es mit einer Art der Gattung /tosel/linia oder doch einer ihr nahe ver- wandten Pilzgattung zu thum haben ». Dal Laboratorio di Botanica e Patologia vegetale della R_ Scuola di Viticoltura ed Enologia di Avellino. !) R. Hartig. Untersuch. aus dem forstbot. Instit, za Munchen III, P- 126. Fig. » » » Fig. »d 9) è SÌ 45 Spiegazione delle Tavole TavoLa I. /osellinia aquila Ramo di Acer campestre portante giovani ce- spuglietti di micelio bianco. Un ramo della stessa pianta invaso da lungo tempo dal fungo. In a vi è il micelio bianco proveniente dal micelio, interno, in d vi sono cespuglietti di micelio vecchio, in c periteci maturi. Ramo della stessa pianta invaso da tempo, e ri- vestite esternamente da copioso micelio bianco cotonoso ottenuto in coltura. Alcuni fili del medesimo micelio visti al micro- SCOpio. Cordoni miceliali in seno ai quali si sono for- mate le coroncine clamidosporiche. A-B gradi diversi di sviluppo delle dette coroncine. Sezione di uno sclerozio mostrante il micelio sot- tocorticale, e la crosta stromatica sulla quale stanno inseriti i conidiofori. Un conidioforo più ingrandito. Conidi isolati. TavoLa I. Mosellinia aquila Sezione longitudinale di uno sclerozio mostrante la fascia di micelio sottocorticale, dalla quale prende origine la massa scleroziale stessa. In seno allo sclerozio si vedono i periteci in via di formazione, sopra la crosta vi sono gli avanzi dello stato conidiale. 10. Sezione di uno sclerozio in cui la crosta non si è nettamente differenziata. ap) c9 DI sO. Gomitolo periteciale di /. aquila sotto fortissi- mo ingrandimento. (Obb. 1/,g, imm. omog.). Lo stesso più sviluppato ed in cui si sono netta- mente differenziati il nucleo interno e la zona corticante. (Obb. '/1g, imm. omog.). Gruppo di periteci maturi di /tose/lnia aquila. Apice del peritecio in coltura, mostrante lo stato conidico sviluppatosi all’ostiolo '). Sezione del peritecio, mostrante i due strati di cui si compone la parete. Aschi con parafisi di /0; aquila. Foveole degli stessi. Periteci e conidiofori della /?. Desmazzeri. Sporidi maturi della stessa specie. !) Nei periteci maturi posti in coltura, mi venne fatto di osservare spesso la formazione di una pruina bianca all’ apice dell’ostiolo. Esa - minata al microscopio, vidi essere costituita dallo stato conidico. La poca aderenza dei detti filamenti, la natura carbonacea del peritecio, non mi permisero constatare la relazione tra le cellule ostiolari ed il detto stato conidico. Non mi pare però che fosse proveniente da ger- minazione di conidi caduti sull’ostiolo ; piuttosto sembrami provenga da proliferazione del tessuto interno, molle dell’ostiolo medesimo. 47 Contro 'OGNERIA DISPAR L. Nota del Prof. ANTONIO BERLESE L’Ocneria dispar è una farfalla, che reca allo stato di bruco, gravi danni agli alberi d’alto fusto nei boschi e nei frutteti. Per restringerne l invasione qualche volta molto estesa e grave è bene più e ino distrus ggerne le uova. iiWibruco nasce in fine di Aprile, nelle regioni e nelle an- nate più calde, oppure al più tardi nei primi giorni di Mag- gio. Verso la fine di Luglio in- crisalida e già in Luglio si svi- luppano gli adulti d’ambo i ses- si. Le figure che uniamo, tolte dal vero, ci dispensano dal de- scrivere particolarmente l'in- setto nei suoi tre stati. La femmina (fig. 1) (farfalla) vola raramente e male, prefe- risce di rimanere ferma a poca distanza dalla crisalide da cui «è uscita. Il maschio (fig 2.) in- Fig. 2. Maschio di Ocneria dispar. (grandezza naturale) Fig. 1. Femmina di Ocneria dispar su un pezzo di corteccia di Quercus ilex. Sì vede il muc- chietto di uova già deposto ec ricoperto di peluria. A crisa- lide riparata da fili di seta, B spoglia del bruco da cui è uscita la crisalide. (grandezza naturale) 48 vece vola egregiamente e quasi di continuo; differisce dalla femmina oltre che per la statura minore, e per le antenne piumate, anche per colore fondamentale delle ali giallo- terreo, con marmorizzazioni brune, mentre le ali della fem- mina sono bianche, con macchie incerte e ristrette, oscure. Le uova deposte in mucchietti vengono dalla femmina stessa ricoperte con peluria giallo-terrea Ci si stacca dall’addome stesso della madre. Le uova così deposte in Luglio, passano tutto l’in-. verno bene riparate sotto la peluria protettrice, sfidano l’intemperie ed i geli e si svolgono in primavera. I mucchi d’uova vengono deposti soltanto sui tron- chi e sui rami, giammai sulle foglie o sui rametti minori; molte si trovano sotto le pietre o sui muri in vicinanza ai luoghi gia invasi dalle larve. È facile scorgere questi mucchietti duova e raccoglierli o altrimenti offenderli. Contro le larve, le crisalidi o le farfalle, la lotta è pure possibile ma molto più malagevole e di assai minore ef- fetto, d'altronde si praticherebbe sempre in un tempo nel quale i danni sono già in parte o totalmente seguiti. Colla distruzione delle uova adunque i guai della futura invasione sono evitati e quanto lo possano essere effica- cemente, serviranno a dimostrarlo le cifre che esporrò in appresso. Varii sono i modi consigliabili per distruggere le uova, ma tra questi i più pratici sono i seguenti. 1.° Raccolta delle uova. 2.° Schiacciamento delle uova sul posto praticato con un corpo duro quale un martello od altro. 3.° Incatramatura del mucchietti d’uova. Sulla efficacia del primo metodo non vi può essere dubbio, poichè le uova raccolte possono essere in seguito comodamente distrutte in più modi. Per ciò che riguarda il secondo metodo dirò che non è di universale applicazione, poichè mentre può riuscire efficace e sollecito nel caso di piante a fusto non troppo 49 elevato e con rami sottili sui quali le uova non vengano deposte, riesce impraticabile o quasi per alberi alti a ra- mi grossi e multipli, nei quali volentieri le femmine de- pongono le uova. Così per le piantagioni di salici, di cui i rami si recidono spesso ogni tre anni, e su questi le uova non sono mai deposte, si può ricorrere al martello per schiacciare le uova, sui tronchi che non sono mai di notevole altezza, e così si è praticato dietro autorevole consiglio, altra volta, nel Polesine, con effetto molto sen- sibile. L’incatramatura dei mucchietti d’ uova, proposta o ri- messa in onore che sia, da parte del Prof. Di Murro di Caserta '), è dichiarata dallo stesso autore efficacissima, e questo dietro esperimenti di laboratorio, la cui applica- zione in grande, tentata tardi nel 1890, non ha potuto dare risultati sicuri, quali forse a quest’ ora già si hanno, per quanto a me non ne sia giunta notizia. Il parco annesso a questa R. Scuola Superiore di Agri coltura, fu nell’anno 1891, durante i mesi di Maggio e Giugno, notevolmente danneggiato da una imponente in- vasione dei bruchi in discorso. Durante il mese di Giu- gno, parte del bosco stesso si mostrava completamente spoglia di fronda, e dovunque lunghe colonne di bruchi percorrevano i viali in cerca di nuovo nutrimento e a portare nuova rovina. Nelle località più attaccate l’a- spetto del bosco era desolato, e non senza una certa sgra- devole impressione quasi di ribrezzo, si penetrava, fra quegli alberi nudi, sui cui tronchi correvano innumere- voli larve pelose, dovunque stendendo fili di seta, da un ramo all’altro e da una pianta all'altra, e dove un insi- stente rumore quasi di pioggia minuta avvertiva la con- tinua caduta di escrementi da parte degli insetti divo- firaliori: 1) Per la conservazione dei Boschi, ossia inetodo per la distruzione delle uova di Ocneria dispar L., pel Dott. L. Di Murro-Caserta 1891. 4 5o Ma le colonne di larve, brucato tutto il verde dei lecci, si riversarono sugli alberi da frutto vicini, sulle erbe e sulle siepi, e innumerevoli invasero le case vicine, su cui sali- rono da terra fino sui tetti, e penetrarono da tutti i per- tugi, costringendo gli inquilini a fuggire dinanzi a questa nuova piaga d’ Egitto. E il Municipio di Resina sollecito al benessere dei cit- tadini ‘) reclamava naturalmente presso la direzione di questa R. Scuola perchè mettesse freno agli invasori. L’egregio Direttore Prof. Italo Giglioli, fece raccorre parecchi quintali di bruchi, che poi convenientemente schiacciati, distillati ed arrostiti, daranno certamente ra- gione della loro chimica composizione, ma intanto nelle file di così sterminate falangi, il vuoto non parve aprez- zabile e gli infiniti superstiti, continuarono i loro guasti, finchè sopraggiunto il tempo di incrisalidare, concessero tregua alle piante e agli abitatori delle case vicine. Come insegnante di Entomologia, chiamato a proporre rimedii, consigliai la distruzione delle uova durante il pros- simo passato inverno. Però il lavoro presentava non poche nè piccole diffi- coltà. Prima di tutto gli alberi altissimi, e con rami grossi, — recavano uova dappertuto fino alla cima, tanto che fu necessario non solo usare una scala lunghissima, ma sa- lire anche per quel tratto a cui la scala non giungeva, a forza di braccia. Così il metodo della distruzione coll’ aiuto del martello diventava impossibile e fu necessario ricorrere agli altri due metodi. Però mentre mi parve del caso, sopratutto di distrug- vere con sicurezza le uova, senza troppo inoltrarmi in 1) Dico questo perchè quando si trattò per davvero di mettere ri- paro al malanno presumibile nel seguente anno, nessuno, nè dei pri- vati compresi tra i fuggitivi, nè del Municipio si mosse non ostante i replicati avvertimenti da parte di questa R. Scuola. SI esperimenti a risultato ancora non bene definito, così, pre- ferii la massima parte del lavoro compierla raccogliendo le uova, e in secondo luogo profittare dell’incatramatura in quei punti dove il raschiare riusciva malagevole o lun- go, 0 altrove su poche piante a titolo di esperienza. : Addottai raschiatoi d’acciaio, di 40 centimetri di lun- ghezza, cilindrici in mezzo, schiacciati alle estremità, con questa parte compressa, piana e tagliata a mandorla, con punta rotondata od acuta, e ripiegata sulla parte cilin- drica, ad angolo retto o con leggiero arco (vedi fig. 4). Le uova venivano raccolte entro sacco di tela (fig. 5), tenuto 1» Il | Ipo ATEI f bi. ALAIN Fig. 5. Rigo4 Sacchetto per raccogliere Raschiatoi di ac- le uova di Ocneria dispar. A ciaio per raschiare le uncino di ferro per appen- uova di Ocneria dispar. derlo ai rami, B, cordone A raschiatoio visto di per portarlo. fianco, B parte supe- riore, C idem inferio- re, viste di faccia. aperto alla bocca, da un ferro piegato a semicerchio, colle estremità libere rivolte all’ingiù. Così parte del sacco non annessa al ferro, si poteva facilmente applicare ai tron- chi sotto i mucchietti d’uova da raschiare, in modo che parte alcuna dei detti mucchietti non potesse sfuggire. I sacchi, provveduti di funicella potevano così essere We Ò 52 dagli operai facilmente portati, e mediante uncino di ferro (fig. 5 A) appesi ai rami minori. Le uova raccolte venivano ogni sera pesate, per avere un'idea del lavoro di ciascun operaio, e della quantità di uova raccolte, e in seguito introdotte in una buca profonda, scavata nel bosco stesso, dove agli strati d’ uova raccolti, si alternavano strati di calce viva che si annaffiava im- mediatamente nella speranza che il calore sviluppatosi. dalla reazione, a parte l’azione della calce stessa, giun- gesse a distruggere nelle uova qualsiasi vitalità. Riem- piute le buche fino a trenta centimetri dal livello del cir- costante terreno si ricoprivano di terra che si compri- meva fortemente, chiudendo così in sicura prigione le uova vive o morte che potessero essere. Il Prof. di Murro, quando rivede sul lavoro soprari- cordato i diversi metodi usati per combattere l Ocmerza dispar, accennando a quello di raccogliere le uova, già ormai largamente praticato dai contadini che hanno spesso a che fare con questo insetto, e ai quali l’esperienza in- segna in questo caso il mezzo più pratico per liberarsi dai bruchi futuri, rileva, e questo a scopo, più che altro per insistere sulla incatramatura di cui si afferma alta- mente inventore, rileva dico gli inconvenienti del metodo così semplice e così pratico della raccolta. A parte la possibile perdita di pozione del mucchiet- to, staccata con colpo di ronchetto assieme alla sotto- stante scorza e fatta cadere nel cappello sttoposto, come usano fare i nostri contadini, inconveniente che si evita coll’uso di eccipiente più largo come è un sacco a bocca di circa 40 centimetri di diametro, ed evitata anche la offesa alla integrità della pianta che al Prof. di Murro sta molto a cuore, offesa sia pure di importanza minima, e questo coll’uso di raschiatoi anzichè del ronchetto, ri- mane come più seria obbiezione il pericolo di fuochi con- tinuamente accesi nel bosco per bruciarvi sopra le uova raccolte. : eng 53 Questo però si evita ricorrendo alle fosse e al seppel- limento delle uova come. si è fatto in questo bosco. Ma la incatramatura richiede certamente spesa per l’insetticida, e non è sempre attuabile specialmente nei giorni piovosi che sono il maggior numero nella cattiva stagione, poichè in queste condizioni il catrame non ade- risce nè ai tronchi, nè alle uova, bagnati od umidi, e nelle giornate di maggior freddo, il. catrame è così denso e quasi duro, che il poco petrolio consigliato dal Prof. Di Murro non sarebbe certamente sufficiente, ma ne sarebbe ‘necessaria un forte dose con quale spesa è facile argo- mentare. Questo che ho riconosciuto io stesso, mi forzò a pro- fittare più largamente della raccolta diretta delle uova, che non della incatramatura. La spesa di mano d’ opera identica del resto (e insisto su questo) per ambedue i metodi, è stata rilevante in rapporto colle speciali condizioni delle piante, quali più su si sono ricordate. Ora ecco alcune cifre che spiegheranno meglio di ogni altra cosa l'andamento dei lavori, le spese relative e il frutto che hanno apportato. I lavori si sono principiati il giorno 23 Febbraio 1892, e furono arrestati il 9 Aprile poichè in quel tempo la più infetta parte del Bosco era ormai ripulita, il sussidio ac- cordato dal R. Ministero per queste operazioni esaurito, e le uova cominciavano già a schiudere. E1g3:3: Larva di Ocneria dispar (femm.) al suo mas- simo sviluppo. (grandezza naturale) footage de ga 849d -o jp ouewi e[ vsold -u09 asads Ip _e[mo], 06h *] TOII sot S — | #68] S5 | gge of (It “Ae[ Ip IUJOI9)) A[EIOL 007 a iene] Ip olo oto « * * ene] ip onqupi vii EE Tn I SR u le | oso « * OUSST IP 019998 1 (4/47 Sgt — | 6r | 06 | 6£ p « e]sos eI—oN Dit ga La e n Lsu ile 9g7 Sg cool | zS-||'or los S « e]umb ElloN Osio asgl nl 6gz1 oot | 06 | ot | 6 5) « eienb EIloN OLTRE TENTA NSOE 68 rat liete: POL 10) S « eZI9) CIN ogffr « 1*jumb (‘939 ouodseno | UT 186 009. 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Ora da ripetute prove risulta che in dieci grammi di raschiature si contano circa 4000 uova, sicchè il numero totale delle uova distrutte somma a circa 1:800.992,000 che avrebbero dato a loro tempo tanti bruchi che presi in- sieme avrebbero pesato 27,014 quintali circa '). È facile comprendere quale sarebbe stata la spesa di mano d’ opera, raccogliendo invece i bruchi maturi in quantità così rilevante. Si può anche arguire dalle cifre raccolte il grado di infezione, o meglio la quantità di mucchietti d’uova esi- stenti in media su ciascuna pianta, sapendo per pratica che ciascun mucchietto contiene circa 500 uova. Risulterebbe adunque in tutto 3.601,984 mucchietti di uova distrutti, circa 553 per ciascuna pianta. Ciascun operaio, curò in media 5 piante al giorno, raccogliendo o altrimenti distruggendo, non più di 2765 mucchietti circa. Questo ultimo dato, dimostra a suffi- cienza la difficoltà di giungere a così notevoli altezze e di curare diligentemente alberi così complessi e grandi che recavano uova fino nei punti più elevati. Ma queste circostanze che hanno richiesto un così esa- gerato lavoro di mano d’ opera, che si traduce poi in un costo così elevato, non sono fortunatamente frequenti, poi- 1) Il peso medio dei bruchi prossimi a incrisalidare è di grammi 1,50. 56 chè nei boschi ordinariamente tagliati secondo determi- nati periodi di tempo, si hanno comunemente delle grosse ceppaie relativamente assai basse sulle quali le uova ven- gono deposte, e rami minori sui quali le femmine degli insetti in discorso non affidano la loro prole. Termino facendo osservare che delle spese accessorie, tolto il prezzo della calce viva in L. 18,30 e del secchio di legno in L. 0,50 dei raschiatoi in L. 5, e dei, sacchi in L. 3, rimangono L. 18,90 che sono state totalmente assorbite dalla cura col catrame. Del resto l’uso della calce viva, escogitato per questa circostanza a maggior precauzione, apparisce, da quanto si è detto, superfluo, attesochè e più che sufficiente il semplice seppellimento, quando, lo strato di terra di circa 30 centimentri che alle uova si sovrap- pone sia convenientemente compresso e stipato. Tolte que- | ste spese superflue, col metodo della raschiatura e sep- pellimento delle uova, si avrebbe la sola spesa di mano d’opcra e degli arnesi, da calcolarsi in lire 296,795. Il presente articolo di cui per ragioni diverse si è do- vuto ritardare la stampa, può essere oggi (15 Giugno) chiuso con una lettera del Chiar. Direttore della R. Scuola Superiore di Agricoltura, Sig. Prof. Italo Giglioli, che ri- leva l’effetto ultimo delle operazioni sopraricordate. Infatti, in questo tempo i bruchi apparsi nelle località del bosco non ripulite dalle uova durante l'inverno, sono ormai incrisalidati per la massima parte, quindi il loro lavoro di distruzione è terminato, e il risultato della cura invernale può essere così convenientemente apprezzato. Ecco la lettera : 57 R. Scuola Sup. d° Agricoltura in Portici Al Sig. Dott. Antonio Berlese, Prof. di Zoologia generale ed agraria nella Scuola Sup. di Agr. in Portici. Portici li 14 Giugno 1892. Sono lieto di poterle dichiarare che i lavori dalla S. V. proposti e diretti per la distruzione della Ocmerza di- Spar, che infierì nel 13891 nel Parco di questa Scuola, hanno dato risultati soddisfacenti. Nei punti dove l’anno scorso gli alberi erano grande- mente danneggiati, ho potuto constatare che presente- mente i bruchi quasi mancano. Nelle adiacenze del nuovo Istituto Zootecnico dove Ella non ha potuto per varie ragioni, estranee al metodo di cura, continuare la distruzione delle uova, i bruchi sono meno scarsi. Son sicuro che ripetendo i rimedii a tempo opportuno, potremo liberarsi totalmente dalla invasione dell’Ocneria. Mi creda, Egregio Professore, suo devotissimo. Il Direttore Prof. ITALO GIGLIOLI 58 Intorno alle Cocciniglie deli Agrumi e al modo di combatterle Nota del Prof. ANTONMW BERLESE Gli insetti che si conoscono sotto il nome di coccini- glie comprendono forme tra le più dannose alle piante. In Italia gli agrumi sono attaccati e talora seriamente com- promessi dalle seguenti cocciniglie. Dactylopius Citri Signoret. Lecanium Hesperidum Burm. Lecanium Olea Fabr. Lecanium Citri Inzenga. Columnea Rusci Fabr. Parlatoria Zizyphi Lucas. Aspidiotus Limonii Signoret. Mytilaspis fulva Targ. Tozz. DUO TARWSDIH Non tutte però queste specie sono egualmente dannose ed estese in pari grado, così tra le più rare sugli agrumi è la Columnea Rusci, che si trova più frequente sul fico. Ma fra tutte le altre, danni gravissimi producono la My- iylaspis fulva, V Aspidiotus Limonti, il Dactylopius Ci tri, specialmente in Sicilia, Sardegna e nelle regioni più meridionali della penisola. Vario però è il modo di comportarsi di ciascuna spe- cie di fronte alle piante preferite, come diverse per sa- lienti caratteri sono le forme fra di loro, per quanto riu- nite nel medesimo gruppo dei cocczidei, da affinità di strut- tura e di abitudini. Perciò merita di parlarne separatamente anche per quanto riguarda i mezzi di distruzione a nostra disposizione. 59 Convengo però che tutti i Cocczde? in questo: Le femmine, differiscono notevolmente dai rispettivi maschi per la mancanza di ali; esse sono qualche volta nu de e molli e ricoperte da sostanza bianca pulverulenta o da una massa fioccosa quasi di cotone, altre volte più dure, quasi un guscio, rimangono fisse alle piante, mantenen- do pero per tutta la vita le zampe e le antenne; più spes- so, allo stato adulto, perdono le antenne e le zampe e si ricoprono di guscio duro, chitinoso, più o meno protetto da involucri di sostanza cerosa. I maschi (vedi fig. 19) almeno quelli conosciuti, si no- tano molto diversi dalle femmine, perchè provveduti di due ali ampie, di lunghe antenne e di zampe robuste; di più recano all'estremità dell’ addome un lungo stilo da considerarsi come uno strumento di generazione. Però le larve di ambo i sessi, appena schiuse dall’ uovo, concordano tutte nella forma, e diversificano notevol- mente dagli adulti. In tutte le specie, le larve (vedi fig. 4 e 17) possiedono sei zampe bene sviluppate, occhi ed antenne e tra le zampe del primo paio, al ventre, si scor- ge il rostro di composizione complessa, che termina con lunghe setole destinate a ferire le piante per facilitarne l’uscita dei succhi. Successive metamorfosi modificano poi notevolmente le larve stesse, che in alcune specie tramu- tandosi in femmine adulte, perdono gli occhi, le zampe e le antenne, conservando solo il rostro. Tutte le larve delle cocciniglie si somigliano nella for- ma generale del corpo, per quanto riescono diverse per più minuti caratteri che si possono desumere dalla gran- dezza, dal colore, dalla armatura dell’ estremità posteriore dell'addome ecc. Da larva ad adulto, il passaggio avviene in modo di- verso per le femmine ed i maschi anche della stessa specie. 60 1. Dactylopius Citri Signoret. La femmina è lunga da 3 a 4 millimetri, larga 2 mill. (fig. 1-2). Fig. 2 Fig. 1. Dactylopius citri (flem.) Dactylopius citri, (fem.) vista dal vista dal ventre ed in- dorso, (sopra un frammento di grandita circa 1o diam. foglia) ingrandita circa 10 diametri. Mantiene le antenne e le zampe per tutta la vita. Il corpo, di forma ovale, molle, è rivestito da una polvere bianca di natura cerosa. 17 raggi corti e cilindrici, circon- dano il CONDOS stesso lungo i margini laterali. I maschi, molto di- versi dalle femmine, hanno due larghe e lunghe ali quasi tra- sparenti; le. antenne lunghe, di 10 articoli, È l'addome termina- to da due lunghi fila- menti. Le larve sono si- Liri mili agli adulti fem- sù mine sopra descritti. Rametto fruttifero di limone, attaccato Vivono queste forme, dal Dactylopius citri che forma la. peluria in colonie specialmen- bianca alla base dei frutti, ed accartoc- te attorno ai pedun- cia la foglia. . d La aa culi dei frutti di limo- (grandezza naturale) ne, arancio ctc. (fig. 3) e la colonia siriveste tutta di una 61 fitta massa bianca filamentosa, che sembra cotone. Le fo- glie più giovani, attaccate da questo parassita anche nella loro pagina inferiore, si accartocciano e si ripiegano spe- cialmente sugli orli, e nelle ripiegature l’ insetto si na- sconde volentieri. ° Lecanium Hesperidum Burmeister. I Lecanium come le specie del genere precedente, con- servano essi pure durante tutta la vita, le i zampe e le antenne, ma finiscono per fis- sarsi sulle foglie o sui rami, aderendo con tutto l'orlo dello scudo che nelle fem- mine diventa sempre più convesso e ru- goso e protegge così le uova o le larve rinchiuse di sotto. I maschi delle tre specie, Gioia incon- trate sugli agrumi in Italia, non si cono- scono. Ò Le larve (fig. 4), di forma ovale, sono © Larva di un fornite di robuste zampe, di occhi e di an- Iggeiz vista tenne; e in seguito il corpo si allarga in molto ingrand. forma di scudo che poi col tempo diviene, come si disse, convesso. Il Lecanium hesperidum femmina, è lungo da 2 a 4 mil- limetri, di colore verdastro o giallastro, e di forma ovale al- lungata, depressa (5-6). Le lar- ve sono di colore rosso-mat- tone chiaro. Si trova questa forma frequente sui rami e Fig. 5. Fig. 6. È i i i Lecanium he- Lecanium hespe sulle foglie, giammai sui frutti. speridum, visto ridum visto Jal dal dorso ed ventre edineran- Ingrandito dito circa 6 dia- circa 6 diam. metri. 62 5. Lecanium Olea Fabr. E poco diverso dal precedente e vive più specialmente sugli olivi, ma si incontra anche sugli agrumi (fig. 7-8). Rametto di li mone con scudi di Lecanium oleae. (grandezza naturale) Fig. 8. Lecanium oleae scudi ingranditi circa 3 diametri. 4. Lecanium Citri Inzenga. Pare che questa forma sia realmente diversa dalla pre- cedente, a cui del resto è molto affine, tanto che più spesso ne fu fatta una semplice varietà. 5. Columnea Rusci SITE Questa specie che si rico- nosce immediatamente per le placche cerose che rive- stono lo scudo della femmi- na e sono disposte in poli- goni marginali ed uno cen- trale, tutti umbilicati nel centro, è frequente sul fico e molto più rara sugli agru- mi (fig. 9-10). La larva si- mile a quelle dei Lecanium, ha due lunghissimi peli al- l'estremità dell’addome bi- lobo ed è di colore rosso- mattone pallido, Fis. 10. Scudi di Columnea S rusci ingranditi cir- Fig. 9. ca 3 diametri. Frammento di rametto (di fi- co) cogli scudi della Columnea rILSCÌ, (grand. naturale) 63 6. Parlatoria Zizyphi Lucas. Questa specie e le due seguenti, appartengono ad al- tro gruppo di cocciniglie, nelle quali la femmina allo stato adulto perde totalmente le zampe, le antenne e gli occhi, e si riveste da uno scudo chitinoso duro, più o meno lar- gamente circondato da sostanza cerosa colla quale lo scudo stesso è fissato alle foglie, rami o frutti degli agrumi e protegge il corpo della femmina stessa. I maschi alati, stanno, prima di uscire, rinchiusi essi pure in follicoli protetti da scudi chitinosi e cerosi, diversi per forma da quelli delle femmine. Le larve poi, di colore giallo vivo, possiedono zampe, antenne ed occhi e cammina- no per un certo tempo dopo uscite dall’ uovo, sulle parti della pianta, in cerca di un luogo dove fissarsi. Finalmente introdotto il rostro nei tessuti della pianta, cominciano a suc- chiare, perdono gli arti e le antenne e gli occhi, e gettata la spoglia larvale si ricoprono del guscio, come si è detto. La Parlatoria Zizyphi, è limitata finora a poche lo- calità di Sicilia. La femmina è rico- perta da uno scudo (fig. 11) bruno quasi nero, lucente, di forma presso a poco rettangolare, con carene longitu- dinali rilevate, lungo circa mill. 1,25, circondato da sostanza cerosa bianca, con cui è fissato alle foglie, frutti o rami della pianta. All’innanzi questo scudo porta uno scudetto minore, 0- vale, che è la spoglia della larva. La Dio femmina (fig. 12) che. _ Pig. 11. i sta sotto, ha il corpo GO se molle, largo ‘e corto frammento di foglia, dunao; nali 0 2 dr color giallo vivo e Femmina di Pa- con una protuberanza in ciascun lato Muloria Ziyphi, Vista del primo segmento (cefalico). grandita circa 20 diametri. 7. Aspidiotus Limorii Signoret. La temmina di questa specie e ricoperta da uno scudo circolare (fig. 13; nel cui centro sta la spoglia della larva, più sotto lo scudo circolare giallastro chitinoso, circon- dato da largo annello ceroso bianco. Il corpo della fem- mina (fig. 14) che sta sotto, è di colore giallo, cordiforme, lungo 1,12 mill.; lo scudo, compreso l’orlo ceroso ha. circa 1,30 mill. di diametro. Fie 13. l'’emmina Lispidiotus limo- nii, vista di sotto ed in- Scudi di Aspidiolus limoni, erandita circa 23 diam. su un frammento di foglia, ingranditi circa 18 diametri. . 0. Mytilaspis fulva Targ. Tozz. È questa la specie che colla precedente reca i mag- giori guasti alle piante di agrumi. Lo scudo della fem- mina (fig. 15) è a forma di virgola, allungato (lungo da 2 a 3 millimetri) di colore rosso-bruno lucente. Nella parte anteriore e più stretta questo scudo è sor- montato dalla spoglia della larva, di forma ovale e di co- lore giallo ranciato, oscuro. Tutto lo scudo è circondato da stretto orlo ceroso, che si unisce ad uno strato sottile ceroso che protegge il corpo della femmina anche al di- sotto ed è interposto tra il corpo stesso e il tessuto della pianta, a cui aderisce. Il corpo della femmina, di colore bianco (fig. 16), colla ; 65 estremità posteriore (p2g7di0) giallastra, di forma allun- gata; più stretto anteriormente e lungo 0,91 mill. La larva (17) di colore giallo vivo, è più allungata di quella della specie precedente, a cui del resto somiglia moltissimo. Fig. 17° Larva di Mytila- G spis fulva vista fig. 15 dal ventre e Fig. 16 3 RIA : so. molto ingran- CI glie Femmina adulta di I. s mina di Mylila Mytilaspis fulva, veduta spis fulva visto dal di sopra. A scudo larvale, B scudo ninfale, C scudo dell’adul- to. «Ing. zodiam.) dal ventre ed ingran- dita circa 60 diametri. Danni recati alle piante dalle COCCINIGLIE suddette Variamente si comportano le specie sopra indicate ri- spetto alle piante che attaccano e diversa è la gravità dei danni che le piante stesse ne risentono. Il Dactylopius Citri si insedia volentieri dove può tro- vare una cavità od una depressione o altro luogo più ri- parato; così la peluria bianca, simile al cotone, avvolge i pedunculi dei frutti, giovani e più maturi, e si vede distribuita nelle porzioni concave delle foglie contorte, gibbose e deformate per opera dello stesso insetto. Le frutta attaccate da questo parassita vengono stentamente, 5) 66 si deformano e deturpano ancora per fwmaggine che na- sce nei luoghi abitati dall’insetto. La figura (3) che diamo mostra tre limoni giovani attaccati alla loro base dal pa- rassita e una foglia deformata. I Lecanium non si trovano mai sulle frutta; da gio- rani si vedono sulle foglie sia alla pagina superiore che alla inferiore, distribuiti secondo il nervo mediano; più. raramente rimangono colà anche allo stato adulto, ma il più spesso si portano e si fissano sui picciuoli e sui rami, e gli scudi convessi, lucidi e grinzosi rimangono l’ uno ac- canto all’altro fino alla schiusura delle uova che conten- gono e anche dopo la schiusura stessa, gradita stazione di acari e piccoli insetti che frequentano gli agrumi in- vasi da cocciniglie. Ma i danni recati da queste forme sembrano notevol- mente minori di quelli dei Myf/aspis e Aspidiotus. La Parlatoria Zizyphii sta sulle foglie, allo stato adulto, e certamente si comporta come le specie seguenti: ma limitata fi- nora a poche località di Sicilia, e a quel che sembra in proporzioni ancora modeste, non ha dato luogo finora a troppo numerose lagnan- ze speciali. L’ Aspidiotus Limonti, in Sici- lia e Calabria noto sotto il nome di Bianca, è una delle specie più dannose. Attacca le foglie, i frutti bio, e i rami giovani; sui frutti si di- l’rutto di limone, attac- IA ; : cato dalla Mytilaspis fulva stribuisce in maggior numero & dall’ Aspidiotus limonii. A sulla parte inferiore libera (fig. 18) Scudi femminili di Myti- NE SE ì laspis fulva; B, scudi ma- si trovano più numerose le My- di dell’ Aspidiotus Limonii. ti. las pis (grandezza naturale) Gli alberi attaccati da questo parassita, vegetano male 67 e stentamente, recano scarsi frutti che vengono inoltre de- turpati da infinite femmine che vi si fissano, e perdono così del loro valore commerciale; le foglie scarse e gua- state dagli insetti cadono, e la pianta rimane più o meno spoglia di fronda e di frutti e coperta tutta da incrosta- zioni di corpi di questo insetto; più tardi, proseguendo il male ad aumentare, la pianta deperisce ancor più e non di rado soccombe. La Mytilaspis fulua che molto spesso accompagna l Aspidiotus, ha sulle piante, effetti consimili di questo, ed è pure altrettanto largamente diffusa in Italia. Que- sta specie colla precedente, sono le più infeste ed ovvie $» ù Fig. 20. Fig. 19. Guscio di Mytilaspis Maschio di Mytilaspis fulva veduto dal dor- fulva (fem.) veduta dal so ed ingrandito circa 4o diametri. di sotto che mostra la parte posteriore del corpo della femmina. (Ingr. 15 diametri). Fig. 21. Guscio di Mytilaspis ful- va, (fem.) veduto, di sot- to, contenente le uova. A, frangie di sostanza cerosa. (Ingr. 15 diam.). 68 MEZZI DI DIFESA All’infuori di ciò che si può fare per accrescere vivacità e robustezza alle piante affette da Cocciniglie, bisogna pure pensare a rimedii specifici. In mezzo ad innumerevoli già proposti, e da scartarsi per diverse ragioni, sembra che la pratica si debba raccogliere soltanto all'uso di poche sostanze insetticide. Tra quelle che dovrebbero essere ap- plicate alle piante con intenzione di raggiungere così gli insetti, meritano speciale riguardo gli idrocarburi da al- lungarsi con acqua. Ma il tempo da scegliersi per le operazioni, può of frire più vasto campo di discussione, che non la scelta degli insetticidi. Poichè in due epoche diverse le opera- zioni si possono fare con vantaggio, cioè di inverno op- pure di estate. La cura invernale può essere consigliata, con intenzione di prenderè di mira specialmente le fem- mine già adulte e coperte dai relativi scudi, per profit- tare dello stato di riposo delle piante che permette di ri- correre a forti dosi di insetticida, con minore pericolo per la vegetazione di quello che possa essere in estate. In questa stagione invece, i trattamenti prendono di mira specialmente le larve appena uscite dalle uova, e quindi vulnerabilissime perchè indifese e delicate e l’insetticida in questo caso può essere diluito notevolmente, in mi- sura cioè tale da non recare danno alcuno alla pianta, pure mantenendo una assoluta efficacia contro gli insetti. Escluso il so/furo di carbonio (in emulsione) perchè troppo volatile, il fetroZzo perchè troppo costoso e diffi- cilmente emulsionabile, rimane l’o/zo di catrame come ec- cellente specifico. Non giova pensare qui all’ Estratto di tabacco la cui soluzione acquosa, essendo a reazione pres- sochè neutra, non bagna le superfici spalmate di sostanza cerosa come sono i corpi delle cocciniglie e non offende quindi gli insetti. Ma l’oZio di catrame, energico solvente DI 69 della cera, e rinforzato in questa sua proprietà dall’ag- giunta di un alcali, come avviene nelle sue mescolanze emulsionabili, è assai economico. Quali vantaggi si possano ottenere colla cura inver- nale, nella quale l’insetticida va applicato alla pianta in soluzione acquosa almeno del 5 p.°/, (e forse ancora que- sta misura è insufficiente), non discuterò ora, mentre mi preme piuttosto di insistere sulla praticità della cura esti- va da praticarsi in una stagione nella quale siamo pre- sentemente. Per mio conto, senza negare assolutamente la possibilità di ottenere anche cogli attuali mezzi a no- stra disposizione, effetti utili contro le cocciniglie, colla cura invernale, preferisco di gran lunga la cura estiva e vivamente la raccomando. Le piante vanno asperse e largamente lavate due 0 tre volte durante la stagione calda, dalla fine di giugno a tutto settembre, con soluzione acquosa (emulsione) al mezzo, fino all'uno per cento di olio di catrame, che ora si può trovare già preparato in modo da essere pronta- mente solubile, e messo in commercio sotto il nome di Pitteleina dalla fabbrica A. Petrobelli e C.° di Padova, che lo compone secondo una formula da me consigliata. Per queste aspersioni sia la soluzione acquosa all’ 1 p.°/, oppure anche al '/» p. Y,, e si ricorra alle pompe da Pero- nospora, usando il getto polverizzato o meglio ancora il get- to vigoroso a ventaglio, e si procuri di bagnare largamen- te l’intera pianta in tutte le sue parti, perchè su tutte si trovano sparse le larve delle cocciniglie, nell'epoca suddetta. Se qualche larva sfugge per avventura al primo trat- tamento, cadrà sotto il secondo, o sotto il terzo, oppure le larve a cui potesse in questo tempo dare origine si tro- veranno sopraffatte dai successivi trattamenti. L'effetto della cura poi si vedrà chiaramente nell’in- verno, quando si può rilevare il numero delle coccini- glie adulte sui frutti e sulle foglie e confrontarlo con quello degli anni antecedenti o di piante non trattate. 70 Nessun danno viene alla pianta dall'uso della emul- sione suddetta al mezzo per cento (mezzo chilogr. di Pit- teleina in un cttolitro di acqua) o all'uno per cento, nem- meno nelle sue parti più delicate ed in via di vegetazione Infatti le prove ripetute da me per molto tempo, mi hanno persuaso, che l’ emulsione all’ uno per cento non of- fende nemmeno le parti delicate degli agrumi, come sa- rebbero foglie giovani, fiori ecc. I frutti poi, in qual si sia età non sono minimamente danneggiati dalla dose sud- detta. Per i Lecanium ed il Dactylopius di cui le larve na- scono pressochè durante tutto l’anno, si può usare di in- verno l’insetticida nella dose del 2 p. °. Questo però non esclude che sulle giovanissime larve, anche la dose del mezzo od uno per cento non sia sufficiente. Gli agrumicultori approfittino di questa valida arma di difesa che loro ho indicato, e ne avranno sicuro e con- siderevole vantaggio. Calcolando che in media occorrono 20 litri di emul- sione per ciascuna pianta, la spesa dell’ insetticida (emul- sione al mezzo per cento) è di Cent. 3 circa, computato il costo della /z%teleina a L. 0,80 il Chilogrammo; così per tre operazioni successive, il costo dell’ insetticida sa- rebbe di Cent. 24; usando poi la emulsione all’1 per %, il prezzo di ciascuna pianta salirebbe a circa cent. 50, ci- fra che mi sembra discreta, quando si tenga presente il valore della pianta trattata e dei frutti che può rendere se in buono stato, e così sviluppata da richiedere 20 litri di liquido per essere completamente bagnata. 7ì LA FITOPTOSI DEL PERO. Struttura e sviluppo degli acarocecidi del Pero Studi del Prof. A. N. BERLESE (con tav. IV.) Sugli acarocecidi del Pero, o meglio sul P/ytoptus Piri, il più importante lavoro, che abbiamo è quello del Sorauer 1). Il Frank ?), il Massalongo ?), ed altri trattarono abba- stanza diffusamente delle alterazioni che questo animale induce nelle foglie di detta pianta, ma riportarono in mas- sima parte le osservazioni del Sorauer. Parecchi zoologi e fitopatologi ricordarono quest’acaro, ma i primi per lo più nell’interesse della fauna locale, i secondi per l'alterazione che produce nel Pero. Nei loro tratti generali, e con qualche dettaglio di strut- tura e sviluppo, descrisse il Sorauer le suddette altera- zioni nel citato lavoro. Avendo notato assai diffuso il P/ytoptus Piri nel frut- teto della Scuola, e trovandomi quindi in adatte circo- stanze per seguire lo sviluppo degli acarocecidi, volli occu- parmi dell’ argomento. I risultati dei miei studi, mi sembrò completassero gli studi accurati del Sorauer, ‘) il quale più dell’ alterazione patologica si occupò dello sviluppo degli animali; per cui a lavoro compiuto, non mi parve fuor di luogo il rendere di pubblica ragione le mie ricerche. 1) Sorauer Handb. der Pflanzenkrankh. Erster Band p. 814, Tab. XVII (Zweite aufl.). 2) Frank Die Krankheit. der Pflanz. II, p. 699, fig. 132 A. 3) Massalohgo C. Acarocecidi nella Flora Veronese. (In Giorn. Bot. Ùisergom p. 107). 4) Sorauer I. c. 72 È noto che la fitoptosi del Pero, come quella di altre piante, è prodotta dalla puntura di speciali animaletti del gruppo degli Acari, e più precisamente dei Fitoptidi. Molte sono le piante che vengono intaccate, e, dirò col Massa- longo '), che onde «sulla pianta possa formarsi un zooce- cidio, occorre la compartecipazione attiva di essa, la con- dizione di sviluppo dell'organo affetto, vale a dire che i tessuti costitutivi di questo siano, almeno in parte, nella fase o stadio meristematico, e l’azione del parassita. Ri- guardo a quest’ ultima poco si sa di positivo, soltanto sembra accertato che la medesima sia molto complessa ». «Generalmente il parassita inocula nella pianta (in ma- niera e condizioni differenti) un liquido di particolari pro- prietà specifiche, che determina un’irritazione, in seguito alla quale si verifica un abbondante afflusso di succhi pla- stici verso il luogo irritato. Questi succhi in quantità esu- berante non solo servirebbero di alimento al parassita, ma ancora fornirebbero i materiali per la formazione dei tessuti del cecidio. Se non si ammettono delle specifiche proprietà nel liquido inoculato, sarebbe impossibile di spie- gare la diversità dei cecidi provocati da animali differenti e per contrario la identità di quelli dovuti ad un mede- simo parassita (fatta eccezione di alcuni rarissimi casi, p. e. per il P/ytoptus delle foglie del Prunus Padus, se- condo Frank, e per le galle dei cinipidi a generazione al- ternante) ». La questione dell’ inoculazione di un liquido dotato di particolari proprietà, è la sola che fino ad oggi può spiegare l’irritazione a cui va soggetto l'organo leso, però come pura osservazione diciamo che ci sembra che non sempre si possa ammettere la presenza e l’effica- cia di un tale liquido. Lo stimolo potrebbe pure essere provocato dalla presenza di un corpo estraneo, come è 1) Massalongo l. c. p. 72. siti sii Re 73 l’animale nell'interno dei tessuti della pianta. Pustole di simile natura abbiamo ancora nel regno animale provo- cate dalla presenza di speciali parassiti, e nel regno ve- getale ancora abbiamo delle alterazioni ipertrofiche ge- nerate anche da funghi (Bozzacchioni etc.), anzi a tale proposito mi sembra utile il ricordare, quali fatti de- sunti anche dalla mia propria esperienza, che in seguito all’azione parassitaria di funghi biogeni vi ha spesso pro- duzione di tessuti nuovi da parte della pianta in determinate regioni, quelle cioè sulle quali il fungo andrà a fruttificare. Gli strati imeniali di qualche uredinea ed ustilaginea, come anche di certi melanconiei ecc., sono dati da una prolife- razione ipertrofica dei tessuti della pianta invasa e dai micelii dei funghi medesimi. Le alterazioni stesse che su- biscono le alghe nella formazione dei licheni mostrano che l'ospite non rimane sempre passivo, ma che invece, sog- getto all’azione di speciali stimoli, acquista facoltà di svi- lupparsi in modo particolare dando origine a fenomeni di simbiosi o di associazione. La semplice ferita può tal- volta produrre speciali alterazioni ipertrofiche ! Ma su quest’ argomento ritornerò quando avrò raccolti tutti quei fatti, e compiuti tutti quegli studi, che me ne permetteranno la trattazione per esteso. Nel nostro caso il P7ytoptus fa una puntura sulla fo- glia del Pero, puntura che determina una proliferazione nel punto offeso e nei circostanti, e la risultante forma- zione di una galla. Noi non ci occuperemo del modo nel quale l’animale fa la sua puntura, e come esso si comporti nell’ interno della galla. Tale questione esce dal campo della Fitopa- tologia, ed entra nei dominii della Zoologia. Il Sorauer del resto, nel più volte citato lavoro, trattò questo argo- mento con una certa larghezza ed espose la biologia i costumi, ed un po’ anche la struttura del P/ytoptus Peire. A quel lavoro rimando il lettore desideroso di cono- scere l’acaro in discorso. lo mi limito qui allo studio delle 74 alterazioni indotte dall’animale nelle foglie del Pero, ed allo sviluppo di queste alterazioni. La fitoptosi del Pero si manifesta nelle foglie, in forma di pustole di forma e grandezza varie a seconda dell'età, e che interessano, a sviluppo completo, l’intera pagina fo- gliare. Sono prodotte dalla puntura e dalla coabitazione nei tessuti della foglia stessa di un piccolo animale del gruppo dei Fitoptidi, chiamato //ytoptus Piri. L’entrata dell’acaro nella foglia avviene allorchè que- sta è giovanissima e precisamente prima che essa siasi spiegata. La prefogliazione nel Pero è involuta, e le due metà fogliari stanno accartocciate quindi lungo la costola pri- maria al lato interno della stessa. Nella primavera all’epoca dello sviluppo delle prime foglie del Pero, queste spuntano dalle gemme quasi con- temporaneamente in parecchie da ciascuna gemma inver- nale, cosicchè è press’ apoco simultanea l’ apparsa di un certo numero di foglie per ogni gemma. Indi cessa lo sviluppo, se si tratta di un dardo, o segue l'allungamento dell’apice vegetativo se si tratta di un ramo da legno, e si ha la formazione di un nuovo ramo, o l’ allungamento di quello preesistente. Il primo caso determina spesso la formazione di una specie di rosetta di foglie con inserzione sopra una spira più o meno raccorciata. L'infezione in queste prime foglie avviene quindi simultaneamente, e tutte presentano in breve tempo i sintomi del male, e nia a poco colla stessa intensità. In caso di violente infezioni, le foglie sono lettera coperte di pustole. Questo fatto è reso vieppiù manifesto quando si sono sviluppate altre foglie sui rami novelli, le quali restano sempre immuni dal parassita. Vedremo però in seguito, fino a qual limite si spinge la detta immunità. Lo sviluppo della foglia del Pero è basipeto, talchè i denti vanno decrescendo di grossezza dall’apice verso la | base. In primavera al primo sviluppo delle foglie, e quando 75 queste non superano una lunghezza di 4-6 mill., avviene la perforazione. Il Sorauer dice che le pustole sono nu- merose «all’ estremità della foglia, e nella metà superiore della stessa, ma che però anche la metà inferiore rara- mente è risparmiata. Inoltre aggiunge che sono molto co- piose nella regione longitudinale lungo la costola mediana, poichè è questa la parte della foglia che riesce per prima libera, allorchè la foglia stessa esce dalla gemma. Ciò è vero, ma non di rado alcune differenze si pre- sentano a modificare l’asserzione del Sorauer. Anzitutto devo dire che l’ infezione del P/ytoptus Piri, non è continua, bensì ad intervalli più o meno lunghi, anzi si può asserire esservi una serie di infezioni, non una sola. La prima avviene al primo sviluppo delle foglie ap- partenenti alle gemme invernali, ed è, in apparenza al- meno sempre la più violenta, poichè limitata a non molte foglie. In seguito si sviluppano nuove foglie sui rami no- velli, e queste come dicemmo rimangono immuni, però verso la fine del Maggio (almeno nei dintorni di Avellino) sulle piccole foglie si sviluppa una nuova infezione men- tre le pustole della prima si sono quasi annerite. Alla fine del Giugno ed ai primi di Luglio, abbiamo una terza infezione sulle tenere foglioline non ancora spiegate. Nella primavera l’esame delle pustole rileva la presenza nelle stesse dell'animale e delle uova, però man mano che si avanza la stagione l’animale nelle pustole diventa sem- pre più raro, mentre ripetendo l'osservazione nella se- conda metà del Maggio, si ritrovano nelle vecchie pu- stole ancora abbondantemente gli Acari. Questi però sono sorti dalle uova depositate dalla pri- ma generazione, e nelle pustole vecchie trovano condi- zioni sfavorevoli alla loro esistenza; migrano quindi nella parte superiore dei rami ed intaccano le giovani fo- glioline. Osservate con una forte lente l'estremità dei rami in quest’ epoca, e di regola il trovare in esse ed in buon nu- 76 mero, i fitopti aggirantisi tra le piccole foglie, e spesso osservarne altri nell’atto della perforazione, sopra piccolis- sime foglie ancora involute, fitti col capo nel meristema fogliare, ed in esso più'o meno infossati. 1 ifuribar primaverile, perchè avviene sopra un nu mero più limitato di foglie, è in ciascuna più abbondante, e ragionevolmente avviene con maggiore frequenza lungo la nervatura mediana. Ma gli acari spesso e volentieri si portano pure nell'interno delle spire fogliari, e pratica- no nuove aperture sempre più distanti dalla nervatura mediana. Qualche volta arrivano anche presso il margine della foglia e questa viene letteralmente coperta di pustole; le quali sono però più fitte verso la nervatura mediana. Non vi è una decisa preferenza in questa invasione per una parte piuttosto chè per un’ altra della foglia. In quelie foglie nelle quali le pustole sono in piccolo numero, queste sono sparse senz’ ordine. Nella seconda infezione le cose possono passare nel suindicato modo, ma più spesso invece ebbi a notare un fatto che sembra in contraddizione con quanto ha osser- . vato il Sorauer. Infatti le regioni maggiormente intaccate sono bensì spesso quelle ai lati della costola mediana, ma con pari o poco minore frequenza anche la metà infe- riore della foglia è coperta di pustole. Riconosciuto l'accrescimento basipeto della foglia del Pero questo fatto sembra un po’ contradditorio, ma tale non è in realtà. Infatti conviene osservare che, avuto riguardo all’estensione che occupano le pustole nella pagina fogliare, alla forte differenza di grandezza che presenta la foglia a maturità da quando venne intaccata, ed alla distanza non di rado piccolissima o nulla, che corre tra pustula e pustula, le punture dell'animale all'atto che esso le fa, devono es- sere molto fitte, perchè limitate ad una piccola estensione. Durante la seconda infezione l'accrescimento della foglia è assai rapido, la differenziazione dei tessuti principal 77 mente nella parte superiore, avviene di buon’ora e ra- pidamente. La parte basilare della foglia è la più tenera perchè per buon tratto si mantiene meristematica. È per- fettamente nell'estremo punto della base che vengono praticate le punture, specialmente se la foglia è un po’ svi- luppata, ed è perciò che in seguito allo sviluppo, queste occupano la metà inferiore della foglia, allorchè la stessa è spiegata, oppure la base soltanto. Se l'invasione avviene quando la foglia è estremamente piccola, allora può inte- ressarla in tutta la lunghezza e principalmente lungo la nervatura mediana. Non è raro il caso di osservare in mezza foglia, quando è molto giovane ed ancora involuta, una sola lesione nel piano del taglio. La nostra fig. 1 mostra appunto uno di questi casi. La puntura viene fatta dall’animale sempre nella pa gina inferiore della foglia, e le alterazioni, che in seguito hanno luogo nei tessuti fogliari, si rendono manifeste poco tempo dopo, prima sulla pagina inferiore, indi anche sulla superiore. In principio si palesa sulla pagina inferiore (nelle pun- ture fatte in foglie sviluppate da gemme invernali) una macchia pallescente, a contorno irregolare e non netta- mente delimitato, dopo qualche giorno la piccola macchia è appariscente anche nella pagina superiore, ed ha i con- torni più sfumati. Lo spessore della foglia nella regione della. macchia è alquanto più forte che nel rimanente, vi è quindi una pustola che risalta bene principalmente pel colore giallo-verdastro pallido. È evidente che nella regione della pustola vi fu uno sviluppo ipertrofico per cui la clorofilla è più diradata, le lacune aeree sono più ampie, talchè la tinta riesce sbiadita. Il Sorauer dice che in alcune varietà le pustole diven- tano di un rosso carmino. lo pure ho più volte osservato pustole colorate vivacemente in rosso, ma ritengo che 78 esse non sieno sempre (almeno nei casi osservati da me), in relazione colla varietà. Nelle foglie che si formano nella tarda primavera ed in estate osservai abbondante la produzione nelle varietà esaminate) di una sostanza colorante di un bel rosso-car- mino e sparsa nelle cellule del diachima, specie in quelle degli strati appena sottoposti all’ epidermide. inferiore e superiore. Le pustole esistenti in queste fogliette, sono, anche a foglia spiegata, di una tinta rosso-carmino vivo, poichè molte delle cellule che circondano la puntura sono ri- piene della eritrofilla osservata nel tessuto sottoepidermico. Nelle foglie che si sviluppano dalle gemme invernali, come in quelle che spuntano nella prima metà del mag- gio, manca o scarseggia (almeno nelle varietà osservate) la sostanza colorante rossa. Le pustole non sono quindi rosse, e spesso detta colorazione non sopravviene mai, nemmeno in tarda età delle pustole. Ho detto che spesso non sopravviene e non serzpre, poichè in qualche caso ho osservato in alcuni elementi ipertrofici (specie dello strato più esterno del palizzata) un accenno ad una tinta rosso-vinosa, prima che avvenisse in essi il disseccamento, e specialmente nella varietà Bergamotte esperine, ed in qualche altra le pustole arrossano colla vecchiaia, indi imbruniscono e disseccano. Differente, e più interessante, è il comportamento delle pustole appartenenti alla seconda generazione. Come dissi, queste si formano in foglie che spuntano nella seconda metà del maggio e nei primi del giugno. Or bene, que- ste foglie sono intensamente rosse quando sono molto gio- vani. Durante l’iponastia la colorazione esiste soltanto nella pagina inferiore, e le pustole che si incontrano in quest'epoca, dividono il colore della pagina. E notevole il fatto che le cellule le quali entrano a formare una pustola conservano a lungo nel loro interno la eritrofilla, cosicchè dopo che questa è scomparsa dalla 79 pagina inferiore, le pustole sono ancora fortemente rosse. L’esame microscopico ci dimostra che il diachima sotto- epidermico è ricco di sostanza colorante allo stato di so- luzione. Man mano che procede l’ epinastia, e la foglia si svolge, ha luogo un’ abbondante formazione di sostanza colorante nel palizzata in via di sviluppo. Nel frattempo le pustole cominciano a mostrarsi anche nella pagina superiore, ed assumono quindi la colorazione rossa della pagina. Que- sta tinta persiste lungamente, anche quando nelle altre parti della detta pagina essa è totalmente scomparsa, € si sono in gran copia formati i corpi clorofilliani. Sezioni di pustole rosse assoggettate all’ esame micro- scopico, ci dimostrano che la sostanza colorante abbonda in principio nel tessuto sottostante all’ epidermide infe- riore; in seguito pure nello spugnoso e principalmente nelle cellule che attorniano i piccoli fasci in via di for- mazione compresi nelle pustole, indi questa colorazione si palesa pure nel palizzata, dove rimane assai a lungo, anche pel fatto che questo tessuto è l’ultimo a risentire l’azione del parassita, e quindi ad assumere quello svi- luppo ipertrofico che più o meno profondamente altera le funzioni dello stesso. Non mi venne fatto di osservare nell’ interno delle cel- lule granuli rossi, come asserisce il Sorauer. La sostanza colorante è costantemente sciolta nel succo dei tonoplasti. Le pustole vecchie possono, prima di assumere la tinta intensamente bruna definitiva, avere un colore rosso cupo. In questo stato, che è un principio di disseccamento, gli elementi anatomici di sviluppo ipertrofico, mostrano nel- l'interno un contenuto granuloso pure rosso-bruno, ma che non è affatto paragonabile alla sostanza colorante delle pustole rosse e delle foglie giovani. Man mano che si forma la clorofilla, va scomparendo nelle foglie la sostanza colorante. Io ho constatato che negli elementi che assumono uno sviluppo ipertrofico, i 80 corpi clorofilliani si formano più lentamente, e più scar- samente, anche in causa della rapidità d’accrescimento degli elementi medesimi. Le pustole quindi prima dell’in- brunimento sono costantemente (specie nella pagina su- periore) più pallide del rimanente della foglia. A questo ritardo ed a questa scarsezza dei corpi clorofilliani è forse dovuta la persistenza dell’ eritrofilla negli elementi delle pustole. Quando nelle pustole vecchie gli elementi iper cominciano a disseccare, allora i corpi clorofilliani (spe- cialmente nel palizzata dove la clorofilla abbonda) per primi si scompongono e si alterano. In qualche caso, al- lora, come dissi, ricompare l’eritrofilla, accentuandosene maggiormente la presenza od accresce nd i queto: che non è mai definitivamente scomparsa. Nel centro di ciascuna pustola esiste nella pagina in- feriore una lieve infossatura, nel mezzo della quale si apre il foro che l’acaro ha prodotto colla puntura della foglia medesima. I primi elementi che imbruniscono e disseccano, sono quelli circostanti all'apertura, per cui dopo un certo tem- po si vede nel centro di ciascuna pustula un punto di secco che va sempre più spingendosi verso la periferia della pustola medesima, fino a guadagnarla tutta o quasi. Una pustula, come si vede, ha un periodo di sviluppo, uno stazionario durante il quale i tessuti che la com- pongono funzionano nel senso di quelli della foglia nor- male ma assai più debolmente, ed in fine uno di deca- dimento. i L’intero ciclo dura del primo sbocciare delle gemme invernali a tutto il Giugno, e perfino durante il Luglio spes- so si vedono le pustole che si sono formate nelle prime fo- glie. L'epoca di decadenza coincide collo schiudimento delle uova contenute nelle pustole. I nuovi acari non trovano nelle vecchie pustole più condizioni adatte, non si portano nelle regioni sane del parenchima, poichè sarebbe a loro 81 inutile, abbisognando di foglie in via di sviluppo, quindi escono dalle vecchie pustole, e, come dissi, si portano alla sommità dei rami in via d’accrescimento, ed ivi intac- cano le giovanissime foglie producendo novelle alterazioni. Passiamo ora alla istogenesi delle pustole del P/ytop- tus Pivt. Dissi che la puntura viene praticata quando la foglia trovasi ancora allo stato meristematico o quasi, e quindi ancora accartocciata nella sua prefogliazione involuta. Le ferite sono fatte costantemente nella regione ester- na, e vengono quindi a cadere nella pagina inferiore. L’acaro passa attraverso l'apertura e si porta nell’in- terno della foglia. Qui occorre osservare che essendo, come si disse, la foglia allo stato meristematico o quasi, allor- chè viene punta, non presenta nell'interno spazi o lacune che permettano all'animale di aggirarsi nella compagine fogliare. È necessario ammettere che l’animale entri nei tes- suti interni della foglia allorchè gli stessi, o parte degli stessi, avendo subito l’azione irritante, hanno già comin- ciato ad assumere quello sviluppo ipertrofico, il risultato primo del quale è la formazione di grandi spazi che per- mettono all’acaro la circolazione. Ed infatti così è. L'animale impiega molto tempo per praticare la perforazione. Si fissa col capo nel tessuto fo- gliare, eseguisce continuamente dei movimenti colle zam- pe, ed a poco a poco si spinge nell'interno. Nelle giova- nissime foglie si vedono per parecchi giorni di seguito gli acari infissi nei tessuti, ed attorno agli animali non è raro il vedere il tessuto un po’ rigonfio. Quel gonfiore un segno evidente che già è cominciato lo sviluppo iper- trofico degli elementi. A che cosa è dovuto questo sviluppo? A. un liquido secreto dall’animale? Alla irritazione che l’acaro mede- simo deve necessariamente destare nel meristema colla continua agitazione delle zampe? (DA 82 L’una e l’altra delle ipotesi hanno bisogno di essere confortate da nuove ricerche, e non potrei mostrare per luna o per l’altra che una propensione dipendente da un ordine di idee non inspirate da alcuna coscienziosa osservazione, e quindi lascio questo argomento intrattato. Forse ambedue queste cause concorrono a dare i risul tati che sono sottoposti alla nostra osservazione. Certo è che il rapido sviluppo della giovanissima fo- glia, permette all’animale di attendere i risultati del suo lavorio, e di poterne approfittare. L’epidermide non risente in principio alcuna azione disturbatrice, soltanto le cellule presso alla puntura si svi- luppano più prontamente delle circostanti, e ne viene quindi una forte differenza tra il diametro trasversale di queste e quello del rimanente epidermide, poichè quest’ ul- time hanno in sezione forma di rettangoli strettamente addossati, mentre quelle sono quasi isodiametriche. Contemporaneamente a queste modificazioni dell’ epi- dermide, avvengono più sensibili alterazioni nell’ interno della foglia. Anzitutto osserviamo una tendenza del tes- suto sottostante all’ epidermide, di staccarsi da quelli più interni, in modo che si forma una cavità abbastanza gran- de, prima ancora che negli elementi stessi sia veramente visibile l'impronta di un qualsiasi sviluppo ipertrofico. Approfittando di questo distacco, l’animale si porta nell'interno della foglia. E le alterazioni continuano allora più rapide e sopra più larga scala. L’epidermide intorno all'apertura si ripiega in den- tro, cioè verso l’interno della foglia a guisa di imbuto. L'apertura collo sviluppo delle pareti può anche chiudersi, ma non è raro che si mantenga aperta. Un fatto notevole è quello che il tessuto sottostante all’epidermide non si stacca mai da questo. Ciò serve a rinforzare l'epidermide e sopratutto a mantenerla in po- sto, poichè in caso che si staccasse dal detto strato cel- 83 lulare, (i cui elementi rimangono vivi e funzionano per lungo tempo) in brev’ora si disseccherebbe e finirebbe col cadere distrutto, lasciando in tal modo allo scoperto la pustula, con non lieve danno delle uova deposte nei vani cellulari, le quali andrebbero in gran parte per- dute. Quando comincia a nettamente differenziarsi lo spu- gnoso nelle regioni normali della foglia, troviamo nelle pustole gli elementi di questo tessuto sensibilmente alte- rati. Il palizzata non è per anco quasi accennato, e già lo spugnoso nelle regioni alterate si presenta formato da cellule irregolari con tendenza alla disposizione in cor- doni i quali, a guisa di briglie, limitano nella pustola dei numerosi spazi di grandezza variabile. Il massimo svi- luppo di queste cellule ha luogo di preferenza in senso perpendicolare alle facce fogliari, per cui si formano dei veri cordoni spesso ramificati. Ciascuna cellula si allunga in modo da superare del doppio e del triplo le cellule dello spugnoso normale Al pari di queste sono spesso curve o irregolarmente e scarsamente sinuose. Contengono poca clorofilla ed han- no una parete spessa in principio, ma che in seguito di- venta assai sottile. Il palizzata non entra in giuoco che molto tempo dopo, e non di rado anche subisce alterazioni poco accentuate. Quando già nello spugnoso vi sono numerose lacune, come lo mostra la fig. 1 della tav. IV, il palizzata è appena in via di formazione. Anche nei casi di infezione rapida e vio- lenta questo tessuto raggiunge uno sviluppo quasi com- pleto. Spesso non prende che scarsa parte al movimento ipertrofico indotto dall’ animale nei tessuti vicini, e si man- tiene inalterato o quasi fino all’imbrunimento della pu- stola, specie nello strato a contatto coll’ epidermide. Poi- chè è bene ricordare che nella foglia del Pero il palizzata è composto di due strati distinti che prendono origine da una assisa di cellule sottostante all’ epidermide superiore 84 in seguito a numerose settazioni prima longitudinali, indi trasversali degli elementi di detta assissa. Il movimento ipertrofico dei tessuti ha luogo dalla pa- gina inferiore verso la superiore. I primi a risentire l’ a- zione parassitaria, sono i tessuti. prossimi all’epidermide inferiore, mentre quelli vicini all’ epidermide superiore si mantengono compatti. Lo sviluppo anormale che assumono gli elementi del diachima fogliare, determinano yn rigonfiamento più o meno accentuato della regione in cui questo ha luogo, e ciò produce la pustola, la quale può avere anche uno spes- sore doppio di quello della foglia normale. L’epidermide quindi è fortemente stirata nel senso tangenziale, ed allora gli elementi che la compongono cre- scono in larghezza, mentre gli stomi vanno sensibilmente diminuendo di numero in quella data area. Fatto analogo fu riscontrato dal Kruck !) nell’ epider- mide del zoocecidio di /zcridium. Prima di descrivere lo stato di una pustola matura, sarà utile esporre brevemente la struttura della lamina della foglia di Pero a completo sviluppo. La sezione transversale di detta foglia ci presenta na- turalmente il tipo bifacciale, od eterogeneo. L’epidermide superiore è sensibilmente cuticularizzata, e presenta delle numerose striature le quali in senso tra- sversale appariscono come minuti dentelli, più salienti in corrispondenza delle nervature (Tav. IV, fig. 2). Nel maggior numero dei casi le cellule epidermiche sono continue, qualche volta sono divise da un setto tan- genziale in due di forma piuttosto irregolare. Per lo più la parete interna delle cellule epidermiche è alquanto con- vessa verso il palizzata. Questo si compone di due strati di cellule cilindriche strettamente collegate; occupa col !) Kruch Studio anatomico di un zoocecidio del Picridium vulgare, p. 361. (In Malpighia Vol. V. 1892). 85 suo spessore la metà dell’altezza della foglia. Le cellule dello strato inferiore sono in generale più brevi di quelle che compongono il superiore e verso il basso diventano alquanto irregolari e leggermente sinuose onde facilitare l’attacco allo spugnoso. Non esiste, a tutto rigore un netto limite tra spugnoso e palizzata, poichè spesso le cellule del primo si portano fin presso lo strato superiore del pa- lizzata, o per dir meglio, in alcuni luoghi le cellule dello strato inferiore del palizzata, sono irregolari, ed affettano piuttosto la forma di quelle dello spugnoso. Quest’ ultimo tessuto è denso, non lascia grandi spazi, e le cellule che lo compongono sono irregolarmente ovoidee od alquanto allungate. L’epidermide inferiore nulla offre di particolare. Le cellule che lo compongono, sono, al pari di quelle del su- periore, schiacciate, colla parete esterna cuticolarizzata e rugosa; quelle in corrispondenza dei fasci ché interessano l’intero spessore della foglia, sono spesso più piccole e più rugose (Tav. IV, fig. 2). Nello strato inferiore del palizzata esistono spesso delle grosse cellule globose le quali contengono ciascuna una drusa. Queste cellule ossalifere poste regolarmente allo stesso livello, si mostrano disposte in serie rettilinea, e denotano idealmente con nettezza il confine tra palizzata e spu- gnoso. Vediamo ora la struttura delle nervature. La costola mediana, specialmente presso la base, diffe- risce poco nella struttura dal picciuolo. Quest’ organo è astelico. La sua regione vascolare è data da un grosso fascio che occupa quasi tutta la larghezza del picciuolo. Lateralmente si osservano, verso la base due piccoli fa- sci i quali. presso la lamina scompaiono. L’endoderma è bene sviluppato, e ricco di granula- zioni amilacee, circonda il fascio, nella sua parte infe_ riore manca, come è noto, nella faccia esterna del xilema 86 ed abbraccia pure i due fasci piccoli nella regione in cui esistono; è costuito generalmente da uno strato di cellule allungate nel senso dell’asse longitudinale del picciuolo ; in alcuni punti due ed anche tre cellule poste sullo stesso raggio e contenenti granulazioni simili alle fleotermatiche, vanno ad aggiungersi a quello strato. Il xilema e disposto in serie fitte radiali, e ricorda la disposizione che ha nel ramo. Numerose e piccole granu- lazioni amilacee riscontransi pure nelle cellule a parete ispessita che accompagnano i vasi del fascio xilematico. L’arco meccanico del floema non è continuo, ma si riduce a gruppi di stereidi collocate al di sotto dell’en- doderma; si spinge anche ai lati del fascio in direzione radiale fin dove arriva l’endoderma indi cede il campo al cordone sclerenchimatico che abbraccia la maggior parte del xilema e che si fonde poi verso la parte del picciuolo rivolta in alto, in un tessuto ad elementi gradamente più larghi ma a parete pure ispessita e che costituisce il col- lenchima del picciuolo. L’endoderma fonde le sue estre- mità nel cordone meccanico del xilema, e le cellule di questo cordone poste in vicinanza alle estremità dell’endo- derma contengono pure delle granulazioni amilacee, le quali vanno diventando sempre più rare man mano che ci allontaniamo dalle ricordate estremità dell’ endoderma. Gli elementi dell’ ultimo strato del cordone sclerenchi- matico ora ricordato e di quello posto al di là dell’ endoder- ma contengono spesso dei grossi cristalli romboedrici, pa- rallelopipedi, o cubici di ossalato di calce, quali si osser- vano in grandissima copia nelle zone corticali dei rami. Al di fuori dell’endoderma esiste un tessuto parenchi- matico ad elementi con parete alquanto ispessita, e che rappresenterebbe il tessuto corticale. Questi elementi non. contengono però clorofilla e verso l’ esterno vanno man mano degradando in un collenchima a cellule piccole ed assai resistenti, a pareti uniformemente ispessite. 87 Qualche cellula del tessuto corticale contiene una grossa drusa. I cristalli romboedrici oltre a trovarsi, come dissi nello strato esterno all’endoderma, esistono pure non di rado anche negli elementi non ispessiti del periciclo, e così in qualche cellula posta nella linea endodermica. Queste cel lule in tal caso mancano di amido. Tale struttura si mantiene invariata in tutti i suoi par- ticolari nella regione inferiore della nervatura mediana, presso al picciuolo. Verso la metà della pagina fogliare, l’ i non esiste più; il cordone meccanico del floema si è raccolto in un arco continuo; è scomparsa la zona di tessuto corticale, ed al di sopra del cordone meccanico vi è il collenchima. Non sono però scomparse le zone cristallifere, e le tro- viamo anche nei piccoli fasci. In sezione longitudinale i cristalli si vedono disposti in serie perfettamente rettili nee, ed accompagnano il fascio attorno al quale formano un astuccio quasi continuo. Per la maggior parte i fasci fogliari interessano tutto lo spessore della pagina, salvo le piccolissime diramazioni, nelle quali i tessuti sono estremamente ridotti. Quando detti fasci fanno rilievo alla pagina inferiore, allora la regione collenchimatica è bene sviluppata, quando invece sono immersi nello spessore della foglia, constano sempre delle parti indicate, meno naturalmente l’endoderma ed il collenchima, e sotto agli epidermidi vi sono da una a due serie di cellule, delle quali le più prossime all’ epidermide sono maggiori e vuote (Tav. IV, fig.2), quelle a contatto col cordone sclerenchimatico del xilema, e quelle che toc- cano l’arco meccanico del floema sono cristallifere. L’ epidermide in corrispondenza di tutti i fasci che in- teressano l’intero spessore fogliare, ha elementi più pic- coli e più robusti, e la parete esterna è fortemente cutico- larizzata, e percorsa da rughe salienti. I fasci molto piccoli mancano di cordoni meccanici, e 88 di collenchima, e non interessano che una porzione dello spugnoso ; si riducono a poche trachee e cellule floema- tiche, cinte da un astuccio di cellule rotondeggianti, le quali nei piccolissimi fasci mancano insieme alle cellule floematiche stesse. Vediamo ora quali alterazioni presentano le parti de- scritte, quando concorrono a formare l’ acarocecidio. L’epidermide della foglia, specie quella inferiore, come dissi, subisce un forte stiramento nel senso tangenziale, per cui si ingrandiscono gli elementi che la compongono, cosicchè gli stomi sono notevolmente allontanati l’uno dal- l’altro. Questi organi per nulla differiscono da quelli del- l'epidermide normale. Siccome la puntura in principio interessa soltanto la metà inferiore della foglia, così questa si accresce e di- venta bollosa, per cui le cellule dell’epidermide inferiore crescono in senso tangenziale, più di quelle dell’ epider- mide superiore, ed hanno quindi il diametro trasversale più largo e quello longitudinale più corto dei rispettivi diametri delle cellule dell'epidermide superiore che sono molto ristrette ed allungate. Queste differenze in seguito scompaiono. Verso l’entrata l'epidermide si ripiega in. dentro in modo da fare una leggiera infossatura ad imbuto nel cen- tro della pustola. Lo strato di parenchima fogliare a contatto Sol dermide inferiore, rimane aderente allo stesso, ed avviene invece un forte distacco tra questo strato ed il sovrastante. Si formano così le prime lacune. Gli elementi degli strati sovrastanti continuano a svilupparsi, e sotto l’azione del- l’animale si ipertrofizzano. È in generale conservata la disposizione a briglia che si nota anche nello spugnoso normale, ma gli elementi nei tessuti dell’ acarocecidio, si allungano assai, diventano piuttosto irregolari. Le briglie presentano delle ramificazioni che le ricongiungono e for- mano così una specie di reticolo lasso a grandi maglie. In 89 queste lacune si vedono numerose le uova, addossate ed anzi attaccate alle cellule e più tardi le spoglie, degli acari ; così pure tra le lacune si insinuano gli acari e succhiano 1 liquidi contenuti nelle cellule. La deformazione del palizzata non avviene in tutte le pustole. Essa ha luogo soltanto negli acarocecidi grossi e di forte sviluppo, e piuttosto tardi. È il tessuto che re- siste più di tutti gli altri all’alterazione ed all’ipertrofia. Anche in grosse pustole in cui l'alterazione si è propa- gata pure al palizzata, gli elementi di questo sono sco- stati, ed un po’ alterati nella forma, ma non così profonda- mente ipertrofici come quelli dello spugnoso. Questo fatto trova spiegazione anche in ciò che il movimento ipertro- fico nel palizzata avviene quando questo tessuto è bene differenziato, e non è suscettibile più di grande sviluppo, laddove nello spugnoso avviene allorchè questo si trova allo stato meristematico. La mortizzazione dei tessuti ipertrofici avviene pres- s'a poco nella stessa epoca in tutta la pustola, qualun- que sia il grado del suo sviluppo. Così non è raro ve- dere il palizzata vegeto e normale, quando gli elementi ipertrofici dello spugnoso sono raggrinzati, ed hanno un contenuto che mostra tutti i caratteri della morte. I gra- nuli clorofillici sono in tutto od in parte disfatti, i nuclei imbruniti, il corpo protoplasmatico, talvolta assai ridotto, contratto disfatto e bruno. Anche la parete cellulare va assumendo una tinta bruna di più in più carica. Questo disfacimento è accelerato dall'azione di batteri che fre- quentemente si incontrano numerosi nella lacune di vec- chie pustole. Quando l’acarocecidio è in questo stato, allora è an- che fortemente rialzato sulle pagine fogliari, ed i suoi tes- suti sono duri. Il suo colore, specie nella pagina inferiore, è intensa- mente bruno, i margini sono nettamente delineati. Quando si tratta di forti invasioni, e la foglia è per 90 buon tratto ricoperta di fitte pustole, allora tutta l’area invasa annerisce si raggrinza e finisce in un disfacimento parziale o totale. Frequentemente ho osservato che gli acarocecidi ven- gono limitati da nervature che interessano l’intera pa- gina fogliare. Queste non risentono alcuna azione dan- nosa, almeno apparente, dalla ipertrofia dei tessuti vicini, e formano anzi un riparo all'invasione degli animali, i quali non sono capaci di attraversare questi grossi fasci cinti da abbondanti stereidi, e spesso pure abbondante- mente cristalligeri. A questi fasci si arresta l’azione del parassita, ed al di la di essi là foglia è allo stato normale. Ciò determina il contorno netto che hanno le pustole un po’ vecchie, e la differenza di livello tra esse e le pagine fogliari. In altri acarocecidi !) (specie nel Noce) osservai un identico fenomeno. Però se le nervature laterali alla pu- stola rimangono inalterate o quasi, non così avviene di quelle che si trovano in seno alla pustola medesima. Le alterazioni che esse presentano, verremo via via descri- vendo brevemente. E qui dobbiamo distinguere due casi. Il primo si riferisce a piccole nervature immerse nel diachima fogliare, e ridotte soltanto a poche trachee ac- compagnate da qualche elemento floematico, e cinte da poche cellule accompagnatrici. | Il secondo invece si riferisce a quei fasci più o meno grossi che interessano l’intera pagina fogliare. I piccoli fasci del primo caso, non risentono molto danno dall'azione del parassita. Tagli traversali e longi- tudinali mi mostrarono le tracheidi allo stato normale, così gli altri elementi. Nemmeno la direzione viene sen- sibilmente modificata. Questi fasci sono sempre sostenuti !) Delle alterazioni che si osservano nei tessuti fogliari di altre piante, in seguito a punture di animali, parlerò in altro lavoro. 9i da cellule di spugnoso, che non sono soverchiamente iper- trofiche. Più profonde alterazione presentano i fasci del secondo caso. | La nostra fig. 3 mostra uno di questi fasci, mentre nella fig. 2 abbiamo riprodotto un fascio normale molto più piccolo di quello della fig. 3. (Vedi tav. IV). Come è facile vedere la serie di cellule vuote poste sotto l’epidermide sorio interamente scomparse. La for- mazione delle zone cristalligere non ha avuto luogo, e questo fatto è di una costanza notevole. Per grosso che possa essere il fascio che è in una pustola, le zone cristal- ligere, o per lo meno i cristalli, non si formano più. Lo sclerenchima che accompagna il xilema è ridotto a poche cellule allungate, il xilema invece è allo stato nor- male, così il floema, mentre l’arco meccanico di quest’ ul- timo o manca affatto, o sfuma rapidamente in cellule iper- trofiche. E tutto questo fascio così semplificato offre di- rettamente attacco a cellule scarsamente clorofilligere, al- quanto ipertrofiche, a pareti sottili, alle quali mettono capo cellule di spugnoso profondamente alterate. E per avero un esatto concetto delle modificazioni che subiscono i fasci, gioverà ricordare che le figure 2 e 3 sono eseguite colla camera lucida, e sotto lo stesso in- grandimento (Zeiss ocul. 4, obb. D.). Come si vede dalla grossezza degli elementi stessi il fascio alla fig. 3, è molto — più grosso di quello alla fig. 2, e quindi a maggior ra- gione avrebbe dovuto essere accompagnato da archi mec- canici, da zone cristalligere, da tessuto corticale, etc. Però questi fasci anche così modificati funzionano e- gualmente, almeno a dedurlo dallo sviluppo rapido degli elementi che compongono le pustole. Da quanto si disse risulta che negli acarocecidi del Phytoptus Piri, non vi è la produzione di alcun tessuto nuovo come avviene in altri acarocecidi, (ciò che vedremo a suo tempo), bensì le pustole vengono prodotte da una alterazione più o meno profonda, che interessa principal 92 mente lo spugnoso ed in minor grado il palizzata, e che si estende fino ai fasci semplificandone la struttura, la- sciando inalterati il floema ed il xilema. DANNI E RIMEDI Ed ora si affaccia la questione dei danni che apporta l’animale, e dei rimedi che si possono usare per com- batterlo. I danni, almeno nei casi da me osservati fin qui, non sono soverchiamente gravi. L'azione delle pustole sulle parti invase, diventerebbe perniciosa alla pianta allorchè queste si sono disseccate, ed i tessuti che la compongono non funzionano piu, se in quest’ epoca altre foglie non fossero spuntate. Come dicemmo, nuove foglie spuntano e rimangono immuni dal parassita, e sostituiscono a suffi- cienza l’azione diminuita o cessata di quelle invase. Però non è fuor di luogo il timore che in caso di for- tissime invasioni, la pianta deva soffrire, anche pel fatto che le foglie vengono deturpate quando sono ancora gio- vanissime e tenere. L’osservazioni mie furono dirette ai Peri del frutteto della Scuola, i quali sono tutti giovani (molti giovanissimi perchè piantati l’anno scorso) ed educati a spalliera bassa. Ho cercato di constatare se eravi qualche varietà più resistente od immune all’azione del parassita, e devo dire fin d’ora che, quantunque abbia raccolti dei dati in appa- renza certi, pure non li do per tali al momento, poichè desunti da un numero di piante non molto grande. Poi ho osservato qualche volta un andamento piutto- sto saltuario della malattia, talchè mi pareva determi- nato piuttosto dalle condizioni che favoriscono od osta- colano la diffusione del parassita, piuttostochè da una di- versa resistenza delle piante, o da una predilezione del- l’animale piuttosto per una che per un’altra varietà. 93 In qualche caso un solo ramo in una pianta non molto grande, era largamente invaso dal parassita, mentre tutti gli altri erano immuni. Altre volte tra due piante immu- ni, ed appartenenti a varietà aztaccabili, vi era una pianta fortemente invasa, o viceversa. Quest’ andamento saltuario ed irregolare dell’ invasione ostacola oltre ogni dire le ricerche sulla diversa resistenza delle varietà, resistenza che qualche dato mi induce a credere esista, se non proprio in via assoluta, almeno re- lativa. : Varietà molto resistenti, (immuni o quasi): Poire du curé ; Bonne Crethienne Wiliamsj Pera Napoleone ; Pera alloro; Bergamotte esperine; Beaufré Girard. Varietà resistenti, (poco invase) Marine sec, Duchesse d’ Angolemme. Varietà poco o nulla resistenti (più o meno invase) Bergamotte belge ; Beurrè d’ Avemberg,; Beurré Clair geau; Josephines des Malines; Passe Crasanne; Colmar d'A- remberg,; Citron des Carmes; Doyenne d' hiver; Beurré d’ Amantis. Quanto ai rimedi non ho che da indicare la distru- zione degli insetti. I metodi curativi a base di sostanze speciali insetti- de (Pztteleina, polvere di tabacco etc.) non sono consiglia- bili poichè non andrebbero ad offendere gli acari che si trovano nell’interno delle pustole. Converrebbe per uc- cidere gli animali colle sostanze antidette, fare i tratta- menti quando gli acari si dispongono a pungere le foglie, ma allora queste sono troppo tenere e risentirebbero dan- ni dai trattamenti stessi. A tutto ciò si aggiunga che gli acari si trovano spessissimo al riparo o fra le squame delle gemme, o tra le spire delle foglie involute. I trattamenti preventivi pure riescono inefficaci poi- chè gli animali sono nascosti, e non risentirebbero danno, ed inoltre intaccano le foglie nuove al loro sbocciare, e ie quali non avrebbero risentito l’azione dell’insetticida. 94 In Francia dicesi abbia dato buoni risultati la zolfo- razione. L’unico rimedio è quello di distaccare le foglie che si sono sviluppate dalle gemme invernali, allorchè sono arrivate al completo sviluppo, se presentano i sintomi ca- ratteristici dell'invasione. La raccolta di dette foglie ') non deve essere fatta trop- po per tempo, ma allorquando nei giovani rami vi sono sviluppate altre foglie, che, come si sa, rimangono immuni dal parassita. Inoltre siccome quando le pustole sono secche, le uova deposte nelle stesse sono già schiuse, e gli animali hanno abandonato la loro dimora in cerca di condizioni più adatte, sarà utile non ritardare di troppo la raccolta di dette fo- glie, per non correre, il pericolo di togliere le pustole al- lorchè sono vuote- Da ultimo, siccome la seconda invasione avviene ne- gli ultimi del Maggio od ai primi del giugno, sarà utile fare in quest'epoca colla potatura verde, anche la cima- tura dei giovani rami. In tal caso si asporteranno quegli animali che abban- donate le pustole vecchie, per tempo si sono già recati nelle gemme apicali per intaccare le nuove foglioline. Converrà ripulire il frutteto di tutte le parti staccate non gettarle a terra, poichè gli acari potrebbero uscire e guadagnare di poi ancora le piante, bensì. raccoglierle in canestre man mano che si tolgono dalla pianta, e bru- ciarle o gettarle nella concimaia. Una cura invernale qualsiasi a base di insetticidi non mi sembra praticabile, poichè gli animali sono nascosti !) Intendiamo di parlare di piante piccole educate a spalliera, e nelle quali detta raccolta è, se non agevole, almeno possibile. Nelle piante annose ad alto fusto, cresciute liberamente, nemmeno questa pratica è adottabile. Però in dette piante i danni sono affatto insigni- ficanti in causa del gran numero di foglie che spuntano, e della poca violenza delle infezioni (almeno di quelle fin’ ora osservate da noi). 95 tra le screpolature della corteccia o tra le squame delle gemme. Invece sarà utile asportare tutto :/ potato dal frutteto, e bruciarlo. Se si avrà diligenza nel fare le suddette operazioni, il numero degli acari sarà ogni anno fortemente diminuito, e si arriverà, se non a liberarsi completamente dall’ani- male, a ridurlo almeno in quella proporzione che riesce affatto innocua e trascurabile. Ad evitare però che la malattia si riproduca, sarà ne- cessario ogni anno all’ epoca delle cimature asportare pure le foglie ammalate, e tenere le piante monde dai rami inutili i quali aumentano sfavorevolmente il numero delle foglie e con esse i punti d’attacco al parassita. Dal Laboratorio di Botanica e Patologia vegetale della R, Scuola Enologica di Avellino. Spiegazione della tavola IV. Fig. 1. Sezione trasversale di una foglia ancora involuta, passante attraverso ad una pustola in via di formazione. » 2. Sezione trasversale di una piccola nervatura normale. v (79) » » di una nervatura più grossa ed apparte- nente ad una pustola. 96 Intorno ad una maniera efficace di distruggere la SCHIZONEURA del MELO Nota del Dott. A. F. SANNINO Gli Afidi che vivono sulla scorza del Melo alterandola profondamente e disturbando la nutrizione dei germogli, sono capaci di produrre danni notevoli nei frutteti a causa della loro meravigliosa prolificità. La posizione che occupano gl’ individui di Schzzoneura sui rami e l’estrema delicatezza del loro corpo che si schiaccia alla minima pressione, hanno fatto credere che sia relativamente facile liberare la pianta dai suoi ospiti infesti: basta infatti strofinare con un panno le parti attac- cate per vederli morire. Non può negarsi che così operando, dopo breve tempo si forma una nuova colonia di afidi dove prima ne fu distrutta una. E non può essere altrimenti: infatti nelle screpolature della corteccia malata, rimangono vivi pa- recchi individui sfuggiti alla prima distruzione, i quali riproducendosi per partenogenesi, in poco tempo rifor- mano la colonia che fu distrutta. In questa primavera ho provato contro la Schizoneura l’emulsione di pitteleina all’ 1°/, e ne ho avuto risultati completi che rendo di pubblica ragione, nella speranza che gli Arboricoltori vogliano trar profitto di questo in- setticida potente ed economico. Per applicare l’emulsione mi son servito di un pen- nello che bagnato nel liquido veniva ripetutamente pas- sato sulla parte coverta dagli afidi. E dove la corteccia è corrosa, bisogna aver cura che il liquido penetri vera- mente nelle anfrattuosità. Dopo un mese dall’ applicazione dell’insetticida, la Sch 97 zoneura non è ricomparsa sulle parti medicate, nelle quali il processo di alterazione della corteccia si è del tutto ar- restato. Invece essa è comparsa in altri punti delle piante medicate, per opera degl’individui che il vento trasportò dalle piante non medicate, o che vennero dalle radici. Sarà necessario un altro trattamento per liberare la pianta da questa nuova invasione. Non bisogna dimenti- care che gli afidi vivono anche all'origine delle grosse branche radicali e quindi l’emulsione va data anche sulle medesime. Importante potrà riuscire il trattamento invernale col quale non sarà difficile di limitare ancora di più lo svi- luppo degli afidi lanosi. Dalle esperienze fatte fin’ ora, se non si può preten- dere una completa distruzione della Sc/kisoneura, rimane assodato che mediante una spesa minima d’insetticida e di mano d’opera, se ne possono impedire i danni meglio che con gli altri mezzi fin’ ora adoperati. Avellino, R, Scuola di Viticoltura — Giugno 1892. 98 La distruzione degli insetti nocivi all’ agricoltura per mezzo di funghi parassiti. Nota del Dott. V. PEGLION «La distruzione degl insetti nocivi all’ agricoltura è im- presa penosa e difficile, come ogni altra che si propone andar contro le leggi di conservazione e riproduzione delle specie stabilite dalla natura; però le difficoltà vengono ingigantite dalla ignoranza, dall’avarizia e dalla infingar- daggine dell’uomo ». Questa l’epigrafe che l'illustre prof. Costa pone a capo del suo lavoro riguardante la biologia e la distruzione degl’insetti che attaccano varie piante legnose ed erbacee. I mezzi che la natura adopera per la conservazione e la riproduzione di questi esseri sono pur- troppo, di gran lunga superiori a quelli di cui l’uomo può giovarsi per la loro distruzione, che anzi con questi egli cerca solo di ridurne il numero di quel tanto che basti perchè i danni che essi cagionano alle colture, diventino così limitati da non risentirne che un leggero nocumento, stante che il danno che può produrre una specie è spesso in relazione, più che colla parte di pianta che ogni sin- solo individuo, potrebbe consumare, col numero degl in- dividui medesimi. Allo straordinario aumento degl’insetti si oppongono in via naturale, le influenze dell'atmosfera, i parassiti ve- getali e gli animali insettivori. Le gelate precoci e tar- dive, le pioggie prolungate, i venti impetuosi ne distrug- gono certamente una gran quantità. Insetti ed altri ani- mali entomofagi pongono anch’ essi argine all’ eccessivo sviluppo degli insetti nocivi, finalmente il parassitismo di alcune specie vegetali vale ancora a diminuirne il numero. A tutti questi fattori di distruzione son da aggiungere gli svariatissimi mezzi che la scienza ha suggerito ; e fra questi ultimi va acquistando di anno in anno maggior importanza 99 la diffusione di quei funghi che vivendo parassiti sopra gl’in- setti determinano fra essi delle forti ed estese epidemie. Ed è un fatto ormai noto che parecchie delle malattie cui vanno soggetti il baco e l’ape, sono causate dal pa- rassitimo di alcuni funghi: così il ca/cino è dovuto alla Botrytis Bassiana, la pebrina è cagionata dal parassitismo del Micrococcus ovatus 0. Nosema Bombycis (corpuscoli del Cornalia) che ora però dietro recenti studi, si consi- dera come Sporozoario; la flaccidezza secondo parecchi autori sarebbe anche cagionata da uno Streptococco, quan- tunque non sia assolutamente dimostrato che la dissemi- nazione di questo microrganismo nel corpo del baco possa esplicare tutti i sintomi della malattia e che l’inoculazione di un piccolo numero d: germi possa riprodurla, nè par- rebbe improbabile che il vero agente fosse un altro Schi- zomicete la cui presenza sarebbe più difficile a dimostrarsi; è da notarsi ancora che in condizioni igieniche poco fa- vorevoli questa malattia pare possa svilupparsi sponta- neamente. Accenniamo anche a due malattie delle api cagionate da funghi: la prima è la così detta 7arciaza dovuta allo Streptococcus. alvearis ; l’altra è la putrefazione delle larve cagionata dalla Cornzlia (Bacillus) alver. In seguito allo studio di queste malattie parassitarie che spesso infierivano fra gli insetti utili, sì cominciò a ricercare se quelle specie fungine trovate parassite qua e là sopra varie specie d’insetti nocivi all'agricoltura, po- tessero propagarsi in modo tale da servirsene come agenti insetticidi e sono i risultati che si ottennero fin ad oggi che ci siamo proposti di passare in rassegna. I funghi che vivono parassiti sopra gl’insetti appar- tengono alle seguenti famiglie: Entomophtoraceae. Hypocreaceae. Laboulbeniaceae. Bacteriaceae. 100 Parte I. ENTOMOPHTORACEAE. Le Entomophtoraceae appartengono all'ordine degli Oomiceti, sono provviste quindi di spore agame (conidii) e di spore sessuali (oospore), formantisi in seguito ad un processo fecondativo. Vivono, per la maggior parte, pa- rassiticamente sopra vari insetti; fanno eccezione le spe- cie appartenenti a’ generi Completoria e Conidiobolus, le quali crescono sopra vegetali, ed il genere LBasidiobolus che vive sopra sostanze organiche putrescenti, per lo più escrementizie. Notiamo qui soli i punti più salienti della biologia delle Entomophtoraceae. Il micelio si svolge nell'interno del cor- po dell’ospite; a sviluppo completo, si formano all’ apice di alcune ife, de’ conidii che, attraversando la pelle dell’ o- spite vengono portati all’esterno. Le ife conidiofore ra- mificate, o no, provviste o no di uncini, si spezzano bru- scamente sotto il conidio lanciando lo stesso in aria. Que- sti conidi, ove vengano a contatto di un insetto o di una larva, aderiscono fortemente alla pelle, germinano. Pene- trano nell'interno del corpo e, a secondo della specie, svi- luppano un micelio ramoso o dissociato, che ben presto dà origine alla formazione di nuovi conidi: dopo un certo tempo per fusione del contenuto di due tubi miceliali vi- cini, si formano le oospore. i Osservando gl’insetti su’ quali possono vivere le £x- tomophtoraccace, si nota come la durata del periodo che passa fra l'infezione e la morte dell’ insetto, varii a seconda della grossezza e della specie dell’ insetto. Secondo Thax- ter !) ne’ grossi bruchi può durare fino a 12 giorni, in media non va oltre l'ottavo, e negl’insetti piccoli la du- rata è brevissima. 1) Thaxter — The Entomophtorceae of United States -- Boston 1888. IO Il primo sintomo apparente della malattia e l’irrequie- tezza generale dell’insetto. I bruchi a mo’ d’ esempio, la- sciano il cibo e vanno girando tutt'intorno ; abitualmente cercano di arrampicarsi su qualche sostegno, e durante la loro ascensione sono assaliti quasi fulmineamente dalla morte, seguita da contorsioni spasmodiche. In alcuni casi quando le ife conidiofore sono provviste di uncini, i ca- daveri rimangono legati al sostegno sia per l’intero corpo come le Cavallette, sia per il rostro (Afidi) sia colla pro- boscide (Mosca comune). Quando l'uscita delle ife unci- nate precede la morte dell'animale esso con violenti con- torsioni può staccarsi dal supporto, spezzando quelle ife. La frequenza con cui si sono osservate le epidemie dipendenti dal parassitismo di questi funghi, suggerì il concetto di adibirli alla distruzione degl’insetti nocivi. A questo proposito le opinioni emesse da’ numerosi autori che si sono occupati di detta applicazione, variano. Bro- gniart !) in una sua recente nota, consiglia la coltura di una specie di Erfomophiora (E. Calliphorae). Questa col- tura si può fare su parecchie specie di insetti comuni e sopra il Lumbricus terrestris, poscia uccisi questi dalla crittogama consiglia di polverizzarli e spargerne la pol vere sui campi a mo’ di concime chimico. Si porta così una gran quantità di oospore o spore tarichiali. che in seguito possono infettare gl’insetti che si trovano contem- poraneamente in quell’appezzamento. La specie propo- sta vive sulla Ca/lphora vomitoria ma si è visto che può svilupparsi sovra insetti o larve d’insetti appartenenti a gruppi sistematicamente diversi da questa, subendo però alcune leggere modificazioni. Contro l’uso di queste spore tarichiali stanno alcuni insuccessi che accompagnarono le esperienze di qualche accurato sperimentatore: così il Brefeld tentò invano l’in- 1) Brogniart — Comptes-Rendus 1891. 102 fezione delle larve di Pieris Brassicac, a mezzo delle spore tarichiali di £n7 sphacerosperma, laddove detta infezione gli riusciva molto facile quando si serviva delle spore co- nidiali; nè Giard è quasi mai riuscito a comunicare ar- tificialmente l'infezione quando adoperava le spore tari chiali, e Thaxter ') pure riferisce di non essere mai riu- scito a farle germogliare sopra gl’insetti. Parrebbe però che il soggiorno delle spore perduranti in ambienti non ancora determinati per la maggior parte delle specie, favorisse in modo singolare la loro germina- zione. Così Giard ®) emette come ipotesi, che le spore per- duranti di £. Ca/Ziphorae ingoiate da alcuni batraci in- settivori, germinino nel loro tubo intestinale e si svilup- pino poscia sugli escrementi. Ivi darebbero origine a un gran numero di ife conidiofore, i cui conidi servirebbero grandemente alla diffusione della crittogama sovra gl’in- setti ospiti, principalmente sulle Calliphorae che vanno a cercare nutrimento sugli escrementi de’ suddetti batraci. Ora sopra questi escrementi si trova spesso una Ento- mophtora, il Basidiobulus ranarum le cui spore perdu- ranti hanno caratteri diagnostici simili, se non identici, a quelli della £nà Calliphorae; quindi se l'ipotesi del Giard fosse esatta, le specie del genere Baszdiobolus rap- presenterebbero soltanto una fase dello sviluppo di un gruppo speciale di £7/07z0phtoreae muscifaghe e sarebbe facile spiegare le epidemie locali delle Ca/ZpRorae e l as- senza della £. Calliphorae e del B. ranarum all’interno delle città. Manca però la dimostrazione sperimentale del fatto, il Giard si propone però di eseguirla, sia facendo ingoiare dei ditteri infettati a batraci presi in località ove non sia presente il Bas:diobolus, sia coltivando le spore di £. Calliphorae in escrementi di batraci, preventiva- mente sterilizzati. »)T'haxter lc. *) Giard — Comptes rendus soc. de Biologie 1888, 103 I vantaggi presentati dall'uso di queste spore perdu- ranti, sono: la facilità di procurarsele a mezzo di colture adatte, e la facoltà che hanno di conservare a lungo il potere germinativo; i conidii invece, se si propagano con facilità grandissima, prestandosi molto per riprodurre le infezioni, presentano poi il gravissimo inconveniente di serbare il loro potere germinativo per un lasso di tempo assai breve, quindi non si possono conservare a lungo, ed anche ottenuti ec sparsi su’campi, se non incontrano subito un ospite adatto, disseccano e vanno a male. Un'altra quistione è inerente alle Entomophtoraceae. Si tratta cioè di sapere se ogni specie sia adatta alla distru- zione di una sola o più specie di insetti. Ad essa rispon- dono le osservazioni riferite da’ già citati autori. Si è propagata facilmente l’ infezione per mezzo della £. Calliphorae, ottenuta dalla Ca/liphora vomitoria, in larve ed insetti perfetti appartenenti a gruppi ed ordini di- versi. Thaxter però osserva che la propagazione artifi- ciale di questi funghi avviene con molto maggior diffi- coltà che non si crederebbe, non solo fra individui di spe- cie o di famiglia diverse, ma anche fra individui della me- desima specie. Cita soltanto due casi in cui i suoi espe- rimenti riuscirono felicemente. Nel primo trasportò sopra larve di Lepiodotteri, l’ £. Gry/Z, che avea trovata sopra , delle cavallette; nel secondo, riuscì ad infettare delle larve di /zeris per mezzo dell’ £. sphaerosperma ottenuta da un emittero il 7\p//0cyba Mali. Abbiamo anche noi cer- cato di propagare l Erntomophtora Grylli, vivente sopra il Gryllus domesticus, sulle larve di Cossus ligniperda e sopra larve di Pieridi, ma finora non ci è riuscito di ripro- durre l'infezione. Prima delle osservazioni riguardanti la diffusione delle specie in natura, si riteneva che di questi funghi ciascuna specie fosse adatta a vivere soltanto in quel determinato ospite, oppure ad ospiti appartenenti a specie diverse, ma molto vicine l’una all'altra; ora dietro le ricerche prin- 104 cipalmente di Thaxter e di Sorokine, si è visto come la medesima specie possa rinvenirsi sopra ospiti molto di- versi anzi appartenenti a ordini lontani fra loro. Come anche può succedere che due specie si sviluppino con- temporaneamente sullo stesso individuo; dai già citati autori sono rammentati parecchi di tali casi. Abbiamo già accennato a’ vari ospiti della Z7. Call: phorae, notiamo adesso come Vl £Ampusa Muscae si riscon- tri sovra le Mosche domestiche, e sopra varie specie di Lucilia e Callibphora oltrechè su varie Syrphzdae ; V Ent. Gyrylli sopra le larve e gl’insetti perfetti di parecchie Lo- custe, Cavalette, Grilli, sulle larve di molti Lepidotteri e Ditteri, l £72f. sphaerosperima sopra insetti appartenenti a tutti gli ordini salvo che agli Ortotteri, En Plancho- niana, V Ent. Fresenti, V Ent. Aphidis, trovate tutte tre sopra varii generi di Afidi ecc. tanto in Europa (Cohn, Brefeld, Giard, Winter, Sorokine)che in America (Thaxter). Termineremo questa parte con un breve cenno sopra alcune specie che meritano particolare menzione. Di esse la £7 Grylli ha cagionato spesso epidemie estesissime fra gli sciami migranti di Acrididei. Laboul- bène !) accenna ad una straordinaria morìa di Calopte- nus italicus nel 1872 in Crimea, in seguito al parassi- tismo di questa specie; Thaxter *) osservò parecchie epi- demie nei dintorni di Kittey e di Boston. Cuboni *) de- scrisse una violenta epidemia infierente fra le cavallette che, nel giugno 1888, aveano invaso l Agro Romano; Brogniart nel 1889 ne osservò un’altra in Francia nel di- partimento dell'Eure; probabilmente fra i funghi che ca- gionano la distruzione delle uova di Stauronotus maroc- canus nell’ Algeria, prende parte anche questa specie. Il prof. Cuboni tentò la propagazione artificiale di que- )) Laboulbène — Bull. Soc. Entom, de France 1889. 3) Thaxter — I. c. 2) Cuboni — Nuovo giorn. Bot. Ital, 1889. 105 sta specie durante la summentovata invasione. Seguendo il metodo di Brefeld riuscì nelle sue esperienze in labo- ratorio, a infettare un gran numero di cavallette sane; poscia, rifece lo stesso in campagna, servendosi ora della aspersione degl’insetti con acqua carica di conidi ora della disseminazione di mummie infette: sì in un caso che nell'altro, i risultati non risposero all’aspettativa. Il pro- blema è adunque tutt'altro che risolto, quantunque da alcuni siasi preconizzata la diffusione di questa specie per combattere le cavallette in Algeria; certo si è che, con- tro queste, risultano più efficaci i mezzi di difesa attual- mente in uso, che permettono un'azione pronta e deci- siva. In caso il suddetto fungo potrà servire per dimi- nuire il numero di quelle specie locali non migratrici che, negli anni in cui il loro sviluppo trova condizioni favo- revoli, possono recare danni sentiti alle colture. La Entomophtora sphaerosperma servì a Brefeld nelle sue ricerche per la difesa contro la /zer:s brassicae. Per. diffonderla poneva delle larve uccise dalla crittogama in una camera umida, faceva in tal modo sviluppare rapi- damente dei rami conidiofori i cui conidi venivano lan- ciati sopra le pareti; ivi le spore cominciavano a ger- mogliare, ed allora si raccoglievano col versare acqua al- l'interno della camera, acqua che poi serviva ad asper- gere le larve sane. L'infezione avveniva rapidamente e le larve rimanevano uccise. Thaxter osservò e descrisse due epidemie causate da questa specie: la prima infieriva fra piccoli insetti in una ragione paludosa, la seconda in un pometo in cui le piante erano già fortemente attaccate dalla 7vp//ocvba Mali cd in un rosaio cbe ivi trovavasi affetto da 7. Nosae. Egli riuscì ad infettare con le spore del fungo così trovato, delle larve di Pzeris. Lo trovò ancora parassita sopra varii imenotteri ed anche sulle 77rzps che distruggeva in gran numero. Inquanto alla £. Calliphorae abbiamo riferito le opi- 100 nioni di Brogniart in proposito e non ci resta da aggiun- gere altro. Potremmo ancora notare l £. Aphidis som- mamente dannosa, secondo Thaxter, agli Afidi del Lup- polo, ed a parecchie Noctuideae attratte probabilmente dalle secrezioni zuccherine degli afidi medesimi. Vi sarebbero poi il 7ar:ichium megaspermum Cohn. vivente parassita sopra le larve di Agrotis segetum e che sarebbe lo stato perdurante o tarichiale di una £7nto- mophtora ancora incognita, ec parecchie altre specie re- centemente descritte principalmente da Giard, Sorokine e Thaxter. Per ora ci siamo limitati, a citare le più note e le meglio studiate. Riguardo alle Entomophtoree, con- cludiamo notando come si sia lungi dall'avere ottenuto con esse i risultati così decisivi e soddisfacenti che si sono ottenuti invece coll’uso di alcune mucedinee. Ulteriori studi che ci conducano a trovar il modo di utilizzare le spore perduranti, varranno a rendere le Entomoftoree atte a quell’appicazione che per ora non possono avere “e che farà di questi funghi uno de’ migliori e più efficaci mezzi distruzione degli insetti parassiti delle nostre colture. (continua) Dal Laboratorio di Botanica e Patologia vegetale della R. Scuola Enologica di Avellino. 167 Rassegna di Entomologia Agraria (continuazione e fine V. Num. preced.) Quello che meno di tutti si presta a dividersi coila gelatina, è il petrolio, sia solo, sia unito al catrame, ed all’acido fenico. In seguito gli stessi autori (Nuove emulsioni insetticide, nel Giornale le Stazioni agrarie Vol. XX, 1891) propongono emulsioni Saponose nelle quali il sapone (tenero) è semplicemente mescolato all’ insetticida e questa mescolanza può essere allungata nell’acqua; questo per i quat- tro insetticidi ricordati. Ad esempio secondo la formula Sapone molle È , : SEMIS Solfuro di carbonio . GMT: Acqua . 2 ; ; 5 » 2900 Le emulsioni (estemporanee) così composte riescono pratiche e poco costose. Vengono inoltre proposte emulsioni alcoolico-saponose dei soliti in- setticidi, cioè mescolando l’insetticida stesso in proporzioni diverse a soluzione di sapone molle, nell’alcool amilico secondo (ad es.) la formula Soluz alcool. di sapone. . parti 10 Alcool. amilico del comm. . >» 10 Solfuro di carbonio. 7 su 10} 15; 20 e€e. Acqua 3 5 è 3 det GOONIO0OMECE. la soluzione alcoolica di sapone si fa coll’alcool etilico. Alquanto meno stabili sono le miscele secondo la formula Soluzione sapon® in alcool. etilico 10 Insetticida . 3 ; : ; 10 Ecc. ACQUA £. È è 5 b i 200 a 700 GCC. Nella intenzione di offendere la Cochylis ambisuella, con soluzioni in- setticide, gli stessi autori intraprendono uno studio sugli effetti degli 108 insetiicidi sopradetti sui teneri getti della vite (Esperienze tentate per de- terminare la tolleranza delle giovani vegetazioni della vite verso lazione di va- riù miscugli insetticidi. Nel Giornale Le Stazioni sperimentali agrarie ita- liane, Tomo 2.°, fasc. 6). Gli autori sullodati giungono alle seguenti conclusioni: 1.° Gli insetticidi preferibili per la disinfezione delle parti verdi della vite, sono: il petrolio ed il solfuro di carbonio: seguono la ni. trobenzina ed il benzol. Si escludono per ora, l’acido fenico e l’ olio pesante di catrame. 2.° Delle due serie di emulsioni preparate ed esperimentate con questi corpi, le saponose si sono dimostrate meno compromettenti delle altre con soluzione alcoolica di sapone. Sono però affatto inno- cue alla vite le a) Emulsioni saponose di Petrolio dal 2 al 0,56 per % » » Solf. *carb. ‘» 1,0» tosen » » Nitrobenz. » 0,75 » 0,5 » » » » Benzol » O;75 DIM: » » \ b) Emulsioni alcool. sapon. di Petrolio , dal 1,3 al 0,5 per % » » » Solf. carb. »' 0;759 Mosso » » » Nitrobenz. » 37/5 DIRO 250) » » » » Benzol » 0,5» er 3.° Delle soluzioni alla Wnodalina ?) e al Pinosol *?) si ammettono, quelle della prima, nelle proporzioni del 0,5 per %/, e si scartano, al- meno per ora, e per la vite, quelle del secondo, dannose anche a questo grado di diluzione. 4.° A parità di altre circostanze, 1.° l’ aumento della temperatura, 2.° lo stato sereno del cielo e la quiete dell’aria rendono più sensi- bile l’effetto degli insetticidi sulla pianta. L'effetto poi delle dette mescolanze su altre piante, è riferito da- gli stessi sullodati autori nella memoria Sua resistenza agli insetticidi dei teneri getti e dei frutti del Melo, Pero, Susino, Pesco, Limone ed Evonimo «Giornale Le Stazioni sperimentali agrarie italiane Tom. 21. fasc. 1). Eccone le conclusioni : 1.° Che come per la vite, anche per le altre piante da frutto, con 1) Fabbricata dalla ditta Kessler di Arau. *) Fabbricato dalla ditta Quibel Brothers di Newak (Inghilterra). 109 poca differenza dall’una all’altra, e per le due specie di evonimo no- tate (?) dobbiamo osservare che per liberarle da bruchi, afidi, acari e cocciniglie nude, o da larve di altre cocciniglie, dalla primavera all’ autun- no, occorrono emulsioni molto diluite. 2.° Che per quanto almeno può dipenderé dai nostri esperimenti, sono da scartare le emulsioni di petrolio superiori al 2,5%, quelle del solfuro al 2%, in su, e tutte le rimanenti (le saponose come le al- coolico-saponose) non conviene usarle a dosi superiori all’ 1%, Fanno eccezione a quest’ ultima regola quelle con acido fenico, che si devono escludere immancabilmente, e le altre di olio pesante e di Pinosol, le quali però, con qualche cautela, possono adoperarsi nel rapporto dal 0,25, al 0,5 p.°% Quanto poi all'effetto degli insetticidi di cui finora si è tenuto pa- rola, sugli insetti nocivi alle piante, i sullodati autori presentano una ricca serie di esperienze sulla Hyponomeuta malinellus Zell., sulla Schizo- neura lanigera Hausm. e sulla Cochylis ambiguella Hùbn nonchè su al- cune cocciniglie. Nella prima memoria (Esperienze tentate per distruggere la tignuola del pruno dell Evonimo, Agricoltura italiana 1891) gli autori osservano che colla formula Solfuro di carbonio . SI IGIMmest 200 Sapone : : > CIS MT00 Acqua. 2 . . i GiMe, 9700 VA cioè solfuro di carbonio 2%, pianta (Pruno) tutte le larve di Hyponomeuta malinellus furono uccise. Pari effetti sugli insetti, e nullo affatto sulle piante si ottenne con formule analoghe, ma nelle quali il solfuro di carbonio si trovava in (in volume), senza notevole danno alla proporzione dell’ 1%, (in volume), e del 0,5 p.° (in volume). Colla formula Petrolio + 7 cme. 300 Sapone È ; gr. 100 Acqua. ; 2 cme. 9600 cioè 3%, di petrolio in volume, si ebbe leggiera mortificazione delle foglie più tenere, una pronta morte delle larve. Sempre micidiale sugli insetti, che uccise completamente, ed affatto innocua per la pianta si mostrò analoga emulsione nella quale il pe» trolio si trovava in proporzione del 2%/, (in volume); meno attivo in- vece lo stesso liquido contenente 1° 1%, (in volume) di petrolio, /0 110 Colle emulsioni saponose, secondo la formula. Solfuro di carbonio . i ICMEMiz00 Soluz. alcoolico-saponosa. » 100 Acqua ; - ; . 9700 (cioè 2%, di insetticida in volume) si ebbero effetti assai gravi sulla pianta, limitati però alle foglioline dei piccoli rami senza frutti, e di- struzione completa degli insetti. Meno attiva si è mostrata sugli insetti la soluzione acquosa di pe- trolio all’ 1%, secondo la formula sopra indicata, c meno ancora quella al.0,5%: La Knodalina al 4 °/, uccise gli insetti ma danneggiò anche la pianta; al 2%, senza guasti alla pianta, ha però azione debole sugli insetti, ed all’ 1%/ è affatto inattiva sui parassiti. Più energicamente sui bruci agisce questo insetticida, colla aggiunta di solfuro di carbonio, con analoghi effetti però sulla vegetazione. Le esperienze coi medesimi insetticidi, praticate contro le ZHypo- nomeute dell’ Evonimo, condussero gli autori a risultati presso a poco conformi a quelli riferiti. Esperienze tentate per distruggere la Schizoneura lanigera Hausm. sul melo e la Chionaspis con ? Aspidiotus su?! Evonimo, (Agricoltura Ita- liana 1891). Gli evonimi furono trattati in fine di Febbraio e nei primi giorni di Marzo colle emulsioni di solfuro di carbonio, petrolio, olio pesante di catrame ottenute coll’aggiunta di olio di pesce, di potassa ali’ in- setticida ad es. secondo la formula: Petrolio . . 5,0 Olio di pesce . O;2 Potassa . 3 O, I Acqua 5 Sd94;7, Si sperimentò anche il liquido insetticida secondo la formula: Olio pesante . 5,00 Colla forte ; 0,50 Acqua ; . 94,50 e l’altro: Knodalina , a 6 Acqua 7 PERE 0) Resultò: « 1.° Che. meno la Knodalina diluita nelle proporzioni indicate, tutte le sostanze adoperate effettivamente uccisero le cocciniglie. 2.° Delle diverse formule emulsive, quella ad effetti maggiormente notevoli fu l’emulsione collosa di olio pesante di catrame; poi le al- tre due collo stesso insetticida, con o senza eccipiente emulsivo, ed in ultimo il petrolio ed il solfuro di carbonio, con resultati però meno soddisfacenti. i 3.° Per i danni immediati sulle piante, i meno efficaci sugli in- setti, sempre relativamente, furono quelli che meno guastarono la ve- getazione e viceversa, 4.° L’olio pesante emulsionato con Colla forte oppure coll’ olio di pesce e potassa, è molto probabile faccia meno male alle piante ed uccida egualmente la cocciniglia, anche rivolto al rapporto al 3%, nell’acqua, e ciò per la sua distribuzione più uniforme e per l’ade- sione sulle parti trattate ». Quanto alla spesa, non tenuto calcolo della Znodalina che alla mi- nore efficacia accoppia un costo maggiore, si avrebbe in media una spesa (esclusa la mano d’opera) di L. 0,60 per ogni cento piante di evonimo che dopo 3 o 4 anni di vita si vendono a L. 15 0 20 al 100. Nello stesso periodo di tempo, i sullodati autori medicarono la Schixoneura lanisera, spargendo sulle piante stesse, sia con pennelli sia colle pompe; diversi insetticidi. I risultati furono decisivi contro gli insetti. Quanto alla spesa e agli altri dati, riporto la seguente tabella: Numero valo ditnti Spesa dei Natura delle Quantità dei materiali D i ; li materiali insetticida | piante impiegati De er per | trattate MORICaRel pianta ——"—__[ ° en pag. 145 V. Peglion. — La ticchiolatura del Pero. +. è. 4, » 168 da — La distruzione degli insetti nocivi per mez- zo di Funghi parassiti .. : > E Pete » 190 A. Beclese. — Della azione di alcuni liquidi insetticidi sulle larve di Cochylis ambiguella Hùmbn . A ì è > «208 — —— — Sulla azione delle soluzioni di Rubina sopra insetti e piante diverse : AR >» 247 A. N. Berlese. — Osservazioni critiche sulla Cercospora Vitis (Lév.) Sacc. . ° ; 5 a d ù » 258 V. Peglion. — Studio anatomico di alcune ipertrofie indot- te dal Cystopus candidus in alcuni organi del Raphanus raphanistrum s PROGR . . . . . » 265 A.N. Berlese.— Sopra una nuova malattia fungina del Leccio Piccole comunicazioni s ° . ‘ . 5 . » 296 Rassegna di lavori di Teratologia e Patologia vegetale » 302 Nofizie;.. FOSSE Sua Ra RIA . >» 347 Bibliografia dei lavori di Patologia vegetale e teratologia apparsi negli anni 1891-92 ; . RA : » 349 NB. — L'indice del presente volume e la copertina verranno dati nel prossimo numero. mene zcaezenconcneconenz zanne zenenenconeneezecccccresceeciocoreccccieececcccecccccescQucQoQueuescseceeose@sce-@@, n GIORNALE DI VITICOLTURA ENOLOGIA ED AGRARIA redatto dai Professori della R. Scuola di Viticoltura ed Enologia di Avellino, colla collaborazione di molti Direttori ed Insegnanti delle altre Scuole agrarie del Regno e di distinti proprietari. Questa pubblicazione quindicinale ha per iscopo di diffondere con facilità e sollecitudine i risultati che formano il frutto di ricerche con- dotte specialmenje nel campo della Viticoltura ed Enologia. Ogni nu- mero consta di 24 pagine di stampa fitta. Contiene articoli originali, di Viticoltura, Enologia, Agraria, Chimica tecnologica etc. Note pra- tiche circa le operazioni più utili da farsi sul campo, sul frutteto © in cantina, una rubrica di Notizie varie che interessano l’agricoltore e | l'industriale, e chiude il numero un accurato ed esteso bollettino i commerciale nel quale sono esposti i prezzi delle principali derrate alimentari sopra molte piazze italiane e sulle più importanti estere. L’abbonamento annuo al giornale è per l’interno di L. @ per l’e- stero di L. 10. LA TIGNUOLA DEL MELO PDS Te: MODO: DI COMBATITERLA Nota del Prof. ANTONIO BERLESE La Tignuola del Melo (Hyponomeuta malinellus Zeller) ?) è diffusa nella Europa centrale e meridionale, è stata os- servata in Italia, Francia, Dalmazia, Carnia, Grecia, An- dalusia e nell’Asia Minore. In Italia è comune dovunque e da gran tempo ricordata già dal Genè e dal Bayle-Ba- relle per le regioni più settentrionali della penisola, e più recentemente descritta diffusamente dal Costa. Per verità, questa specie è spesso rammentata con nomi diversi, e quello da noi adottato, sull'esempio degli infrasegnati lepidotterologi e dei nostri Ch. prof. Costa, Targioni-Tozzetti etc.; sembra il più giusto *). La specie 1) Zeller Isis, 1844, p. 220. Treyer Beytr. Zur Geschichte europaischer Schmetterlinge. System, Bearbaitung der Schmetterlinge von Europa, Regensburg. V. p. 92. Frey. Die Tineen und Pterophoren der Schweiz. Zurich. 1856, p. 59. Heinnemann. Die Schmetterlinge Deutschlands und der Schweiz. Braunschweig. 1859, p. 110. ?) Così della sinonima di questa specie scrive il Costa: «Senza intrattenerci a citare le indicazioni datene da scrittori as- sai antichi, diremo che varii autori del secolo passato, fra i quali ba- sterà nominare Reamur e Roesel, ci hanno tramandata con sufficiente esattezza la storia di questo Lepidottero, denominandolo generalmente IO 146 infatti fu continuamente confusa colla affine 77. evonymella, e con una 77. padella e sotto questi ultimi nomi ricordata dal Linneo, Fabricius ed altri dei più vecchi entomologi, e col nome di 77. matlivorella descritta dal Guenée. Fra gli autori italiani che hanno tenuto parola dell’ insetto in discorso, vanno annoverati i seguenti. Bayle Barelle (1824). Degli insetti nocivi ecc. p.65 sotto il nome di Zarma evonymella. Tignuola del Melo. Ma poscia che i sistematici hanno assegnato posto e nome adogni genia di viventi, non si è stato d’accordo sulla specie che in preferenza tali danni sul melo produce. Linneo assegnò a due Tignuole, evonymella e padella uno stesso costume, che espresse chia- ramente dicendo: /arva gregaria sub tentorio communi habitans. Però disse della prima: habitat in evonymo, pado, sorbo; della seconda: habitat în po- mona arboribus. Dal che si rileva, aver egli voluto indicare col nome di T. padella quella che abita sul melo; mentre la evonymella abita sul padus etc. Così ritennero le cose Fabricio, Latreille ed altri e così pure coloro che scrissero di insetti nocivi all’ agricoltura. Bayle Barelle ap- picca ad ambedue le cennate specie la caratteristica d’ infettare i meli. Genè benchè dica che la evonymella si stabilisce talvolta sui pomi, non- dimeno riconosce per la padella la Tignuola propria del melo. Ma i più recenti entomologi hanno meglio chiarite e le differenze specifiche e le ambiguità che nascono dal non corrispondere i nomi specifici alle piante di cui le larve in preferenza si cibano (la evonymella vive sul padus; la padella sul prunus, la cognatella sull’ evonymus). Han riconosciuto eziandio che la specie propria del melo non conviene esattamente colla T. padella di Linneo; e Zeller il primo (loc. cit.) ne l’ha distinta chiamandola malinella. Il Signor Guenèe ha pur contribuito non poco a chiarire le amfibologie esistenti in queste specie di Tignuole, delle quali Latreille formò il genere Hyponomeuta, ed indicò nutrirsi ancora del melo, oltre la comune malinella, una seconda specie da lui prima detta malivorella, e poscia considerata come semplice varietà della pa- della la quale vive in società sempre minori, ed in preferenza sugli estremi ramicelli». (Costa A. Degli insetti che attaccano l'albero ed il frutto dell’olivo, del ciliegio, del melo, castano e della vite ecc. p. 148-149). 147 Genè (18535). Insetti nocivi all'agricoltura, p. 154 sotto il nome di Tignuola fruttaiuola (yporomeuta padella L.). A. Targioni-Tozzetti, Annali di agricoltura. Relazione intorno ai lavori della R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze per gli anni 1877-78 (1879) ({II) p. 119 sotto il nome di /yponomeuta malinellus. A. Costa (1877). Degli insetti che attaccano l’albero ed il frutto dell'olivo ecc. p. 148. 7igrnuola del melo (Hypo- nomeuta malinella.. A. Targioni-Tozzetti e G. Del Guercio. Esperienze ten- tate per distruggere la tignuola del Pruno e dell’ Evoni- mo. Giornale l’ Agricoltura Italiana anno XVII, Fasc. 224; 1891. Descrizione dell’ insetto. Uovo di forma sferoidale, di colore bianco, coperto da involucro pressochè liscio. Larva di colore giallo paglierino, giallo ranciato, op- pure bruna. Capo nero lucente; primo anello toracico con una macchia trasversale nera lucente e con due punti la- terali pure neri. Ciascuno dei successivi segmenti ha due macchie e quattro punti dorsali neri, ed inoltre due punti neri laterali. Da ciascuna di queste macchie nere sorge un pelo. L'ultimo anello ha una macchia dorsale nera. Lunghezza massima 15 millim. Ninfa, di forma allungata, non diversa dalle conge- neri, di colore giallo pallido. Riposa, la crisalide, in un follicolo allungato, della forma di un chicco di grano, di tessuto sottile, semitrasparente e bianchissimo. Adulto. La farfallina è di colore bianchissimo sul cor- po, sul capo e sull’ali anteriori; di colore grigio sulle ali posteriori. Antenne filiformi, setacee, nel loro margine infe- riore delicatamente dentellate. Ali anteriori allungate, triangolari, coll’orlo posteriore fino all'apice orlato da fran- 148 gia. Ali posteriori con frangia larghissima. Sul fondo bianco delle parti sopradette, spiccano alcuni punti neri così di- sposti. Il torace è macchiato di sette punti neri rotondi, dei quali, quattro anteriori disposti sopra una linea tras- versale, e tre posteriori disposti a triangolo. Sulle ali an- teriori si notano da venti a ventidue punti neri in tre linee non bene definite, quasi parallele agli orli anteriore e posteriore dell’ala, ed altri sei ad otto minori, in linea pressocchè trasversa, presso alla estremità. Corpo lungo 7 mill. Apertura delle ali 18 mill. Ecco le figure dell’insetto nei suoi varii stati. B Hyponomeuta malinellus. — A. Rametto di melo coperto dalla tela filata dai bruchi; B. bruco; C. farfalla: D. bozzoli contenenti le cri- salidi (Il tutto in grandezza naturale). 149 Mezzi di distruzione fino ad ora tentati per liberare le piante dell’ insetto. Il Prof. A. Costa, a pag. 154 del sopralodato lavoro dice: « La sensibile diminuzione se non distruzione asso- luta delle Tignuole che infestano i meli a noi pare non offra grande difficoltà». To non sono per verità di questa opinione, specialmente quando penso alle estesissime regioni coltivate a meli co- me esistono in parecchie località del nostro paese. Il Prof. Costa evidentemente parla di una o poche piante, come lo dimostrano ancora i mezzi di distruzione delle tignuole che consiglia, e che su larga scala sarebbero inattuabili o insufficienti allo scopo. Rammento di aver visitato un meleto del sig. comm. senatore Barone De Siervo, esteso per 100 ettari di ter- reno, e che nelle annate di carica rende da 30 a 35 mila lire di frutta vendute sull'albero. Vedasi adunque se in estensioni tali, non troppo rade nelle provincie meridio- nali potrebbero riuscire pratici i seguenti metodi consi- gliati dal Ch. Prof. Costa. «Non appena quindi il conduttore del fondo si sarà avveduto che le piccole larve hanno attaccato i meli, nel che trovasi molta perizia fino nell'ultimo campagnuolo, percorrer deve il pometo in compagnia di un garzone, e battere con forte colpo di mazza i rami invasi, mentre si tiene sotto una tela bianca. Le piccole larve scosse e turbate si calano sospese ai loro fili, dai quali si possono staccare passando una bacchetta a traverso e cadono sulla tela. Allora si raccolgono e si danno alle fiamme..... In un'ora si giunge a liberare gli alberi da più centinaia di individui e con pochissima spesa». Questo è consigliato in termini poco diversi anche dal Genè (loc. cit.). Più innanzi il Ch. Prof. A. Costa, consiglia: 150 «Non meno efficace, nè meno semplice riesce all’og- getto l’altra seguente operazione. Costruiscasi un’ampia coppa di ferro o meglio di latta o rame per esser più leg- giera, avente circa tre decimetri di diametro, e provve- duta di manubrio di legno. Nell’adoprarla si copra di leg- giero strato di brace, sulla quale di tratto in tratto si git- tino delle sostanze capaci di far innalzare densi ma non offensivi vapori, come zucchero, incenso, gomma di olivo e simile '). Con tale semplicissimo ordigno si visitano i meli attaccati dalle larve della Tignuola, sottoponendolo alle cime da quelle abitate nel momento stesso che la so- stanza determinata si gitta sulla brace perchè i vapori si innalzino; e tenendolo a tal distanza che il troppo ca- lore non nuoccia; quattro decimetri per lo meno. In tal modo le larve molestate da’ caldi vapori si precipitano, e cadono in conseguenza sulla brace, dalla quale restano nell’atto stesso distrutte. Eseguita l'operazione in una cima si passa all'altra, e così successivamente ». Metodi conformi suggerisce il Genè, nel citato lavoro, quando dice «bruciare i nidi avvertendo che i bruchi non fuggano ?), dare colpi secchi con un bastone sui rami e sparare nel centro dell'albero uno schioppo caricato a sola polvere. I bruchi spaventati o storditi si lasciano ca- dere dai nidi sospesi al loro filo, ond’è che tagliando con una lunga bacchetta quei fili, col descrivere un semicir- colo, si fanno cader tutti a terra, ove per la maggior parte periscono di fame o diventano preda degli uccelli, giacchè pochi sanno riguadagnare l'albero». Potrei citare molti altri metodi, consigliati da autori diversi e che cadono tutti sotto la medesima censura, ì) Osservo che non è tenuto conto di ciò che per ciascuna pianta, all'infuori della mano d'opera, costerebbe questa cura! 2) La quale cosa ottenendo, tutto è fatto, ma l’autore non indica come questo metodo semplicissimo potrebbe essere attuato. igi quella cioè di riuscire pochissimo efficaci e meno ancora pratici. Ma il Prof. A. Costa, accenna al metodo finora in uso e del quale parlerò in appresso più diffusamente, cioè la raccolta a mano dei nidi abitati dalle larve e più tardi dei follicoli in cui riposano le crisalidi. L’impiego di insetticidi od insettifughi è più recente. Il ch. prof. A. Targioni-Tozzetti, ha tra gli Italiani il me- rito di aver richiamato per primo l’attenzione su questo punto, diffatti nella Relazione sui lavori della R. Stazione di Entom. Agr. pegli anni 1883-85 (Annali R. Min. Agr. 1888), a pag. 231 è detto: « Recentemente ancora sono state sperimentate con vantaggio le insufflazioni di polvere di tabacco, o le asper- sioni d'acqua (?) o le emulsioni saponose fenicate ». Da noi soltanto in un tempo più prossimo si sono pra- ticati esperimenti sugli effetti di sostanze insetticide diver- se, sulle larve di /yponomeuta, allo scopo appunto di ten- tarne la distruzione nei frutteti. In una memoria, pubblicata dalla R. Stazione di En- tomologia Agraria di Firenze nel 1889 ') è detto: «Sulle larve di Hyvponomeuta padellus Zell. *), in parte incrisalidate, e totalmente circondate di fitta tela sericea, fu data colla pompa Garolla la emulsione al 5%/ di sol- furo, e dopo pochi minuti le larve erano uccise; non si tardò nemmeno a riconoscere che anche le crisalidi, ben- chè contenute entro i bozzoli, avevano subito identica sorte ». 1) Esperienze tentate per distruggere cocciniglie ed altri insetti sulle parti aeree delle piante con miscele emulsive a bass di solfuro di car- bonio o di petrolio. Nota del Prof. Ad. Targioni Tozzetti e Dott. A. Berlese. (Giornale Le stazioni sperimentali Agrarie italiane. Vol. XII, e Bul- lettino della Società Eutomologica Italiana, Anno XXI, 1889, pag. 132-140). 2) Idem H. malinellus Zell. 162 Ed in altra nota da me redatta nel 1890 ') sono con- siderate le emulsioni di solfuro di carbonio al 5°/ nel loro effetto contro le larve di /vponomeuta. «Contro l Hypo- nomeuta, la Gallerucella e la Tyngis, servirono benissimo le emulsioni (di solfuro di carbonio al 5°/), riuscendo ad uccidere prontamente tutti gli insetti con cui vennero a contatto, e per la Hyponomeuta, anche le crisalidi conte- nute nei bozzoli sericei e le larve riparate dalle reti di seta ». In seguito, nel 1891, la R. Stazione di Entom. Agr. di Firenze pubblicò uno studio *) sugli effetti di insetticidi diversi, nelle larve di Myponomeuta all’ aperto e per quanto non sia ricordato, il giorno preciso in cui le ope- razioni sono state eseguite, ciò che riesce, come si vedrà, una mancanza di dati nocevole al giudizio sul grado di sviluppo delle larve sottoposte ad esperimento, pure la me- moria suddetta dimostra che è superfluo ricorrere ad emulsioni di solfuro di carbonio e di petrolio o contenenti oltre il 2°, di principio attivo, e che quindi la dose del 5°/, altra volta sperimentata e ricordata più sopra è esa- gerata. Sono esposte circa una trentina di formule colle quali tutte si ottennero utili effetti contro le larve della tignuo- la, in grado più o meno notevole. Gli autori adunque os- servarono che colla formula Solfurodi ‘carbonio ‘000 . “cme 200 Saponest, dic i e Acqua: iti IAC ) Esperienze contro la cocciniglia degli agrumi ed altri insetti no- civi agli alberi da Frutta. (Giornale I/ Coltivatore, 15 Febbraio 1890. N. 6, anno 46), p. 171. 2) Esperienze tentate per distruggere la tignuola d:1 pruno e dell’ Evonimo. Nota del Prof. A. Targioni Tozzetti e G. Del Guercio, Giornale L’A- gricoltura Italiana 1891. 153 cioè col solfuro di carbonio al 2°/ (in volume), senza notevole danno alla pianta, (Pruno) tutte le larve di //y- ponomeuta malinellus furono uccise. Pari effetti sugli insetti, e nullo affatto sulle piante si ottenne con formule analoghe, ma nelle quali il solfuro di carbonio si trovava in proporzione dell’ 1/, (in volume), e del 0,5% (in volume). Colla formula Petrolio) arene: 300 Sapone; du | o 00 Acqua siti; si Fne9000 cioè al 3°9/, di petrolio in volume, si ebbe leggiera morti- ficazione delle foglie più tenere e una pronta morte delle larve. Sempre micidiale sugli insetti, che uccise completa- mente, ed affatto innocua per la pianta si mostrò analoga emulsione nella quale il petrolio si trovava in proporzione del 2°/ (in volume); meno attivo invece riuscì lo stesso liquido contenente 1’ 1°/ (in volume) di petrolio. Colle emulsioni saponose, secondo la formula Soliuro di carbonio: <<. ya =. cme. 5200 Soluzione alcoolico-saponosa . > 100 Megane ide. Va Varia a av 9700 (cioè al 2°/ di insetticida in volume) si ebbero effetti assai gravi sulla pianta, limitati però alle foglioline dei piccoli rami senza frutti e distruzione completa degli insetti. Meno attiva si è mostrata sugli insetti la soluzione acquosa di petrolio all’1°/ secondo la formula sopraindi- cata, e meno ancora quella al 0,5°/. La Knodalina diede resultati meno soddisfacenti 1). 1) Quanto al prezzo delle mescolanze, finora ricordate e di altre, come l'estratto di tabacco che si potrebbero usare contro la tignuola 154 Gli agricoltori usano attualmente, per frenare la inva- sione dei bruchi, di togliere a mano i nidi ed in seguito schiacciarli o bruciarli, o senza più abbandonarli sul ter- reno attorno alle piante, in questo caso con pochissimo effetto utile, poichè molte tignuole risalgono sulla pianta di cui sono state momentaneamente allontanate. Questa pratica costosissima !) è riprovevole, perchè l'operaio completa così e moltiplica il danno che avreb- bero fatto i bruchi, spogliando le piante non solo dal fo- gliame, ma anche dei getti che pure avrebbero portato frutti nell’anno seguente. Nel caso di forti invasioni, que- sta pratica si riconosceva non solo dispendiosissima, ma ancora insufficiente, per quanto a gran voce richiesta da- gli operai ?). suddetta, e d’uopo rilevare che il Solfuro di carbonio costa L. 0,60 il Kilogr. il Petrolio L. 0,70-il litro il Sapone molle L. 0,40 il Kilogr. l’Estratto di tabacco L. 1,50 il Kilogr La miscela alcoolico-saponosa di solfuro di carbonio, che si trova in commercio presso A. Bizzarri, Firenze, costa L. 2 il Kilogr., e la Knodalina un prezzo anche superiore. La Pitteleina di cui parlerò più innanzi e da me usata largamente nella estate del 1892 contro la tignuola del melo, costando L. 0,60 il Kilogr. ha un prezzo evidentemente inferiore a quello di tutte le for- mule ricordate, sia usata in dose dell’ 1, p. °/, o del 2 p.%. 1) Ecco una osservazione che rilevo pubblicata nella Rivista agra- ria, N. 28, anno 1892, e fatta dal Sig. Cav. A. Bracco, « Essa (spesa) si riassume così: Lire dodici per l’opera impiegata, più lire 23,50, per due scatole di estratto di tabacco ed una di Pitte- leina; in tutto L. 35,50. Per ottenere lo stesso con l’antica consue- tudine (di togliere i nidi a mano) sarebbero occorse più di 130 lire, il ricolto perduto, perchè calpestato dal traffico degli operai, si può cal- colare al minimo a L. 80. Dunque il colono ha guadagnato lire 1801!» ?) Continua il prelodato sig. Bracco nello stesso articolo «....giova sapersi che gli operai adibiti per schiacciare i vermi, secondo la con- 155 Per mio conto, nelle esperienze praticate in Maggio ed in Giugno del 1892, per incarico del R. Ministero di agricoltura, su circa cinquecento piante distribuite in cin- que località diverse dei dintorni di Napoli e Avellino ?) ho usato delle emulsioni di olio pesante di catrame, ot- tenute sciogliendo direttamente nell’acqua la Pzfeleina *) del commercio, senza ricorrere a miscele più complicate se non più costose, meno praticabili sul campo. Non ho sperimentato l’ Estratto di Tabacco, perchè meno econo- mico. Da queste prove, ho notato le osservazioni che espongo più innanzi. Cenni di biologia, danni prodotti dall’ insetto e modo di liberarne le piante. Le larve di /yponomeuta malinellus; compaiono su- gli alberi di melo nei primi giorni di Maggio, e proven- gono da uova deposte nell’estate precedente. Giunte sulle foglie tenere del melo, attendono subito a costruirsi un suetudine sinora tenuta dai proprietarii o fittaiuoli di Meleti, mal sen- tono il nuovo ritrovato, perchè ad essi viene a mancare la giornata di lavoro in un periodo che non hanno molto da fare per i lavori di campagna, anzi essi prendono anticipatamente la caparra, e si fanno molto pregare, e perciò a bella posta spargono la voce che un tal ritrovato sia insufficiente a raggiungere lo scopo....». 2) Le località suddette sono le seguenti: 1. Capua. Signor Filippo Coppola. 2. Calvizzano. Signor Bernardo Vulpes. 3. Somma Vesuviana. Signor Barone Comm. Senatore, Fedele De Siervo. 4. Pozquoli. Cav. Pasquale Scala. 5. Avellino. R. Scuola Enologia. — Forino. Signor Barone Agnello Picella. — Signor Cav. Gennaro Siniscalchi. — Signor Nicolino Sini- scalchi. 3) La Pitteleina e messa in commercio dai Sig. A. Petrobelli e C.° Padova, al prezzo di L. 60 il quintale. 156 comune riparo, coll’aiuto di numerosi fili di seta coi quali riuniscono tra di loro le foglie sbocciate da una gemma. Questo è il primo nido, più tardi, divorate queste prime foglie, le abbandonano e ne cercano altre che avvolgono con nuovi fili. Le erosioni sulle foglie sono di due specie; cioè distru- zione del parenchima, rimanendo intatta la rete delle ner- vature, oppure erosioni laterali praticate come per gli altri bruchi sugli orli della foglia che rimane così più o meno deformata e intaccata. La distruzione del parenchima si effettua specialmente dalle larve più giovani e sulle foglie più dure, ma anche dai bruchi più grossi e già prossimi ad incrisalidare. Le foglie così rosicchiate, seccano, diventano fragili, facilmente vengono aggomitolate nei fili e contribuiscono notevolmente a rendere intricato il nido in cui le larve restano rifugiate. Ma quando tutte le foglie comprese in un nido o con quello in contatto sono secche, o rosicchiate completa- mente, allora il nido stesso viene prontamente abbando- nato dalle larve che si recano tosto in cerca di nuovo nutrimento. Questo fatto va tenuto presente da chi cerca offendere gli insetti, poichè non giova prendere di mira i nidi completamente secchi, ma soltanto quelli nei quali una o più foglie, od almeno parte delle stesse sono an- cora verdi. Avviene nel caso di infezioni estese e vecchie, cioè quando i bruchi sono prossimi ad incrisalidare, che il numero dei nidi vuoti, sia ormai molto superiore a quello dei nidi abitati dalle larve; così infatti in un albero di melo, di circa 4 metri di altezza, con una chioma altret- tanto larga, ho contato, il 4 Giugno, circa 1200 nidi di Hyponomeuta, dei quali soltanto 200 circa abitati; gli al tri rappresentavano le dimore ormai abbandonate dai bru- chi. Queste osservazioni meritano di essere ricordate da chi si accinge a distruggere le Hyvporomeute sull albero, col mezzo degli insetticidi, poichè possono influire note- 157 volmente sul consumo di insetticida e sul tempo da im- piegarsi nell’ operazione. Ho detto che è d’uopo prendere di mira i nidi abitati. Infatti è questo specialmente che va fatto. Qualunque sia l’insetticida che si voglia usare, è ben evidente che oc- corre, per ottenerne effetto, portarlo in contatto degli in- setti da uccidere. Ora le larve sono sempre protette da- gli involucri sopra descritti, ma questi sono tanto più re- sistenti e complicati, quanto più avanzato è il grado di sviluppo degli insetti che vi dimorano. In principio si trovano infatti foglie piccole e giovani e nidi di mediocre grandezza, costituiti esclusivamente dalle foglioline di una sola gemma (vedi tavola annessa, fig. 1). Ma, più tardi si complicano col concorso di foglie d’altre gemme, già tutte notevolmente sviluppate. Intanto anche la rete di seta è più fitta e più difficile a romper- si; anche per queste considerazioni, la cura deve essere praticata quanto più sollecitamente è possibile. In ogni modo col liquido insetticida è d’uopo penetrare nell’in- terno del nido e con sufficiente violenza per strapparlo e bagnare abbondantemente gli insetti in esso contenuti. Il getto polverizzato delle ordinarie pompe da perono- spora, è adunque insufficiente allo scopo, e va messo da parte. Il getto a ventaglio, delle pompe molto vigorose, come la Candeo, Vermorel, Zabeo etc. può servire util- mente nel caso di piante alte, al massimo 3 metri, poichè il getto stesso giunge sul nido con sufficiente violenza. Ma per giungere a nidi situati su rami a maggiori altez- ze, è necessario ricorrere al getto unico di pompe fortis- sime, e questo ancora, qualche volta è insufficiente ed allora l’operaio si deve maggiormente accostare ai rami più alti col sussidio di una scala o altrimenti. Ma di questo dirò più innanzi. Cosa importante è la scelta della pompa da usare contro la //yponomeuta, ed io credo d’altronde che l’esito della cura, dipenda in buona parte dalla pompa impie- 158 gata, ed in gran parte dalla diligenza e pratica dell’ ope- raio, poichè mi sembra provato che sulla efficacia della Pitteleina nelle dosi dell’1 al 2°/ non possa cadere dub- bio. E per ciò che riguarda il lavoro dell’ operaio, ecco alcune mie osservazioni. Appena compariscono i bruchi giovanissimi, ancora rinchiusi in nidi composti dalle foglie di una sola gemma, è bene intraprenderne la disinfezione. In queste circostanze però, se è facile rompere i nidi ed uccidere le larve, è difficile invece scorgere i nidi stessi, poichè le erosioni sono appena cominciate, nè appaiono ancora le caratte- ristiche macchie di secco sulla pianta. Ma se l’operaio è esperto e diligente può scorgere molti, se non tutti i nidi e colpirli con ottimo risultato, pure usando dosi insetti- cide deboli, cioè all'1°/, e persino al 5%. In questo pe- riodo adunque nel quale i bruchi non oltrepassano, o a mala pena il mezzo centimetro di lunghezza, 1’ offenderli è facilissimo, lo scorgerli assai malagevole, e quindi il la- voro deve essere fatto con grande cura e pazienza. In appresso cominciano a manifestarsi modificazioni di colore sulle foglie o su parti delle foglie stesse, che già attaccate dai bruchi, seccano acquistando un colore rosso mattone caratteristico e che spicca egregiamente sul ri- manente verde. In questo secondo periodo i bruchi, raggiungono circa i sette od otto millimetri di lunghezza; non hanno ancora abbandonato nido alcuno, sicchè tutti gli involucri sericei che si scorgono sulla pianta, sono abitati. Di più i nidi non hanno ancora raggiunto quel grado di spessezza e complicazione che avranno in appresso e che ne rende difficile la rottura per parte dei getti liquidi. È questo il periodo nel quale la cura presenta minori difficoltà, e maggiori probabilità di esito buono. La Pz teleina distribuita all’ 19/ è sufficientemente venefica al- l’ insetto, e quanto alle pompe, anche i getti a : ventaglio delle Candeo, Vermorel, Garolla, Zabeo, ecc. hanno forza 159 bastante per distruggere i nidi, almeno quelli sui rami più bassi. Ma in seguito le larve, aumentando di grandezza, ab- bandonano i vecchi nidi già esauriti, ed in pochi giorni producono gravissimi guasti. In questo spazio di tempo la cura è massimamente difficile e costosa e d’altro canto di poco effetto. Riesce infatti poco efficace perchè non evita più il danno presente alla pianta, può tutto al più scongiurare il futuro. Difficile poi si presenta per la vi- talità delle larve che moriranno solo usando il 2% di Pif feleina per la resistenza dei nidi che non potranno es- sere lacerati che dal getto unico delle pompe più vigo- rose, pel gran numero di nidi abbandonati che renderanno malagevole all'operatore il riconoscere, in mezzo a tanto seccume i nidi abitati dalle larve. Da tutto ciò che ho esposto, risulta chiaramente il metodo di cura da adot- tarsi per ottenere il massimo possibile effetto. Primieramente esame quotidiano delle piante durante i giorni dal 10 al 15 maggio, per scoprire i primi sintomi di infezione. Alla prima apparsa dei nidi, una prima distruzione di tutti gli involucri, che usando la massima diligenza si pos- sono rilevare in questo periodo di tempo, usando dosi dal '/, all’1° di Piffeleina e di buone pompe da pero- nospora, a preferenza della Candeo e delle pompe a pres- sione d’aria fabbricate dal Del Taglia. In seguito una se- conda rivista alle piante durante il tempo in cui le larve sfuggite alla prima operazione e già cresciute di volume, hanno prodotto il parziale disseccamento delle foglie con- tenute nei nidi, ma non sono emigrate a nuove foglie, od in altri termini noh si notano ancora nidi vuoti. In questo momento, si dia il maggiore impulso alla cura, usando la Pztfeleina nella dose dell’ 1%, fino al 2% da distribuirsi coi getti unici di pompe da peronospora della massima forza pei nidi più alti, e coi getti a venta- glio pei nidi su rami più bassi e impiegando tanti operai 160 quanti occorrono per trattare bene tutte le piante entro un periodo di tempo non superiore ad una settimana. Un terzo esame alle piante, praticato in seguito, mo- strerà i nidi formati dalle larve che potessero per avven- tura essere sfuggite alle due prime operazioni, e questi vanno colpiti coi più forti getti unici possibili, che ne di- struggano i nidi e le raggiungano, distribuendo la Pte leina in dose non inferiore al 29/,. In via generale, l'operatore, una volta notato il nido di Hyponomeute, e questo in qualunque momento se ne imprenda la distruzione, deve colpirlo con abbondanza di liquido, e mantenere il getto della pompa contro il nido stesso, finchè questo grondi abbondantemente la soluzione acquosa, quasi come se fosse stato interamente immerso nel liquido stesso. Perciò il getto va mantenuto contro il nido preso di mira, per lo spazio di qualche minuto se- condo. L'operatore deve poi girare attorno all’ albero per esa- minarlo da tutte le parti in modo che possibilmente nes- sun nido sfugga alla sua vista e al getto della sua pom- pa. Giova anche, nel caso di fogliame molto denso sul- l’albero, insistere sugli stessi nidi, colpendoli col getto da due o più direzioni diverse, e questo perchè le larve che fossero per avventura sfuggite al getto liquido una prima volta, possano essere colpite nell’atto che, sfuggendo dal ni- do distrutto, escono libere sulle foglie vicine o sui rami. I nidi trattati, se composti di foglie rose o disseccate, si riconoscono subito in confronto di quelli non bagnati dallo insetticida, perchè acquistano una tinta rosso-mat- tone più intensa. Ad ogni modo un nido è sufficientemente trattato quando la tela di cui primitivamente era compo- sto è totalmente distrutta. Così operando non isfuggiranno insetti alla distruzione e si può prevedere un esito pressochè assoluto. Si potrà obbiettare che a vuesto modo la spesa di mano d’opera e di insetticida è triplicata. 161 Ma è facile dimostrare che così non è. Poichè a di- struggere un dato numero di insetti occorre certamente un dato lavoro ed una certa quantità di liquido. Col ri- passare tre volte le stesse piante, tanto questo dato lavo- ro, che la quantità necessaria di liquido sono divisi in tre tempi diversi, anzichè riuniti in un solo momento, senza che però, nè il lavoro, nè la quantità di liquido, necessa- rio, sieno per questo: aumentati D'altronde l’ operazione quanto più è dilisente, una prima volta, tanto più rende sollecite e meno dispendiose le cure successive cosicchè potrebbe avvenire, che queste ultime fossero anche su- perflue. e l'operaio non trovasse che pochi nidi sparsi su molte piante già curate una prima volta. Quanto all’effetto della /:tfeleina sulle larve e sulle piante, dirò brevemente. Le larve colpite con soluzioni acquose di /ttelezna nel le misure sopra indicate, muoiono in breve tempo con sintomi costanti. Le larve ancor giovani, che non abbiano cioè oltre- passato i sette od otto millimetri di lunghezza, rimangono tutte uccise sul posto, nè più si muovono dopo essere state bagnate dall’insetticida, ed in breve tempo seccano sul sito. Avviene dapprimo un arrossamento caratteristico delle larve di colore giallo, nel punto del loro corpo dove sono state colpite dal liquido, arrossamento accompagnato da una certa lucidezza della pelle, più o meno estesa e da gonfiore diffuso. L'azione del liquido continua ancora meglio sulle larve impegnate nei fili di tela bagnati che le avvolgono e dai quali non possono più liberarsi, ma che riescono loro prigione e tomba. Nelle larve di colore bruno, questo arrossamento non è manifesto. Ma nei buchi già molto avanzati, di rado la morte segue al primo sbalordimento prodotto dall’ inset- ticida, senza che avvenga una specie di resurrezione, per la quale le larve stesse colpite dall’insetticida e dapprin- cipio in apparenza morte, cominciano a muoversi e an- Il Pa è 162 che a camminare, ma se già avvelenate, la morte loro è si- cura anche dopo un giorno o due. Certamente questi bru- chi, per quanto in apparenza vivaci, non si nutrono più, gradamente si accorciano e si raggrinzano, e finalmente muoiono senza potere incrisalidare. I meglio colpiti, del resto, muoiono in sito, e rimangono aderenti alle foglie ed ai rami, sui quali furono sorpresi dall’insetticida. Intanto però, e questo è fatto notevole, le foglie bagnate dallo insetticida, mantengono per lungo tempo un forte odore di catrame, che allontana le larve, tanto che queste, non solo non se ne cibano più, ma fuggono rapidamente nè più se ne servono per costrurre i loro nidi. Questo fatto ripetutamente da me constatato, in laboratorio e sul cam- po, va tenuto presente ed è importante, perchè così la Pitteleina in soluzione acquosa alle dosi sopraricordate, non solo riesce come si è detto un energico insetticida, ma ancora potente insettifugo, e come tale si presta anche alla cura preventiva, nello stesso tempo che viene impie- gato alla distruzione degli insetti dannosi. Sulla pianta poi, le dosi sopradette, fino al 2 per °/,, non hanno effetto alcuno. Le parti morte delle foglie, sieno i peli della pagina inferiore o quelle porzioni già rose dagli insetti, arrossano notevolmente, ma tutto ciò che è verde e vivace, rimane tale senza alterazione di sorta alcuna. I frutti, della grossezza di uno nocciuola, che pure sono stati colpiti dalla dose del 2°%/%, non presentano traccia di sofferenza. Quanto a quella parte di /z/tele:rma che può grondare dall'albero trattato, sui sottoposti foraggi, è inutile ricor- dare che non ha effetto alcuno sugli animali che se ne cibassero in seguito. Da quanto ho sopra riferito, è data ancora spiegazione della possibile diversità di resultati ottenuti da operatori diversi. Per parte mia, l’esperienza di queste prove praticate su notevole numero di piante in località e tempi diversi, 163 e di moltissime altre condotte da privati per proprio conto in tutta Italia, mi ha appreso che l’ effetto della /%teleina contro l Hyponomeuta matlinellus, è indiscutibile e che questo insetticida sembra destinato a riescire nelle mani degli agricoltori, arma efficace nella lotta contro il dan- noso bruco. Delle pompe più adatte a portare il liquido in contatto cogli insetti, mi è d’uopo parlare più diffusamente; ac- cennando quali modificazioni ho creduto conveniente ap- portare nelle ordinarie pompe da peronospora, affinchè queste servissero, egualmente bene a combattere l’ insetto di cui è qui parola, e il parassita della vite. DELLE POMPE più opportune contro la /yponomenta malinellus. Per la cura degli alberi attaccati dalla //ypornomeuta, possono servire utilmente alcune delle pompe impiegate per la Peronospora. Diciamo, alcune, perchè non tutte rispondono bene e- gualmente allo scopo. Infatti per ottenere effetto utile con- tro l’insetto in discorso, come ben si rileva da quanto ab- biamo sopra esposto, è necessario poter disporre di un getto unico, quanto più è possibile potente. Ora, in via generale, le ordinarie pompe a zaino, mes- se in azione da un manubrio, hanno un getto unico trop- po debole, e che senza il sussidio di tubi d’aggiunta od altro, male possono giungere ai nidi più alti, o se pure il getto vi giunge, arriva così scemato d’energia, da non poter più rompere la tela sericea e conseguentemente ba- gnare convenientemente i bruchi. Ma tra le pompe usate per la Peronospora, altre ve 164 ne sono fondate su sistemi diversi più convenienti per questo lavoro. Tra queste, per lo meno in ordine di notorietà, si deve ricordare primieramente la pompa Candeo, che può dare un getto unico potentissimo, sebbene forse troppo abbon- dante. D'altronde questa stessa pompa è raccomandabile anche per il suo prezzo discretissimo. Molto pratiche, come anche di straordinaria potenza sono le pompe a pressione d’aria, messe in commercio dalla ditta Del Taglia di Si- gna (Firenze; il cui getto unico giunge a notevole altezza, ‘ con forza costante, ed inoltre presentano il grandissimo vantaggio che l’operajo non è minimamente stancato dal continuo lavoro del manubrio, perchè queste pompe, una volta messe in pressione, mantengono questa fino ad esau- rimento del liquido. Per conto nostro riportiamo con lode l’:rroratrice au- tomatica ad aria compressa, (catalogo di Angelo e Ar- mando Del Taglia, fig. 1, e fig. 4). Gli stessi accurati fabbricanti costruiscono presente- mente una pompa, secondo i miei consigli, la quale ol- trechè servire egregiamente per la Peronospora, rispon- de alle esigenze della cura contro la Hyponomeuta. Cioè il getto viene portato a notevoli altezze da una canna d’ottone, innestata parzialmente ad un leggero bastone. Così si ottiene che il getto unico esce dalla estremità del tubo, che può essere inalzato fino ad 8 metri d’ al- tezza. Poichè è ben noto che il getto liquido perde la mas- sima parte della sua forza allorchè si trova all’esterno della canna, e questo per la resistenza dell’aria, mentre mantiene quasi tutto il suo effetto fino all’orifizio del tubo. Cosicchè l'allungamento del tubo per raggiungere lo scopo sopra indicato è pratica molto razionale. Non è forse altrettanto facile adattare un simile ordi- gno alle pompe a zaino ed a manubrio, poichè l’operajo non può avere forza sufficiente per mantenere a lungo, il peso della canna di prolungamento con una sola mano, I 65 e contemporaneamente far funzionare coll’ altra la pompa. Nelle pompe a pressione d’aria, l’operajo ha costantemen- te libere le due mani. Ancor meglio risponde allo scopo una pompa di mag- giori dimensioni servita da due operai, dei quali uno mette in movimento la pompa stessa, l’altro ne dirige il getto, col concorso della canna di prolungamento. Di questa ultima pompa, che pure può servire egre- giamente per irrorare viti alte, nelle infezioni di Perono- spora, diamo una più particolareggiata descrizione, per- chè consigliata da me altrove, contro parecchi insetti tra i più dannosi alle piante utili. Si sono costruiti due tipi di pompa, secondo l’indicato disegno, cioè con recipiente per l’emulsione, annesso o separato. La pompa consiste in un cilindro il cui stantuffo è messo in movimento da un manubrio robustissimo e lungo da 1m. ad 1m. 20. Questo corpo di tromba compri- me l’aria in un annesso cilindro di rame, dimodochè quest’aria determina poscia una spinta al liquido, contem- poraneamente assorbito dal recipiente, costringendolo ad attraversare un tubo di gomma lungo da due a quattro metri, per giungere in seguito alla cannula d’ottone. Que- sta sostenuta come si disse da un leggero bastone, lungo circa 4 m. sporge oltre il bastone stesso liberamente per una lunghezza di circa 2 m. Cosicchè se l’ operatore so- stiene il bastone per la sua estremità inferiore ad un’al- tezza media di circa 2 m., il getto viene così a uscire, con notevole forza, dalla estremità del bastone stesso, alto adun- que circa 8 m. da terra. Intanto il getto della cannula è a volontà regolato da rubinetto, e lo zampillo può essere, a volontà modificato a seconda di polverizzatori diversi, da usare in rapporto degli insetti da combattere. Così per l’Ayponomeuta il getto è unico, mentre un getto a ven- taglio, da sostituirsi al getto unico, può servire sia per l’MAyponomeuta stessa, sia per la disinfezione degli agru- mi dal Dactylopius citri. 166 Un'altra porzione di tubo, ripiegato ad arco, si può adattare alla estremità della cannula, e questo termina in un ampolla di rame, convenientemente perforata da minutissimi pertugi, cosicchè il liquido si sparge sotto for- ma di minuta pioggia, e questo getto è, più che altro, de- stinato alla irrorazione dal di sopra, delle piante di agru- mi, per liberarle dalle cocciniglie, nella cura estiva. A questo scopo, mentre questa pioggia cadendo dall'alto ir- rora le pagine superiori delle foglie, sostituendo in segui- to sulla cannula un getto a ventaglio a quello polverizza- to, se ne ottiene rapidamente anche l’irrorazione dal di- sotto, che mira a bagnare la pagina inferiore. Il getto polverizzato poi può servire ad irrorare le viti più alte per combattervi la Peronospora. Tutta la pom- pa è annessa ad un carretto, oppure ad una barella in ferro, per potere essere trasportata dagli operaj. Nel tipo di pompa con recipiente annesso, questo è in lamina di ferro cilindrico, riposa nella intelajatura della barella, al disotto del corpo di pompa, e contiene 50 litri di liquido. Un'apposita spranghetta di ferro segna il livello del liquido nell'interno del recipiente, e serve per dare la misura esatta del liquido contenuto a diverse altezze, on- de poter fare rapidamente le soluzioni insetticide, nelle dosi volute. Due operaj servono queste pompe. L’uno agendo sul manubrio, l’altro dirigendo il getto della cannula. Nel tipo senza recipiente, un tubo di gomma in rap- porto col corpo di tromba, pesca in un vaso qualsiasi, nel quale si fanno le emulsioni. 167 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Va Fig. 1. Nido composto di una sola gemma ed ormai abbandonato dalle latve. Vi si vedono foglie completamente rosicchiate, dalle quali sono rimasti solo i nervi principali. Questo nido, non fu trattato colla Pitteleina. Tolto il giorno 31 Maggio, da meli della R. Scuola Superiore di agricoltura in Portici. Fig. 2. Nido di Hyponomeuta, aperto il giorno dopo il trattamento colla Pitteleina al 2 p. %/. Vi si vedono le parti già secche delle foglie fortemente arrossate per effetto del liquido, e le porzioni verdi rimaste, intatte. Si scorgono inoltre i bruchi morti e in via di disseccamento sul posto. (Tre foglie furono, come si vede staccate apositamente dal ramo per poter aprire il nido). Tolto il giorno 4 Giugno da meli della tenuta del Sig. Nicola Siniscalchi a Forino, e disegnato scrupolosamen- te nel giorno s dello stesso mese. Fig. 8. Nido non toccato da insetticidi e abitato da larve giunte al loro massimo sviluppo. Vi si scorgono infatti alcune foglie rosic- chiate totalmente, od in parte, ed altre intatte; di più si vedono tra i fili di seta, le larve ed i bozzoli delle crisalidi; su una foglia si vede anche una farfallina ad ali chiuse. Tolto il giorno 10 Giugno da un melo della R. Scuola Superiore di Agricoltura in Portici. Fig. 4. Larva di Hyponomeuta sana e prossima ad incrisalidare (vista dal dorso in grandezza naturale). Fig. 5. La stessa qualche minuto dopo il trattamento con Pitte- leina al 2 p. %,. Si nota la caratteristica gonfiezza, colla tinta rosso mattone vivo, e il corpo, al solito, ripiegato ad arco. Fig. 6. La medesima larva il giorno dopo il trattamento. E già morta e si vede annerita, accorciata ed in via di disseccamento. 168 LA TICCHIOLATURA DEL PERO MALATTIA CAUSATA DAL FUSICLADIUM PIRINUM FUCK. (con tav. VI) Nota del Dott. VITTORIO PEGLION Sotto il nome di 7zcchiolatura o Brusone si indica co- munemente una speciale alterazione patologica del Pero cagionata dall'azione parassitaria di un micromicete, il Fusi cladimm pirinum che si sviluppa sugli organi ver- di di detta pianta. Lo sviluppo raggiunto da questa malattia nella scorsa primavera nelle campagne dell'Avellinese, dove produsse danni abbastanza serii, mi offrì l'occasione di studiare la detta alterazione. Ebbi a mia disposizione materiale in va- rio grado ammalato e fui consigliato ad eseguire tale stu- dio dal chiar.mo prof. A. N. Berlese al quale sono lieto poter rivolgere i miei ringraziamenti per il benevolo aiuto di cui mi fu largo. Cenni storici La storia di questa malattia non è remota; tanto nei vecchi autori latini, che negli scrittori di cose agrarie del secolo scorso e del principio del presente, non si trova cenno di essa. Il Berti Pichat, che pur ricorda l’ecidio del Pero, non fa motto di altre malattie d’indole crittogamica. Non è improbabile che la Zeckiolatura sia stata confusa col seccume e quindi se ne sia attribuita la causa al so- 169 lito complesso di condizioni meteoriche sfavorevoli e prin- cipalmente al freddo. Sotto il nome di ZAxanthème il Decaisne !), descrive una malattia del Pero che si manifesta, nella primavera o verso l'autunno, sopra i giovani rami; la causa di que- sta malattia sarebbe, a detta di quest’ A. e di Mayer ?), un fungo, da quest’ultimo denominato Gymrosporium Pyri communis. Il Decaisne riassume i caratteri della malattia nel modo seguente: lungo l'epidermide si formano delle screpolature, che si addentrano nel parenchima corticale, dalle quali spuntano delle piccole escrescenze nere che si moltiplicano rapidamente in modo da ricoprire non di rado l’intero ramo: dopo poco tempo le foglie stessse si ricoprono di macchie nere rotondeggianti che ne ritar- dano e ne impediscono lo sviluppo, queste macchie pas- sano più tardi anche sui frutti ne’ quali determinano scre- polature, spacchi ecc. Tali caratteri coincidono evidente- mente con quelli della 7zcc/hzolatura. Prillieux *) pubblicò i risultati di alcuni suoi studi re- lativi agli spacchi che si osservano sopra i frutti di Pero, spacchi da lui ritenuti in correlazione col parassitismo del fusicladium pyrinum. E sopra questo fungillo dà le seguenti notizie: esso si osserva sopra i frutti, i rami e le foglie del Pero ed in tutti questi varii organi forma delle macchie nere, di aspetto vellutato, in corrispondenza delle quali nei rami si notano delle fenditure, e nelle fo- glie delle zone di parenchima morte ed annerite; nei frutti la parte annerita e morta non potendo seguire l’accresci- mento regolare del frutto fa sì che il medesimo o assume delle forme irregolari oppure si spacca, questi spacchi si possono rimarginare in seguito alla formazione di nuovi 1) Deacaisne. Iardin fruitier du Muséum Vol. I. °) Meyer. Pflanzen-pathologie p. 189. 3) Prillieux. Les Tavelures et les crevassses des poires. Ann. de l’Instit. Nat. Agron, Vol. II, 1877-78. 170 tessuti principalmente soverosi, oppure possono aumen- tare sì da internarsi profondamente nella polpa del frutto. Nei rami si nota in sezione trasversale la necrosi del pa- renchima corticale esterno separato dalla parte sana da una lamina soverosa formatasi in seno al parenchima stesso. Questo sovero siegue l’ accrescimento del rametto e induce gli spacchi suddetti nella parte già necrosata. L’A. dà poscia una sinonimia abbastanza estesa del pyrinum, notando che il parassita che si trova sopra le varie parti del Pero sia sempre da riferirsi alla medesima specie, a differenza di quanto dice il Sorauer, relativamente al £. dendriticum, che cioè il parassita delle frutta sia da ritenersi una varietà della specie che si sviluppa sopra le foglie. Passa quindi a dar alcuni cenni sopra il £. pi rinum il quale si sviluppa all’interno dei tessuti superfì- ciali de’ Peri, andando a fruttificare all’esterno; le ife co- nidiofore semplici producono delle spore mano mano che esse stesse si sviluppano, così che lasciando ogni spora una piccola sporgenza nel punto di inserzione, a sviluppo com- pleto, le ife conidiofore medesime sono denticuligere. Le spore così prodotte germinano con molta facilità nell’acqua. Se ciò avviene alla superficie delle foglie o de’ frutti il tubo germinale penetra nell'interno attraversando una cellula epidermica ed il micelio si sviluppa entro all’ epidermide stessa e nei tessuti vicini, annerendo il contenuto delle cel- lule che li formano; il micelio stesso non si espande molto in profondità: ad un dato punto si accumula verso l’e- sterno dando uno stroma formato da cellule piccolissime dalle quali si staccano lentamente i filamenti sporiferi. Finalmente 1 A. accenna come l’umidità sia una delle cause che favoriscono essenzialmente lo sviluppo di que- sto fungillo e nota come le ficchiolature dei giovani getti rappresentino i mezzi coi quali la malattia si propaga da un anno all’altro. Sorauer '), nota che questa specie sebbene meno dif- 1) Sorauer Handb. S. Pflanzenkrankheiten (2. edizione). 171 fusa del A. dendriticum, si rende però molto più nociva quando si sviluppa estesamente sui frutti; ricorda che essa vive non solo sulle foglie e sui frutti ma anche sopra i giovani rami sui quali determina delle macchie nerastre costituite da uno stroma dal quale spuntano le ife spori- fere del £. pirinum. Questo stroma nero appare in se- guito alla lacerazione della corteccia e l'aspetto della pian- ta così ammalata ha fatto dare alla malattia il nome di «Schorf» o «Grind» cioè Scabbia o Rogna. Le foglie at- taccate, riconoscibili dalle macchie cosparse alla loro su- perficie, cadono alquanto prima delle normali; qualche volta sono lacerate, non lo sono allorquando dal fungo viene invasa la regione della nervatura mediana. Frank '), ricorda quanto dissero il Sorauer ed il Pril- lieux, che cioè il parassita vive su tutti gli organi aerei della pianta ‘(salvo i fiori) formando sui giovani rami delle croste nerastre dalle quali si diramano i conidiofori. Comes ?), dopo essersi occupato alquanto estesamente del FX. dendriticum si limita a stabilire i caratteri miceli- ali e sporologici che permettono di distinguere da questa specie il /. pirinum, accennando poscia ai mezzi di difesa contro questo parassita. Briosi e Cavara 3), danno brevemente i caratteri della malattia principalmente quelli delle macchie fogliari, ri- cordando però la presenza del parassita sui rami e sui frutti. Saccardo ‘) riporta la diagnosi latina del fungo che colloca fra le /yphomycete Dematiae didymospore, accen- nando solo alla presenza del fungo medesimo sulle foglie. Molti altri autori si occuparono di questa malattia, studiandola principalmente nel rapporto con i varii rime- 1) Frank Die Krankheiten der Pflanzen. p. ?) Comes. Crittogamia Agraria p. 3) Briosi e Cavara. I funghi parass. delle piante colt. N. 43. 4) Saccardo. Syll. Fung. Vol. IV, p. 172 dii attualmente in uso nella lotta contro le crittogame pa- rassite ed i loro risultati riassumerò in altra parte della presente memoria. i Caratteri botanici e biologici del Fusicladium pyrinum. Fra i micologi chi per primo si occupò di questa spe- cie fu Mad. Libert che lo pubblicò ne’ suoi Axszccata sotto il nome di /7elminthosporium pirinum, descritto più tar- di da Desmazières '). [1 Bonorden *), avendo fondato il genere Ausicladium ve lo collocò unitamente al /. dex- driticum sotto il nome di /. virescens; in seguito dal Fu- ckel #, venne distinto sotto il nome di F. pirinum e col- locato fra gli ifomiceti. Ho già ricordato che dal Saccardo è stato posto fra gl’ifomiceti e precisamente fra le spe- cie comprese nella sezione delle 7acronemae apparte- nenti alle deziatie didymospore. Il Sorauer *), colloca invece questa specie fra le Melariconia e fra i caratteri del genere /usicladium ricorda che le spore sono inserite sovra sporgenze laterali od apicali dei basidi i quali trag- gono origine da uno stroma molto sviluppato e ben di- stinto. Queste stroma, come dirò più oltre, è molto spic- cato nelle macchie che trovansi sui vecchi rami ammalati; tale secondo Rabitat non è citato dal Saccardo che di questa specie dice soltanto «27 utraque s@pius inferiore pag. foliorum Piri communis in Germania, Italia, Au- stria ecc. Forse come nota il Saccardo ?), l AvMrinium pirinum Wallr. è da riferirsi al genere /sicladium ed esso pre- ‘) Desmazieres. Ann. Sc. Sc. nat. t. XIV. p. 9. 2) Bonorden. Handb. d. Allym. Mykol. p. 80 f. 90. 3) Fuckel. Symbol. Mycol. p. 357. >) Sorauer. tcp: 9) Saccardo, :l. c. p. 280. 173 senta non pochi caratteri di affinità col F. piriznum, il quale d'altronde, per quante numerose osservazioni io abbia fatto non mi ha mai presentato spore settate, tanto quando esaminava le spore prodottesi sulle macchie foliari o caulinari, che quando ne seguivo lo sviluppo nelle col- ture che intrapresi a questo scopo. Così lo Scolecotrichum venosum Bon. si trova presso a poco nella medesima con- dizione senonchè esso presenta i conidii uniseptati; in ogni modo mancando le dimensioni delle spore di queste due specie riesce difficile se non impossibile una qualsiasi identificazione col As:icladium pirinum. Germinazione dei conidii e caratteri del micelio. I co- nidi di Ausicladium pirinum sono ovoidi con gli apici acuminati; posti in una gocciolina di acqua alla tempera- tura media di 18-20° C. germinano facilmente. Onde se- guirne lo sviluppo feci alcune colture cellulari serven- domi come substrato del decotto di fimo equino e della gelatina al mosto. Col primo le spore germogliarono mol- to lentamente ed emisero nella maggior parte dei casi un meschino tubo germinale, raramente due, a sviluppo lento ed il cui diametro andava decrescendo sensibilmente dalla base verso l'apice; dopo un certo tempo l’ultimo articolo miceliale si rigonfiava, ed il micelio assumeva un aspetto clavato; a questo punto cessava l'allungamento del filo miceliale il quale raramente dava origine a qualche meschina produzione laterale che in seguito comportavasi come il filamento primario. Raramente i detti filamenti raggiunsero la lunghezza di 500 ». in media non oltrepas- sarono i 40-70 .. ed alcuni non andarono addirittura oltre a pochi micron. In colture fatte da oltre un mese, tali filamenti rimasero invariati e senza che l'estremità clavata accennasse a differenziarsi in spora. Nelle colture in gelatina al mosto invece, la germina- zione avviene con maggior sollecitudine; 24 a 36 ore dopo la semina, in ambiente la cui temperatura oscilli tra i 15-24°, sono già stati emessi i tubi germinali. Dalla base 174 di ogni spora spunta un filamento corto e tozzo, legger- mente curvo, che si allunga rapidamente emettendo a de- stra ed a sinistra dei filamenti secondarii che alla loro volta si allungano soliecitamente; in tal modo si origina in 3 04 giorni un micelio che si distingue ad occhio nudo giacchè forma, al disotto del vetrino al quale è sospesa la goccia nutritiva, delle macchie verde-olivacee a strut- tura più o meno distintamente raggiata. Esaminate al microscopio queste macchie si dimostrano formate da nu- merosi filamenti miceliali di color olivaceo-chiaro, finamen- te punteggiati, col contenuto granuloso cosparso di goccie brillanti, di diametro vario, che spiccano molto sul fondo olivaceo del micelio. I setti sono dapprima poco numerosi poscia essi vanno mano mano aumentando in numero ed il micelio assume un aspetto varicoso come si vede nella fig. 1 della tav. VI. Fra gli articoli miceliali vicini sono molto frequenti le anastomosi. Questa forma varicosa si origina nel modo che segue: il micelio dapprima è costituito da articoli brevi, piutto- sto fortemente aderenti l’uno all’altro e senza o quasi strozzature nei punti di unione. Dopo un certo tratto di tempo alcuni articoli cominciano a rigonfiarsi in modo da trasformarsi in tante bolle più o meno sferiche interposte fra gli articoli rimasti invariati: dalla differenza dei dia- metri dei vari articoli nasce l'aspetto toruloso o varicoso del micelio, che è spiccatissimo quando due articoli vi- cini si conglobano nel medesimo tempo. Le bolle così for- mate hanno il loro interno occupato quasi per intero da una grande goccia priva di splendore, finamente granulosa. Una volta formatesi, queste bolle accrescono non già uniformemente ma spiccatamente da un lato, in modo da formare una sporgenza che si va sempre più accentuando da quel dato lato ed assume l’apparenza dello stato ini- ziale di una ramificazione laterale; dalla forma rotondeg- giante questa sporgenza passa alla forma clavata, poscia cilindrica, e va lentamente allungandosi; ad un dato mo- 175 mento mediante un setto basilare si separa dal ramo dal quale si è derivata e comincia a produrre i conidii con quelle date modalità che vedremo più oltre. Dalla spora germinata si deriva spesso dapprima un micelio ad articoli lunghi e tortuosi che non hanno alcun che di caratteristico; le ramificazioni che vi prendono origine si derivano anch'esse tortuose. L’interno di que- sti articoli è occupato da un protoplasma di color meno fosco di quello che trovasi all’interno del micelio vari- coso, ricco di goccie brillanti sparse irregolarmente e di diametro ineguale. Questo micelio però presto o tardi as- sume anch'esso l'aspetto varicoso suddetto, quantunque in grado meno spiccato. Formazione dei conidii. Abbiamo seguito più sopra lo sviluppo delle bolle destinate come abbiamo detto alla produzione dei conidii. Quando esse hanno raggiunto una lunghezza che varia dai 12-28 &., spesso acquistano un setto verso la loro parte mediana in corrispondenza del quale setto comincia a formarsi una strozzatura che limita nettamente le due parti. E di queste la parte superiore, a forma di fiaschetta si va ingrandendo, diventa dapprima cilindroide poi clavata, poscia l’apice si va facendo acumi- nato e la base acquista la medesima forma in seguito alla strozzatura che si restringe sempre più; l'articolo mice- liale si è quindi trasformato in una spora che si distacca dal filamento e dopo un certo tempo trovando condizioni opportune germina. Altre volte dalle protuberanze si di- rama un tratto di micelio abbastanza lungo che ad un dato momento prende da 2 a 3 setti e poscia cessa di al- lungarsi. I tre articoli così formati si differenziano lenta- mente dalla ifa madre e per mezzo di strozzature in cor- rispondenza dei setti si differenziano lentamente gli uni da- gli altri, in modo che si vengono a formare delle catenelle composte da 2-3 conidii (fig. 2). Un terzo modo di formazione dei conidi è la seguente: all'apice della protuberanza laterale del micelio si diffe- 176 renziano contemporaneamente 2-3-5 conidii che si svi- luppano nel medesimo tempo, formando all’ apice dell’ar- ticolo miceliale una rosetta di spore, che si staccano poi mano mano che maturano (fig. 3). Quest’ ultima forma si osserva di frequente sovra il micelio formato da articoli lunghi, mentre le altre due sono più comuni sovra il mi- celio varicoso. La produzione dei conidii comincia in media verso l'’ ot- tavo giorno dalla semina, dopo continua in modo spicca- tissimo ed ho alcune colture in cui la semina fu fatta verso gli ultimi di maggio e che oggi ancora (ultimi d’a- gosto, continuano a fruttificare. Come ho già ricordato sopra non mi è occorso mai di osservare la formazione di setti all’interno delle spore; un altro fatto degno di nota si è che mentre sovra i fila- menti sporiferi che si osservano sopra le macchie foliari, caulinari etc. si notano delle numerose sporgenze che se- condo Prillieux, stanno a rappresentare i punti di inser- zione delle spore sviluppatesi mano mano che il basidio cresceva, nelle ife conidiofore ottenute nelle colture man- cano assolutamente tali sporgenze. A proposito della germinazione delle spore voglio ri- cordare una prova fatta sovra l’azione di alcuni sali u- sati comunemente quali anticrittogamici. Il So' Cu in so- luzione al 1%/ e al 0,5% ha impedito assolutamente la germinazione delle spore di questo fungo. Le osservazioni relative a questo e ad altri sali formeranno oggetto di un'altro studio riguardante non solo questa specie ma anco altri funghi dannosi alle piante coltivate. Caratteri della malattia e sua estensione. Ho creduto bene descrivere minutamente i. caratteri esterni, macroscopici della ticchiolatura perchè nei molti testi da me consultati non mi fu dato mai di riscontrarli 177 per esteso, limitandosi per lo più i singoli autori a ‘ripor- tare i caratteri presentati dalle foglie e dai frutti. Osservando una pianta di pero nell'inverno o al prin- cipio della primavera in un’epoca anteriore all’ apparsa delle foglie, si nota una differenza di molto spiccata fra le piante sane e le piante ammalate. Ed invero le piante sane presentano nei giovani rami la corteccia liscia 0 con poche screpolature; i rami giovani e qualche volta anche il fusto hanno nelia pianta infetta da ticchiolatura un a- spetto molto caratteristico: la corteccia è cosparsa di scre- polature più o meno profonde, orizzontali e verticali, se- parate da tratti di corteccia più o meno integra; i dardi hanno la corteccia screpolata in tutta la loro estensione cosichè assumono l'aspetto di un organo in via di lenta disquamazione; la superficie viene ad essere costituita da una serie di placche di corteccia rialzate e lacerate, plac- che che si distaccano con facilità, mettendo a nudo la no- vella corteccia formatasi al disotto, che spicca pel colore rossastro sul fondo grigio del ramo. Se si esaminano in primavera quei medesimi rami, nell'interno delle screpo- lature della corteccia si osservano dei tratti ricoperti da corpicciuoli neri, di aspetto vellutato che come dirò poscia sono organi scleroziali in istato di fruttificazione. In seguito allo sviluppo delle foglie, la malattia comin- cia ad appalesarsi anche sopra questi organi. Esse mostra- no dapprima delle macchie olivacee a contorni poco de- cisi, di forma più o meno circolare sparse nel parenchima interposto fra le nervature; queste macchie si trovano per lo più sulla pagina inferiore, e si estendono mano mano fino alle nervature; non è raro il caso che esse occupino la regione della nervatura primaria estendendosi a destra ed a sinistra sul parenchima. Le dimensioni che esse pos- sono assumere variano da 1 cm? a pochi millimetri qua- drati di superficie. Nel primo caso si trovano da due a tre macchie per foglia, nel secondo invece esse sono numero- sissime e fittamente stipate, in modo da occupare quasi l’intero parenchima fogliare. 12 178 Qualche volta codeste macchie appaiono dapprima sulla pagina superiore, ma nella maggior parte dei casi la pagina inferiore è sede della malattia; ad ogni modo la zona macchiata assume mano mano un’aspetto vellutato, passando dal colore olivaceo al fuliggineo; dopo un certo tempo l’annerimento si propaga al tratto corrispondente della pagina superiore o inferiore, annerimento che è ben presto seguito dal disseccamento. A questo che procede dal centro alla periferia segue uno speciale contorcimento od avallamento della parte disseccata, e siccome tale zona non può seguire lo sviluppo della foglia ne risultano delle lacerazioni e la caduta della zona disseccata, specialmente quando questa occupi il margine della foglia. Macchie analoghe a queste si riscontrano nel maggio e giugno sopra i getti dell’anno, sui quali esse sono su- perficiali e coi bordi non ben limitati come in quelle fo- gliari, mentre sovra i rami dell’anno antecedente sono vere pustole od emergenze nere circondate dalla zona esterna della corteccia lacerata e disseccata. Le macchie sui frutti cominciano ad apparire quando essi hanno raggiunta la grossezza di una noce. È noto che il Prillieux ') attribuisce il male dello spacco delle pere appunto al parassitismo di questo fungo e delle macchie del frutto si occupò specialmente nella sua già citata me- moria. Aggiungiamo a tale proposito che il Savasta- no *) ha potuto costatare nel pero che il /sicladium pirinum e lo spacco possono essere concomitanti in alcune varietà, ma che non di rado il parassita vegeta sopra le pere senza cagionar spacco alcuno. L’apparenza esterna di queste macchie non differisce punto da quella delle macchie foliari; soltanto in corrispondenza di esse il frutto presenta delle insenature dipendenti dal fatto che la parte occupata dalla macchia essendo uccisa dal fungo, essa non 1} Prillienx 90) 2) Savastano. Il mal dello spacco nelle Auranziacce etc. 179 può seguire lo sviluppo del frutto, che si accresce quindi ir- regolarmente. Nel riassumere la memoria del Prillieux ho già detto del modo col quale quest’ A. spiega il fenomeno dello spacco e come in parecchi casi gli spacchi siano se- guiti dal rimarginamento per opera di uno strato soveroso Alterazioni indotte dal F. pirinum Nelle foglie. Sezionando una macchia appena forma- ta l’unica alterazione evidente sta nell’ epidermide ; allo stato normale questa è costituita da cellule grandi di for- ma tendente alla rettangolare la cui parete esterna è forte- mente cuticularizzata. Nelle parti invase dal fungo queste cellule difficilmente si possono distinguere, al loro posto trovasi un sottile stroma olivaceo dal quale si innalzano dei filamenti miceliali sporiferi lunghi da 40-75 ». che hanno direzione per lo più obliqua, raramente sono ortogonali alla superficie della foglia, alcuni sono diritti, altri curvi e non di rado piegati ripetutamente a ginocchio; la loro superficie è liscia quando sono giovani, quelli più sviluppati sono tuber- coluti, coperti di numerose sporgenze che si distinguono più spiccatamente verso l’apice, dove di solito trovasi un rigon- fiamento piriforme separato per mezzo di una strozzatura molto profonda dall’ifa medesima e che rappresenta una spora in via di sviluppo. Nelle preparazioni trattate pre- ventivamente coll’acido Acetico glaciale, all’ estremità delle ife sporifere è facile trovare delle spore mature; esse sono ovali o fusoidee gli apici sono acuminati, non presentano setti, le loro dimensioni variano dai 25 v. ai 30 u. in lunghezza e dai 7 ». ai 9 ». in larghezza. Questi filamenti sporiferi raramente crescono isolati, formano spesso dei ciuffetti di 4-5 individui ognuno; non di rado i ciuffetti sono costituiti da un numero molto mag- giore di filamenti i quali partendo da una zona pressochè: circolare, assumono in seguito una direzione obliqua ed un aspetto divaricato caratteristico. 180 Mano mano che procede l’infezione, avvengono all’in- terno, dei tessuti fogliari delle alterazioni sempre più no- tevoli; l'epidermide non si distingue più, il contenuto delle cellule annerito è compreso nello stroma del fungo. In questo stadio, che corrisponderebbe a quello in cui all’os- servazione macroscopica comincia a comparire la macchia di secco sulla pagina opposta a quella infetta, tutti gli elementi del mesofillo sono profondamente alterati ed ag- grinziti, così che esaminando una sezione trasversale trat- tata secondo i soliti metodi di tecnica non si riesce a di- stinguere nulla di chiaro tanto gli elementi del mesofillo sono contratti. Lasciando invece le sezioni per 8-10 ore nella potassa diluita, questa imbeve lentamente le parti e fa sì che le cellule riacquistano la loro forma primitiva. Esaminando allora le sezioni, nella macchia si trovano le cellule normali del mesofillo il cui contenuto ha assunto una colorazione bruno-rossastra mentre il contenuto delle cellule sane conserva il colore verde sbiadito ed è ricco in granulazioni (amido, clorofilla ecc.) che mancano asso- lutamente nelle cellule necrosate: in questa parte dissec- cata continuano a fruttificare i filamenti miceliali. Non mi è stato mai dato di osservare la produzione di spore catenulate quali le ottenni nelle colture in gelatina, come dissi sopra, invece ho potuto più volte osservare sullo stesso filamento due spore inserite contemporaneamente all’apice. Riguardo al micelio, esso continua, anche in que- sto stadio di alterazione profonda del parenchima fogliare ad occupare la regione epidermica senza espandersi meno- mamente nei tessuti circostanti, quando il disseccamento della macchia è molto avanzato, allora, cessa la fruttifi- ficazione che riprende subito quando si ponga la foglia in condizioni di umidità favorevoli. Nei rami giovani. Nei rami viene invasa dal fungo la regione epidermica ed una parte della regione corticale La sezione trasversale di un rametto si mostra costituita all’esterno da varie assise soverose, venute a sostituire 18I l’epidermide, al disotto delle quali trovasi la zona di fel- logene cui seguono alcuni strati di cellule collenchimati- che le pareti delle quali vanno gradatamente assottiglian- dosi dall'esterno verso il centro. Segue poscia il paren- chima corticale, in mezzo alle cui cellule trovansi disposti regolarmente dei gruppi di fibre, dopo le quali comincia la regione dei fasci. Una sezione fatta in corrispondenza di una macchia presenta le seguenti alterazioni: gli strati di sovero ed al- cuni strati del collenchima sottostante sono ammortizzati, il contenuto delle cellule che normalmente è incolore o leggermente verdastro, è di color rosso mattone, raramente riempie l’intera cellula le cui pareti, d'altronde sono molto idegrimzate sì che tra' una cellulae-l'altra corre uno spazio più o meno ampio; in questo spazio trovasi un fitto accumulo di pseudoparenchima costituito dal micelio del Fusicladium, pseudoparenchima che si va facendo più ab- bondante e più fitto procedendo dall'interno verso l’e- sterno. In corrispondenza alla regione già occupata da- gli ultimi strati suberosi, questo pseudoparenchima si e- spande, gli elementi che lo costituiscono sono più grandi e la parete loro si fa più oscura; da questo pseudoparen- chima o stroma si spiccano i filamenti sporiferi i cui ca- ratteri coincidono con quelli osservati sulle foglie. Essi sono originati dalle cellule esterne dello stroma, le quali si allungano colle stesse modalità delle cellule epider- miche che danno origine ai peli. Il numero di queste ife sporifere è molto grande, esse sono più fortemente stipate e la loro direzione è molto più regolare che non siano i filamenti osservati sovra le macchie foliari (Vedi Fig. 4 Tav. VI). Questa parte invasa dal fungo è separata dalla parte sana del ramo, da una zona di sughero originatasi negli strati più profondi del collenchima; questa zona va a rac- cordarsi a destra ed a sinistra colla zona di sovero nor- male, cosicchè la parte invasa viene nettamente limitata; 182 in seguito, poi, alla segmentazione della novella zona di fellozene, la regione della macchia è spinta in su in modo che essa viene a formare una sporgenza lungo la superficie del ramo. Il ramo continua quindi a crescere, questa parte morta non potendo seguirne l'accrescimento si screpola ed in tal modo si originano i crepacci, le la- cerazioni che danno ai rami ammalati quell’ aspetto squa- moso di cui dissi sopra. Questo si nota nei rami dell'annata; se si vanno ad osservare i rami di due o tre anni verso la primavera dissi che si notano delle macchioline nerastre. all’interno delle screpolature. Una sezione trasversale mostra che queste macchie hanno una struttura identica agli sclerozii che presentano molte altre specie fungine Come dirò più oltre il loro modo di comportarsi alla primavera è tale da con- fermar pienamente l’ipotesi che essi sieno veri sclerozii. Essi hanno raramente forma regolare, solo rarissime volte ebbi occasione di osservarne di quelli più o meno sferici; sono invece per lo più schiacciati molto sviluppati in lunghezza e larghezza, poco in spessore, che del resto è molto saltuario vista la superficie irregolarissima di questi organi. Qualche volta per un tratto più o meno lungo cor- rono schiacciati quindi si conglobano per riprendere poscia la forma primitiva. In sezione si presentano formati da pic- colissime cellule strettamente riunite fra loro, di forma ten- dente alla quadrata, disposte in file abbastanza regolari aventi, nel caso in cui l'organo è rotondeggiante, una dire- zione raggiata; le cellule centrali sono quasi ialine e le loro pareti sono poco appariscenti; le cellule più esterne sono più grandi ed hanno la parete più ispessita e bruna. Questi scle- rozii sono per lo più superficiali e poggiano sopra tessuti morti, le cellule dei quali sono ridotte a piccolissimo volume e contengono una sostanza bruna al loro interno. Gli ampii spazii intercellulari sono anche in questo caso riempiti da pseudoparenchima miceliale ad elementi piccoli e di color chiaro che riunisce strettamente fra loro le cellule del tes- 183 suto morto. In alcuni punti dove lo spazio intercellulare è molto ampio, questo pseudoparenchima si raccoglie in am- massi sferoidali a struttura leggermente raggiata, ed i cui elementi sono più ialini che nol siano nel rimanente, in tale caso sole le cellule più esterne quando vengano ad essere superficiali, anneriscono le loro pareti, quando in- vece tali ammassi si trovano molto infossati, le cellule esterne non differiscono punto da quelle centrali, se non per la loro grandezza (Fig. 5). Questi sclerozi si mantengono in tale stato fino alla pri- mavera: dall'epoca della emissione delle foglie in poi, le sezioni condotte attraverso ad essi mostrano le cellule più esterne allungate che hanno dato luogo a filamenti sporiferi identici a quelli già visti sopra le foglie e sopra i giovani rami. La produzione di ife fruttifere si può avere anco po- nendo pezzi di rami muniti di sclerozi in camera umida. L’ufficio di questi organi corrisponde adunque a quella degli sclerozii !), sono da considerarsi come organi desti- nati alla conservazione della specie durante l'inverno. In primavera trovando condizioni di temperatura e di umi- dità favorevoli danno luogo alla formazione di conidi desti- nati alla propagazione del fungo medesimo. Essi si origi- nano dallo stroma formatosi nelle macchie dei rametti dell’anno, che nell’està e nell'autunno successivi alla sua formazione, continua ad accrescersi a spese dei tessuti en- tro ai quali si è svolto, perde i filamenti che furono già fruttiferi e dispone i suoi elementi in modo da poter an- dar immune dalle condizioni sfavorevoli dell'inverno. Il ciclo biologico di questo fungo sarebbe quindi il se- guente: nella primavera codesti corpi scleroziali fruttifi- cano, le spore cosi prodotte incontrano le giovani foglie 1) Nel Bull. Soc. Bot. Ital. 1892 N. 6, è stata pubblicata una breve comunicazione del prof. Cuboni sopra la forma ibernante del Fusi- cladium dendriticum. Le osservazioni dell’egregio Prof. coincidono ri- guardo a tale specie perfettamente con quanto ho esposto sopra riguardo al F. pirinum. 184 ed i teneri getti, trovando condizioni di temperatura e di umidità favorevoli germinano, il loro filamento micelia- le, dopo aver strisciato al quanto alla loro superficie, fora una cellula dell’ epidermide e penetra all’interno dell’ or- gano ') dove determina le alterazioni già riferite. Più tardi quando cominciano a svilupparsi i frutti le spore non tar- dano a germogliarvi sopra e vi aeterminano delle mac- chie seguite oppur no da screpolature Venuto l'autunno gli stromi rimasti sopra i giovani rami si accingono a tra- sformarsi in scleroziii destinati la primavera seguente a provvedere alla produzione di nuove spore. Nei frutti. — I danni pìù ragguardevoli cagionati da questo fungo riguardano le alterazioni che esso induce nelle frutta. Accennammo già al modo col quale dette alte- razioni si appalesano all’esterno ed alla osservazione ma- croscopica. Le sezioni eseguite sopra le macchie dimostra- no che nella regione invasa i tessuti superficiali sono necro- sati, ed i loro elementi imbruniti sono riuniti fra loro dal surriferito pseudoparenchima che termina nello stroma fruttifero ; nel contempo uno strato interno di sovero sepa- ra la parte ammalata dalla parte sana. Quella non potendo seguire lo sviluppo normale dei tessuti fa si che il frutto assume forme irregolari e diverse di quelle che assumono i frutti quando sviluppansi normalmente. Qualche volta la tensione interna del tessuto è grande ed allora, la parte morta tesa oltre un certo limite si spacca; questi spacchi, dice il Prillieux, possono estendersi più o meno profonda- mente all’interno del frutto aprendo ìn tal modo l’adito alle forme fungine saprofitiche comuni, oppure possono cicatrizzare in seguito alla formazione di uno strato su- beroso che si produce sui margini della spaccatura. Certo si è che anche quando il frutto non si spacca, esso viene a perdere grandemente; il suo valore commer- ciale scapita di molto anche quando sieno soltanto .pre- 01) Prillieux I, c. 185 senti le macchie o più ancora gli spacchi rimarginati. Tali frutta sono sempre di scarto, massime poi quelle spaccate, che di norma vengono invase dalle suddette forme sapro- fitiche, le quali ne inducono una rapida putrefazione. Resistenza delle diverse varietà. Questi i caratteri della malattia. Dovremmo ora accen- nare ad un fatto molto importante, riferentesi alla resisten- za che alcune varietà presentano all’infezione. Io ho seguito lo sviluppo di questa malattia nel frutteto della R. Scuola Enologica, dove fra le molte varietà di pero coltivate, si addimostrò colpita fra le altre la varietà nota sotto il nome di Pera alloro. Di questa varietà in un cordone obliquo ne esistono 5 individui i quali tanto nell'annata corrente come ho potuto osservare, che nella antecedente sono sempre stati colpiti fortemente da ticchiolatura si che il loro aspetto squamoso, screpolato li fa distinguere a prima vista dai rimanenti; e quantunque, tra una pianta e la susseguente non vi sia una distanza maggiore di 0,50-0,60 cm. pure gli individui delle varietà Beurré d’ Amandlis et Beu. del Giusti fra i quali sono compresi i Per: alloro non presentarono finora traccia di ticchiolatura; così più oltre nel medesimo filare sonvi 3 individui della varietà Leurré d’ Avemberg fortemente attaccati mentre gl’individui limi- tanti appartenenti alle varietà Colmar d° Aremberg et Duchessefd' Angoulème sono immuni. Erano fortemente attaccati anche vari peri della varietà /. spa allevati ad alberello, e degli individui piu ravvicinati e qualche volta interposti di Bewurré d’Amantlis nessuno erano ticchiolato. In tutti que sti casi le foglie coperte di macchie delle va- rietà ammalate venivano a contatto delle foglie delle varie- tà immuni. Il Prillieux nella più volte citata memoria, ri- corda come la varietà Dovenne d’ Hiver sia in alcune re- gioni così intensamente colpita da doversene tralasciare la 186 coltura. Finalmente nel riferire intorno ai risultati riguar- danti alcune esperienze dirette alla cura di questa mala- ttia i Sigg. Magnien e Mosson ricordano due varietà di pere la Louise bonne d’ Avranches et la Beurrée d’ A4- manlis che vanno soggette in tal modo a questa malattia e ne sono così intensamente colpite, che raramente pos- sono dare prodotti apprezzabili. Altre osservazioni riguardo alla resistenza delle diverse varietà di Pero alla ticchiolatura sono sparse in varie me- morie, ma manca assolutamente una scala delle resistenze, come ne esistono de’ meli riguardo alle Schisoneura della vite riguardo all’oidio ed alla Perorospora, secondo il mag- gior o minor grado di infezione cui possono andare sog- gette le diverse varietà di Pero. Ed è certo che alielima e l'andamento delle stagioni hanno un influenza fortissima sopra il grado di resistenza che una data varietà può pre- sentare in una data regione. Cosicchè col cambiar la re- gione di coltivazione cambia ugualmente la resistenza che la varietà antecedentemente presentava. Mezzi di difesa. Ad opporre un argine ai danni indotti da questo fungo nei frutteti, si sono istituiti sperimenti onde trovare qualche mezzo atto ad impedirne o a frenarne lo sviluppo. Fin dal 1881 P. Olivier ‘), in seguito a' sueMirieesehe sulla resistenza delle spore di /%szcladium pirinum all'a- zione di alcuni caustici consigliava la lavatura degli al- beri di Pero, da farsi nell'inverno, con solfato di Rame ad !/; allo scopo di uccidere le spore fermatesi nei cre- pacci della corteccia e nei licheni che spesso ricoprono i tronchi di pero. Successivamente nel 1884 il Darbois raccomanda di ') P. Olivier. Journal d’Agric. prat. r889 Vol. 2. 187 bruciare le foglie ed i rami affetti. Nel 1886 il Prillieux '), riferiva alla Società nazionale d’orticoltura di Francia i risultati conseguiti da un distinto viticultore il Sig. Ricaud in una sua prova contro il Fuszcladium. Costui trattò al- cuni peri con una poltiglia formata da 1 Kgr. di Solfato di Rame sciolto in 12 litri di acqua, da 4 litri di acqua entro ai quali erano spappolati Kgr. 2 di calce e da '/ litro di sugo di tabacco. Il trattamento fu fatto il 531 Marzo e mentre in seguito i peri non trattati portavano foglie frutti e rami maltrattati dal fus:icladium, i peri trattati erano immuni e rigogliosi. Visti i buoni risultati ottenuti coll’ uso di questa poltiglia bordolese, nel 1389 i Sigg. Mas- son e Magnien ?, della Scuola nazionale di Grignon vollero sperimentare l'efficacia della poltiglia cosidetta dDourgus:- gnonne, in cui al posto della calce della poltiglia bordo- lese si sostituisce la soda (Co? Na?). Scopi di tali ricerche erano: 1° di dimostrare l’azione di questa poltiglia in dosi differenti; 2° di ricercare l’ epoca più propizia per i trat- tamenti; 3° di determinare il numero dei trattamenti ; 4° di trovare la formola più razionale da applicarsi tanto nei trattamenti invernali che nelle spruzzature estive. Fecero poltiglie col solfato di Rame e col solfato di ferro ed a esperimenti terminati trassero le seguenti conclusioni: 1.° che la poltiglia borghignona è efficace quanto la bordo- lese; 2° che le lavature invernali non danno risultati così buoni come le spruzzature estive mentre si ottengono ot- timi risultati con una lavatura (badigeonnage) nel marzo seguita da una spruzzatura nei primi di giugno; la polti- glia col solfato ferroso ha dato prova di nessuna efficacia; 3° basta un sol trattamento nel giugno od al massimo due a distanza di un mese per debellare completamente la ma- lattia; 4° per i badigeonnage la formola più adatta sarebbe una poltiglia col 5-6 p. °/ di Solfato di Rame; per le spruz- 1) Prillieux. Journal d’ Agric. prat. 1886 vol. 2. 2) Masson et Magnien. Journal de |’ Agricolt. 1889. 188 zature estive meglio di tutto la poltiglia col 2 p. %/ o al massimo col 3 p. °/ di SO4Cu. In America dalla divisione di Patologia Vegetale del Ministero d’agricoltura si sono fatte numerose ricerche ri- guardanti la distruzione del /%sicladium pirinum e del Fusicladinm dendriticum. Il riportare tutte le ricerche fatte tale riguardo sarebbe un lavoro molto arduo; gli ultimi esperimenti pubblicati nel /0ur7a/ of Mycology portano co- me conclusione che a prevenire l’invasione del /%s:cladium erano indispensabili due trattamenti: uno da farsi all’ e- poca in cui schiudono i fiori, ed un secondo poco dopo l’allegamento delle frutta. I trattamenti susseguenti (se ne fecero persino altri 4) si possono tralasciare perchè il loro effetto è molto dubbio. In base ai dati biologici ricordati sopra, sapendo che lungo i rami trovansi organi scleroziali od ibernanti che in primavera fruttificano e provvedono alla diffusione del fungo, scopo di qualsiasi trattamento deve essere di impe- dire la fruttificazione di questi organi e questo si può ot- tenere colle lavature o bdadzgeonrages primaverili con poltiglia bordolese, più o meno premature a secondo delle diverse regioni !). Queste lavature si possono fare con un forte pennello di crine, oppure colla pompa Vermorel usando il getto indiviso; l'essenziale è di bagnare abbon- dantemente tutte le parti dell'albero. La poltiglia da ado- perarsi potrà farsi al 3-4 °/, di So! Cu. Per maggiore pre- cauzione dopo l’allegamento delle giovani pere si potrà fare una spruzzatura adoperando una poltiglia che con- tenga al massimo il 2 p. °/ di So! Cu, badando che essa non sia nè alcalina nè acida onde evitare le scottature che }) Il prof. Cuboni direttore nella R. Staz. di Pat. veget. di Roma comunicò al prof. Berlese di essere riuscito ad ottenere risultati molto soddisfacenti nella lotta contro il Fusicladium, eseguendo la lavatura invernale dei rami con poltiglia bordolese molto densa formata da 3 Kgr. di So' Cu e 3 Kgr. di calce spenta in 20 litri di acqua. 189 si produrrebbero infallentemente sopra i giovani getti e sopra le giovani foglie. Da/ Laboratorio di Botanica e Pa- tologia Vegetale della R. Scuola Enologica di Avellino Agosto 1892. SPIEGAZIONE DELEAZIEAVOLA VI, Fig. 1. Micelio varicoso di Fusicladium pyrinum, ottenuto da col- ture cellulari 4 @ a ife in stato di fruttificazione. Fig. 2. Ifa in fruttificazione, i conidi sono disposti a catenella. Fig. 3. Ifa in fruttificazione, i conidi sono disposti a rosetta. Fig. 4. Sez. trasversale di una macchia di un giovane ramo i ife conidiofore, e spore, m i pseudoparenchima costituito dal micelio di Fusicladium insinuato fra le cellule morte c c del collenchima e del si- stema tegumentario, st. stroma. Fig. 5. Sez. trasversale di uno sclerozio sc. massa scleroziale wm i pseudoparenchima intercellulare. Tutte le figure sono disegnate coll’oc. 4 obb. D dello Leiss salvo la Fig. che è disegnata coll’oc. 4 obb. B. 190 La distruzione degli insetti nocivi per mezzo di Funghi Parassiti pel Dott. V. PEGLION PARTE II. HYPOCREACEE LABONEBENIACEE » BATDERTACEE (continuazione e fine) Gl’'Ipocreacei formano una famiglia di pirenomiceti fondata dal De Notaris, i cui caratteri più spiccati sono i seguenti: i peritecii sono carnosi, o carnaceo-membra- nosi, mai carbonacei, di colore per lo più rosso raramente azzurro, giallo-olivaceo o biancastro : hanno un ostiolo sub- centrale, rotondo. Quando lo stroma è presente, esso è molle, carnosetto raramente bissineo. Gli aschi ponno es- sere 4-8-pleiospori, per lo più sono S-spori e gli sporidi raramente di color fosco. Gli stati secondari sono nella maggior parte dei casi noti. Tra gli Ipocreacei hanno speciale importanza come parassiti degli insetti le specie del genere Cordyceps. Questo genere è stato creato dal Fries e descritto nel Sy- stema mwvycologicum (1821-32), ove sotto tale nome gene- rico comprese fra le altre, varie specie riferite in seguito ad altri generi principalmente //ypocrea e Epichloe ecc. Più tardi lo stesso genere fu nuovamente descritto nella Summa vegetabilium etc. (1849) e vi comprese parecchie specie distinte fino allora come Sphaeriae entomogenae. Posteriormente ancora il Léveillé riunì nel nuovo genere Torrubia queste medesime specie che furono sotto tale 19I nome descritte ed illustrate da Tulasne; essendo però il genere Cordyceps del Fries anteriore al genere del Lé- veillé, il primo è adottato generalmente quale nome ge- nerico di queste //ypocreaceae. Il primo cenno sopra questi funghi si trova nell’ « A pa- rato para la historia natural de Hispana» opera del’ p. J. Torrubia (a ricordar il quale Léveillé fondava il genere suddetto) edita a Madrid nel 1754. In essa sta menzionato il fatto che nell'isola di Cuba sopra l'addome delle vespe morte spunta «una pianta provveduta di punte finissime denominata Gia dagl’ insulari ')». Più tardi Linneo de- scrisse nelle Speczes Plantarum la Cordyceps militaris una delle specie europee più comuni, sotto il nome di Clavaria militaris. Questa medesima specie si trova de- scritta nei Champignons de France del Bulliard .sotto il nome di C/avaria granulosa, assieme alla Cordyceps op- hioglossoides designata col nome di C/. radicosa. Suc- cessivamente di questo genere si occuparono molti autori che descrissero un gran numero di specie nuove ripor- tate ora tutte al gen. Cordyceps, e che in origine furono collocate tanto nel vecchio genere Sphaerza che nel 7or- rubia. Fra coloro che si occuparono specialmente del ge- nere Cordyceps, oltre a’ summentovati autori convien ri- cordare il Berkeley, il Robin, il Quélet, il Ravenel, il Ce- sati, lo Spegazzini, il Saccardo, il Cooke ed il Patoul- lard' ecc. Attualmente il genere Cordyceps conta oltre 60 specie delle quali una quindicina 0 poco più si possono trovare in Europa; dove se ne trova un numero maggiore si. è in America e nelle isole dell’ Arcipelago Indiano. Di que- ste 60 specie molte sono ancora conosciute in modo im- perfetto, specialmente quelle raccolte ed osservate in que- ste ultime due regioni. La maggior parte vive allo stato 1) Roumeguère — Rev. Mycol. Vol. VI, p. 149. 192 parassitario sopra insetti e altri artopodi, fanno eccezione la Cordyceps capitata e la Cordyceps ophio glossotdes che vivono parassiticamente sopra le varie specie di EZapho- myces. E riguardo a queste due specie specialmente l' ul- tima, si fecero alcune osservazioni abbastanza importanti e dalle quali risulta come egualmente anch'esse possano vivere sopra gl’ insetti. Ed invero il Krassilstschik ha accu- ratamente studiata una produzione fungina vivente sopra le uova di Pachytylus migratorius , tale fungo è riferibile al genere /sarza e dalle ripetute osservazioni del suddetto autore, del Cienkowsky e del Reinhardt è precisamente l’ Isaria ophio glossoîdes, cioè lo stato conidico della Cor- dyceps suddetta. È noto che le uova del P. 7/gratorius co- me in generale le uova degli Acrididei, vengono deposte sotterra in masse quasi cilindriche riunite assieme da una sostanza viscosa che li fa aderire colla terra circostante sì che indurendosi questa, essi rimangono come racchiusi in un astuccio; ora non è affatto improbabile che la forma co- nidica si sviluppi su queste uova e venendo a contatto cogli E/aphomyces sepolti nel terreno circostante, si Svi- luppi sui medesimi e trovandovi un alimento più abbon- dante o meglio adatto ivi dieno luogo alla forma ascofora. Questo fatto sarebbe confermato dal seguente 1): gli Elaphomyces vanno soggetti all'invasione di numerosi parassiti, fra i quali si trovano più comunemente delle larve di ditteri del genere /7e/omwza. Questi ditteri vanno spessissimo soggetti a forti invasioni di una Spheriacea entomogena; parrebbe quindi probabile che la Cordyceps parassita dell Elaphomyces vivesse dapprima allo stato conidico o di /sarza sulle larve dei Ditteri suddetti, e da questi si estendesse sull’ £Zap/o7zyces producendovi poscia lo stato ascoforo. Da quanto abbiamo esposto si può concludere che anche la C. ophioglossoides e forse anche la C. capitata 1) Journal of Micology Vol. V, N. 3. 193 possono vivere parassite sopra insetti e che spesso il loro parassitismo sugli £/aphomyces è più apparente che reale. Ho accennato più sopra allo stato conidico della Cor- dyceps ophioglossoides appartenente al genere /sarza de- gli Ifomiceti Stilbei. Questo genere caratterizzato da uno stroma clavato o cilindraceo, semplice o ramoso, sul quale s'inseriscono uniformemente i conidi, conta oltre 90 spe- cie; di esse sono entomogene una ventina all’ incirca. Le altre specie vivono saprofiticamente ora sullo sterco (I. felina, I. sulphurea) ora nei residui di legno o di funghi putrescenti. Le specie entomogene sono quasi tutte stadi conidiali di Cordyceps, le relazioni fra questo genere e molte Isarie sono oramai ben conosciute, rimangono però ancora numerose /sarza (I. floccosa, I. Eleutheratorum, I. exolata, I. strigosa ecc.) delle quali si ignora lo stato asco- foro e così delle specie fimicole, micofile e terricole. Riguardo agli stati spermogonici e picnidici, nulla si sa in proposito. Il Peck !) descrisse uno sferopsideo vi- vente sopra la Drosophila nigricornis, trovato a Nyack, pel quale creò un nuovo genere, Appendicularia carat- terizzato da periteci giallastri sopportati da pedicelli fila- mentosi e muniti alla base di un appendice seghettata. Il Peck soggiungeva esser tale specie affine agli Sphaero- nema, e forse piu ancora alle Saprolegniacee. Tale fungo in seguito ad acurate osservazioni fu dal prof. Berlese ?) collocato fra le Laboulbeniacee. Gl' insetti sui quali le Cordyceps vivono parassitica- mente, sono invasi per lo più allo stato di larva; nelle specie che compiono sotterra la loro metamorfosi in im- magine, l’infezione avviene spesso durante questo periodo; in ogni caso le spore che l’insetto o la larva porta con i) Peck in Thyrty-eiyth Report on the State Museum of Nat. Hist, pag. 95. ?) Berl. in Saccardo SylIl. Vol. VIII e Riv. d. Laboubn. in Malpi- ghia 1889. 13 194 sè, trovando condizioni favorevoli di sviluppo germinano il loro micelio penetra all’interno del corpo e si sviluppa largamente a spese dei tessuti, cagionando naturalmente la morte dell'insetto. Giunto ad un certo grado di svi- luppo, avviene l'emissione dei filamenti sporiferi: dap- prima spuntano delle ife biancastre che formano una spe- cie di peluria tutt'intorno al corpo dell'insetto, da questa peluria s'innalzano dopo, delle ife riunite in ammassi cla- viformi che portano conidii lungo la loro superficie e pre- sentano tutti i caratteri della /sarza. Dopo un periodo di tempo più o meno lungo 40-60 e più giorni, in mezzo a queste clavule di /sarza si innalzano gli stromi claviformi di Cordyceps. Roumeguère osserva come lo stato conidio- foro (Isaria) sia più abbondante nel mezzogiorno della Francia, mentre nel Nord abbonda maggiormente la for- ma ascofora. È nota la forma delle Cordyceps: esse sono costituite da uno stroma, differenziato in un pedicello o stipite che si spicca dal corpo dell'insetto e che porta all’ estremità superiore una capitazione entro alla quale sono racchiusi i peritecii i cui colli leggermente sporgenti danno alla me- desima un aspetto leggermente tubercoluto. Questi stromi fruttiferi hanno dimensioni variabili a seconda delle di- verse specie: da qualche centimetro possono giungere ai 10-12-15 centimetri e più. Roumeguère ricorda alcuni esemplari di C. m22/tariîs lunghi 12 cent. raccolti nei din- torni di Bordeaux. Ho avuto occasione di osservare al- cuni individui di C. Hwugelii o C. Robertsti i quali rag- giungevano una lunghezza di oltre 15 cent. Il colore di questi organi è per lo più vivace allor- quando sono di fresco raccolti; alcuni sono giallo-ranciati, altri porporascenti, spesso violetti, raramente bianchicci a secondo delle varie specie. Nella maggior parte dei casi si sviluppano sul primo segmento toracico, e nel 1) Roumeguère — Rev. Mye. Vol. IV, p. 149. 195 punto d’attacco del capo e del torace medesimo, rara- mente crescono sull’ addome, anche a tale proposito si notano differenze a secondo delle specie. Prima di passare all’ esame delle varie osservazioni fatte in riguardo alla utilizzazione di questi funghi come parassiti degli insetti utili, credo bene accennare ad al cuni fatti riflettenti le tradizioni originate dalle Cordyceps. È noto che nell'Isola della Guadeloupe e presso i Caraibi è stata spesso menzionata la mosca o vespa vegetante, citata volgarmente come esempio della trasformazione da animale in vegetale; tali mosche vegetanti sono soltanto imenotteri dei generi Vespa e Polybia su’ quali si è svi luppata la Cordyceps sphecocephala. Nella Nuova-Zelanda è comune l’ epialus virescens che vive allo stato di larva in primavera sopra un Convolvulus e sopra i fiori di Me- trosideros robusta. Venuto il momento d’ incrisalidarsi, essa penetra sotterra ove subisce le sue metamorfosi; spesso però due o tre mesi dopo, al punto in cui si in- fossa la larva vien fuori una piantina che è la C. Hugelti, la quale poi si dirama dal capo della larva. Patouillard ') descrisse recentemente una nuova specie di Cordyceps la C. nutans e dà i seguenti particolari avuti dal P. Sauret missionario a Tchikongo nel Giappone dove tale fungo è stato raccolto: «l’insetto così attaccato è molto curioso ed i partigiani di Darwin al Giappone ne tengono gran conto per sostenerne le teorie. Quest’insetto pare tale nel- l’està e diventa pianta di color violetto nell'inverno, così almeno credono i Giapponesi. Uno scienziato di Tchikongo, a proposito di questo insetto di cui dà un disegno abba- stanza riuscito, dice appunto che esso vola, si agita nel- l’està e nell'inverno dà origine ad una pianta la cui ra- dice è di color violetto ». L’insetto in quistione è un emit- tero, dal primo annello toracico si spicca la Cordyceps nutans suddetta, formata da uno stipite o pedicello molto 1) Patonillard — Bull. Soc. Myc. de France 1887. 196 lungo e sottile, duro, violetto in cima al quale trovasi il capitolo peritecigero rossastro e fusiforme. Del resto, la rassomiglianza nell’accrescimento che molte Cordyceps crescenti sopra larve o insetti sepolti, hanno cogli agaricini e altri funghi terricoli, ha fatto sì che molti autori ritenessero le medesime terricole; fatto questo avvalorato da ciò che si possono avere nel mede- simo punto parecchi carpofori a sviluppo successivo. Tra gli altri il De Candolle, accennando alla Spl. militaris dice: «Il croit sur la terre dans le gazon ». Si è visto in seguito che ciò non avviene, che il fungo cresce sopra le larve sepolte e che la sua vegetazione dura fino a chè i tessuti delle medesime non siano esauriti. Uno dei primi ad occuparsi dell’applicazione dei fun- ghi alla distruzione degl’ insetti nocivi è stato il prof. Cienkowsky al quale si unirono poi i prof. Metzchinoff e Krassiltschik. Scopo delle loro ricerche era di trovare un mezzo per combattere le larve di Arzsoplia agricola, di Agrotis segetum e di Cleonus punctiventris che in varie parti della Russia recavano gravi danni alle colture di frumento e di barbabietola. Il Metzchinoff avea trovato parassita delle larve di Az:zsoplea un ifomiceta che de- nominò /sarza destructor, che poteasi con successo ino- culare alle larve di C/eonus. Venne quindi l’idea di colti- varlo su larga scala, onde adibirlo alla distruzione di que- sti insetti, spargendo ne’ campi i prodotti di queste colture. Il metodo di coltura ideato allo scopo dal Cienkowsky era il seguente: all’interno di ampie scatole contenenti terra, si collocavano delle larve infettate dal fungo che si rinnovavano mano mano che questo aveva fruttificato. I residui delle larve morte si mescolavano accuratamente col terreno; in tal modo si otteneva una polvere ricca di spore e di micelio che si spargeva in seguito nei campi invasi dalle larve. Il Sorokine ') dà curiosi particolari in- 1) Revue Mycologique 1887. 197 torno alla quantità di spore e di questa polvere neces- sarie per ogni Ha: dato un buon apparecchio di coltura, dove si ottengano tante spore da occupare completamente tutti gl’interstizi fra particella e particella e dato che la somma dei volumi di questi interstizi corrisponda alla metà del volume di terra adoperato, occorrono all'incirca 143 litri di polvere per spargere alla superficie di un Ha un volume di spore pari ad uno strato di 0 mill. 008 di spessore. Il Krassiltschik seguiva un metodo di coltura alquanto diverso: In una soluzione di malt di birra contenuta in bacinelle larghe e poco profonde, seminava delle spore di /sarta; manteneva queste bacinelle in riposo ed al ri- paro di altre crittoggame per un 12-15 giorni a termine dei quali, alla superficie del liquido si era formato uno spesso strato miceliale in piena fruttificazione. Raccolto questo strato, lo si faceva asciugare e quindi si polveriz- zava. Pare che in tal modo si potessero ottenere per- sino 200 grammi per metro quadrato di superficie, nello spazio di 15 giorni. Le esperienze eseguite con questo materiale dettero ottimi risultati. Trasportate alcune piantine di barbabie- tola, in un cassone pieno di terra, assieme con un dato nu- mero di C/eonus punctiventris, vi sparse una piccola quan- tità del materiale ottenuto dalle colture. Dopo 10 giorni i Coleotteri erano morti nella proporzione del 50-65 °/, e dopo 18 giorni il 30 °/, dei superstiti erano invasi alla loro volta e uccisi. Dai risultati di altre prove del medesimo genere appare che in media il 70 p.°/ degl’insetti vien distrutto da questa crittogama. Visto l’esito di queste ricerche, si fondò ad Imelia una piccola officina dove produrre su larga scala questa /sarza, basandosi sui metodi di coltura di Krassiltschik ed in meno di 4 mesi di lavoro, nell’anno 1884, questa officina pro- dusse oltre 55 Kgr. di spore di /sarza quasi assoluta- mente pure. Prove ad hoc dimostrano esser sufficienti per 198 Ha 8 chili di spore del valore di circa L. 10. Per adope- rarle si mescolavano con sabbia, terra ed il tutto si spar- geva ne’ campi all’epoca del lavoro. I risultati ottenuti dalle azioni consociate di questo parassita e delle colture alternate, furono oltremodo soddisfacenti e l’ agricoltura locale ne provò grandissimo vantaggio. Ciononpertanto dopo pochi anni tale pratica si è abbandonata, perchè la barbabietola dava un prodotto esagerato, e si pensò che era preferibile lasciare l’insetto continuare i suoi guasti, perchè diventasse in tal modo il regolatore della produ- zione (!) '). Oltre alla I. destructor il Krassiltschik avea coltivate altre due specie di funghi trovati sopra diversi insetti: la Botrytis Bassiana causa del calcino del Baco da seta e che vive anche sopra un gran numero di larve e d’in- setti fra gli altri sopra diversi Coleotteri; il Zarzc/kzumi uvella n. sp. che cagiona la malattia designata da Kras- siltschik sotto il nome di Calcino (muscardine) rosso; questa specie vive soltanto sulle larve di C/eonus pun- ctiventris che uccide con una rapidità straordinaria. Qual che anno dopo (1889) Sorokine descrisse un nuovo paras- sita dell’Agyrotis segetum, pel quale creò il nuovo genere Sorosporella dando alla nuova specie il nome di S. agro- tidis. Il Giard nella rassegna che fà di questo studio opina che il Zarichium uvella del Krassiltschik sia identico alla specie del Sorokine, il Thaxter invece sarebbe propenso a considerare il 7. xvella quale riferibile al genere Mas- sospora. Il Sorokine aggiunge che in causa del piccolo numeri di larve ammalate di cui gli era dato di disporre, non potè seguire lo sviluppo del nuovo parassita nè far prove per diffondere l'infezione. Nei Comptes Rendus de la Societé de Biologie (1591) il Giard pubblicò diversi studi riguardo ad un parassita delle larve di Melolontha vulgaris, il quale è forse da 1) Delacroix — Journal d’ Agricolt. prat. 1891 Vol. II, p. 163. 199 considerarsi come identico all’ /. farznosa Fr. e cagiona rapidamente la morte alle larve di Me/olontha e di Te- nebrio molitor. Le colture di queste /sarza riescono mol- to facilmente ed il Giard ottenne ottimi risultati eseguen- dole sopra l’agar-agar peptonizzato al brodo di vitello 0 di cavallo. In tali condizioni di substrato, ponendo i tubi di coltura in ambiente caldo ed umido, il fungo si sviluppa rapidamente e con tale vigore che esso soffoca le altre crittogame che potrebbero eventualmente svilupparsi al- la superficie del substrato. Per utilizzare praticamente l’ /- sarta sarebbe bene poter coltivarla in mezzi liquidi, coi quali inaffiare in seguito le zone occupate dalle larve del maggiolino, a tale scopo il Giard. ha cominciato ad ese- guirle nel mosto di birra secondo il metodo di Kras- siltschik e nel decotto di fimo. Successivamente a queste ricerche del Giard, Prillieux, Delacroix, Le Moult si occuparono del medesimo argomen- Nel 1890 quest’ultimo trovò nei campi di Céaucé un gran numero di larve di maggiolino uccise da un fungo. Parte di essi furono spediti al Giard che ne ottenne la /sarza suddetta, parte al Laboratorio di Patologia vegetale annesso all'Istituto nazionale Agronomico di Parigi dove furono studiati dal Prillieux et Delacroix. I risultati di questi studi furono comunicati all’ Académie des Sciences, e si rileva che la causa della morte di quelle larve non è già un Isaria ma bensi una Botrytis e precisamente la Botrytis tenella trovata già dal Bresadola parassita sopra i mag- giolini nei dintorni di Trento. In un solo caso ottennero dalle colture fruttificazioni simili a quelle d’ /sarza, che gli AA. considerarono come stato conidiale della .Me/arospora parasttica, che vive parasiticamente sopra il micelio della Bb. Basstana e di altre Mucedinee affini. In un’altra me- moria, già esaminata in questo periodico, il Delacroix eb- be agio di osservare un maggior numero di queste frut- tificazioni parassite della Bozrytis e si accertò trattarsi di uno Ste/bum (St. capillamentosum) parassita di molte Mu- 200 cedinee. L’inoculazione delle spore di 2. fenelta a insetti perfettamente sani ha riprodotta la malattia, della quale quindi è evidentemente la causa. La forma descritta dal Giard sotto il nome di /sarza, sarebbe semplicemente uno stato speciale di 2. fere/la dipendente dall’adattamentto alla vita sotterranea; allo scopo il micelio ha assunto una forma aggregata, che ri- corda quella delle /sarza dalle quali lo allontanano diversi caratteri principalmente la disposizione delle spore; infatti si è già detto che nelle /sarza la formazione di spore av- viene in tutta la lunghezza dello stroma laddove in que- sta forma aggregata di 5. fenella la sporificazione avviene nella sola parte basilare. In una memoria successiva !), il Giard occupandosi della sinonimia di questa /sarza vorrebbe identificarla collo Sporotrichum densum Lk che a sua volta corrisponde alla Botrytis tenella Sacc. «Il fungo, dice il Giard, dovrà quindi chiamarsi Botrytis o Isaria densa secondo che si ammette la validità del primo o del secondo genere, che del resto sono male stabiliti e provvisorii e da ritenersi affini ai generi Nauplius, Zoca, Pilidium della zoologia. Tuttavia esistendo già una £. densa Ditm. posteriore allo Sporotr:- chum densum sarebbe bene come propose il Bresadola denominare la specie del Ditmar 5. Ditmarii per evitare qualsiasi confusione colla 5. densa (Link.) o /. densa (Link.)» Dopo queste osservazioni, il Giard chiarisce alcuni dubbii riguardo all'uso di questo parassita, in relazione coi danni che potrebbe cagionare alle piante coltivate specialmente tuberose o amilifere, dubbi che hanno poca ragione di esistere e dei quali è superfluo occuparsi, L’identificazione dello Sp. densum colla B. tenella è abbastanza ipotetica. Il Sacc. a proposito della prima spe- cie soggiunge «an affinis Botrytis Bassiane?» Ad accer- tarsene sarebbero indispensabili osservazioni di confronto 1) Giard. Comptes Rendus Soc. Biol. 1891 n. 26. 20î cogli esemplari originali descritte da oltre 60 anni da Link, Persoon o Nees von Esenbeck, cosa molto difficile, epperò il Delacroix in una nota ulteriore dice di conservare tut- tora il nome di Botrytis tenella al fungo parassita del Maggiolino. Intanto l'efficacia dell’uso della Botryts tenella con- tro gl’insetti già notata dal Delacroix è pienamente con- fermata dal Le Moult. Disseminando larve uccise dal fungo nel terreno, si è causato una estesa infezione fra le larve che vi si trovavano; la diffusione della malattia è stata poi favorita dagli agenti naturali si che in breve tempo il Le Moult ha potuto osservare tracce del parassita in centri distanti dal punto ove egli sepellì le larve morte, epperò egli si applicò a coltivare estesamente il fungo, servendosi all'uopo di tubi di assaggio dei quali spedì parecchi in vari punti della Francia onde si ripetessero le prove da lui fatte a Céaucé. Quantunque persuaso della efficacia di questo nuovo metodo distruttivo, il Le Moult consiglia eziandio le «han- netonage» e l'unione dei propietari nel dar la caccia agl’ in- setti perfetti, allo scopo di impedire la deposizione delle uova. Siccome, per quanto efficace questa operazione, sem- pre un gran numero di insetti sopraviverà e continuerà a riprodursi, allora il fungo potrà distruggere un numero non indifferente non solo delle larve che nasceranno, ma anche degl’insetti scampati allo «hannetonage» giacchè com’è noto anche gl’insetti perfetti possono essere invasi. L'uso di questo parassita comincia oramai a farsi stra- da, e si trovano già in commercio dei tubi contenenti col- ture di Botrytis tenella; nel Journal d’ Agriculture prati que è menzionata a tale proposito la ditta Fribourg e Hesse, fabbricanti di prodotti chimici a Parigi. Altri ifomiceti sono ricordati da’ vari autori quali paras- siti degl’insetti, fra gli altri si possono ricordare : lo St/bum Buqueti raccolto sotto i Tropici dal Buquet e descritto da Robin. Questo è poco conosciuto e non si sa se gl’in- 202 setti siano la sede di tutti i suoi vari stadi. Il Buquet dice solo che esso si sviluppa sempre sopra insetti morti; dalla descrizione e dalle figure accurate del Robin si rileva che questo Stilbum si sviluppa all’interno de’l’insetto vivente, ne cagiona la morte, avvenuta la quale viene a fruttificare all’esterno. Il suo comportamento sarebbe identico a quelli della Botryts o dell’ /sarza. Così sulla Polyphylla fullo il Salensky trovò il Cladosporium parasiticum che in qual- che caso però si comporta da vero saprofita. Il Kunckel d’ Herculais scoprì in Algeria numerosi Acridii uccisi od ammalati per causa di un fungo che studiato dal Giard venne distinto col nome di Lacknidium acridiorum, e ri- ferito in seguito da Brongniart e Delacroix al genere F%- sartum, Il Trabut ') da a riguardo di questo fungo i se- guenti particolari: questa mucedinea che era stata dall'A. considerata, dietro un esame rapido, appartenere al genere Botrytis è uno dei parassiti più evidenti degli Acridii fra i quali cagiona di certo una mortalità abbastanza notevole. La evoluzione lentissima ed il grado di contagio molto leg- geri rendono questa malattia piuttosto benigna; che anzi pare che la trasmissione per semplice contatto non av- venga, occorre una ferita qualsiasi per l’inoculazione dei germi, quindi non si può praticamente fondare un mezzo di difesa contro gli acridi, sopra la propagazione di que- sto fungo. Anche lo Giard ritiene questo fungo quasi inot- fensivo per gli acridi, dei quali uccide solo quegli esau- riti per l’età o per altre circostanze. D'altronde le condi- zioni climateriche dell’ Algeria renderebbero difficilissima una applicazione qualsiasi di questo fungo. Vi sarebbe da accennare ancora a qualche altra spe- cie di ifomicete trovata parassita in date circostanze ora su larve ed ora sulle uova di insetti, ma quelle specie hanno interesse puramente dal lato scientifico e non 1) Trabut. Rev. Giu. de Bot. 1891 N. 34 p. 403. 2) Giard. C. R. Soc. Biol. Ianvier 1892. 203 v'è da aspettare una applicazione qualsiasi. Sono da ri- cercarsi le cause di tale parassitismo precipuamente nelle condizioni dell’ ambiente oltremodo favorevoli allo sviluppo loro, oppure allo stato morboso in cui si trovavano gl’in- setti ospiti, fatti che si verificano ben spesso quando si os- servino a fondo le cause del parassitismo di molti funghi ritenuti generalmente saprofitici, sopra gli organi viventi delle piante. Rimangono in ultimo le Laboulbeniacee e le Batteria- cee: per la storia e per la bibliografia delle prime il let- tore potrà vantaggiosamente consultare, l’accurata rivi sta di questa famiglia fatta dal Prof. A. N. Berlese '). Suc- cessivamente a questa vennero pubblicate dal Thaxter diverse memorie sopra le Laboulbeniacee del Nord-Ame- rica, dove sono descritti numerosi generi nuovi, gen. Pey- ritschiella (P. curvata, P. minima viventi sul P/atynus cincticollis) gen. Cantharomyces (C. verticillata vivente sul Suius longiusculus, C. Blidii sul Blidius assimelis) il gen. Zodiomyces (4. vorticellaria vivente sull’ Hydrocom: bus lacustris) il gen. Hesperomyces (H. virescens vivente sul Chelocorus biuvInerus) oltre a numerose specie nuove riferibili al genere Laboulbenia. Tutti questi funghi vivono parassiti sopra gl insetti, ma nonpertanto si è pensato ancora ad utilizzarli, colla diffusione artificiale, quale mezzo di difesa contro gli in- setti stessi: e ciò dipende da molte cause inquantochè mancano gli esperimenti che permettano di dire con pre- cisione entro a quali limiti si possa fare assegnamento sul loro potere distruttivo, nè si conoscono i mezzi di poterli produrre in quantità ragguardevole, tanto più che anche in natura si trovano piuttosto raramente. Tutto ciò ci fa concludere che l'applicazione di questi funghi alla distru- 1) A. N. Berlese. Riv. delle Laboulben. e descriz. di una nuova spe- cie ecc. Malpighia Vol. IIL 204 zione degl’insetti, difficilmente potrà entrare nel dominio della pratica. Riguardo alle batteriacee si conoscono con grande pre- cisione e sono illustrate da numerose osservazioni alcune malattie del baco e dell’ape, (flaccidezza, pebrina, marciaia degli alveari). Di malattie batteriacee degli insetti nocivi non se conosce invece nessuna: le facili riproduzioni, col- tura, e moltiplicazione anche industriale per così dire, dei batterii, in uno alla facilità colla quale essi potrebbero es- sere posti in condizioni tali da fare strage in tempo rela- tivamente brevissimo, farebbero di questi microorganismi uno degli agenti di maggior efficacia e nel contempo di uso più facile nella lotta contro gl’'insetti. D'altronde l’ap- plicazione de’ batterii alla distruzione degli animali forni- sce degli esempii molto lusinghieri ci limiteremo a ricor- dare i risultati conseguiti dal prof. Lòffler di Greifswald che pensò di servirsi di un bacillo da lui scoperto (£a- collus typhi murium) sopra i sorci ammalati di tifo, onde porre origine a’ danni che i sorci causavano alle campa- gne di Tessaglia. Diffondendo artificialmente questo bacillo (pane imbevuto di coltura) si ottenne un’ estesissima mo- ria tra i roditori suddetti. Tali risultati, lasciano sperare che quando lo estendersi della batteriologia da un lato, e dall’ altro lo studio accu- rato delle malattie degli insetti permetteranno di disporre di qualche nuovo microorganismo che agisca da potente parassita sopra quegl’insetti che pel numero stragrande sono tuttora cause di disastri estesissimi, la lotta contro questi esseri sarà di molto semplificata e l'applicazione metodica di quel dato microorganismo varrà a diminuire il numero degl’insetti stessi in modo tale da ridurne i danni se non a zero almeno a proporzione da non avere più influenza sul prodotto definitivo del terreno. Dalla R. Scuola Enologica di Avellino Laboratorio di Botanica e patologia vegetale : 205 Della azione di alcuni liquidi insetticidi sulle larve di Cochylis ambicuella Hlmbn, Nota del Prof. ANTONIO BERLESE La Cochylis ambiguella Hiibn (Tignuola della vite) è uno degli insetti più dannosi, scemando notevolmente il raccolto dell'uva e peggiorandone la qualità. Molto e da molti si è tentato contro questo insetto, allo scopo di li- mitarne i danni, diminuendone od arrestandone lo svilup- po, ma finora con pochissimo effetto. Ai molti mezzi già proposti e tutti successivamente abbandonati, si aggiunge ora l’uso di sostanze insetticide destinate ad offendere la larva del dannoso insetto entro i suoi ripari sericei nella infiorescenza della vite, durante adunque la prima gene- razione. Contro la generazione successiva, che attacca il frutto, gli insetticidi non possono avere effetto, dato il si- curo riparo in cui le larve stanno rifugiate. Nel primo caso, come è ben noto, i bruchi tendono numerosi fili di seta, in cui avvolgono i fiori sbocciati 0 meno della vite, e in questo groviglio o follicolo, abitano riparati nutrendosi dei fiori a loro portata. Non vi ha che un permeabile strato sericeo adunque da attraver- sare per giungere all’insetto, e l’insetticida purchè sia liquido, e a reazione spiccatamente alcalina, può avere questo effetto. In questo caso il follicolo sericeo, imbevuto di insetticida; riesce una frizione avvelenata, che tale ri- inane sinchè l’evaporazione non l'abbia asciugata, cioè, dunque per un tempo notevolmente lungo, e che per tutto questo tempo mantiene il suo effetto sulla larva. 206 Peggio può avvenire se il bruco, molestato dall’ inset- ticida nel suo riparo, si attenta a fuggire, poichè uscito all'aperto cade direttamente sotto l’azione del veleno e più presto ne risente gli effetti. Ma per le larve della seconda generazione, non è pos- sibile pensare ad insetticidi. I bruchi stanno riparati en- tro i chicchi d'uva, nei quali sono penetrati attraverso uno strettissimo foro, generalmente quasi ostruito da escre- menti e da fili di seta. Questa apertura comunica con una camera, più o meno esteso che circonda i semi, e che è l’effetto della voracità del bruco nella polpa del frutto. Quando questo è ancora immaturo, e la sua buc- cia è ancora resistente per polpa viva interna, non an- cora divorata, mantiene la forma e l’apparenza di chicco non avariato, nè all’esterno compare oltre l’apertura d’ in- gresso praticata dal bruco, altro segno di sua presenza se non qualche macchia sfumata bruna. Ma quando il frutto è ormai tutto internamente vuotato e la sua epi- dermide morta, raggrinza e secca attorno ai semi, allora il bruco abbandona questo frutto già per lui esausto e ne attacca un secondo, generalmente accosto al primo, con cui l’insetto aumenta il contatto e determina l’ade- sione per mezzo di fili sericei che ordinariamente circon- dano le aperture di ingresso nei due chicchi, posti a con- tatto e comunicanti fra loro. Questi acini appaiati dai quali l'uno già secco, l’altro in via di deperimento, sono trequentissimi, ed osservai che nel primo volentieri la lar- va ripara se spaventata, quasi suo domicilio ordinario, mentre del chicco più fresco e polposo si serve per nutrir- sene a tempo. Ad ogni modo è certo che il voler offendere queste larve così bene riparate, coll’uso di insetticidi è cosa ardua, se non impossibile. Primieramente (come dissi) l’apertura d’ingresso è strettissima e poco permeabile a qualsivoglia liquido, tanto più che l’aria racchiusa nell’ in- terno dell’acino in parte vuotato non esce facilmente per 207 dar posto al liquido, perchè trattenuta dai fili sericei che tapezzano l'apertura d’ingresso. In secondo luogo, i liqui- di generalmente alcalini, in contatto delle parti rose della polpa, i cui succhi decisamente acidi gemono sulla super- ficie intaccata, precipitano rapidamente ostruendo più che mai l'apertura d’ingresso coi pro lotti oleosi insolubili nel- l’acqua, abbandonati -dall’ emulsione scomposta. Confesso che non sono mai riuscito a far penetrare nell'interno di un chicco d’uva intaccato e abitato da una larva di Co- chylis, liquido alcuno, nemmeno facendo al liquido stesso strada pazientemente, con un fuscellino col quale tentavo l'interno della camera vuota, attraverso all'apertura d’in- gresso. Così sono certo che in seguito ad una semplice ir- rorazione di qualsiasi liquido, applicata colle ordinarie pompe da peronospora, su un grappolo in frutto attaccato dalle larve di Cockylis non una goccia può penetrare nell'interno degli acini compromessi, e raggiungere ie larve. Abbandonata adunque l’idea di profittare degli inset- ticidi durante la seconda generazione, almeno di quelli finora in nostro possesso, rimane da discutersi e da ten- tarsi l’uso degli stessi documenti la prima generazione, cioè quella dei fiori. E qui la strada per giungere a buon fine sembra aperta, poichè non si tratta che di trovare un insetticida che risponda ad alcune condizioni, nè la impossibilità materiale di portarlo in contatto delle larve in modo pratico ed utile, qui esiste. Le condizioni, alle quali, a parer mio, deve il deside- rato insetticida rispondere sono: 1. Nessun danno rechi all’ operatore o a chi si cibasse o altrimenti ingerisse, come si sia modificate, le parti della vite soggette a trattamento. 2. Sia di effetto veramente letale sulle larve di Cocky- lis e questo in dosi tali che rispondono alle altre condi- zioni. 5. Sia affatto innocuo alla pianta, nelle dosi necessarie 208 per uccidere l’insetto anche nelle sue più delicate parti, come la infiorescenza, i teneri getti ecc. 4. Il suo prezzo sia tale che nelle suddette dosi il suo uso non ecceda per la spesa e per la applicazione, l'utile che se ne intende ritrarre col salvare parte del raccolto. 5. Sia pratico, cioè tale che ogni agricoltore ne possa usare senza troppo studio o troppe difficoltà. 6. Sia pronto, alla portata di tutti in qualunque tempo ed in qualsivoglia misura. Alla prima condizione rispondono tutti gli insetticidi che io ho fatto oggetto di esame nella presente memo- ria; poichè l’ Estratto fenicato di Tabacco (a dosi deboli), le emulsioni di solfuro di carbonio, l’insetticida Dufour, il Peftacallo, la Rubina, sono affatto inattivi sull’organismo umano, almeno entro un limite molto ampio. Alla seconda condizione rispondono alcuni soltanto de- gli insetticidi da me sperimentati, e questo appunto è l’og- getto della presente nota. Per ciò che riguarda le altre condizioni, dico breve- mente in fine di questo mio scritto, senza pregiudizio però di ulteriori e più ampie ricerche. Le osservazioni attuali, adunque riflettono più che altro, l’effetto degli insetticidi, od almeno dei più in voga ed alla mano, sulle larve di CockyZis. Non mi sfugge punto che questo effetto varia notevolmente dalle esperienze di laboratorio, alla più larga applicazione sul campo, ma sembrami che sia prudente cosa, praticare conscienzioso e rigoroso esame, dapprima in condizioni nelle quali l’ er- rore sia meno facile e il risultato possa essere più esat- tamente apprezzato, e in seconda linea su più vasta scala, tenendo il debito conto delle prove condotte in laborato- rio, e avendo ben presenti le cause di errore, conseguenti a più difficile controllo, che non mancano mai di accom- pagnare le esperienze sul campo. Ma se l’esperienza non inganna, sembrami ben dimostrato; che le differenze, fa- cili a rilevarsi, tra le prove in laboratorio, e quelle sulle 209 piante all'aperto, praticate contro i medesimi insetti, co- gli stessi reagenti, concorrono tutte in un senso, cioè nel dimostrare minore l'efficacia dei nostri mezzi di distru- zione degli insetti all’aperto, sulle piante attaccate, di quello che sia in laboratorio, dove la facilità di ottenere un as- soluto contatto tra i veleni e le vittime, la minore vita- lità di queste in ambiente non appropriato alla vita rigo- gliosa, od altre condizioni di più difficile misurazione, con- tribuiscono a risultati migliori, quali poi sul terreno di prova, più difficilmente si ottengono, e non di rado non si ottengono affatto. Per quel che ho detto si comprende facilmente che le prove infraindicate hanno valore relativo, perciò che ri- guarda più estesi lavori sul campo; ma l’esattezza e lo scrupolo con cui furono condotte, mi danno diritto a ere- dere diversamente per ciò che si riferisce a prove di la- boratorio. Certo è che io perdo totalmente la mia fiducia in quegli insetticidi che mi si dimostrarono assolutamente inattivi, come l’ Estratto fenicato di Tabacco, e la Glice- rina, poichè sarebbe degnissimo di nota e di meraviglia, che queste sostanze, mentre mi hanno dato resultati af- fatto negativi in laboratorio, riuscissero poi meglio nel vigneto. Accordo invece maggior fiducia agli altri e li credo degni, in misura varia però, di essere sperimentati su più larga scala, quando non si oppongano le altre con- dizioni a cui l’insetticida deve rispondere per essere real- mente consigliabile come pratico. Ma di questo non è qui luogo. Mi è debito intanto tributare le maggiori lodi alla di- ligenza e pazienza con cui da parte di mio fratello Ame- deo, studente 5° anno di medicina, sono state condotte moltedi queste delicate esperienze, praticate affatto se- paratamente da me, allo scopo di controllare le osserva- zioni mie ed evitare i facili errori. Certo è che le sue prove, come le mie concordano perfettamente su tutti i punti, anche nei più minuti particolari relativi all’ effetto 14 zIO degli insetticidi diversi, sull'organismo delle larve sotto- poste alle prove. Questa concordanza mi conforta e assi- cura totalmente della esattezza delle nostre osservazioni. Ho curato inoltre che le prove nostre fossero così sem- plici da poter essere facilmente riprodotte da chiunque, anche dal contadino, e questo perchè ognuno potesse con- trollarne l'esattezza. Ecco in qual modo, mio fratello ed io ci siamo condotti. Fatta la soluzione di un dato insetticida nella porpor- zione voluta, ne mettevamo una grossa goccia su un pezzo di carta; indi estratte dagli acini, alcune larve di CockyZzs le collocavamo entro la goccia stessa, mantenendovele du- rante un periodo di tempo determinato, generalmente per un minuto primo. Abbiamo scelto questa misura, consi- derando che, anche nel caso di trattamenti nel vigneto, certamente le larve soggette a pioggia di liquido insetti- cida, non avrebbero potuto subirla per un tempo più breve. E probabile anzi, che nel caso in cui i bruchi si ostinino a rimanere nel loro riparo sericeo già impregnato del li- quido insetticida, in contatto di questo rimangano per un tempo anche più lungo. Un minuto ci parve adunque una giusta misura. Nel caso poi di insetticidi di rapida volatilizzazione, come le emulsioni di solfuro di carbonio, procedemmo in modo che queste fossero il meno possibile alterate, per la volatilizzazione del principio attivo, quando giungevano in contatto cogli insetti soggetti allo esperimento. Ma nello sviluppo della larva di Cockyls, vi hanno pe- riodi, che meritano di essere ricordati e dei quali i ca- ratteri vanno tenuti presenti in prove di questo genere. La larva è di forma presso a poco cilindrica, agilissima ed irritabilissima, e di colore verde, o verde olivastro, fino ad una età, e con questi caratteri raggiunge una lun- ghezza di oltre il centimentro, fino a 14 millimetri. Tali larve trovammo nella uva bianca, fino al 3 settembre. Ma nella uva nera, dal 13 dello stesso mese, in poi, assieme 2II a rarissime larve coi caratteri sopradetti, altre ne tro- vammo abbondantissime e molto diverse. Queste ultime non più lunghe di un centimetro, apparivano fusiformi, cioè panciute, e con tutta l'apparenza di bruchi pingui; lentissime nei movimenti, punto irritabili e di colore ros- so-vinoso, chiaro. È certo che quest’ultimo è uno stadio avanzato del precedentemente descritto e cosifatte larve stanno per incrisalidare, ma per me è dubbio se pure quelle dei fiori, subiscono queste modificazioni o non piut- tosto si mantengano sempre nella forma delle larve verdi. Però la diversa vivacità delle due forme descritte deter- mina un diverso modo di reagire di fronte agli insettici- di. Così gli insetticidi che come il tabacco, hanno azione narcotica, agiscono più energicamente sulle larve rosse (come per intenderci le chiamerò) che non su quelle vi- vacissime verdi, e in quella vece, gli insetticidi che uc- cidono penetrando per gli stigmi, come la /Awxbzra, le e- mulsioni di solfuro di carbonio ecc; hanno più efficace azione sulle larve verdi, le, quali assai’ più attive respi- rano più gagliardamente. In tutti i casi, sulle larve verdi, più facilmente e più chiaramente si può distinguere l’effetto degli insetticidi, che non nelle larve rosse, le quali pigre e lente, reagi- scono meno agli stimoli, nè è sempre ben chiaro se sieno sopraffatte dal veleno oppure sane, in quella loro conti- nua inerzia e lentezza di movimenti. Meritava adunque la pena che in due gruppi fossero distinte le infrascritte prove a seconda, cioè che si sono praticate su larve verdi oppure sulle rosse. Così feci, e apparisce nettamente, che mentre per le larve verdi, i risultati sono di una grande chiarezza, per quelle rosse sembrano alquanto più confusi e meno decisivi. Se nei fiori, soltanto larve verdi alber- gassero, ciò che io non so bene, la questione del liquido insetticida da prescegliere, sarebbe molto ben definita; ma se nelle infiorescenze stanno anche larve rosse, allora più arduo è il compito. Cito un esempio. La tuba uc- 212 cide tutte le larve verdi, applicata in soluzioni dal 2 al 39, Ma le larve rosse, più pigre, non muoiono che con dose del 4°/,, e talora neppure con questa. Le esperienze però in questo senso, vanno giudicate anche sotto altro punto di vista. Quanto più calda è la stagione, tanto maggiore effetto hanno gli insetticidi che uccidono le larve pene- trando nell'organismo attraverso gli stigmi, e primo fra tutti gli insetticidi di questo genere va annoverata la Awu- bina, ma inoltrandosi la stagione, l’attività respiratoria colla diminuita temperatura è minore nelle larve e allora cresce di conseguenza la dose a cui la Aubina (conti- nuando l’esempio) deve essere applicata. Certo è che questa progressione si riconosce manifestamente nelle prove infrascritte. Mi conforta il pensiero che all’ epoca della fioritura della vite, la temperatura ambiente è pres- sochè massima, e di certo superiore a quella in cui prati- cai le ultime esperienze, cioè dei giorni ultimi di settem- bre, nei quali si richiese per domare le larve una dose del 4° di /eubina, quando sulle larve verdi, in agosto, era sufficiente la dose del 2 0/,. Ma gli esperimenti si sono arrestati agli ultimi giorni di settembre, non già perchè larve di Cockylis (sebbene scarse) facessero diffetto, ma perchè in questo tempo ve- niva meno la chiarezza nei resultati definitivi. Diffatti an- che larve non trattate con insetticida alcuno, in quel tem- po, estratte dai loro ripari dopo un giorno o due, abbando- nate a se, morivano, od erano così torpide che male avreb- bero servito alle prove. Perciò raccomando di considerare attentamente piuttosto i resultati ottenuti nelle prove di agosto, e nei primi giorni di settembre, anzichè in quelle della fine di quest’ultimo mese, come più incerte. La nes- suna azione di alcuni insetticidi, è però manifesta in tutti i tempi, e questo è il caso dell’ Estratto fenicato di tabacco. Avverto in time che trascurai di provare la teleina poichè ne conosco i disastrosi effetti sulla infiorescenza della vite, anche a dosi deboli e lasciai questo insetticida 213 potente alla distruzione di insetti dannosi a piante più resistenti, come ad esempio gli agrumi, il melo, il pero ecc. Ecco la relazione degli esperimenti. Estratto fenicato di Tabacco. La direzione della R. Manifattura dei Tabacchi in To- rino, vende questo liquido e lo consiglia come energico insetticida ’). Nella memoria «Risultati delle esperienze fatte in Ita- lia con l’ Estratto fenicato di Tabacco, nell'interesse del- l'agricoltura ?)», a pag. 9 è detto: Per distruggere la Cochylis (tignuola delle viti, ver-rouge, heuwurm, sauerwum). «Importantissimi furono gli esperimenti fatti coll’estrat- to di tabacco contro questo terribile insetto, esperimenti che diedero risultati molto favorevoli, malgrado che i mezzi meccanici per fare arrivare l’insetticida sull’insetto non fossero così perfetti come sono ora». E più innanzi, dopo aver descritto la nuova cannula: «La formula del sig. prof. Jemina in questo anno ha dunque fatto le sue prove; ma lo stesso signor professore consiglia per maggior sicurezza di aumentare la dose del- l’estratto di tabacco portandola a 4 chilog. per ogni 100 litri d’acqua come si indica più esplicitamente qui ap- presso. La preparazione per irrorare i grappoli si fa usando: Estratto di tabacco chilog. 1, Solfato di rame » 0,025 Acqua litri a. 25:00: 1) Prezzi L. 1 al Kilogr. in Torino; L. 1,50 al Kilogr. compreso il recipiente; L. 255 per un barile di Kilogr. 250. Siorino,. I'ipografia' L. Roux e' C. 1891. 214 In tal modo l'estratto di tabacco rimane nella dose del 49 ed il solfato di rame nella dose dell’ 1°. (uno per mille). Avvertasi che il solfato di rame mescolato alla miscela non fa perdere l’effetto della nicotina e sz ha quindi i vantaggio di combattere ad un tempo due ma- lattie di grappoli d’ uva, cioè la cochylis e le diverse for- me di rot o essicamento dei grappoli. A parer mio la dose pel 4° non fu mai sperimen- tata sui grappoli in fiore, altrimenti la rovina di questi, avrebbe modificato il consiglio suaccennato. Ma ci sem- bra più nel vero l’autore delle precitata nota, quando, a pag. $, dalle risposte di diverse scuole d’agricoltura, co- mizii agrarii e privati, desume: « fva è grande numero delle risposte ve ne sono inevitabilmente alcune poco fa- vorevoli trattandosi della distruzione della cochylis». Senonchè questa conseguenza inevitabile, sembra a me si debba riferire all’ inettitudine dell’insetticida anzi che ad altre ragioni ricordate dall'autore il quale dice: «ma abbiamo vagioni di credere che in questi casi (poco favorevoli) 0 70n fu applicato il rimedio in tempo, o con mezzi meccanici insufficienti» E consiglia in seguito la nuova cannula che all’atto pratico a me parve meno adatta della pompetta mane- vole Borio, e di altre. Fra altri sperimentatori che riferiscono meraviglie del- l'estratto di tabacco cito il Prof. A. Sannino !) il quale dichiara: | «L’ Estratto di tabacco fenicato al 2 per cento in so- luzione acquosa, adoperato con successo nello scorso anno 1) Sopra alcuni mezzi per distruggere le larve della Tignuola del- l'uva nel Giornale L’Italia Enologica, 31 Luglio 1890. Nota. Quanto alla spesa, il Prof. Sannino, calcola la soluzione di Estratto di tabacco al 2%,, a L. 5 l’Ettolitro; prezzo supetiore a quello di un Ettolitro di Rubina al 3 %/,. Secondo poi i consigli del Prof. Jemina, questa spesa dovrebbe ascendere dunque a L. 10 VEt- tolitro! 2î5 dal professore Jemina, è di un’azione fulminante contro le larve della Cockytis. Bagnando con la (pompa) Vittoriosa i grappolini, le larve toccate dal liquido vengono uccise, restando immo- bili al posto dove sono state colpite. Tutti i filari trattati con l’estratto di tabacco hanno maggior numero di grappoli ben nutriti, e nei giorni con- secutivi al trattamento, quando gli altri filari ospitavano numerose e voraci larve, essi ne erano totalmente sprov- visti». Le prove da me condotte giustificano certamente il dubbio mio, che le larve z7727720bzl al posto dove sono state colpite, non fossero morte, ma semplicemente nar- cotizzate, e pronte a riprendere il normale corso della loro esistenza, dopo alcune ore della operazione. Quanto all'effetto ultimo, sui filari trattati, è possibile che l’ odore del tabacco, abbia allontanato le larve ormai riavutesi dal trattamento, e questo solo può essere tutto al più avve- nuto, ma i bruchi, fuggiti da un filare, si recano all’ al- tro, senza modificazione del danno finale, per quanto con maggiore palese differenza tra le viti trattate e quelle non soggette alla cura col tabacco. Questo dimostra quanto sieno ardui gli apprezzamenti di esperienze consimili pra- ticate sul campo, e quanto sia duopo andar cauti per evi- tarchliekrore. ‘@ prove dirette, eseguite coll’ estratto di tabacco sulle larve libere e nude, e quindi nelle migliori condizioni per noi, hanno dato i seguenti resultati sui quali è bene in- sistere : A) Esperimenti sulle larve verdi (dal 11 Agosto al 23 dello stesso) Esperimento N. |. 11 Agosto ore 7 pom. — Estratto di tabacco al 3°,,. N. 4 larve di Cochylis, delle quali due lunghe oltre un centimetro 216 e già prossime a trasformasi in crisalide, due più piccole, sono ba- gnate colla suddetta soluzione. Tolte dal liquido appena scorso un minuto primo, ed asciugate restano immobili e sembrano assoluta- mente morte. Però più tardi cominciano a risvegliarsi dal letargo in cui giacciono. 12 Agosto 1892, ore 9 antim. Le larve sopradette che hanno su- bito il trattamento sopraindicato, sono oggi ben portanti, vivacissime e camminano arrampicandosi sulle pareti del bicchiere che le custodisce. Esperimento N. 2. 12 Agosto 1892 ore 10,15 antim, Estratto di tabacco al 3 p. °/,. N. 4. esemplari di Cochylis, allo stato di bruco, dei quali tre oltre il centimetro ed una lunga appena cinque millimetri, tutte di colore verde o verde-olivastro, vivacissime ed irritabilissime, sono trattate, con soluzione acquosa di estratto fenicato di tabacco, nella propor- zione dels: 19 Le dette larve sono tenute immerse durante lo spazio di un mi- nuto primo in una goccia della soluzione suddetta, indi estratte, asciu- gate su carta bibula e messe sotto un bicchiere in osservazione (al- l'ombra). Noto che immediatamente dopo l’estrazione, due delle mag- giori e la minore di dette larve, sono assolutamente immobili e sem- brano prive di vita. L'ultima fra le quattro, perde ogni facoltà di muoversi, solo dopo 20 minuti dell’estrazione dall’insetticida. Alle ore 12,15 pom. (dello stesso giorno), tutte le larve tentano qualche piccolo movimento, e se vengono toccate si risentono. Una fra le maggiori cammina lentamente e difficilmente. Alle ore 12,25’ pom. (dello stesso giorno), anche una seconda delle maggiori, comincia a camminare. Alle ore 2 pom, (dello stesso) tutte le larve compresa la piccola, camminano e salgono sul bicchiere, eccetto una delle maggiori che rimane più torpida e solo (ore 4 pom.) più tardi, se toccata si scuote e cammina pigramente. 13 Agosto 1£92 ore 9 antim. Le larve ricordate precedentemente mostrano tutte di essere in perfetta salute e vivacissime. N.B. Oggi sono state trattate tre delle predette larve, nuovamente colla stessa soluzione di tabacco al 3°/,, si comportarono tutte con- forme, quanto è detto nell’esperimento surriferito. La quarta trattata con soluzione di Rubina al 3%, morì tosto. lg à19 Esperimento N. 3. 14 Agosto 1892 ore 2 pom. — Estratto di tabacco al 5 °/, N. 3 larve di Cochylis di diverse dimensioni, cioè una prossima al- l’incrisalidamento, una appena minore ed una di media grandezza, sono tenute immerse durante un minuto primo in soluzione al 4/, di estratto di tabacco. Cessata l'immersione nel liquido, gli insetti sono convenientemente asciugati e messi in osservazione. Noto che la maggiore fra le dette larve, non si risente se toccata, solo muove spontaneamente le due estremità del corpo, in modo appena sensi- bile. Le altre due reagiscono un poco meglio se stuzzicate con un ago, e sono continuamente in preda a convulsioni continue, rapide e generali, però assai limitate nell’ampiezza, simili piuttosto ad un vero tremore, senza torsione del corpo. Dopo circa 20 minuti, anche la larva di mezzana grandezza è immobile ; anche la minore limita sem- pre più i movimenti. Dopo circa 30 minuti dal bagno, cioè alle ore 2,30 pom. tutte e tre sono assolutamente immobili ed insensibili. Alle ore 3,15 pom. (dello stesso giorno) la maggiore delle dette larve, comincia a muovere l’estremità cefalica, e così pure la minore, per quanto più vivacemente. Noto anche manifesta reazione allo stimolo praticato colla punta di un ago. Alle ore 3,30' (dello stesso giorno) il maggiore dei detti bruchi è immobile, mentre il minore sale già sulle pareti del bicchiere. Alle ore 7 pom. anche la larva di mezzana gran- dezza, cammina. Queste condizioni, si mantengono invariate anche alle ore 10 pom. (dello stesso giorno!. 15 Agosto 1892, ore 10 antim. Tutte e tre le suddette larve sem- brano perfettamente sane, sono vivacissime e se ne vanno cammi- nando sulle pareti del bicchiere. Esperimento N 4. 15 Agosto 1892 ore 10,30 antim. — Estratto di tabacco al 3°/,. Le tre larve sottoposte già al precedente esperimento, sono 0g- getto di seconda prova coll: stess: condizioni, cioè sono immerse durante un minuto primo nella soluzione di estratto di tabacco al 3%. Noto che durante l’immersione rimangono assolutamente immobili. Col mezzo di una lente, osservo però che le parti boccali e la testa, si muovono debolmente; anche questi leggieri moti cessano dopo 10 minuti. Alle ore 2 pom. (dello stesso giorno) veggo che le dette larve si sono completamente rimesse e sono salite sulle pareti del bicchiere, 218 Esperimento N. 5. 16 Agosto ore 3,30 pom. — Estratto di tabacco al 6°/, N. 3 larve di Cochylis, delle quali una prossima a maturità, una di mezzana grandezza ed una piccola, sono tenute immerse durante un minuto primo in una goccia di soluzione al 6 ‘/, di estratto di tabac- co. Durante l’immersione arrestano ogni movimento. Alle ore 3,45’ (pom. dello stesso) la larva di media grandezza, se toccata reagisce debolmente, con maggiore energia alle ore 4,15 (pom. dello stesso), si scuote vivamente e cammina se incitata. Alle ore s (pom. dello stesso) egualmente si comporta anche la maggiore, però sembra più mogia e balorda. Alle ore 7 (pom. dello stesso) cammina anche la minore. Alle ore 9,30 (pom. dello stesso) tutte e tre sono vivaci e non pare sì risentano menomamente della prova sofferta. Esperimento N. 6. 17 Agosto, ore Io antim. — Estratto di tabacco al 6.°/,. Le tre larve che hanno subito la prova precedente, sono sottopo- ste ad altro esperimento nelle stesse condizioni. Liberate dal liquido ed asciugate, sembrano morte. Solo quella di mezzana grandezza, si muove lentamente e debolmente, tutte dopo 5 minuti sono assoluta- mente immobili. Alle 6 pom. (dello stesso), noto che la larva più pic- cola è immota e la giudico morta, le altre due sono vivaci e le scorgo già arrampicate sulle pareti del bicchiere. Esperimento N. 7. 25 Agosto 1892, ore 1 pom. — Estratto di tabacco all’ 8%. N. 3 larve di Cochylis, di colore verde oliva, vivacissime, agili, delle quali due prossime ad incrisalidare, e la terza di grandezza mediocre, sono tenute immerse durante un minuto primo, in una goccia di so- luzione di estratto di tabacco all’ 8 °/,. Liberate dal liquido, sono asciu- gate su carta bibula e messe sotto un bicchiere, in osservazione. Noto che, delle maggiori, una muove debolmente l’estremità ce- falica, mentre l’altra è immobile. La minore, soprafatta dapprima, su- bitamente si scuote e tenta camminare, poi si arresta in preda a con- vulsioni generali che diminuiscono gradatamente e alla fine cessano: s minuti dopo l’estrazione, tutte le larve sono immobili, salvo che osservo leggieri movimenti delle vere zampe d’una delle maggiori. Alle ore 3 (pom. dello stesso) continua la immobilità, che non è ve- 219 tamente assoluta, notandosi qualche limitatissimo e poco appariscente movimento del corpo, ciò che dimostra che la vitalità non ha abban- donato totalmente gli insetti. Alle ore 4,30 pom. (dello stesso) le due larve maggiori cominciano a muoversi e se toccate accennano a cam- minare. Durante il periodo di sopore, i bruchi tutti hanno emesso ab- bondanti feci. 25 Agosto 1892, ore 8 antim. Le tre larve surriferite sono oggi vi- vacissime e perfettamente sane. 27 Agosto 1892, ore 10 antim. Continua la buona salute dei bruchi soggetti alla prova surricordata. I due maggiori stanno costruendo un riparo setaceo nel bicchiere, lungo il fondo, dove questo si unisce alle pareti, ciò che fa supporre, provvedano al loro ulteriore sviluppo, senza molestia da parte della abluzione insetticida subita. Esperimento N. 8. 27 Agosto 1882, ore 12 merid. — Estratto di Tabacco al 15 0,. N. s larve di Cochylis, tutte di colore verde-oliva, vivacissime e agilissime, delle quali una prossima a trasformarsi, una appena più giovane e tre poco più lunghe di un mezzo centimetro, sono tenute immerse durante un minuto primo, in soluzione al 15 °/, di estratto di tabacco. Dopo liberate dal liquido e asciugate, osservo che le due maggiori ed una delle minori restano immobili. Le altre due (minori) si mantengono abbastanza vivaci, una anzi sale sulle pareti del bic- chiere. Alle ore 4 pom. dello stesso giorno si mostrano tutte vivacis- sime e camminano precisamente come prima di essere sottoposte allo esperimento. 28. Agosto 1892 ore 9 antim. Le suddette larve sono anche oggi vivacissime. Esperimento N. 9. 27 Agosto 1892 ore 12,15 pom. — Estratto di tabacco al 15 °/, N. 2 larve di Cochylis, già sottoposte nel giorno 25 corr. all’ espe- rimento coll’ Estratto di tabacco all’ 8 %,, (Esperim. N. 7) ed oggi sanissime, sono bagnate con soluzione di Estratto di tabacco al 15%, Una di queste (la minore) è tenuta entro la goccia, durante due mi- nuti primi, e la maggiore, durante tre. Cessata l’ immersione osservo, che la larva più svilppata è in preda a convulsioni continue che gradatamente però scemano di ampiezza. Alle 7 pom. noto che le due larve cominciano a muoversi ed a 229 contorcersi lentamente se toccate, più sensibilmente quella sottoposta per due minuti al trattamento, meno l’altra. 28 Agosto 1892, ore 9 antim. Ormai sana e vivace è la larva che ha subito per due minuti l'immersione nel liquido insetticida, e con- tinuamente cammina sulle pareti del bicchiere, l’altra si muove len- tanfente e pigramente, e sembra ancora balorda. Alle ore 4 pom. an- che quest'ultima si è completamente rimessa dagli effetti del narcotico. B). Esperimenti sulle larve rosse. (13 e 14 Settembre) Esperimento N. 10. 14 Settembre 1892, ore 11 antim. — Estratto fen. di tabacco all’1 °/. N. 3 larve rosse di Cochylis, sono tenute immerse durante un mi- nuto primo nella soluzione dl Estratto fenicato di Tabacco all’ 1 %. Poco dopo asciugate, due delle dette larve rimangono immobili, una sembra indifferente al trattamento. Alle ore 2,30 pom. (dello stesso) noto che quell’ ultima larva continua a camminare; delle altre due una reagisce se stimolata, e qualora venga arrovesciata sul ventre, riprende tosto la posizione prima; mentre la terza rimane supina. 15 Settembre 1862. Tutte e tre le dette larve si sono completa- mente rimesse dalla narcosi e camminano sulle pareti del bicchiere, in vista sanissime. Esperimento N. Il. 14 Settembre 1892, ore 11 antim. — Estratto fenicato di ta- bacco al 2 °/ N. 3 larve rosse di Cochylis vengono sottoposte alla ordinaria prova, con soluzione di Estratto fenicato di tabacco al 2 %,. Estratte dal liguido ed asciugate, rimangono immobili; una ha ri- gettato dalla bocca un succo nerastro, che ne appiccica il capo alla carta. Alle ore 2,33' pom. (dello stesso) una cammina già, mentre le altre due si contorcono, se stimolate. 15 Settembre 1892, tutte e tre le larve camminano e sembrano sanissime. 221 Esperimento N. 32. 14 Settembre 1892, ore 3,30 pom. — Estratto fenicato di ta- bacco al 3 °/, Immerse durante un minuto primo, nella detta soluzione al 3%, N. 3 larve di Cochylis, delle quali due rosse ed una verde, noto che appena estratte rigettano tutte dalla bocca, un succo nerastro, appi- cicaticcio, nel quale tengono immerso il capo. Durante e dopo la im- mersione hanno emesso più volte le feci, una anzi le emise per tre volte durante l'immersione e due volte dopo, tutte nel compiere que- st’atto tengono sollevata, tremolante la estremità caudale. In conse- guenza di queste deiezioni, la linea longitudinale bruna che segna il percorso dell’intestino, è scomparsa, e i bruchi hanno assunto una tinta chiara, quasi trasparente, e il colorito rosso si è affievolito. 15 Settembre 1892. Tette e tre le larve sopradette sono oggi sane e camminano continuamente. Esperimento N. 13. 13 Settembre 1892, ore 9 antim. — Estratto di tabacco al 5 0. N. 5 larve di Cochylis, delle quali 4 rosse e una verde, sono tenute durante due minuti primi, immerse nella soluzione di Estratto di Ta- bacco, al 5 9. Alle ore 10,30" antim. (dello stesso) la larva verde è già salita sulle pareti del bicchiere; le altre sono immobili. Alle ore 4 pom. (dello stesso) due delle rosse cominciano a muoversi. 14 Settembre, tutte e cinque le dette larve sono sane e cammina- no senza posa. C). Esperimenti sulle larve rosse esponendole al sole dopo il trattamento. Sembra che il sole sorprendendo le larve di Cockylis trattate coll’ Estratto di Tabacco, durante la narcosi, rie- sca a determinarne la morte ed a seccarle. Questo risul- terebbe dalle seguenti prove. Esperimento N. 14. 13 Settembe 1892, ore 7,30 antim. — Estratto di tabacco al 5 °/,. N. s larve di Cochylis, delle quali 4 rosse ed una verde, sono te- 222 nute immerse durante due minuti primi, nella soluzione al s %, del detto liquido e subito esposte al sole (dopo asciugate). Durante e dopo l'immersione le larve fanno qualche movimento ma esposte al sole, questi moti diventano più limitati e lenti. Alle ore 10,30' antim, (dello stesso) noto che due delle dette larve rimangono col capo in- collato fortemente alla carta mediante il succo nero rigettato dalla bocca, ed ormai secco; le altre sono tutte immobili ad eccezione di una che, se stimolata, reagisce debolmente. Alle ore 11,30 antim. (dello stesso) il sole scompare dietro le nubi, però le larve sono sempre immobili. (L’ esperimento non è continuato, poichè per caso fu mosso il bicchiere e le larve sono state disperse; Pure è degno di nota il fatto che la immobilità, si è prolungata per tanto tempo, ciò che non è mai accaduto all’ombra, colle soluzioni di Estratto di Tabacco, nella dose soprasegnata). Esperimento N 15. 13 Settembre 1892, ore 11 antim. — Estratto di tabacco al 5 °/.. N. 3 larve di Cochylis, delle quali una rossa e due verdi, sono te- nute immerse durante due minuti primi in soluzione al 5 %/, di Estratto di tabacco, dopo asciugate sono poste al sole, sotto un bicchierino. Una delle verdi, dopo due o tre contrazioni rimane immobile, l’ altra verde cammina. La rossa si mosse lentamente nel liquido e fuori. Alle ore 2,30 pom. (dello stesso) il sole si cela sotto le nubi. Alle ore 4 pom. (dello stesso) tutte e tre le larve sono ormai secche. (Non è escluso però il dubbio che le pareti sfaccettate del bicchie- rino non possano avere agito convergendo i raggi sulle larve sog- gette ad esperienza). Esperimento N. 16. 13 Sett. 1892, Ore 10,40’ antim. — Estratto di tabacco al 3 °/, Una larva verde di Cochylis, tenuta per due minuti primi immersa nella detta soluzione è esposta al sole e poco dopo rimane immobile. Alle ore 11,30 il sole scompare dietro le nubi. Alle ore 4 pom. (dello stesso) la larva perfettamente ristabilita sale sulle pareti del bicchiere. Ecco le conclusioni che ritraggo dagli esperimenti so- praindicati. L'estratto fenicato di tabacco, non ha dunque azione 223 insetticida veruna sulle larve di Cocky/s. Gli esperimenti finora riferiti, praticati con soluzioni del suddetto liquido, crescenti dal 3 al 15°/, bagnanti largamente gli insetti durante un minuto primo, lo dimostrano ad evidenza. È ben certo che la morte non segue mai il primo sbalordi- mento prodotto dalla applicazione delle dette soluzioni sulle larve di Cockyls. Si ottiene bensì una morte appa- rente, rappresentata da subitanea immobilità o paralisi più o meno completa, che può aver tratto in errore os- servatori che non abbiano pazientemente atteso la fine di questa azione; ma la morte non mai. Durante la nar- cosi, si notano spesso convulsioni generali, che prontamen- te decrescono per dar luogo alla immobilità; emissione delle feci, tanto chè l’ intestino ordinariamente segnato da da linea longitudinale bruna che appare per trasparenza, si vuota parzialmente o completamente, e la linea oscura scomparisce. Anche la sensibilità generale sembra scom- parsa, od almeno le larve di Cockylis non possono più reagire agli stimoli, durante l’azione dell’insetticida. Come narcotico agisce adunque l’estratto fenicato di tabacco, contro la Cockylis, ma non giunge, ad effetti letali. Dif- fatti bastano poche ore perchè la vivacità ritorni nelle larve sottoposte all’azione di soluzioni di Estratto di ta- bacco dal 3 al 15°/, e sempre questa è totalmente scom- parsa dopo dodici ore. Su altri insetti il liquido in discorso può avere azione diversa, e questo meriterebbe di essere accuratamente controllato; certo l’uso di questa sostanza nell'intento di distruggere la Cockylis allo stato di larva non può condurre all’ effetto desiderato, a meno che nei follicoli sericei, sparsi nei grappoli in fiore della vite, e abbondantemente bagnati da soluzione di Estratto di ta- bacco, le larve rinchiuse non si possano trovare più lun- gamente sotto l’azione del narcotico, o in condizioni di- verse da quelle avute negli esperimenti ricordati, e che possano finalmente condurre alla morte degli insetti stessi. Ad ogni modo io non giungo a immaginare quali pos- 224 sano essere queste condizioni diverse, che hanno conces- so ai fautori dell’ Estratto di tabacco, conseguenze diffe- renti da quelle che io stesso constatai e qui riferii. Mi si fa invece volentieri strada il dubbio, che la morte ap- parente e subitanea abbia senz’ altro appagato altri spe- rimentatori, consigliandoli a credere in un buon risultato e a decantare la potenza dell’insetticida in discorso. Più oltre, cioè con dosi più forti, non credetti di dover continuare le prove, sia perchè le soluzioni oltre il 3% di estratto di tabacco, bruciano completamente i grap- poli di vite in fiore, sia perchè oltre le misure da me pra- ticate, le soluzioni stesse diventerebbero costosissime. Da tutto quanto esposi più sopra, sono costretto ad esclu- dere l’Estratto fenicato di tabacco, dalla lista delle so- stanze utili nella lotta contro la Cockyzs. Emulsione di solfuro di carbonio In commercio si trova (presso il S. Alessandro Bizzar- ri, piazza della Signoria, Firenze) una miscela solubile nell'acqua, contenente solfuro di carbonio e composta se- condo formula della R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze. La formula è la seguente: Solfuro di carbonio 1,2 Alcool 1,0 Sapone molle 1,0 La miscela, se composta diligentemente secondo la det- ta formula, riesce un liquido omogeneo, oleoso, rosso bruno ma trasparente, e che tale si mantiene per un certo tempo. Nell’acqua dà prontamente emulsione bian- chissima {se di fresco composto), che si scompone pur dif- ficilmente. Però col tempo il liquido va soggetto ad al- terarsi. I Ch. proff. A. Targioni Tozzetti e G. Del Guercio, 225 nella citata, memoria '), ricordano esperimenti praticati a Scandicci ed a Poggiosecco, sulle viti di Salamanna, con liquido secondo la formula: Solfuro di carbonio 1 Soluzione alcoolico saponosa 1 Acqua 98 100 nel quale adunque la miscela trovavasi in dose del 2/,. Sono dichiarati ancora i buoni risultati ottenuti colla det- ta emulsione poichè «Le larve morivano non appena toc- che, nel grovigliolo, o fuori di questo quando tentavano scappare ». Effetto molto utile ebbe anche la seguente formula: Solfuro di carbonio 0,5 Soluzione alcoolico saponosa 1,0 Acqua 98,5 100,00 nella quale adunque la miscela di solfuro di carbonio, alcool e sapone, si trova sciolta nell’acqua in dose del lioper cento, In questa misura il S. Alessandro Bizzarri consiglia ai compratori di usare la miscela che egli stesso compone e vende, e che da me acquistata mi servì per le prove infrascritte. Esperimento N. 17. 3 Settembre 1892, ore 11 antim. — Solf. carb. em. formula R. St. E. Agr. Fir. 2%. N. 4 larve di Cocsylis, delle quali, una prossima ad incrisalidare, una appena minore, due di mezzana grandezza, sono tenute immerse du- rante un minuto primo nella emulsione suddetta, al 2%. Osservo che rimangono sopraffatte ed immobili prima che sia compiuto il minuto 1) Esperienze tentate per distruggere la tisnuo!a dei fiori e dei frutti della vite p. 6. 15 226 di immersione. Alcuni minuti dopo asciugate e poste in osservazione, si mostrano sanissime e salgono sulle pareti del bicchiere. 4 Settembre 1892, ore 10 antim. Tutte le suddette larve sono an- cora sane e camminano continuamente. Esperimento N. 18. 19 Settembre, ore 7,45' antim. — Detta Formula al 2 °/,. N. s larve rosse di Cochylis, sono tenute durante un minuto primo in una goccia di emulsione di solfuro di carbonio, secondo la formula predetta, al 2 ®,. Rimangono tutte immobili prima che il minuto sia spirato; ma dopo dieci minuti circa, dacchè sono tolte dal liquido, co- minciano a muoversi e camminare. Alle ore 7,30 pom. (dello stesso) tutte le larve camminano benissimo e salgono sulle pareti del bicchiere. 20 Sett. 1892. Le dette larve si mentengono sempre vivaci. Esperimento N. 19. 3 Settembre, ore 11 antim. — Formula suddetta al 3 %,. N. 2 larve di Cochylis, molto avanzate nello sviluppo, sono tenute immerse durante un minuto primo nella emulsione ottenuta sciogliendo la suddetta miscela nell'acqua, in dose del 3 %,. Durante l’immer- sione nel liquido, arrestano i loro movimenti e rimangono immobili. Pochi minuti dopo cessata l’ immersione, riacquistano tutta la loro vivacità e camminano. Alle Ore 2 pom. (dello stesso) una delle dette larve sta costruendo un riparo con fili di seta. 4 Sett. 92, ore 12 merid. Le due larve suddette sono assolutamente sane; una è già rinchiusa in un tessuto abbastanza fitto di fili di seta. Esperimento N. 20. 18 Settembre 1892, ore 11 antim. — Formula suddetta al 4 °/,. N. 6 Cochylis, delle quali s rosse, una verde sono trattate nel modo consueto colla soluz. al 4°/, della miscela suddetta. Appena tolte dal liquido ed asciugate, sono immobili, come morte. Dopo 30 minuti co- minciano a presentare traccie di sensibilità. Alle ore 12 merid. (dello stesso) tutte le larve sono sane e camminano. 19 Settembre 1892, Le condizioni sono invariate. Esperimento N. 21. 19 Settembre 1892, ore 7,45 antim. — Detta Formula al 4 ‘/. N. 5 larve di Cochylis, delle quali una verde e le altre rosse, sono 227 trattate nel solito modo, colla emulsione predetta al 4 °/,. Tutte ri- mangono immobili durante l'immersione. La larva verde però muore senza essersi mai mossa dal punto in cui è stata collocata dopo a- sciugata; le altre rosse, camminano quasi subito. Alle ore 7,30' pom. (dello stesso) le condizioni rimangono conformi a quanto ho detto. 20. Sett. 1892. Le quattro larve rosse sono vive e sane. Glicerina I Ch. Sig. Proff. A. Tangioni Tozzetti e G. Del Guer- cio, nella prelodata nota accennano a prove tentate con soluzioni di glicerina nell'acqua. A pag. 10-11 è detto: «11. a) Glicerina del commercio 20 Acqua ordinaria 80 100 b) Glicerina del commercio 10 Acqua ordinaria 90 100 Delle due soluzioni riportate, la prima fu provata a Scandicci, e la seconda a Poggiosecco. G7i effetti ricor- dati di sopra (?) si riferiscono indistintamente a tutte e due le soluzioni, che però altra volta cercheremo di pro- vare più estesamente per determinare il limite ultimo di concentrazione col quale ottenendo la morte dello insetto si risparmiano inutili spese». Ho cercato indarno nella nota una frase che meglio precisasse quali siene stati g/ effetti ricordati più sopra, ma però basandomi sul fatto che le due formule sono ri- portate nella memoria, e più sotto è detto che si cerche- rà un limite ultimo di concentrazione sufficiente a deter- minare la morte dell'insetto, ho motivo di credere che gli effetti ottenuti dai prelodati sig. Prof. sieno stati sod- disfacenti. Per conto mio ho compreso subito che utilissima cosa 228 sarebbe stato il poter impiegare con vantaggio contro la Cochylis una sostanza così alla mano come la Glicerina, che avrebbe riunito in se, molto bene, tutte le condizioni richieste in questo caso all’insetticida che si ricerca; ma per mala ventura tre prove soltanto sono state sufficienti a dimostrarmi colla massima chiarezza possibile che la Glicerina è affatto innocua alla Cockylis. Ecco le prove. Esperimento N. 22. 9 Agosto 1892, ore 7 pomer. — Glicerina (pura acquistata dal farmacista) al 20 ‘,,. N. 4 larve di Cochylis, delle quali una lunga un centimetro, una 7, millimetri, una s mill. ed una matura, lunga 14 mill., tutte agilissime, vivacissime, di colore verde oliva, sono tenute immerse per lo spazio di un minuto in una gocciola della soluzione suddetta, in seguito a- sciugate su carta bibula e poste in osservazione. Si nota che la Glicerina non bagna e non aderisce in alcun modo alle larve. Quanto all'effetto insetticida di questa soluzione, esso è decisamente nullo, perchè le larve, durante tutto l'esperimento, e do- po, si mantennero sempre vivacissime nè sembrarono menomamente incomodate dal bagno subito. Certo è che tutte si sono arrampicate sul bicchiere, appena abbandonate a se. 10 Agosto 1892 ore 9 antim. Le larve suddette sono vivacissime e sono salite tutte sulla parte superiore del bicchiere. Esperimento N. 23. 9 Agosto 1892 ore 7 pom. — Glicerina pura. N. 3 larve di Cochylis, di cui una matura, due superiori al centi- metro, sono tenute immerse durante un minuto primo in una goc- ciola di Glicerina pura. Appena liberate salgono rapidamente sul bic- chiere. Noto che si comportano perfettamente come le precedenti. 10 Agosto 1892, ore 9 antim. Le suddette larve sono perfettamente sane e vivacissime. Esperimento N. 24. 10 Agosto 1£92, ore 10 antim. — Glicerina al 10 °/,. Ho trattato con questa soluzione, le 4 larve di Cochylis, gia sotto- poste ad esperimento colla soluzione di glicerina al 20 % ed oggi ancora vivacissime. 229 Noto nuovamente la nessuna adesione del liquido alla epidermide degli insetti suddescritti, e la nessuna efficacia insetticida della stessa soluzione. Le larve infatti appena liberate dalla goccia di liquido in cui sono rimaste immerse per un minuto primo, salgono rapidamente sulle pareti del bicchiere. 11 Agosto 1892, ore 12 meridiane. Fino ad oggi, a quest'ora le larve suddette si mantengono sanissime ed in tutta la consueta vi- vacità. Pittacallo (Sapone insetticida formula Prof. Papasog! ) La ditta G. Corradossi e C. di Firenze '), fabbrica una pasta insetticida, o sapone insetticida composto dietro le indicazioni del Prof. Papasogli. Di questo sapone è ram- mentata l'efficacia contro la Tignuola della vite e contro altri insetti (in dose dall’1 al 2%), in una circolare che trovai al Comizio agrario di Firenze, dove vidi pure il Sapone in discorso. All’odore riconobbi immediatamente la presenza di catrame di legno, e, questo rammentan- domi la mia Awubina la cui attività insetticida mi mera- vigliava, decisi di fare qualche esperimento col sapone in discorso. Anche dal lato della economia, questo insettici- 1) Fabbrica Fiorentina di Saponi, G. Corradossi e C.iè — Firenze Castello - Prezzo cent. 70 al Kilo e L. 55 al quintale. A quel che sembra è un composto di sapone e catrame di legno. Perciò si accosta alla Rubina, ma agisce diversamente e più debolmente sugli insetti perchè sciolto nell'acqua vi rimane in emulsione anzichè in vera soluzione. Così la forza sua di penetrazione è piccola tanto più che la soluzione in acqua del detto com- posto in dose dal 2 al 3%/, è densa, quasi vischiosa. Il sapone stesso si scioglie lentissimamente nell’ acqua, e la soluzione col riposo si divide in due strati, dei quali il superiore fluido, limpido, rossastro, l’ inferiore biancastro, denso, vischioso. Avrei voluto continuare le prove usando dosi più elevate, per riconoscere il limite minimo al quale la soluzione di PitfacaZlo uccide Ie larve di Cochylis, ma il tempo stringeva e di più mi bastava aver rilevato che la dose accennata nella suddetta cir- colare relativa a questa sostanza, è, per quel che riguarda la Cochylis, inferiore al vero. D’ altro canto, dosi così forti come sono il 2%/ ed oltre, credo riescirebbero dannosissime ai grappoli in fiore. 270 da non meriterebbe di essere trascurato, senonchè pre- senta alcuni diffetti, gravi a parere mio. In primo luogo è un composto solido, quindi molto meno pratico dei composti liquidi. Poi è di azione de- bole; facilmente la sua soluzione si scompone e diventa glutinosa, nè penetra più attraverso i fili di seta che ri- parano i bruchi, ed infine, come sapone, non può non avere effetti gravi sulla vegetazione specialmente su parti così delicate come sono la infiorescenza della vite. Ecco quanto osservai a proposito di questa costanza. Esperimento N. 25. 3 Settembre 1892, ore 12 35' pom. — Pittacallo al 2 °/,. N. 2 larve di Cochylis, prossime a trasformarsi, sono tenute immerse durante 1 minuto primo, in una goccia di soluzione di Pittacallo al 2 %/» Durante l’immersione arrestano i movimenti e sembrano mor- te. Ad un tratto però si scuotono, e se toccate reagiscono energica- mente, ma poi si arrestano e rimangono immobili (Sintomi conformi a quelli notati colle soluzioni di Rubina). Alle ore 2 pom. (dello stesso), due delle dette larve sono salite sulle pareti del bicchiere, la terza giace sul piano; però alle ore 2,30 pom. (dello stesso) anche que- st'ultima sale sul vetro. 4 Settembre 1892, ore 12 merid. Tutte le tre larve sottoposte al predetto esperimento, sono oggi sanissime e camminano incessante- mente. Esperimento N. 26. 21 Settembre 1892, ore 11 antim. — Pittacallo al 2 °/. N. 5 larve di Cochylis rosse, trattate con soluzione di Pittacallo al 2 “/, non mostrarono di risentirsene sensibilmente. 22 Settembre 1892, Tutte le dette larve sono ancor vive e attive. 231 Rubina ') Sostanze alcaline, mescolate al catrame di legno, ren- dono questo più o meno solubile nell’acqua, talora nell’a- cqua avviene una soluzione vera e propria, talora una emulsione. La soluzione è molto più attiva, come insetti- cida, della emulsione, poichè più facilmente e prontamen- te penetra attraverso agli stigmi nell'interno dell’ organi- smo degli insetti che prontamente uccide. Ma non tutte le qualità. di catrame di legno sono adatte a comporre una buona Awubdina, e perciò mi sono raccomandato alla Ditta A. Petrobelli e C. di Padova, che come è noto, fab- brica su larga scala insetticidi per uso agricolo, di aver pronto sempre un grande deposito di catrame di legno, del più adatto a produrre l’insetticida in discorso, e com- porre questo sempre e costantemente colla formula da mè trasmessa, alla mano, e con materiali sempre egua- li a se stessi, onde avere un prodotto sempre uniforme, di cui una volta per sempre si possa costatarne gli ef- fetti. Ho chiamato questa miscela /ubirza, dal suo colore rosso (di terra di Siena bruciata) bellissimo, che mantie- ne anche nella soluzione. Perchè la /0ubina abbia la mas- sima energia insetticida, è d’uopo che le soluzioni sue, fino al 2%, non sieno opalescenti, ma vedute a luce riflessa, rosso scure. Rimanendo a se qualche tempo, diventano grigie opache, e si avvicinano quindi alle emulsioni, per- dendo non già della loro forza insetticida, ma della fa- coltà di penetrazione, che è massimo pregio della /0 bra. La Aubina in dosi dall’ 1 al 5°, è affatto innocua alle !) Si fabbrica dalla Ditta A. Petrobelli e C. di Padova, che fabbrica pure la Pitteleina ed il Solfuro di carbonio solubile, nonchè altri inset- ticidi. Depositaria di questi prodotti è la ditta G. Maschio di Padova Prezzotper due Kilogr. ‘L. 3, per s Kilogr, L. 6, per 20 Kilogr. iL. zo, per 100 Kilog. L. 80. 232 piante ed alle parti delle stesse anche più delicate, ed è così violentemente insetticida, che non mi venne fatto di trovare ancora insetto che prontamente non morisse, se bagnato da soluzioni comprese entro i limiti suddetti. Notevole è anche la facoltà che hanno le soluzioni in discorso di penetrare rapidamente attraverso i tessuti se- ricei, così che se una goccia di questi liquidi cade su un follicolo, che racchiuda una larva di Cockylis, immediata- mente il follicolo stesso ne è imbevuto e l’insetticida giunge in contatto della larva, costringendola a fuggire o ucci- dendola sul posto. Le emulsioni, e peggio ancora le so- luzioni saponose, non godono affatto di questa proprietà, ma la goccia caduta sul follicolo sericeo si mantiene sfe- rica o rimbalza. Una goccia di soluzione di /0ubira, giunta su un mucchietto d’uva di Ocreria dispar, che come si sa è coperto e ben protetto da peli staccati dal corpo della madre, penetra subito fra le uova e raggiunge il legno su cui queste stanno fissate. Questo, che io sappia non accade di altri insetticidi. Non trascurerò di ricordare qui anche un’altra mia esperienza che apre largo campo ad ulteriori prove, la cui importanza non isfuggirà ad alcuno. Per riconoscere l’ef- fetto della soluzione di /eubina al 2°/ sulla vite e sulle sue parti più delicate, ho trattato abbondantemente una vite carica d’uva ancor verde e coperta da rigogliosa peronospora, sulla pagina inferiore delle foglie. La pianta nulla sofferse, nemmeno nei teneri getti, e l’uva maturò ed io stesso, a suo tempo, me ne cibai. Ma riconobbi dopo due giorni dall’esperimento, che la peronospora sulla pa- gina inferiore delle foglie, nei punti dove il liquido aveva battuto, non aveva ulteriormente prodotto i suoi germo- gli, mentre tutto allo intorno, una fitta peluria grigia, di- mostrava la vivace vegetazione del parassita. Alcune fo- glie completamente bagnate, nella loro pagina inferiore dal detto liquido, erano affatto immuni da vegetazioni peronosporiche. Questo fatto fu riconoscìuto anche dal 233 Ch. Prof. Pier Andrea Saccardo a cui comunicai le. fo- glie in discorso. Tale risultato mi invogliò a ritentare la prova, su più larga scala, e ho dovuto costatare che dopo dodici giorni assai piovosi, dacchè era seguito il trattamento, nelle foglie la cui pagina inferiore era stata bagnata dalla soluzione di /Aubira al 2°/, non si ricono- sceva traccia di peronospora. Queste prove furono con- dotte in fine di agosto, e così mancavami il tempo a più larghe esperienze. Certo è che meriterebbe a parer mio il conto che altri pure si occupasse dell'argomento, men- tre io, nella prossima stagione non mancherò di farlo. Certo è che la soluzione al 2°/ di /ubina, uccide i Ze- tranychus telarius, penetra rapidamente nei nidi di //y- foptus che determinano l’ £yr:mosz e li uccide senza verun dubbio, e così libera prontamente la vite da molti suoi parassiti. Ritornando però alla Cockyls, ho notato che questa tignuola, allo stato di larva è assai più resistente alla azione degli insetticidi finora proposti, di moltissimi altri insetti. anche di volume molto maggiore, così ad es. le dosi di Peffeleina, Estratto di Tabacco ecc. che pure uc- cidono le grosse larve di Oczeria dispar prossime ad in- crisalidare (come dimostrai in altra mia nota, in questo stesso giornale) sono inattive sui bruchi di CockyZs. Per- ciò anche la /ubina deve esser distribuita sulle larve in discorso in soluzioni a dosi elevate, quali sono quelle dal 2 al 49/,. Ecco di quanta importanza è la ricerca di un insetticida affatto innocuo alle infiorescenze della vite, an- che a dosi forti, poichè per la grande resistenza delle larve di Cochylis, è necessario coll’insetticida stesso salire a dosi tali, che se esso non è assolutamente inattivo sulla pianta, questa riescirà certamente danneggiata. Contro la Hyponomeuta, ad esempio, del melo, si ha giuoco miglio- re, poichè è molto più delicato l’insetto e resistente la pianta. Osservisi inoltre che, coll’ avanzare della stagione, sce- 234 mando quindi la temperatura, e modificandosi le larve di Cockylis, dalla forma che abbiamo convenuto di chiama- re verde, per passare a quella che collo stesso concetto chiamiamo rossa, cioè da una forma attivissima e viva- cissima in una più torpida e pigra, la Aubzina ha effetto più debole, poichè meno attiva è la respirazione dell’ in- setto. Così mentre in Agosto sono sufficienti dosi del 2°/,, in fine di Settembre bisogna salire fino al 4°/, nè sempre basta. Ma le operazioni contro le larve dei fiori si fanno in una stagione caldissima ed in tutte le migliori condi. zioni, e questo fa supporre in quell’ epoca, la massima at- tività insetticida nella Awubina. Ecco gli esperimenti praticati con questo insetticida. A. Esperimenti contro le larve verdi (dal 3 al 22 agosto) Esperimento N. 27. 3 Agosto 1892, (ore 11 ant.) — Rubina al 2 °/,. N. 11 larve di Cochylis, estratte dai grant d’uva bianca; di queste 7 sono di dimensioni prossime al centimentro o di poco superiori a questa misura; le altre quattro, lunghe circa mezzo centimetro, tutte di colore bianco verdastro-olivastro e vivacissime. L’insetticida è ap- plicato per spruzzamento col mezzo della piccola pompetta Borio. Sotto la pioggia si contorcono vivacemente e rimangono poi come sopra- fatte, immobili. Vengono esposte al sole e cominciano, dopo qualche minuto, ad agitarsi con movimenti convulsivi. Alcune delle maggiori, se toccate reagiscono con salti e divincolamenti vivacissimi, Le 4 mi- nori muoiono subito dopo il trattamento senza aver fatto movimento alcuno. Delle altre 7 maggiori, due muoiono poche ore dopo il trat- tamento, le altre mantengono ancora traccie di sensibilità, 4 Agosto 1892, ore 11 antim. Oggi tutte le Cochylis suddette sono morte. Nota. È bene notare che l’esposizione al sole, delle larve, imme- diatamente dopo la loro spruzzatura, determina il prosciugamento del liquido, attorno il corpo dell’insetto, più rapidamente che se l’espe- 235 rienza si praticasse all'ombra; in questo caso con minore effetto le- tale per gli insetti sui quali il liquido venefico si trattiene meno lun- gamente. Esperimento N. 28 s Agosto 1892, ore 7 pom. ‘tempo fresco dopo la pioggia). — Rubina al 2°. N. 6 esemplari di Cochylis, dei quali s lunghi circa un centimetro, uno presso a maturità, lungo circa 14 millimetri: tutti verde-olivastri, vivacissimi, agilissimi, sono tenuti immersi in una gocciola della so- luzione sopradetta, per lo spazio di un minuto primo. Tolti dal bagno ed asciugati su carta bibula, sono posti in osser- vazione. Si nota che tutti gli insetti sopradescritti sono immobili, come morti; uno solo trai più piccoli, cammina bene e si arrampica sul bicchiere che copre le vittime dell’ esperimento. 6 Agosto 1892 ore 5 pomer. Le suddette larve di Cochylis sono im- mobili sempre nel punto stesso nel quale ieri furono collocate, si ri- conoscono accorciate e nereggianti. Una sola, quella che ieri non parve risentirsi del trattamento subito, è scomparsa, può essere che sia fuggita di sotto al bicchiere per una fessura rimasta tra l'orlo di questo ed il tavolo sottostante. Esperimento N. 29. 4 Agosto 1892, ore 7 pomeridiane. — Rubina al 3°/,. N. s larve di Cochylis, delle quali quattro oltre il centimetro di lun- ghezza, ed una che non raggiunge i cinque millimetri, tutte olivastre, agili, vivacissime, sono tenute durante lo spazio di un minuto primo, immerse in una gocciola di soluzione Rubina, nella dose sopra indi- dicata; in seguito vengono estratte, asciugate su carta bibula e poste in osservazione. Ore 7,30 dello stesso giorno, tutte sono assolutamente immobili. s Agosto 1892, ore 12 meridiane. Tutte le suddette larve di Cochylis sono morte, di molto accorciate e cominciano a decomporsi, ciò che sì riconosce da un diffuso annerimento che ne ha invaso i corpi. Esperimento N. 30. 19 Agosto ore 2.30 pom. — Rubina al 3°/,. Una larva di Cochylis già matura; però di colore verde-oliva, vi- 236 vacissima, è tenuta immersa durante un minuto primo in una goccia di soluzione di Rubina al 3°. Scorso appena il primo mezzo minuto di immersione, i movimenti si arrestano. Dopo circa 1 minuto dalla estrazione dal liquido, osservo qualche limitatissimo movimento della parte anteriore del corpo; ma dopo circa 15 minuti la immobilità è assoluta. Alle ore 6 pom. (dello stesso) osservo che la detta larva, se toc- cata reagisce e fa violenti contorsioni rapide c di breve durata, dopo le quali si arresta e rimane nuovamente immobile. 20 Agosto 1892, ore io antim. Le condizioni sono invariate dall’ ul- tima osservazione di ieri. Per tutta la giornata di oggi, la larva rea- gisce, se toccata, con energiche contorsioni, ma ritorna subito in quie- te nè cammina nè si arrampica sul bicchiere. 2: Agosto 1895. Le stesse condizioni di ieri. 22 Agosto 1892. Oggi la larva è morta, accorciata ed annerita. Non posso credere che abbia dovuto soccombere alla fame, poichè le altre larve trattate coll’ estratto di tabacco al 6 °/,, nel giorno 19 Ago- sto sono tutte ancor vive, ed in generale, ho osservato che tutti i bruchi di Cochylis, sottoposti a trattamenti di estratto di tabacco, vi- vono benissimo anche s o 6 giorni senza prender cibo, dopo il qual tempo o incrisalidano se maturi, o gradatamente si accorciano e per- dono di vivacità se più giovani, fino a mantenere un residuo di vita- lità in un corpo accorciatissimo e ormai deformato. B. Esperimenti contro le larve rosse. (dal 14 al 21 settembre) Esperimento N. 31. 14 Settembre 1892, ore 8 antim. — Rubina all’1/, N. 3 larve di Cochylis rosse e pigre, sono tenute immerse durante I minuto primo, in una goccia di soluzione di Rubina all’ 1 ®/. Libe- rate dal liquido, fanno movimenti poco vivaci. Alle ore 11 antim. (dello stesso) sono ferme. Due, se stimolate reagiscono debolmente, e giacciono di fianco, supine o prone, senza differenza, nè possono quindi camminare. Alle ore 2,30' pom. (dello stesso) anche la terza è nelle stesse condizioni. 15 Sett. 1892, ore 7 pom. Le larve giacciono sempre nel medesimo 237 posto in cui sono state collocate. Una sembra morta, le altre due reagiscono assai debolmente se stimolate. 16 Sett. 1892, ore 9 antim. Due delle dette larve sono morte, la terza reagisce appena sensibilmente, se toccata e si vede che è pros- sima a morire. Esperimento N. 32. 17 Sett. 1892, ore 6,30 pom. —— Rubina all’ 19. s larve di Cochylis rosse, trattate nei modi consueti, con soluzione di Rubina all’ 1°/, non sembra risentano danno alcuno. 18 Sett. 1892. Tutte e cinque filano seta e si costruiscono un fol- licolo. Esperimento N. 33. 14 Sett. 1892, ore 11 antim. — Rubina al 2/, 3 larve rosse di Cochylis, sono tenute immerse dnrante un minuto primo in una goccia di soluzione di Rubina al 2°/,. Estratte ed asciu- gate rimangono immobili, ma se toccate si contorcono. Una di tratto in tratto si muove da se e cammina. Una ha rigettato per la bocca una materia rosso-bruna che essicandosi lascia sulla carta una mac- chia oscura, lucida. Alle ore 2,30 pom. (dello stesso) due di dette larve camminano, la terza si muove soltanto se stimolata. Alle ore 4 pom. dello stesso, tutte e tre camminano. 15 Sett. 1892. Una é morta, una reagisce se stimolata, la terza cammina da se. 16 Sett. ore 9 antim. Tutte e tre le dette larve sono morte. Esperimento N. 34. 14 Settembre 1892, ore 3,40° pom. — Rubina al 3°. 3 larve di Cochylis delle quali due rosse e pigre, una verde e vi- vace, sono tenute immerse durante 1 minuto primo in una goccia di Rubina al 3°/. Durante la immersione, la larva verde morì, delle due rosse, una cammina, l’altra è immobile, ma se stimolata reagisce contorcendosi. Durante l'immersione e dopo, le rosse emisero le feci, ma nessuna rigettò liquido dalla bocca. 15 Settembre 1892. Le stesse condizioni. 16 Settembre 1892. Una delle rosse è morta, l’altra reagisce de- bolmente, se toccata, 238 Esperimento N. 35. 18 Settembre 1892, ore 11 antim. — Rubina al 3°/, N. 1o larve di Cochylis, delle quali 8 rosse e 2 verdi sono trattate, nel consueto modo, con soluzione di Rubina al 3%, Le due verdi morirono durante la immersione. Delle altre, tre sono immobili, una cammina lentamente e quattro sono salite sulle pareti del bicchiere. 19 Settembre 1892. Delle otto rosse, quattro sono morte e quattro si mostrano sane, Esperimento N. 36. 16 Settembre 1892, ore 12,55 pom. — Rubina al 3°/,. N. 1o larve di Cochylis, delle quali 9 rosse e pigre, una verde e vivace, sono immerse durante 1 minuto primo in soluzione di Ru- bina al 3 °/; Estratte dal liquido ed asciugate, si nota che tutte sono impigrite nei movimenti, 8 rimasero sulla carta, e tra queste è com- presa la verde che sembra morta, le altre due salgono sulle pareti del bicchiere. Nessuna rigurgita liquido dalla bocca. Alle ore s pom. (dello stesso) una terza stentatamente cammina; le altre se stimo- late si contorcono ad eccezione di 4 che sono morte (tra queste la verde). 1) Sett. 6 larve di Cochylis sono morte e 4 vive ma in cattivo stato. 19 Sett. Le condizioni sono invariate, dal giorno 17 ad oggi. Esperimento N. 37. 18 Settembre 1892, ore 10,55’ antim. — Rubina al 4°/,. N. 3 larve di Cochylis rosse, tenute durante un minuto in una goc- cia di soluzione di Rubina al 4°/,, rimangono perfettamente immobili sul posto dove sono state collocate dopo liberate dal liquido. 19 Sett. 1892, ore 9 antim. Le stesse condizioni continuano ; le tre larve non si sono mai mosse dal punto in cui si trovavano ieri, Sono già in parte annerite, ciò che ne dimostra la ‘morte. Esperimento N. 38. zo Settembre 1892, ore 2 pom. — Rubina al 4°/,. N. 4 larve rosse di Cochylis, tenute durante un minuto primo, im- merse in una goccia di soluzione di Rubina al 4°/,, sono in seguito asciugate e poste sotto osservazione. Alle ore 7 pom. (dello stesso) 239) tre delie dette larve si riconoscono morte, mentre una stentatamente cammina. 21 Settembre. L’ultima larva che ieri camminava, oggi è stesa di fianco, immobile, una reagisce contorcendosi se toccata. Esperimento N. 39. 20 Settembre 1892, ore 1 pom. — Rubina al 4°/, N. 4 larve rosse di Cochylis, trattate nel solito modo, sono rimaste sempre immobili. Alle ore 7 pom. (dello stesso) l’ immobilità continua assoluta. i 21 Settembre ore 11 antim. Si riconosce che tutte le dette larve sono morte. Insetticida Dufour. Ha dato argomento alle seguenti esperienze, una let- tera pervenutami dal R. Ministero di Agricoltura in data 22 Giugno, che qui trascrivo: «Il Sig. Jean Dufour ha scoperto un rimedio per com- battere la tignuola della vite (Cochkylis ambiguella) che è stato sperimentato con successo in Svizzera. Da una circolare del cantone di Vaud risulterebbe che il rimedio si prepara nel seguente modo: «Peser trois Kilos sovon noir mou, les mettre dans une petite cuve ou demitonneau; verser dessus environ dix litres d’eau chaude, en remuant constamment, de manière à dissoudre le savon. Puis ajouter un Kilo ou mieux encore un kilo cinqcents grammes poudre de py- rethrej; bien remuer avec un petit balai pour délayer complétement la poudre; enfin, ajouter environ 90 litres d’eau froide ». Io prego pertanto la S. V., che ebbe già incarico di fare esperienze contro il detto insetto, di sapermi dire 240 quale utilità possa trarsi dal rimedio dell’anzidetto signor Dufour. Roma, addì 22 Giugno 1892. p. il Ministro firmato MIRAGLIA Riserbandomi di eseguire più larghe prove sul campo ho studiato intanto la dose necessaria per ottenere con questo insetticida la morte delle larve. Esperimento N. 40. 18 Settembre 1892, ore 10,45’ antim. — Formula Dufour al LZ) N. 3 larve rosse di Cochylis, sono tenute immerse durante un mi- nuto nella soluzione sopraindicata. Appena asciugate sono pressochè immobili. Alle ore 12 merid. (dello stesso) due delle dette larve cam- minano sulla carta, ed una è salita sulle pareti del bicchiere. 19 Settembre 1892, ore 7,45' antim. Le larve suddette sono perfet- tamente sane, due filano il follicolo sericeo. Esperimento N. 4l. 19 Settembre 1892, ore 7,30' antim. — Formula Dufour all’ 1°). N. 5 larve rosse di Cochylis, immerse durante un minuto primo in una goccia del suddetto liquido alla indicata diluizione, si mostrano molto sbalordite ed in cattivo stato. Alle ore 7,30 pom. una larva, delle cinque, è immobile ed insensibile, una presenta leggiere traccie di sensibilità, le altre reagiscono meglio se stimolate. 25 Settembre 1892, ore 8 antim. Tutte e cinque le dette larve sono vive e camminano. 1) Le proporzioni dei diversi componenti sono : Sapone 3,00 Polvere di piretro 1,50 Acqua 135,00 ?) In questo caso le proporzioni dei componenti sono: Sapone 3,00 Polvere di piretro 1,50 Acqua 90,00 241 Esperimento N. 42. 17 Settembre, ore 9 antim. — Formula Dufour 1°/, N. 6 larve rosse di Cochylis sono tenute immerse durante un mi- nuto primo in una goccia della soluzione indicata, poscia estratte, asciugate e messe in osservazione. Noto che rimangono ferme, per quanto reagiscano debolmente se stimolate. L’epidermide delle larve sottoposte a questo trattamento, si solleva più o meno estesamente, in forma di vesciche trasparenti. Contuttociò alcune continuano a mantenere una certa vitalità che si appalesa con contorsioni, specialmente in seguito a stimolo. 18 Settembre. Delle sei larve sopradette, una cammina, tre se sti- molate reagiscono, due sono morte. Esperimento N. 43. 16 Sett. 1892, ore 5,45" pom. — Formula Dufouc al 2°, !). N. s larve rosse di Cochylis, immerse durante un minuto primo nella detta soluzione, dopo asciugate, limitano gradatamente i movi- menti fino a rimanere quasi immobili. Alle ore 7 pom. (dello stesso) sembra che le larve stesse riacquistino alcun poco della perduta ener- gia, poichè si muovono più arditamente e tentano camminare, 17 Settembre 1892. Oggi tutte e cinque sono morte e già in parte annerite. CONCLUSIONI Dalle esperienze sopraricordate, credo di poter conclu- dere quanto segue : Le sostanze sperimentate, a soluzioni, in dose diversa sulle larve di CockyZis, sono state: . Estratto fenicato di tabacco. . Emulsione di solfuro di carbonio. . Glicerina. (SOS 1) Cioè: Sapone 3,00 Polvere di piretro 1,50 Acqna 45,00 242 4. Pittacallo. 5. Rubina. 6. Formula Dufour. Di queste si sono mostrati assolutamente inattivi, l’E- stratto di Tabacco e la Glicerina, e però vanno esclusi senz'altro dal novero delle sostanze raccomandabili contro il dannoso insetto. Quanto alla Emulsione di solfuro di carbonio, secondo la formula sopraricordata, gli esperimenti condotti e so- pracitati, danno bensì il diritto di negare l’azione venefica alla Cochylis del liquido messo in commercio dal Sig. A. Bizzarri di Firenze, ma riconosciuta la differenza notevo- lissima tra questo liquido e quello che si può avere, se- guendo con diligenza le istruzioni della R. Stazione di En- tomologia agraria di Firenze '), non mi credo altrettanto in diritto di pronunciarmi. sugli effetti delle Emulsioni di Solfuro di Carbonio composte bene e da poco tempo. Perciò gli esperimenti riferentisi a questa sostanza pos- sono, tutto al più, evitare agli agricoltori inutile spesa. Del resto se dovessi rammentare gli effetti delle emul- sioni di solfuro di carbonio in generale sulle larve di Ocneria, da me altra volta notati e pubblicati, e su altri insetti, avrei agio di ritenere che le dosi del 1,50 e del 29/, raccomandate dai Ch. Sigg. Proff. A. Targioni-Tozzetti e G. Del Guercio, nella loro prelodata memoria sulie Co- chylis, sieno insufficienti ad uccidere queste larve, che vanno annoverate tra gli insetti più resistenti all’azione degli insetticidi, mentre le dette mescolanze a base di sol- 1) Il liquido messo in commercio dal Sig. Alessandro Bizzarri, non si scioglie bene nell’acqua, ma si scompone subito in grumi saponosi che galleggiano, nel liquido giallastro sottostante. Il liquido giallastro indica la presenza di solfocarbonato, cioè che il solfuro è in parte al- terato. Tale liquido, in tali condizioni è stato adoperato nel 92 dagli agricoltori che lo hanno acquistato, quindi il minore effetto ottenuto, non deve essere imputato alla formula originale, ma alla cattiva com- posizione della miscela. 243 furo di carbonio, non uccidono le larve di Ocnerza nem- meno nella dose del 10%. Ma oltre il 2°, sarebbe pericoloso per la vegetazione, ‘specialmente della vite (come fu constatato in altra me- moria dai Ch. Proff. sullodati), elevare la dose delle so- luzioni in discorso, e d’altra parte costoso, poichè 1 Emul- sione in discorso, acquistata direttamente, costa L. 2 il Chilogrammo. Del Pitftacallo ho già detto quello che io penso. In dose del 2°/, si è mostrato affatto inattivo sulle larve di Cochylis. Dosi più elevate non sono da tentarsi, perchè le soluzioni saponose, quali esse si sieno, danneggiano gravemente parti delicate come le infiorescenze della vite, e ad ogni modo rispondono male allo scopo, poichè non imbevono i tessuti sericei e quindi non giungono attra- verso al follicolo, in contatto della larva presa di mira. D'altronde la sostanza suddetta non risponde nemmeno alla 5* delle condizioni da me poste, perchè solida e di lunga e difficile solubilità. Contro altri insetti potrà forse questo sapone essere utile, ciò che è da discutersi, ma contro la Cochylis non mi pare pratico, specialmente quan- do si può avere di meglio. Il liquido composto secondo la formula Dufour è cer- tamente il più energico insetticida, contro la CockyZs, da me sperimentato. Risponde quindi egregiamente alla seconda condizione da me posta. Come tutte le miscele in cui entra il /zre- tro, è decisamente micidiale agli insetti. La dose dell’1%/, cioè conforme affatto alle indicazioni del Sig. Dufour, è letale, coa un percento notevole alle larve di Coc/y/s, e più largamente e sicuramente la dose con metà acqua di diluizione. Malauguratamente la polvere di Piretro è costo- sissima. Ora è certo che lo sarebbe ancor più, se un largo uso ne consumasse assai più che oggi non si consumi. A. parer mio gli insetticidi che contengono la polvere in discorso, come la predetta formula Dufour, la /easzda, 244 etc. non potranno mai entrare nel campo agrario, finchè non mutino le condizioni di prezzo relative al principio attivo in discorso. Ho pagato la polvere di Piretro in ra- gione di L. 8 il Chilogrammo, ma ammettendo anche che sì potesse ottenere in quantità rilevanti (sempre però li- mitate dalla possibile produzione) a L. 4 il chilogr. e se- gnando il prezzo del sapone a L. 0,30 il Kilogr. (prezzo inferiore al vero), un ettolitro di liquido composto secondo la formula Dufour costerebbe : ì Polvere di piretro Kil. 1,500 —L. 6.— Sapone molle Kil. 3,00 » 0,90 Totale L. 6,90 ’) 1) Altrove (Fewille d’ Aoste N. 27, 6 juillet 1892) il prezzo della polvere di piretro, è indicato in lire 2,30 a 2,50 il Kilogr, e un ettolitro di li- quido costerebbe adunque Polvere di piretro 3,45 Sapone molle 0,90 Totale L. 4,35 Intanto i pareri intorno all’ effetto di questo liquido sono molto disparati poichè il Sig. A. Déresse (Contribuzione allo studio dei co- stumi e dei mezzi per distruggere alcuni insetti della vite. Revue de la station viticole de Villefranche, Ann. 2, n. 1, 2, 3, 4) riferisce che la soluzione di sapone Jemina, e quella di piretro secondo la formula Dufour non ne uccisero neppure una. Mentre il Sig. I. Perraud (Nuove osserva- zioni relative alla biologia ed ai trattamenti insetticidi contro la Co- chylis) osserva che raccolti una trentina di grappoli infetti, e bagnatili abbondantemente con l’ insetticida Dufour, di 41 larve trovate, 40 erano morte. Operando invece sulle viti, sopra 80 larve trovate, 54 erano morte e le altre vive. È luogo al dubbio che questi diversi risultati, come la diversità nei prezzi della polvere di piretro, possano avere una base comune, da ricercarsi nella qualità della polvere, che può essere più o meno adulterata ed in questo caso l’adulterazione è tale, per la natura del prodotto, da rendere assai malagevole il riconoscerla ed evitarla. Tutto questo complica la questione. 245 Cioè più del doppio di un ettolitro di soluzione al 3% di /ubina; e gli esperimenti sopraricordati dimostrano, che quest’ultimo insetticida, nella dose indicata è assolu- tamente micidiale alle larve verdi di Coc/y/s. Così l’insetticida Dufour, non risponde affatto alla con- dizione quarta da me indicata. D'altro canto, finora la mescolanza suddetta non è in commercio, e l'agricoltore dovrebbe comporla da se, a caldo, ciò che richiede quindi spesa di combustibile, ed utensili adatti, specialmente se si trattasse di curare estesi vigneti, nei quali molti ettolitri di liquido possono andare consumati. Perciò nemmeno alla condizione 5° e 6* il detto insetticida risponde. Quanto al suo effetto sulle piante, nulla posso dire, non avendolo io sperimentato; ma secondo la formula in- dicata, noto che vi ha il 3°/ di sapone, in soluzione nel- l’acqua, e questo mi fa dubitare assai che le infiorescenze della vite e le altre sue parti più delicate non debbano essere gravemente compromesse da soluzione saponosa a titolo così elevato. To non escludo però, dal novero degli insetticidi effi- caci contro la Cockyls, la miscela Dufour, ma lascio al- l'agricoltore, che ne possa avere talento, il coraggio di usarne su larga scala e affrontare una spesa così grave. Se la paternità non mi fa velo al retto giudizio, ciò che del resto mi conforta a credere non sia, la cura da me avuta nel seguire i predetti esperimenti, e il suffragio di autorevoli testimonianze, la mia /tubina, risponde a tutte le condizioni proposte. Del suo valore insetticida contro la Cochytis, fanno testimonianza gli esperimenti soprari- cordati, e quanto al suo nessuno effetto sulle parti anche più delicate della vite, è questo un fatto ormai notorio nel pubblico di autorità scientifiche e di agricoltori che ne hanno usato, tanto che non credo valga la pena di ricordarlo qui. Alla quarta condizione rispondo, che il prezzo della 246 Rubina, è di L. 80 al quintale, e questo prezzo è di poco accresciuto per quantità inferiore. Portando fino ad una lira il prezzo di un Kilogr. si vede che ogni ettolitro di soluzione al 2 o al 3°/,, costerebbe da 2 o 3 lire soltanto, e questo mi sembra un prezzo mediocre. Alla quinta condizione risponde il fatto che la Aubina è solubile prontamente nell'acqua, così che 1’ agricoltore non deve certo penare molto a comporre le sue soluzioni nelle dosi volute. Per rispondere poi alla sesta ed ultima condizione ho trasmesso la formula ai Sigg. A. Petrobelli e C° di Padova, che nella decorsa estate fabbricarono dietro mie indicazioni e vendettero grande quantità di Pitteleina egregiamente composta, e dai ca mpioni di /0u- bina che ne ebbi e dalla molta già venduta in autunno di quest'anno, ho potuto costatare con mia soddisfazione, che il prodotto è ottimo, e affatto conforme a quello da me composto in laboratorio, e quel che più monta, sem- pre eguale a se stesso. Tutto questo mi induce a ritenere che finora il mi- gliore insetticida contro la Cockylis sia appunto la tw bina, e questa convinzione è grande conforto per me che ho ben presenti le condizioni della aspra lotta contro il temuto parassita, ed è largo compenso alle mie fatiche, quali esse si sieno. Firenze, Ottobre 1891. 247 Sulla azione delle soluzioni di Rubina sopra insetti e piante diverse. Nota del Prof. A. BERLESE. Avevo notato che gli insetticidi finora consigliati hanno una debole azione su molte specie di afidi, mentre anche a dosi leggiere, compromettono invece la vegetazione di piante meno resistenti; tanto che non è possibile, cogli insetticidi in discorso trovare un limite di attività sui pa- rassiti, che non offenda gravemente le piante, cosicchè le sostanze finora note, riuscivano più dannose alle piante da curare, di quello che agli insetti nemici. Questo, ad esempio per gli afidi delle Rose, del pesco e di moltissi- me piante da fiore delicate. D'altro canto le piante to- mentose, molto villose sulle foglie e sul fusto, mentre tra i peli offrono gradito ricetto a molti parassiti e special mente ad afidi, acari ecc. respingono qualsiasi soluzione acquosa o saponosa degli insetticidi finora usati. La ne- cessità di ricercare un liquido che imbevesse sollecita- mente i tessuti tomentosi, mi si fece molto bene sentire quando fui pregato dal Ch.mo Prof. Comes, di liberare dagli afidi una pianta di 5ud/eia madagascariensis, 0c- cupante largamente una parete dell’ Orto botanico di que- sta scuola, le cui foglie villosissime alla pagina inferiore, erano precisamente colà occupate da numerosissime co- lonie di afidi gialli. Le emulsioni di /ittelesna, di solfuro di carbonio se- condo diverse formule, la soluzione di Estratto fenicato di tabacco, soluzioni di decotti di retro e di Legno 248 quassio, venivano respinte dal tomento della foglia, e gli afidi rimanevano affatto incolumi. Tentai una miscela di Catrame di legno (di Norvegia o di Svezia) e soda caustica; miscela che riesce solubile nell'acqua. Non è facile scrutare di quale natura possa. essere la reazione che avviene pel contatto di questi due corpi, poichè reazione c’è e lo dimostra il notevole riscal- damento (oltre i 60 cent.) che subitamente succede al contatto dei due corpi; certo è che il catrame di legno, in- solubile, diventa coll’aggiunta della soda o potassa cau- stica, solubile perfettamente nell'acqua in soluzione lim- pida, di un bellissimo colore rosso d’ocra !). Coi carbo- nati alcalini, la reazione e molto meno intensa, e non si ottiene più una sostanza solubile nell'acqua, ma piuttosto emulsionabile. Però l’ emulsione così composta, è molto meno attiva come insetticida della vera soluzione con idros- sidi alcalini, poichè è notevolmente scemata la sua facol- tà di penetrazione. Cosi mentre la soluzione con idrossido di soda o potassa, imbeve sollecitamente le foglie villose, i follicoli sericei che riparano certi insetti in determinati stadii di loro vita, e perfino penetra rapidamente nei muc- chi d’uova di Oczerza così bene riparati dai peli dell’ ad- dome materno, la emulsione dello stesso catrame di le- gno, con carbonati alcalini, non produce questo impor- tante effetto. Sugli insetti poi la miscela in soluzione ac- quosa agisce prontamente penetrando attraverso gli stigmi nelle trachee stesse, determinando immediatamente la pa- ralisi degli organi con cui il liquido viene a contatto. In- setti buoni volatori, colti anche al volo da uno spruzzo di soluzione di Rubina, perdono immediatamente la facoltà di volare, per paralisi dei muscoli del torace, indi non possono più camminare; l’addome si stende ed accorcia in isforzi convulsivi, per compiere l’atto della respirazio- ne; a questo scopo anche il collo dell'insetto si allunga 1) Di qui il nome di Rubina che ho dato a questo composto. 249 é si ritrae; le trachee sembrano obliterate dalla soluzione, gli organi circostanti avvelenati, e dopo un tempo più 0 meno lungo succede la morte. Tutti questi effetti sono molto più deboli colle mescolanze, di catrame di legno e carbonati alcalini, poichè la penetrazione nelle trachee o è incompleta o non avviene affatto '). Eccellente è la miscela seguente (/02027a) Gatrametdi Norvesla nane ESTRO Soluz. satura di Soda Casa digli O) 100 Non sempre però il Catrame di Norvegia, che si trova in commercio si presta bene allo scopo. Ve ne ha che reagisce debolmente di fronte alle soluzioni di idrossidi alcalini, e non diventa solubile nell'acqua, ma semplice- mente emulsionabile. Ve ne ha altro che si combina solo in parte, mentre altra porzione rimane insolubile. Certo è che per avere Catrame vegetale sempre di un unico tipo, ad effetti costanti nelle sue reazioni e sugli insetti come sulle piante, ho dovuto consigliare apposita fabbri- ‘cazione dell’insetticida suddetto, da chi controllasse prima accuratamente ciascuna partita di catrame. D'altro can- to queste mie sperienze sono praticate colla /0ubina del commercio *), nè mi stupirei che effetti diversissimi otte- nesse chi amasse comporre da se la miscela, appunto per le difficoltà di trovare quel tale catrame di legno che ri- sponde alle condizioni richieste per raggiungere i note- voli risultati da me conseguiti e che qui infrascrivo. 1) Perciò il D. Del Guercio, che ebbe conoscenza di queste mie ri- cerche sulle miscele a base di catrame di legno, studiate nel loro ef- fetto insetticida, preferendo l’uso dei carbonati alcalini, si attiene a formula meno attiva, e la consiglia fuori di luogo, questo forse per desiderio di male intesa economia o di apparenza di novità. Erra poi attribuendo al catrame di Svezia un prezzo di molto inferiore al vero (Vedi G. Del Guercio nella memoria sulla Schizoneura lanigera). *) Fabbrica a Petrobelli e C. Padova. 250. Il giorno 25 Giugno (1892), nell’Orto Botanico della R. Scuola Superiore di Agricoltura in Portici, mediante pompa Zabeo, colla soluzione di Rubina all’ 19/, SI trat- tarono le seguenti piante attaccate da afidi: N.2. Persica vulgaris; 3 feosa centifoltia, 1. Solanum sp. 1. Budleia Madagascariensis, e per riconoscere l’ ef fetto dell’insetticida su altre piante si irrorarono abbon - danteme campioni delle seguenti: 1. Punica granatum. 3. Citrus aurantium con fiori; 1. Vitis vinifera, foglie e grappoli; 1 Petunia sp. in fio- rej 1. Cucurbita pepo, con fiori; 1. Lycopersicum escu- lentum,; 1. Ficus carica; 1. Brassica oleracea ; 3 Delphi- nium Atacis in fiore. L'operazione fu praticata nelle ore meridiane, sotto un sole cocentissimo. Esaminate tutte le dette piante nei giorni successivi, non si riconobbe alterazione veruna, nemmeno sui getti più teneri, nè sui fiori, nè su altra parte dei soggetti d’e- sperimento. Si notò invece la mortalità quasi assoluta de- gli afidi delle tre prime piante citate. L’effetto assolutamente letale su questi parassiti, si ot- tenne colla soluzione di Aubiza al 2°), che non recò danno di sorta alle piante. Il giorno 28 Giugno, nello stesso Orto Botanico, me- diante la solita pompa Zabeo, colla soluzione al 29/ di ftubina, si trattarono, allo scopo di notarne gli effetti sulla vegetazione, le seguenti piante: Puzzica Granatum j Bud- leta madagascariensis; Brassica oleracea; Rosa centi folia; Persica vulgaris; Lycopersicum aesculentumy, Pe- tunta sp.; Solanum sp.; Vitis vinifera, foglie e grappoli. Nessun effetto si riconobbe sulle piante nè sui fiori o teneri getti delle stesse. In seguito, profittando della facoltà cortesemente ac- cordatami dal Ch. Prof. Andrea Saccardo, di istituire e- sperimenti sugli insetti dannosi alle piante del R. Orto 26 Botanico di Padova, efficacemente coadiuvato in questo dal giardiniere Sign. Andrea Pigal, ebbi agio di praticare alcune prove su insetti e piante diverse. Nel giorno 2 agosto, verso le ore 5 pomeridiane, trat- tai colla soluzione di /ubira al 5%, alcuni teneri getti di Rose, mondi da insetti, per riconoscere l’effetto sulla vegetazione. Altrettanto praticai sulle estremità dei rami di Xantoxylum Bungei, molto tenere, sulla pagina infe- riore delle cui foglie stagionavano molti afidi. Nei giorni successivi, esaminando le suddette piante, senza rilevare alcuna alterazione sulle foglie, riconobbi che gli afidi inquinanti il suddetto Xarztoxy/w7, erano morti e già secchi aderivano alle foglie trattate. Queste, come i germogli di Rosa apparivano lucidi e coperti da leggera velatura quasi di vernice, dovuta all’ insetticida, già asciugato. Questi effetti rimasero inalterati fino al giorno S_A- gosto. Più estese prove si tentarono nel giorno 4 agosto, sulle estremità di rami di piante diverse, recise e conservate in separati bicchieri d’acqua. Si trattarono tutte colla soluzione di /ubzrza al 2%. Le piante in esperienza furono: 1. Alcuni rametti di rosa coperti all’ estremità di a/id7, e rosi nelle foglie più vecchie da larve già mature di /4y- lotoma rose. 2. Le estremità di due rametti di Viburnum Opulus, dei quali uno recante una fresca infiorescenza ad ombrel- lo (di seconda fioritura), sui peduncoli della quale stagio- navano molti afidi e correvano numerose formiche. 3. Due giovani piantine di Salvia splendens non più alte di 20 centimetri, attaccate nella pagina inferiore delle foglie da colonie di Zetranychus telarius. 4. Estremità di alcuni rametti di Viburnum Tinus, di cui la pagina inferiore delle foglie era coperta di afidi. 5. Rametti di Heracleum pure coperti da afidi. 252 6. Rametti teneri di /:ffosporutni Tobira con fiori, coperti da afidi. 7. Rametti di Zanacetum vulgare attaccati da afidi. S. Estremità di rametti di Chaernomeles japonica, con afidi alla pagina inferiore delle foglie. 9. Rametti di /wernziculum dulce con afidi. 10. Rametti di Sophora non attaccati da insetti e sot- toposti ad esperimento per riconoscere l’effetto del liqui- do insetticida sulla vegetazione. Nel giorno 5 agosto si riconobbe: 1. Che nessuna delle piante sottoposte ad esperimento, nemmeno nelle estremità più delicate aveva minimamen- te sofferto; che la infiorescenza di Viburnum Opulus com- posta di fiori bianchi delicatissimi, si conservava assolu- tamente intatta; e lo stesso si rilevò per la infiorescenza del Pittosporum. 2. Che tutti gli afidi summentovati erano morti, già anneriti e secchi e rimanevano agglutinati nel sito stesso dove erano stati colpiti. 3. Che le formiche sorprese dall’insetticida sui rami delle piante suddette e specialmente del Vibuyrzzz: Opu- lus erano tutte morte e secche, in parte cadute sul tavolo su cui posavano i bicchieri, in parte agglutinate alle fo- glie ed ai pedunculi florali, dove erano state colpite dal- l’insetticida. 4. Che un esemplare della Hy/otoma rose \larva) già maturo, colpito dalla soluzione al 2° di A0ubina non era ancor morto. Questo risultato rimase identico nella successiva veri- ficazione praticata nel giorno 6 agosto, in presenza del Ch. Prof. Saccardo. Intanto nel giorno 4 agosto, di pieno meriggio si erano pure trattate (con soluz. /0ubina al 2°) due piante al- l’aperto. Una Ar:istolochia Sipho, sulla pagina inferiore delle cui larghe foglie stagionavano ricche colonie di Dacty/o- 253 pius in tutti gli stati, e di Zelraryceus telarius, ed inol- tre le estremità di alcuni rametti di /%/omzs fruticosa allo scopo di constatare, non soltanto l’effetto insetticida della /0ubina e la sua azione sulle piante, ma ancora la sua facoltà di penetrazione tra il denso tomento che ri- veste gli organi tutti delle /°//0722s. Si riconobbe nell'esame eseguito nel giorno 6 agosto in presenza del Ch. Prof. A. Saccardo. 1. Che le foglie della suddetta Arzstolochia, si mostra- vano tutte coperte da vernice lucida, brunastra che cer- tamente le avrebbe in seguito riparate da ulteriori offese degli insetti. 2. Che le foglie stesse come quelle della ///0722s non avevano minimamente sofferto dal trattamento e dalla continuata azione dell’insetticida. 5. Che gli insetti (Dactv/opius) ed i Zetranychus della Avistolochia, erano totalmente distrutti. 4. Che sulle foglie e rametti della P/%/omzs il liquido faceva sì rapida presa, come se fosse giunto in contatto di una sostanza assorbente, nè veniva in alcun modo re- spinto dalla peluria surricordata. Nel giorno 4 Agosto colla dose al 50/,, si spruzzarono alcuni insetti vivi, trovati nel bosco, delle seguenti specie. Ortotteri, Libellule, Phaneroptera falcata. Imenotteri, Apis mellifica, Anthop hora sp., Campono- tus ligniperda. Lepidotteri, Pieris brassicae (adulto). Ditteri, Syrphus sp. etc. Tutti i suddetti animali furono colpiti dalla nuvola pol- verizzata uscente da una pompetta Borio, mentre passa- vano al volo (eccetto il Camponotus e la Phaneroptera); si riconobbe che cadevano immediatamente al suolo stor- diti, perdendo la facoltà di volare ulteriornente, e se più largamente spruzzati coll’insetticida, nel corso di pochi secondi morivano. Le vittime di queste prove, raccolte, furono conservate 254 sotto campana fino al giorno 6, per riconoscere se l’effetto dell’insetticida forse momentaneo oppure provocasse ve- ramente la morte degli insetti, e si rilevò nel giorno 6, alla presenza del Ch. Prof. A. Saccardo, che i soggetti così trattati e sopra citati erano ormai disseccati. Nello stesso giorno 4, a rilevare ancora l’effetto del- l’insetticida su piante delicate, si scelsero le seguenti spe- cie che vegetavano in vasi separati, e tutte di dimensioni non oltre i 60 cent. di altezza, e in piena vegetazione. Helianthus gummosus. Uvularia chinensis. Tecoma spectabilis. Citrus vulgaris. Trattate tutte ed annaffiate abbondantemente colla so- luzione al 2° in modo che grondavano copiosamente il liquido insetticida, fu constatato, anche dal Ch. Prof. A. Saccardo, nel giorno 6 agosto, il nessun effetto sulle pian- te stesse per opera dell’insetticida usato. Alcuni getti di rosa, con molte larve di Hv/otoma ro- se, ormai giunte a maturità, furono trattati colla solu- zione di /tubina al 5°, € questo nel giorno 4 agosto. Nel successivo giorno 6 dello stesso, alla presenza del Ch. Prof. Saccardo, si riconobbe che nessuna parte delle piante delicatissime aveva sofferto, mentre le Hy/otome tutte erano cadute, e in parte secche ed annerite. Caricata una pompetta Borio, con soluzione al 5 9/ di Itubina, si passò, a riconoscere l’effetto di questo liquido, su insetti diversi, sollecitanto il giudizio del Prof. A. Sac- cardo che presenziava l'esperimento. Si riconobbe anzitutto che i nidi di Carmponotus le gniperda, praticati nei telai di legno di una serra, e che mettevano all'estremo con aperture da dove continua- mente gli insetti si affacciavano a gettare all’ esterno de- triti di legno, nidi già nel giorno 4 annaffiati abbondante- mente con soluzione di /0ubina al 5°/, iniettata nei nidi stessi della apertura sopraricordata, si mostravano com- 255 pletamente deserti, nè più (nel giorno 6) insetto alcuno si affacciava a quelle aperture. In seguito si trattarono suc- cessivamente alcuni grossi esemplari di Camponotus va- ganti nelle vicinanze, e si riconobbe, che dopo brevissimo tragitto, e qualche volta anche senza questo, gli insetti trattati si arrovesciavano sul ventre e raggrinzate le zam- pe morivano. Alcuni esemplari di Pzerzs brassice, volanti troppo dap- presso agli sperimentatori, colpiti dalla nuvola di soluzione di /tubina (al 5°/) uscita dalla pompetta, caddero a terra impossibilitati a volare, e soggetti ad altra irrorazione, prontamente morirono. Un Agrion anch'esso volante, subì la stessa sorte, e così pure alcuni Syrpkus dal volo rapidissimo, e altre mosche. Una LwWellula presa per l'estremità delle ali, fu spruz- zata della soluzione suddetta, e come già altre volte si era riconosciuto, abbandonata subito a sè, cadde a terra senza poter più librarsi nell'aria, e dopo pochi secondi, raggrinzate le zampe, morì. Alcuni grossi Bombus hortorum colpiti dal liquido in- setticida, mentre stavano succhiando i fiori, cadevano al suolo, e dopo poche contorsioni perivano. Col liquido rimanente nella pompa si trattarono, in se- guito, teneri getti di rosa e di Myrszne retusa. Nel giorno 8 agosto si rilevò che nè l’una ne l’altra pianta aveva sofferto per quanto le foglie tutte si mostras- sero lucide, quasi verniciate, se ne togli leggiero anneri- rimento degli orli delle foglioline più minute e delicate dei getti di rose, che dovevano questo loro colore a mag- gior concentrazione del liquido in quei punti. »* ateneo Nei giorni 20, 21 di Settembre, curai a Padova colla soluzione di Rubina al 2°/ alcune piante di Crcwurbita pepo, molto attaccate dagli afidi. L’ insetticida polverizzato dalla pompa, sulla pagina (specialmente inferiore) delle fo- 256 glie, sui fiori e sui getti più delicati della pianta, senza danno alcun di questa, liberò prontamente la pianta stessa da tutti i parassiti suddetti. Negli stessi giorni, colla stessa soluzione curai molte piante di Brassica oleracea, devastate da larve di ze- ris. Questi bruchi periscono prontamente, se bagnati dal liquido insetticida, nella detta dose. Ormai questo metodo di cura per le due suddette piante è largamente entrato nella pratica di molti contadini, che coltivano terreni cir- costanti al luogo d’esperimento e che appresero i risultati di questo. Dalle prove sopraricordate sembrami dimostrato che: 1. L’insetticida detto /0x0/ra, in soluzione dal 2 al 5%, è micidialissimo agli insetti, anche voluminosi e vivacissimi. 2. Che nessuno effetto si rileva sulle piante, anche più delicate da una irrorazione della soluzione di /w0bzra nelle indicate dosi, sia questa praticata in qualsivoglia ora del giorno, per quanto caldo. 5. Che alle foglie ed altre parti della pianta trattate, rimane aderente quasi una vernice lucida, che dovrebbe allontanare gli insetti, almeno per qualche tempo, e così preservare la pianta. Quanto all'effetto della /u02ra sulla Peronospora, dirò che alcune foglie di vite vennero trattate, nella loro pagina inferiore, già riccamente coperta di ife e conidii di perono- spora, con soluzione di /ubina al 2%, e queste nel suc- cessivo 31 Luglio furono spedite al Ch. Prof. Saccardo, perchè, presentandosi monde della caratteristica muffa gri- gia, rilevavano una decisa azione dell’ insetticida suddetto anche sulla Peronospora, ed il Chiar. Prof. P. A. Saccar- do, come persona competentissima, fu pregato di esami- nare le foglie predette. Lo stesso insigne micologo, nel giorno 6 Agosto mi assicurava che dall’esame microscopico fatto, risultava che la peronospora si poteva giudicare distrutta, 257 Questo argomento merita per la sua gravità di essere novellamente ripreso in esame, per parte del maggior nu- mero possibile di sperimentatori. Intanto, si inizieranno, nella prossima primavera, qui e nel laboratorio di Patolo- gia vegetale della R. Scuola di Viticoltura di Avellino, numerose prove sull'effetto della /Pubina eontro la Pero- nospora, e fin d'ora invoco aiuto di altre prove per parte di altri osservatori, ai quali io sarò gratissimo del loro concorso nella ricerca della verità. Portici, 18 Novembre 1892. 17 Osservazioni critiche sulla Cercospora Vitis (Lev.) Sace. Nota. di. A. N. BERLESE Parecchie volte nell’ Alta Italia raccolsi questa specie nel corrente anno pure mi accadde osservare le caratteri- stiche alterazioni che essa induce nelle foglie della Vite. Non ignoravo che del fungillo in discorso diversi au- tori avevano, più o meno diffusamente tenuto parola, tal- chè a priori reputavo affatto superflua una trattazione nuova e dettagliata, convinto com’ero che l'argomento non dovesse presentare una ragione seria di studio. Il con- sulto però dell’abbondante materiale bibliografico, e 1’ e- same diretto del fungillo mi suggerirono alcune conside- razioni critiche che non ritengo del tutto fuor di luogo rendere note ai micologi. Primieramente la specie descritta dai diversi autori sotto i nomi di C/adosporium viticolum, C. ampelinumi, C. Vitis, Graphium clavisporum, Helminthosporiuni Vitis e Cercospora viticola, deve riferirsi indubbiamente al Septo- nema Vitis del Léveillé (/Vagm. mycologiques, in Ann. Sc. Nat. III. Ser. T. IX (1848) p. 261), il quale fungo però vuol essere trasportato in tutt'altro genere per ragioni che in appresso esporrò. Il Prof. Saccardo nel Vol. IV, della Sy loge, a proposito della Cercospora viticola, ebbe ad esporre la seguente osservazione «vzx Septonema Vitis Lév.» Ri- tengo che l’egregio autore sia stato condotto ad espri- mere tale giudizio dal fatto che mentre il Léveillé ') as- serisce che nel suo Sepfonema l’estremità di ciascuna ifa porta una catenella di uno, due, tre ed anche quattro conidi i quali facilmente si separano l'uno dall'altro, 1) Léveillé I. c, 259 il Prof. Pirotta !) nell’ /7elminthosporium Vitis (che è iden- tico alla specie leveilleana) attestava aver rinvenuto la estremità di ciascuna ifa costantemente unispora. Ciò na- turalmente, o doveva far cadere il concetto sistematico leveilleano, o far considerare il Septonema Vitis altra cosa dall’ /elminthosporium Vitis. A quest'ultimo partito s’'at- tenne il Prof. Saccardo, il quale conservando il Septone- ma Vitis, ascrisse al Cladosporium viticolum (sero ve- cltiusque Cercospora viticola) del Cesati 1 Helminthospo- rium Vitis del Pirotta. Siami lecito notare in merito a questa questione che le distinzioni suddette non trovano ragione di esistere, qualora l'osservazione microscopica giustifichi le idee del vecchio Léveillé. E realmente cosi accade; ed è giusto e doveroso an- che il notare che il Léveillé con quei mezzi di cui dispo- nevano la microscopia e la microchimica del suo tempo (1548) giunse alla constatazione di un fatto che parecchi autori non seppero in seguito confermare! Nella Cercospora Vitis «chè tale è il nome esatto da darsi a questa specie) i conidi sono catenulati a due, a tre, a quattro, come affermò il Léveillé, e se ne potrà convincere chiunque eseguisca accurate osservazioni mi- croscopiche sopra esemplari freschi, bene sviluppati, e trattati, appena raccolti, con acido acetico glaciale. Nè è fatto nuovo cotesto dei conidi catenulati nel ge- nere Cercospora. Realmente questa disposizione degli or- gani ripruduttori designa un nuovo tipo generico concre- tato in Sepfonema, ed è condotto da tali vedute che il Prof. Saccardo riportò sotto tal genere la diagnosi Leveil- leana corredandola dell’osservazione « Dix pro Cercospora viticola habui; nunc vero diversam veni censeo et re vera Septonematis spectem. In seguito a tale conclusione viene considerato come dissi, cosa aliena dal fungo di Léveillé !) Pirotta Sull’ Helminthosporium Vitis. Milano 1877. 260 il Cladosporium viticolum del Cesati. Però la lettura della diagnosi data dall’ Autore francese ci fa comprendere che tra i due funghi v’è identità. A_ tutto ciò aggiungasi che la specie di Léveillé perchè provveduta di /Ayphe floc- cosae, gregariae, hypophyllae, fasciculatae, longae cylin- dricae, maculà exaridà insidentes (Cfr. Sacc. Syll. L c. p. 399) mal s’adatta al genere Sepfomena che è caratte- rizzato da Ayphae fertiles brevissimae vel a conidizs pa- run diversae. Stabilito ciò vediamo i rapporti che cor- rono tra conidio ed ifa. Riporto quanto scrisse il Pirotta a proposito di quest’argomento e dello sviluppo dei co- nidi medesimi (1. c. p. 9). « All'estremità libera di ciascuno dei filamenti fruttiferi veggonsi delle leggere inflessioni, in corrispondenza delle quali st forma un bottoncino, che si allarga ed allunga, prende una forma ovalare o fu- sotdea, quindi st gonfia un poco a clava verso la som- mità, mentre la parte inferiore, che rimane più sottile, st separa dalla superiore mediante un dissepimento che di- stingue per tanto la spora in due porzioni, di cui D in- feriore diventa il pedicello (Tav. IX, fig. 6)». Dunque i conidi verrebbero ad inserirsi nella ife per la loro parte più sottile, la quale costituirebbe un pedzcello, sarebbero cioè claviformi. Queste sono pure le idee dei Sigg. Berkeley e Curtis, ma egli è certo però che le cose si passano altri- menti, e la citata figura del Pirotta, la quale mostra un conidio inserito sulla ifa per la sua parte più sottile, non deve essere stata eseguita colla camera lucida. Il Prof. Passerini giudicò che la parte sottile fosse in- vece un tubo di germinazione, ma nemmeno ciò è rigo- rosamente esatto; però a tale proposito è utile ricordare quanto anche io notai, non soltanto nei conidi di questa specie, ma anche in quelli di altre consimili, che cioè la germinazione spesso avviene per l'allungamento in tubo germinale dell’estremità assottigliata del conidio medesimo. Ciò può giustificare l’asserzione del Prof. Passerini, però l'estremità assottigliata se può prolungarsi in tubo di ger- 261 minazione, non lo è già ab origine. Quanto all’inserzione dei conidi sull’ifa è assolutamente indiscutibile che essi sono inseriti per la parte grossa, sono quindi obclavate. Ed è precisamente lo sviluppo quello che mostra colla maggiore chiarezza. e coi più minuti dettagli, che le cose si passano nel modo da me accennato. Ecco come esso avviene: All'estremità di una ifa, od in un denticolo esi- stente spesso presso l'estremità della ifa stessa, spunta una piccola vescichetta che a poco a poco ingrandendosi più in un senso che nell’altro acquista forma allungata. Verso la metà si divide con un setto. Nella parte superiore, che si allunga rapidamente, si formano nuovi setti, dei quali uno più deciso, separa dalla parte sottostante, con un leg- gero strozzamento della parete, una porzione tubulare, più o meno allungata, leggermente attenuata e con colorazio- ne debole che va gradatamente sfumando verso l'apice che si mantiene quasi jalino. Questa porzione, dirò così, quasi filamentosa può anche staccarsi a maturità, essa si divide con deboli setti trasversali variabili in numero, mentre nella parte inferiore pure compariscono dei setti trasversali più decisi. Circa i rapporti tra ifa e conidio si arriva alle mede- sime conclusioni esaminando il fungo ben maturo, appena raccolto, specie se ha soggiornato alquanto nell’acido a- cetico glaciale. E che i conidi devano essere inseriti sulla ifa per la parte più grossa, anche due sottili osservazioni lo com- provano e che non devono sfuggire a chi intraprende ri- cerche sopra simili argomenti. La prima è che la parte ingrossata di ciascun conidio va rapidamente assottigliandosi verso l’ estremità, inferiore diremo anzi meglio, verso la base, la quale è nettamente troncata in modo da presentare sicure vestigia di inserzio- ne, mentre la parte sottile termina piuttosto arrotondata, od in punta ottusa, ove si abbia l'avvertenza di non at- tenersi al primo conidio che cade sott'occhio, ma cercarne 262 uno di veramente sano ed intero. Poichè è cosa facilissi- ma invece che i conidi mostrino quest’ estremità troncata spezzandosi troppo agevolmente nella loro parte superiore, o perdendo l’intera porzione filamentosa. La seconda osservazione riflette lo sviluppo del coni- dio; cioè la parte inferiore del conidio, quella a contatto colla ifa fin dai primi momenti dello sviluppo del conidio medesimo ha un diametro trasversale superiore a quello che avrà l'estremità tubulare, insomma è più grossa di quest’ultima, nè è ammissibile quindi che vada poi asso- tigliandosi per assumere le dimensioni della regione er- roneamente considerata il fedzce/lo, tanto più che la sto- ria dello sviluppo dimostra il contrario, cioè che va sem- pre più ingrossandosi. Ma l'analogia stessa con quanto avviene, non solo in molte altre Cercospore (C. varzicolor, C. avicularis, C. Car- linae, C. Malvarum, C. althacina, C. acerina, C. gossy- pina, C. Api, C. Bupleuri, C. cruenta, C. brevipes, €. condensata, C. Demetriana, C. sordida C. Catalpae, C. Itesedae, C. canescens etc. etc.) ma pure in altri generi più o meno affini (f/elmznthosporium, Dendryphium, Sep- tonema, Alternaria etc.) milita in favore di questo mio modo di vedere. Ed esatta è l’asserzione del prof. Sac- cardo che a proposito della forma dei conidi di questa specie dice «corzdi:s obelavatis», come pure esatte sono le figure di Briosi e Cavara, le quali rappresentano i conidi inseriti per la parte più grossa. Ad eccezione dei ricor- dati, gli autori che trattarono del fungillo in discorso ( Vza- la, Ihuemen etc.) dopo del Pirotta ammisero le idee di quest’ ultimo. Rimane ora la questione del collocamento sistematico di questo fungillo. L'argomento venne parecchie volte di- scusso, ma ci sembra poter dire fin d’ora che sono da accettarsi le idee del. Prof. Saccardo che ritiene questo fungo una specie del genere Cercospora. Il Prof. Pirotta nel citato lavoro giustamente osserva 203 che il Léveillé collocò il fungillo «nel genere Sepfonema, il Cesati, il Passerini, ed il Saccardo dapprima nel genere Cladospor:ium. il Saccardo più tardi nel genere Cercospora e finalmente il Berkeley ed il Curtis ') nel genere Gra- phium». Ritiene però che non possa essere ascritto a nes- suno di questi generi, e lo trasporta ad //elm:nthospo- rium. L'esclusione dal genere Cercospora è fatta in se- guito all'idea che detto genere abbia «come carattere pro- prio le spore trasparenti ed incolore (hvalinae), ed in forma di lunghe setole». Però anche prima dell’ apparsa del lavoro del Pirotta esistevano parecchie Cercospore a conidi colorati (C. ferruginea Fuck. C. Vincetoxici Sacc. C. circumscissa Sacc. C. Rhamni Fuck. C. depazeoides (Desm.) Sacc. C. Majanthemi Fuck. etc.) e la stessa spe- cie sulla quale venne fondato il genere da Fresenius, (C. Apit) non ha i conidii perfettamente jalini. Mi sembre: rebbe quindi che più che del genere /e/m/ntosporium la specie di Léveillé presenti i caratteri del genere Cerco- spora. In Helminthosporium v'é un certo che di duro, di rigido sia nelle ife che nei conidi, il quale non si ri- scontra nella specie in discorso che per ife e conidi piut- tosto 77207 e delicati rientra nel genere Cercospora. Il Saccardo (Syll. IV, p. 631) considerò come specie a sè il Graphium clavisporum di Berkeley e Curtis, e l ascrisse al genere /sarzops:is. Il Thuemen, prima del Saccardo, aveva battuta la medesima via. Mi sembra però indiscu- tibile la riduzione fatta dal Pirotta, e. Graphium clavispo- rum ed Isariopsis clavispora devono rientrare nella si- nonimia della ‘Cercospora Vitis. Però non a detta specie deve ascriversi l'esemplare raccolto da Ellis a New. Jer- sey, e descritto e figurato da Thuemen sotto il nome di Graphium clavisporum (Thum. Pilze Weinstock. p. 177 1) Il Pirotta qui ed altrove scrive Berkeley et Cooke, però crediamo deva la citazione esser corretta nel modo da noi fatto, poichè le Notices of North An. Fungi, sono di Berkeley e Curtis, ed il Cooke non c'entra. 264 Tab. V, fig. 7). Le ife brevi, olivacee, i conidi cilindracei od a clava ristretta, olivacei e divisi da tre setti trasversa- li, designano, senza alcun dubbio la Cercospora Roesleri. Si asserisce da alcuni autori che lo stato ascoforo della Cercospora Vitis sia la Sphaerella Vitis. Una dimostra- zione basata sopra colture non è ancora stata data, per- ciò nulla si può assicurare di positivo. (n seguito alle suesposte considerazioni l’imbrogliata sinonimia del fungillo suddetto, verrebbe districata nel se- guente modo. Cercospora Vitis (Lèv.) Sacc. Septonema Vitis Lév Fragm. Mycol. in Ann. Sc. Nat. T*Ser: st PR ed6p2601 Cladosporiumi viticolum Cer. in Klotzch Herb. vivo myc. Ed. n 104% Sphaerella Vitis Fuckel (f. conidiophora) Symb. myc. p. 104 (nec Thuem.) Cladosporium ampelinum Pass. Erb. critt. It. Ser. II, n. 595. Graphium clavisporum Berk. et Curt. Not. Brit. Fun- i n. 619, (non Thuem.) Cladosporium Vitis Sacc. Micoth. Ven. n. 284. Cercospora Vitis Sacc. Micoth. Ven. n. 363. Fungi Ven. novi Ser. V, n. 159. Helminthosporium Vitis Pirotta Fungi Vit. p. 75. Thuemen. Pilze Weinstock. p. 75. Cladosporium viticolum Viala Mal. Vign. I, Ed. p. 250, tab. V, fig. 13-15, II, Ed. p. 210 II Ed. p. 365 Sorauer Hand. d. Pflanzenkrankh. p. 401. Cercospora viticola Sacc. Syll. Hyphom. p. 458. Isariopsis clavispora Sacc. l. c. p. 631, Comes. Briosi e Cavara Parass. Piante colt. fasc. V, n. 114. Dal Laboratorio di Botanica e Patologia Vegetale della R. Scuola di Viticoltura d' Avellino 12 Nov. 1892. 265 Studio anatomico di alcune ipertrofie indotte dal Cystopus candidus in alcuni organi del Raplanus raphanistrum. Nota di VITTORIO PEGLION. In una notevole rivista sopra le deformazioni delle Fa- nerogame causate dalle Crittogame parassite, il chiar.mo Prof. E. Rostrup '), fa la seguente premessa: «Les cham- pignons parasites sont en rapport de deux différentes ma- niéres avec leurs plantes nourricières. Il y a des cas où le protoplasma est €puisé, les cellules sont tuéés et se déco- lorent, la partie envahie de la plante périt. Il y en a d’au- tres où le parasite agit d'une manière stimulante sur le tissu cellulaire de la plante nourricière; il en risulte: ou une pullulation abnorme de cellules ou un agrandissement considérable de certaines cellules, ce qui produit les tran- . sformations hypertrophiéés ou métamorphose mycétogè- nes appelées en commun «mycocecidies». Fra i funghi capaci di promuovere la formazione di micocecidii è de- gno di nota, in qualche caso, il Cystopus candidus. Durante alcune escursioni nelle campagne di Avellino, ho avuto ben spesso occasione di raccogliere questo pa- rassita sopra un gran numero di Crucifere (/aphranus raphanistrum, Capsella Bursa pastoris, Reseda odorata, Diplotax:s tenuifolia, Sinapis arvensis, Brassica Rapa) non di rado associato alla Peronospora parasttica. Le piante colpite dal primo, presentavano in qualche caso una vegetazione anormale ed un aspetto caratteristico così da indurmi ad eseguire lo studio anatomico delle princi- 1) E. Rostrup. in Rev. Myc. 1886 p. 94. 256 pali alterazioni; a tale scopo mi servii unicamente del Raphanus raphanistrum che presentava più spiccata- mente e sovra un maggior numero di individui, gli effetti del parassitismo del Cysfopus. Allo studio anatomico, fo precedere alcuni brevi appunti sulle trasformazioni subìte dagli organi dal punto di vista morfologico ed in questo punto ho giudicato opportuno di ricordare mano mano le osservazioni che da vario tempo distinti scienziati hanno eseguito in proposito. Nelle descrizioni che di questo fungo vengono date dai fitopatologi e da’ sistematici, sono di solito notate soltanto le pustole o bolle biancastre sparse alla superficie di tutti gli organi aerei delle Crucifere e di alcune Capparidee, segnatamente sulle foglie e sui getti erbacei. Sopra i pecu- liari caratteri delle stesse ritengo quindi inutile insistere e passo alla descrizione delle alterazioni che ebbi occasione di osservare sopra gli assi di infiorescenza e sui varii organi fiorali di alcuni individui di Aaphanus raphanistrum. È noto che allo stato normale, l’asse di infiorescenza del /. raphanistrum è eretto, leggermente curvato ricco di ramificazioni laterali che si diramano con un angolo pressochè retto: queste ramificazioni sono altrettanti pe- duncoli portanti al loro apice un fiore dapprima e poscia una siliqua. In varii individui colpiti dal Cystopus can- didus, asse fiorifero corre uniforme per un certo tratto poscia va rapidamente ingrossandosi in modo abbastanza irregolare cosicchè mentre p. e. la parte normale ha un diametro di 1-2 mill., nei punti così ingrossati l’asse può raggiungere un diametro doppio; la superficie dell’ organo normale è liscia, lucente, leggermente striata; per effetto del fungo diventa scabrosa, screpolata, in qualche tratto pustolosa ed alla colorazione verde si sostituisce una co- lorazione bianchiccia o grigiastra. L’asse perde inoltre la direzione eretta e si contorce irregolarmente su sè stesso nei tratti ingrossati. In questa regione i peduncoli infe- riori si mantengono ancora inalterati, quelli successivi però 267 partecipano all’alterazione e diventano ipertrofici, in modo tale da raggiungere la grossezza dell’ asse principale il cui sviluppo in lunghezza viene contemporaneamente ad ar- restarsi in modochè il punto di inserzione del peduncolo sull'asse pare piuttosto debba considerarsi come una bi- forcazione dell’asse principale medesimo. Quando il fungo invade la sola parte apicale dell'asse, allora in seguito all'arresto di sviluppo in lunghezza, ed all’intenso svilup- po trasversale così dell'asse medesimo che dei peduncoli i quali si contorcono in modo irregolare, affastellandosi gli uni sugli altri i fiori terminali angor essi ipertrofici, ne deriva che la parte apicale dell’infiorescenza diventa ir- regolarisssima ed assume una forma a rosetta caratteri- stica. Di tali alterazioni morfologiche dell’ asse di infiore- scenza, parla così il Frank 1), «L’asse di infiorescenza ed i peduncoli fiorali nei punti dove il fungo fruttifica si in- grossano più o meno e s’incurvano in seguito ad accre- scimento in lunghezza inuguale nelle varie parti cosicchè i medesimi vengono in qualche caso a contorcersi in più giri su sè stessi». E alle medesime alterazioni accenna eziandio il Crié *) nel seguente brano «La rouille blanche des Crucifères se manifeste par des taches et des pustu- les blanches qui apparaissent sur tous les organes de ces plantes, les graines et les racines exceptées. On les trouve le plus souvent sur les feuilles, dans la partie supérieure de la tige, sur les pédicelles et sur les péricarpes: ces or- ganes sont souvent plus on moins déformés, gonflés, cour- bés. Les fruits rouillés peuvent étre trois fois plus grands qu’à l’état ordinaire. Ces phénoménes s’accompagnent de la présence du Cysfopus candidus ». Le alterazioni di cui è sede il fiore furono osservate anche da altri autori. Intanto è caratteristico il fatto ?) Frank. Die Krankheiten der Pflanzen pag. 414. ®) Crié. ‘Traité de Botanique pag. 1015. 268 che in quasi tutti i casi in cui esso è fortemente colpito tutti gli organi caduchi (sepali, petali, stami) più o me- no profondamente alterati nella forma, acquistano una durata non indifferente e non è quindi raro il caso di vedere la siliqua sufficientemente sviluppata circondata tuttora dalla corolla e dal calice in pieno stato di turgi- dezza. Ciò era stato già osservato dal Sorauer '); detto au- tore però non cita particolarmente gli organi fiorali, in- fatti egli osserva che gli organi colpiti non muoiono così presto come avviene in seguito allo sviluppo della P/y- tophthora e di alcune altre Peronospore, E del resto ciò è perfettamente regolare, e trova la sua spiegazione nel brano del Rostrup sopra riportato. I sepali qualche volta rimangono atrofici, ma spesso invece acquistano una lunghezza ed una spessezza inso- lite mostrando alla loro superficie sparse qua e lA le pu- stole caratteristiche del fungo. In pochi casi essi perdono i caratteri peculiari sepaloidei per acquistare invece l’ ap- parenza di appendici corolline; anche i petali mostrano in casi particolari d’infezione una marcata tendenza a re- trocedere assumendo forme sepaloidee abbastanza mar- cate e in qualche caso tanto le appendici corolline che le calicine tendono ad avvicinarsi, come forma, a foglie caulinari rimpicciolite: siffatti fenomeni di sepalodia e di petalodia sono ricordati dal Solla ?) il quale a tale ri- guardo nota «nei fiori avvengono spesso delle metamorfosi anormali, inquantoché alcuni fillomi od un verticillo di questi si metamorfizza sotto aspetto del verticillo prece- dente o del susseguente (fillodia, sepaloidia, petalodia sta- minodia, pistillodia‘. Esempi di questi casi si possono tro- vare qua e là su quasi tutte le piante erbacee e legnose: e devesi osservare che fillodie vengono prodotte non solo da condizioni di suolo ma molte volte anche da funghi 1) Sorauer. — Hand. der Pflanzenkrankh. *) Solla. — Note di Fitopatologia 269 (Cystopus nelle Crocifere ». E così il Rostrup !), scrive «Le Cvystopus candidus produit une grande hypertrophie dans beaucoup de Cruciféres; il peut donner naissance à de grandes pliques sur le Capse/la bursapastoris et j'ai vu les fleurs du Sirzapis arvensis qui devenaient larges 2 cm. !/ et toutes vertes». Osservazioni pressochè uguali riporta il Frank ?). Le foglie fiorali sono totalmente ingros- sate, il calice e la corolla sono verdi, ispessiti e carnosi. Le singole appendici corolline vengono di rado colpite in ugual maniera: nelle forti infezioni uno o due petali ac- quistano un enorme sviluppo, mentre che gli altri riman- gono atrofici; alcune volte però data la forte invasione del fungo e la delicatezza dei tessuti de’ petali medesimi avviene una specie di erosione nell’ unghietta cui segue il distacco della parte soprastante ed aliora il numero dei petali sebbene in fondo non sia stato alterato, all’ esame superficiale pare ridotto. I petali ipertrofici anzichè con- servare la forma caratteristica in cui la lamina è quasi ortogonale alla unghietta tendono a ravvolgersi su sè stessi e si increspano in varia guisa. Gli stami ordinariamente tetradinami si riducono in numero: in molti casi due si atrofizzano, in ogni caso cessano dal formare un androceo tetradinamo poichè i singoli individui acquistano uno sviluppo molto inuguale; nè sono rari i casi di petalodia, in cui cioè tendono ad espandersi nel filamento; nelle forti infezioni rimane il solo filamento il cui apice è eroso oppure ricoperto da una pustola di Cvystopus mentre la intera superficie del filamento è ricoperta dalle medesime traccie del fungo. Riferendosi a’ fiori di Capsella bursa-pastoris il Frank osserva 3): Gli stami, hanno un filamento, fortemente ingrossato, MRostrup, l. c >pPranlk- lc» “elirank 1. c, 270 spesso sono provveduti di antere manifeste per lo più mancanti di polline, oppure ne sono privi. Gli ovari sono degenerati in un corpo allnngato, verde, siliquiforme con- tenente ovuli sterili. Quasi tutti gli Autori fin qui citati ricordano le alte- razioni cui va soggetto il gineceo. L’ovario si sviluppa in un corpo siliquiforme a parete molto ispessita, priva delle caratteristiche striature e strozzature che si osser- vano nelle silique normali. La parete è ricoperta unifor- memente da pustole biancastre. Il diametro di questo or- gano è pressochè uguale così alla base che all'apice, il lume interno è uguale in tutta la lunghezza, ma è di molto ridotto; in alcuni casi il setto risultante dalla concrescenza del parenchima annesso alle due placente è siffattamente ipertrofico da otturare buona parte della cavità del frutto medesimo. Gli ovoli non sempre abortiscono. Invece il Frank riporta un caso da lui osservato nel seguente brano che trascrivo. Io trovai in un fiore di' (aphanus rapha- nistrum uno spiccatissimo ingrossamento della parte: l’o- vario era accresciuto in un corpo digitiforme, di circa O cm. di lunghezza: i semi non si mostrarono mai negli ovarii deformati, ed il fungo aveva quindi avuto per se- guito la sterilità dei fiori invasi». (Questa disparità dipende evidentemente dall'epoca in cui il fiore è stato invaso dal fungo, ed in fiori anche for- temente colpiti ho potuto osservare gli ovoli abbastanza bene sviluppati: è lecito supporre che in tale caso la fecondazione fosse avvenuta prima dell'invasione. Per por termine a questa parte ricorderò ancora che nella memoria dei proff. Comes e Celi sopra una malat- tia dei cavoli apparsa negli orti di Napoli '), viene accen- nato ad una memoria di Thyselton Dyer riguardante un’ i- pertrofia del fusto di Brassica nigra causata dal Cysto- !) Comes e Celi. — Sopra una malattia dei cavoli apparsa negli orti di Napoli 1878 p. s. 271 pus candidus, ma non mi fu dato di poterla consultare. Finalmente nella più volte citata opera del Frank trovasi la figura di un asse d’infiorescenza di Capsella bursapa- storîs invaso dal C. candidus. In detta figura si notano de- gl’ingrossamenti sopra l’asse ed un fiore il cui ginecco è fortemente ipertrofico. Degli altri Autori che si occuparono sia della biologia che della sistematica del genere Cvysto- pus, nessuno all'infuori del De Bary accenna alle iper- trofie che questi funghi possono causare. Il De Bary a tale proposito scrive che le crucifere intaccate dal Cysto- pus presentano dei ringofiamenti nei cauli e spesso dei mostruosi e colossali ingrossamenti nei fiori. Premesse queste osservazioni morfologiche passo allo studio anatomico In questa parte descrivo prima la strut- tura normale poscia a questa pongo in confronto la strut- tura dell'organo invaso dal parassita. E riguardo alle al- terazioni premetto che esse sono considerate puramente dal lato istologico non avendo avuto a mia disposizione materiale sufficiente ed adeguato per poter seguire lo svi- luppo delle alterazioni medesime ; per la medesima ragione sono stato costretto a limitare lo studio alle alterazioni dell'asse di infiorescenza e delle silique. Asse di infiorescenza Struttura normale La sezione trasversale dell'asse di infiorescenza si mo- stra costituita all’esterno da uno strato epidermico, cui tien dietro una zona parenchimatosa seguita a sua volta dalla ragione dei fasci, all’interno della quale è. posto il midollo. L’epidermide vista in sezione trasversale è formata da cellule tabulari, strettamente riunite tra loro e colla pa- rete esterna fortemente cuticolarizzata: qua e là si notano le aperture stomatiche che per la forma e pel contenuto 272 delle cellule limitanti si distinguono nettamente in mezzo alle cellule medesime. Tali aperture stomatiche mostrano la solita camera d’aria limitata dalle cellule di parenchima. Asportando un piccolo tratto di epidermide e esaminan- dolo al microscopio di fronte, si rivela formata da cellule fusoidee troncate a becco di flauto alla loro estremità; que- ste cellule sono strettamente a contatto le une colle altre le loro pareti non formano mai angoli rientranti ed il loro diametro longitudinale posto in direzione dell'asse mag- giore della rachide d’infiorescenza, è 4-5 volte maggiore del diametro trasversale. Qua e là sono sparsi gli stomi la cui boccuccia segue eziandio la medesima direzione del diametro maggiore delle cellule All’epidermide succedono varii strati di parenchima, clorofilligero ricco in granulazioni amilacee; il numero di questi strati varia molto a seconda della regione in cui viene condotta la sezione. Ma in ogni caso sono sempre formati da cellule a contorno rotondeggiante, a parete sottile limitanti degli ampi spazii intercellulari. In sezione longitudinale si mostrano piuttosto allungate ed il loro diametro longitudinale è in questo caso all’ in- circa due volte maggiore del trasversale. Lo strato più interno noto sotto il nome di endoderma o fleoterma è formato da un solo strato di cellule a parete leggermente ispessita, il quale si rende molto evidente qualora le sezioni siano state previamente trattate con acqua di iodio, nel qual caso i numerosi granuli di amido che si trovano allo interno di queste cellule colorandosi in bleu intenso for- mano una zona oscura che permette di seguire l’anda- mento di questo strato attraverso gli elementi che lo cir- condano. Queste cellule di endoderma presentano in se- zione trasversale una forma rettangolare o leggermente trapezoidale col lato di maggiore grandezza disposto se- condo il senso tangenziale. In sezioni longitudinali radiali, che abbiano subìto il medesimo trattamento con acqua di iodio l’endoderma si vede formato da cellule molto allun- 273 gate e relativamente ristrette. Questo strato presenta delle insenature e delle sporgenze in corrispondenza dei fasci. All’endoderma segue lo strato del periciclo: gli ele- menti che costituiscono questo strato sono alquanto dif- ferenziati; infatti nelle sezioni trasversali, immediatamente al disotto dell’endoderma nelle zone corrispondenti ai fa- sci si notano dei gruppi di fibre formati ora da un solo ed ora da due strati di questi elementi. Di questi gruppi fibrosi àÀvvene un numero vario a seconda della regione dell'asse in cui si eseguì la sezione, in alcuni punti ten- dono a ricongiungersi quasi a formare un anello continuo in altri invece tra l’un gruppo e l’altro decorre una di- stanza notevole. In ogni caso essi sono disposti in ma- niera da incurvarsi verso l'epidermide, cosi da aver una superficie interna concava o pianeggiante entro alla quale si trovano gli elementi del libro. Tutti questi gruppi fi- brosi sono trasformazioni parziali del periciclo che con- servasi allo stato parenchimatico tra un gruppo e l’altro trasformandosi in siffatta maniera soltanto in corrispon- denza dei fasci più o meno estesamente a seconda della regione dell'asse presa in esame. Immediatamente al disotto del periciclo trovasi la re- gione vascolare in cui è facile distinguere il libro esterno, il legno ed un libro interno La presenza di questo libro interno è stata anunziata dal Dannert segnatamente nelle Rafanee e nella Strapis arvensis fra le Crucifere. In se- guito ad accurate osservazioni il Borzì ha rinvenuto questo carattere in altre Crucifere Il libro esterno ha gli elementi cambiformi a contatto coi gruppi fibrosi suddetti, ed i vasi cribrosi caratteristici si possono studiare con maggiore agio nelle sezioni longitudinali radiali preventivamente trattate sia col bleu di anilina sia colla corallina legger- mente alcalinizzata. In tal modo si mettono in evidenza le caratteristiche placche cribrose. I vasi cribrosi sono racchiusi nel parenchima liberiano, formato da cellule a pareti sottili alquanto maggiori in diametro traversale 18 274 dei vasi stessi. Il parenchima liberiano si appoggia diret- tamente contro le cellule di sclerenchima oppure contro quelle di parenchima legnoso, qualche volta addirittura contro i vasi legnosi. Questi sono in numero vario riuniti tra loro da sclerenchima che risulta evidentemente dalla trasformazione del parenchima che esisteva dapprima in mezzo a’ vasi. La sclerificazione delle cellule si propaga eziandio agli elementi del parenchima interposto tra un fascio e l’altro cosicchè in ultimo viene a formarsi un anel- lo continuo di libriforme nel cui interno sono disseminati i vasi legnosi. La parte posteriore del fascio contiene al suo interno altri elementi floematici: questa regione si distingue net- tamente nelle sezioni trasversali trattate con cloruro di zinco iodato o con una sostanza colorante qualunque spe- cialmente eosina; in siffatte condizioni mentre la parte legnosa si colora fortemente ora in giallo ed ora in roseo, questa regione floematica rimane pressochè incolora, op- pure le pareti de’ suoi elementi acquistano una leggiera colorazione azzurognola quando si sieno trattate le sezioni con cloroioduro di zinco. Tali elementi hanno una sezione trasversale poligonale, e sono molto estesi in lunghezza contengono un grosso nucleo: il numero che di essi si può trovare ne’ singoli fasci varia;in alcuni fasci man- cano affatto o sono ridotti a due o al massimo tre ele- menti cambiformi mentre in altri occupano una gran par- te della regione legnosa ed allora ben spesso in mezzo ad essi trovasi qualche vaso spirale. Non sempre sono pre- senti i vasi cribrosij e a riguardo di tale fatto può ripe- tere quanto scrive il Borzì per i fasci di 5rasszea fru- ticolosa «Le condizioni di struttura del libro interno of- frono non di rado delle varianti segnatamente rispetto a’ rapporti numerici delle cellule cambiformi cogli ele- menti cribrosi. Così talora il tessuto suddetto è ridotto alle sole cellule cambiformi, altre volte i vari cribrosi ap- pariscono assai rari. Tali casi si riscontrano tanto sopra i 275 diversi fasci di uno stesso fusto o di fusti diversi di una medesima pianta, tanto su fusti di piante diverse. Essi sono certamente istruttivi poichè dimostrano la possibi- lità che il libro interno si riduca ai soli elementi cambi- formi e costantemente conservi questo carattere». In tutti i casi essi sono racchiusi nel parenchima legno- so che va a terminare gradatamente nel midollo i cui ele- menti periferici sono alquanto sclerenchimatici e gli altri hanno parete sottile, punteggiata, presentano una sezione più o meno rotondeggiante trasversalmente, rettangolare longitudinalmente con numerosi e ampi spazii intercellulari. Tale struttura si riferisce ad uno asse d’infiorescenza ben sviluppato quando tutti gli elementi sono ben bene differenziati ed è avvenuta la lignificazione non solo dei vasi spirali ma eziandio di buona parte del parenchima annesso a’ vasi legnosi. Riguardo allo sviluppo di queste varie parti gli accurati studi del Borzì sopra la Brasszca fruticolosa e prima ancora le ricerche del Dennert sulle Crocifere hanno posto in chiaro tutto quanto riflette l’ ar- gomento. Struttura dell’asse ipertrofico Le sezioni trasversali condotte nella parte mediana di un asse d’ infiorescenza invaso dal Cystopus si mostrano costituite nel modo seguente: L’epidermide ne’ pochi punti ove si mantiene tuttora integra, è formata da cellule più grandi delle normali, svi- luppate precipuamente nel senso tangenziale; la loro pa- rete esterna segnata da uno spesso strato cuticolare non forma già una curva regolare tendente alla circolare ma bensì una serie di curve sporgenti e riunite con angoli rientranti, dipendenti dalla forma fortemente convessa della parete esterna delle singole cellule le quali d’altron- de non essendosi in ugual misura sviluppate vengono a 276 sporgere più o meno dalla curva generale. Nelle parti fortemente invase è raro trovare questi tratti integri, per lo più l'epidermide è a brandelli, lacerata e rialzata dalle ife conidiofore che spuntano dal parenchima sottostante: in non pochi casi intere sezioni non presentavano traccia di epidermide, la periferia essendo uniformemente coperta da’ conidiofori. Anche dove ciò non avvenga, l’epider- mide mostra sempre una tendenza spiccata a distaccarsi dal parenchima: nei punti ove l’epidermide lacerata co- mincia a distaccarsi le cellule hanno dimensioni tangen- ziali di molto superiori alle circonvicine, qualche volta sono tre a quattro volte maggiori di queste. Le cellule stomatiche partecipano eziandio a questo ingrossamento, ed appaiono molto sviluppate in senso tangenziale; la ca- mera d’aria è ridotta in volume a causa dell’ ipertrofia del parenchima le cui cellule possono invadere comple- tamente questo vuoto. Asportando un piccolo tratto di epidermide e sottoponendolo all'esame microscopico, si vede che gli elementi anzichè serbare la forma fusoidea e la direzione abbastanza uniforme proprie dell'epidermide normale, si presentano invece ora rettangolari, ora roton- deggianti, sinuose etc. e così gli stomi hanno la loro boc- cuccia rivolta in una direzione quasi ortogonale alla di- rezione longitudinale dell'asse e non già uniformemente ma in guise diverse. Questi elementi subiscono le stesse alterazioni dell’asse, tendono cioè ad espandersi tangen- zialmente e trasversalmente a scapito dello sviluppo in lunghezza. Fatto consimile è stato già osservato nei ceci- dii di Picridium vulgare dal dott. Kruch ’) e negli acaroce- cidi del Pero dal Prof. A. N. Berlese. (Vedi /vv. Pat. p. 71). Il parenchima corticale donde si spiccano i conidiofori ha subito alterazioni importanti. Le cellule hanno tuttora pareti sottili e aderiscono abbastanza strettamente tra loro così da lasciare pochissimi spazi intercellulari, le dimen- !) Malpighia 1892 p. 358. 233 sioni sono però di molto aumentate. L’esame attento ri- vela poi la presenza tra cellula e cellula del micelio del fungo che vi s' insinua e decorre serpeggiando ed emetten- do a destra ed a sinistra nelle cellule limitrofe i ben noti austorii rotondeggianti; esso termina sugli strati paren- chimatici esterni dando origine a’ conidiofori al cui apice si formano la catenelle conidiali le quali esercitano una pressione continua sull’ epidermide inducendone l’innalza- mento seguìto dalla lacerazione. Le zone parenchimatose ove il fungo si predispone a fruttificare assumono l’aspetto dei punti ipertrofici delle foglie di Pero dove sono in via di formazione i concetta- coli fruttiferi delle Roestelie. Nelle cellule ingrossate si ac- cumulano numerosi granuli di amido che vanno poi len- tamente scomparendo mano mano che i conidiofori frut- tificano; l’acqua di iodio è un ottimo reagente per lo stu- dio di queste sezioni e permette di seguire le trasforma- zioni avvenute nel contenuto delle cellule prima, durante e dopo la fruttificazione di conidifori. L’ipertrofia non è uguale in tutti i punti del parenchima, sonvi de’ punti dove v'è quasi atrofia, e ciò specialmente nella regione interna degli assi incurvati dove l'epidermide è quasi a diretto contatto coll’ endoderma. L’endoderma ha un decorso irregolarissimo e le cel- lule che lo costituiscono non offrono affatto peculiari ca- ratteri che ne permettano sempre la identificazione. Seb- bene in molti punti mercè la presenza dei numerosi gra- nuli di amido al loro interno queste cellule possano di- stinguersi dalle circostanti, pure tale indizio diventa di nessun valore qualora si prendano in esame i punti ove si è formato un accumulo di amido. Ivi solo la posizione che esso occupa può costituire un criterio sufficiente per caratterizzarlo. In non pochi casi però è dato di poter costatare uno sdoppiamento di questo strato e ciò nei punti fortemente ipertrofici; le cellule sì nell’uno che nel- l’altro caso cessano dal conservare la forma rettangolare 278 e tendono ad uniformarsi alle circostanti, diventano cioè rotondeggianti, e come quelle aumentano fortemente in ITrOSSEzza. Il periciclo si comporta in diversa guisa: in molti casi gli elementi sclerosi risultanti dalla parziale trasformazione del periciclo medesimo sussistono tuttora sebbene però la loro parete sia molto meno ispessita, e non dia più reazione di lignina. La lignificazione in altri punti può osservarsi solo nelle pareti confinanti di due o tre cellule e si rivela al trattamento con cloroioduro di zinco. Altre volte al posto dagli elementi sclerosi subentrano delle grandi cellule a pareti sottili seguite dal lato interno da altre cellule che vanno sempre più rimpiccolendosi e nelle quali prende origine il libro esterno. Il periciclo così co- stituito s' interna negli spazii siti tra un fascio e l’altro in modo da riparare completamente il libro. Questa parte del fascio non addimostra alcuna alterazione evidente, nè in modo diverso appare spesso la parte legnosa. Senon- chè è facile osservare assi così fortemente ipertrotici da presentare quest’ ultima parte fortemente alterata: in siffatti casi il parenchima legnoso riunente tra loro i fasci, normalmente costituito esclusivamente da sclerenchima si addimostra invece costituito da elementi a parete sot- tili che non danno più reazione di lignina, salvo in qual che punto nelle pareti limitanti di due o più cellule. Que- sta degenerazione dello sclerenchima è molto irregolare, e qualche volta la scomparsa della lignina si verifica an- che nelle pareti dei vasi legnosi che allora si distinguono dalle cellule circostanti solo per la forma e la scultura della parete. La parte esterna del parenchima legnoso a diretto contatto del libro, presenta sempre più o meno intensamente questa degenerazione. Il libro interno non subisce di norma alcuna alterazione ed è tuttavia circon- dato dal parenchima legnoso i cui ultimi strati si fon- dono gradatamente cogli elementi midollari i quali sono fortemente ingrossati e presentano tuttora abbastanza spic- cato lo ispessimento della parete, massime quegli periferici. 279 Struttura normale della parete delle silique. È noto che il frutto delle Crucifere proviene da un ovario risultante da due carpelli laterali, aperti e concre- scenti in modo da formare un ovario uniloculare con due placente leterali. Una valva di siliqua ben sviluppata si mostra costituita in sezione trasversale da due epidermidi separate da parenchima in seno al quale sono compresi i fasci fibro-vascolari. L’epidermide esterna ha i suoi elementi alquanto dif ferenti da quelli già visti sull’ asse d’infioresceza. Nel caso presente le cellule sono molto sviluppate tangenzialmente, la loro direzione è poco uniforme ed il loro asse maggiore non sempre coincide coll’ asse longitudinale del frutto; gli stomi relativamente poco numerosi sono disposti irrego- lismente' colle ‘aperture dirette. in tutti i sensi Il pa- renchima che segue l'epidermide è nettamente differen- ziato a seconda della regione che esso occupa. Gli strati posti a contatto coll’epidermide sono formati da cellule rotondeggianti che si conservano tali anche negli strati success!vi, qualora si consideri la sezione della zona inter- posta fra due loggette successive del frutto. È noto che il frutto di /. raphanistrum è indeiscente, ma che giun- to alla maturità si spezza però in tanti articoli ognuno de’ quali viene in tal modo a costituire un achenio. La di- sarticolazione del frutto avviene per l’ appunto nelle zone poste tra una loggetta e l’altra, ed ivi come osservava già il Leclerc du Sabbon '), «la couche ligneuse ne se développe presque pas et la cavité du carpelle reste nulle; de sorte que dans une section transversale faite à travers la région du fruit qui sépare deux graines, on ne trouve 1) Leclerc du Sablon. Rech. sur la Déhisc. des fruits à péric. sec Ann. Sc. Nat. 1884. 280 que du parenchyme mou présentant de grandes lacunes, et au centre un tout petit massif de cellules lignifiées». Prendendo ad esaminare invece la sezione della parete di una loggetta, si vedrà che oltrepassati due o tre stra- ti di parenchima clorofillaceo amilifero compare una pri- ma zona di fasci fibro-fascolari dopo la quale il parenchi- ma si differenzia di molto dal precedente. Le cellule ac- quistano un forte sviluppo radiale e quelle che si trovano in corrispondenza dei fasci suddetti e di una seconda zona di fasci più interni, alterni a’ primi, si trasformano in fi- bre orizzontali che collegano la parte sclerosa dei fasci con un cercine scleroso posto a contatto immediato del- l'epidermide interna, costituito da vari strati di fibre: quelli più esterni sono formati da fibre curve orizzontali e addossati internamente a questi trovansi alcuni altri strati di fibre verticali che combaciano coll’ epidermide interna. La sclerificazione delle cellule parenchimatiche è limitata a quei tratti del frutto ove sono racchiusi i semi, manca assolutamente nelle parti interposte. Il parenchima interposto fra questi fasci fibrosi è formato da elementi grandi, irregolari, strettamente riuniti tra loro e che con- tengono numerosi cristalli aciculari o tabulari. L’epidermide interna è formata da cellule irregolari, schiacciate, è provveduta qua e là di aperture stomati- che disposte irregolarmente. In corrispondenza della re- gione placentare dove il cercine fibroso si raccorda e si fonde col fascio fibroso orizzontale, l’ epidermide interna non differisce gran fatto dall’ epidermide esterna salvo co- me è facile a comprendere, la mancanza del rivestimento cuticolare spiccatissimo negli elementi di quest’ultima. I fasci si possono distinguere a seconda che sono po- sti all’interno od all’esterno del cercine fibroso suddetto. Quest’ ultimi sono disposti secondo due zone concentriche ed in modo che i fasci dell'una zona occupino gli spazii compresi tra due fasci dell'altra. La prima zona segna il limite tra il parenchima ordinario e quello sviluppatosi 38ì radialmente, la seconda zona è posta più all’interno e giace in quest’ultimo parenchima i cui elementi in corrispoa- denza de’ fasci si rimpiccoliscono e formano uno strato di endoderma nettamente caratterizzato da’ numerosi granuli d’amido; l’endoderma è eziandio ben evidente nella zona di fasci posta più all’esterno: in ambedue i casi tale tes- suto non forma un anello continuo ma è presente soltanto in corrispondenza dei fasci. I fasci posti all’interno della zona sclerosa sono i fasci placentari in numero di due op- posti diametralmente; sono limitati internamente dall’ e- pidermide interna contro alla quale viene ad appoggiarsi un certo numero di strati (1-2) di parenchima formato da elementi a pareti sottili, irregolari, ricco di lacune, mol- to simile al parenchima spugnoso della foglia. Questi fa- sci placentari non presentano endoderma e gli elementi del libro sono ridotti massime nella parte superiore del fusto a pochi elementi cambiformi frammisti alla parte legnosa. Il parenchima placentare nei tratti interposti fra due loggette si sviluppa da ambe le placente e incontran- dosi nel mezzo viene a formare un setto costituito da due o tre strati di cellule. Nella parte apicale del frutto può suc- cedere che tale setto si sviluppi altresì in grossezza ed allora tende ad obliterare il lume della siliqua. In questo breve studio della valva del apRranus mi furono di gran giovamento le ricerche del Cave, del Kraus e del Leclerc du Sablon, ma non potei però consultare le opere del Fournier e del Dennert, riflettenti l'anatomia delletCruaceifere, Passo ora alla descrizione delle alterazioni che si no- tano nel frutto invaso dal Cysfopus: riguardo all’epider- mide v'è da notare soltanto che gli elementi sono molto ingranditi, hanno forma e disposizione ancor più anormale ne’ pochi tratti ove si può osservarla integra, poichè anche in questo caso è facile che lo sviluppo uniforme de’ co- nidiofori lungo l’intera superficie ne abbia indotto la ca- duta completa. Il parenchima che segue offre la medesima 282 struttura in qualunque sia la parte del frutto presa in e- same. Esso è formato da un numero vario di cellule a pareti sottili, ricco di spazii intercellulari entro ai quali scorre il micelio del fungo che s’insinua tra una cellula e l’altra emettendo numerosi austorii. Tali cellule sono piene di granuli di amido, massime negli strati più esterni da’ quali si spiccano i soliti conidiofori. L'apparato mec- canico così sviluppato nelle valve in corrispondenza delle loggette è totalmente scomparso, al suo posto è subentrato il parenchima amilifero che non si distingue per alcun peculiare carattere dal circostante salvo in pochi punti ove alcune pareti confinanti di due o più cellule poste in corrispondenza dei fasci danno tuttora una leggiera rea- zione di lignina. In mezzo a questo parenchima indifferen- ziato, giaciono i fasci che sono disposti ora su d’uaa zona unica. I tratti di endoderma così bene caratterizzati nel frutto normale sono scomparsi o meglio non si possono più distinguere per i caratteri nè di forma nè di conte- nuto cellulare. Il libro non è più riparato esternamente dal gruppo di fibre liberiane in contatto coll’endoderma; esso giace in mezzo al parenchima, dal quale si distingue per la piccolezza de’ suoi elementi in mezzo a’ quali raris- sime volte si può notare qualche placca. I vasi legnosi che seguono sono aumentati in numero e tendono a di sporsi in senso radiale, giaciono in mezzo al parenchima legnoso i cui elementi a pareti sottili si fondono gradual- mente nel parenchima amilifero circostante. Anche in que- sta regione del fascio è scomparsa ogni traccia di lignina, gli stessi vasi legnosi non sempre si mostrano lignificati massime ne’ frutti fortemente invasi. Questo parenchima amilifero si continua invariato fino ad incontrare l’epi- dermide interna i cui elementi sono bene sviluppati e per- fettamente simili a quelli dell'epidermide esterna; anche in questo tessuto capita non di rado di osservare delle lacerazioni dovute allo sviluppo de’ conidiofori di Cysto- pus che in tal caso rivestono la parte interna della siliqua. 283 Merita uno speciale riguardo la regione placentare, in cui il parenchima annesso al fascio per un processo mol- to intenso di moltiplicazione de’ suoi elementi forma un corpo cellulare che tende ad otturare in qualche tratto il lume della cellula. Il setto in seguito all’esteso sviluppo avvenuto in tutti i sensi non è più rettilineo ma è ripie- gato su sè stesso. Tutta questa regione è ricca di gra- nuli di amido, ed il micelio del fungo vi è eziandio ab- bondante, e non di rado fruttifica allo interno del setto placentare così ipertrofico, inducendo delle lacerazioni più o meno estese nell’epidermide interna che lo ricopre. Il fascio placentare giacente in questo parenchima è costi- tuita da un numero di vasi lignosi molto maggiore che non nelle condizioni normali e disposti radialmente, nella parte rivolta verso l'interno della siliqua esso è formato da un gruppo di elementi piccolissimi che ricordano gran- demente gli elementi liberiani dei fasci posti nella zona più esterna. Le sezioni longitudinali mostrano infatti questa regione composta da elementi cambiformi in mezzo ai quali sonvene alcuni provvisti di placche cribrose che si possono mettere in evidenza col bleu di anilina. La co- stituzione del fascio placentare è adunque opposta a quella degli altri inquantochè la parte più interna del fascio an- zichè legnosa è liberiana. Nè parmi improbabile che sif fatto libro derivi dalla moltiplicazione dei pochi elementi liberiani i quali nel fascio placentare normale sono fram- misti ai vasi legnosi. Mi prometto di verificare ciò non appena potrò disporre di nuovo e più abbondante mate- riale di studio. Sebbene questo organo, come anche l’asse d’infiorescenza siano fortemente ipertrofici ericchi del mi- celio del fungo, pure non vi ho mai trovato le oospore sebbene il Frank dica «Alle hypertrophirten Theile des Bliitenstandes enthalten in Meuge die Oosporen ». Forse ciò si riferisce a organi ipertrofici ma più sviluppati di quelli che io ho presi in esame. Anche questo fatto è da chiarirsi unitamente alle alterazioni anatomiche cui vanno soggetti 384 gli stami, la corolla, ed il calice. E tale studio spero di poter proseguire nell'estate venturo quando potrò procurarmi materiale adeguato e più abbondante; inoltre spero allora di trovare i micocecidii di questo parassita sopra altre Crucifere e ritengo che uno studio comparato delle alte- razioni subite da varie piante permetterà di stabilire con maggior precisione quali siano gli effetti che il Cystopus candidus causa nei tessuti delle piante ospiti. Dal Laboratorio di botanica e Patologia vegetale della R. Scuola Enologica di Avellino. Gennaio 1893 285 Sopra uma nova malattia fungina del Leecio Nota di A. N. BERLESE Già fin dall'autunno 1891 ebbi a notare in un piccolo esemplare di Quercus Ilex esistente in un giardino di A- vellino, delle macchie di secco nelle foglie. Un primo esa- me microscopico mi rivelò la presenza di alcuni funghi saprofiti, per cui fui sul punto di ritenere quelle altera- zioni piuttosto dovute a cause meteroriche che ad una azione parassitaria. Però non abbandonai lo studio e de- terminai alcuni punti di controllo nelle foglie e nei rami sani, per constatare se la malattia avrebbe progredito ed in caso quale decorso avrebbe avuto. In seguito a tale disposizione mi fu agevole constatare che le alterazioni continuavano con un decorso di tal natura da far sospet- tare che realmente si trattasse di malattia parassitaria. E già nell'autunno passato il male si era propagato all’al- tro unico leccio del giardino sito a più di dieci metri di distanza dal primo. È singolare il fatto che le invasioni piu forti avvengono durante il tardo autunno, od in inver- no e che in pochi giorni un gran numero di foglie presen- ta i caratteristici sintomi del male. Potei constatare che dopo 8 10 giorni dall’infezione di foglie sane, queste mo- strano già le macchie di secco sopra ricordate, e riesce pu- re visibile il parassita. Onde determinare con qualche esat- tezza l'andamento della malattia, e la rapidità d’infezione, ebbi cura di far mondare nel passato novembre i due Lecci dalle foglie ammalate, lasciando delle stesse uno scarso numero in ogni individuo. Fu asportata dal giardino la 286 parte levata. Or bene dopo quindici giorni ambedue gli albe- relli erano ancora largamente invasi dal parassita, e non poche foglie erano letteralmente coperte di macchie. Que- sta sollecita riproduzione del parassita mi venne il dubbio potesse essere determinata da miceli perenni che si anni- dassero nei rami. Però e le ricerche microscopiche e l’ an- damento dell'infezione escludono che in questa specie i miceli (come accade in altri ascomiceti, invadano gli or- gani legnosi della pianta conservando per molto tempo la loro vitalità e riproducendo ogni anno la malattia. Pri- ma di tutto, come in appresso dirò, l'esame microscopico mi mostrò che l'infezione in foglie sane avviene sempre per sporidi, in secondo luogo ciò è comprovato anche dal fatto che allorquando in un ramo una foglia viene intac- cata, lo sono in seguito tutte le circostanti appartengano esse a quello o ad altri rami anche inseriti in regioni lon- tane dal punto d’inserzione del primo ramo. Questo ca- rattere della malattia riflette l'andamento per così dire accidentale della disseminazione delle spore piuttostochè la esistenza di miceli perenni nell'interno dei rami, e la con- seguente manifestazione dei corpi fruttiferi. Poi l’ esame microscopico non mi segnalò mai l’esistenza di miceli in organi sani, mentre le aree bene circoscritte invase dal micelio indicano senza alcun dubbio altrettante regioni nelle quali avvenne l’infezione dal di fuori. Il parassita non intacca mai le foglie giovani dell'annata bensì si sviluppa in quelle mature dell’annata precedente. Così è facile ve- dere in un rametto tutte le foglie inferiori fortemente mac- chiate, mentre le superiori appartenenti ai nuovi getti, sono perfettamente sane. Il contrasto è molto appariscente Al cadere dell'inverno però comincia ad invadere anche le foglie dell’annata. Le macchie compariscono da prima isolate, hanno un contorno rotondeggiante, non di rado sono circolari, in seguito però accrescendosi ed aumentando anche di nu- mero e fondendosi insieme, diventano angolose. Sono 287 sempre nettamente limitate da un margine rosso-bruno, mentre esse hanno il colore di foglia morta. Abbondano in tutte le regioni della pagina fogliare, ma dalle osser- vazioni mi risulta che a lungo andare, per successive in- fezioni, l’intero margine fogliare si dissecca. La foglia al- lora non conserva sana che una zona longitudinale al di qua ed al di là della. nervatura mediana, mentre i mar- gini completamente disseccati si accartocciano verso la pagina inferiore, si screpolano, indi i tessuti necrosati si disorganizzano e la foglia presenta delle erosioni che dal margine si spingono più o meno profondamente verso la nervatura mediana. Le foglie però non cadono. Siffatte al- terazioni succedono nel tardo autunno, e nell'inverno do- po chè un lungo periodo di piogge ha favorito la decompo- sizione dei tessuti necrosati. Durante l’intero anno le foglie colle loro macchie si conservano intere, c continuano a funzionare nelle parti sane colla precedente regolarità non mostrando alcun sintomo di sofferenza. L’azione del micelio è violenta in quegli elementi coi quali viene a contatto; gli altri (almeno dall’ esame microscopico) anche prossimi, non sembrano risentire alcun danno. Dal tessuto malato al sano v'è un limite netto anche dal lato anatomico, e in tagli trasversali condotti in una foglia in qualche regio- ne infetta, si vede che dal tessuto normale si passa ab- bastanza bruscamente a quello ammalato, cioè il tessuto della macchia è limitato da una zona di sette ad otto strati di cellule del tessuto fogliare, le quali sono ripiene di una sostanza omogenea rosso-bruna. Non soltanto hanno siffatto contenuto le cellule dello spugnoso e del palizzata, ma ancora quelle delle duc epidermidi. È questa zona quella che si palesa all’esterno sotto for- ma di linea di confine rosso-bruna della macchia mede- sima, e che, a mio credere, agisce come i tessuti di rimar- ginamento. In seguito all'energia direzionale determinata dal disseccamento degli elementi della macchia, la fascia suddetta è soggetta ad una trazione verso il centro della 288 macchia stesso, e non è raro il caso osservare in tagli trasversali come essa sia piegata ad arco colla convessità rivolta verso il suddetto centro e non di rado anche stac- cata parzialmente dal tessuto sano. Le cellule che com- pongono questa zona-limite sono pure morte, ma non sono così rattrappite come quelle della macchia, bensì hanno quasi le loro dimensioni normali. Ne segue che mentre la macchia è leggermente infossata, cioè ha uno spessore inferiore a quello della foglia sana, la zona limite raggiun- ge lo spessore di quest’ultima ed è quindi leggermente rialzata sul piano della macchia medesima. Al centro delle macchie, quando queste sono bene svi- luppate si scorge un certo numero di puntini neri, va- riabile a seconda della grandezza delle macchie. Sono i periteci del parassita. Talvolta è un solo peritecio che occupa la macchia (forse altri sono in via di formazione, poichè questi organi non si formano contemporaneamen- te) altre volte sono due, tre, quattro o più, ma non mai tanti da superare di molto la decina. Prima di passare alla descrizione del parassita, espon- go brevemente i caratteri del tessuto ammalato. Non v’è alcuna distruzione di elementi fogliari, soltan- to là dove si formano i periteci, in seguito all’accresci- mento rapido di questi, vengono notevolmente compressi prima gli elementi circostanti del palizzata, indi quelli dello spugnoso, e distrutti per l'abbondante micelio serpeggiante tra gli stessi, il quale si accresce più rapidamente nelle prime fasi di sviluppo dei periteci medesimi, e quando già il tessuto fogliare non presenta più la resistenza del sano. Allorchè è avvenuta la penetrazione del micelio nella compagine fogliare, e man mano che questo ramifican- dosi ripetutamente si insinua tra cellula e cellula, ed in- di ne attraversa anche le pareti, si notano delle modifi- cazioni nel contenuto fogliare. Il primo a scomparire è l’amido man mano che si forma; il corpo protoplasmati- co viene a poco a poco distrutto, e la clorofilla pure in- 289 giallisce indi si decompone. Più lungamente resistono i nuclei, i quali pure si vedono in cellule già da tempo spo- gliate dal parassita degli elementi nutritivi che contene- vano. Nelle regioni dove il micelio ha meno abbondante- mente invaso il tessuto fogliare, si vedono ancora le so- stanze intracellulari parzialmente almeno conservate. Il corpo protoplasmatico è parietale, soltanto poche e sottili briglie attraversano il cavo cellulare. Anche i corpi clo- rofilliani ed il nucleo sono portati alla parete della cellula e fortemente ad essa aderiscono. È da notare il fatto che l’aspetto delle cellule morte, e del contenuto delle stesse designa uno stato di estrema secchezza, piuttostochè una distruzione in seguito all’azione del micelio. Infatti nelle grandi macchie, si hanno regioni nelle quali (specie le periferiche) invano l’ osservatore ricerca i miceli del fungo. Pure i tessuti sono morti non solo, ma fortemente contratti; il corpo protoplasmatico è interamente parie- tale, i corpi clorofilliani alquanto ingialliti sono pure pa- rietali, avvolti dal protoplasma, e così fortemente addos- sati alla parete da essere spianati nel punto di contatto. Nè si possono dalla stessa separare ridando il turgore alle cellule, insomma quegli elementi cellulari hanno tutti i caratteri di un tessuto che ha subito una rapida e vio- lenta plasmolisi. Le pareti cellulari sono imbrunite, il lume cellulare notevolmente diminuito, frequenti gli strappi nel lacunoso, e nel palizzata cosicchè non di rado si incon- trano cellule squarciate. I medesimi elementi meccanici dei fasci sono talvolta un pò sformati, e per quanto lo permette la loro compatezza, hanno le pareti ritratte. L’impoverimento d’acqua è la conseguente alterazione della parete cellulare sono i caratteri che primi spiccano e pei quali le macchie hanno il colore della foglia mor- ta e sono fragilissime, tanto che per sezionarle rendesi necessaria una prolungata immersione nell’alcool. Mi pare dover escludere che l’azione dei miceli del fungo suddetto sia da paragonarsi a quella dei miceli di varie poliporee, 19 200 constatata dall’ Hartig, in seguito alla quale conviene ammettere la secrezione di un liquido speciale da parte dei miceli, liquido di una determinata azione chimica sui tessuti legnosi. All’ esame microscopico la parete delle cel- lule fogliari delle macchie non presenta alterazioni visi- bili, soltanto è alquanto imbrunita. e più imbrunito è spesso il protoplasma adossato alle pareti medesime. Dissi che l'infezione ha luogo sempre per sporidi. In- fatti potei più volte constatare la germinazione di questi organi alla superficie delle foglie. Avviene, come pei fun- ghi in genere, nell'acqua, quindi si nota allorchè la foglia è bagnata. Gli sporidi didimi all'atto dell’ uscita dal pe- ritecio sono circondati da un leggero strato di muco. A- deriscono facilmente alle foglie e nemmeno il vento an- che forte può staccarli. Si appiattiscono nel punto di con- tatto e formano quell’ appressorium notato da Frank e da altri. Li riscontrai aderenti alla pagina superiore delle foglie anche in sezioni condotte attraverso a foglie che era- no rimaste per parecchi giorni nell’alcool. In coltura cellu- lare germinano dopo 12 ore anche ad una temperatura di 7°-10° c. Il tubo miceliale proveniente dallo sporidio non ser- peggia alla superficie della foglia (come è il caso di parec- chi altri funghi) in cerca di uno stoma, ma perfora diret- tamente la grossa cuticola, la parete sottostante della cellu- la epidermica e si annida nel cavo cellulare. Ivi si accresce e si ravvolge su se stesso, od emette delle bollosità, in mo- do da riempire totalmente la cellula. In seguito si colora in bruno. Non è raro il caso in una sezione vedere parecchie cellule epidermiche ripiene di questo micelio, talchè sarei indotto a ritenere che mantenendosi sempre nel piano dell'epidermide si diffondesse da cellula a cellula andan- do a costituire quella specie di crosta -stromatica che nel linguaggio della sistematica si traduce coll’ espressione e- pidermide nigrefacta o nigrescente, e di cui sono provve- duti non pochi funghi foliicoli tra cui specialmente le Gnomonia, Gnomoniella, Hypospila etc. al qual gruppo, 20I dal lato vegetativo, il nostro fungillo appartiene. Certo è che dopo la formazione di questa crosta stromatica, o di questi noduli miceliali, il micelio s' accresce ancora e spin- ge dei rami nel palizzata i quali o vanno a formare nuovi noduli miceliali sotto l'epidermide, in guisa da rinforzare la crosta suddetta, oppure, come più frequentemente ac- cade, si spingono tra cellula e cellula, serpeggiando tra epidermide e palizzata, regione da loro preferita e dove quindi si trovano più copiosi, depauperando le cellule circostanti, indi man mano anche le più lontane, del loro contenuto liquido, e determinando, a poco a poco, l’ alte- razione del corpo protoplasmatico, della clorofilla, e del nucleo medesimo. Quando il micelio si è bene sviluppato, e presenta quindi una vigorosa vegetazione, passa a for- mare i corpi fruttiferi. Da rami collocati costantemente sotto l'epidermide o tra le cellule del palizzata prende origine un gomitolo periteciale nei modi indicati per la gran parte dei Pirenomiceti. Non v’è forte differenziamen- to in anteridio ed ascogono, non vi è un atto sessuale. Si forma un nucleo periteciale da filamenti grossi molto ri- frangenti che continuamente si accrescono intrecciandosi, indi questo nucleo si riveste con filamenti più sottili i quali ben presto si differenziano in tessuto ricoprente. Si formano cioè tre-quattro strati di preudoparenchima ad elementi poligonali dei quali i più esterni si colorano in bruno, ed ispessiscono le loro pareti. Questi elementi e- sterni mettono capo ad un gran numero di filamenti di calibro variabile, serpeggianti, sinuosi, settati, oscuri che invadono tutto il parenchina fogliare per un raggio ab- bastanza esteso. Il peritecio cosi costituito ha forma per- fettamente sferica, passa dalla trasparenza al colore gial- lo-verdastro, indi fuliggineo, è perfettamente astomo, e trovasi costantemente al di sotto dell'epidermide, senza che all’esterno ne sia rivelata la sua presenza. Man mano che si sviluppò andò esercitando una pressione sempre maggiore sul circostante tessuto fogliare, però le cellule 202 della compagine fogliare, spogliate ed attraversate dal- l'abbondante micelio che va al peritecio, si rompono, in seguito anche agli stiramenti cui sono soggette dal pro- gressivo disseccamento di tutto 1l tessuto della mac- chia, e finiscono col cadere distrutte e cedere lo spa- zio al peritecio che va man mano aumentando di volu- me. Terminata la formazione dello strato avvolgente, e mentre il nucleo periteciale va riassorbendosi, il peri- tecio nella sua parte superiore continua a svilupparsi, e cioè seguendo determinate energie direzionali le cellule dello strato interno danno origine ad una papilla la qua. le si accresce sempre più ed esercita una pressione sem- pre maggiore sull’epidermide. I setti radiali di questo tessuto si stracciano e le pareti superiori colla cuticola si sollevano grado a grado, sino a che si rompono nel pun- to di massimo sforzo cioè a contatto del collo periteciale, e questo esce all’esterno. Bene sviluppato il collo perite- ciale raggiunge in lunghezza o di poco oltrepassa, il dia- metro del peritecio medesimo, ha forma conica, ed una tinta nerastra simile a quella del peritecio. Non di rado è obliquo. Talvolta però non è capace di rompere la pel- licola epidermica assai resistente e si ripiega quindi al di sotto della stessa assumendo una direzione più o meno obliqua, la quale ricorda quella di certe /ypospz/a, Gno- monia etc. Il canale ostiolare, largo alla base del collo, va sempre più restringendosi verso l’apice di questo; le cellule basilari del collo hanno forma e dimensioni simili a quelle dello strato avvolgente, però verso l’alto si al- lungano sempre più, cosicchè le superiori hanno quasi l’aspetto di fili. Il condotto ostiolare è riccamente accom- pagnato da perifisi formanti angolo di più in più acuto coll’asse longitudinale del collo medesimo, man mano che si trovano più in alto. Intanto il nucleo periteciale è scomparso, e si è for- mata una cavità tappezzata da cellule piccolissime, ia- line, ricche di plasma. Quelle giacenti sul fondo danno 293 origine ad aschi clavati, quasi sessili, nell’ interno dei quali per divisione parziale del corpo protoplasmatico si for- mano otto sporidi ovoidi, alquanto allungati, un pò cu- neiformi bicellulari, jalini, i quali per rottura della parete ascale si portano all esterno. Non ho notata in questa specie una vera ejaculazione vivace come si osserva anche in qualche altra congenere '). Da quanto dissi prima, risulta che questi sporidi sono atti a germogliare subito. Ho cercato accuratamente se esistevano forme coni diche e spermogoniche, e quindi assoggettai il fungo a colture cellulari in gelatina al fimo. Quanto a forme sper- mogoniche, alcuni dati mi fanno sospettare che la P/y/- losticta Quercus-Ilicis ne sia una. Questa specie forma macchie identiche nelle foglie della stessa pianta. L’os- servai frequente in varie località (Giardino Boboli, Firen- ze, Parco reale di Portici etc.) Raramente la rinvenni unita allo stato ascoforo. Le colture cellulari mi diedero fin qui lo stato conidico. Della metagenesi di questo fungillo mi occuperò in altro lavoro, allorchè avrò terminate le col- ture stesse. Così pure circa ai danni non ho da dire gran cosa, prima di tutto per la natura della pianta invasa, che tutto al più è boschiva o boschivo-ornamentale, e secondaria- mente perchè il parassita recò fin qui alle piante osser- vate danni insignificanti. In qualche caso il collo ostiolare non è bene svilup- luppato, talchè si potrebbe sospettare di aver a che fare con una Sphaerella. Tale giudizio certamente emette chi si attiene ad un esame preliminare del fungo senza ricor- rere al metodo tanto dimostrativo, e non mai sufficiente- mente raccomandato delle sezioni degli organi periteci- geri. Io ottenni buonissimi risultati da sezioni al microto- mo di materiale rimasto parecchi giorni nell’alcool a 94, \{WWedi Frank. I. c. 294 sezioni che lasciai poi per 2-3 giorni in una soluzione di cloralio al 10°/, indi passai alla glicerina. Con simile trat- tamento potei constatare la presenza di un deciso collo ostiolare, e quindi anche in seguito a quell’accenno a cro- sta stromatica più sopra ricordato ritengo si tratti di una Gnomontia. In questo genere e nell’affine Gromonziella abbiamo specie parassite tra le quali una dannosa è la G. erythrosto- ma della quale tanto diffusamente si occupò il Frank in parecchi lavori. Per una misura precauzionale confrontai i caratteri del nostro fungillo oltre-chè con quelli che presentano le Gnomonia, Gnomoniella ed affini, anche con quelli delle numerose specie di SpRaerella. Se la nostra specie è stata prima trovata sopra altra matrice, ed ascritta per errore di osservazione al genere Sphaerella, io non lo saprei di- re, poichè in tal genere parecchie specie esistono che presentano caratteri simili alla nostra, però per la mag- gior parte sono saprofite. Del resto per il genere Sphae- vella è summopere necessaria una revisione critica, onde sieno stabiliti nettamente i tipi specifici, e non sieno i mico- logi obbligati a far delle specie nuove continuamente delle quali il migliore carattere differenziale e spesso quello di essere state rinvenute in una matrice nuova. Riusciti vani i tentativi di identificazione del mio fun- gillo ad una delle specie note, propongo la specie come nuova e la chiamo Gromonia, Quercus -Ilicis. Chiudo la presente nota coll’offrire la frase diagno- stica latina della specie suddetta, e le osservazioni circa le affinità che questa specie presenta colle congeneri. Gnomonia Quercus-Ilicis Berl. Foliicola; maculis arescentibus, rotundato - angulatis, margine rufo-brunneo, vix inflatulo cinctis, primo sparsis dein confluentibus, magnitudine variis nempe 3-0 vu. latis, confluendo saepe longioribus; peritheciis in quaque macula ) paucis raro uno vel duobus, saepius 3-7, haud frequens 295 8-10 vel amplius, globosis, sursum in collum crassum dia- metrum perithecii aequante vel paulo superante, saepius productis, molliusculis, membranaceis, epiphyllis, minutis, 109-110 .. diam., ascis saccato-clavulatis, basi in stipitem brevissimum, nodulosum productis, tunica crassiuscula praeditis, 45 50 « 12-16 aparaphysati, octosporis; sporidiis subdistichis, oblongis, vel subcylindraceis, h. e. lenissime cuneatis, medio uniseptatis, paulo constrictis, parte supe- riori vix maiore 20-24 = 7-8 hyalinis. Hab. 2n pagina superiore foliorum Quercus Ilicis « A- vellino Italiae australis». Foliis noxiaj ascorum sporidiorumque facie, Sphaerel- las in mentem revocat. Quoad perithecia Gromonia. In linea gen-rale differisce dalle specie note per la pic- colezza dei periteci. Qualche affinità però l’abbiamo. Tra le quercicole possiamo notare la G. errabunda dalla quale differisce principalmente per la mancanza di ostioli exert?, per gli sporidi settati verso la metà non alla base, e per intaccare foglie vive. La G. suspecta e la G. lirelliformis in grazia di sporidi molto stretti, sono ben differenti !). La G. setacea poi non può essere paragonata per gli ostioli assai allungati. Per la stessa ragione vengono escluse an- che altre specie (G. ischnostyla, G. Veneta, G. amoena, G. camptostyla etc.) le quali, sebbene non quercicole, per altri caratteri presentano qualche affinità. Anche la G. erythrostoma, di cui come dissi largamente si occupò il Franck, e che è una specie veramente parassita, ha qual- che punto di contatto colla nostra, ma non si può però a parer mio, con questa identificare. Dal Laboratorio di Botanica e Patologia vegetale della R. Scuola Enologica di Avellino. 3 Febbraio 1893. 1) Per la G. suspecta si consulti anche Winter Dic Pilze II, p. 5£4, dove esistono segnate dimensioni tratte dall’ esemplare fuckeliano. 206 PICCOLE COMUNICAZIONI Una nuova malattia del melone cagionata dall’ Alternaria Brassicae f. nigrescens Nota del Dott. VITTORIO PEGLION Nei decorsi mesi di Agosto e Settembre ho avuto occasione di 0s- servare un anormale ed esteso dissecamento nelle foglie dei meloni coltivati nel podere annesso alla R. Scuola Enologica di Aveilino; non avendo riscontrata in questa malattia alcuna affinità con quelle già conosciute, ne intrapresi lo studio ed i risultati di esso riassumo brevemente nelia presente nota. Sulle foglie giovanissime poste alle estremità dei getti, la malattia comincia ad appalesarsi sotto forma di puntini giallo-ocracei sparsi sul parenchima; mano mano che la.foglia cresce questi puntini si al- largano formando delle macchioline rotondeggianti di color marrone oscuro che si va sfumando verso gli orli. Le macchie crescono rapi- damente in superficie ed in numero, sì che non è raro il caso in cui esse vengono quasi a contatto l’ una coll’ altra occupando l’ intera su- perficie della foglia, che dissecca completamente ed acquista un co- lore bruno. Fra due macchie confluenti rimane sempre una. zona di parenchima ugualmente disseccato ma che limita e permette di di- stinguere nettamente la macchia. All’occhio nudo queste mostrano semplicemente i peli caratteri- stici della maggior parte delle cucurbitacee i quali spiccano in bianco sul fondo bruno della macchia; osservando con una lente abbastanza forte, in mezzo a’ peli si scorgono dei filamenti sottilissimi capitati, neri che partono dall’epidermide. Essi si possono più facilmente os- servare sopra le macchie ben sviluppate, tanto alla pagina superio- re che alla pagina inferiore della foglia. | Questi filamenti all’ esame microscopico, si mostrano costituiti da pedicelli piuttosto raccorciati, quasi sempre semplici, di color olivaceo sui quali s'inseriscono delle spore fusoidee con uno degli apici forte- mente allungato, settate più volte longitudinalmente e trasversalmente e di colore marrone tendente all’ olivaceo. L'ultimo articolo apicale 297 6d i due ultimi sonò molto allungati si che quando la spora è stac- cata dal conidioforo, e ciò succede molto facilmente, I’ apice così al- lungato si può a prima vista confondere col pedicello medesimo. Le dimensioni delle spore variano da’ 60-85 w in lunghezza e da’ 15-20 in larghezza. Sulle macchie vecchie di norma si trovano i soli pedicelli, ma ba- sta porre le foglie in una camera umida per ottenere dopo 12-24 ore a secondo del grado di umidità e temperatura un abbondante frutti- ficazione nelle zone occupate dalle macchie. In questo caso, come anche nel caso in cui si coltivi il fungo in un adatto substrato, le spore si dispongono a catenella, e le singole catenelle si possono di- stinguere chiaramente col semplice esame della macchia con una lente abbastanza forte. Il colore delle spore differisce da quello delle spore di «Alternaria Brassicae; ed invero queste hanno un colore olivaceo chiaro laddove la forma da me rinvenuta sui meloni nell’ Avellinese ha delle spore di colore marrone fosco in alcuni casi fuliggineo. Credo quindi oppor- tuno distinguerla dall’ Alternaria Brassicae tipica istituendo una for- ma che propongo di denominare Af/t. Brassicae f. nigrescens, indicando in tal modo Ja differenza più saliente fra questa e la forma tipica. Tale distinzione mi è parsa tanto più opportuna inquantochè ho potuto stabilire confronti fra questo fungo |’ A. Brassicae e I° A. Bras- sicie Var. macrospora che trovai quasi contemporaneamente alla pre. sente sui cavoli. Tutti questi caratteri uniti a quelli desunti dall'analisi microsco-. pica permettendomi di ritenere questo esempiars riferibile all’ Aler- naria Brassicae (Berk ) Sacc. ed istituendo come dissi, forma nigrescens n. f, trascrivo la frase diagnostica latina: Hyphis brevibus, continuis, brevissime ramulosis apice aequalibus, coespitulosis; conidiis super impostis cito deciduis, fusoideo-clavatis 60-80 = 14-18, initio continuis, tandem 6-8 septato-muriformibus, brun- neis vel fuligineis, Habitat in maculis aridis foliorum Cucumis Melonis prope Avellino. Ab A. Brassicae differt colore conidiorum. Nella Revue Mycologique (1886, p. 93) il Letendre ed il Roume- guère descrissero una nuova specie di A/fernaria, che distinsero col nome di A/lernaria Cucurbitae, rinvenuta sopra le macchie di secco sparse alla superficie delle foglic dei meloni coltivati e di essa danno la. se- guente diagnosi: 298 Hyphes courts rapprochés, dressés, subsimples bruns: conidies'la- geniformes fragiles (peu persistantes sur le support) olivacées, varia- bles de taille et mesurant en moyenne: 60-68 v 8-9 |. Detti autori limitano a questo le osservazioni riguardo a questa specie nè accennano menomamente se dessa sia di natura parassi- taria o saprofitica. Le dimensioni delle spore specialmente il diametro trasversale non permettono di identificare le specie del Roumeguère e Letendre colla forma da me rinvenuta in Avellino. Seminando le spore di questa A/ternaria in gelatina al mosto esse germinano rapidamente ce dopo 24 ore dalla semina i filamenti hanno già raggiunta una certa lunghezza. Questi filamenti sono dapprima incolori, c sono costituiti da tanti articoli raccorciati e ristretti agli apici sì da dar all’ intero filamento un aspetto toruloso caratteristico la membrana si va lentamente imbrunendo e ne’ punti d’ incontro de- gli articoli si accentuano le strozzature ed il micelio rassomiglia a quello delle Fumago o alle Torule. Lo sviluppo dei filamenti è rapidis- simo, cosicchè in meno di 48 ore dopo la semina, la goccia nutritiva è completamente invasa ed ha assunto un aspetto feltraceo ed una colorazione bianco-sporca che passa successivamente al brunastro indi al nero per l’ avvenuta formazione dei conidi. Di questi alcuni conservano la forma caratteristica della A/ternaria, ma altri perdono l’ articolo allungato, hanno un maggior numero di setti longitudinali ed assumono tali caratteri da essere perfettamente riferibili al genere Macrosporium. Ed a tale proposito trovo perfetta- mente spiegabile l’opinione del prof. Saccardo che alla diagnosi della Alt. Brassicae aggiunge: cfr. Macrosporium Brassicae: questa specie è stata trovata in foliîs caulibus et siliquis dejectis Brassicae. Ora se le fo- glie di Melone sulle quali si è sviluppata 1° Al. Brassicae var. nigrescens si pongono in camera umida dopo un certo tempo (3-5 giorni) osservando al microscopio i filamenti che si trovano sulle macchie già occupate dall’ A/ternaria, molto spesso si trovano spore che per le dimensioni ed i caratteri morfologici sono da riferirsi al .Macrosporium Brassicae )). L? Alternaria Brassicae var. nigrescens continua però a svilupparsi anche in quelle condizioni, può adattarsi quindi alla vita saprofitica. Fatto questo moito importante poichè può spiegare il ripetersi della malattia 1) Nella pregevol. pubblicazione «I funghi parassiti delle piante coltivate od utili i proff. Briosi e Cavara danno questa specie come identica all’ A/{. Brassicae e ne mettono il nome in sinonimia. 209 nelle mellonaie. È noto che quando i meloni hanno cessato di ma- turare le frutta o poco prima, le piante o si sovesciano o si portano in concimaia; in ogni caso vengono a trovarsi nel terreno o nel concime sempre in condizioni tali da permettete una abbondante frutti- ficazione all’ Alternaria che vi visse già da parassita. Quindi a prevenire con sufficiente efficacia la malattia sarà bene non adibire le piante di melone a concime nè a sovescio, ma sarà necessario bruciarle. Ho riprodotto molto: facilmente la malattia sopra le tenere foglie di melone seminando alla loro superficie delle spore in goccioline di acqua e mantenendole in un ambiente umido. Allo scopo mi sono servito deila camera umida che adoprasi di solito in simili ricerche. Dopo 4-5 giorni dalla semina delle spore, ad una temperatura media di 26-25° C. ho ottenuto sulle foglie medesime le macchie caratteri- stiche della malattia. Riguardo all’ A/fernaria Brassicae trovata già parassita assai dan- nosa dci cavoli, della Coc/earia ecc. non mi fu dato di riscontrare alcun trattamento da consigliarsi come curativo o come preventivo, ritengo quindi che la pratica su proposta cioè l’ abbruciamento sia il metodo più efficace per prevenire abbastanza bene le mellonaie da questo parassita. La Ruggine dell’ Endivia (Puccinia Prenanthis) Comunicazione del Dott. V. PEGLION Fra le numerose specie di Puccinia che vivono parassiticamente sopra le piante della famiglia delle Compositae, merita speciale riguardo la Puccinia Prenanthis che, sviluppandosi sulla Endivia (Cichorium Endivia), vi produce la malattia no'‘a comunemente sotto il nome di Ruggine del Endivia. Ho avuto occasione nel decorso settembre di osservare nci din- torni di Avellino interi quadrati di Endivia completamente distrutti da questa crittogama, il cui sviluppo è stato oltremodo favorito dalle con- dizioni climateriche. Ed invero in detto mese vi furono frequenti ed abbondanti pioggie, seguite da giornate calde e da rugiade fortissime. 300 condizioni tutte, tali da permettere un largo diffondersi delle malattie crittogamiche. L’ aspetto che presentano le piante invase dalla Puccinia Prenanthis è molto caratteristico: di norma le piante, giunte al periodo della fio- ritura emettono uno stelo alto da’ 60-70 cent. piuttosto abbondante- mente ramificato e ricco di foglie ben sviluppate ed espanse. Quando sono ammalate, esse restano nane: solo nel caso, in cui esse sieno invase tardivamente, raggiungono un’altezza di circa 30-40 cent,; gli internodi sono raccorciati, la ramificazione è molto limitata, le foglie sono impiccolite, contorte e riunite a rosetta verso l’ apice dei rami; raramente avviene l'emissione dei fiori, per lo più le piante muoiono prima di fiorire. Lo stelo e le foglie sono fittamente ricoperti da pun- tini neri, rotondeggianti, a superficie convessa, che abbondano sulle parti giovani della pianta; questa dissecca lentamente nella parte aerea mentre il sistema radicale marcisce sì che riesce molto difficile l’ estirpazione completa di una pianta ammalata. Quando l’intera pianta è disseccata nel posto de’ puntini neri surricordati si trovano delle incavazioni che segnano le zone occupate già da’ medesimi. L’ esame microscopico della sezione di quel tratto di stelo occu- pato da macchia, dimostra come queste sieno costituite da un fitto insieme di spore biloculari di colore marrone-scuro, sostenuto da pedicelli sottili e ialini che poggiano alla ler volta sopra un denso strato pseudoparenchimatico che occupa la regione sotto epidermica e penetra fin quasi al midollo. Le spore sporgono al difuori della epi- dermide lacerata, che viene a ricoprire gli orli dalla pustola così for- mata. Il danno maggiore viene cagionato alle piante coltivate per il seme ed è in questo caso che ho osservato la malattia nell’ Avellinese. Del resto come dissi già il danno è stato tanto più sentito in questa an- nata inquantochè la stagione ebbe un decorso caldo-umido favore- volissimo allo sviluppo ed alla diffusione delle crittogame in genere. A prevenire il male nell’anno venturo sarà utile bruciare accura- tamente le piante morte per effetto di questo fungo e ciò fare prima che le spore che esse portano negli steli e le foglie abbiano avuto agio di disseminarsi. Una scrupolosa scerbatura delle aiuole, special- mente in riguardo alle composite selvagge (Senecio vulgaris, Taraxacum officinale, Cichorium Inthybus, Prenanthis muralis etc.) sulle quali questa spe- cie di Puccinia vive ugualmente, contribuirà a prevenire abbastanza efficacemente la malattia. 301 Rassegna di lavori di Teratologia e Patologia vegetale. Briosi. L’avvizzimento dei germogli del Gelso (in Bollettino di Notizie agrarie 1892, n. 20). Da diverse località dell’Italia settentrionale (Pecile di Udine, Vigarolo, Veronese, Emilia ecc.) giunsero nella scorsa primavera al Laboratorio Crittogamico di Pavia dei rami di Gelso i cui ger- mogli erano parte avvizziti, parte secchi addirittura. Sul primis- simo stadio del loro sviluppo i germogli avvizziscono e le foglie si accartocciano e disseccano diventando nere. Ciò si avverte più spesso nei germogli che si trovano alla base di un ramo di un anno od anche di due o più anni, anzichè nei superiori. L’estremità poi del ramo d’ordinario dissecca per intero. Nei germogli colpiti dal malore si osservano delle macchie nere o lividure alla base, che si estendono poi al rimanente germoglio come pure al ramo da cui esso trae origine. L'esame microscopico dimostrò che esistevano delle al- terazioni dei tessuti nelle regioni necrosate alterazioni che consistono in modificazioni varie del contenuto cellulare, come scomparsa della clorofilla negli strati erbacei e nel mesofillo, imbrunimento del plasma e della membrana. Nessun carattere parassitario, poichè i miceli tro- vati si riferiscono con ogni probabilità ad un fungo saprofita (Gi- berella moricola). Il Prof. Briosi dopo aver esclusa l’azione parassitaria, si domanda quale può essere stata la causa del male, e da alcune considerazioni sul modo con cui apparve la malattia, e sui caratteri che presenta, viene alla conclusione doversi rintracciare la causa delle suddette alterazioni nell’influenza di agenti meteorici sfavorevoli, cioè repentine variazioni ossia sbalzi forti di temperatura, forti freddi che hanno sorpreso le piante nel periodo di loro germogliamento, alter- nati a giornate caldissime. Come rimedio il Prof. Briosi consiglia un’abbondante potatura, e l’asportazione dei rami offesi. Ora mi permetto alcune considerazioni. Sul finire dell’ Aprile 1884 si sviluppò nei gelsi di alcune località dell’Italia settentrionale una nuova malattia, che il Prof. Passerini !) 1) Passerini La nebbia dei Gelsi (Estratto dal Comizio Agrario parmense, n. 5 1884 e n. 6 1882. 302 chiamò nebbia dei Gelsi. Consiste essa nell’ essiccamento e nella corru- zione dei giovani germogli, nonchè deì rametti di un anno. Esami- nando questi teneri germogli, si vede che l’essiccamento principia al loro apice e scende poi in basso alle foglie ed ai rami. Ben presto le foglie appassite disseccano completamente ed anneriscono; il ra- moscello di un anno tien poi dietro, in un tempo più o meno lungo alla sorte dei germoglî e si essicca od almeno si annerisce nella zona cambiale. Il prof. Saccardo ?) nello stesso anno osservò alla base dei germogli abbrustoliti, delle gallerie le quali non erano prodotte da insetti, ma da una distruzione dei tessuti ammortizzati, fenomeno non molto raro in germogli che vengono uccisi da una causa repentina e che indi ri- mangono sotto l’azione del sole per parecchio tempo, così da presen. tare un aspetto abbrustolito. Anche una Phoma osservò il suddetto Prof. Saccardo, ma giustamente l’ascrisse ad epifenomeno dell’altera- zione. Il Passerini invece trovò il Fusarium urticearum la Dothiorella Mori, ma sono saprofiti, come saprofiti sono (almeno in questo caso)la P/es- spora herbarum, la Phoma herbarum, il Cladosporium herbarum notati sui detti germogli dal Prof. Cugini ?) che pure ebbe agio di esaminare detta malattia. I Sigg. Penzig e Poggi 3) studiarono pure questa alterazione ed escludendo ragionevolmente qualsiasi azione parassitaria, esposero l'opinione che la malattia in discorso fosse prodotta da uno squilibrio fra l’evaporazione dalla parte aerea e l'assorbimento d’aqua dalla parte sotterranea, poichè, attesa la secchezza del suolo, non corrispose al- l’evaporazione delle foglie un sufficiente assorbimento radicale. Questa opinione sarebbe appoggiata dal fatto che secondo i suddetti autori nell'inverno 1884, si ebbe un’ eccessiva secchezza del terreno (non avendo piovuto che scarsamente dal Dicembre all’ Aprile) accompa- gnata poi da bellissime e caldissime giornate di Aprile. Queste svi- lupparono rapidamente le gemme dei Gelsi, le quali non essendo sc. guite nei fenomeni del loro sviluppo da un sufficiente assorbimento radicale, dovettero appassire. 1) Saccardo Una nnova crittogama dei Gelsi (Bollett. di Bachicolt. di Padova n. 4 (1884). 2) Cugini Intorno ad alcune malattie comparse nel 1884 su varie piante colti- vate (Giorn. Agricolt. Ital. Anno X, fasc. 120-121-1884). 3) Penzig. e Poggi La malattia dei Gelsi nella primavera del 1884 (Boll, Bachic. di Padova) 1884. n 4). 393 Ora noi ci domandiamo: quale relazione corre tra lc alterazioni osservate e descritte dal Prof. Briosi in quest'anno, e quelle osser- vate dal Passerini, dal Saccardo, dal Cugini, dal Penzig e dal Poggi nel 1884? I caratteri delle due malattie si corrispondono, poichè in ambe- due si tratta di essiccamento di giovani germogli e di rami. Le cause influenti pure sembra sieno le medesime (agenti metcorici). La attuale malattia potrebbe anche esistere fin dal 1884 poichè il Prof. Briosi avendo notato le suddescritte alterazioni anche in rami di parecchi anni, viene alla conclusione che esse rimontino a qualche primavera addietro. Certo è che sembra nel giusto il chiar. Prof. Briosi am- mettendo che questa malattia sia prodotta da influenza sfavorevole degli agenti meteorici, come sembra del pari assai verosimile che a tale causa vada ascritta l'alterazione osservata nel 1884, ed è da escludersi in tal modo l’azione parassitaria, conclusione questa alla quale io arrivo anche da mia esperienza personale desunta da studi speciali sull'argomento. Prof. A. N. BERLESE O. Kruch. Studio anatomico di un zoocecidio di Picridium vulgare (In Malpighia. Anno V, fasc. VII[-XII) Il materiale di studio venne raccolto a Carroceto in provincia di Roma nel 1887. I zoocecidi che vennero sottoposti allo studio, inte- ressavano un tratto maggiore o minore dello scapo fiorifero ‘del Pi- cridium ‘vulgare, e si presentavano come rigonfiamenti più o meno estesi e sviluppati. Prima di parlare delle anomalie di struttura pre- sentate da questa pianta nella regione in cui si era sviluppato il zoo- cecidio lA. dà brevemente la descrizione della struttura normale dello scapo fiorale del Picridium vulgare, indi passa allo studio della struttura presentata dal zoocecidio. L’epidermide del zoocecidio ha elementi più ampii di quelli della normale in taglio trasversale. Inoltre offrono mi- nor regolarità nella loro disposizione. Nell’organo normale le cellule epidermiche appariscono di dimensioni presso a poco eguali fra loro, a sezione rettangolare col diametro maggiore nel senso radiale. In cor- rispondenza al zoocecidio le cellule suddette si mostrano di differenti dimensioni e per lo più sono maggiormente sviluppate nel senso tan- genziale. L’esame microscopico ed il confronto delle due epidermidi, mostra che nel ramo normale gli elementi cellulari sono disposti col loro asse maggiore nel senso dell’asse dello scapo, mentre nelle cel- lule dell’epidermide del zoogecidio l’asse maggiore è secondo la pe- 304 riferia del rigonfiamento. Eguale spostamento succede in generale per le cellule stomatiche. Il fleoterma, che è bene distinto nel ramo fiorifero normale, subi- sce nel zoocecidio parecchie modificazioni, per cui non è facilmente caratterizzabile nè in sezione trasversale, né in sezione longitudinale da ciò succede che la distinzione tra cortèccia e cilindro centrale non è netta. I laticiferi si trovano comunemente disposti fra elementi pa- renchimatici che in generale sono fortemente ipertrofizzati ma però essi non hanno subito che un leggero aumento di dimensioni, talvolta qualche ramo si spinge nel senso tangenziale anzichè avere un per- corso esclusivamente longitudinale come nello scapo sano. Spesso gli elementi cellulari disposti tra i laticiferi assumono fortissime dimen- sioni, e lignificano debolmente le pareti. I fasci fibro-vascolari man- tengono la medesima distribuzione, soltanto è di molto aumentata la loro superficie di sezione. Ciò è prodotto specialmente dal maggiore aumento raggiunto dagli elementi del cordone meccanico destinato a proteggere il floema, e di quelli che si trovano a formare nello scapo normale una o due file sclerenchimatiche alla punta vascolare dei fa- sci xilematici come pure degli elementì intervasali. I tubi cribrosi pure e le cellule annesse, hanno dimensioni maggiori di quelli normali, non così le trachee più interne dei fasci principali che hanno presso a poco la stessa grandezza delle normali. Le cellule del midollo contribuiscono all'aumento in volume del zoocecidio poichè si accre- scono notevolmente in dimensioni hanno poi le pareti debolmente ispes- site, e subiscono pure una notevole moltiplicazione. In queste cellule si trovano le larve dell’animale. L’autore in seguito alle particolarità osservate nella struttura del zoocecidio, viene alla conclusione che nella formazione di esso non vi è origine di tessuti nuovi bensì modificazione nella forma dei tessuti esistenti nell’organo normale, congiunta ad una leggera mol. tiplicazione degli elementi di alcuni di essi. In generale sembrano poi rispettate le funzioni proprie a ciascun tessuto. Soltanto si nota una riduzione del sistema destinato a compiere le funzioni di soste- gno e di protezione !). Cuboni G. — Anomalie fiorali del Co/chicum autumnale (In Bull. Soc. l) Fatti analoghi vennero da me trovati nei fitoptocecidi del Pero (Vedi A. N. Berlese La fitoptosi del pero. Rivista di Patol. Veg. anno 1 p. 91). 305 Bot. It. 1890, n. 1). — I casi teratologici osservati si riferiscono alla forma ordinaria che fiorisce copiosamente dovunque nei prati all’ autunno. L’A. studiò due mila fiori di Colchico dei quali mille raccolti in un prato vicino a Trobaso a 280 m. sul livello del mare ed altri mille in un altro prato del comune di Caprezzo a circa 700 m. d’altezza. Nel primo migliajo erano 84 i fiori irregolari, nel secondo 60. Le ir- regolarità osservate si possono raccogliere in 5 categorie cioè: 1.° Diminuzione oppure aumento del numero normale degli organi componenti il fiore. 2.° Coesione dei tepali cogli stami. 3.9 Staminodia dei tepali. 4.° Petalodia degli stami. 5.° Deformazione degli stami. Le anomalie più frequenti sono quelle della prima categoria. L’A. nel dubbio che le alterazioni fossero determinate dall’ azione di Acari parassiti, come in altri casi succede, cercò colla maggiore accuratezza se nei fiori mostruosi si rinvenissero Phytoptus, ma non potè trovarne in nessun caso. Le cause di questa annomalia sono quindi ancora sconosciute. Massalongo O.— Sulla scoperta in Italia della Calyptospora Goepper- tiana (In Bull. Soc. Bot. It. 1892, n. 4). Questa specie fu rinvenuta dall’ Ab. Carestia sul Vaccininm Vitis-Idaea nei dintorni di Riva-Valdobbia. L’ A. riassume brevemente il ciclo evo- lutivo di questo parassita e viene alla conclusione che in Italia esi- sterà anche lo stato ecidiosporo noto sotto il nome di Peridermium co- lumnare. Fa osservare che questa specie ancora non fu trovata in Ita- lia, poiché i saggi pubblicati al n. 46 dell’Erb. critt. Ital. erroneamen- te sotto il nome di Peridermium columnare spettano invece all’ecidio di una specie di Chrysomyxa al quale appartengono pure gli esemplari esistenti nell’ Erbario dell’A. e raccolti dal Bérenger nelle alpi del Cadore. Cuboni G.— Osservazioni anatomiche sugli acini d’ uva disseccati dal «Mal del secco » (In Bull. Soc. Bot. Ital. 1890 in. 2). L’A. ha ese- guito delle osservazioni microscopiche negli acini colpiti dall’ insolazio- ne, ed ha trovato che mentre negli acini sani le cellule degli strati sottostanti all’epidermide contengono numerosi granuli d'amido mi- nutissimi e sempre inviluppati dai corpi clorofilliani, e disposti intorno 20 306 alla parete cellulare, nelle regioni imbrunite degli acini ammalati le cellule stesse sono ripiene di granuli d’amido assai più grossi, non più avviluppati dai corpi clorofifliani, ma disseminati in tutta la massa protoplasmatica. L’A. non ha constatato se questi granuli grossi sieno di neoformazione, oppure derivino da quelli piccoli sparsi nel plasma i quali si osservano nelle cellule sane. Inoltre lA. ha potuto riprodurre artificialmente il male in 15-20 minuti concentrando i raggi solari con una lente sopra un punto dell’ acino. Il Prof. Pirotta espresse l’ipo- tesi che questi granuli avessero potuto formarsi in seguito ad una sovrageccitazione prodotta nella funzione della clorofilla; sovraeccita- zione determinata dalla prima impressione dei raggi molto intensi. Certo è che la troppo intensa illuminazione rallenta o sospende la- zione della clorofilla, per cui la sovraeccitazione, come osserva il Prof. Pirotta, deve aver avuto luogo prima del rallentamento. Sicco- come le ustioni furono ottenute dal Prof. Cuboni in 15-20 minuti, e siccome l’azione dei raggi concentrati è energica sin da principio ne consegue che il rallentamento nella funzione clorofilliana deve essere stato anche pronto assai, ed i granuli d’ amido devono aver raggiun- te quelle notevoli dimensioni con fulminea rapidità. Massalongo O. — Sulla scoperta della Taphrina coerulescens in Italia (In Bull. Soc. Bot. it. 1890, n. 2). Fu trovato questo micete dal Prof. A. Goiran nel Veronese. Secon- do descrizioni dell’ A. il fungillo produce sulle foglie infette delle mac- chie secche irregolari color di ruggine, le quali osservate con una lente ordinaria, dalla parte della pagina inferiore mostransi come co- perte da una fitta peluria dovuta ai numerosi aschi del parassita. Gli aschi mancano di cellula basilare bene sviluppata. L’A., contraria- mente a quanto dicono gli autori che trattarono di questa specie, (Montagne, Desmaziéres, Sadebeck) non osservò mai sulle foglie, in corrispondenza delle macchie causate dal micete, veruna depressione, alcuna sfumatura di color ceruleo. Colla ricca sinonimia di questa specie, lA. chiude la sua nota. R. Pirotta. — Sopra alcuni casi di mostruosità nell’ Joniopsidium acaule (In Nuovo Giorn. Bot. Ital. Vol. XXIII n. 3). Le anomalie riguardano la fusione di due o tre fiori, e assai più frequentemente l'aumento nel numero dei carpelli e presentano i se- guenti casi che riportiamo integralmente. 307 1. Fusione totale dei peduncoli dei due fiori. Il peduncolo è grosso un po’ più di due normali fusi insieme, e non è cilindrico come il nor- male, ma un po’ schiacciato nel senso antero-posteriore. Gli ovari sono dimeri nei due fiori; però l’uno di essi è sulla linea di continua- zione dell'asse fiorale, l’altro è respinto da un lato. 2. Fusione totale dei peduncoli di due fiori. Peduncolo come so- pra, ma più largo e più compresso. Dei due fiori, uno è ad ovario di- mero, l’altro ad ovario tetramero; di essi il primo è respinto da un lato. 3. Fusione totale dei peduncoli di quattro fiori. Il peduncolo è as- sai grosso e compresso. I fiori sono tutti ad ovario tetramero; ma di essi uno è respinto da un lato, gli altri tre sono fusi insieme in un corpo unico, che presenta dodici sporgenze o costole currispondenti alle dodici logge degli ovari riuniti. In tutti i casi la fusione dei peduncoli è realmente totale perchè i fasci vascolari sono sempre disposti in una cerchia, in una serie o in gruppo unico. 4. Ovari trimeri. Sono molto frequenti e si riscontrano nella stessa pianta insieme ad ovari normali. Le tre logge dell’ovario sono per- fettamente simili fra loro nella maggior parte dei casi, e tutte fertili; talora però una è più piccola ed allora di solito sterile. s. Ovari tetrameri, Sono meno numerosi dei precedenti, ma tut- tavia abbastanza frequenti. Anche in questi ovari le logge sono di solito simili fra loro e tutte fertili. In seguito lA. fa una lunga dissertazione per dimostrare che se è facile in generale spiegare il caso di un aumento di carpelli nello stesso verticillo per semplice loro divisione nel caso di ovarii fatti dalle sole foglie carpellari, non è così facile per quello delle Croci- fere nelle quali il gineceo dimero è formato di quattro parti, cioè di due foglie carpellari laterali sterili, e di due corpi o pezzi intercalati ad esse, più o meno estesi, antero-posteriori, fertili. Massalongo 0. — Mostruosità osservata nei fiori di Jasminum gran- diflorum (In Nuovo Giorn. Bot. Itall Anno XXIV, n. 1). Si tratta di so- stituzione di androfilli al gineceo, infatti in luogo del gineceo, lA. os- servò un fascetto di stami. In un medesimo fiore lA. potè contarne fino 21; essi sono pressochè identici a quelli propri alla specie, però in numero di 4-5 coi loro filamenti diventavano verso la base con- crescenti, dando così origine a delle espansioni laminari le quali ac- 208 cartocciandosi a guisa di guaina, dall'esterno all’interno reciproca- mente si abbracciavano.I filamenti degli androfilli più centrali erano liberi, ed inseriti sul prolungamento dell'asse fiorale. l'A non crede che questo caso teratologico si possa spiegare colla metamorfosi in stami degli elementi del quarto verticillo fiorale prima di tutto per- chè il numero degli elementi teratologici non corrisponderebbe a quello dei carpofilli ed in secondo luogo perchè non gli venne mai fatto d’osservare delle forme di passaggio tra gli uni e gli altri organi. Massalongo O. — Intorno ai fiori doppi di Dahlia variabilis (In Nuo- vo Giorn. Bot. Ital. Vol. XXIII n. 1). La produzione di fiori doppi, rara nelle Asteracee, sarebbe prodotta nella Dahlia e nella Gaillardia Drum- mondii da degenerazione degli stami in cinque lamine petaloidee. Nella Dahlia però VA. constatò che la duplicazione può effettuarsi in con- seguenza di pleotassia della corolla. Massalongo C. — Sull’ alterazione di colore dei fiori dell’ amaranthus retroflexus infetti dalle Oospore di Cystopus Bliti (In Bull. Soc. Bot. ital. 1891). L’A. ha osservato che allorquando il Cystopus Bliti ha formate le oospore nelle infiorescenze di Amaranthus retroflexus, queste pren- dono una tinta rossastra più o meno intensa. Le oospore facilmente possono liberarsi dai tessuti matricali che ad onta dell'infezione si mantengono turgidi. Nelle foglie invece le regioni affette e piene di oospore, disseccano, L’A. ammette come ipotesi che il diverso com- portamento delle oospore rispetto alla diversità della pianta possa essere in relazione ad un loro diverso modo di disseminazione, cioè le oospore sviluppate nelle foglie possono venire disseminate per mez- zo del vento in seguito allo staccarsi dalla pianta delle parti di iamina fogliare infette. Le oospore poi che invadono le infiorescenze in con- seguenza della colorazione che vi determinano, non chè della facilità con cui possono venire esportate, sarebbero disseminate piuttosto da particolari animali. Tutto ciò, come ben dice l’ Autore ha bisogno di essere riconfermato. Massalongo O.— Acarocecidi nella flora veronese (In giorn. Bot. Ital. Vol. XXIII, n. 1 e n. 3}. Sono due accurate ed importanti comunicazioni, sia per il modo col quale è trattato l'argomento, sia per il notevole numero di acaro— cecidi osservati e descritti. L’ A. nella prima comunicazione premette alla parte speciale alcune generalità sui cecidi e sugli acari ceci- diogeni. Un ricco indice bibliografico, completato nella II. comuni- 399 cazione, chiude questa parte. I cecidi di cui è parola in due lavori sommano a 123 e tutti sono accuratamente descritti ed alcuni anche figurati. Diamo l’elenco delle specie di piante sulle quali l’accurato e diligente A. osservò casi di fitoptosi. Acer campestre. A_monspessu- lanum, A. Pseudoplatanus. Ajuga genevensis, Alnus incana, A. gluti- nosa, Artemisia vulgaris, Bromus erectus, Buxus sempervirens, Cam- panula sibirica C. Trachelium. C. bononiensis, C. rapunculoides, Car- pinus betulus Centaurea: maculosa, Chondrila juncea, Clematis Vital- ba. Corylus Avellana. Crategus Oxyacantha, Cytisus sessilifolius, E- chium vulgare Fagus silvatica, Fraxinus Ornus Galium Mollugo, G. lucidum, Geranium sanguineum, Geum urbanum, Helianthemum 0e- landicum, H. Fumana, Juglans regia, Juniperus communis Lotus cor- niculatus, Malva Alcea, Mentha silvestris, M. arvensis, Ononis spino- sa, Onobrychis sativa, Orlaya grandiflora, Paederota Bonarota, Pa- stinaca sativa, Peucedanum venetum, Pinus silvestris, Populus nigra, P. tremula, Potentilla verna, Poterium Sanguisorba, Prunus Padus, P. spinosa, Pirus malus, P. communis, Quercus Cerris, Q. Ilex, Q. pubescers. Rhododendron hirsutum, Rubus saxatitis, R. tomentosus, Salix alba, S. hastata, S. nigricans, Salvia pratensis, Sambucus nigra, Sedum reflexum, Solanum Dulcamara, Sorbus Aria, S. Aucuparia S. domestica, S. torminalis, Taxus baccata, Teucrium Chamaedris, Thy- mus Serpillum, Tilia, parvifolia, T. grandifolia, Ulmus campestris, Vi- burnum Lantana, Vitis vinifera, Prof. A. N. BERLESE T. Schribaux. — Le piétin ou maladie du pied des cercales. (Progrès Agricole N. 39, p. 301, 1892). Nel precedente numero della Rivista fu dato cenno delle ricerche del Prillieux e Delacroix riguardo alla causa di questa estesa malattia dei cereali dovuta secondo detti autori all’ Ophiobolus graminis. Lo Schribaux nella presente memoria, dopo dati i caratteri esterni della malattia, riferisce che dalle osservazioni eseguite alla Stazione di prova delle semenze, risulta che non tutti i cereali sono ugualmente invasi dal suddetto parassita. Il frumento ne è più fortemente attac- cato; in minor grado lo sono la segale e l’orzo; l’avena pare quasi immune. Per stabilire una scala delle resistenze delle varietà di grano, PA. ha paragonato il peso di 1000 semi del 1888, anno in cui il grano fu immune, col peso di 1000 semi del raccolto del 1889 e 1890 nei quali anni infieri la malattia. Da questo paragone risulta che sono in 310 special modo maltrattate le varietà precoci; raccomanda molto la va- rietà di Hallett o di Nursery come resistensissima alla malattia. Ad attenuare l’estendersi della malattia negli anni susseguenti, venne dal Prillieux e dal Delacroix consigliato l’abbruciamento delle stoppie infette. Tale operazione eseguita accuratamente dallo Schri- baux non ha dato buoni risultati: nell’anno susseguente la malattia infieriva quanto nel precedente, onde l’A. si pose a ricercare qualche metodo più efficace. Allo scopo egli inaffiò, neil’ autunno del 1890, con soluzioni diluite di solfato di rame, di solfato di ferro e di acido sol- forico, il terreno di un certo numero di casse ove seminò nella pri- mavera del 1891 una data varietà di grano, sperando che in quel pe- riodo di tempo tra l’inaffiatura e la semina, le sostanze caustiche in- trodotte nel terreno potessero distruggere gli organi di riproduzione del fungo, senza recar essi stessi danno alle piante. I risultati non cor- risposero alla aspettativa: queste sostanze anzichè giovare nocquero evidentemente al raccolto. L’uso di un'adeguata concimazione ha dato invece risultati ottimi, cosichè l'A. conclude dicendo che la malattia del piede del frumento non richiede alcun trattamento speciale, si combatte colla lavorazione e la concimazione razionale del terreno; ed invero, nei terreni poveri, o male lavorati la malattia infierisce sempre più che ne’ terreni ben lavorati e concimati. In una regione dove i terreni scarseggiano in fos- fati, quale è il Morbihan il Sig. Le Dain riferisce di aver completa- mente debellata la malattia coll’uso di QI. 1,5 per Ha di scorie fosfa- tiche, e con un buon lavoro di rullatura in primavera. Lo Schribaux termina osservando che tutte le circostanze atte ad accrescere i pro- dotti cioè: scelta delle varietà, lavori colturali, concimazioni, concorro- no altresì a diminuire i danni del piétin fino a renderli nulli. P. Voglino. — Ricerche intorno allo sviluppo del micelio della perono- spora nelle gemme della Vite. (In Coltivatore N. 35 p. 326 1892). In questo studio, comunicato dall’ A. al congresso internazionale di Botanica tenuto nel decorso settembre in Genova, si completano alcune osservazioni fatte dal prof. Cuboni nel marzo del decorso anno riguardanti la presenza del micelio della peronospora ne?’ tessuti delle gemme della vite. Il prof. Cuboni coadiuvato dal Dr. Kruch, esaminò numerosissimi tralci, e nella sua relazione nota di aver constatato la presenza di detto parassita in una sola gemma, riteneva quindi che l’infezione di quest'organo fosse molto rara. Ciò è stato confermato dal Voglino, il gir quale però da varie regioni fortemente peronosporate potè titrarre un numero di gemme infette sufficiente da permettere di seguire lo svi- luppo del parassita. Le gemme infette hanno le foglioline sottostanti alle brattee, di co- lor rossiccio spesso sono quasi disseccate; il loro aspetto è molto si- mile a quello delle gemme gelate colle quali vanno per lo più confuse. Nelle sezioni si notano numerosi filamenti miceliali, accuratamente dise- gnati dall’ A., i quali serpeggiano fra le cellule, che si isolano facil- mente col solito trattamento alla potassa bollente ed all’acido acetico. A seguirne lo sviluppo, l'A, piantò nel novembre un certo numero di tralci, preventivamente lavati con una Ieggera soluzione di subli- mato corrosivo, in vasi continenti terra sterilizzata; ed i tralci mede- simi fece sviluppare in tubi di vetro chiusi agli estremi con bambagia sterilizzata. Nella primavera nelle foglie di quei tralci che attecchirono A. notò il micelio ricco di rigonfiamenti nel mesofillo; dopo aver largamente assorbito le sostanze nutritive contenute in questo tessuto, detto micelio ramificandosi verso la regione dell'epidermide inferiore della foglia cominciò ad emettere i conidiofori. L’A. conclude che in alcuni casi dalle ultime foglie autunnali il micelio della peronospora passa nelle foglioline gemmulari ove sverna, per svilupparsì poscia nella ventura primavera. Le pennellature o le forti irrovazioni autunnali di solfato di. Rame potrebbero, a parere dell A. impedire tanto il passaggio del micelio nelle gemme, che lo sviluppo de’ conidi alla superficie di questi ogani. Millardet. — Les gelees printanières de la Vigne. (Journal d’ Agricul- ture prat. 1892 p. 341). L’A. ricorda che due sono le cause dei geli primaverili delle viti: la prima è data da un raffreddamento brusco e generale dell’ atmo- sfera il quale a sua volta dipende ora da un cambiamento repen- tino di vento ora da abbondanti nevicate sui monti; la seconda è data dallo eccessivo irradiamento che si verifica durante le notti se- rene e calme. In questo secondo caso si ha molto spesso la produ- zione di un sottile strato di ghiaccio (gelee blanche) alla superficie de- gli organi gelati. È noto il modo con cui le piante gelano; gli organi perdono dappri- ma la loro turgescenza ed avvizziscono, poi vanno acquistando a poco a poco una rigidità e spesso una fragilità, che aumentano mano mano che la temperatura si abbassa. Questo avviene quando la temperatura esterna è arrivata a o°, Siccome importa molto sapere con sufficiente 3r2 esattezza il momento in cui l'atmosfera trovasi a tale grado di tempé- ratura onde si possano prendere misure atte a prevenire il gelo, così lA. accenna all'uso del termometro e raccomanda come maggior- mente pratico il metodo del Sig. Bignon, che consiste nello stendere orizzontalmente sull’ erba o sulle viti un panno imbevuto di acqua che congelandosi a o° fa indurire il panno stesso. L’A. nota quindi che nelle vallate il gelo è più frequente che sulle montagne, perchè l’aria fredda più pesante dell’aria calda vi si accu- mula; donde la pratica in pianura di allevare le viti molto alte sugli alberi: il minimo ostacolo all’irradiamento può preservare dal gelo, spesso vengono osservate delle gemme non gelate in seguito al riparo offerto da’ pali o da’ alberi. Vi sono anche delle varietà più o meno resistenti; è certo però che la loro resistenza è in relazione colle con- dizioni di ambiente in cui si trovano. Nei siti umidi ‘essendo i loro organi più carnosi e più acquosi, le viti più facilmente gelano. A proposito dello sgelo l'A. ricorda le note sperienze e le conclu- sioni del Sachs. Quando il disgelo è rapido, la vite facilmente muore, mentre ciò non accade nel casojopposto. Passagin seguito all’ esame de’ mezzi preventivi del gelo, fra i quali giudica preferibile l’uso delle nebbie di fumo che impediscono l’irradiamento, interponendosi fra la vite e il cielo. Il fumo può anche prevenire un disgelo troppo ra- pido, quindi ove mai esso sia stato prodotto un po’ tardi in modo da non prevenire il gelo, esso devesi mantenere nei vigneti-per mol- to maggior tempo di quello che lo si manterrebbe®in vigneti dove esso ha prevenuto il gelo. Per ottenere il fumo’ necessario; servono la paglia umida, le erbe mezzo disseccate, i rami di pino ed altre conifere, i catrami, le resine ecc. Queste sostanze si dispongono a mucchi preventivamente collo- cati alcuni tutto intorno al vigneto a ro m. l’uno dall’altro, gli altri negl’ interfilari. Nelle notti in cui si ha sospetto di gelo, quando il termometro segna due o tre gradi sopra lo zero o quando il panno umido comincia a indurire, si accendono i mucchi che circondano il vigneto, preferibilmente, caso mai vi sia vento cominciando dal lato po- sto in corrispondenza alla direzione del vento; a secondo del mag- gior o minor bisogno di fumo si accendono mano mano anche i mucchi interni. L’A. dà in seguito varii altri schiarimenti riguardo alla pratica ed al costo di questo sistema e conclude notando la necessità della for- mazione di consorzi per la difesa contro il gelo. D". V. PEGLION Le, N. B. Pierce. — A Disease of Almond Trees (Una malattia del mandorlo in Journal of Mycol. 1892 p. 67). L’A. descrive una malattia osservata sul mandorlo nel sud della California e causata dalla Cercospora circumscissa Sacc.; altre osserva- zioni fatte in diversi punti della medesima regione ed in regioni vi- cine fanno ritenere che questa ‘malattia sia molto diffusa negli Stati Uniti massime nella regione marittima della California, ove l’ambiente caldo umido favorisce di molto lo sviluppo delle crittogame parassite. Lo stesso parassita è stato trovato sopra i peschi, nella Florida: PA. ammette che esso siasi sviluppato dapprima sui mandorli e da questi sia passato in seguito sopra i peschi attigui. Ed invero in quasi tutti i casi, i peschetti invasi erano in prossimità con pianta- gioni di mandorlo fortemente attaccati, e la medesima condizione ri- peteasi pei susini e pei pesca-noce sui quali in non pochi casi, è stato trovato il parassita suddetto. Il pesco viene però più intensamente at- taccato di questi ultimi due, e le foglie, i getti ed i frutti vengono spes- so a soffrirne non poco. Del mandorlo vengono invasi i rami, i getti, le foglie ed i frutti: le foglie però lo sono in grado maggiore di tutti que- sti altri organi: nei primi stadi della malattia si osservano alla loro su- perficie dei punti giallo-oscuri che si allargano acquistando una zona oscura sui margini, mano mano si sviluppano nelle macchie così fatte i ciuffetti di conidiofori del parassita, formanti sul fondo della macchia dei puntini olivacei. In seguito le zone macchiate si contrag- gono e spessissimo si lacerano ed assumono l’aspetto delle foglie di pesco, di mandorlo che sono maltrattate dalla Phy//osticta circumscissa. Le sezioni trasversali di queste macchie mostrano i vasi riempiti di una sostanza rossiccia, gommosa, amorfa, ed i tessuti spugnoso ed a pa- lizzata cogli elementi contratti, giallognoli e privi di granulazioni. Le foglie invece cadono precocemente, e quando le condizioni del suolo lo permettono l’albero dà una novella cacciata paragonabile alla cac- ciata del pesco le cui foglie furono distrutte dall’Exoascus deformans. L’A. passa quindi a descrivere l’aspetto delle macchie che trovansi sui getti, macchie che non diversificano all’ aspetto esterno gran fatto da quelle fogliari. In corrispondenza ad esse, le sezioni mostrano il pa- rassita penetrato nell’ interno dei tessuti del ramo fino alla regione del cambio nella parte periferica della macchia e nell’interno dello xilema nella parte centrale. L’epidermide, il parenchima corticale ed il floema sono distrutti. Tutte le parti così alterate si ricoprono di innumerevoli spore che 314 germinano in pochissimo tempò qualora trovino condizioni di umi- dità e di temperatura favorevoli; l’A. dopo esaminate la facilità ed i mezzi di disseminazione delle spore e quindi della malattia, coasi- glia come rimedii preventivi, la raccolta del fogliame caduto dall’ al- bero (fogliame che si dovrà accuratamente bruciare), e la lavorazione profonda e ripetuta del terreno sottostante agli alberi. Forse, sarebbe meglio eseguire l’abbruciatura del fogliame sul terreno stesso, che si potrà poscia lavorare ammodo. Sarà bene eseguire poi spruzzature dei fungicidi già conosciuti so- pra l'albero e sopra il terreno, quest'ultime all’epoca della caduta delle foglie; da ricordarsi nel primo caso che la fruttificazione della C. circumscissa avviene sulla pagina inferiore delle foglie. L’ultima parte della memoria riguarda lo studio del fungo: l’A. accenna in primo luogo alle variazioni di forma offerte dalle spore e dal loro modo di germinare; dà quindi le dimensioni delle spore stesse che sono 1-7-settate e che variano dai 22-64 p. in lunghezza per 3-4 p. di larghezze che hanno la parete gialliccia, larga ‘4 p. ed il contenuto finamente granuloso. Il micelio ottenuto dalla germinazione delle spore non varia punto da quello che trovasi negli spazi intercellulari, e attraverso alle cel- lule dei tessuti invasi. I coniliofori si spiccano da una massa tuber- colare formata da un aggruppamento di grandi cellule originantisi, secondo l’A., dalla ramificazione di un filamento unico: da ognuna di queste masse si spiccano in me lia da 20-50 conidii che vengono all’esterno per uno stoma. In condizioni di umidità eccessive, da un conidio può prendere origine un secondo che si impianta all’ apice del primo, assumendo l’aspetto di un prolungamento tubolare. La memoria è accompagnata da 4 tavole ove sono disegnate le diverse parti della pianta ammalata, i conidi coi conidiofori e le mo- dalità della loro germinazione, e la prospettiva di un mandorleto de- foliato dal fungo. G. B. Galloway. Suggestions in regard to the treatment of Cercospora circumscissa (In Journal of Mycol. p. 77 1892). Questa nota del Galloway fa seguito alla precedente memoria del Pierce. In essa lA. premette che le miscele comunemente adoperate come fungicidi, facilmente offendono le foglie di mandorlo e di pesco. Tra le altre la poltiglia bordolese, adoperata in tante malattie, uc- 315 cide le foglie, i teneri getti, i fiori ed i frutti di queste ultime due piante. L’A. ha ottenuti ottimi risultati nel trattare i peschi ed i mandorli con una soluzione ammoniacale di carbonato di Rame, fatta nelle seguenti proporzioni: Carbonato di rame once s pari a gr. 150 Soluz. acquosa di ammoniaca (26°) p. 3 litr. 1,41 Acqua i g. 45 litr. 16,10 Ove mai questa quantità di ammoniaca non bastasse, se ne può aggiungere fino a dissoluzione completa del sale di rame. Per proteggere mandorli e peschi dalla C. circumscissa l'A. consiglia una prima applicazione di questa miscela all’epoca della fogliazione ; dopo 10-12 giorni occorre un secondo trattamento ed un terzo dopo altre due settimane. Tre trattamenti bastano per tenere in freno la malattia, ed un numero maggiore non sarebbe certamente compen- sato dal prodotto finale. L’A. dà quindi alcuni consigli sulle pompe 44 hoc, che possono es- sere a zaino, portate su carrelli o trascinate da animali a secondo della estensione del frutteto. La spesa necessaria per fare 6 tratta- menti per ogni albero varia da 10 a 15 cent. (pari a 50-75 centesimi); ogni albero di media grandezza non richiede più di 130 o 2' minuti per essere spruzzato. Tutti questi dati, è naturale che variano gran- demente da una località all’altra, dipendendo essi da varie circostanze. Il Co?Cu può prepararsi nell'azienda col So'Cu e la soda (Co?Na?) del commercio, e le modalità da seguire nella preparazione riportate da una precedente pubblicazione del Depart. of Veget. Pathol. chiu- dono la presente nota. Prillieux. Sur une maladie du Cognassier (Bull. Soc. Bot. de France 1892, p. 209). In questa comunicazione l'A. descrive una malattia osservata per due anni di seguito sopra le foglie dei cotogni nel dipartimento del- l’Aveyron. Essa si appalesa verso la fine dell’aprile od i primi di mag- gio ed ove lo andamento della stagione sia favorevole, si sviluppa con una rapidità incredibile in pochi giorni. Le foglie ammalate im- bruniscono: l'alterazione s’inizia alla base del picciuolo, lungo la ner- vatura mediana e si propaga nel parenchima ove forma una macchia irregolare che va mano mano allargandosi, e si ricopre superiormente 316 di uno strato polverulento grigiastro costituito dalle innumerevoli spore di una Monilia, causa indubbia, sec. l’A., della malattia. La se- zione della foglia in corrispondenza a questo strato grigiastro, mostra la cuticola rialzata a mo’ di bolla, lacerata all’apice donde si spiccano numerosi filamenti semplici o ramosi che si inseriscono sopra una specie di stroma sottocuticulare, e dai quali partono numerose cate- nelle di conidi. L’A. identifica questa specie alla Monilia Linhartiana Sacc. parassita delle foglie del Prunus Padus. Ricorda poi che il Woronin, nelle sue note ricerche sopra gli sclerozii delle Vacciniacee, trovò sulle foglie di P. Padus una ricca fruttificazione conidiale le cui spore avendo in- fettati i fiori di un ciliegio vicino, ne fecero abortire un certo nume- ro, da questi il Woronin ottenne una fruttificazione ascofora che de- . nominò Selerotinia Padi: e di questa specie, secondo l’A., la Monilia Linhartiana sarebbe probabilmente lo stato conidiale. Inquanto al parassita del Cotogno, l'A. spera di poterlo conve- nientemente determinare, essendo probabile che alcuni frutti siano stati infetti, e lo studio degli sclerozii e delle forme ascofore che essi genereranno permetterà una identificazione più sicura colla S. Padîi o colla S. Aucuparie vivente sul Sorhus Aucuparia. In una nota alla presente comunicazione l'A. identifica la M. Li- nhartiana Sacc. all’QOvularia necans Pass. di cui trovansi gli esemplari e la descrizione nella pregevole pubblicazione de’ prof. Briosi e Cavara (I funghi parassiti delle piante coltivate). Le alterazioni indotte dai due funghi sono perfettamente simili, soltanto dalle diagnosi della Sylloge del prof. Saccardo risulta una certa differenza nelle dimensioni fra i conidi delle due specie: nella M. Linhartiana questi variano da 12-18 p., nella Qvularia necans da 7-12 p.E così dal confronto delle fi- gure del Prillieux e de’ prof, Briosi e Cavara emerge ancora un altro carattere che si opporrebbe alla identificazione: e sarebbe quello stro- ma o pseudostroma sporgente sulla pagina superiore, cui accennam- mo più sopra, che manca nell’O. necans. Onde crediamo che anzichè riferire le due specie ad una specie unica sarebbe bene piuttosto fare dell O. necans una forma della Monilia Linhartiana. V. PEGLION 317 Passerini G. Sopra alcuni Phoma (In Bull. Soc. Bot. Ital. 1890 n. 1). Si tratta di due Phoma che vivono sugli acini di uve bianche ma- ture o quasi. La prima si presenta sotto forma di pustoline aggre- gate nel mezzo di una macchia bruna discoidea somigliante a quella del vaiolo. Queste pustoline sollevano una pellicola bianchiccia che ricopre periteci piccolissimi, bruni, contenenti sporule jaline, oblungo- elittiche, non nucleate, misuranti 7-8 p, in lunghezza e 2!/, p. in lar- ghezza. L’A. la distingue col nome di Phoma ampelocarpa. Vive in una varietà d’uva detta nel parmense moscatello di Spagna. In acini di trebbiano, sempre su macchie analoghe a quelle del vajolo, l’A. os- servò dei periteci puntiformi, sparsi od aggregati, nitidi, bruni, colla parete quasi membranacea, formata di cellule minute. Le sporule sono allungato-fusiformi, intere, jaline, con entro varie goccioline, e misu- ranti da 27 a 28 p. in lunghezza e 6-7!/, p. in larghezza. I basidi fi- liftormi uguagliano presso a poco le spore in lunghezza. L’A. espone il dubbio che queste due specie possano anche essere conosciute, e non si dissimula che questa seconda possa anche essere il fungo rac- colto da me nel 1889, sugli acini dell’uva ed ascritto all’ Ascochyta rufo-maculans del Berkeley. Fino dall’anno scorso feci una comunica- zione al Giornale l'Agricoltura meridionale sopra alcuni Phoma viventi sugli acini dell’uva. Siccome quella comunicazione ha un certo rap- porto con quella fatta dal prof. Passerini alla Soc. Botanica così mi permetto riprodurla qui sotto: Allorchè nell’Agosto 1888 mi venne fatto di trovare per la prima volta l’Ascochyta rufomaculans, ebbi il dubbio che la Phoma reniformis di Viala e Ravaz non fosse sufficientemente distinta dalla specie ora ri- cordata, ed accennai anzi, nella comunicazione fatta alla Società Botani- ca (Ottobre 1888), ad una probabile identità tra le due specie in discorso. Una differenza degna di nota però la si aveva nel fatto che le spo- rule dell’Ascochyta presentavano, sia pur raramente, qualche setto trasversale. In seguito ebbi occasione di ritrovare questa specie, e confrontan- dola anche colla diagnosi dell'esemplare raccolto dal Sig. Cavara e colle figure che questo egregio autore ne diede, dovetti convincer- mì che .4scochyta rufo-maculans e Macrophoma reniformis erano una sola cosa. Il Cavara stesso toglie l’unico ostacolo dovuto alla presenza dei setti trasversali, poc’anzi ricordati, poichè dice che gli è occorso di vedere talora, in conidi posti a germogliare, la formazione di uno O più setti trasversali. 318 Non mi parrebbe inoltre, ora, di dover accettare come specie ve- ramente genuina la Macrophoma acinorum, la quale dubitativamente il chiariss. Prof. Passerini considera una specie nuova. L’accurata descrizione delle alterazioni prodotte da questo fungillo sugli acini, ed i caratteri peculiari che lo distinguono, così esattamente esposti dal Chiarissimo Prof. Passerini, mi sembrano giustificare nel modo il più persuasivo le mie vedute; io sarei quindi d’opinione di portare nel genere Macrophoma l’Ascochyta rufo-maculans, e di ascrivere ad essa la M. reniformis del Viala e la M. acinorum del Passerini. Tutti gli autori che trattarono del fungillo in discorso sono d'ac- cordo nell’ammettere, che sia piuttosto saprofita che parassita e che si sviluppi sugli acini affetti da Peronospora od in via di deperimento per altre cause. Sono lieto che i miei studi sopra questa specie mi abbiano condotto alla medesima conclusione; però devo far osser- vare che questa specie, qualche volta accelera il disseccamento degli acini, i quali (ripeterò quanto dissi nell’Agosto 1888) si affievoliscono, indi si raggrinzano, da ultimo si screpolano e ‘cadono. R. Hartig. Lehrbuch der Baumkrankheiten-Sweite Auflage 1) 1891. È uno dei più interessanti lavori condotti nel campo della patolo- gia degli alberi specialmente da foresta. Tutti gli argomenti sono trat- tati colla competenza che caratterizza l’egregio autore, e noi faccia- mo il sunto del lavoro per invogliare altri a leggerlo non colla sps- ranza di fornire al lettore un concetto dell’ opera adeguato alla impor- tanza che essa ha. Nell’introduzione l’ Autore fa la storia della Patologia vegetale, e segue il filo dei concetti che dominarono dai primi tempi fino a noi circa le cause determinanti le malattie nelle piante, Accenna ai lavori di Unger, Wiegmann e Meyen intenti a rintracciare anche le cause delle malattie, e giustamente riconosce che ad una esatta interpreta- zione di quei fenomeni patologici si opposero due fatti: I. la imperfetta conoscenza della natura dei funghi, l’ignoranza anzi della storia del loro sviluppo: II l'applicazione troppo spinta delle scoperte scientifiche fatte dal Liebig nel dominio della chimica agraria, per le quali gli os- servatori furono portati, troppo sovente, a credere che le malattie acute 1) Di questa seconda edizione esiste una accurata traduzione francese per opera dei Sigg. I. Gerschel ed E. Henry e pubblicata dalla Casa Editrice Berger-Levrault et C. di Parigi (Rue des beaux artes 5). 319 delle piante, quando non erano da ascriversi a qualche causa este- riore ben manifesta, fossero prodotte da eccesso o difetto di una o più sostanze nutritive. Giustamente l’Hartig osserva come i lavori di De Bary, di Tulasne e di Kithn sui funghi, segnino nella storia della patologia un’ éra novella. Alle ricerche di patologia vegetale portate nel campo della micologia, si apre una nuova via, e fu il Willkomm che per primo andò per questa via. Questi tentativi furono di poi se- guitati da molti altri sperimentatori, tra quali Sorauer, Frank, ed Har- tig medesimo. Nel secondo capitolo lA. passa a considerare le cause delle ma- lattie e divide quest'ultime nelle cinque seguenti. sezioni. 1.° Malattie causate dal parassitismo di fanerogame. ° Malattie prodotte dal parassitismo di Crittogame. gslcesioni. © Malattie prodotte da influenze nocive del suolo. 5.° Malattie prodotte da influenze nocive del clima. Circa alla teoria della predisposizione alle malattie, 1’ A. non solo ammette, contrariamente a quanto pensano altri osservatori, ma an- cora riconosce nelle piante due disposizioni la normale e la anormale. La disposizione normale é qualunque stato, anche passeggero, nella struttura anatomica, nella composizione chimica o nelle funzioni. vi- tali di un organismo, che non è punto dannoso all'individuo mede- simo, ma provoca una malattia se sopraggiunge un secondo fattore esteriore anche non dannoso alla pianta. La disposizione anormale invece si manifesta allorchè l'organismo non è originariamente pre- disposto alla malattia ma lo diviene per essere intaccato da un’altra malattia. Così una predisposizione anormale o morbosa può, per esem- pio, consistere nella presenza di una lesione che permette l’inocula- zione e lo sviluppo di un dato parassita. Oltre a questa disposizione normale o anormale inerenti al- l’organismo, vi è ancora una predisposizione morbosa dovuta alla località. Nel terzo capitolo l’ Autore tratta del metodo da seguirsi nello studio delle malattie. Nella prima parte sono trattati i danni prodotti dalle piante fane- rogame, sieno vere parassite come le Orobancacee, le Cuscute, sieno non del tutto vere parassite come le Lorantacee, le Rinantacee, sieno infine dannose solo per il contatto immediato e per l’azione mec- canica che esercitano sopra piante vicine o per la loro concorrenza 2. 3. 4. 320 nell’assorbimento di principi nutritivi, della luce etc. come la Loni- cera Periclymenum il Triticum repens. Le crittogame lA. divide in false parassite e parassite vere. Alle prime ascrive la Thelephora laciniata i miceli della quale si trovano ne- gli strati superficiali del terreno ed il corpo fruttifero cresce in vici- nanza delle giovani piante ed imprigiona le foglie così strettamente da farle perire. Anche i licheni quando si sviluppano troppo abbon- dantemente sulle corteccie possono in taluni casì determinare delle sofferenze nelle piante. Ai veri parassiti l'A. ascrive i Batteri, i Mixo- miceti ed i Funghi. Parecchi autori hanno staccato dai Funghi i Mixo- miceti, ed i Batteri, ma ci sembra che a stretto rigore questa sepa- razione non sia del tutto giustificata. È vero che il raccogliere in un’ u- nica classe (Funghi) tutte le crittogame che hanno il carattere co- mune e negativo della mancanza di clorofilla, è un modo di vedere la di cui esattezza può essere seriamente discussa, ma non ci sembra che ragionevolmente si possano considerare gruppi paralleli i Mixo- miceti, i Batteri ed i rimanenti Funghi. Anzitutto tra Mixomiceti e Chitridiacei vi sono dei punti di passaggio. La Plasmodiophora Brassicae da qualche autore viene collocata tra i Chitridiacei poichè ha delle vere zoospore. Nelle batteriacee c’è spesso formazione di spore en- dogene analoghe a quelle che si osservano nei funghi. Ma il fatto che secondo noi non giustifica una tale separazione, è che nei Funghi esi- stono poi altri gruppi tra i quali corrono differenze che hanno lo stesso valore di quelle che passano tra i gruppi accennati. Così tra Pirenomiceti od Ascomiceti ed Uredinei non vi sono seri punti di con- tatto; nemmeno i Basidiomiceti hanno grandi relazioni colle Muco- rinee o coi Ficomieeti in genere. Tra le bacteriosi l’ A. ricorda il marciume del bulbo di giacinto prodotto dal Bacterium Hyacinthi, ed il marciume delle patate determi- nato da batteri. Ragionevolmente vanno aggiunti a questi casi di bat- terosi altri osservati e descritti specie in questi ultimi tempi. Tali sono il marciume delle cipolle, la rogna della vite, la tubercolosi dell’ olivo, la bacteriosi dei grappoli della vite, quella delle foglie del castagno co- mune, delle foglie del Sorghum saccharatum, quella del mal nero, quella del Pinus Halepensis etc., e di alcune delle quali l'A. poteva fare men- zione. Poche parole lA. consacra alla Plasmodiophora Brassice ed alla P. Alni. E venendo ai funghi lA. dà i caratteri generali del gruppo trat- tando con adegnata competenza le questioni che si riferiscono, alla 321 propagazione, allo sviluppo, al parassitismo e saprofitismo di questi esseri. L’azione dei miceli sui legni o per meglio dire gli effetti pro- dotti sui tessuti, conducono l’A. all’ipotesi dell’esistenza di un fer- mento speciale a ciascuna specie di fungo, fermento che elaborato dal protoplasma, sarebbe secreto dalle ife, e passerebbe nelle cellule vicine. La classificazione adottata dall’ A. è abbastanza semplice. Divide i funghi in tre gruppi. Phycomycetes, Ascomycetes, e Basidiomycetes. Nel primo gruppo colloca i Zigomiceti, Entomoftorei, Saprolegnacei, Pe- ronosporei, Chitridiacei ed Ustilaginei. Il secondo gruppo, secondo l’ A., comprende le Erisifacee, le Tube- racee i Pirenomiceti, i Discomiceti, e le Gimnoascacee, mentre al terzo sono ascritte le Uredinee ed i Basidiomiceti. Nel nono paragrafo l’A. dai caratteri delle Peronosporee, e forse ha generalizzato quanto si osserva nelle specie più note dal lato della patologia vegetale, poichè dice che i conidi delle specie appartenenti a questa famiglia quando vengono a contatto con una goccia d’ acqua «dividono il loro protoplasma in un certo numero di piccole zoospore ». Essi però possono anche germinare direttamente senza produrre prima zoospore. Ciò si osserva in un numero relativamente piccolo di spe- cie, e cioè quelle appartenenti ai generi P/asmopara, Phytophthora, Cystopus, mentre i conidi delle Peronospore germogliano direttamente con tubo miceliale !). Inoltre l’ A. asserisce che i pollinodi cacciano nell’ interno dell’oogonio un fine prolungamento, attraverso al quale una parte del loro contenuto penetra nell’oogonio e lo feconda. In molte specie però non solo non vi è emissione di tubo, ma nemmeno furono constatate nettamente la perforazione dell’oogonio o la gelificazione delle pareti nel punto di contatto tra oogonio ed anteridio, e dubbia rimane anche la fusione tra i due plasmi. Larga trattazione l’A. dà alla Phytophthora Fagi, e accompagna con 1) Nell'edizione francese (pag. 57) a proposito dell’ apparato fruttifero agamico delle Peronosporee è detto «Ce mycélium donne naissance à des filaments fructi- féres qui sortent soit par les stomates, soit en perforant l' épiderme, et forment des sporanges renfermant des spores conidiennes, Ces spores, rencontrant une goutte d'eau, divisent leur protoplasma en un certain nombre de petites zoospores. » La frase te- desca che venne tradotta in quel modo, è la seguente. Das im Gewebe vegetirende Mycel entsendet theils durch die Spaltòffnungen, theils die Oberhaut durchbohrend zahlreiche Hyphen an die Luft an welchen in verschiedenartiger Weise Conidien durch Abschniirung entstehen, Quindi niente formazione endogena di spore conidiali! 21 322 nitidi ed accurati disegni. Accenna pure alla P). infestans, alla Perono= spora viticola, al Cystopus candidus etc. Non offrendo i Zigomiceti gli Entomoftorei, i Saprolegnacei, i Chi- tridiacei, specie importanti nel campo della patologia vegetale l'A. passa questi gruppi sotto silenzio. Brevi cenni sono consacrati alle Ustilaginee di cui sono nominate le specie principali (Ustilago Carbo, U. Maydis, U. destruens, Urocystis occulta). Ai caratteri delle Erisifee 1° A. fa seguire alcuni cenni sulle specie più importanti, ed al riguardo dei trattamenti curativi, dice che come misura profilattica fu raccoman- dato di bruciare in autunno le foglie peritecigere. Inoltre aggiunge che si è preteso che un rimedio efficace consista nel trattare con zolfo le parti sulle quali si è manifestato il parassita, ma che sgrazia- tamente non esiste ancora alcuna ricerca scientifica sull’ azione dello zolfo in polvere. Giustamente i traduttori osservano. che fu ricono- sciuto che lo zolfo ha una azione assai energica snll’ Oidium. L’atte- stano i noti quanto accurati lavori, specie di Maret, e lo confermano le solforazioni che si fanno da molti anni su l’ argissima scala in mol- te località dell’europa vinicola non solo per le uve da tavola, ma (al- meno in Italia) per qualsiasi varietà di vite. È bensì vero che in al- cune località ora si è abbandonata la pratica della solforazione, ma ciò non perchè lo zolfo non abbia dati buoni, anzi ottimi, risultati, ma perchè sono d’assai diminuiti i danni che era solito recare 1’ Oidium. Da studi fatti da altri osservatori, come da nostra propria esperienza, risulta che lo zolfo è atto a combattere anche altri Oidium. E trattando dell'O. della Vite 1° A. dice che non è noto ancora come passi l’in- verno, ma giustamente osservano i traduttori che in America esiste IP Uncinula spiralis la quale, secondo Viala, è lo stato ascoforc dell’ Oi- dium. È giuocoforza ammettere però che da noi, in seguito all’ assenza dell’Uncinula spiralis, i conidi od i miceli dell’ Oid. Tuckeri possano pas- sare l’inverno conservando le loro facoltà vitali 1). Sono accuratamente descritte parecchie specie di Pirenomiceti dan- nosi, e non di rado anche dettagliati disegni accompagnano le estese descrizioni dello sviluppo dei parassiti e delle alterazioni che produ- cono. Fra le principali specie ricordiamo la Trichospheria parasitica, 1) In Francia vennero ultimamente rinvenuti i periteci dell’ Uncinula spiralis dal Sion, G. Couderc, che ringrazio vivamente dell’ interessante opuscolo relativo invia- tomi e del quale mi occuperò in un altro numero della presente Rivista. 323 l’ Herpotrichia nigra, la Rosellinia quercina, la Dematophora necatrix ?), la Physalospora Bidwilii etc. Pure tra i Discomiceti vi sono specie interes- santi, e l'A. descrive parecchi Mysterium (meglio Hypoderma) per com- battere alcuni dei quali (7yst. Pinastri) fa speciali raccomandazioni. E ricorda pure gli Exoascus ed alcuni ascomiceti imperfettamente conosciuti, cioè dei quali non sono note che le forme inferiori (Cer- cospora acerina, Pestatozzia Hartigii, Phoma (Fusicoccum) abietina n. sp. etc.). E passa alle uredinee nelle quali si ferma a trattare con diffusione di parecchie specie, segnatamente, quelle dannose alle conifere (Perider- mium Pini, Gymnosporangium, Melampsora(Calyptospora), Ceoma, Aecidium ela- linum etc.), Pure largo sviluppo è dato agli Imenomiceti dei quali 1’ A. ricorda buon numero di specie segnatamente poliporee. Questa par- te è interessantissima per il modo magistrale con cui sono trattati gli effetti dei micelii sui tessuti legnosi. Nella seconda terza e quarta parte IA. tratta delle malattie pro- dotte da lesioni, da condizioni sfavorevoli del suolo, e da influenze sfavorevoli del clima. Troppo lungo riuscirebbe riassumere i diversi capitoli che formano oggetto di questa seconda parte, e ci limitiamo a nominarli soltanto. Il capitolo delle lesioni si divide in due para- grafì, il primo tratta della guarigione e riproduzione dei tessuti in ge- nerale, il secondo delle lesioni in senso stretto. Il capitolo che tratta delle malattie dovute a influenza del terreno comprende tre paragrafi, cioè: contenuto del suolo in acqua ed elementi nutritivi, aereazione insufficiente del suolo, e sostanze velenose. La IV parte che tratta delle malattie dovute a influenze atmosferiche, comprende quattro pa- ragrafi come segue: I. Effetti del gelo, II. Bruciatura della corteccia, fenditure d’insolazione, sfogliazione prematura, eccesso o difetto di luce, III. Lesioni meccaniche, grandine, neve, colpi di vento. IV. In- cendio, colpo di fulmine. Il trattato rimodernato dell’ Hartig risponde ad uno de più sentiti bi- sogni della Patologia vegetale e ci auguriamo che abbia la diffusione che merita. La competenza dell’ Autore in cose di Patologia vegetale, è l’ar- ra la più rassicurante per la bontà del trattato medesimo. Forse avreb- be potuto l’ A. dare maggiore diffusione a qualche argomento che egli tratta con leggere varianti come nella prima edizione, ma questo è 1) In un lavoro pubblicato in questa medesima Rivista, ho dimostrato che la De- matophora necatrix è una genuina Rose/linia affine alla R. Desmazieri, alla R. aquila, alla R. quercina. B24 un fatto di ben lieve importanza, di fronte all’interesse che vanta il libro. E buona pure è la traduzione francese, e va data adeguata parte di lode ai Sigg. I. Gerschel ed E. Henry che adempirono egre- giamente il loro prefisso non solo, ma che corredarono la traduzione con note che accrescono pregio al lavoro. Parecchie di queste note sono del valente Scienziato P. Vuillemin il quale anche con esse offrì un saggio di quella competenza in argomenti di patologia vegetale che forma di lui un valente fitopatologo. Prof. A. N. BERLESE. Massalongo C. Due nuovi entomocecidi scoperti sulla Diplachne serotina e Cynodondactylon (In Bull. Soc. Bot. It. 1893, n. 1). Si tratta di galle prodotte da Imenotteri probabilmente del genere Icosoma. Il cecidio della Diplanche si forma all’estremità del culmo, è fusiforme e della lunghezza di 3-5 cent. con un diametro di 5-7 mm. È costituito dalle guaine molto dilatate di numerose foglie fra loro strettamente addossate a motivo dell'arresto di sviluppo dei frapposti internodi. Le guaine esterne e le superiori portano un lembo di poco dissimile da quello delle foglie normali, ma più corto. La larva tro- vasi in una cavità esistente in luogo del midollo. Nel Cyrodon Dact. l'estremità del culmo, ed anche spesso alcune gemme ascellari, dege- nerano in galla. Un gruppo di s-6 foglie concorrono alla formazione della galla. Le inferiori si abbracciano colle loro guaine a due a due, e limitano così una specie di tubo imbutiforme. La foglia terminale del tutto accartocciata coi suoi margini, trovasi inserita al fondo del predetto tubo. La larva si annida alla base di questa foglia nella ca- vità formata dall’accartocciamento della stessa. Questi due cecidi ven- nero trovati a Tregnago in Prov. di Verona. Il Prof. Caruel asserisce che quello sul Cyrodon esiste anche in Toscana. Massalongo C. Osservazioni intorno ad un rarissimo entomoce- cidio dell’ Hedera Helix (In Giorn. Bot. It. Anno XXV, (1893), n. 1. con. tav.). Venne osservato come i due precedenti a Tregnago in Prov. di Verona. È prodotto da una Cocciniglia che il Prof. Targioni-Tozzetti ritiene nuova e che chiama Asterolecanium Massalongianum. Vive nelle lamine fogliari, nei picciuoli e nei rami erbacei, e determina in que- sti organi uno@sviluppo ipertrofico. Le galle del picciuolo raggiun- gono 3-4 mm. di spessore; a questo ingrossamento comparteci- 325 paùo quasi tutti i tessuti. «Î cordoni libro-legnosi si dilatano in senso tangenziale, e spesso lateralmente si sdoppiano, inoltre attorno di que- sti si differenzia una zona di elementi sclerenchimatici, cilindrico- poligonali, frapposti ad altri fibrosi colle pareti interrotte da canali- coli congruenti. Le cellule del parenchima corticale e del midollo, mostrano le loro membrane molto più ispessite dell'ordinario ed inol- tre fornite di numerosi pori che le rendono elegantemente reticola- to-punteggiate ». Rilevanti alterazioni anatomiche si osservano pure nei rami giovani. Detti cecidi vennero pure raccolti nel Padovano da mio fratello Prof. Antonio ed inviati al Prof. Targioni suddetto (Vedi Boll.. Notiz. Agr. 1892 p. 609). Pichi P. — Alcuni esperimenti fisiopatologici sulla Vite in rela- zione al parassitismo della Peronospora (In Bull. Soc. Bot. Ital. 1891 Miziettgo2 n. .3). L'A. ha ristampato integralmente il detto lavoro sull’ Annuario della R. Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano (Vol. I). Per due anni di fila intraprese ricerche onde assoggettare la Vite ad una cura preventiva a base di SO'‘Cu onde porre questa pianta in condizioni da resistere agli attacchi della Peronospora. Detta cura consiste nell’ in- naffiare il terreno al piede delle viti con soluzioni di solfato di rame a diverso titolo. Però prima di sperimentare in grande, cioè nelle viti delle vigne dei filari dei campi, l'A. fece alcuni esperimenti in La- boratorio i quali consistettero nell’immergere in date soluzioni di sol- fato di rame, la parte inferiore di tralci di vite {fronzuti. La soluzione di minor titolo era al !/,% quella a massimo raggiungeva il 10%, L’A. notò che i tralci che si trovavano nelle soluzioni dal 7 al 10°/» incominciarono ad intristitire dopo 3 giorni, e nelle sezioni condotte lungo le nervature e nelle chiazzette livide che presentavano le foglie potè constatare raramente la presenza di piccoli cristalletti azzurri di sali di rame nei vasi ed in qualche cellula di parenchima. Dopo un periodo di tempo più lungo anche gli altri tralci in soluzioni più deboli andarono man mano deperendo; quelli in soluzioni da }/, al 2% rimasero in buone condizioni fino al 18"° giorno mentre quelli in acqua pura co- minciarono ad appassire soltanto al 22"° giorno. L’A. non si curò di tener nota delle temperature influenti durante le ricerche, ma giova ricordare a tale proposito che gli esperimenti vennero condotti nella seconda metà del Maggio 1889, ed i matracci contenenti le soluzioni suddette erano schierati sopra un lungo tavolo di fronte a due fine- 336 stre del Laboratorio della Scuola Enologica di Coneglianò, esposté a sud-est. Mi sembra che in queste condizioni il periodo (22 giorni) durante il quale i tralci in acqua pura si sono mantenuti vegeti, sia un po’ troppo lungo. Io mi chiedo inoltre se è possibile che in tralci di Vite immersi in soluzioni anche del 10 °/», sia così energico l’as- sorbimento della soluzione da rendere nelle cellule e nei vasi così denso il liquido in modo che avvenga la deposizione cristallina del sale. Ammettiamo pure che la traspirazione, e più ancora la cloro- vaporizzazione, sieno state molto attive, ma sa il Prof. Pichi quale è il potere traspirante e clorovaporizzante delle foglie di Vite nelle con- dizioni in cui si trovavano quelle da lui esaminate? E sa il Prof. Pi- chi ancora quanta soluzione avrebbe dovuto essere assorbita e quan- to vapor acqueo dovrebbe essere stato emesso affinchè si potessero depositare nelle cellule del parenchima e nei vasi dei fasci i cristalli di solfato di rame? Esporrò qualche dato onde dimostrare al chiaro sperimentatore che in causa di alcuni principi fondamentali di fisiologia vegetale, ciò non poteva avvenire in alcun modo. Tralci di Vite !) portanti s-7 foglie ciascuno e posti a vegetare (nella seconda metà del maggio 1886) entro l’acqua contenuta in vasi di vetro collocati nello stesso laboratorio di Botanica della Scuola di Conegliano, hanno dato i risultati che qui sotto riportiamo. Giorno 23 Maggio: un tralcio con 7 foglie traspirò acqua gr. 14,00 » 24 » » » 8,50 » 25 » » » 7,00 » 26 » » » 5,50 Cioè un totale di gr. 35,00 di acqua. Altre esperienze danno analoghi risultati, cioè un tralcio di cin- que foglie traspirò dal 25 al 27 Maggio grammi 21, 75, un altro pure di cinque foglie, e nello stesso periodo, traspirò grammi 33; 75, € così via. Ora ammettiamo pure che la traspirazione in tralci collocati in acqua pura od in soluzione nutritiva di Sachs, avvenga colla medesi- ma intensità che in tralci immersi in soluzione di solfato di rame al 10%,,, nelle stesse condizioni di ambiente e di tempo *); ne consegue che 1) l dati seguenti sono ricavati dall’ accurato lavoro del Prof. Cuboni sul potere traspirante delle foglie di Vite trattate con latte di calce (Malpiglia Vol. II). 2) L'alterazione rapida che SO'Cu induce nel corpo protoplasmatico e nella clo- rofilla, mi fa sospettare che in tralci immersi in soluzione di quel sale al 10 %/y siano meno energiche la clorovaporizzazione e la traspirazione; ma, se sarà il caso, ciò dimostrerò in altro lavoro, 327 tun tralcio di sette foglie in tre giorni (périodò sufficiente secondo il Pichi perchè nei tessuti si depositi il SO‘Cu) traspira gr. 29,50, ed uno di cinque (forse maggiore) traspira in media gr. 27,75, quindi nel primo abbiamo gr. 0,2950 e nel secondo gr. 0,2775 di SO'‘Cu. Nessuno studio, a mia cognizione, ammette che il solfato di rame venga dalla vite imma- gazzinato in determinate cellule fogliari o dei fasci ed è quindi necessa- rio ammettere che le dette quantità di sale fossero equamente distribuite in tutti i tessuti del tralcio ai quali era arrivata la soluzione. Mag- giore quantità di soluzione certamente esiste negli elementi più ac- quiferi ed in quelli destinati al rapido trasporto delle sostanze inor- ganiche, ed ecco la ragione per la quale i primi elementi che risen- tono l’azione del sale di rame sono i fasci xilematici. Ciò è spiegato anche dal fatto che alcuni elementi fissano il solfato di rame con ener- gia così che riesce assai evidentemente la reazione del rame col ferro- cianuro potassico. Ma ciò è argomento di un lavoro che vedrà la luce tra poco, e non entro quindi in dettagli. Per ora mi basta concludere che la quantità di sale assorbita in tre giorni dai tralci su cui sperimentò il Prof. Pichi, è troppo scarsa affinchè si possano depositare nell’in- terno dei tessuti i cristalli del sale medesimo. Il fatto narrato dal Pi- chi mi sembrava così strano, così incredibile e tanto poco in relazione colla fisiologia che volli accertarmene con ripetute e quanto più po- tei accurate ricerche, ma dovetti convincermi che adoperando le so- luzioni del Pichi ('/--10%/») ed altre di maggiore concentrazione (2-3 %)) nel periodo di tre giorni i cristalli di SO‘Cu non si trovano nei tessuti. Io anzi devo confessare di non averli mai riscontrati anche adope- rando soluzioni piuttosto concentrate, e lasciando pure i tralci per un più lungo periodo. Certamente si saranno formati detti cristalli quando tralcio e fo- glie si saranno completamente disseccate, ma questo è un fatto ben diverso, e che non val la pena tirare in campo. Ora come spiegare la presenza dei cristalletti azzurri osservati dal Pichi? Potrebbero es- sere di glicolato di rame? Ma v’ha dell’ altro nella memoria del Prof. Pichi. Anzitutto l’idea di una cura preventiva nelle piante a base di sali metalici non è nuova, e richiamo alla mente dell’egregio professore gli studi fatti in Francia da parecchi sperimentatori con SO‘Fe onde rendere le piante refratta- tarie all’invasione dei parassiti, non esclusa la Peronospora viticola. Ora mi sembra assai più razionale la pratica di aggiungere al terreno il solfato di ferro come ingrasso distruttore, poichè il ferro, ognuno 328 lo sa, è un elemento necessario alla vegetazione, laddove il ramé è un veleno per le piante e non dei meno temibili. Inoltre pare a me che chiunque avesse avuto il pensiero di istituire gli esperimenti del Pichi, doveva prima studiare il potere assorbente del terreno, anzi dei terreni, in riguardo al SO‘Cu, onde evitare di esporre cose che an- dassero poi a dar di cozzo troppo romorosamente contro i più ele- mentari principi di chimica. Non insisto più per tre ragioni, I.° per- chè non voglio si dica ch’io feci un sunto, sia pur critico, più lungo del lavoro stesso, II.° perchè allorquando queste righe vedranno la luce, sarà portato a buon punto uno studio in proposito al quale at- tendo da diverso tempo insieme all’egregio mio collega Prof. Soste- gni, studio nel quale sarà largamente discusso ogni argomento, III.° perchè già col suddetto collaboratore pubblicai una nota preventiva intesa a dimostrare che è fuor di luogo, anche dal lato chimico, il tentare una cura interna preventiva nella Vite facendo alla stessa assorbire soluzioni di SO'‘Cu date al terreno. Soltanto richiamo alla mente del Prof. Pichi, (il quale nella seconda parte del suo lavoro pubblicato dopo della suddetta noticina nemmeno si curò di segnalare che essa esisteva e che in essa erano esposte cose poco in accordo coi suoi principi fisiopatologici) che i terreni da noi esperimentati fis- sano chilogrammi 4,682 di solfato di rame per ogni metro quadrato, cioè chilogr. 46,822 per ogni ettaro (Ah patria viticoltura!) Che poi il rame combinato con alcuni elementi del terreno possa in seguito venire ridisciolto e assorbito dalle piante, niun fatto impe- disce di crederlo, anzi alcuni esperimenti di parecchi autori, ed alcune mie ricerche le provano, ma non è constatato ancora sotto quale for- ma esso venga assorbito, certo non sotto quella di solfato. Ora il sol- fatto di rame ha un’azione contro i germi della peronospora, e po- trebbe averlo anche contro i miceli del parassita ma ciò non dimostra affatto che le soluzioni sotto le quali il rame dato al terreno può ve- nire assorbito dalle piante, abbiano la stessa azione distruggitrice o preventiva. Data la possibilità di una cura interna preventiva a base di solfato di rame, la via da seguire sarebbe di studiare l’ azione sulla peronospora dei composti di rame assorbiti dalle piante. Almeno non puzzerebbe tanto di empirismo! Ed al Sign. G. R. il quale nel Viticoltore pratico (1891 n. 23) riassu- mendo la suddetta nostra noticina, espone la credenza che i nostri studi sieno rivolti ad appoggiare gli esperimenti fisiopatologici del Pichi, dirò che ha inteso a rovescio, poichè noi ci siamo sforzati di dimostrare 329 che appunto l'idea del detto autore péccava ur pochino d’ assurdità, almeno per quanto si riferisce alla cura interna preventiva con SO‘Cu. Prof. A. N. BERLESE f. Cavara. Una malattia de’ limoni. (Atti dell’ Ist. Bot. dell’ Un. di Pavia 1892 con tav.). È un accurato lavoretto col quale lA. illu- stra dal lato biologico e sistematico un nuovo genere di Sferopsidei. Vennero inviati dal prof. Alpe al Laboratorio crittogamico di Pavia nella primavera del 1891 alcuni limoni provenienti da un’aranciera della Brianza; erano quasi maturi ed aveano l’epicarpio cosparso di macchie bruno-olivacee, rotondeggianti, variabili tra 6 e 21 mm. in diametro, le quali poi confluivano invadendo buona parte della superficie del frutto. In progresso di tempo comparivano su queste macchie i corpi frutti. feri di un fungo disposti quasi in zone concentriche i quali si presenta- vano come altrettanti acervuletti emisferici, costituiti da un nucleo centrale ricoperto da abbondanti filamenti. Questi corpi fruttiferi erano picnidii globoso-conici erompenti, ricoperti all’esterno da’ suddetti filamenti. Le sporule che contengono questi picnidi ricordano quelle di alcune Septorie, sono cioè allungate, bacillari, alquanto ristrette alle due estremità, talvolta continue tal’altra con uno o due setti. Queste sporule sono inserite in cellule papilliformi che tappezzano l’interno del picnidio. Il micelio invade il pericarpio per un note- vole spessore e sovente si annida in prossimità dei vani glandolari e si intreccia in modo da costituire delle formazioni scleroziali. L’ A. ritiene trattarsi di un genere nuovo che chiama Trichoseptoria. Il detto fungillo (T. A/pei) presenta caratteri che l’egregio A. concreta nella seguente diagnosi: Peritheciis globoso-conicis, comatis, albo-cinereis in maculis brunneo-ochra- ceis rotundatis, confluentibusque, sparsis vel fere concentrice dispositis; pilis fle- xuosis, subtilibus, continuis vel raro uni-biseptatis, hyalinis vel dilute chlorinis; ostiolo obsoleto, peridio membranaceo, parenchymatico, strato sporigeno intus vestito. Sporulis cylindraceis rectis, vel curvatis utrinque attenuatis, plerumque I-2 septatis, 12-16 » 2, hyalinis, In fructibus fere maturis Citri vulgaris, Brianza It. bor. Da inoculazioni l'A. potè ottenere in laboratorio la riproduzione artificiale della malattia e da colture su porta oggetti ottenne costan- temente la f rma picnidica e una conidica del gruppo delle oospore 339 molto simigliante 4 quelle formé ridotte è semplificate di Penicillium che spessissimo s'incontrano nelle colture sopra portaoggetti. Da ultimo osservò anche una forma clamidosporica. A. N. BERLESE Mayet et Viala. La maladie rouge de la Vigne (Progrès. Agric. et Vitic. t. XIX N. 1 1893). Gli AA. costatano che il Tetranychus telarius è causa della malat- tia conosciuta sotto il nome di Rossore della vite; ricordano che essa si è manifestata in alcune località della Francia e dell’Italia, citano gli Autori che trattarono quest’argomento. Tra gli Italiani ricorda— no Arcangeli e Cuboni e vengono a concludere da studi fatti che quest’acaro è veramente la causa della suddetta alterazione. A que- sto proposito sarà utile ricordare che l’autore il quale pel primo di- mostrò che il 7. felarius è parassita sulle foglie della Vite fu il com- pianto prof. R. Canestrini il quale fin dal 1887 fece una serie di espe- rimenti nel Trentino in seguito ai quali, pei risultati positivi che ot- tenne, scrisse !) «che il 7. telarius è comune su quasi tutte le piante talvolta reca danni significanti ad es. al mais, al sorgo ed alla vite». Mayet e Viala danno i caratteri esterni della malattia e dicono che essa non è visibile che alla fine del giugno mentre che il Tetranychus si trova già in primavera sulle viti, ma in iscarso numero. Sono poi le generazioni successive che durante l'estate centuplicano il nume- ro degl’individui, quelle che rendono questa specie dannosa nell’ A- gosto e nel Settembre. Le foglie attaccate diventano bollose, i peli delle varietà tomentose si disseccano e si arricciano; se le foglie sono intaccate in primavera quando gli acari sono poco numerosi, esse non mostrano sintomi di sofferenza, verso il luglio prendono una tinta ro. seo-carminata chiara e viva la quale si estende a poco a poco a tutto il lembo meno che alle nervature; alla fine della vegetazione la tinta si fa violaceo-carminata e infine bruno-rossastra poi le foglie disseccano, cadono nel tardo autunno prima però dell’epoca nor- male; se il parassita ha attaccato foglie giovani queste non si svi- luppano più, pure i rami cessano di allungarsi, i frutti non raggiun- gono la grossezza normale e restano rossastri. Gli AA. riassumono 1) R. Canestrini in Atti Ist, Ven. T. VII, par. \I et G. Canestrini Acarofauna italica T. IV p, 434. 334 pòi le differenzé che passano fra questa alterazione, e quelle di a- spetto simile: cioè seccume, colpo di sole, apoplessia, melanosi etc. A. N. BERLESE Leclere du Sablon, Sur une maladie du Platane (Rev. Gen. de Bot. n. 45-1892). L’A. descrive la malattia del Platano cagionata dal G/oeosporium ‘Platani, il quale produce una caduta precoce delle foglie; all’interno dei tessuti della foglia e del fusto vegeta il micelio del parassita; in alcuni punti del fusto esso si raggomitola formando degli sclerozii che sporgono alla superficie del fusto stesso. In altri punti, i fila- menti s'intrecciano fittamente dando origine ad uno stroma dal quale si staccano le ife sporifere ora semplici ora ramificate. Le spore si formano per differenziazione dell’ apice del filamento il quale va ri. ducendosi sempre in lunghezza. L'A. propone, l’identificazione del G. Platani col G. nervisequum, specie che diversificano fra loro per la sola lunghezza de’ filamenti, e col G. va/soideum che si faceva differire dal G. Platani per l’ habitat trovandosi il primo sul fusto, il secondo sulle foglie. i Le colture in agar ed in gelatina al decotto di foglie di Platano permettono di ottenere ora le spore ora gli sclerozii. Come rimedio lA. consiglia la potatura condotta in modo da a- sportare i rametti di un anno o due sui quali trovansi i micelii e gli sclerozii, che poi si distruggono. V. PEGLION W. Hess, Die Feinde des Obstbaues aus dem Thierreiche. (Gli animali nemici degli alberi da frutto) Hannover 1892. Diciamo anzitutto che è un libro ben fatto. È un volume di 388 pagine corredato di 106 accurate incisioni in legno tratte in gran parte dai migliori autori di entomologia. Il lavoro si divide in due parti. La prima è una serie di chiavi analitiche in ciascuna delle quali sono e- sposti i principali caratteri di tutte le alterazioni che si osservano in ogni organo di una data pianta ed a questi brevi cenni segue il nome dell’animale che cagiona le notate alterazioni. Un numero accanto al nome dell'animale serve poi a ritrovare nella seconda parte del lavoro la descrizione, la biologia del parassita, i danni che produce ed i rimedi da consigliarsi, Le piante che l’autore studia sotto il rapporto dei pa- rassiti animali sono: Melo, Pero, Cotogno, Nespolo, Pesco, Mandorlo, 306 Pruno, Albicocco, Cigliegio, Castagno, Gelso, Noce, Vite, Ribes, Noc- ciuolo, Rovo, Fragola etc. Di ogni pianta l’ autore considera le alte- razioni delle radici, dei tronchi, dei rami, dei giovani germogli delle gemme foglifere e fiorifere, delle foglie, dei fiori, dei frutti, A rendere più chiari i concetti che informarono l’autore, ed il me- todo dallo stesso seguito, offriamo la traduzione della prima tabella riferentesi al Melo. I. alterazioni delle radici I. Le radici sotteranee sono danneggiate. A Le tenere radici vengono corrose: 1. da bruchi bianchi, molli, cioè larve di Maggiolino (Me/olontha vulgaris 22). 2. da bruchi filiformi, bruno-lucenti, duri, cioè larve di coleotteri corridori; allora se il bruco termina all’estremità posteriore con una punta ottusa è una larva dello scarafaggio delle messi (Agriotes segetis 30): se il bruco termina all'estremità posteriore con un articolo biforcuto è una larva dello Scarafaggio sorcino (Lacon murinus 31). 3. dal grillo scavatore (Gry/otalpa vulgaris 378). B Le radici sono danneggiate dal succhiamento: da un afide ricoperto di lanugine bianca cioè l’afide suggiscorza del Melo (Schi- qoneura lanigera 410). II. Le radici che scorrono sul terreno sono perforate: si tratta della Scraptia fuscula 39. IT. Il colletto della radice viene roso cosicchè a mala pena il tronco rimane fitto nel terreno: si tratta del ratto d’acqua Hypudaeus amphibius. L’A. continua col II capitolo, cioè alterazioni dei tronchi e dei grossi rami. Naturalmente non pochi animali sono nei diversi pro- spetti anche parecchie volte ripetuti, poichè vivono sopra diversi or- gani della medesima pianta o di piante affini. Forse l'A. avrebbe po- tuto abbreviare i prospetti dicotomici riunendo in un capitolo, a mo’ d’esempio, tutti gli animali che aiterano le radici di piante affini (Pero, Melo, Cigliegio etc.) Avrebbe evitate non poche ripetizioni, ed avrebbe di molto semplificato il lavoro. Al lettore subito risaltano le forti relazioni che esistono spesso tra diversi prospetti dicotomici. Così il quadro da noi tradotto differisce da quello del Pero (pag. 30) per la presenza della Heterodera radicicola, nel rimanente è identico. E for- tissime affinità, e non poche identità, si osservano anche tra gli al- tri quadri di queste e delle altre piante ricordate nel trattato. A. N. BERLESE 333 A. Kosmahl. Durch Cladosporium herbarum getòdte Pflanzen von Pinus rigida (Piante di Pinus rigida uccise dal Cladosporium .herbarum). (In Berichte der deutschen Botanische Gesellschaft X Iahrg. Heft. 3 P. 422). In pianticelle di Pinus rigida provenienti da semi affidati al terreno di due aiuole del vivaio annesso ad una foresta della Svizzera, lA. osservò, in principio del mese di Maggio scorso, un annerimento delle foglie che poscia, estesosi alle intiere piante era seguìto dalla morte delle medesime. La ricerca microscopica rivela che il fenomeno era dovuto esclusi» vamente all’ azione parassitaria del Cladosporium herbarum. Il Prof. Nobbe, condividendo le idee dell’ A. sul parassitismo del Cladosporium herbarum, osservò che l’azione patogena di questa specie era già da alcuni anni conosciuta. L'A. ha voluto sussidiare l'opinione del Lo- priore, ritenendo che fosse stato questi il primo a dimostrare indi- scutibilmente il parassitismo del Cladosporium. Le asserzioni del Prof. Nobbe vengono invece a convalidare quanto uno di noi espose nella rassegna del lavoro del Lopriore medesimo pubblicata nella seconda puntata di quella stessa Rivista (pag. 126). A. N. BERLESE e V. MANCINI Newton B. Pierce. The California Vine Disease (Washington 1892, un vol. di pag. 215 con 25. tav. e 2 carte). Nel riassumere nel fascicolo precedente, le ricerche di Viala e Sau- vageau relative al mal di California si è accennato ad un rapporto preliminare del Pierce sopra le osservazioni fatte in Europa ed in California su questa malattia e sulle malattie della Vite già note. Il resoconto per esteso dello stesso A. è venuto ora alla luce per cura del Minist. di Agricolt. degli Stati Uniti. Questo rapporto comprende 11 capitoli: nel 1° lA. premette al- cune cOnsiderazioni sulla importanza della Viticoltura in California, notando la richiesta e l’offerta dei prodotti e la possibilità di esten- dere la coltura della Vite; esamina quindi gli effetti economici della nuova malattia, apparsa, come è noto, per la prima volta nelle con- tee di Los Angeles, S. Bernardino e Orange dove attualmente la mag- gior parte dei vigneti sono distrutti, con danni diretti ed indiretti grandissimi. Fra i dati numerici riportati a questo proposito, è bene citare i seguenti: nei soli dintorni di S. Anna nella contea di Orange 10.000 acri di vigneto sono distrutti, le viti furono, come in altri siti, 334 strappate e consumate come combustibile: il danno diretto vien rag- guagliato a 2,000,000, di scellini oltre al consumo del macchinario e fabbricati ecc. che lA. ragguaglia all'incirca ad 1,000,000 di scellini. Il 2° capitolo comprende la storia della Viticoltura nella Califor- nia Meridionale, Onde veder se ne’ siti adiacenti donde si importò la vite, esistesse qualche malattia d’indole affine all’attuale l'A. pre- mette alcune note sulla Viticoltura del Messico cominciando dal 1524 in cui il Cortez col proposito di migliorare l’Agricoltura locale, impo- neva la coltura di alcune essenze fra cui la Vite, che vi fu introdotta nel 1525. Da questa regione la Vite si andò mano mano estendendo fino ad occupare l’attuale area. Nella California essa fu introdotta nel 1700 e nel 1769 era estesamente coltivata presso s missioni: ora in tutto questo periodo di tempo negli annali e nelle tradizioni locali della viticoltura di ambe queste regioni non si trova alcun cenno di moria di vigneti così estesa come quella osservata nel 1887, cosicchè tale malattia assume un aspetto eccezionale e si addimostra altresì di natura recente. L’A. riporta quindi vari brani dell’Humboldt, del Bancroft, del Forbes ed altri autori dando ragguagli intorno allo stato della Viticoltura nella California prima dell’anno 188%, viticoltura ve- ramente fiorentissima che accennava ad estendersi sempre più. Nel 1887 cominciò ad apparire la malattia, che distrusse i vigneti dei din- torni di Anahein impiantati da 2-30 anni; ed a questo riguardo lA. da un elenco dove sono comprese le varietà coltivate l’epoca del loro impianto e quindi la loro età nell’epoca in cui vennero distrutte. Nel capitolo III. l'A. espone diffusamente i caratteri dei vari or- gani delle piante ammalate; le foglie presentano alterazioni distinte dell’ A. in costituzionali, che si rivelano cioè all’osservazione microsco- pica ed in localizzate che appariscono all'osservazione macroscopica: queste sono le macchie giallastre o rosse che si trovano sparse nel parenchima, lungo i margini etc. macchie non sempre ben definite che possone invadere l’intera foglia su ambe le superficie e che danno a questi organi un aspetto simile alle foglie peronosporate. I granuli di clorofilla o non si sviluppano ugualmente per tutta la foglia o se si sviluppano, dopo un certo tempo, per insufficiente nutrizione, non tar- dano ad alterarsi. Donde poi le macchie suddette, che sono giallastre nelle varietà bianche, rosse nelle varietà nere. Seguono le variazioni presentate dalle singole varietà nella formazione di queste macchie; in generale le foglie basilari sono più intensamente macchiate delle apicali. Passa poi ad esaminare i caratteri patologici dei tralci, quasi 335 sempre imperfettamente maturi e che all'osservazione macroscopica mostrano uno scoloramento precoce delle cellule del midollo, cui se- gue lo scoloramento del legno. Descrive quindi le ceppaie estendendo in ambi i casi le osservazioni anche alle variazioni che offrono le varietà. Riguardo alle radici, lA. premette essere molto difficile ac- certare il momento in cui essa si ammalano: da migliaia di osser- vazioni fatte, l'A. conclude che anche in tali organi si ha una scolo- razione che è seguita da un ristringimento in diametro delle radichette e dei peli capillari. L’intero sistema quindi marcisce e all'esame mi- croscopico le cellule si mostrano ripiene di una sostanza trasparente di colore simile all’ambra che presenta striscie più o meno regolari, e che persiste dopo la morte della cellula. I frutti cadono quando l'invasione della malattia è molto repen- tina e violente; altre volte, i grappoli si disseccano e si raggrinzano dopodiché cadono. Crediamo inopportuno dilungarci a questo propo- posito avendo già riportato in succinto i caratteri della malattia dati da Viala e Sauvageau La malattia non attacca in ugual maniera le diverse varietà. Non è raro trovare vigneti costituiti da Berger interposti fra vigneti di- strutti, i quali si addimostrano apparentemente sani; invece spessis- simo le ceppaie di Mission, sparse qua e là nei vigneti di Berger o altre varietà, sono uccise mentre le altre sì trovano allo stato nor- male. La varietà detta Mission si è costantemente appalesata amma- malata, prima delle altre, ed invero mentre i vigneti costituiti da que- sta varietà morirono estesamente nel 1887, quelli costituiti a mo’ d’e- sempio da Berger non furono distrutti che nel 1889. E siccome am- bedue queste varietà trovavansi nelle medesime condizioni di ambi- ente e di coltura, lA. ammette che la malattia presenti un periodo di incubazione, caratterizzato da un aumento di prodotto per un anno o due; questo periodo può essere più o meno lungo a secondo della resistenza delle varietà della quale lA. ritorna ad occuparsi più oltre. A spiegare questo periodo d’incubazione l'A. opina che se la malat- tia è dovuta ad un parassita esterno, esso può stare allo stato latente per una parte dell’anno; se il parassita è interno può ancora avere un dato periodo vitale di riposo; finalmente se il male è cagionato da azioni atmosferiche esse possono non agire costantemente. Dopo ciò l'A. sul IV.° capitolo segue lo sviluppo della malattia nella California partendo da Anaheim. Ricorda nuovamente che la moria dei vigneti fu preceduta da un aumento di prodotto come si 336 può rilevare da’ dati riguardanti gli anni 1885-86-87, dopodichè de- scrive cronologicamente l’apparsa dei caratteri patologici precedenti la morte delle singole ceppaie. I V°, VI°, VII° capitoli compendono lo studio del suolo, della fo- gnatura, dell’irrigazione, dell’ombreggiamento, e degli agenti atmo- sferici in rapporto alla malattia. Riguardo alla pioggia conclude che essa, abbondante o deficiente come fu dal 1882-1885, non può rite- nersi come sola causa diretta della malattia sebbene possa avere in- direttamente influito non poco al suo sviluppo, essendo l’ umidità fa- vorevole allo sviluppo dei parassiti; e tale su per giù è la conclusio- ne cui arriva riguardo alla temperatura L’ VIII. capitolo riguarda le pratiche viticole seguite in California cioè i sistemi di potatura, di innesto, le moltiplicazioni per barbatelle per semi etc. Ed in questo capitolo l'A, classifica le varietà a secondo del vario grado di resistenza dividendole in 3 gruppi: il 1° costituito da varietà non resistenti, tipo Mission il 2° da varietà di media resi- stenza, tipo Muscat d’alexandrie, il 3° di massima resistenza, tipo Tokay; le specie di viti selvatiche sono ancora più resistenti. A_pro- posito degl’innesti lA. conclude che è bene scegliere marze robuste poichè negli innesti a robuste radici si ebbe una vita molto meno rigogliosa che in innesti fatti con marze robuste innestate su radici relativamente deboli. E così riguardo alle barbatelle è importante no- tare che quando queste provengono da viti crescenti in regioni in- vase dalla malattia, prima che in esse questa siasi appalesata, esse danno viti sane e di lunga vita mentre le talee tolte da viti amma- late originano viti ammalate. Quando le barbatelle sane vengono poste in zone invase esse muoiono con tutti i caratteri della malat- tia; locchè dimostrerebbe trattarsi di una malattia infettiva. Nel IX.° capitolo vengono diffusamente esaminate le relazioni fra questo nuovo male e le già conosciute malattie della Vite. Vengono in primo luogo le malattie parassitarie e prime fra esse quelle cau- sate da funghi radicicoli: la Dematophora necatrix Hart. fu dall’A, ac- curatamente studiata nei dintorni di Napoli; questo fungo è straor- dinariamente diffuso in Europa massime poi in Italia ove viti ed al- beri da frutto sono ben spesso consociati, Questa malattia come il mal di California altera lo sviluppo simmetrico della Vite, ma in que- st ultima però non si nota una grande produzione di getti secondari che fanno prendere alla pianta l'aspetto cespuglioso caratteristico delle viti affetta da D. necatrix. D’altronde, la colorazione delle foglie 337 che si trovano sulle piante in siffatto modo ammalate non è anor- male, e le foglie medesime non cadono prima della morte della pianta come avviene nel mal di California. Seguono poscia i caratteri e lo sviluppo della Dematophora e termina il capitolo ricordando che una Dematophora già è stata trovata negli Stati Uniti ma è dubbio se la forma americana sia identica ad una delle due specie europee già note. Questa specie però non ancora è stata trovata in California. Riguardo all’ Agaricus melleus, dopo notata la sua diffusione nelle varie regioni d’ Europa e la sua presenza nella California meridionale, lA. si limita a riportare le osservazioni dell’ Hartig, del Millardet, Brefeld, Foex, Viala riguardanti lo sviluppo del parassita e la malat- tia che esso causa dando nel contempo i caratteri che permettono di distinguerlo dalla Dematophora. Viene accennato quindi ad un Graphium sp. osservato diffusamente sopra radici ammalate provenienti da varie località ma che l’A. non ritiene come possibile causa della malattia, sebbene in alcuni casi esso presenti un comportamento decisamente parassitico. La Vibrissea hypogea è stata trovata qualche volta in California, su viti importatevi dal Missouri L’ A. ricorda che le opinioni dei pa- tologi non sono concordi su questa specie da alcuni ritenuta saprofita da altri parassita. Tra i funghi viventi parassiticamente sulla parte aerea della vite, vengono ricordati I.° la Peronospora viticola ritenuta nel 1887 causa del mal di California da più viticultori e si sospettava poco dovesse attec- chire in California per le condizioni climatiche sfavorevoli; II.° l’Oidio (Uncinula spiralis)apparso nel 1859 in California producendovi spesso dan- ni seri senza cagionare però estesa moria ne’ vigneti come il nuovo ma- lore; II.® l’Antracnosi (Sphaceloma ampelinum) tuttura sconosciuta in California sebbene diffusa negli Stati Uniti e nell’ Europa e che è an- cor essa molto ben distinta dal mal di California; IV.° il black-Rot (Guignardia Bidwilh) non ancora rinvenuto in California, dove potrà trovare condizioni climateriche favorevoli nelle sole vallate; V.° il Cla- dosporium viticolum sufficientemente diffuso ne° vigneti di Los Angeles, Anaheim e che determina danni positivi alle foglie, danni che potran- no limitarsi con l’uso adeguato della poltiglia bordolese; VI.® il Sep- tosporium heterosporium descritto da Ellis e Galloway, e che arreca danni sensibili alle viti nelle vallate fresche, ma che difficilmente potrà dif- fondersi a causa delle condizioni climatiche. Di ognuno di questi parassiti l’ A. riassume l’aspetto, la diffusione in Europa, il ciclo bio- logico, ed accenna in qualche caso a’ trattamenti. i 22 338 Seguono i parassiti animali: I.° una specie di nematode è stata rinvenuta dentro alle radici ammalate ma la sua presenza è secondo l'A. un epifenomeno, ed è ben distinto dalla Anguilula radicicola che l'A. ha osservato ne’ dintorni di Napoli; lo stesso venne a dire di una specie di Acaro indeterminata rinvenuta nelle stesse condizioni, II.° La Phylloxera vastatrix, (non ancora trovata sopra le viti in California), che lA. ha studiato accuratamente nel sud della Francia e nella Si- cilia. L’aspetto ben noto delle viti fillosserate ricorda quello delle viti af- fette da Dematophora o da mal di California, ma la presenza dell’insetto ed altri peculiari caratteri ne permettono facilmente la distinzione; III.° il Phytoptus vitis che può arrecare qualche lieve danno quando si sviluppi molto estesamente e che può combattersi sia con lo zolfo sia con soluzioni di acido carbolico; IV.° le Termiti che arrecarono danni gravi a’ vigneti di Mission nella California meridionale: spe- cialmente dannose sono la 7. fluvipes ed una specie nuova di cui l’A. dà la descrizione. Vengono poscia le malattie d’indole non parassitaria: La Clorosi dovuta a condizioni fisiologiche sfavorevoli, comune ne?’ terreni calca- rei di Montpelliers e di Bordeaux, dà alla vite un aspetto caratteri- stico ben diverso da quello delle viti affette da mal di California. In questa regione non ha cagionato mai danni serii; ricorda gli studi di Millardet et Gayon in seguito a' quali essi ottennero varietà più o meno resistenti alla malattia, per mezzo dell’ibridazione. Il Mar- ciume (pourriture) dovuto ad azione non parassitaria, ma bensì ad un complesso di condizioni sfavorevoli di terreno, di umidità, di clima è molto comune in California. Il Ma/ Nero !), è stato studiato dall’ A. in varie parti d’Italia. Vengono premesse le osservazioni di Garova- glio, Cattaneo, Cugini, e quelle di Savastano e Casoria sopra il Mal nero e la tannificazione delle querce. L’esame istologico del legno di vite ammalato di mal nero e di Mal di California, ha rivelato la medesima apparenza del contenuto cellulare; tali ossevazioni furono estese a viti morte per vecchiaia, per marciume, per folletage e VA. conclude che è rischioso asserire essere la presenza del contenuto cellulare alterato e la scolorazione del legno caratteri sufficienti per distinguere il Mal nero da altre malattie. Ed invero caratteri affini si 1) In seguito alle ricerche recenti del prof. Baccarini e del prof. Cugini si è asso- dato essere questa malattia d’indole parassitaria e prodotta da un batterio speciale. 339 trovano spesso su quelle parti del legno esposte all'aria ed all’ acqua anche in seguito a cattiva potatura come provò il Dezeimeris. L’A. accenna quindi ad una malattia detta Ma/ Rosso dai contadini osservata ad Angri dove si presentava sporadica, ed il cui aspetto ricorda abbastanza quello delle viti col mal di California. Egli ri- tiene questa malattia identica al Sechereccio descritto dal Macchiati; Comes però la considerò come una forma di Mal nero, mentre Cu- gini, Macchiati, Mori, Cuboni ed altri ne la distinsero e ciò forse perchè Comes assegna al Mal nero un significato abbastanza largo come a mò di esempio i Francesi al termine Pourridie. In complesso pare che que- sta malattia sia diversa da quella di California, e sonvi caratteri esterni che permettono di distinguerla abbastanza sicuramente. Il Rougeot ed il Follettage osservati spesso in Italia vengono ivi quasi sempre confusi col Mal nero, di rado pero le viti vengono uccise. La causa di questa malattia merita a parere dell’A. ancora lunghi studi. A questo punto v'è un parallelo tra il Mal di California ed il Rougeot e Folletage: en- demico il primo, sporadici questi; quello uccide le viti entro pochi anni senza che possano in seguito rinnovarsi nè coll’innesto nè col taglio raso mentre guando le viti vengono uccise dal Folletage o dal Rougeot possono rinnovarsi con queste pratiche; seguono altri nume- rosi caratteri differenziali. Foex, Rabot, Gayon, Cuboni sono unanimi nel ritenere distinto il mal di California dal Rougeot e dal FoVletage. Quel male sebbene alquanto affine ai precedenti deve presentare però una causa specifica che ulteriori studi potranno porre in evidenza. Il X.° capitolo comprende vari trattamenti, che dettero risultati poco soddisfacenti, non avendo essi scopo speciale, essendo simili agli or- dinari trattamenti antiperonosporici; ne’ casi in cui le Viti continua- rono a vivere, dice l’ A., ciò più che al trattamento si deve alle buone condizioni di ambiente e di coltivazione o alle varietà. L’ XI.° capitolo è uno sguardo sintetico alla parte precedente, e vi si accenna anche ad alcune ricerche batteriologiche rimaste infrut- tuose; seguono le conclusioni generali: la malattia potrà essere com- presa ove la si consideri causata da un parassita che sarebbe apparso dopo l’inverno 1883-84 infierendo con violenza nella California. Po- trebbe invece farsi dipendere da un indebolimento che accumulan- dosi di anno in anno cagionerebbe la morte della pianta; la causa di esso indebolimento sarebbe ancora sconosciuta. «Gli studi di Viala e Sauvageau hanno ormai posto in chiaro la causa della malattia (V. fasc. preced. di questa Rivista p. 136)». 340 | Millardet et Gayon. — Nouvelles observations sur ltefficacitè de diverses bouillies dans le traitement du Mildiou. Sulfostéatite (Journ. d’Ag. piat. 1892 vol. I, p. 231). In questa memoria gli A.A. hanno provato l’efficacia delle se- guenti sostanze anticrittogamiche. 1 I.° Poltiglia bordolese. — 1,500 di So'Cu e 500 gr. di CaO per HI. d’acqua. II.° Poltiglia bordolese celeste. — 3 Kgr. di polvere (formola Pons costituita da una combinazione di zucchero con solfato di rame) pari a Kgr. 1,5c0 di So'Cu e 1 Kgr. di calce circa per HI. d’acqua. III. Poltiglia celeste a polvere unica. — (formola Pons, costituita da un miscuglio della precedente polvere con solfato di rame, carbo- nato e bicarbonato sodico) Kgr. 2,400 pari a Kgr. 1,500 di So'Cu p. HI. d’acqua. IV.° Poltiglia con solfato ammoniaco. — 1,500 di So'Cu, gr. 500 di CaO, e gr. 400 di So{NH*)? p. HI. V.° Poltiglia bordelese con sporivoro Lavergne. — Kgr. 1,500 di So'Cu, soo gr. di CaO, e 1 Kgr. di sporivoro. VI. Poltiglia borghignona. — Kg. 1,500 di So'Cu e Kgr. 2,250 di soda cristallizzata per HI. d’acqua (form. Masson). VII.® Poltiglia berrichonne come la precedente più 25 centilitri di ammoniaca liquida a 22° (form. Patrigeon). Una prima serie di prove è stata eseguita a Danzac in vigneti di Malbec; si adoperò costantemente una quantità di poltiglia pari a 15-16 HI. per Ha per ogni trattamento, e di questi se ne fecero 4 (30 mag- gio 30 giugno 1 Agosto 15 settembre). Vi fu un ritardo di 15 giorni nella I.° applicazione del n. II°. La peronospora ha arrecato danni seri nel Médoc, e dalle vigne non trattate verso i primi di Agosto erano cadute le foglie: ne’ cam- pi di prova invece al 1° Agosto la peronospora si era sviluppata, solo sulle estremità de’ getti cresciuti dopo i trattamenti, e nel lotto trat- tato col II.° con 15 giorni di ritardo le macchie formatesi in quel pe- riodo erano rimaste invariate ed erano perfettamente disseccate co- sicchè tale poltiglia avea arrestato il corso della malattia. D’ altronde tutti i lotti trattati erano perfettamente immuni così di peronospora che di black-rot, soltanto la poltiglia con solfato ammonico avea cagio- nato varie scottature e macchie di rossore sulle foglie e la poltiglia con sporivoro soltanto macchie di rossore. L’ aderenza alle foglie di queste varie poltiglie è la stessa e gli AA. giunsero a tale conclusione con- 341 frontando l'intensità della colorazione nera assunta dalle foglie deco- lorate coll’ ebullizione in alcool asoluto e immerse quindi nel solfuro di ammonio. Gli AA. osservano incidentalmente che le foglie del Malbec trattate secondo solevasi con poltiglia al 3 °/, di So*Cu aveano le foglie colorate in. verde molto più intenso delle Malbec in prova con poltiglia al 1,500%,. Una seconda serie di prove era eseguita contemporaneamente in due vigneti presso Perpignan col vitigno Carignan molto sensibile al Mildiou. In trattamenti furono 4; il primo in ragione di 3 HI. p. Ha con 1,000 ceppi, gli altri in ragione di 4 HI. so e si eseguirono il 25 maggio, 27 giugno, 18 luglio, 20 Agosto. La peronospora infieriva in modo tale che oltre a questi si fecero 3 trattamenti polverulenti. An- che in questo caso le estremità spuntate durante gl’intervalli fra i trattamenti furono invase dal parassita: i risultati migliori nel 1.° vi- gneto si ebbero colla poltiglia bordelese ordinaria a 2°/ di So'Cu e poi colla poltiglia celeste col 2°/, di So*Cu. Nel 2.° vigneto la polti- glia ordinaria al 2°/, dette ancora ottimi risultato viene seconda la poltiglia celeste a polvere unica all’ 1,25 °/, e all’ 10/,. La terza serie di prove si eseguì nell’ Héraut presso Pézenas con vitigno predominante il Carignane. Furono fatti due trattamenti in ra- gione di 8hl. p. Ha con 4000 ceppi. I risultati sono pressocchè iden- tici ai precedenti onde gli A.A. concludono I.° che le varie poltiglie a dosi uguali di rame hanno la stessa efficacia, Il.° che è consigliabile l’uso: della poltiglia celeste a polvere unica perchè più facile a prepa- rarsi delle altre, non essendo necessaria la calce nella sua prepara- zione, II.° che le poltiglie all’ 1%, di So'Cu sono insufficienti durante le forti invasioni peronosporiche IV.° che nel mezzogiorno di Francia dal giugno in poi si devono spandere 8 HI. di poltiglia all’ Ha per ogni trattamento. L’ ultima parte della memoria riguarda la efficacia della sulfostea- tite; alcuni viticultori riescirono a preservare i loro vigneti dalla pe- ronospora e dal black-rot col l’uso di questa sostanza: tra gli altri il Sig. d’ Andoque il quale fa annualmente 3 trattamenti con questa so- stanza ed uno con solfo puro: il 1° con 25 Kgor. di sulfosteatite quando i getti hanno raggiunto la lunghezza di o m. 25-0,30. il 2° con solfo e 40 Kgr. di sulfost. durante la fioritura; il 3° in fine di luglio con roo Kg. di sulfosteatite. I risultati osservati dagli AA. sono molto sod- disfacenti: all’epoca della vendemmia non v'era che qualche rara mac- chia sopra i germogli cresciuti tra i trattamenti. E gli stessi risultati 342 si ottengono da 5-6 anni. Sono descritti poscia i mietodi di applica- zione, ed è notata l’efficacia di questa sostanza contro il marciume dell’uva. Gli AA. concludono che la sulfosteatite è un potente mezzo di difesa contro la peronospora e contro i Rot dei grappoli i quali si possono prevenire col trattamento con sulfosteatite all’epoca della fioritura. V. PEGLION. Prunet. — Sur la perforation des Tubercules de Pomme de Terre par les rhizomes du Chienqent (In Rev. Gén. de Bot. 1892 p. 167). È noto da parecchio tempo che i rizomi di varie gramigne incon- trando tuberi di patata possono perforarli riprendendo in seguito il loro sviluppo nel suolo. L’ A. si è prefisso lo scopo di vedere se essi si nutrano come si è creduto finora, delle sostanze che vengono a disciogliere sul loro passaggio. I rizomi hanno la superficie ricoperta da epidermide sclerificato al quale sottostà un ipoderma ugualmente scleroso; la struttura è i- dentica nel rizoma racchiuso nel tubero, Nella zona a contatto col rizoma il tubero presenta uno strato necrosato e vari strati di su- ghero che formano una guaina avvolgente il rizoma stesso e questa guaina impedisce evidentemente una qualsiasi digestione de’ tessuti del tubero per opera dei rizomi maturi, che presentano del resto un sistema tegumentare tale da impedire ugualmente tale fenomeno, I granuli d’amido compressi ed a contatto dell’ epidermide del rizoma sono intatti. Lo strato necrosato e la guaina suberosa si osservano ugualmente attorno alle gemme terminali del rizoma comprese nel tubero, però la guaina cessa poco al disotto dell’ estremità della gemma stessa ed in quel punto si trovano granuli d’ amido e pareti cellulari corrosi per effetto di diastasi. Tale digestione unita alla circumnu- tazione dell’apice del rizoma scava il foro entro al quale il rizoma progredisce. In alcuni casi si produssero radici delle quali alcune ri- masero imprigionate nel tubero: queste radici sono prive di peli, non si osserva traccia di digestione nello amido dello strato necrosato a contatto immediato colle radici stesse. All’apice della radice presso alla piloriza si vedono invece i granuli di amido corrosi come nel caso precedente. L'assenza de’ peli radicali dipenderebbe secondo l'A. dalla pressione esercitata sulla radice da’ tessuti circostanti. Non par- rebbe improbabile che le sostanze disciolte fossero assorbite dal ri- zoma, quantunque quelli che si osservano all’interno delle patate non 343 fossero poi apparentemente più robusti di quelli ordinari. Il modo di comportarsi della gramigna non avrebbe quindi ragione di essere con- siderato parassitico. V. PEGLION. P. Viala. — Les maladies de la Vigne — III. Edit. Montpellier, Paris 7893 !). È un libro il quale non riesce soltanto interessante al Patologo od al Viticoltore come a prima giunta potrebbe sembrare dal titolo, ma ancora agli studiosi di botanica pura, poichè spesso i parassiti ve- getali sono in esso descritti in tutte le fasi del loro sviluppo, ed in tutti gli stadi della loro metagenesi la quale non di rado è abbastanza complessa. Ed è quindi dal doppio punto di vista scientifico e pratico che daremo alcuni cenni riassuntivi critici sulla detta pubblicazione. L’opera è divisa in tre parti cioè: I. Parassiti vegetali. II. Malattie non parassitarie. III. Parassiti animali. Copiose ed accuratissime tavole cromo_litografiche dànno i caratteri macroscopici delle principali ma- lattie, mentre i dettagli anatomici ed i caratteri de’ funghi parassiti sono rappresentati da numerose incisioni intercalate nel testo. L’A. ha seguito nella I. parte l’ordine tenuto nella II. Edizione circa la distribuzione dei parassiti vegetali, e sebbene non sia la più raccomandabile dal lato della sistematica micologica, pure è utile dal punto di vista pratico poichè sono trattati i parassiti quasi in ragione del loro grado di importanza da lato viticolo ed in ordine cronolo- gico rispetto alla loro apparsa nei vigneti europei. Anzi dovremmo dire, per essere esatti, che nei riguardi della sistematica la distribu- zione dei parassiti è un po’ stridente. Infatti lA. apre il suo lavoro colla trattazione dell’ Oidium, un pirenomicete, cui fa seguire la Pero- nospora per riprendere poi i pirenomiceti nuovamente colla Leastadia Bidwilii, coi funghi da lui chiamati Dematophorae etc. Una lista sistema- tica dei funghi parassiti della Vite ovvia a questo inconveniente, forse inevitabile, in un lavoro dell’indole di quello del signor Viala. Il primo parassita di cui tratta lA. è l’Oidium Tuckeri, e rispetto alla II. Ediz. la più importante novità è l'ammissione definitiva della Uncinula spiralis nel ciclo evolutivo dell’ Oidium medesimo. 1) È un volume di 5oo pagine in carta e caratteri di lusso, con 20 splendide tavole cromolitografiche, e 290 incisioni intercalate nel testo. Trovasi in vendita al prezzo di L, 26, franco di porto presso 1’ Editore C.-Coulet, Rue Grand Montpellier, e presso i nostri principali librai (C. Clausen, Torino, U. Hoepli, Milano etc etc.). 344 Anche le questioni relative ai rimedi sono ampiamente - svolte, é l'A. chiude la trattazione di ciascun parassita con una dettagliata e- sposizione delle pratiche da adottarsi per preservare le viti dall’inva- sione di quel dato parassita, o curarle quando sono invase, e colla bi- bliografia relativa al parassita stesso. Così per l’ Oidium è ricordato lo zolfo, la sua azione sul fungo e sulla Vite, la storia e le epoche della sua applicazione, le quantità di zolfo da impiegare, le qualità da preferirsi etc. Rispetto al Mildiou (Peronospora) l'A. dopo aver accettato la ridu- zione del parassita al genere P/asmopara 1), fa la storia dell’ invasione peronosporica in America ed in Europa indi passa a descrivere il fun- go, nelle sue diverse forme dando dettagliata esposizione dei carat- teri specifici e degli organi che invade. Si diffonde in seguito sui ri- medi trattando anche le questioni, ormai quasi abbandonate da ognu- no, dell’azione del rame nella vinificazione e nell’igiene. Colla medesima larghezza di vedute sono trattati poi il Black-rot I’ Antracnosi, il marciume, il Coniothyrium Diplodiella e gli altri parassiti che vennero pure descritti nella II edizione, ai quali conviene aggiun- gere il Me/anconium fuligineum, l Aureobasidium Vitis, V Uredo Vialae, la Briosia ampelophaga, \° Endoconidium ampelophilum, la Plasmodiophora Vitis, la P. californica ed altri di minore importanza dal lato viticolo. Questa prima parte, che è la più importante dell’opera, è trattata colla competenza che distingue il signor Viala. Non è un lavoro originale, ma un’ accurata esposizione di tutto ciò che venne pubblicato intorno ai caratteri ed alla storia dello. svilup- po dei parassiti vegetali della Vite, alle alterazioni che essi produ- cono ed ai rimedi proposti e sperimentati per combatterli. Molte cose sono tratte da anteriori lavori dell’ A. stesso. Sotto questo punto di vista il lavoro non poteva riuscire più interessante, ed ammiro in esso la valentia dell’egregio autore. Dal lato della sistematica però stanno esposte alcune idee che le vedute inspirateci dal lungo tempo consacrato allo studio dei funghi, non possono farci assolutamente accettare. Anzitutto lA. continua a chiamare il principale fungo del Marciu- me, Dematophora necatrix. All’occhio del moderno tassonomo forse, an- 1) Vedi Berlese e De Toni in Saccardo Syll. Fung. vol, VII, n. 259. 345 che senza le dimostrazioni stringenti da me esposte 1) in uno speciale lavoro, non sfugge (dopo l'esame delle belle fisure del Viala ?) sulla Demat. necatrix e dell’Hartig*) sulla Rosellinia quercina) che Dematophora e Rosellinia sono una sola e medesima cosa. Ma quest’asserzione, non suffragata da prove espérimeéntali, avrebbe poco valore. Ed è appunto in vista di ciò ch’io condussi ricerche biologiche sopra la meglio co- nosciuta delle Rosellinie. I risulti del mio citato lavoro, noti'al Viala, e sui quali egli serba un silenzio che non mi so spiegare, sono tanto conformi a quelli ottenuti dal Viala stesso nella coltura della Demato- phora necatrix, i due funghi hanno tanti punti comuni, una si grande affinità, che il considerarli non solo non congeneri, ma anche appar- tenenti a due sottoclassi differenti, francamente non mi sembra un passo avanti. Il genere Dematophora deve inevitabilmente perire e con esso, a maggior ragione, la famiglia Dematophoreae. Ben fecero i sistematici a non tenerne conto. La Dematophora necatrix è una Rosellinia genuina non ostante ai periteci sempre ed interamente chiusi il cui contenuto non è una gleba, ma è dato da aschi e parafisi come in mille altri pirenomiceti. La Dematophora glomerata apparterrà forse al genere Ro- sellinia ma la scoperta dello stato ascoforo potrebbe anche portarla in tutt'altra famiglia. Il Viala esamini (a mo’ d’esempio) la Lasiosphaeria spermoides e vedrà come i periteci sono entierement et tojours clos, Uno studio sui pirenomiceti specialmente lignicoli, convincerà certamente questo egregio autore dell’insostenibilità della famiglia delle Demato- phoreae e del genere Dematophora il quale, a parer mio, è ben lungi dal presentare una qualche affinità colle Tuberacee! AI Melanconinm fuligineum VA. conserva il nome: di Greeneria fuligi- nea. Questo modo di vedere non può essere accettato dopo gli accu- rati studi del signor Cavara “), e dopo l’esame diretto che io condussi sul fungillo in discorso, il quale era bene che lA. nella distribuzione geografica avesse tenuto conto che venne pure ritrovato in qualche località dell’Italia. Un altro piccolo appunto che mi permetto rivolgere all’egregio au- tore, si riferisce alle specie G/loeosporium fructigenum, Ascochyta rufo-ma- culans, Phoma reniformis. Anzitutto non mi sembra che si possa assolu- 1) Berlese Rapporti tra Dematophora e Rosellinia (in Rivista di Patol. vegetale anno I. fasc, I-1l con 3 tavole). 2) Viala Monographie de la Pourridie, Montepellier 1892. 3) Hartig. 4) F. Cavara. Sul Bitter rot degli americani Pavia 1888. 346 tamente riunire il Gleosporium fructigenum coli? Ascochyta rnfo-maculans di Berkeley e Broome, poichè quest’ultima specie, perchè provveduta di.un vero peritecio, e una genuina Sferopsidea, laddove il G/oeospo- rium, come é noto appartiene ai Melanconiei. In un anteriore lavo- ro !) io diedi la descrizione di un fungillo che. pei caratteri peculiari che presentava non dubitai di doverlo ascrivere alla Ascochyta rufo-ma- culans, ed esposi l’opinione che la Phoma reniformis del Viala dovesse ascriversi alla specie dei signori Berkeley e Broome. Ulteriori studi *) mi convinsero poi in questo genere di vedute, e di più mi condus- sero alla conclusione doversi considerare come una sola e medesima cosa le tre specie Ascochyta rufo-maculans, Phoma (Macrophoma) renifor- mis, e Macrophoma acinorum del Passerini, della quale ultima anzi non vedo fatta menzione (come della Phoma ampelocarpa) nell'opera del Viala. (Vedi Pass. in G. Bot. It. 1890, n. 1). Nella II parte sono trattate ie malattie non parassitarie tra le quali il Mal nero 3) il Roncet, la Clorosi, il Colpo di sole etc. Infine nella III parte sono date le descrizioni dei più importanti pa- rassiti animali della Vite. È una trattazione non molto estesa, e ri- volta più allo scopo di rendere accorto il Viticoltore sulle differenze che passano tra le alterazioni dovute a parassiti vegetali e quelle pro- dotte da parassiti animali. Ad ogni modo la filossera vi è trattata con sufficiente larghezza, così 1’ Altica, la Cochylis ambiguella, la Tortrix pille- riana etc. L’opera del Viala quindi ci offre il quadro completo di tutte le al- terazioni cui può andare soggetta la Vite, e per parecchie anche i modi più opportuni per opporvi un efficace riparo. Ben volentieri quindi consigliamo agli interessati la lettura di questo libro il quale fortemente raccomandano e l’alta importanza dell'argomento, e l’in- contestabile competenza dell’autore, L’Opera del Viala è un lavoro ben fatto e destinato a rendere dei grandi servigi nel campo viticolo. Esso offre agli studiosi ed ai pra- tici la guida più sicura per ben conoscere le malattie della vite ed i 1) Berlese A. N. in Gior, Bot. it. anno 1888. Sopra due parassiti della Vite per là prima volta osservati in Italia. 1) Berlese. Sopra alcuni Phoma viventi negli acini dell'uva, (In Agric. merid. 1892). 1) Recenti studi sperimentali di Cugini e Baccarini hanno dimostrato che questa malattia è prodotta da speciali bacteri. (Ved, Malpiglia 1892, e Giornale Le Stazioni Agrarie 1892). 347 tetodi più efficaci a prevenirle 0 combatterle. Nel metitre faccio te- nere all'amico autore le più sincere congratulazioni per la buona riu- scita del lavoro e per l’accoglienza che già trovo in grembo agli scien- ziati francesi !) mi auguro, ed estendo a lui pure l’augurio, che l’opera sua deve correre anche fra le mani dei nostri viticoltori, convinto che troveranno in essa da far tesoro di molte utilissime cognizioni. 1) Venne decretato all'opera del Viala dall’ Istituto di Francia il premio Desma- zières (1893) destinato alla migliore pubblicazione nel campo della micologia o di qualche altro ramo della crittogamia. A. N. BERLESE NOTIZIE Il Cycloconium oleaginum nell'Italia meridiona!e Successivamente all’accurata memoria nella quale il Boyer !) de- scrisse i caratteri della malattia dell’ulivo causata dal Cyc/loconium olea- ginum, vennero fatte diverse comunicazioni alla Società Botanica Ita- liana, riguardanti la presenza di questo fungo in Italia. Nel febbraio 1892 il dott. O, Kruch annunziava che questo fuhgillo fino allora tro- vato soltanto in Francia era stato osservato sugli olivi in quel di Te- ramo fin dal 1889 come risultava da’ rapporti della R. Stazione di pa- tologia vegetale di Roma. Il medesimo autore soggiungeva quindi di aver osservata ln malattia sopra foglie di ulivo, alcune delle quali rac- colte a Colonha presso Frascati altre provenienti dal Fiorentino; nel medesimo anno il prof. Arcangeli accennava allo esteso sviluppo as- sunto dal Cycloconium negli uliveti pisani dove egli lo aveva raccolto fin dal 1889. A queste regioni conviene aggiungerne altre due dove ho potuto costatare la presenza di questa malattia : nel podere della Scuola Eno- 1) Boyer. Le Cyceloconium oleaginum in Journal de Botanique n. 24, 1891, 348 logica di Avellino trovasi un olivo chs nell'ottobre 1892 presentava le foglie apparentemente allo stato normale, ma che esaminate in modo da far riflettere la luce alla pagina superiore si mostravano qua e là cosparse di macchie rotondeggianti nerastre; l'esame microsco- pico mi rivelò la presenza di un fungillo i cui caratteri corrisponde- vano a quelli assegnati dal Saccardo nella Sylloge e dal Boyer nella già citata memoria al Cycloconium oleaginum. D'altronde. da lì a poco queste macchie quasi invisibili dapprima, si resero evidenti ed assun- sero l’aspetto caratteristico. Avendo avuto occasione di visitare al- cuni oliveti ne’ dintorni di Avellino, in compagnia dell’ egr. Prof. San- nino, non ho potuto più in alcun caso costatare la presenza di que- sto fungo. Altri esemplari di esso potei raccogliere durante un breve sog- giorno a Portici, nell’uliveto annesso a quella R. Scuola Superiore di Agricoltura. Ivi il fungo era diffusissimo, gli alberi di ulivo, attaccati in modo non sempre affatto indifferentemente, presentavano gran parte delle foglie cadute che mostravano le macchie di secco carat- teristiche. Tale uliveto è costituito da più varietà (ogliarola, roton- della, ulivo di Gaeta etc.) tutte erano attaccate presso a poco in u- gual modo, e pochissimi eran gli alberi che si presentavano immuni, talmente che in siffatte condizioni non sarebbe male raccogliere e di- struggere col fuoco le foglie cadute per effetto della malattia, onde impedirne la trasmissione dagli alberi ammalati a quelli sani. V. PEGLION. 349 BIBLIOGRAFIA! DEI LAVORI DI PATOLOGIA VEGETALE, TERATOLOGIA E PARASSITOLOGIA Aducco — Il monaco dell’ ulivo. In Coltivatore 1891. Alfonso — Nota sulla gommosi degli Agrumi. Palermo 1892. 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XLII, III Quartal, Sept. 1891, 1) Detta Bibliografia si riferisce principalmente ai lavori apparsi negli anni 1891- 1892. La redazione della Rivista fa viva preghiera agli Autori di lavori di Patologia vegetale di voler spedire alla Redazione stessa (presso il Prof. A. N. Berlese, R. Scuola Enologica di Avellino-Italia) -un esemplare delle loro pubblicazioni. Delle stesse pun- tualmente sarà tenuto conto nella Rassegna e nella Bibliografia. 350 Baccarini — Intorno ai caratteri proprii di alcune malattie della Vite. In Boll. Com. Agr. Acireale 1891. — Di alcune malattie delle Piante. Torino 1891. —_ Le Micorize. In Nuova Rass. Agricolt. Ind. Comm, 1882. _ Sul Mal nero delle viti in Sicilia. In Boll. not. Agr. 1892. -- Intorno a caratteri propri di alcune malattie della Vite. In Nuova Rass. di Vit. et Enol. Conegliano 1891. Bach C. — Schadliche Insekten an Johannisbeeren. In Woch. d. land- wirtschaftl. Vereins im Grossherzogtum 1891. Barclay A. — Rhododendron-Uredineae. In Scient. 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