S- 91.90 ) PI AZZ 1) Sl & ==V e) | ——S I Uk CACTETEM® Lina i: "ie A, 9 i) MT CIS) di dl È ‘ ta tI ; N fi n Yu Î) Mi I VA 7 ) AAA SA ADEN BRIANZA CUL LUVLUL i) [8° Di ANADIO ape 7 DA Vi Di) 14%; t7 pdl TIT IOTCIORCINOI DA 4 » vi 7 f PURI : MIA c€ — RIVISTA PATOLOGIA VEGETALE | CS SOTTO LA DIREZIONE DEI PROFESSORI Dott. AUGUSTO NAPOLEONE BERLESE 5 ‘al | Libero Docente in Patologia Vegetale presso la R. Università di Padova “a e Prof. di Botanica nella Università di Camerino AE E Be Dott. ANTONIO BERLESE Prof. di Zoologia generale ed Agraria nella R. Scuola Superiore a n di Agricoltura in Portici VOL. III pra Oa RE 3) FIRENZE k TIPOGRAFIA C. A. MATERASSI 8 - Borgo S. Croce - 8 | 1896 LURATE SESTA 73 Lavori originali. ;JARD! | Berlese A. — Le cocciniglie Italiane viventi sE Agrumi, — Parte II 3 VIII RAI RISO 0 SO Re. e» — Insetticidi ed insettifughi contro AO insetti spe- DAI cialmente contro la Cochylis ambiguella, il Dacus ; ci — oleae e la Carpocapsa pomonana. . . È; » — Metodo per esaminare sollecitamente ierreni Mt È inquinati da fillossere e raccogliere queste . . _ Berlese A. N. — Un nuovo marciume dell’ insalata... . E Berlese A. N. e L. Sostegni. — Ricerche sul od arlamonio di alcuni sali di rame in rapporto alla vite ed al ter- # PA II TER a ADI 4 ROSE È Berlese A. e Leonardi G. — Diagnosi di coccimiolie Îuovec=re _ Leonardi D. — Elenco dei Fitoptidi europei. . ./././...°. | Peglion V. — Diagnosi di funghi parassiti nuovi... /./.0... à » — Osservazioni critiche ed esperienze sopra l'efficacia dei composti cuprici contro la tiechiolatnra del pero. » — I Zoocecidi della flora Avellinese . . . . . ton, Smith W. G. — Ricerche morfo-anatomiche sulle doi pro- dotte dalle Exoascacee nei germogli e nelle foglie Visart O. — Contribuzione allo studio delle glandule ceripare delle Cocciniglie (Dactylopius Citri e Ceroplastes Rusci) Piccole Comunicazioni. Berlese A. N. — Parassiti del Gelso vecchi e nuovi . . o3E = » — Lo stato ascoforo del Cornzothyrium i iplodiana di. aorsoiane della Nite) ic isernia n, » — Gommosi non bacillare nella Vite... . .. + 49-129 101 104 105 Berlese A. N. — Due parole di risposta alla controcritica del Dot- tore. Del Guercio. = EEA I Berlese A. e Leonardi G. Di una cocciniglia che attacca la Vite E (MIYEAS TS PDOMOLUM) a I SS RI TAR Rassegne di lavori di Patologia Vegetale. Aderhold. — Notizen ueber einige im vorigen Sommer beobachtete Pilanzebkrankeiten- nea Br Barth-Rufach. — Ueber die Behandlung des Reben Taio Kupfer- vitriolhaltigen Mitteln zum Schutz gegen die Perono- Spora È ST A a Beach S. A. — Some ar ia SR RO » — Treatement. of Potato Scab . . ...... 00° Biedenkopf. — Usti/ag0 medians, ein neuer Brand auf Gerste. . Bòohm I. — Ueber die Kartoffelkrankheit 0/0... Bruhne K. Hormodendron Hordei. — Ein Beitrag zur Kenntniss der Gerstenkrankheiten.:. ie 4 e Cockerell T. D. A. — Descriptions of new Coccidae . . . . . » — A new scale-insect on Agave . . . . . » — Notes on some insects of the subfamily Dia- spinae:=. Geni an IT » Two new Coccidae from the arid region of Nort=America=-= siber00 ST RTat ax > » — Two new species of Pulvinaria i Ja- Mala it Se REI e a O I » — Notes on some Trinidad Coccidae . . . . » — A check list of the Coccidae of the Neotro- picaliregione «Lan ni a Za ire a » — The San Josè sa SENTE » — The twentieth neotropical Aspidiotus . . Coquillet D. W. — The San Iosè scale in Virginia . . ; x Cuboni G. — Gli effetti del gelo sui tralci e le gemme dalle i - Cavara F. — La brunissure de la Vigne en Italie. . . . ... Chester F. D. — Can peach rot be controlled by spraing? . . . Dangeard P. A. — La reproduction sexuelle de l’Enty/oma Glaucii Dangeard et Bougrier. — Note sur une anomalie florale de T- TPOSUOESWES IERI dj a I Del Guercio G. — La cocciniglia del na ue an Del Guercio G. ec Baroni E. — Rimedii contro la infezione pro- dotta sulle rose dalla Sphaerotheca pannosa . . +. » — Sulla infezione prodotta nelle Fragole dalla. Sphaerella Fragarige<: <<. ORE ‘Foex G. et Viala P. — La Gelivure de la vigne. ./., 0... Var RITI b rank B. — Ucber die in Deutschland neu aufgetreten Getreidepilze aus der Abteilung der Pyrenomyceten . Giard A. — Sur la trasformation de Margarodes Vitium se » — Terza nota sul genere Margarodes. . . . < >». — A propos du parasitisme du Botrytis cinerea. . < » — Comunications a la Societé Entomologique de France . - Griffiths A. B. — Sur la matière colorante du Micrococcus prodi- Li giosus. _ Hartig R. — Septoria Darasitiea' in ‘itteren Riibhielvenstànden E Rieminys P. — Die schadlichen Kryptogamen unseres Gewachshà- ‘3 user P Howard L. 0. — The Hone pie Parasites of the California Red Scale. È grnphres I. E. — Report of vegeiabte pattologieh of Nisaetius setts State Station . . . LE 4 | Janse. — De Dadap-ziehte von Cost=Java” Joist M. — Die vertilgung schmarotzender SUR Sani mittelst kupfervitriollòsung und kupfervitriolspeck- steinmehls .. . . . SE Na Bioticseur H. — Les Ravageurs de t ne : | Klebahn. — Einige Wirkungen der Duùrre des OTO 1893 _Kruck O. — Le deformazioni dei rami dell’Elce prodotte dall’Exroa- scus Kruchii . x È Liebscher G. — Versuche ueber die Rékimpfuns ee bario È lkalk-Mischung und A 4 Lindau G. — Der Epheukrebs . î È Lodemann E. G. — Spraying apple CORE ina w ; CASS _ Ludwig. — Ueber das Vorkommen von Bulgaria pae: ymorpha an J lebenden EFichen . . . e arde | Massalongo G. — Calendario Rimozica veronese — Mor E. — Le Chandron du Sapin . . Mina Palumbo. — Fumaggine della e Nooritz und Buss. — Ueber das Auftreten von IRA a È Vitis in Deutschen Weéinbaugebiete , . Navaschin. — Ueber eine neue Sclerotinia, vergleichen mit Selero- k tinia Rhododendri Otto R. — Untersuchungen ueber das Verhalten der Pilanzanw ur- $ zeln SERRE dI E e 0 Sa DI È _ Prillieux et Delacroix. — La gommose bacillaire des vignes francaises . . . Ro lt i » _ Wafadics nta Rufitrs | Prunet A. — Sur un nouveau mode de SRI du Pousridid A de la Vigne. . . . CLI, Ravaz L. — Sur une maladie de la Vigne causée Poi le Botri, vis cinerea Rostrup. — Phoma Angriff ie WlielsaWichien: 7 fui Ep FAR SOLE ve: Schwarz E. A. The San lIosè scale at Ghurloliee ville; Vane Z > ren A. — Beitrag zuz Bekampfung der Kartoffelkranl= Del i SA ONOR fermitteln gegen die Kartoffelkrankheit . » — Ueber die Wurzelbraune der Cyclamen . . ta Vedrédi. Das Kupfer als Bertandteil der Sandboden und unserer Kulturcewachse: si eee Viala P. — Gélivure et gommosi bacillaire . . . . . » — La « Brulure » de la-Vigne . . . . . | Went, — Die Ananaskrankheit des Zuckerrhors. . È Woodworh W. — Root Knots on fruit tret and vins. ” 4 -LP € LI ES 3 8° RIVISTA DI PATOLOGIA VEGETALE SOTTO LA DIREZIONE DEI PROFESSORI Dott. AUGUSTO NAPOLEONE BERLESE Docente di Patologia Vegetale e Prof. presso la R. Scuola Enologica di Avellino E Dott. ANTONIO BERLESE Prof. di Zoologia generale ed Agraria nella R. Scuola Superiore d’ Agricoltura di Portici VOL. HI. Num. 1-4 Marzo-Giugno 1894 Giornale onorato della sottoscrizione del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio AVELLINO EDOARDO PERGOLA EDITORE TIPOGRAFO 1894 Prezzo d’ abbonamento annuo Lire 1% SOMMARIO V. Peglion — Diagnosi di funghi parassiti nuovi . . - Pene » — Osservazioni critiche ed esperienze sopra T efficacia dei composti cuprici contro la ticchiolatura del Dei MII > » — I Zoocecidii della Flora Avellinese . . È 50029 Oscar Visart — Contribuzione allo studio delle glandule ceripare ‘delle Cocciniglie (Dactylopius citri Risso e Ceroplastes rusci). . . » 39 A. Berlese — Le “Cocciniglie italiane viventi sugli agrumi . . ... » 49 PICCOLE COMUNICAZIONI A. N. Berlese — Parassiti del gelso vecchi e nuovi . . AMO] » — Lo stato ascoforo del C oniothyrium Diplodicia Rot blanc della Vite). . , 13 DI04 » — Gommosi non bacillari Hola vile. coat «9725105 » — Due parole di eps alla controcritica del Dottor G. Del Guercio . . MR.» Rasseglie di lavori di lavori di Di vegetale . MR» PITTELEINA — Olio di catrame solubile, formula A. Berlese DELLA Fabbrica di prodotti chimici ed apparecchi anticrittogamici ed insetticidi Papova — A. PETROBELLI & C. — Papova È il più pratico, efficace ed economico insetticida finora conosciuto. Si scioglie prontamente in qualunque proporzione nell’ acqua. La sua soluzione all’ 1 per cento, è efficacissimo insetticida contro la Tignuola del melo (Hyponomeuta malinellus), il Pidocchio del melo (Schizoneura lanigera), la Cimice del pero (7’ingis Pyri), con- tro le larve di tutte le Cocciniglie (pidocchi) degli agrumi, e gli A fidi. Si distribuisce sulle piante. col mezzo delle pompe irroratrici da peronospora, 0 con pennelli. La Pitteleina è 1 insetticida più attivo che si conosca, e nella indicata proporzione, affatto innocuo alle piante. La Pitteleina è l insetticida più economico che sì trovi finora in commercio, poichè la sua soluzione acquosa all’ 1 per cento, costa meno di un centesimo il litro. 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Im una breve gita verso il torrente di Capriglia trovai una zona quasi interamente coperta da in- dividui di questa specie così rigogliosamente crescenti da simulare a prima vista l' Arwm ifalicum. L'° esame delle numerose infiorescenze colla’ caratteristica spata invece permise di diagnosticare rapidamente e sicuramente la specie. Senonchè nel procedere a tale esame richiama- rono la mia attenzione numerose macchie di color livido, sparse lungo il picciuolo e sulla lamina delle foglie, sul peduncolo e sulla spata della infiorescenza. Tali macchie poteansi esattamente paragonare alle ben note macchie nerastre che 1’ Urocystis Anemones cagiona sopra ì pic- ciuoli ed i peduncoli dell’Anemone apennina. L’ esame microscopico del contenuto di queste macchie mi rivelò la presenza di un fungillo che, dopo le debite osservazioni riferii al Melano- thacniwm plumbewm del quale trascrivo più oltre la diagnosi quale vien riferita nella Sylloge, Vol. VII p. 458. (Sub Ustilago plumbea Rostr.) Il Melanotheanium plumbewm (Rostr.) Pir. venne raccolta da Ro- strup nel 1875 sopra l'Arum Italicum e pubblicato quindi nella My- cotheca umiversalis del Thiimen sotto il N. 531. Nella Sylloge Ustila- gin. Vol. VII, tale specie non figura come vivente in Italia, però nel 1889, cioè un anno dopo la compilazione del detto volume, essa venne ritrovata dal Chiaro Prof. Pirotta ' a Monte Cave nei colli Laziali presso Roma, sul Biarum tenuifolium, e da questo egregio autore riferita al 1 In alcuni pochi esemplari di questa noticina, primi divulgati, la presente specie figura come nuova per l’Italia. Sono grato al Chiariss. Prof. Pirotta delle notizie for- nitemi riguardo alle sue osservazioni sulla specie presente, notizie delle quali sono do- lente non aver potuto tenere conto prima, per essermi sfuggita al consulto la memoria dello stesso Prof. Pirotta, inserita nel Boll. della Soc. Bot. Italiana, 1889. p. 312. 1 > V. PEGLION genere Melanothaenium, per la forma e struttura delle spore e per es- sere i mucchietti da esse formati duri, ricoperti a lungo dall’ epider- mide e non polverosi a maturazione come nelle Us#/ago. Ho creduto opportuno far cenno di questa specie, tanto più chè, vivendo sopra una pianta diversa da quella su cui venne riscontrata dal Rostrup e dal Pi- rot, ho potuto osservare alcune differenze che, sebbene leggere, mi hanno indotto a creare pel mio esemplare una nuova forma. La diagnosi che si legge nella Sy/oge è la seguente. UsmiLAaGo PLUMBEA Rostr. in Thiim. Myc. Un. n. 531 — Soris epi- dermide semper tectis, plumbeis, valde irregularibus, tuberculatis; spo- ris globosis ovalisve, simplicibus, fuscis, 14-16 | diam., episporio levi instructis. Hab. in foliis petiolisque vivis Arè maculati prope « Tiselholt » in insula Fionia-Daniae. Secondo le osservazioni del precitato Prof. Pirotta, 1’ epidermide alla fine viene lacerato, ed allora i mucchietti di spore appariscono nere. Queste, come anche io più sotto espongo, sono raccolte sempre in nu- mero considerevole. Non pochi caratteri differenziali che or ora enumererò, passano tra i caratteri sopra riassunti e quelli osservati da me nel parassita dell’A- risarwun, dipendenti probabilmente dalla diversa pianta ospite, per cui ho creduto opportuno presentare il detto parassita quale forma distinta della specie suddetta. In primo luogo la forma delle spore non è affatto regolare; sono rarissime quelle ovali o rotondeggianti, per lo più prevalgono spore a contorno angoloso anche se perfettamente mature, e le dimensioni Toro offrono quindi grandi divergenze tra il diametro longitudinale ed il tra- sversale. Le dimensioni stesse delle spore poi sono alquanto diverse dalle suesposte poichè non è raro il caso in cui il massimo diametro rag- giunga ed oltrepassi i 26 p mentre non scende mai al disotto di 20 p. Le spore stesse se perfettamente mature hanno l’ episporio molto svi- luppato, fragile, di colore bruno-carico tendente al nero ; 1’ endosporio è perfettamente ialino e racchiude un protoplasma ialino, granuloso, rare volte guttulato. La frase diagnostica della presente forma potrebbe a- dunque essere la seguente: MELANOTHAENIUM PLUMBEUM (RostR.) Pir. F. ARISARI PEGI. A typo differt sporis irregularibus, saepe angulosis, raro ovatis, majoribus, 20-26 w longis, 18-20 crassis, episporio nigricante, crasso, levi instructis. Ma # I = » È DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI 3 Habitat in foliis, petiolis, pedunculis inflorescentie, bracteisque A- risari proboscidei prope « Avellino » It. Austr. Vere 1894. Riassumo brevemente le alterazioni indotte nella struttura anato- mica delle parti della pianta ove avviene la sporificazione del parassita. Nel picciuolo le chiazze plumbee rivelanti gli ammassi di spore si trovano sempre limitati ad una porzione dell’ intera sezione del pic- ciuolo stesso in corrispondenza della quale si nota una leggera protu- beranza. Le sezioni eseguite in questa regione, quando non sia avvenuta ancora la formazione delle spore, mostrano gli spazi intercellulari occu- pati da una fitta trama miceliale, ialina, formata da ife sottili, gracili, ricche in goccie rifrangenti che per la massima parte sì mantengono extracellulari, ma che mandano però dei sottili filamenti all’ interno delle cellule circostanti, il cui contenuto vien presto a scomparire. Co- lorando siffatte sezioni con una sostanza colorante qualsiasi, sì può in un certo qual modo seguire la scomparsa del contenuto cellulare dagli elementi attorniati dal micelio; il nueleo di essi resiste più a lungo, ed in ultimo lo si trova addossato alla parete, sformato e non reagente più con la facilità caratteristica. Nella parte soggetta al fungo non si avverte alcuna neoformazione; senonchè le cellule epidermiche e parenchimatiche sono alquanto iper- trofizzate, ed in modo irregolare, cosicchè i fasci collenchimatici , che allo stato normale sporgono appena alla superficie e la sezione del pic- ciuolo è pressochè circolare, nella parte invasa vengono sospinti all’ e- sterno e le insenature tra un fascio collenchimatico ed il susseguente vengono ad essere molto più marcate. È degno di nota il fatto che, a differenza di quanto succede con altre Ustilaginee, il sistema vascolare non subisca alcuna deviazione nella direzione ed il sistema meccanico si mantenga perfettamente i- nalterato. Nella lamina il fungo induce chiazze nere circolari del diametro di 1 cm. circa, sporgenti sulla pagina superiore, disposte spesso in fila lungo la nervatura mediana; esse occupano talvolta un solo lato della foglia, e altre volte sono uniformemente distribuite per tutta la lamina. Sono separate tra loro dalle nervature. All’ esame microscopico sì os- serva che anche in questo caso la sporificazione avviene in seno al pa- renchima i cui elementi sono fortemente ipertrofici, e spesso, special- mente nella zona centrale della chiazza, si sono suddivisi in modo che il numero degli strati parenchimatici è sensibilmente aumentato. Anche le cellule epidermiche si sono fortemente ipertrofizzate, non solo in senso 4 V. PEGLION trasversale ma anche in senso tangenziale. È superfluo aggiungere che anche în questa regione il contenuto cellulare è molto ridotto e tal- volta scomparso, non v' ha più traccia nè di clorofilla nè di prodotti della sua attività. Nelle spate d' infiorescenze si trovano raramente traccie del paras- sita il quale vi forma le solite chiazze nerognole, in corrispondenza delle quali si nota la solita ipertrofia del parenchima e talvolta una parziale moltiplicazione degli elementi costitutivi di questo tessuto. Non credo opportuno descrivere il modo di formazione delle spore poichè corrisponde a quello ben conosciuto di parecchie altre ustilaginee il micelio scorre sotto forma di fascetti sottili negli spazii intercellulari: in alcuni punti e precisamente là ove ha luogo la sporificazione forma dei gomitoli le cui ife costituenti, gelificano la parete e l' insieme, finamente granuloso assorbe fortemente i colori di anilina ; indi si differenziano successivamente le spore che occupano gli spazi intercellulari stessi e man mano che si sviluppano schiacciano fortemente le cellule ipertro- fiche circostanti. Gli ammassi di spore sì formano sempre piuttosto verso la parte interna dell'organo attaccato : nel picciuolo e nel peduncolo d’ infiore- scenza si trovano i primi gruppi di spore nel 4° o nel 5° strato pa- renchimatico, nella lamina e nella spata nella parte centrale del dia- chima. Le spore stesse vengono poste in libertà solo in seguito alla putrefazione dell’ organo invaso. Nulla posso dire per ora sulla germinazione di queste spore e sopra i caratteri degli sporidioli. (o Gloeosporium pirinum Pegl. n. sp. Questo fungillo che ho trovato estremamente diffuso sopra le fo- glie del Pero nel frutteto della Scuola Enologica , può riuscire molto dannoso. Un esame molto superficiale delle alterazioni cui dà luogo ave- vami fatto ritenere trattarsi di Fusicladium in qualche caso, di P%yl- losticta pirina in qualche, altro. Esso attacca le foglie, comparendo quasi sempre prima sul pic- ciuolo, più tardi sulla lamina. Le alterazioni macroscopiche cui dà luogo in ambe queste parti sono caratteristiche e meritano di essere descritte alquanto particolareggiatamente. Sopra i picciuoli, appaiono dapprima numerosi puntini neri, cer- ” DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI ) chiati di rosso distanti di norma gli uni dagli altri, più comunemente in corrispondenza della pagina superiore della foglia. Questi puntini si allargano rapidamente, serbando forma tendente alla circolare, coll’ orlo ancora rosso; in tale periodo esaminati con una lente si vedono avallati nella loro parte periferica mentre nella parte centrale si nota un leg- gero rialzamento dell’ epidermide. Le macchie così formate s’ ingrandisco- no sollecitamente massime in senso longitudinale in modo da confluire: si formano così delle zone allungate, all’ aspetto eroso , il cui aspetto ricorda grandemente le lesioni caratteristiche dell’ antracnosi dei getti erbacei della vite. Sezionando trasversalmente il picciuolo, in corrispon- denza di queste macchie ‘sì nota effettivamente un avvallamento limi- tato dai lati od orli, sporgenti anco sulla parte sana. Succede talvolta che le macchie invadano l’intera periferia del picciuolo il quale allora annerisce e si raggrinza, mentre si formano dei piccoli crepacci trasver- sali; è raro il caso in cui le macchie rimangano indipendenti le une dalle altre ed allora esse sì mantengono rotondeggianti, livide al centro, rosse agli orli: tale caso sl avverte precipuamente alla base dei pic- ciuoli, nella parte vicina all’ inserzione sul ramoscello. Sulla lamina, la malattia sì inizia anche sotto forma di puntini gialli dapprima, che si allargano rapidamente fino ad avere un diame- tro massimo di 1 mm., le macchie più grandi derivano dalla fusione di due o più macchie confinanti che ben spesso d’ altronde rimangono ancora distinguibili. Viste per trasparenza hanno l’ aspetto caratteri- stico del secco; sulla pagina superiore al colore giallo iniziale, succede il rosso-cuoio, indi la colorazione bruna, mentre la parte centrale della macchia diventa bianco-cenerina ; le macchie stesse sono leggermente incavate; sulla pagina inferiore è più spiccato questo infossamento , il colore è costantemente quello rosso-bruno, ed il margine, più marcato che nella pagina superiore, è dello stesso colore ma più fosco. Nella parte centrale si nota qualche piccola areola cinerescente dove sporgono dei corpicciuoli rotondeggianti, neri, molto numerosi, che sì osser- vano eziandio nelle parti ammalate del picciuolo. Il numero delle mac- chie sopra ogni lamina è vario: in principio della malattia esse sono quasi esclusivamente basilari, indi occupano la. intera superficie della lamina, disponendosi in modo irregolare; talvolta v’° ha un accenno ad una disposizione seriata ; sulla nervatura primaria è raro riscontrarne, ove siano presenti sono perfettamente identiche a quelle del picciuolo. L'aspetto delle foglie colpite, ricorda abbastanza quello delle foglie di vite colpite da antracnosi punteggiata. (O) I V. PEGLION Ponendo le foglie infette in camera umida, dopo poche ore quei corpieciuoli che numerosi ricoprono le zone ammalate, esaminati con una lente si mostrano di molto aumentati in dimensioni, di colore oli- vaceo e nelle sezioni opportunamente trattate mostransi costituiti da uno stroma basilare subepidermico da eui s’ inalzano gli organi frutti- feri di un fungo che per i peculiari suoi caratteri è riferibile al ge- nere (G/ocosporium. Prima di esporre i caratteri di questo parassita e le alterazioni che esso cagiona ai tessuti delle piante ospiti, credo opportuno di no- tare come esso non attacchi in ugual maniera le diverse varietà di Pero. Così nel frutteto della Scuola ho potuto fare le seguenti osser- vazioni circa la resistenza delle diverse varietà: MOLO LAS LN SI pini Bonne d’ Ézée Pera Alloro Uuré Pera Coscia Duchesse d'Angouléeme —Beurré Hardy Beurré d’ Amanlis Beurré del Giusti Olivier de Serres Triomphe de Joudoigne Beurré de l’Assomption —Bergamotte Beurrée Giffard Pera Mastro Antonio Pera Spina Ho vanamente cercato nella Sylloge del Saccardo se vi fosse men- zionata qualche specie i cui caratteri corrispondessero a quelli offertimi dal presente fungillo, per cui ritengo trattarsi di una nuova specie la cui diagnosi potrebbe formularsi nel modo seguente: (LOEOSPORIUM PIRINUM PEGL. Maculis initio punctiformibus, rubro-cinetis, inde effusis, rotundis, scepe confluentibus, ad centrum griseis, vel sordide brunneis amphigenis; acervulis minutis 150-300 n diam. erumpentibus, olivaceo-chlorinis ; coni- diis ovatis vel subcylindraceis, continuis, eguttulatis, 6-4, hyalinis; ba- sidiis bacillaribus, 20-25 “ 4, minute granulosis hvalinis vel dilute fu- mosis. Hah. in foliis Pi; communis prope Avellino — It. austr. — Ve- re 1894. Le alterazioni cui dà luogo questo parassita nelle parti della fo- glia attaccate consistono in una necrosi dell’ epidermide e dei sottostanti strati collenchimatici o parenchimatici. Il contenuto degli elementi cel- lulari di questi tessuti si altera profondamente sotto 1 azione del pa- rassita, il cui micelio ad ife esilissime decorre negli spazi intercellulari; nelle cellule necrosate si notano dei granellini sferoidali di color. mar- ver Te DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI 7 rone, insolubili nell’acido acetico che si rigonfiano colla potassa e si disciolgono nelle soluzioni diluite di ipoclorito potassico. Il cloroioduro di zinco li colora in giallognolo. Nel pieciuolo tale alterazione invade dapprima i vari strati di collenchima sottoposti all’ epidermide; siccome però l'invasione del picciuolo avviene in un periodo durante il quale il picciolo stesso è in via di accrescimento, così per la pressione , per quanto limitata, dei tessuti interni si formano delle lacerazioni che pongono a nudo i tessuti sani ì quali quindi non tardano ad alterarsi pur essi. Ne deriva quindi la necrosi dell’ intero picciuolo, necrosi che può implicare l’intero organo attaccato, contemporaneamente in tutta la sua lunghezza. Nella lamina, le sezioni condotte attraverso alle macchie di secco, mostrano la regione epidermica della pagina inferiore, lacerata e sosti- tuita ad intervalli dagli stromi del parassita, solidamente impiantati nello spugnoso. Gli elementi cellulari sono fortemente contratti e il loro interno è occupato da un contenuto brunastro che scompare dopo ripetuti lavaggi a caldo con acqua di Javelle. Ho già detto più sopra che questo parassita può riuscire molto dannoso al pero poichè induce una caduta precoce e talora molto ri- lavante delle foglie. Per ora nulla posso dire circa ai trattamenti che sì possono consigliare quali adatti a limitare lo sviluppo del parassita, poichè le foglie ammalate che mi servirono nello studio di questa ma- lattia furono raccolte sopra piante previamente trattate con poltiglia bordolese. È certo che la raccolta e 1° abbruciamento delle foglie cadute sono consigliabili, onde distruggere le spore e gli stromi fruttiferi del parassita. * Il. Illosporium ilicinum Pegl. n. sp. Ho raccolto questo interessante fungillo sopra i lecci che popolano il Parco Gussone annesso alla R. Scuola Superiore di Agricoltura di Por- tici nell’ occasione di un breve soggiorno durante le vacanze pasquali. Debbo limitare la descrizione di questo parassita alle poche nozioni che potei allora raccogliere, nè posso dare molti particolari sulla sua diftu- sione, perchè non ho avuto più occasione di ritornare in quella località. ® Ho trovato questo stesso parassita abbastanza diffuso in vari orti di Portici, spe- cialmente su varietà di Pera Spina. (Nota aggiunta durante 1 impressione). îsi V. PEGLION Ho riscontrato questo parassita ma in quantità molto ristretta anche nei dintorni di Avellino, dove il leccio è piuttosto raro. Le macchie che questo fungillo determina sulle foglie vive del Quercus Ilex sono molto caratteristiche. Esse occupano ora il paren- chima ed ora la regione della nervatura mediana della foglia tanto verso l’ apice che alla base della foglia medesima; il colore fondamen- tale della macchia è il nero brunastro più attenuato verso la parte centrale dove appare di norma una zona irregolare disseccata, marca- tissimo invece lungo gli orli. Raramente le macchie hanno forma re- golare, il loro contorno presenta rare volte insenature rotondeggianti ; le dimensioni variano da 1/, a 1 cm. nel massimo diametro; accade di trovarne di maggiori ma queste derivano allora dalla fusione di due o più macchie vicine. La colorazione brunastra suddetta si accentua len- tamente coll’ invecchiare della macchia, ed allora sulla pagina inferiore della foglia si manifestano le prime traccie di secco. Sulla pagina superiore dove si appalesa dapprincipio la macchia compaiono in poco tempo delle numerose bollicine, piccolissime, che a mala pena sì distinguono colla lente d’ ingrandimento ; mantenendo le foglie colle macchie appena abbozzate, in camera nmida, tali bollicine s’ingrandiscono e sì aprono secondo rime longitudinali da cui sporgono dei ciuffetti biancastri che all’ esame microscopico si vedono costituiti da ammassi di conidi. Sezionando una macchia molto giovane e trattando le sezioni op- portunamente in modo da rischiararle, si trovano traceie del parassita soltanto nella regione della epidermide della pagina superiore; gli altri tessuti non addimostrano alcun cambiamento nei loro caratteri specifici. Il micelio fino e ialino scorre tra le cellule epidermiche ed il forte strato di cuticola distaccando questa dal sottostante tessuto ed internandosi eziandio tra gli strati di cuticola. È probabile che i filamenti miceliali emettano delle ramificazioni nei tessuti sottostanti, giacchè fino dai primi momenti il contenuto delle cellule epidermiche s’ imbrunisce e acquista quella resistenza ai vari reagenti che è caratteristiea dei contenuti cellu- lari che rinvengonsi nei tessuti invasi da parassiti, e d’ altra parte la composizione della cutina, elemento fondamentale della cuticola non è tale da supplire ai bisogni di un organismo. Certo si è che in seguito Jo imbrunimento si comunica al palizzata da’ cui elementi scompaiono i granuli clorofilligeri e gli altri costituenti normali, e poscia anche allo spugnoso e all’ epidermide inferiore, quando alla pagina superiore della foglia sono comparsi gli organi fruttiferi del parassita. DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI 9 Questo, come si è detto, serpeggia nel limite tra l'epidermide e la cuticola ed i suoi elementi si moltiplicano e s’ insinuano eziandio fra gli strati cuticolari, alcuni dei quali discioglie lungo il percorso. Qua e là si formano dei gomitoli miceliali costituiti da filamenti che si ag- gruppano fra loro e che sviluppandosi marcatamente in direzione tan- genziale sospingono leggermente i tessuti sottostanti e spiccatamente poi i sovrastanti strati cuticolari, donde i rigonfiamenti che’ si notano nelle giovani macchie. Continuando ed aumentandosi la pressione questi strati non tar- dano a lacerarsi ed allora dalle fessure sporgono all’ esterno degli am- massi miceliali, apparentemente pseudoparenchimatici ma costituiti in realtà da filamenti saldati tra loro ed il cui apice si differenzia successi- vamente in tanti conidi 1-settati che rimangono disposti a catenelle tal- volta anche molto lunghe. Questi sporodocchi, sono talvolta così nume- rosi da conferire alla intera macchia una colorazione bianca così da ri- cordare una superficie spolverata con del gesso. Senza dilungarmi altrimenti sui caratteri di questo fungillo ne tra- scrivo la frase diagnostica. ILrosporium ILicinum PEGL. Maculis sordide brunneis , irregularibus, rotundatis, raro orbicula- ribus centro expallentibus, pluribus mm. extensis, primo in pagina su- periore foliorum insidentibus, inde amphigenis; sporodochiis albis, gre- garlis, epiphyllis, minutis 100-120 | latis, 40-50 w altis; conidiis ca- tenulalis distinete et inegualiter 1-septatis, ad septum constrictis epis- sporio erasso, hyalino dotatis, 8-10 v 2-4 w, hyalinis. Habitat in foliis vivis Quercus Ilicis prope Portici (R. Parco Gus- sone) et Avellino (Villa Comunale), Vere 1894. Sebbene questa specie sia provveduta di spore costantemente 1-sep- tate, pure ho creduto opportuno collocarla nel genere //losporim; poi- chè quantunque questo genere faccia parte delle Tuberculariae muce- dinae amerosporae, pure vi rientrano numerose specie a conidi hilocu- lari, (LZ. vagum, I. lignicolum, I. maculicolum, I. cretaceum, etc.) Qual- che rassomiglianza esso presenta coll’ I. maculicolum , sebbene poi se ne possa .distinguere, in primo luogo perchè questo ultimo vive esclu- sivamente su piante erbacee, ad eccezione del Cornus sanguinea; in secondo luogo gli sporodocchi della presente specie sono molto piccoli relativamente a quelli dell’ I. maculicolum i quali hanno 500 p di al- tezza per 200 w di diametro; anche i conidi sono meno grandi nell’. Licinum. Finalmente mentre gli sporodocchi di questa ultima specie 10 V. PEGLION sono perfettamente bianchi e tali si conservano quando anche le foglie colpite si mantengano a lungo in condizioni favorevoli di sviluppo, quelli di I. maculicolum presentano una leggera colorazione rosa che si nota anche nei conidi. Dalle altre specie descritte nel IV volume della Syl- loge e nel Supplemento univers. vol. X, la presente specie è perfetta- mente distinta. Rimando ad altro lavoro ulteriori osservazioni sullo sviluppo di questo fungillo nelle colture artificiali, studio che ho dovuto per ora tralasciare per insufficienza di materiale ammalato. IV. (yeloconium oleaginum f. querceus-ilicis Pegl. Il genere Uyeloconium creato dal Castagne per la descrizione di un fungillo crescente sull’ ulivo non è stato studiato accuratamente che nel 1891 da G. Boyer. Egli ha dato una descrizione completa ed e- satta del Cyeloconium oleaginum, illustrando in due accuratissime ta- vole le alterazioni che subiscono le foglie ammalate, e figurando il mi- celio e gli organi fruttiferi del parassita che prima era noto soltanto molto imperfettamente dalle brevi descrizioni di Castagne e di Thi- men. Da più tempo mi sono occupato di questo strano fungillo e dopo le comunicazioni del Dr. Kruch, il quale unitamente all’ Arcangeli , Briosi e Cavara, avea annunziata la presenza di questo parassita in I- talia, ebbi agio di riscontrarlo nell’Avellinese e nei dintorni di Napoli, associato alla Cercospora eladosporicides. Studiandone la diffusione nel parco Gussone annesso alla R. Scuola Superiore di Agricoltura di Por- tici mi venne fatto di trovare sopra varie piante di Leccio che costi- tuiscono quasi l'intero bosco, una curiosa alterazione del fogliame che pei caratteri macroscopici potea benissimo confondersi con la già nota malattia dell’ ulivo. A differenza di questa però, l’ alterazione sì mani- festava esclusivamente sulle foglie tenerissime appena sbocciate mentre mancava assolutamente sul fogliame dell’ anno antecedente. Nel suo ae- curato lavoro, il Boyer dice che il Cycloconium oleaginum è stato ri- scontrato unicamente sull’ ulivo e che invano egli lo ha cercato sopra piante appartenenti a’ generi L/gustrum e Phyllirea i quali, è noto, sono molto affini al genere O/ea. Tale fatto unito a ciò che 1’ alterazione presentavasi unicamente sul fogliame tenero lasciava supporre trattarsi di fenomeno dovuto a causa diversa, mentre poi all’ esame microscopico, DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI LI le foglie sulle quali aveano sede le alterazioni che or ora descrivo, mo- strarono un abbondante fruttificazione conidiale riferibile per 1’ appunto al genere Cycloconium. Sulle tenere foglie di Quercus ilex si notano delle numerosissime macchie rotondeggianti del diametro medio di 5-6 mm. che possono ri- coprire l’intera lamina; esse hanno dapprima una colorazione bruno- rossastra uniforme, che poscia accentuandosi saltuariamente presenta delle zone di colore più fosco limitanti la parte centrale che dissecca lentamente senza che la macchia medesima acquisti perciò un margine ben delineato. In seguito la parte centrale della macchia medesima an- nerisce, ma il secco si propaga solo raramente alla pagina inferiore. L’ esame delle sezioni tangenziali condotte sulle macchie permette di distinguere degli innumerevoli filamenti miceliali che serpeggiano al disotto della cuticola ramificandosi dicotomicamente, presentando le for- me elicoidi e scorpioidi di cui parla il Boyer, a proposito del C. o/ea- ginum. Da questo micelio ialino s’ inalzano ogni tanto dei brevi rametti che forano la cuticola e vengono all’ esterno dove si rigonfiano in una specie di bolla la quale si allunga in un basidio, lungo in media da 20-25 p, al cui apice si differenzia lentamente una spora bicellulare. Tanto il basidio che questa spora sono di colore olivastro, fosco e con- tengono, in special modo quest’ ultima, un protoplasma granuloso ricco in goccie oleose. Se si paragona il Cycloconium oleaginum col presente fungillo , essi non potranno ragionevolmente distinguersi come specie diverse seb- bene corrano tra loro alcune differenze di qualche entità. Ed invero nelle sezioni tangenziali condotte sulle foglie di ulivo si vede il micelio del parassita vegetare rigogliosamente, ricco di ramificazioni terminanti in altrettante bolle sporifere ; le spore numerosissime ricoprono dapprima uniformemente la macchia e poscia si trovano abbondanti nella regione marginale. Collocando le foglie in camera umida per più giorni si ha un marcato aumento nella sporificazione. Tutto indica che il parassita trovasi in condizioni molto favorevoli di sviluppo. Nelle foglie giovani di Leccio invece il micelio non è così ricco di ramificazioni e tanto meno poi di basidi sporigeri che rinvengonsi solo in limitato numero anche in sezioni molto estese; nè abbondano maggiormente sulle macchie delle foglie conservate per qualche tempo in camera umida. Lo stesso parassita ho ritrovato molto più diffuso sopra un gruppo di Lecci crescenti nella villa comunale di Avellino; lo rinvenni per la prima volta colà nella prima decade di maggio; esso sviluppavasi piut- 12 V. PEGLION tosto scarsamente sopra il fogliame dell’ anno antecedente mentre man- cava sopra le tenere foglie dell’ annata. Eseguii ulteriori indagini sopra i mucchi di foglie cadute sul suolo specialmente per opera della Gwo- monia quercus-ilicis Berl., e in esse trovai esemplari di quelle colpite da Cycloconium nei varii stadii di sviluppo; anche tali foglie rinforza- rono in me la convinzione che trattavasi della stessa specie di parassita di quella vivente sull’ ulivo. Specialmente su queste foglie vecchie si notavano frequentemente delle macchie di 1 em. all’ incirca di diametro di aspetto identico a quelle magistralmente figurate dal Boyer e che il Thiimen aveva felicemente paragonate agli ocelli delle penne di pavone. Quando queste foglie formano mucchi molto voluminosi così da ser- bare un grado di umidità sufficiente, il parassita continua a truttifi- care anche se le foglie sono già completamente secche; si notano allora attorno alle macchie iniziali delle zone sporifere simili quasi a cercini nerastri circondanti l’intera macchia e che mandano delle ramificazioni a decorso irregolare nell’ interno della medesima. L'esame di sezioni tangenziali accerta la presenza del micelio intracuticolare nella part: periferica. Tale vita saprofitica del fungo assicurerebbe la conservazione della specie durante l’ inverno, e provvederebbe alla infezione di piante distanti da quelle ammalate, ove mai per una causa qualunque la vi- talità del fungo vivente parassiticamente sulle foglie vive venisse ad essere compromessa. Nelle spore di C. oleaginum, quali vennero delineate da Boyer, in corrispondenza del setto la strozzatura è raramente molto marcata e i due loculi sono pressochè uguali, o v' ha una leggiera preponderanza del loculo superiore sull’ inferiore ; le spore della forma vivente sul Leccio sono invece fortemente costrette in corrispondenza del setto che divide la medesima in due parti abitualmente disuguali tra loro con prepon- deranza del loculo inferiore il quale è quasi sempre di forma tendente alla sferica mentre il loculo superiore, di minori dimensioni, ha la forma quasi conica con apice leggermente arrotondato. Ciononpertanto non mi pare possibile distinguere dal C. oleaginiun il presente parassita del Leccio, che credo opportuno riferire a questa specie proponendo una varietà quercus-ilicis n. var. di cui traserivo la frase diagnostica: CYCLOCONIUM OLEAGINUM var. QUERCUS-ILICIS N. V. A C oleagino differt conidiis forte ad septa constrictis, inequa- liter divisis, loculo inferiore crassiore et rotundo, loculo superiore cono- ideo 17-20 » 12-15 |. 3 RSI DIAGNOSI DI FUNGHI PARASSITI NUOVI 13 Habitat in foliis vivis Quercus Ilicis prope Portici et Avellino. Tanto il Cyeloconium oleaginum che la presente forma sono quasi sempre accompagnati da numerosissime cellule saccaromicetiformi le quali coltivate in condizioni opportune danno delle forme caratteristiche simili al Dematium. Dalle colture medesime ho potuto stabilire con certezza che esse non hanno nessun rapporto diretto col Cyeloconium. Le colture di quest’ ultima specie poi sono riuscite costantemente in- fruttuose : seminate le spore in decotto di fimo, in gelatina al mosto, in infuso di foglie germinarono molto stentatamente senza dar origine ad alcuna fruttificazione. Ho trovato questo parassita abbastansa diffuso sopra il fogliame dei getti di Quercus Ilex principalmente sopra individui molto vecchi e riferibili alle varietà undulata e longifolia del Tenore. Credo che possa considerarsi un parassita abbastanza temibile ed i danni arrecati al fo- gliame delle piante da me esaminate sono rilevanti come quelli che il Cycloconium oleaginum può cagionare all’ ulivo e che ho riscontrati ab- hastanza ingenti nel medesimo parco Gussone ed in varie località della provincia di Avellino dove rinvenni lo stesso parassita. Ve Fusicladium pirinum f. Eriobotryae Pegl. Le tenere foglie appena schiuse di alcune piante di Nespolo del Giappone (Eryobotrya japonica) coltivate nell’ Orto agrario annesso alla Villa comunale di Avellino mostravansi colpite nel decorso mese di mag- gio da macchie di secco che intralciandone lo sviluppo inducevano spesso lacerazioni attraverso al parenchima disseccato. Tali macchie s' inizia- vano sotto forma di tanti punti ingialliti, che allargandosi rapidamente in modo da riunirsi davano origine a zone di secco di forma irregolare ben presto lacerati in vari sensi in seguito all’ allungamento della fo- glia, cosicchè la zona disseccata ridotta a brandelli, staccandosi dalla parte sana della foglia, lasciava su questa delle perforazioni più o meno estese, irregolari e accompagnate da un increspamento della lamina at- torno alla macchia iniziale. L’ esame della macchia di secco con una lente ne mostra la parte, corrispondente alla pagina superiore della foglia, ricoperta come da una lanuggine olivacea, di aspetto vellutato, che all’ esame microscopico sì 14 V. PEGLION rivela costituita dalle ife e dai conidi di un fungillo che pe’ suoi pecu- liari caratteri è riferibile al genere usicladium. L'esame microscopico delle sezioni condotte attraverso a queste macchie mostra l’ epidermide superiore, normalmente ricoperto da un forte strato cuticolare , lacerato e rialzato in più punti, ed uniforme- mente ricoperto da un fitto strato di basidi, uscenti a ciuffetto e diva- ricantisi in seguito, in modo da avere un decorso tortuoso caratteristico. Lungo i singoli basidi sì osservano i denticuli corrispondenti a’ punti d’ inserzione dei conidi. Questi sono continui, ovvero strozzati nel mezzo con evidente acenno ad un setto, di colore olivaceo volgente al giallo, acuminati dalla parte libera. Il paragone tra questo fungillo ed il Fusicladium pirinum mi ha portato alla conclusione che trattavasi evidentemente della stessa specie. Se non che i conidi della forma vivente sopra l Er:0botrya erano in media alquanto più piccoli (24-28 © 6-8) e di colore più pallido che non di quelli che rinvengonsi sulle foglie di rus. Onde a simiglianza delle var. Amelanchieris e Pyracanthae già esistenti ho creduto bene presentare la presente forma sotto il nome di /. pirenum f. Eriobotryae Questa forma è perfettamente distinta poi dal usicladium Eryo- botriyae (Basiaschum Ertobotriyac), Cav., come ho potuto rilevare dallo studio degli esemplari di questa ultima specie pubblicati nei !urgh pa- rassiti delle piante coltivate — Fasc. 7-8 n. 186. Ed invero il /. Eriobotryae induce la formazione di macchie ri- levate a contorni oscuri, in corrispondenza delle quali 1’ esame micro- scopico rivela la presenza di un micelio ad ife molto esili che dà luogo qua e là a stromi erompenti, molto analoghi a quelli che si rinvengono sopra i rametti di pero di due anni colpiti da /. pirenwn; da questi stromi spuntano dei basidi brevi che negli esemplari che ho potuto esa- minare differivano alquanto da quelli descritti dall’ egr. Dr. Cavara; in- quantochè non presentavano la forma di bottiglia, ma erano perfetta- mente simili all’ aspetto, sebbene fossero più piccoli, a quelli del {se cladium pirinum. Ad ogni modo la presenza dei cuscinetti stromatici così marcati, le dimensioni dei basidi e quelle dei conidi distinguono perfettamente la specie del Cavara da quest’ ultima. 15 OSSERVAZIONI CRITICHE ed esperienze sopra |’ efficacia dei composti cuprici contro la tic- chiolatura del Pero Nota del Dott. Virtorio PEGLION +— 0-0. Nell’ annata 1892 della Rivista di Patologia vegetale ho pubbli cato i risultati di alcuni studi sulla biologia e la struttura del use cladium pirinum, al cui parassitismo, come è noto, si deve la così detta ticchiolatura del Pero. Fin d'allora esposi alcune osservazioni circa alla resistenza, presentata dalle diverse varietà di Pero agli attacchi del parassita e notai che, se esistevano numerose osservazioni in pro- posito, pure esse erano abbastanza contradittorie e che il clima e l’ an- damento delle stagioni hanno una grandissima influenza sopra il grado di resistenza che ogni singola varietà può presentare qualora venga coltivata in regioni diverse. In questa nota, premesse alcune considerazioni circa ì risultati ot- tenuti da altri Autori, riferirò intorno ai risultati ottenuti in seguito ai trattamenti che ho eseguiti per due annate successive nel frutteto di questa R. Scuola Enologica. Nella suddetta memoria venni alla con- clusione che siccome il mezzo con cui il fungo attraversava l’ inverno era rappresentato da organi scleroziali, i quali fruttificano in prima- vera, scopo di qualsiasi trattamento dovea essere di impedire la frutti- ficazione di questi organi; questo si può ottenere colle lavature o da- digeonnages con poltiglia bordolese, più o meno premature a secondo delle diverse regioni. Tale opinione veniva confermata dai risultati ot- tenuti dal Prof. Cuboni per mezzo di lavature invernali dei Peri colpiti dal parassita con poltiglia cuprica molto densa. Ho creduto nonpertanto opportuno ripetere prove analoghe, avendo 1’ opportunità di eseguirle nel frutteto della Scuola, in condizioni molto favorevoli: per far tutte quelle osservazioni che sarebbero state necessarie. Prima di passare ad esporre dette prove, voglio esaminare con un po’ di cura l'interessante lavoro pubblicato da’ signori Magnien et Masson nel Journal de 1’ Agriculture (1889) cui ho già accennato nel succitato mio lavoro. Tali esperienze aveano per scopo di dimostrare 16 . V. PEGLION l’azione della poltiglia borghignona (Solfato di rame e carbonato sodico) a diverse dosì e di determinare 1° il numero dei trattamenti necessari; 2° l'epoca più utile per eseguire i trattamenti; 3° la formola più adatta tanto per le lavature invernali che per ì trattamenti estivi. Data l'efficacia della poltiglia bordolese con molta probabilità era ‘da prevedere altresì l’ efficacia della poltiglia borghignona in cui alla calce della prima si sostituiscono quantità equivalenti di cristalli di soda (Co? Na*). Ed invero tale poltiglia dette ottimi risultati. Ciò che non posso approvare che in parte sì è la conclusione relativa all’ epoca dei trattamenti: ed infatti a questo riguardo gli AA. dicono che il dadi- geonnage delle piante prima della messa in vegetazione ha dato risultati inferiori a quelli che si possono ottenere colle spruzzature estive. Credo opportuno fin da questo punto fare un’ osservazione che viene poi con- fermata dalle esperienze degli Autori medesimi e dalle mie e cioè: se si esegue il solo badigeonnage invernale si raggiungerà lo scopo dopo al- cuni anni di uccidere completamente i corpi ibernanti del usicladium sparsi lungo i rami delle piante ammalate, ma non si può prevenire per nulla il pericolo d’ invasione delle foglie e dei frutti per opera di spore proveniente da piante infette che non subirono alcun trattamento. Colle sole spruzzature estive invece è probabile, per non dire sicuro, che sì pos- sano preservare per la quasi totalità le foglie ed i frutti dal parassita, ma non sì esercita nessun’ azione contro gli sclerozi che continuano @ svilupparsi e non possono non recar danno alla pianta anche pel sem- plice assorbimento dei materiali necessari al loro sviluppo, indipenden- temente dai tessuti che essi vanno mano mano uccidendo. Una cura com- pleta della ticchiolatura, lo dico fin da ora, richiede adungne I’ uso com- hinato dei lavaggi inververnali cioè prima della messa in vegetazione della pianta, e delle spruzzature estive con poltiglie cupriche molto meno dense, allo scopo di prevenire ulteriori infezioni. S’ intende che tale metodo di cura va applicato soltanto a quelle piante le quali oltre che sulle foglie e sui frutti mostrano le traccie del parassita sopra il fusto ed i rami. Per quelle piante, le quali si teme vengano invase sia perchè appartengono a varietà molto soggette al male, sia perchè isolate in mezzo ad altre piante fortemente attaccate, siccome v'è soltanto il pericolo di un’ invasione estiva, ed i trattamenti invernali sarebbero inutili per essere le piante medesimi immuni dal pa- rassita sopra il loro sistema caulinare, può bastare la spruzzatura esti- va trovata talmente efficace dai signori Magnien et Masson. Dal brano che qui riporto risulta poi all’ evidenza che i medesimi non sì sono Rpg Pe © OSSERVAZIONI CRITICHE 17 resi veramente conto dell’ importanza che hanno realmente i trattamenti invernali: detti Autori infatti dicono: « Le simple badigeonnage ne con- stitue pas selon nous un moyen rationnel de traitement contre la ta- velure : il sera vraisemblablement remplacé dans la suite par les pul- vérisations d’ été. Sans doute avec des arbres en espalier, avec des doses élevées de cuivre, il est susceptible d’avoir une efficacité compléte si on opére avec soin a l’aide d'une seringue ou d'un pulvérisateur et sì on dépose une forte couche de cuivre sur les branches, sur la tige et surtout sur le mur de palissage. Il est facile de comprendre que ce dernier devient un large réservoir cuprique dispensant le eryptogamicide aux feuilles et aux fruits qui naissent dans le courant de la végéta- tion. Mais, quand il s' agit d’ arbres en contreespaliers ou en plein vent, le badigeonnage est une opération longue et difficile si on veut éviter une trop grande déperdition de liqueur. » E più oltre « Certains au- teurs pensent que le badigeonnage agit défavorablement sur les spores d’ hivers et peut aiusì entraver la maladie. Cette opinion ne s° est pas encore vérifiée et elle parait mème trés hasardée vu que le spores d’ hiver ont des enveloppes épaisses et dures qui non seulement les préservent des agents atmosphériques, mais ancore de l'action toxique du composé cuprique. Ce composé, en effet, dans l’ état ot il se trouve sur les bran- ches et sur la tige est en général insoluble et ne peut pénétrer dans l'intérieur des spores pour en détruire les germes. » Da questi brani parrebbe che per gli A. il lavaggio invernale avesse per così dire un azione preservativa dovuta al rame spruzzato sulla pianta e sopra il muro nelle spalliere, che passerebbe lentamente sul fogliame e sui frutti: In altri termini non vi sarebbe azione immediata contro il parassita. Parrebbe che gli AA. ignorassero che fin dal 1877 il Prillieux * ebbe a dire: « Certains pieds en sont attaqués tous les ans. Cela s' explique aisément, quand on songe que le mycélium du parassite est vivace et qu'il se développe........... sur les scions qui persistent sur les arbres. L' hiver passé, les tavelures des scions deviennent autant de foyers de propagation du mal qui se répand sur tous les organes de Il’ urbre, sur les feuilles et sur les jennes fruits, qui sont bientòt envahis. » Ove si tenga presente questa osservazione di Prillieux, e si ricordi che oltre ai getti dell'annata (scion) anche i rami vecchi e il fusto sono focolari d’ infezione ne viene che gli effetti del badigeonnage debbano essere immediati e che la miscela, che non è poi costituita totalmente 1 Prillieux in Ann. Inst. nat, Agron. 1877-78 p. 37. 18 V. PEGLION da composti insolubili, ma bensì da composti che sì disciolgono lenta- mente in presenza dell’acqua di rugiada o di pioggia, carica di acido carbonico e di ammoniaca, si renda utile per attaccare, non già le spore d’ inverno poichè non saprei a quale forma di spore applicare tale nome, essendo esse tutte uguali, ma invece i gomitoli scleroziali più volte ri- cordati. È probabile che gli A. abbiano voluto con tale nome di spore invernali accennare agli sclerozi pseudoparenchimatici, poichè che mì sap- pia, nemmeno il Prillienx agcenna a differenti specie di spore, tanto più poichè durante l’ inverno il fungo si trova allo stato di riposo. L'efficacia dei badigeonnages 0 trattamenti invernali vien dimo- strata d’ altronde da altre prove. Olivier (1885) scrive: « Durante gli inverni 1882 e 1883 ho trattati i peri del mio frutteto con soluzione rameica al decimo ed i frutti che ho raccolti come anche le foglie, erano quasi esenti da ticchiolatura mentre che gli alberi dei frutteti limitrofi ne erano fortemente colpiti » nel 1884 non avendo eseguito alcun trattamento, ebbe agio di osservare manifestamente il parassita nell’ estate susseguente. Ricaud (1886) riferisce di aver ottenuto otti- mi risultati con un trattamento eseguito il 21 marzo prima della messa in vegetazione dei peri, con una poltiglia densa formata da 1 chgr. di solfato di rame, 2 chgr. di calce, 16 litri di acqua e ‘/ litro di succo di tabacco. I risultati ottenuti da Ricaud vennero riferiti alla Società na- zionale di Agricoltura di Francia dal Prillieux che facea notare 1’ im- portanza molto notevole del risultato avuto col trattamento preventivo. Ecco i risultati ottenuti dal signor Goff ‘ nelle prove eseguite nel Wisconsin contro il Fusicladium dendriticum nel 1890. Le sostanze adoperate erano il carbonato di rame sciolto in am- moniaca e sospeso nell’ acqua, la polvere di zolfo, ed un miscuglio di solfato di rame ammoniacale e di carbonato ammonico. Con esse sì fe- cero varie prove in tante zone separate di terreno: alcune piante ven- nero trattate 2 volte prima della fioritura, 2 volte dopo, in un periodo di tempo di circa un mese. Altre subirono persino 6 e 8 trattamenti il primo verso il 5 maggio I’ ultimo il 2 settembre. Le conclusioni de- tratte da queste prove sono le seguenti : Nelle stagioni a primavera molto piovosa con tutti i trattamenti suddescritti gli alberi di melo soggetti alla malattia non possono es- sere interamente preservati dalla medesima. 1 Journal of Mycology anno II pag. 119. È : . î OSSERVAZIONI CRITICHE 19 I trattamenti anticipati e specialmente un trattamento prima della schiusura dei fiori sono della massima importanza. I trattamenti eseguiti nell'estate hanno una efficacia molto dubbia. Anche Hatch ' è di opinione che il primo trattamento per la rogna del melo debba essere eseguito prima dell’ epoca in cui in America so- gliono eseguire i trattamenti contro il « codling moth » (Carpocapsa pomonana) cioè dopo dello allegamento delle giovani mele. E poichè sono a parlare di forme ibernanti, credo opportuno ri- cordare le ricerche di Prillieux, Delacroix, Sorauer, Dangeard sopra una speciale forma spermogonifera. Il primo ad accennare agli sper- gomoni di Fusicladium pyrinum è stato il Sorauer il quale, nello splendido suo Atlas f. Pflanzenkrankh., presenta nella tav. XXII nna sezione attraverso una zona di ramo invasa dal fungo, disegnando ol- trechè gli ammassi stromatici e scleroziali, anche la sezione di uno spermogonio. Nelle numerose sezioni che eseguii sopra vari rami di pero ammalato, durante il mio studio sulla Ticchiolatura , ebbi spesse volte a costatare che « in alcuni punti dove lo spazio intercellulare è molto ampio questo pseudoparenchima sì raccoglie in ammassi stferoi- dali, a struttura leggermente raggiata ed i cui elementi sono più ia- lini che nol siano nel rimanente: in tal caso sole le cellule più esterne quando vengano ad essere superficiali anneriscono le loro pareti, quando invece tali ammassi si trovano molto infossati, le cellule esterne non differiscono punto da quelle centrali se non per la loro grandezza. » ‘Dali punti corrispondono certamente agli spermogoni come ho potuto accettarmi paragonando le mie sezioni colle figure offerte dal Sorauer e da Prillieux et Delacroix.* Questi ultimi Autori hanno recentemente descritta lo spermogonio del Fusicladium pyrinum nei seguenti termini: « de pla- ce en place, le stroma se creuse et sur les parois de cette cavité qui parait close, on ne rencontre la plupart du temps qu’ un fin mycélium hyalin, qui est en continuité avec le mycélium du stroma et dont il constitue une prolifération, un état plus jeune. Mais quelques unes de ces vacuoles sont fertiles. Elles sont limitées par un tissu plus dense, plus coloré, assez mince, formant 1’ enveloppe et toute la surface interne est tapissée de fins stérigmates très gréles, hyalins de 6 px de longueur environ. Ces stérigmates portent a leur extrémité une spermatie hya- line, droite, de 7 pw — */, p au plus. Le diamètre de ces spermo- 1 Journal of Mycology anno II pag. 121. ? Bull. Soe. Mycol. de France 1894 p. 269. 20 V. PEGLION gonies, qui paraissent entiérement closes, varie entre 110 e 150 p. » La figura di questi spermogoni è abbastanza simile a quella fornita già dal Sorauer. Il Daugeard * ha osservato gli spermogoni del £usicladiwm den- driticum, a V interno dei peli e nelle sezioni delle foglie di melo at- taccate dal parassita. Anche pel /. pyrimum ha descritto degli sper- mogoni che rinvenne nelle macchie stromatiche disseminate sul frutto. E certo che detti spermogoni hanno una grande importanza nella conservazione del parassita durante l inverno e che essi rappresentano uno dei mezzi di diffusione alla primavera; però non credo che possano servire principalmente alla disseminazione della malattia a grandi di- stanze, come opinerebbe il Dangeard, rispetto al Fusicladium dendriti- cum. A tale uopo rispondono molto più opportunamente i conidi orì- ginantisi dagli selerozi viventi sopra il legno vecchio, mentre le spo- rule degli spermogoni potrebbero più opportunamente servire alla dif- fusione della malattia sopra le piante circostanti a quelle infette. Ed invoro i conidi grazie alla loro parete più resistente, resistono più a lungo al disseccamento che cagionerebbe il trasporto per opera del vento, che non potessero fare le sporule. îsperimenti di Laboratorio Prima di esporre lo osservazioni che ebbi agio di eseguire nel frut- teto della Scuola Enologica credo opportuno riferire una serie di espe- rienze che contemporaneamente e collo stesso scopo eseguii in Labora- torio nel febbraio del corrente anno. Prima di trattare le piante con poltiglia prelevai un certo numero di rami di Pero Alloro che mostravano traccie del parassita. Alcuni di essi conservai in alcool per lo studio anatomico delle alterazioni e dello stato del fungo al momento del trattamento; altri sottoposi a vari trat- tamenti in Laboratorio; i rametti stessi vennero ridotti in piccoli pezzi, e la superficie del taglio venne ricoperta con della ceralacca. Una prima serie venne trattato con una soluzione al 4% di sol- fato di rame bollente, lasciata a contatto per 5 minuti primi. Una seconda serie venne trattata con la stessa soluzione a fred- do per 5°. Una terza serie venne trattata con poltiglia al 4 ° di So‘ Cu. ! Dangeard-Maladies du Pommier et du Poirier p. 79 e 99, 1892. OSSERVAZIONI CRITICHE 91 Una quarta serie venne trattata con poltiglia al 4% di So*Cu a cui era stato aggiunto del cloruro ammonico in ragione di 150 grammi per hl. Una quinta serie non subì alcun trattamento. Questi lotti che aveano subito trattamenti diversi vennero separa- tamente disposti in camere umide e queste alla loro volta collocate in termostato alla temperatura di 18-25°. A Come già osservò il prof. Cuboni rispetto al Fusicladium dendri- ticum ed io circa il Fusicladium pyrinum, mantenendo i rametti for- miti di sclerozi in ambiente caldo ed umido dopo pochi giorni si os- serva un abbondante produzione di conidi alla superficie dei medesimi. Ora lo scopo delle prove più sopra esposte si era appunto di dimostrare se l’uso delle soluzioni di solfato di rame e delle poltiglie potesse im- pedire tale fruttificazione e possibilmente distruggesse gli sclerozi me- desimi. Onde render maggiormente istruttiva questa prova disposi in un cristallizatoio una 6° serie di frammenti di rami tolti dalla pianta 4 giorni dopo eseguito il trattamento suindicato. Il tutto rimase nel termostato per 8 giorni, durante i quali la tem- peratura si mantenne pressochè costante ed ebbi cura di mantenere sem- pre un certo grado di umidità nei cristallizzatoi. Il 21 febbraio esaminai al microscopio le regioni occupate dagli selerozi ed ecco i risultati delle mie osservazioni: Il campione che non avea subito alcun trattamento mostra la su- perficie delle pustole coperto da selerozi sensibilmente aumentati in estensione e la cui superficie è ricoperta da numerosissimi conidi alcuni dei quali già in via di germogliazione. Le superficie di sezione erano in via di rimarginamento. I rametti trattati a caldo ed a freddo con soluzione di solfato ra- meico al 4 °/o non presentano alcuna traccia di fruttificazione; nell’ e- semplare trattato a caldo non v' ha neppur indizio di rimarginamento lungo le superficie di sezione. Le zone occupate dagli sclerozi non mo- strano nulla di diverso di quello che mostrassero prima del trattamento. Gli selerozi stessi serbano le stesse dimensioni iniziali e la loro super- ficie come anche quella dell’ intera macchia è ricoperta da una leggera efflorescenza di aspetto cristallino, bianca. I rametti trattati con poltiglia bordolese al 4 °/, con cloruro di ammonio mostrano un attivo processo di rimarginamento sugli orli della sezione. Gli sclerozi posti ben in evidenza non mostrano traccia alcuna Tot eve ge et pel, Pe _M 22 V. PEGLION di fruttificazione: quelli invece ricoperti dal periderma si sono notevol- mente sviluppati e la loro superficie è ricoperta di fruttificazioni. Giova notare però che il numero di questi scelerozi è molto. limitato ed essi si trovano principalmente o sopra rami giovani che spesso si devono aspor- tare colla potatura, o in numero molto minore sopra i dardi. I frammenti di ramo prelevati dalle piante sottoposte al tratta- mento sì dimostrano nelle medesime condizioni di quest’ ultimi, senon- chè essendo rimasta aderente una maggior quantità di poltiglia nei crepacci, è molto più limitato il numero degli sclerozi in via di frut- tificazione. Da queste prove sì può adunque concludere che ove mai il trat- tamento invernale venga eseguito a tutto rigore specialmente usando poltiglie con cloruro ammonico, il che sarà effettuabile nelle belle gior- nate, sì è certi di uccidere tutti gli sclerozi coi quali le poltiglie me- desime vengono a contatto. Ho creduto opportuno eseguire un breve studio anatomico sopra i rametti trattati in siffatta guisa, all’ epoca del trattamento e al mo- mento in cui vennero esaminati i medesimi per riconoscere la presenza o l’assenza di fruttificazioni ed eccone i risultati: Quando gli selerozi sono allo stato di riposo essi formano il noto psendoparenchima a decorso irregolare che riempie gli spazi intercellu- lari esistenti tra le cellule morte del periderma e vien fuori all’ esterno sotto forma di piccole sporgenze nere. Ponendo i rametti in condizioni favorevoli di temperatura e di umidità, il primo fatto che si nota si è la intensa moltiplicazione degli elementi del parassita il quale sospinge fortemente le cellule del tessuto circostante e si espande su tutta la superficie esterna del crepaccio sotto forma di uno strato continuo il cui spessore varia; la regione esterna è nereggiante e gli elementi su- perficiali diventano sporigeri. Nei rametti forniti di sclerozi evidenti e scoperti, trattati con pol- tiglia bordolese non si nota alcuna differenza nell’ aspetto degli ele- menti del parassita allo stato di riposo e dopo che i rametti vennero collocati in camera umida. Il micelio occupa tuttora gli spazi. inter- cellulari ma non mostra nessun accenno ad espandersi. La zona di tes- suti morti che esso occupa si stacca con molta facilità dallo strato so- veroso che ripara all’esterno la regione sana del ramo. Tutta la parte morta nella camera umida vien invasa dai filamenti miceliali delle co- muni forme saprofitiche e quindi non riesce agevole seguire il decorso di questi tessuti morti e del micelio compresovi, È certo però che il ni folte MM e din dd E° OSSERVAZIONI CRITICHE 23 micelio stesso non sì espande più nè dà più origine a corpi fruttiferi «come ho già detto. I rami sottoposti all’ azione del So Cu in soluzione concentrata e calda presentano una necrosi molto pronunziata anche nei tessuti sani sottoposti allo strato soveroso. Trattamenti nel frutteto Il Fusicladium pyrinum da più anni attaccava con intensità 5 piante di Pero alloro allevate a cordone obliquo frammiste ad altre varietà e limitate precisamente da varie piante di Beurré d' amanlis e da Beurré del Giusti le quali si mantennero costantemente immuni. Ho scelto queste piante perchè fortemente attaccate in modo da essere facil- mente distinguibili fra le circostanti sane, sia per la corteccia fortemente serepolata e in via di disquamazione, sia per il rilevante numero di fo- glie coperte dalle caratteristiche macchie durante la buona stagione. Feci preparare, le seguenti poltiglie eupriche, che riuscirono molto dense per la rilevante quantità di solfato di rame e di calce adoperati. Solfato di rame gr. 600 pari a 4 Kgr. p. 100 litri Calce » 600 » sE > 100 » in 15 litri di acqua. A tale mescolanza aggiunsi anche all'incirca 200 grammi di me- lassa (zucchero biondo) che non ebbe però agio di disciogliere che una piccola parte del rame poichè non si lasciò sufficientemente a contatto con tale poltiglia ed il 15 febbraio 1893 procedetti al trattamento delle suddette cinque piante, approfittando di una giornata abbastanza so- leggiata. i La distribuzione della poltiglia si fece con un forte pennello di crine sopra i rami bassi e la parte inferiore del tronco, nella parte più elevata essa venne spruzzata per mezzo di una pompa Berzia. Si cercò di bagnare abbondantemente tutte le parti della pianta in modo che la poltiglia sgocciolasse, ponendo la massima cura acciochè si inzuppas- sero in ispecial maniera le parti ove la corteccia era disquamata e dove, come è noto, si trovano gli sclerozi. p Un secondo trattamento con poltiglia bordolese all’ 1 ° di solfato di rame si fece quando apparvero le prime macchie di Fusic/ladimm so- pra piante di Beurré d’ Aremberg e di Pera Spina invase anch’ esse dal parassita ma che si lasciarono senza alcun trattamento onde ser- vire come campione. Lo scopo di questo secondo trattamento era di prevenire possibili infezioni derivanti da spore le quali provenissero da 24 V. PEGLION altre piante. Il fogliame che venne trattato verso il 15 di maggio ed i pochi frutti si conservarono immuni dalla malattia salvo pochi punti in cvi la poltiglia non giunse che in quantità insufficiente. Poche mac- chie apparvero invece sopra il fogliame che si sviluppò in seguito, ma esse provenivano evidentemente dalla infezione dovuta alle spore del pa- rassita che vegetava rigogliosamente sopra le piante non trattate che erano abbastanza vicine. Riporto a questo punto il seguente riassunto sull’ andamento me- teorico della stagione. 1893 TERMOMETRICI DECADICHE © PIOGGIA DECADI die. | Tempe- | Nebulo-| _. Ros minimo | massimo | satura di giorni | millim, Dall’ 11 al 20 Febbraio] 2°,5| 12°,9 4,8 o, 5 15,9 » 21 >» 28 » DLOLI. 2 9,0 7,2 7. (148,9 RO Marzo 0 on eo To 4.1 5 8,1 0) e » {I —3,4| 19,0 7,8 Di ) 339 RZ I » -—39,6| 17,4 6,9 3,9 2 8,7 > (1 »- 10 Aprile = 709 3,9 2 2,9 * i lano —2,7| 20,0 972 5,4 LÌ 16,2 AI Ea Vai 1,4| 24,0 | 14,9 5,0 Db) 6,4 » 1» 10 Maggio 02208 I24 4,2 5) 25,0 da 0 9°,9| 729 15,6 4,2 ò 26,9 è lol » 6°,9| 24,8.| 14,9 5,6 d 92,0 » 1» 10 Giugno 6059 2070 60,0 Dia 9 DIL > ion 20 9,4, 25,9 | 18,4 2,0 2 6,0) Ra 90 9,9) 30,0 | 19,9 ST, FIA Di pi 0Luoho 10,0] 30,0 | 21,8 DID 5) 15,9 » ati » 20) » | 33 SII) aaa) » Il 13 febbraio 1894 eseguii le lavature invernali alle medesime piante di Pero Alloro ed a tre piante di Beurré d’ Aremberg pur esse fortemente colpite dal parassita e comprese tra piante di Colmar d'A- remberg et Duchessse d’ Augoulème. La poltiglia adoperata aveva la seguente composizione: solfato di rame gr. 800 Calce spenta » 800 in 20 litri di acqua. Siccome il tempo correva hello allo scopo di ottenere una certa quantità di rame allo stato solubile, vi aggiunsi 150 grammi di cloruro OSSERVAZIONI CRITICHE 25 ammonico, e sparsi detta miscela colla pompetta a mano Borio; riporto a questo punto l'andamento meteorico della stagione fino al 15 mag- gio, giorno in cui eseguii il trattamento estivo: i | ESTREMI | ME | 1894 ‘TERMOMETRICI. DECADICHE PIOGGIA DECADI ACNE SEEampei Nobole (La | | minimo Bresson | ratura sità giorni millim. pa A] | Dall’ 11 al 20 Febbraio | — 3,3| 12,1 | SALI I | 4,2 LATE A I ESTE VED RZ Vle e Mii: 10 Marzo. |—-16| 168 |.800-| 42] 3 |177 » ll» 20 ‘» CRE RRAARII 9845 «21» 31 » LU]: =60: 1° 9/56] 12,33 > 1» 10 Aprile | 2,2 |192 | 109 | 3,9 | ? 0,3 Bd 20 > Regi IRA CIO a i A OUR I a, RE E IS St» 209 ea 61308 » 1» 10 Maggio 3,5 | 20,6 | 13,6 5,1 | 3,| 30,6 fdt 20 a (roc 5298. ee Oo 101 » sio Si » 9,9 | 26,1 | 17,4 | 5,0 | 5 27,2 » 1» 10 Giugno Sti pon dae esa SS rl» 20. la ES 60 E] ERO » SI » 30 » | | | l'» 10 Luglio | 81/|294|208| 12/|—-| —- Ì | Ì Ì l Avevo stabilito di eseguire il trattamento estivo verso i 10 maggio poichè la temperatura andava via via innalzandosi e le condizioni di umidità continuavano a mantenersi favorevoli allo sviluppo dei funghi; a tale epoca però il fogliame ed i frutti dei peri erano perfettamente im- + muni, questi ultimi in generale della grossezza di una nocella. Senonchè in tal epoca per obblighi di ufficio dovetti assentarmi ed al mio ritorno verso il 15 maggio l’intero frutteto mostrava traccie diffuse del pa- rassita. Ciò nonpertanto feci eseguire immediatamente la spruzzatura colla solita poltiglia all'1°%, rivolta specialmente ai frutti che erano in maggioranza immuni, sebbene persuaso di non poter salvare affatto gli organi ammalati all’ atto del trattamento, poichè è indubitato , e le numerose prove eseguite in America lo dimostrano, che i trattamenti fatti dopo 1’ apparsa della malattia hanno una importauza molto re- lativa. Gli alberi che hanno subito per due anni di seguito la lavatura primaverile ne addimostrano ad evidenza i benefici effetti specialmente paragonandoli con altri di varietà simili o diverse, abbandonati a sè, "26 V. PEGLION I crepaccci che dapprima ricoprivano uniformemente la corteccia in tutti i punti, sono ora in gran parte scomparsi e cicatrizzati, la scorza torna ad essere liscia. Solo i dardi, e le inforcature all’ inserzione dei rami mostrano ancora i crepacci caratteristici, ma sono fermamente persuaso che coll’ adeguata applicazione dello stesso trattamento negli anni suc- cessivi anche questi abbiano da scomparire. oltre, come già ho no- tato, con ì trattamenti in quistione non si distruggono che gli selerozi con cui la poltiglia va a contatto diretto ; quelli che sono ancora ri- parati dal periderma, in massima parte sfuggono e vengono all’ esterno nell’ annata successiva. Rispetto alla preservazione delle foglie e dei frutti, i risultati si possono dire completi specialmente riguardo a questi ultimi. Quest’ anno la malattia ha imperversato in modo notevolissimo ed il mercato di di Avellino rigurgitava di pere precoci così malmenate da doversi ce- dere a prezzi desisori. Nel frutteto della Scuola invece i frutti sì tro- vano attualmente in ottime condizioni; solo qualcheduno di essì già col- pito prima del trattamento, mostra qualche deformazione, in corrispon- denza del punto occupato dalla macchia iniziale. Però tutti sono perfet- tamente commerciabili. In nessun caso ho osservata la formazione degli spacchi che tolgono qualsiasi valore ai frutti medesimi. Per quanto riguarda le foglie, si può dire che la malattia è stata arrestata. È inutile però aggiungere che quelle precedentemente colpite mostrano tuttora traccie del parassita; però la maggior parte delle piante su cui l'infezione era leggiera all’ atto del trattamento, hanno ora il fogliame in ottimo stato. Effetti dei trattamenti sulla vegetazione Gli alberi che subirono il trattamento invernale hanno mostrato , sempre um ritardo nella messa in vegetazione, nella fioritura ete. Ora tale fatto costituisce un vantaggio non trascurabile, poichè nell’ epoca nella quale il pero si mette in vegetazione, sono frequenti i bruschi cambiamenti di temperatura seguiti talvolta da gelate fortissime. Così nel podere della Scuola Enologica la messa in vegetazione e la fiori tura si compiono nella terza decade di marzo: se si esaminano i dati meteorologici relativi al periodo che passa da questa epoca fino al giu- gno si trovano ancora parecchie brinate e degli estremi di temperatura di — 39,6, — 1°7 ete. e qualche volta anche delle nevicate, . È OSSERVAZIONI CRITICHE HAT Non è quindi un vantaggio trascurabile quello che si ottiene per mezzo di queste lavature primaverili, potendosi ritardare la messa in vegetazione di una settimana e più. È indubitato poi che per ottenere buoni risultati da questi tratta- menti primaverili è necessario proseguirli per più anni di seguito. Quando le parti disquamate hanno ripreso il loro aspetto normale si può sen- z' altro sospendere questa pratica. Inquanto agli effetti del trattamento o dei trattamenti estivi, in- dipendentemente dalla preservazione del fogliame, dei frutti e dei getti, essì consistono in una maggior permanenza del fogliame sulla pianta, ed in una più intensa colorazione del fogliame stesso dovuto, per ana- logia a quanto succede nella vite, ad un sensibile aumento nel numero dei granuli. di clorofilla. Fenomeni codesti che si verificano in tutte le piante sottoposte a trattamenti cuprici: per analogia con quanto succede nelle viti trattate con poltiglia bordolese e che venne chiaramente di- mostrato in questi ultimi tempi dal Galloway, è probabile che i frutti riescano più zuccherini e maturino più precocemente di quello che non sia sulle piante non trattate. Del resto data la maggior ricchezza in clorofilla nelle parti trattate, dovuto probabilmente allo stimolo diretto di una piccola quantità di rame assorbito, più che all’ azione chemo- tattica del rame medesimo invocata dal Rumm, è indubitato che la nu- trizione della pianta sarà più intensa e la quantità di materiale nutri- tivo di cui la pianta stessa potrà disporre sia per l’ incremento dei pro- pri tessuti, sia per la formazione dei frutti sarà maggiore. È proba- bile poi che questo stimolo diretto esercitato sulla formazione della clo- rofilla da tenui quantità di composti cuprici sia da considerarsi iden- tica, considerando la quistione con una certa larghezza ed indipenden- temente dal modo come queste sostanze vengano assorbite , all’ azione che esercitano i composti di ferro nella formazione della clorofilla stessa, od anche alla azione che debolissime quantità di zinco hanno sopra lo sviluppo della Sterigmatocstis (Aspergillus) nigra, come risulta dalle ricerche da più tempo condotte di Raulin. Tali benefici effetti delle miscele cupriche sopra le foglie dei peri erano già stati osservati e discussi dai signori Magnien et Masson nella loro prelodata memoria. E non si può non adottare una delle loro con- ‘ clusioni a tale riguardo che cioè se i trattamenti cuprici possono produrre buoni risultati sulla vegetazione dei peri, indipendentemente dalla tic- chiolatura, sarebbero consigliabili anche perchè rinvigorirebbero le piante aumentando eziandio la resa in frutti. Sarebbe questa un' altra applica- 28 V. PEGLION zione delle poltiglie identica a quella seguita, secondo Mangin, ! da vari orticoltori francesi i quali allo scopo di ottenere piante ornamentali con fogliame rigoglioso irrorano queste piante con poltiglia bordolese otte- nendo ottimi risultati colla Palme, le Dracoena, Anthemis ete. Riassumo in ultimo le norme da seguire nella cura della ticchio- latura traendole in parte dalle osservazioni suesposte, in parte da quanto venne riferito dagli altri Autori. 1. La ticchiolatura del pero va considerato tanto dal punto di vista di malattia costituzionale, che di malattia accidentale. La prima forma si può distinguere col nome di canero ordinario (Dangeard) , 0 di rogna, la seconda forma col nome di ticchiolatura 0 brusone. 2. Il cancro colpisce i rami vecchi, i dardi, i getti dell’ annata. I danni che ne risente la pianta consistono nella continua disquamazione, cui questi organi vanno soggetti e susseguentemente alla necrosi con- tinua dei tessuti, per opera del micelio ibernante del Fusiclad&um py- rinum. Le piante attaccate in siffatta guisa e che si riconoscono facil- mente all’ aspetto, saranno certamente colpite nel fogliame e ne’ frutti nella stagione opportuna. 3. La ticchiolatura è caratteristica delle foglie e dei frutti: in tale forma la malattia è specialmente appariscente e dannosa. Può manife- starsi anche su piante il cui sistema caulinare è perfettamente sano ed allora 1’ infezione del fogliame avviene per mezzo di spore portate dal vento o da altro agento. 4. Il trattamento cui devono assoggettarsi le piante varia: le piante affette da canero richiedono un trattamento primaverile colla poltiglia densa secondo le formole esposte più sopra: tale trattamento ha per scopo la cura dei cancri e la distruzione del micelio ibernante. Deve essere eseguito prima della messa in vegetazione dei peri. 5. Le medesime piante devono subire un secondo trattamento al- l'epoca dell’ allegamento delle giovani pere. Sì dovrà adoperare una poltiglia leggera contenente 1° 1 o il 2 °/o di solfato di rame e una corrispondente quantità di calce spenta. Tale trattamento ha per scopo di prevenire le eventuali infezioni del fogliame e dei frutti per opera di spore trasportate dal vento. Questo trattamento va applicato anche alle piante di pero il cui sistema caulinare è immune dal canero. 6. Se la stagione corre favorevole allo sviluppo del parassita , se ! Mancin — lievue de Viticulture anno TN90: I ZOOCECIDII DELLA FLORA AVELLINESE 29 il medesimo infierisce con special violenza in date località, e finalmente se le varietà coltivate sono specialmente soggette all'invasione del pa- rassita, si potrà eseguire un terzo trattamento identico al precedente tre o quattro settimane dopo. S' intende che se il secondo trattamento venne dilavato dalle pioggie è indispensabile ripeterlo in modo che si- curamente le parti verdi delle piante siano ricoperte da uno strato sot- tile di miscela cuprocalcica, la cui presenza varrà a preservare questi organi dagli attacchi del parassita. 7. Le piante colpite da cancro vanno assolutamente escluse dal novero di quelle destinate a fornire le marze da innesto. reo ie az I Zoocecidii della Flora Avellinese Primo catalogo del Dott. VirrorIo PEGLION Le recenti pubblicazioni di vari Autori Italiani sopra la distribuzione dei zoocecidii nella flora Italica, ed in ispecial modo gli scritti del Massa- longo ', del Canestrini ? e della marchesa Misciattelli ® mi hanno indotto a pubblicare questo primo catalogo delle galle dell’ Avellinese. Alcune di esse vennero raccolte dal chiaro Professore Berlese che si compiacque affidarmene lo studio, le altre le raccolsi nelle numerose escursioni da me eseguite nei dintorni di Avellino durante gli anni 1892-93-94. Due di esse sono già rammentate dal signor Prof. Licopoli 4 ma nonpertanto ho creduto bene ricordarle nuovamente anche perchè le ho riscontrate in località differenti da quelle ove le trovò il detto Autore, e sono le galle della Rosa dovute a Cynips bedeguarensis e la fitoptosi dell’ O1- mo; nella enumerazione dei zoocecidii medesimi mi sono attenuto alla 1 MassaLonco — Le Galle nella Flora Italica (Entomocecidii) Verona 1893 con XL tavole (con estesa bibliografia). ? CanesrRINI — Famiglia dei Phytoptini — Atti Ist. Ven: Scienze etc. 1893 con tavole (e con estesa bibliografia). è MiscratteLLI MarcH. MarcH. — Zoocecidii della Flora italiana ete. — Bull. Soc. Bot. Ital. 1894 p. 216. 4 LicoroLi — Galle nella flora di alcune provincie napoletane — Napoli 1887. 30 V. PEGLION classificazione seguita dal. Massalongo * nelle sue memorie sugli entomo- cecidi e sopra gli acarocecidi. La maggior parte delle galle il cui elenco segue, è conservata nelle collezioni di Patologia Vegetale della R. Scuola Enologica di A- vellino. Avendo portato a buon termine lo studio istogenico di alcune fra le galle dovute a fitopti mi riserbo di trattare la parte bibliogra- fica nel lavoro in cui esporrò i risultati di tali mie ricerche, per ora mi limito ad enumerare le forme osservate. * Entomocecidii 1. CRATAEGUS OXYACANTHA. Accartocciamento e colorazione rosso-carminio delle foglie dovuti a colonie di Aphis Crataegi Kalt. Le foglie così alterate hanno molta rassomiglianza colle foglie di altre piante colpite da Exoascacee. Lungo le siepi della Via del Tuoro, vicino alla Villa Soldi, nel marzo 1894. Cfr. Kalt. Pflanzenf. a. d. CI. Insect. p. 202 — Pass. Aphid. It. p. 157 — Hieronymus Beit. z. Kennt. d. europ. Zooc. p. 63 — Schlech. Galbiid. deuts. Gefasspflanzen p. 70 — Massal. Galle nella Flora Ita- lica p. 44 n. 9. 2. PoPULUS NIGRA L. Ripiegatura a spira del picciuolo dovuto a Pempligus spirothe- cae Pass. comune in tutta la provincia. Ufr. Pass. 1. e. p. 189 — Lacaze-Duth. Rech. Hist. d. galles tav. XIX fig. 8 —- Mass. I. c. p. 56 n. 18 tav. VII. 5. Pyrus Macus L. Ingrossamenti e deformazioni dei rami per opera della Sekizoneura lanigera Haussm. È uno dei parassiti del melo più diffuso e più dan- noso specialmente nei dintorni di Avellino. Cfr. Pass. l. c. p. 191-92, Kalt. I. c. p. 202, Frank Krankhe Pfi. p. 719 e 721, Sorauer, Pflanzenkrankh. I p. 792 — Prillieux in Ann. Inst. Agron. I tav. }-II — Mass. in 1. c. p. 62 tav. IX fig. 1-3. 4. TILIA EUROPEA. Deformazione e ripiegatura scorpioide dei rame tti per opera de Aphis T'iliae. 1 MassaLonco — Acarocecidii nella flora veronese — N. G. Bot. It. 1891 — e] numerose aggiunte comparse posteriormente nel medesimo periodico. . I ZOOCECIDII DELLA FLORA AVELLINESF 31 Lungo la salita dei Cappuccini, Estate 1892. 5. ULMUS cAMPESTRIS L. Galle a vescica, voluminose, formantisi a spese delle foglie per opera della Schizoneura lanuginosa Hart. Tali galle permangono anche durante l' inveno, annerite e fragili. Lungo le :î); della salita dei Cappuccini. Cfr. Pass. 1. c. p. 191, Frank 1. c. p. 715, Malpighi-De Gallis MRI p. 13, Kali 1. c. p. 540 — Mass. LL c. p. 64-65 tav. X fig. I. 6. ULMUS CAMPESTRIS. Galle vescicolari, piccole sulla pagina superiore della foglia , do- vute a Tetraneura Ulmi De Geer. Unita alla precedente lungo la salita dei Cappuccini — primavera. Cfr. Pass. 1. c. p. 201 — Frank IL. e. p. 712 — Kessler Leben- geschichte auf Ulmus vorkom Aph. p. 4 — Massal. 1. c. p. 71 tavola VII fig. 3. 7. BUXUS SEMPERVIRENS. Pustule lenticolari sopra le foglie, dovute a Diplosis Buri Lab. nel podere della Scuola Enologica. Ho trovato comune questo cecidio anche in vari giardini di Portici. Cfr. Hieronym. Beitr. eur. Zoocecid. p. 77 e 394 Schlech. 1. c. p. 62 — Massal. L c. p. 77. 8. CORNUS SANGUINEA L. Galle a cornetto lungo la nervatura mediana dovute a Hormom:,a Corni Gir. nella Villa Comunale ed a Villa Balestrieri nel giugno 1894. Cfr. Frank. 1. e. p. 741 — Kalt. 1. c. p. 295 — Hyeron. 1. e. p. 81 — Schlech. 1. c. p. 67 -— Malp. Il. c. tav. VII fig. 14 -— Mass. 1. c. pag. 82, tav. X. fig. 6 9. FaGUS syLvaTICA L. Galle a cornetto lungo le nervature della pagina superiore della foglia dovute a Hormomya Fagi. Hartig. Lungo la strada di Ospedaletto nell’ autunno 1893. Cfr. Kalt. 1. c. p. 631 -- Frank. 1. c. p. 740 — Hieronym. 1. c. p. 87 — Licopoli © Galle nella flora napol. p. 12 tav. FS II — Massal, l. c. p. 90, tav. XII fig. 4. 10. Quercus CERRIS. Galle sporgenti su ambe le pagine della foglia; depresso-emisferiche sulla pagina inferiore e ricoperte da abbondanti peli grigi; subconiche sulla pagina superiore e glabre, dovute a Cecidomya Cerris. Koll. Nelle boscaglie attorno a S. Angelo a Scala — giugno 1894. SE V. PEGLION Cfr. Frank 1. c. p. 749 — Hieron. 1. c. pag. 110 — Kalt. I. c. (Sub Lastoptera) p. 676 — Mass. 1. c. p. 119 tav. XXVI fig. 1-3. 11. Quercus PEDUNCULATA. Wild. Riflessione dei lobi delle foglie per opera della Heplosis dryobia Fr, Nelle boscaglie attorno a S. Angelo a Scala -- giugno 1894. Cfr. Mass. 1. c. p. 126 tav. XVIII fig. 4. 12. Facus syLvatica L. Galle semilenticolari, sporgenti sulla pagina inferiore della foglia, leggermente rientranti in corrispondenza della pagina superiore; di forma circolare con un diametro medio di 4-5 mm.; poco appariscenti quando la foglia è fresca. Esse sono disposte ora disordinatamente nel paren- chima fra le nervature ed ora tendono a disporsi seriatamente lungo la costola mediana. Spesso sono così ravvicinate da confluire a due a due. Sezionate trasversalmente si nota nella parte centrale una camera lar- vale che misura nella sua massima dimensione una lunghezza di 250- 300 n. Tale camera larvale comunica all’ esterno per mezzo di una aper- tura ostiolare lunga circa 200 p, svasata e sita in corrispondenza del centro della galla verso la pagina inferiore. Tale camera è circonda- ta da strati concentrici di tessuto parenchimatico ad elementi stretta- mente riuniti, ricchi in plasma e che mostrano rari ji granuli clorofil- ligeri. Nella parte periferica in corrispondenza della pagina inferiore, a tale parenchima si sostituisce un tessuto sclerenchimatico formato da 3 o 4 strati di cellule a forma irregolare, a pareti fortemente ispessite, ricche in punteggiature lineari o ellittiche. L’ epidermide della pagina inferiore è spesso lacerato e gli elementi costitutivi fortemente stirati. Lo strato di parenchima a palizzata normalmente formato da elementi lunghi da 36-40 u è molto ridotto in corrispondenza della camera larvale, dove gli stessi elementi raggiungono a mala pena i 20 p. Le nervature comprese nel- l’area di una di queste galle subiscono una deviazione abbastanza mar- cata nella direzione degli elementi vascolari, i quali poi sono fortemente separati gli uni dagli altri, massimamente la parte legnosa dalla liberiana in seguito alla moltiplicazione intensa dei parenchimi e del connettivo. A Forino nel giugno 1893 (Berlese). Per affinità di struttura sarei propenso a ritenere questa galla do- vota a qualche Cecidomyia. In nessuna delle galle esaminate potei tro- vare il cecidiozoo. 13. Viris vINIFERA L. Galle lenticolari sporgenti sopra ambo le faccie della foglia dovute a Cecidomyia oenophila Haimhoff. I ZOOCECIDII DELLA FLORA AVELLINESE 33 Ad Accadia nel maggio 1894. Cfr. Frank 1. c. p. 741, Viala Malad. de la Vigne III ed. p. 565 fig. 282 tav. XVIII c. Malp. 1. c. tav. XVI — Mass. 1. c. p. 145 ta- vola XVIII fig. 6-7 e tav. XIX. 14. SALIx ALBA L. Galle ellittiche o reniformi dovute a Nematus gallicola (Redi) West. lungo le siepi della strada Altavilla, giugno 1894. Ufr. Hieron. 1. c. p. 200 — Frank 1. e. p. 781 — Licopoli 1. e. p. 12 tav. II fig. 7 — Mass. Il. c. p. 148. 15. QUERCUS PEDUNCULATA. Wild. Galle terminali, pluriloculari, carnose, rosee dovute a Biorrhyza terminalis. (Fabr.) Mayr. Lungo la strada da Roccabascerana a S. Martino V. C. nel mag- | gio 1894. Cfr. Hieronym. l. e. p. 163 — Massal. 1. c. pag. 162 tavola XL fig. 2-3. 5 16. Quercus PEDUNCULATA. Wild. Galla a carciofo causata da Andricus fecundatriv (Hart.) Mayr. Comunissima nei dintorni di S. Angelo dei Lombardi; raccolta lungo la strada di Teora nel maggio 1894. Cfr. Frank 1. e. p. 773 fig. 146 — Kalt. 1. e. pag. 665 (sub C. gemmae) Licopoli 1. c. p. 10 tav. I fig. 15 — Mass. 1. c. pag. 167, tav. XXXVIII fig. 4. 17. Quercus PEDUNCULATA Ehrh. Galle urneformi, con mucrone umbilicato al vertice, voluminose do- vute a Cynips argentea Hart. Comune nelle boscaglie attorno ad Aiello del Sabato, agosto 1893. Cfr. Kalt. 1. c. p. 668 — Hieron. ]. c. p. 180 tav. XXIX figu- ra 3 — Licop. 1. c. p. 10 tav. I fig. 12 — Mass. 1. c. p. 176. 18. Quercus PEDUNCULATA. Wild. Galle uniloculari, sferiche, sessili, note col nome di noci di galla dovute a Cynips Kollari Hart. Comune nel podere della Scuola Enologica, autunno 1893. Cfr. Kalt. 1. c. p. 668 -- Frank I. c. p. 773 — Hieron. I. c. p. 181 — Massal. 1. c. p. 182, tav. XXX fig. 2-5. 19. Quercus PEDUNCULATA. Wild. Deformazione della foglia in corrispondenza della nervatura me- diana per opera dell’ Andricus curvator. Podere della Scuola Enologica — Estate 1893. 34 V. PEGLION 20. QuERCUS PEDUNCULATA. Wild. Galle a forma di ciambella dovuta a Neuroterus numismalis (Oliv.) Mayr. nel podere della Scuola Enologica nell’ estate 1892. Cfr. Frank 1. c. p. 771 (sub N. Reaumurt Hart.) Kalt. 1. c. p. 666 — Licopoli in 1. c. p. 11 tav. I fig. 10 — Lacase Duth. in 1. e. tav. 18 fig. 1-9 — Mass. I. c. p. 200 tav. XXVIII fig. 36. 21. Rosa canina L. (ralle glomerulate ricoperte da appendici sottili, intrecciate e rami- ficate, causate da AAodites Itosae. (L.) Hart. Lungo le siepi della via di Ospedaletto nell’ autunno 1893. Cfr. Frank l. e. p. 777 — Hieron. l. c. p. 188 — Licopoli IL e. p. 2, tav. II fig. 5 — Lacaze Duth. 1. c. tav. 18 fig. 14-15 — Massal. 1° e. p. 212, tav. XXI fig. 66. ì 22. RUBUS sp. Rigonfiamenti fusiformi del caule, dovuti a Diastrophus Rubi, galla comune lungo la strada di Ospedaletto e raccolta nell’ autunno 1893. Cfr. Mass. 1. c. p. 128 tav. XIV fig. 2-3 — Frank l. c. p. Vito fig. 141. i 23. ACER PSEUDOPLATANUS. L. (alle globulari di 1 cm. di diametro, color marrone, fragili, vuote all’interno, sporgenti alla pagina inferiore della foglia dovute a Batya- spis Aceris. Forst. Cfr. Frank 1. c. p. 780. Nelle siepi della via del Tuoro, autunno 1893. 24. BRASSICA OLERACEA L. (alle sulle radici dovute a Ceutorrhynechus sulcicollis Schoenlh. Tali galle possono raggiungere la grossezza di una noce; nel paren- chima ipertrofico in cui vive la larva sì osservano spesso casi di po- linucleazione. È comunissima negli orti dei dintorni di Avellino, ma pare non arrechi danni sensibili alle piante. Si trova eziandio sopra la B. napus. Nel podere della Scuola Enologica, estate 1893. Cfr. Frank 1. c. p. 225 — Kalt. 1. c. p. 31 — Mass. I. c. p. 225 tav. XXXIV fig. L 25. LINARIA vuLGARIS. Mill. Galle globose 0 subglobose grosse quanto un pisello sopra le ra- dici, dovute a Gymmnetron Linariae Panz. Comune lungo i muri e nei cedui — raccolta nel podere della Scuola Enologica, nell’ estate 1892. i | I ZOOCECIDII DELLA FLORA AVELLINESE 35 Cfr. Frank 1. c. p. 797 — Hieron. l. c. p. 217 — Massal. l. c. ‘| p. 227, tav. XXV fig. 3 a. 26. POPULUS NIGRA. Escrescenze lungo i rami di età varia, seguite spesso dalla morte della parte soprastante dovute a Saperda? populnea. Comune nei din- i torni di Avellino — 1893. Cfr. Frank 1. c. p. 801 — Sorauer l. e. pag. 752 e 757. Acarocecidii 27. CoryLus AVELLANA L. Deformazione delle gemme foglifere e fruttifere (Calycophtora A- vellanae) Amerl., per opera del Phytoptus coryligallarum Targ. Tozzetti. Comunissimo e molto dannoso in tutti i nocelleti dellla Provincia. Rac- colto nel podere della Scuola Enologica, ad Ospedaletto, a Bellizzi, a Lapio, (1892) ed in vari altri punti. Cfr. Massalongo N. Giorn. Bot. 1891 p. 82 — Frank Pflanzen- krankh. p. 696, Sorauer Krankh. d. Pfl. p. 827 — Scehlech. 1. c. n. 121 — Canestrini — Atti del R. Ist. Veneto di Sc. e lett. 189 p. 86. 28. THymus SerpyLLUM L. Deformazione dell’ estremità dei rami per opera del Phytoptus Thomasii. Nal. Nel podere della Scuola Enologica nella primavera 1893. Cfr. Mass. 1 c. p. 83 — Canestrini 1. c. p. 88 — Frank lc. p. 694 — Sorauer 1. c. p. 838. 29. BUuxUs SEMPERVIRENS L. Deformazione delle gemme terminali e laterali prodotta da P#. Buxi. Can. Podere della Scuola Enologica — Estate 1893. Comune in tutta la Provincia. Cfr. Sorauer Pflanzenkrankh. I p. 830 — Mass. l. c. pag. 89 — Misciattelli 1. c. p. 220 N. 25. 30. POPULUS TREMULA L. Deformazione delle gemme (Calycophtora Populi) Am. et (Bota- neus Populi) Kirch. olim per opera del Phytoptus populi. Le gemme deformate si sviluppano enormemente e possono \rag- giungere la grossezza di un arancio; la parte più esterna, si disquama 36 V. PEGLION di anno in anno in modo che l'intero cecidio assume l’ aspetto di un tubercolo di rogna. Raccolto vicino ad Ospedaletto nell’ autunno 1893. Cfr. Mass. 1. c. p. 88 — Frank l. c. pag. — Canestrini 1. c. pag. 124. 31. CARPINUS BETULUS L. Increspamento delle foglie prodotto dal P/ytoptus macrotrichus Nal. presso il torrente di Capriglia, e lungo la strada di Ospedaletto nell’ estate 1893. Cfr. Frank l. c. 688 — Sorauer I. c. p. 826 — Mass. 1. c. p. 92 — Canestrini l. c. p. 150. 32. ALNUS CORDIFOLIA. Erinosi delle foglie prodotta da P%. brevitarsus a Monteforte in unione col precedente. 35. ACER PSEUDOPLATANUS L. Erinosi causata da PAytoptus sp. (Erineum platanoideum). Lungo le siepi della via del Tuoro nell’ ottobre 1893. Cfr. Frank l c. pag. 679 — Fèe1l. c. p. 57 tav. VI f. 6 — Mass. ate Mpt100; 34. ALNUS GLUTINOSA. Erinosi (Zrineum alneum) Pers. prodotta da P/ytoptus brevitar- sus Fock. A Monteforte nell’ ottobre 1893. Cfr. Frank 1. c. p. 679 — Sorauer 1. c. pag. 826 — Massal. 1. c. pag. 100 — Canestr. l. c. pag. 137. 509. JUGLANS REGIA L. Erinosi (Erineum Iuglandis) prodotta da Pl. tristriatus. Molto diffuso in tutta la provincia, raccolto nel podere della Scuola Enologica nella primavera 1893. s Cfr. Frank 1. c. p. 678 — Sorauer 1. c. p. 828 — Massal. 1. ec. p. 97 -— Canestr. l. c. p. 142. — Misciatt. 1. c. pag. 217. 36. Quercus ILex L. Erinosi (Erineum ilicinum) Pers. prodotta da Phytoptus Iicis Cn. Questa specie è molto diffusa nei dintorni di Avellino ; 1’ ho raccolta nella Villa Comunale, e a Villa De Conciliis nell’ estate 1892. Qualche volta il tricoma prodotto dal fitopto estendevasi anco alla pagina su- periore della foglia. 37. TILIA PARVIFOLIA Ehr. Hrinosi (Ermeum tiliaceum) Pers. prodotta da P%. Tiliae Nal. I ZOOCECIDII DELLA FLORA AVELLINESE by Lungo la salita dei Cappuccini (Viale dei Tigli) Estate 1892. Cfr. Frank 1. c. p. 678 — Sorauer 1. c. p. 833 — Mass. 1. e. p. 195 — Canestr. 1. c. p. 129 — Misciatt. 1. c. p. 217 N. 6. ì 38. Viris vinireRA L. Erinosi delle foglie (Erinewm vitis) Fries, prodotta da Ph. Vitis. Dovunque — raccolto nel podere della Scuola Enologea nella pri- _mavera 1893. Cfr. Frank 1 e. p. 679 — Sorauer ]. c. p. 834 Briosi — Sulla fi- topt. della vite — Massal. 1. c. p. 97 — Misciatt. 1. c. p. 217. 39. ACER CAMPESTRE L. calle piccole, globose, verde-pallide o rosee, numerose (Cephalo- neon myriadenm). Bremi olim, dovute a Phytoptus sp. associato a Phyl- locoptes aceris Nal. i Cfr. Frank l. c. p. 687 — Sorauer ]. c. p. 825 — Massal. |. pag. 102. 40. ACER PSEUDOPLATANUS L. Galle alquanto maggiori delle precedenti, subcilindriche (Cerato- neon vulgare). Bremi olim, dovute a /’hytoptus macrorrliynchus Nal. Lungo la strada di Ospedaletto nell’ autunno 1893. Cfr. Schlech. 1. e. p. 510 — Frank 1. c. p. 687 — Sorawer 1. c. pag. 825 -— Massal. 1. c. p. 102 — Canestr. 1. c. pag. 138. Misciatt: 1. c. p. 218 N. 10. 41. Tia Parvironia Ebr. Galle a cornetto, diritte 0 arcuate, rosse-carminio (Ceratoneon extensum) Bremi olim, dovute a Ph. Tiliae Nal. 1 Lungo il viale dei Tigli, (ad Ospedaletto, a Roccabascerana nel 1893 e nella dro 1894. Cfr. Frank 1. c. p. 686 — Sorauer 1. È 854 — Mass. l. c. p. 103 — Canestr. 1. c. p. 129 — Misciatt. Lo b'p:3219 No 18: | 42. PyRus communis L. Vaiuolo delle foglie causato da A Piri (Nal.). Nel podere della Scuola primavera 1892-93-94. i Cfr. Frank l. ce. p. 699 — Sorauer 1. e. pag. 814 tav. XVII — Massal. 1. c. p. 107 — Berlese, La Fitoptosi del Pero — Riv. Patolo- gia Veg. I pag. 71 tav. IV. 43. SORBUS AUCUPARIA. Vaiuolo delle foglie causato da Phyfoptus sp. Le alterazioni sono simili a quelle causate dal P%. pyri. Lungo la strada di Summonte nell’ estate 1892. tall indi dai 38 A. PEGLION 44. ULMUS CAMPESTRIS. Vaiuolo delle foglie causato da PAytoptus campestricola Frauent. (Ph. filiformis Nal.). È an parassita molto diffuso e che arreca danni talvolta seriissimi all’ olmo di cui può far disseccare l' intera chioma. Raccolto nel podere della Scuola Enologica nella primavera 1893. Cfr. Frank 1. c. p. 700 — Sorauer 1. c. p. 834 — Mass. I. c. p. 109 — Schlech. 1. c. p. 360 — Canestr. 1 c. p. 151 — Misciatt. I. c. pi 2238N391 45. CRATRAEGUS OXYACANTHA. Erinosi e ripiegatura delle foglie dovute a Phytoptus gonziothorax. Raccolto a Villa Rossi presso la Scuola nell’ autunne 1893. Cfr. Canestrini 1. c. pag. 126. 46. SAMBUCUS NIGRA. i Accartocciamento delle foglie dovuto a Cecidophyes trilobus. Nal. Comune lungo le siepi della via dei Cappuccini, a Villa Rossi — raccolto nel 1893. Cfr. Sorauer 1. c. p. 833 — Mass. 1. ec. p. 111 — Sehlech. 1. c. N. 1147 — Canestrini 1. c. pag. 158 — Misciatt. 1. c. pag. 220 N. 22. Elmintocecidii 47. VITIS VINIFERA L. Rigonfiamenti radicali dovuti ad Heterodera (Anguillula) radici cola (Greff.) Mill., nel podere della Scuola Enologica primavera 1894. Cfr. Sorauer 1. c. p. 857. Frank l. c. p. 667, Saccardo e Bel- lati — Sopra rigonf. non fillosserici delle radici di viti — Viala Mal. de la vigne III ediz. I “D CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE GLANDULE CERIPARE DELLE COCCINIGLIE ì (Dactylopius citri Risso e Ceroplastes rusci) pel Dottor OseAR VISART dee Argomento della presente nota sono le g/andule ceripare del te- gumento di due cocciniglie, che hanno un grande interesse scientifico ed agrario, cioè: il Dactylopius citri Itisso ed il Ceroplastes rusci. Il Dactylopius citri è purtroppo notissimo ai proprietari di agrumi, costi- tuendo una grave malattia dei medesimi. Il Ceroplastes Rusci vive, oltre che su altre piante, parassita del Fico comune, ed arreca in certe annate danni rilevanti al medesimo, ed impedisce spesso la maturazione dei frutti. Caratteristica delle Cocciniglie in genere ed in ispecie di questi due generi è la produzione per parte di glandule speciali del tegumento di masse cerose , che sì presentano sotto l'aspetto di bastoncini , fili, masse cotonose nel Dactyopius, e di un vero rivestimento nel Ceropla- stes. Queste produzioni servono, come è noto, quali mezzi di difesa contro gli agenti esterni, e per ravvo]gere in sicuro riparo i giovani embrioni. Non mi occuperò della natura chimica della cera, nei vari aspetti sotto ai quali si presenta ; questo argomento è stato trattato in parte da altri e non entra nelle intenzioni di questo studio. Passerò invece minutamente in rassegna i vari tipi di glandule che elaborano questo prodotto, ed il modo col quale le masse cerose vengono all’ esterno. . La letteratura speciale dell’ argomento si riduce a hen poca cosa. Il lavoro più importante è quello di Mayer sul Coccus Cactis *. Egli pel primo ha ottenuto un notevole risultato in questa via, avendoci pel primo dimostrato e precisato il fatto inaspettato, ehe la cera, elaborata in glandule speciali, non sorte all’ esterno esportata da condotti speciali aperti, ma trasuda attraverso la chitina. Questo fatto è di grande im- portanza, ed il lavoro del valente micrografo segna un gran passo in ! P. Mayer Zur Kenntniss von Coccus cacti. Mittheil. aus d. Zool. Station zù Neapel — 10 Bol. 3 Hft. 40 O. VISART questo argomento. Ho verificato nel Dactylopius e nel Ceroplastes la giustezza delle osservazioni del Dr. Mayer, benchè in queste Cocciniglie le glandule ceripare siano notevolmente differenti da quelle del Coceus cacti. E per essere breve, entro subito in materia, e comincio la descri- zione delle glandule ceripare nel Dactylopius. Glandule ceripare del Dactylopius citri /tsso La produzione della cera della quale è coperto il corpo dei Dacty- lopius è affidata a vari tipi di glandule, che risiedono-sotto la cuticola nello strato delle cellule ipodermiche, dalle quali hanno origine. Ad ogni tipo di glandula corrisponde una produzione caratteristica di cera. Se noi osserviamo una femmina adulta di Dactylopius vediamo ai margini del suo corpo dei cilindretti bianchi che irradiano da ogni segmento. Questi cilindretti sono di cera e se ne contano 18 ad ogni lato del corpo. Hanno 1’ aspetto di bastoncini, ma osservati al miero- scopio essi appariscono come li ho raffigurati alla figura (A). Sono due o più spesso 3 bastoncini (a) interamente rivestiti da un pulviscolo di cera, che consta di fili fini leggermente arcuati (ce), di corti fili in forma di e (a) di lunghi riccioli (») e di brevi riccioli (d). Queste produzioni minori di cera ravvolgono completamente i baston- cini diritti centrali. (Hlandule pluricellulari produttrici dei bastoncini diritti —I ba- stoncini diritti sono prodotti da glandule pluricellulari speciali che sì trovano lateralmente ad ogni segmento del corpo, sempre appaiate od anche in numero di 3. Questo tipo di glandule vennero già raffigurate molto esattamente dal prof. Berlese ', solo mi rimane di aggiungere qualche cosa alla loro descrizione, e di indicare un fatto nuovo interes- santissimo che risguarda il modo col quale la cera sortirebbe all’ esterno. Ma diamo dapprima una descrizione di queste glandule. La Glandula (Fig. 2) ha l'aspetto di una vescichetta; le sue pa- reti constano di cellule a grossi nuclei. Qualche volta le membrane cel- lulari non sono ben visibili, ma esse esistono sempre, specialmente nelle glandule giovani, come ho potuto convincermi in parecchi preparati. Le cellule glandulari delimitano all’interno una cavità nella quale ! Berlese — Le Cocciniglie italiane viventi sugli agrumi — Parte I. Estr. d. Riv, di Patologia vegetale, anno II. N. 1-8 Avellino b-@ CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE GLANDULE 41 sì osservano spesso delle cellule a grossi nuclei. Ho sorpreso queste cel- lule interne in via di divistone amitotica. Le pareti cellulari della glandula determinano nella parte anteriore la formazione di un collo, che qualche volta sporge al di fuori della cuticola del segmento. Nell'interno di questo collo esiste un tubo vuoto (Fig. 2 d) che ci rappresenta il dutto escretore della glandula ; ed in- fatti la cera elaborata nel corpo della glandula prende questa via per sortire all’ esterno; ma strana particolarità: questo tubo è chiuso nella sua parte inferiore (») che dovrebbe comunicare colla cavità glandu- lare, onde la cera deve trasudare attraverso la parte chiusa inferiore del tubo per penetrare nel medesimo. Forse non avrei rilevato questa particolarità importantissima, se non avessi avuto, per così dire, 1’ ani- mo preoccupato dal lavoro del Dr. Mayer sul Coccus cacti * nel quale il valente osservatore constatò appunto il trasudamento della cera at- traverso le membrane chitiniche dei due tipi di glandule da lui descritte; i peli ceripari ed ì pori ceripart. Nel caso dunque delle glandule che abbiamo sott’ occhio il tubo è chiuso certamente nella sua parte inferiore. Di questo fatto convenne pure il prof. Berlese che prima le aveva descritte. Ho verificato usando di forte lente ad immersione 1’ assoluta certezza di questo particolare interessante. Ho verificato pure indubbiamente che il tubo è aperto nella sua parte anteriore sporgente dalla cuticola. Ne risulta quindi, che il tubo riceve la cera liquida che trasuda attraverso la parete chiusa del suo apice inferiore; questo in esso si consolida e sì acquista la forma di bastoncino diritto, forma che conserva sortendo all’ esterno. Se il tubo non esistesse, la cera sortendo liquida non potrebbe assumere la forma predetta, ma si contorcerebbe subito e darebbe luogo piuttosto alla for- mazione di riccioli, come vedremo essere il caso della cera che sorte dai por? ceripari. Queste glandule si trovano distribuite sul corpo dell’ animale nel modo seguente. Vanno cercate ai margini laterali di ogni segmento e quivi si trovano sempre appaiate od anche in numero di tre. Nei tagli di 2-3 p se ne scorge una sola raramente due; ma per verificare il loro numero bisogna fare dei grossi tagli, allora si vede che non sì trovano mai isolate ma in numero di 2 o 3 ravvicinate. A queste glandule è affidata la produzione dei bastoncini diritti , che irradiano lateralmente ad ogni segmento; esse sono le glandole ce- ! P. Mayer — Op. cit. 42 O. VISART ripare più grosse che si trovano nei Dactylopius. Ma noi abbiamo visto che i bastoncini prodotti da esse sono rivestiti da altre produzioni di cera secondarie, quali fila ricurvi, riccioli ecc. A quali glandule è affidata la produzione di queste produzioni se- condarie ? (Queste produzioni, che chiamo secondarie in rapporto solo del loro minore spessore provengono da altri tipi di glandule, delle quali vengo ora a fare la descrizione. Glandule monocellulari del tipo antecedente — Difficilmente si viene a conoscenza di questo tipo di glandule monocellulari nei tagli, mentre sono facilmente visibili nella dissociazione ed osservando 7 foto pezzi del tegumento per trasparenza. Queste glandule monocellulari (Fig. 1 4) non sono in fondo che cel- lule ipodermiche a forma sferica con un breve tubillo, il quale al suo orifizio esterno porta un anellino chitinico. Osservando al microscopio pezzi di tegumento convenientemente co- loriti, si vede la cuticola ricoperta di questi piccoli anellini che costi- tuiscono una specie di perztrema all’ orifizio di queste piccole glandule. Siccome queste glandule monocellulari sono sparse su tutto il corpo dell’ animale, come sì può dedurlo dalla presenza dei piccoli orifizi sud- detti; si può concludere, che molto probabilmente, esse producono quel pulviscolo che ricopre ovunque 1° animale, costituito da certi fili ricurvi (Fig. 9 a). Queste glandule si trovano anche all’ ingiro delle grosse glandule pluricellulari sopra descritte e rivestono ì bastoncini diritti delle loro produzioni. Pori ceripari (Fig. 1 A) — Le glandule di questo tipo sono al- quanto differenti da quelle descritte dal Dr. Mayer nel Coccus cacti. Le ho rappresentate fedelmente alla figura 1°, nella quale si scorgono per trasparenza attraverso il tegumento. Ogni glandula risulta dalla riunione di parecchie grandi cellule aventi nuclei distinti. Superiormente, ed aderente alla cuticola del tegumento notasi un anello o peritrema di natura chitinica che nel suo margine interno è seghettato con una certa regolarità (Fig. 1 4). Questi anelli si possono trovare anche di- staccati dalla glandula (4). Più internamente si notano tanti piccoli cerchietti che a prima vista sembrano dei pori esistenti nella cuticola; ma avendo osservato questa con forti lenti ed immersione, ho dovuto convineermi che questa è imperforata, e tutt’ al più questi cerchietti ci rappresentano dei pic- colì infossamenti nella cuticola, e corrispondono forse ai punti da dove la cera si fa strada allo esterno. i dette ante À CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE GLANDULE 43 Anche in questo tipo di glandule ceripare la cera deve trasudare attraverso la cuticola dell’ anello chitinico poichè, ripeto, questa è im- perforata; e su questo punto non nutro alcun dubbio. Le glandule appartenenti a questo tipo non trovansi isolate sul corpo dell’ animale, ma sempre riunite in gruppi di 3 a 5 assieme (Fig. 1 A). Molto probabilmente esse producono i riccioli (Fig. 9 d, ») dei quali sono rivestiti anche ì bastoncini diritti dei margini di ogni segmento. Infatti esse si trovano spesso in vicinanza di quel tipo di glandule. Nelle sezioni difficilmente sì scorge il vero aspetto di queste glandule, poichè vengono spesso sfigurate dai tagli. Nelle preparazioni in toto invece si scorge facilmente il loro aspetto che è tale quale le ho raffigurato. Fra esse si vedono le glandule produttrici dei baston- cini diritti (Fig. 1 B). Queste glandule sono comunissime e sì riscontrano sparse quasi ovunque sul tegumento. Un quarto tipo di glandule perfettamente distinto dalle antecedenti è quello da me rappresentato alle figure 6 e 7, esse non vennero an- cora osservate da alcuno e ne do un’ accurata descrizione. L'aspetto della glandola è generalmente quello di una bottiglia a collo più o meno allungato (Fig. 6). Essa consta di parecchie cellule spesso allungatissime con nuclei siti nella parte basale (2). Nella parte superiore esiste un anello di cuticola a bordi interni lisci (a). Ho consta- tato con sicurezza, che la cuticola del tegumento si arresta ai bordi dello anello come ho rappresentato nella figura; onde la glandula sì potrebbe considerare aperta nel suo orifizio, se non si scorgesse una specie di corpo rotondo (7), che sta nel centro dell’ apertura e ne limita 1° area perfettamente libera ad un cerchietto che sta tra 1’ anello (a) ed il corpo rotondo (r). Non mi so dare conto esatto di questa struttura, ne fo mi- nuta descrizione per amore di esattezza. Comunque queste glandule non mi sembrano chiuse completamente, esistendo questo spazio circolare li- hero che comunica coll’ interno. Queste glandule si trovano sempre am- massate (Fig. 7) in grandissimo numero, e sono localizzate specialmente intorno all’ apertura sessuale ed anale. Ho raffigurato alla figura 10 ap- punto uno di questi ammassi esistenti intorno all’ apertura della vagina (Fig. 10 3). Fra le glandule di questo tipo si notano anche alcune glan- dule produttrici di bastoncini diritti (a). È mia opinione, che a questo tipo di glandule è affidata la pro- duzione dei lunghi fili di cera che formano le masse cotonose, delle quali si vedono ravvolti spesso completamente le femmine dei Dacty- l opius. Questa mia opinione è basata sul fatto che queste masse coto- 44 O. VISART nose sl originano sempre nella parte posteriore e precisamente nelle lo- calità ove sono ammassate queste glandule. Dalla parte posteriore pos- sono estendersi sul dorso, ma la loro origine è sempre nella località ae- cennata. A proposito dello sbocco della vagina ricorderò anch'io le grosse glandule (Fig. 10 A) già descritte dal prof. Targioni sotto il nome di glandule sebacee. Esse sono rivestite all’ interno di un epitelio di natura certamente glandulare; in quanto però alla natura dei materiali che se- cernono sarebbero necessarie ulteriori e più precise ricerche. Citerò da ultimo come produzioni del tegumento dei piccoli peli rigidi in forma di purta di lancia che si osservano sparsi su tutto il tegumento (Fig. 3). Molto probabilmente, essi pure hanno una funzione ceripara. Constano di una parte sporgente fuori del tegumento, consi- ‘ stente in una punta di chitina; di un condotto che mette in comuni- cazione la punta chitinica con una vescichetta monocellulare (Fig. 3 5) sita nello strato delle cellule ipodermiche. Questa vescichetta non è altro evidentemente che una cellula ipo- dermica trasformata, ma è molto più grande delle cellule ipodermiche circostanti. Nell’ interno di essa ho notato la presenza di più nuclei e di grosse granulazioni. Non oso pronunziarmi sulla natura glandulare di queste produzioni del togumento stante la loro piccolezza. Non vanno confuse queste piccole spine colle grosse spine che esistono intorno al l'apertura anale, le quali non sono certamente di natura glandulare , essendo il corpo della spina ripieno, non cavo come le precedenti e non mettendo capo a vesciche ripiene di sostanze che possono essere sospet- tate come materiali di secrezione. Ceroplastes Rusci In questa specie la cera costituisce al di sopra dell'animale un vero rivestimento, che all’ esame minuto risulta da intreccio irregolare di fili di cera di varia grossezza. Si comprende che in questa specie, nella quale la produzione di cera è tanto rilevante, numerose debbano essere le glandule ceripare, ed infatti esse occupano uno strato profondo sotto l’ipoderma, e sono talmente stipate od ammassate che spesso nei tagli riesce difficile discernere la delimitazione di una glandula dall’ al- tra. Onde farsi un’ idea esatta di esse, bisogna ricorrere alla dissociazione ed all'esame in loto di parti del tegumento opportunamente colorate, | ndr hai CEE OO 0 salette AI TA, 3 kr —— ace .. o II I OT, CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE GLANDULE 45 A rendere più malagevole l’ osservazione si aggiunge 1’ agglome- ramento di un pigmento bruno, che inquina tutte le parti dell’ animale e rende più ovvia l’ osservazione per trasparenza. Indispensabili sono i tagli al microtomo, che non debbono essere più sottili di 3-4 p poichè nei tagli troppo sottili è difficile ottenere le glandule complete col loro dutto intiero. Come metodo di colorazione è necessario ricorrere alla colorazione delle sezioni sul vetrino coprioggetti. Le colorazioni in ,toto danno pessimi risultati, essendo estremamente difficile ottenere una colorazione egualmente diffusa in tutto 1’ animale. Le Glandule ceripare più diffuse nei Ceroplastes sono quelle chie ho raffigurato alle figure 4 e 5. Esse ricordano le glandule a bastoncini di- ritti del Dactylopius (Fig. 2) ma ne differiscono per alcune particolarità interessanti. Queste glandule occupano in quasi tutte le parti dell’ ani- male uno strato profondo sotto l’ » » Sulzer Ins. p, 1091, tab. 12, fig. 8. 779 — >» » Fabricius, Syst. Entomol. pag. 743. 1778— >» » Mooder, Act. Gothenb. 1, 19, 8. 1780 — » » Schaeffer Elem. Entomol. Tah. 48. 1781— >» » Schrank — Enum. Insect. Austriae p. 295. 1788— >» » Gmelin — Syst. Nat. 2215. mio9— > » De Villers — Linnaei Entomologia p. 558. 1791— >» » Olivier — Eneycl. Method. VI, 93. 1804 — >» » Schaeffer — Icones Insect. tab. CXI, fig. 2. 1827 -- >» » Genè — Insetti nocivi ete. p. 113, tav. IL fig012. 1884 — >» » Fonscolombe — Ann. Soc. Entomol. Fr. 3° vol. 208. 1835 — >» » Burmeister — Handb. der Entomologie pa 69. 1835 — Calymnatus hesperidum — Costa O. G. — Nuove osserv. tab. 1 he. 1837 — Calypticus lacvis — Costa 0. G. — Faun. Ins. Nap. Gallins 8-1. 1840 — Lecanium hesperidum — Blanchard, Hist. Nat. Ins. 1858 — Calypticus hesperidum — Lubbock — Proceed. of Roy. Soc., IX, 480. 1859 — » » Id, Ann. of. Nat. Hist. III, 306. 1861 — » » Beck., Trans. Mier. Soc. London, new series 47. 1867 — » » Boisduval — Entom. Hortic., 331. 1868— >» » —Targioni-Tozzetti — Catal., 37, 5. 1868 — Lecanium hesperidum — Signoret — Ann. Soc. Entom. Fr. p. 850 et 858. 1868 — » » Targioni-Tozzetti — Intr. seconda Mem. Coccin. p. 37. 1873 — » » Signoret — Ann. Soc. Entom. France. p. 399. 1880 — » » Comstock — Annual Report of the Com- miss. of Agric. Washington p. 335. 54 A. BERLESE 1881 — Lecanium hesperidiwm —Targioni-Tozzetti — Ann. di Agricolt. (R. Minist. Agr.) 1881, p. 142. 13885 — » » Comstock — Second Report of the De- part. Entomol. of the Cornell Uni- versity Experim. Station, p. 134. 1885 — » » Hubbard — Insect affecting the orange pr 49; ig I 1887 — » » Penzig — Studi Botanici sugli agrumi e sulle piante affini (Ann. Min. 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OLE NEI LORO VARII STATI, E NEGLI ORGANI LORO ESTERIORI Procedendo nell’ ordine più volentieri seguito dagli zoologi, e più conforme al progressivo sviluppo degli esseri, dal semplice al complesso, dopo aver parlato dei Dachylopius come appartenenti al gruppo dei Cocciti, cioè delle più basse cocciniglie, giacchè serbano essi carattere e natura di larva, nelle femmine, per tutta la vita di queste, descriverò nei Lecaniti, che si presentano subito dopo, dapprima il L. hesperidum di cui la femmina adulta può paragonarsi ad una prima ninfa del £. oleae, nel quale invece lo sviluppo procede maggiormente fino a toccare quasi la metamorfosi, manifesta bene negli Asterolecanium, (fra î le- caniti) e meglio nei diaspiti fra le cocciniglie. Mi è giocoforza parlare solo della serie femminile del L. hesperz- dum, poichè il maschio è ignoto, e per quanta diligenza io abbia usato alla sua ricerca, mai mi venne fatto di trovarlo. Di questo stesso sesso, poco posso dire anche nelle descrizioni del L. oleae, poichè sebbene io abbia raccolto, assieme a poche femmine mature, sopra una pianta di Cidonia, in marzo a Portici, tre prime ninfe maschili protette del loro scudo trasparente, e che per la convivenza, come per essere abbastan- za diverse da altri maschi di Lecanium a me e ad altri noti, ascrivo volentieri alla specie ZL. oleae, pure, non essendo alcuna di queste per- venuta, non solo a maturità, ma nemmeno alla seconda ninfa, le mie osservazioni hanno, cogli insetti, compiuto poca via, e per la scarsità degli esemplari non hanno potuto prendere di mira che gli organi te- gumentari e le loro secrezioni. Inutili riuscirono tutte le altre molte e minute ricerche per rinve- nire altri consimili maschi, tanto che, con mio assai grande disappunto, debbo limitarmi alle poche osservazioni suddette, e non ostante tutte le probabilità, mi manca la assoluta certezza che queste forme maschili veramente appartengano al L. o/eae, come io però amo credere. Lecanium hesperidum Larva (Tav. 6, fig. 1. 2.) — La larva è di colore giallo, rossa- stro, se di fresco nata, ma poi perde gradatamente questo colore più intenso per acquistarne uno sempre più pallido, tanto che, prossima a 56 A. BERLESE ninfa, è di un giallo molto chiaro, quasi terreo. La forma del corpo è perfettamente ovale, appena più ristretta posteriormente dopo le zampe del terzo paio, ma davanti e di dietro rotondata. La massima larghezza del corpo, cade quasi a metà di questo , cioè poco prima della inser- zione delle zampe secondo paio. Così il corpo è lungo 520 |. e largo 280, (oppure 570 p. per 310 p. o 610 p. per 330 |.) cioè circa mezzo millimetro di lunghezza, per un terzo di millimetro di larghezza. L'orlo laterale del corpo è inciso in due punti, da piccole insenature, che cor- rispondono (come si dirà in appresso ) ad un soleo che conduce agli stigmi, di modo che queste incisioni simulano una divisione del corpo stesso in tre regioni. Intanto tutto l orlo anteriore ed i laterali, portano minutissimi peli, disposti a regolari intervalli e sporgenti così dagli orli stessi, mentre in ciascuna delle incisioni surricordate, stanno piantati tre peli più lunghetti degli altri e tra questi uno maggiore di tutti sebbene sempre assai piccolo (peli stigmatici). Vista la larva dal dorso (tav. 6, fig. 2,) oltre a qualche indeciso solco transverso sulla parte anteriore del corpo, a cominciare dalle incisioni laterali del secondo paio, tra le quali un solco transverso quasi diritto è bene visibile, tutto il restante del corpo è diviso, da solchi, transversi in 8 segmenti, i quali, tolto l’ultimo, sono tutti presso a poco fra di loro eguali in larghezza, e men- tre i solchi anteriori sì mostrano quasi rettilinei, gli altri sempre più si curvano ad arco all’ innanzi, fino all’ ultimo che, più di tutti, è così piegato. Dei segmenti, così risultanti , il primo è il metatorace , gli altri sette appartengono all’ addome. Ho detto che l’ultimo segmento addominale è diversamente con- formato dagli altri, però, all’ esame superficiale, quello che io chiamai ultimo segmento, tale apparisce, mentre in realtà è il penultimo 0 prea- nale. Infatti le squame anali che ricorderemo subito, rappresentano 1)’ 8° segmento, o veramente ultimo, deformato, e così, come nei Dactylopius l'addome delle larve e di tutte le forme della serie femminile dei Le- canium, è diviso in 8 segmenti, al dorso, e l’ ano si apre nel fondo dell’ 8° arco dorsale, anche qui, come nei Dactylopius. Il segmento preanale adunque o settimo o penultimo, che dir sì voglia è molto più lungo dei precedenti, e termina all’ indietro forte- mente inciso, cosichè i due lobi in cui si divide (/obi anali) sorpassano notevolmente 1’ ultimo articolo (squame anali). L’ottavo arco dorsale è poi deformato particolarmente, poichè è * } 4 È d LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI DI diviso in due metà longitudinali da uno spacco mediano, e ciascuna di queste, articolata sul precedente segmento, è di forma presso a poco triangolare, con un lato in contatto col precedente segmento e colla punta, a questo opposta, libera e armata di due minutissimi peli, tra i quali sorge una setola, diretta all'indietro, che eguaglia in lunghezza, all’ incirca la larghezza del corpo. Sono questi pezzi le squame 0 valve anali. Presso il contorno antero-laterale del corpo e sempre sul dorso, stanno gli occhi, in numero di due, uno per lato. La superficie del dorso è piana e liscia, e tutto l’ insetto appari- sce molto depresso. Visto l’ animaletto dal ventre, (tav. 6, fig. 1.) mostra tutta la faccia ventrale, tra le zampe, impressa di solchi transversi, che però non limitano segmenti e non giungono a toccare l’ orlo laterale del corpo. Ma anche in questa faccia, un solco transverso, rettilineo, corre tra le incisioni laterali dell’ orlo, subito dopo le zampe del 2° paio, e dopo questo primo solco , altri sette consimili se ne scorgono, sempre più arcuati all’innanzi quanto più sono prossimi all’ estremità poste- riore del corpo, di modo che dividono tutta la faccia ventrale, dopo le zampe del 2° paio, in 8 segmenti, dei quali il primo appartiene al me- tatorace e porta le zampe del 3° paio, gli altri all’ addome. L'ultimo, cioè il 7° è formato dai lobi anali. Parrebbe adunque che l’ ultimo arco ventrale (8°) non esistesse, restando di questo seg- mento, solo la parte dorsale (valve anali) ma così non è, poichè questo ultimo arco, nascosto sotto il settimo, e ripiegato su se stesso, sì ve- de bene nelle sezioni longitudinali, (tav. 11, fig. 3. z.) '. Certo però questa parte non è manifesta, ed intanto i due lobi dell’ ultimo segmento rimangono, nella larva, molto discosti fra di loro, mentre nelle succes- sive forme, aumentando in lunghezza e larghezza, vengono poi, final- mente, a contatto fra di loro. Le zampe, proporzionatamente assai più sviluppate che non nello adulto, sono tutte fra di loro, presso a poco della stessa dimensione e le tre di ciascun lato, si trovano situate su una linea, equidistante dalla linea longitudinale mediana e dall’ orlo esterno del corpo e a quest’ orlo parallela. Tutte sporgono dall’ orlo stesso colla intera tibia e col tarso. L'anca è breve e tronco-conica, più larga alla base che all’ apice; : Delle ulteriori modificazioni dell’ ultimo segmento, attorno all’ apertura anale, dirò meglio a proposito del tubo digerente. 58 A. BERLESE il trocantere invece, come un tronco di cono, articolato sull’ anca per la sua parte più ristretta, è tagliato obliquamente nella sua porzione più larga, dove riceve il femore un poco rigonfiato nel mezzo ; la tibia, tronco-conica, ristretta alla base, riceve all’ apice il tarso, effettivamente conico e terminato da una robusta unghia, alla cui base nascono due digituli cioè due peli claviformi, nonchè altri peli semplici. (Vedi a tav. 2, fig. 4, la zampa I° paio). Il tarso è lungo quanto la tibia e questi due articoli presi insieme, sono assai più lunghi del femore e del tro- cantere pure insieme calcolati. All’angolo antero-laterale del corpo, molto presso all’ orlo del corpo stesso, e notevolmente discoste fra di loro, nascono /e antenne (vedi anche tav. 2, fig. 3). Questi organi affatto cilindrici, meritano più minuta descrizione , poichè variano nelle forme successive, e sono utili a riconoscere 1’ età di queste. Sono composte di sei articoli, cioè del basilare, largo e brevissimo ; del secondo più ristretto e circa tanto lungo che largo: del terzo ci- lindrico, più stretto dei precedenti e circa tre volte più lungo che largo, del quarto e quinto, circa così larghi che lunghi, e finalmente dell’ ul- timo, conico, lungo quanto i due precedenti presi insieme, e fornito di peli lunghissimi, fra i quali uno decisamente più lungo degli altri, cioè quanto metà circa della antenna medesima. Noto una traccia, più o meno sensibile, di divisione del 3° articolo, in due parti ineguali, traccia più vicina al 4° articolo che alla metà del 3°. Le dimensioni di questa forma sono : Lunghezza (media) 500 pp. Larghezza » 300 p. Antenne lunghe 150 p. Zampa del 1° paio lunga 180 p. Ninfa — Gettata la spoglia, dalla larva sorge una ninfa, la quale all’ infuori delle dimensioni, di ben poco differisce dall’ adulto. Per questo ci limiteremo a descrivere soltanto 1° antenna, diversa da quella dell’ adulto. D' altronde non ci è stato possibile riconoscere, nemmeno ap- prossimativamente, il numero delle mute da larva ad adulto. Almeno una forma intermedia, cioè questa che chiamiamo ninfa, esiste, e forse unica, ma non escludiamo che altri esuviamenti possano avvenire du- rante il periodo ninfale, cioè mentre gli organi genitali non sono an- cora perfetti e la vulva non è aperta. L'antenna, adunque, è composta di sei articoli (tav. 2, fig. 5) LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 59 meno cilindrica e più conica di quella della larva, e cogli articoli pro- porzionalmente della stessa grandezza, ma coll’ ultimo articolo affatto cilindrico, proporzionatamente più lungo di quello della larva, e prov- veduto di peli più corti. Nelle zampe (tav. 2, fig. 6) non vi ha seria differenza. Adulto (tav. 3 fig. 1, 2 e tav. 13, fig. 3, 4) — In confronto delle forme ninfali, oltre a quanto abbiamo detto, possiamo aggiungere che, ordinariamente, l’ adulto è alquanto più convesso e con tinta più bruna, macchiato più diffusamente e con maggior larghezza di punti oscuri , che non sia la ninfa; ma queste differenze sono così incostanti e così piccole che molte volte potrebbero ingannare. ‘ La forma generale del corpo dell’ adulto, non si può definire poichè è assal variabile. Concorre infatti ad alterarla dal tipo, non soltanto la asimmetria delle parti, derivante da diverso grado di sviluppo (veg- gasì infatti come le nostre fig. 1 a tav. 12, tav. 3, fig. 1, 2 etc. sieno asimmetriche) ma anche per altre ragioni dipendenti dal punto ove queste forme, fisse per molto tempo o per sempre dimorano, o da altro. Certamente però la forma regolare e perciò tipica, è quella di un perfetto ovale, circa due volte più lungo che largo, e talora ancora più allungato, giammai meno, nel quale però la massima larghezza cade alquanto dietro alle zampe del terzo paio. Il corpo, straordinariamente depresso, ha forma di squama esile, specialmente alla periferia, appena più convessa nel centro. Le modificazioni nella fabrica del corpo, passando da larva ad a- dulto si richiamano specialmente ad uno straordinario sviluppo dei lembi del corpo, tra la linea longitudinale delle zampe e l’ orlo esterno, non- chè all’innanzi nella regione cefalica, e all’ indietro nei lobi anali. Così, zampe ed antenne rimangono tutte completamente coperte e nascoste nell’ animale veduto dal dorso. Osservato da questo lato (tav. 3, fig. 1), l' animaletto mostra la sua epidermide liscia bensì, ma sparsa di poco profonde fossette, quasi depressioni, che danno aspetto di leggiera reticolazione. Inoltre sono scomparse anche le traccie delle divisioni in segmenti dell’ addome, mentre radianti dalla parte più centrale, corrono tutto all’ intorno, a raggiungere l’ orlo del corpo, numerosissime strie lineari, che però non hanno rapporto alcuno colla segmentazione. ! Ninfe ed adulti molto convessi al centro del corpo, sono così condotti dalla larva di imenottero parassita, già grande. 60 A. BERLESE x . La parte più centrale del dorso è più o meno rilevata, e non con- siderando le forme inquinate da parassiti, in cui essa è molto gibbosa, ma che subito rivelano il loro stato patologico per la mancanza, nella parte così gibbosa di macchiette di pigmento nero o per la notevole scarsezza di queste, negli individui sani, una leggiera convessità cen- trale esiste infatti, più accentuata per le femmine che partoriscono ac- compagnata quasi sempre da una poco rilevata carena longitudinale, dalla quale, come carinule radiate, partono i rialzi, che corrono ai mar- gini del corpo, come già si è detto. Tutto 1’ orlo del corpo presenta minutissimi peli, uniformemente di- stribuiti. Inoltre sugli orli laterali si notano le solite incisioni (stigma- tiche) talora straordinariamente profonde, dalle quali sorgono i tre o quattro peli stigmatici, maggiori degli altri del contorno, con uno più sviluppato fra loro. All’ innanzi, presso agli orli laterali, appena compiuto 1’ arco ce- falico anteriore, stanno gli occhi, dorsali, in forma di neri punti con una macchia bianca, lucente nel mezzo. Il colore del dorso è giallo lucido, più o meno rossastro o più o meno pallido, cosparso da una grande quantità di macchie brune, di forma variabile, ma più spesso rotondeggianti, e più agglomerate at- torno alla carena centrale e lungo le costole radianti. L' animaletto ha così un mantello, direi quasi, tigrato (vedi fig. 3, 4, tav. 13). I lobi anali, assai sviluppati e contigui fra loro coll’ orlo interno, racchiudono, all’ origine di questo, quindi molto innanzi nella faccia dorsale, le due valve anali, di colore più bruno e provvedute all’ apice soltanto di minutissimi peli in numero di due o tre, mentre sono scom- parsi, già dalla prima muta (da larva in ninfa) le due grandi setole larvali. Al ventre (tav, 3, fig. 2) il colore è giallo assai pallido, senza macchiette brune. L’epidermide del ventre è sottilissima, assar più che non quella del dorso, e facilissima a strapparsi. L’ insetto, veduto in questa sua faccia, presenta, in confronto della larva, alcune particolarità degne di nota. Infatti, appariscono subito, procedenti dalle incisioni laterali, di quà e di là, quattro linee bianche dirette verso il centro del corpo ed interrotte nella linea delle zampe. Queste fascie bianche, appartengono, come accessorii, agli organi della respirazione. Sono depositi di cera entro un solco. Da questo poi, si diramano parallelamente all’ orlo del LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 61 corpo , altri solchi, cioè uno che corre fino alla base delle antenne (fig. 2) gli altri appena dietro le anche. Nel primo solco stanno riparate la tibia e tarso delle zampe del primo paio , piegate a gomito, e dirette all’innanzi, assieme all’ an- tenna, ripiegata invece all’ indietro e totalmente compresa nel solco. Le altre zampe stanno distese è rivolte all’ indietro in una posi- zione presso a poco parallela all’ orlo laterale del corpo. Si nota una quasi evanescente segmentazione del ventre, compreso tra i lobi anali e le squame laterali del corpo. Non ostante questa posizione di quiete che ordinariamente sì os- serva, non è da credere che queste forme sieno immobili continuamente, che anzi, richiedendolo il caso, provvedono a se camminando, per quanto con grande lentezza, come avviene se 1’ umore della pianta loro venga meno nel punto dove succhiano o se altra necessità le tenti. Ma da questo stato, ormai bene sessuato, con embrioni nel ventre, e coll’ apertura per metterli alla luce, allo stato di femmina che par- torisce, ulterioriori modificazioni avvengono. Femmina che genera (tav. 4, fig. 1) — Le modificazioni dì cui sopra, dipendono dal fatto che gli embrioni debbono soggiornare alcun tempo riparati dalla madre, prima di poter usare delle membra per provvedere al proprio accrescimento. In tal modo il corpo della madre si modifica abbastanza per rispondere a questa specie di covatura. La femmina che partorisce, si distingue adunque da quella ma- tura si, ma non ancora madre, per la disposizione speciale degli archi ventrali addominali. Già il Signoret riconobbe nel ventre di queste femmine un punto secco e bruno, e diffatto, a partire dalla vulva, una macchia rosso bruna, sempre più si diffonde sugli archi ventrali, che contemporaneamente si ritirano più profondi nel ventre, sicchè tutti bruni e molto depressi in confronto del torace e dei lobi circostanti, costituiscono come una fossa la quale viene a formare la volta del nido che accoglie gli embrioni e le giovani larve e le ripara. Anche il dorso, nella sua parte centrale , si fa in corrispondenza più convesso. Ma il torace non si deprime e il rostro, le antenne e le zampe si mantengono tutte nello stesso piano degli orli del corpo, così che con tutto il resto della faccia ventrale, l’ insetto è sempre a contatto del piano su cui posa. Ma le antenne, le zampe e tutto il resto del corpo rimangono inal- 62 A. BERLESE terati quali sono nella forma precedente, e le modificazioni si effettuano senza esuviamento di sorta. Così fatte femmine possono muoversi pure da un luogo all’ altro, per quanto tardamente e con pigrizia. Sicchè questa facoltà di locomo- zione, come quella del senso, rimane vivace nel L. Hesperidum per tutta la sua esistenza, anche negli ultimi momenti di questa. Le antenne, nelle femmine mature, generanti o no, (tav. 2, fig. 7) sì compongono di 7 articoli distinti, e sono leggermente coniche. Il basilare è largo più di tutti gli articoli e più largo che lungo ; il secondo segmento, cilindrico, quasi così lungo quanto largo; i due successivi pure cilindrici e circa il doppio o due volte e mezza più lunghi che larghi; il 5° ed il 6°, egualmente cilindrici, più stretti però dei precedenti e appena più lunghi che larghi; finalmente 1’ ultimo, de- bolmente conico, lungo quanto i due precedenti presi insieme e con se- tole lunghette specialmente all’ apice. Le zampe (tav. 2, fig. 8 zampa del primo paio) tranne le dimen- sioni, non differiscono troppo da quelle della larva. Dimensioni Lunghezza cirea . . 3,800 p. Larghezza .» =... 2,700 |. Antenne lunga, ©. 0 25041. Zampa 1° paio lunga 280 pu. Lecanium oleae Larva (tav. 2, fig. 1, 2.) — Bene dice il Penzig, che non vi hanno caratteri atti a distinguere la larva del L. oleae da quella della specie precedentemente descritta. Tranne infatti una impercettibile differenza nelle antenne, (tav. 2, fig. 9) che sono più corte e più grossette di quelle della larva del L. hesperidiwun, ed hanno più breve il 3 articolo che è appena due volte più lungo che largo; ed una ancor più delicata diversità nelle zampe (tav. 4, fig. 2, zampa del 1° paio) che appariscono appena più robuste e più corte di quelle della larva appartenente alla specie prima de- scritta, nessun’ altra differenza ho potuto notare tra le due larve. Perciò non descrivo questo insettuccio e rimando il lettore a quanto ho detto a proposito della larva del L. Resperidum. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 63 Dimensioni (di una larva tolta di sotto il guscio materno) lun- ghezza 430 p — larghezza 250 p — antenna lunga 140 p. Serie femminile 1° ninfa — Appena gettata la spoglia larvale, la forma nuova che noi chiamiamo con poca proprietà 1% ninfa, e dirò poi il perchè di questo, poco più grande della larva, ma assai più pallida, ha perduto le setole lunghe delle valve anali, e presenta un’ antenna di 160 w di lunghezza, divisa però in 6 articoli, ma non più così bene cilindrica come quella della larva, anzi leggermente conica, senza il lungo pelo terminale e col 3° articolo quasi tre volte più lungo che largo. (Tav. 2, fig. 10). Subito in questa forma, comincia ad apparire sul dorso una carena longitudinale abbastanza alta, intersecata da due altre carene trasverse più deboli, e tutto il dorso apparisce scabro per frammenti di lacca segregata dalle ghiandole laccipare. Il corpo è più larghetto ed i lobi anali più ampi e lunghi che non sieno nella larva. 2° ninfa — Giunta a circa un millimetro di lunghezza, la prima ninfa muta nuovamente la pelle, e ne viene una forma, con antenne di 6 articoli, lunghe 220 | (tav. 2, fig. 11) in cui però, l'articolo 3° è almeno 4 volte più lungo che largo e presenta traccia di una di- visione nel mezzo, quasi in due articoli, e difatti, talora, in alcuni individui, la divisione è effettiva, come vedesi nella fig. 12, tav. 2, cosicchè, in questo caso, gli articoli sono realmente 7, ed il 3° è ap- pena il doppio più lungo che largo. L’ antenna disegnata (tav. 2) al n. 11, appartiene ad una ninfa di 1150 pw di lunghezza, e quella al n 12, ad una di 1400 p. i Certo è che il corpo sì presenta notevolmente allargato, e quasi rotondo, e nel dorso, la carena mediana longitudinale è molto rilevata, nonchè le due transverse. Il colore generale è terreo, pallido, con mac- chie brune o violacee, mal definite ed incostanti, e tutto il dorso molto scabro ed accidentato, è coperto di lacca, in crosta intera (tav. 4 fig. 5) oppure in frammenti. Però, tranne per ciò che riguarda le dimensioni, la forma delle antenne e la struttura della epidermide dorsale, questa ninfa nel resto somiglia in tutto ad una femmina adulta, che non ha ancor partorito e abbastanza lontana da questa funzione. 64 A. BERLESE Femmina adulta (tav. 3, fig. 3) (non madre) — Si riconosce subito alle dimensioni e al colore; per le prime sì distingue dalle ninfe; per le seconde dall’ adulto che partorisce. Per le dimensioni, l’ indivi- duo da noi designato è lungo 2150 p e largo 1800 p cioè quasi tanto largo che lungo, quanto al colore esso è terreo pallido, sporcato di bruno. Non tenuto calcolo della poca simmetria delle parti del corpo, comune agli insetti avanzati, del sesso femminile, in questo genere, si può osservare che il dorso è molto convesso, e presenta vigorosamente rilevate le caratteristiche carene longitudinale e transverse. La prima, occupa quasi tutta la linea mediana longitudinale in mezzo al dorso, e delle seconde, anche più alte della mediana, la prima cade poco più su della incisione stigmatica anteriore, come la seconda alquanto al di sotto di quella posteriore. I tagli longitudinali, sia mediani, o meglio ancora di piano alla linea mediana, presentano al lato del dorso, 1’ epidermide così rilevata in due alte gobbe rotondeggianti (vedi tav. 7, figura 3, taglio me- diano). - Ma però la faccia dorsale non è certamente così convessa come nella femmina ovipara. Inoltre, raggianti dal centro, specialmente nella porzione anteriore e posteriore del corpo, tra le carene transverse e 1’ orlo del corpo, par- tono altre minori carene, che toccano l’ orlo suddetto. Tutta la epidermide è molto aspra e ruvida, non solo per gli av- vallamenti e rialzi propri, ma anche per le incrostrazioni di lacca molto abbondanti. Rosso brune, lisce e molto appariscenti, sporgono abbastanza in- nanzi sul dorso le squame anali, con cortissimi peli all’ apice. Le in- cisioni stigmatiche degli orli, sono poco manifeste, o quasi nulle. Al ventre, questa forma assai pallida, quasi bianca, sì mostra più o meno concava, a seconda della sua età più o meno avanzata. Se però la deposizione delle uova non è cominciata, la concavità è sem- pre modesta, nè il rostro è prolungato fuori del consueto. Oltre ai solchi stigmatici occupati dalla cera, e quindi subito vi- sibili come nastri bianchi radianti dalla linea longitudinale all’ orlo del corpo, altri solchi vi sono lungo l’ inserzione delle zampe, che limitano così uno spazio mediano, quasi ovale, nel quale più internamente si racchiudono tutti gli organi dell’ insetto, cioè sistema nervoso, geni- tale e digerente, mentre tutto attorno, il corpo squamiforme, con epider- LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 65 mide al ventre molle ma gibbosa, rugosa, variamente accidentata, co- stituisce una cintura elevata cogli orli liberi a contatto col piano di adesione. Antenne e zampe si vedono ripiegate e riparate come nel L. he- speridum, e molto bene evidente è la suddivisione in segmenti dello addome e del torace. L' antenna, lunga circa 330 p, è composta decisamente di 8 di- stinti articoli, dei quali, tolti il basilare ed il secondo, tutti gli altri fino al penultimo vanno gradatamente decrescendo di lunghezza e di grossezza, mentre l’ultimo è conico, lungo quanto i due precedenti presi insieme e ornato di peli lunghetti. Questa forma, sebbene con grande fatica e pigrizia, pure può loco- muoversi semprechè non sia troppo prossima la deposizione delle uova. Femmina madre (tav. 3, fig. 4) — Le alterazioni che subisce la femmina quando compie l’ ufficio di riproduzione, sono assai note- voli in questa specie come negli altri Lecanium del gruppo, di cui è tipo. Infatti, appressandosi il momento in cui le uova mature debbono uscire allo esterno, la femmina sì fissa immobilmente a una parte della pianta che generalmente è un ramo o fusto ad epidermide viva. Gli orli del corpo restano aderenti, alla pianta stessa, probabilmente coll’ aiuto della lacca che essi segregano. La escrezione di questa so- stanza, si rende a poco a poco meno attiva, dalle ghiandole del dorso, mentre sì mantiene vivace quella della chitina. Intanto però, il corpo aumenta di volume, poichè si stendono le numerose pliche del dorso, e le carene, e così questa superficie più am- pia, di necessità deve riuscire rigonfia, non correndo il suo accresci- mento così lento come quello dei margini del corpo. Difatti negli individui grossi ed alti che hanno ormai partorito 0 partoriscono, le carene del dorso sono meno elevate che non nelle fem- mine mature non ancora madri. Però le carene si mantengono sempre bene manifeste ed alte. Le deformazioni e la simmetria del corpo divengono più che mai sen- sibili, sia per gli impedimenti allo sviluppo di parti sue o per altra cagione. L'epidermide del dorso si mostra molto rugosa per gli invumere- voli pertugi delle ghiandole laccipare, ma forse più liscia e più lucente che non nella femmina che non partorisce. Inoltre la lacca si deposita nel dorso in forma di minute piastrelle bianche, irregolarmente discoidali, al cui centro corrisponde lo sbocco di 5) 66 A. BERLESE una ghiandola, ma non si forma più una crosta continua su tutto il dorso come nei più giovani. Anche il colore muta notevolmente e diventa rosso bruno, molto intenso. Rimangono però bene palesi, se non al colorito, al loro rilievo, le squame anali collocate sul dorso. Dal lato ventrale le modificazioni sono anche più profonde. Tutta l'epidermide del ventre si deprime notevolmente e tende ad addossarsi a quella superiore. Solo il rostro sì mantiene fisso a contatto della pianta, di modo che, procedendo la deposizione delle uova e alzandosi semprepiù 1’ e- pidermide ventrale, il rostro per mantenersi a contatto colla pianta tira e stende la pelle attorno di se, in modo che nelle femmine che hanno ormai compiuta la deposizione delle uova, si scorge elevata dal mezzo della faccia ventrale, però più accosto all’ orlo anteriore, una singolare appendice claviforme (fig. 4, tav. 5, @) alla cui estremità, in una fossetta, sì adagia il clipeo ed il succhiatoio. * È facile vedere questo asportando le uova o le larve *. Si nota così che le femmine stesse sì mantengono assai tempo vive anche dopo deposte le uova, ed i loro ovarii continuano, attorno agli ovidotti, a pro- durre sterminata quantità di gemme che però poco procedono oltre nel loro sviluppo e non maturano. Disseccata, per morte, la femmina, que- sto prolungamento che porta il rostro, si ritrae alquanto, ma sempre però in parte si mantiene. Intanto le zampe, totalmente inutili perchè assai discoste dal piano, rimangono celate e distese in fossette dipen- denti dai solchi già menzionati, e così pure le antenne che retrocedono, colla perdita del loro ufficio, nello sviluppo, diventano di sei segmenti, e st accorciano. Questa diminuzione degli articoli delle antenne stupisce, a prima vista, ma subito sì spiega senza ricorrere a esuviamenti. Ho già detto nei Dactylopius e posso ripetere qui, che gli articoli delle antenne, dal terzo in poi, non hanno muscoli propri, sicchè le loro 1 Questo fatto spiega la deformazione delle Karteria, Gascardia, ect., entro l'involucro protettore. Evidentemente corrispondono esse a questi Lecanium, ma i lem- bi del corpo, anzichè ripiegarsi all’ ingiù, si sollevano in alto. Rimane fisso il rostro alla pianta, e tutta l'epidermide ventrale (come lo indicano i solchi stigmatici colla loro cera) viene così estesa, come una fascia tronco conica attorno al rostro. La parte superiore cupuliforme appartiene quasi totalmente allo scudo dorsale. ? Ciò si ottiene facilmente e rapidamente con un energico soffio sull’ insetto ar- rovesciato e trattenuto fra le dita. Le uova si disperdono tutte, e rimane nuda af- fatto la pelle del ventre. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 67 articolazioni dipendono da minore attività delle cellule chitinogene nei punti dove apparentemente v'è articolazione. Questa chitinizzazione diventa irregolare e più attiva nell’ antenna della femmina che partorisce, di guisa che riescono obbliterati anche ì primitivi punti di separazione fra alcuni articoli e così il terzo (tav. 2, fig. 14) riesce così lungo per la fusione assieme del 3° e 4° primi- tivi, e l’ estremo, rappresenta il penultimo e l’ ultimo assieme saldati. Ancora sì nota, nella pelle del ventre, 1’ imbrunimento totale della stessa che acquista una tinta violaceo-nerastra uniforme. Questa tinta dipende dalla apparsa abbondante, nel tempo che le uova vengono deposte, di sostanza colorante analoga a quelle così co- mune nelle cocciniglie, entro le cellule dell’ ipoderma. Non è facile, e non si è ancora potuto dire di dove proceda questa sostanza così ab- bondante in altre specie, ma certo si è che in questi Lecanzei, la sostanza colorante apparisce gagliardamente solo colla deposizione delle uova, ed imbeve tutto il tessuto ipodermico non solo, ma i muscoli e persino le uova; rimanendone escluso il tubo digerente. Il colore di questa sostanza è violaceo bruno, tendente al carmino. ma in contatto di liquidi debolmente alcalini, riesce di un bellissimo co- lore violetto, mentre cogli acidi acquista una tinta assai prossima al car- mino stesso. E però pochissima la sostanza colorante in questa specie e certo non si potrebbe, per la sua scarsità, utilizzare in alcun modo. Le dimensioni delle femmine ovificanti sono variabilissime; alcune più modeste: non giungono ai tre millimetri di lunghezza * altre su- perano perfino ì cinque: l’ antenna sì riduce a 320 p. di lunghezza. Confronto fra il Lecanium hesperidum ed il L. oleae - Mi sembra interessante questo confronto, tanto più che le due specie di cui mi occupo, rappresentano ciascuna un tipo speciale di Lecarzn e questi due tipi, sono così discosti fra loro, che racchiudono tutta la serie degli altri gruppi in cui il genere può essere suddiviso. ! Questa minore statura, dipende a parer nostro dal parassitismo dello sporozoo che esiste così comune nel L. oleae, il quale senza uccidere questo, ne impedisce però l'accrescimento e gli individui così inquinati rimangono nani e stenti, ma però com- piono, con minore attività e larghezza anche le loro funzioni riproduttive. Nel L. hesperidum lo sporozoo in discorso, è più gravemente dannoso, perchè isterilisce, se non uccide gli individui, ma in questa specie è meno frequente. Già le larve di am- bedue le specie, allo stato di embrione, sono inquinate di spore. (58 A. BERLESE Per noi rappresentano, l’ uno la forma la più discosta, durante la sua vita, da metamorfosi, l'altra la più vicina alla trasformazione in pupa. Ho parlato, tanto nei Dactylopius che qui, di ninfa femminile. Evidentemente però la parola è assai male appropriata, poichè sia nei Cocciti, che nei Lecaniti, nei progallinsetti insomma di Reamur, la femmina si mantiene sempre allo stato di vera larva, mentre il ma- schio gode di tutte le trasformazioni. Mi giustifico, di questa denominazione, ricordando che gli autori tutti parlano, per le femmine, come per i maschi, di una larva e di una femmina, cosicchè ho chiamato adulto, con altri, quest’ ultima, quando gode degli organi sessuali bene sviluppati, e ho denominato ninfa, in omaggio alla chiarezza, quale si sia lo strappo a considera- + zioni di ordine più elevato, la forma o le forme intermedie non sessuate. Poichè certamente la femmina, nelle sue mute, sì comporta esatta- mente come un insetto a sviluppo completo, mentre la larva è difforme, ordinariamente, dall’ adulto, la forma o le forme intermedie portano or- gani sessuali rudimentali e solo la forma definitiva è bene sessuata. Ciò premesso, trascurando alcune idee che qui cadrebbero in ac- concio, se cioè le cocciniglie sieno forme a metamorfosi completa od incompleta, sul quale argomento assai bene parla il Targioni ' mentre a me sembra che sieno 1’ uno e l' altro (poichè le ninfe maschili di Dactylopius sì muovono e si locomuovono, e quelle specialmente dei diaspiti sono immobili), mi è giocoforza riconoscere che le due specie di Lecanium qui descritte, come già dissi, segnano due differenti gradi di sviluppo a cui giungono Ie femmine nella loro vita. Abbiamo avvertito per il L. o/eae le seguenti forme della serie femminile: 1. larva; 2. prima ninfa (derma del dorso non ceribriforme, antenne di 6 ar- ticoli) -- mobile; 8. seconda ninfa (derma del dorso non cribriforme, antenne 7 ar- ticoli) — mobile; 4. Femmina matura (non generante) (derma del dorso cribrato ed 8 articoli nelle antenne) — mobile; 5. Femmina ovifica (derma del dorso cribriforme, 6 articoli nelle antenne) — fissa. Studi sulle Cocciniglie, p. 70 e seg. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 69 Per il L. hesperidum invece: fiMarva: 2. ninfa (derma del dorso non ceribriforme, antenne di 6 articoli) — mobile; 3. Femmina non partoriente (derma del dorso non ceribriforme, an- tenne di 7 articoli) — mobile; 4. Femmina vivipara (derma del dorso non cribrato, antenne di 7 articoli) — mobile. Da questi prospetti apparisce evidente che la femmina sessuata di questa ultima specie corrisponde per i suoi caratteri al 3° stato del L. oleae cioè alla seconda ninfa. Così è anche data ragione di questa posizione, delle cocciniglie che descrissi o descriverò come agrumicole, nell’ ordine che procede dalle forme meno evolute nella serie femminile, alle più avanzate durante il loro sviluppo nella metamorfosi. Cioè: 1. Femmina sempre larveforme per tutta la vita: Dactylopius-Lecanium hesperidum. 2. Femmine a paramorfosi incoata: * Lecanium oleae-Ceroplastes rusci. 5. Femmina pupiforme nel suo ultimo periodo di vita. Mytilaspis fulva — Aspidiotus limonii — Parlatoria zizyphi. Serie maschile (L. oleae) Descriverò brevemente la ninfa della prima forma maschile, men- tre non dubito che la larva non sia identica in ambedue i sessi. Ho già detto che non mi fu possibile rinvenire, di questa serie, altro che la forma la quale presentemente descrivo, e questa stava sotto il suo guscio di lacca, del quale parlerò in appresso. Il corpo è molto allungato (fig. 5, tav. II), a margini laterali fra di loro pressochè paralleli, e anteriormente o posteriormente ro- tondato. La massima larghezza del corpo può essere compresa circa quat- tro volte nella lunghezza. Lungo i margini laterali si aotano, di quà e di là , due incisure abbastanze profonde, le quali corrispondono ai solchi stigmatici che poi conducono negli stigmi. 1 Secondo utile espressione del Targioni. 70 A. BERLESE Posteriormente il corpo è, al solito, come nelle femmine diviso in due lati rotondeggianti, tra i quali sono comprese squame anali. Ma tutto 1’ orlo del corpo, è provveduto ed ornato di minuti peli retti, che, con molta uniformità, sono disposti a regolare distanza fra di loro, e molto più spessi di quei pochi che ornano invece il contorno del corpo delle femmine. Il dorso è piano, o quasi piano, con solchi male distinti, sia tran- sversi che longitudinali. Rovesciato l’ insetto sul ventre, sì vede bene il rostro, di fabrica affatto simile a quello delle femmine. Anche le zampe (tav. III, fig. 7 zampa del 1° paio) sono con- formate come quelle delle corrispondenti femmine. Le antenne, (fig. 6, tav. III) lunghette e cilindriche , sono com poste di sette articoli, di cui i due primi larghi e corti, il terzo più lungo di tutti, e 1’ ultimo quasi ovale, con molte setole all’ apice. Il colore di queste ninfe è giallo rossastro, uniforme, senza macchie. I epidermide è liscia e non areolata come quella delle femmine, ma anzi nitidissima. Dimensioni: Lunghezza dell’ insetto 2,650 mill. Larghezza » 1,050.» Antenna lunga 240 |. Zampa (1° paio) lunga 260 w. 8 | Da questa ninfa sorge, per metamorfosi, una seconda ninfa tutto affatto diversa dalla precedente e coi rudimenti delle ali e il capo, il torace , 1’ addome meglio definiti. Finalmente da questa, per esuvia- mento procede 1’ adulto, coi caratteri ricordati a proposito del genere, trai quali notevole la presenza di lungo stiletto addominale. Già il Reamur vide descrisse e delineò assai bene le ninfe seconde ed i maschi del L. persicae, e a quello che questo autore ne disse, non- chè altri meno antichi o recenti, per altre specie di Lecaneor, riman- diamo il lettore per una più ampia conoscenza dei maschi di queste forme, mentre a not fu negata la fortuna di ottenere quelle del L. olceac e L. hesperidum. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 71 CAPITOLO II. Vsservazioni anatomiche Tegumenti e secrezioni tegumentari Le due specie che qui si studiano, oltrechè per altri caratteri im- portantissimi, differiscono fra loro ancora per ciò che sì riferisce al te- gumerto. Anche nello studio di questo si rileva il grado meno elevato di eveluzione, nel quale si arresta il Lecanium hesperidum, mentre il L. olae molto più procede, complicando il tegumento suo di pari passo alla modificazione di altri organi. Certamente il L. hesperidum, corrisponde, anche nella struttura degli invoucri tegumentari, alla larva e ai primi momenti della ninfa del L. ileae ed a questo punto sì arresta. Nel Lecanium oleae, ecco come procede la formazione di quella dura crota che al dorso tutta ricopre la femmina ormai matura e in via di leporre le uova. La larva nasce con tegumento molto molle, cioè molto esile, tanto al «orso che al ventre. Ma tosto si raggrinza la epidermide del dorso, danlo origine, oltre a strie trasversali in corrispondenza coi segmenti in ui il corpo è diviso, ancora ad un rilievo carinuliforme mediano. Queta disposizione sì conserva poi per gli stati successivi. Ma dopo una prima muta, mentre già il corpo ha acquistato forma più otonda, ed ha perduto i caratteri larvali, per assumere quello dello adulo, almeno in parte comincia lo ispessimento della epidermide per depoizione di chitina da parte delle ghiandole dell’ ipoderma. (Vedi per le figre relative al tegumento, la tav. V). ‘ueste costituiscono uno strato continuo ed uniforme, e sono dis- poste n un tessuto a pavimento, come apparisce se esaminato di faccia (fig. %. Nel Lecanium hesperidum le cellule chitinogene (fig. 2 a) sono più apiattite e più piccole che non nel L. o/eae (il loro spessore è di 7 |. cca) e mentre di faccia appaiono poligonali o rotondato-poligo- nali, (g. 1, è, di fianco fig. 2), nelle sezioni si mostrano presso a poco retangolari. Ne L. o/eae, in quella vece, queste cellule sono molto più alte (19 p) (fig. 6, A\e quasi bursiformi, certo più strette alla estremità in con- 72 A. BERLESE tatto collo strato chitinoso , che a quella libera, dove appaiono più o rotondate. Più attivo adunque, a giudicare dalle dimensioni delle cellule, è lo strato ipodermico chitinogeno del L. oleae in confronto di quello del L. hesperidum, e il giudizio è confermato dal fatto dello spessore molto maggiore della epidermide nel L. oleae che non nel L. hesperidum. Ma, allo stato di larva, e nei primi momenti della ninfa, anche il L. oleae è riparato, al dorso, da debole strato chitinico, e in questo le due specie concorrono, salvo che le ninfe giovani di L. oleae \‘embrano a prima giunta più aspre e più resistenti del L. hesperidum, mà questo, forse, non tanto per lo spessore della chitina, quanto per maggiw copia delle secrezioni dermiche, o per le ruvidezze e scabrosità dipenderti dalle varie pliche a cui la pelle, già di buon ora, si provvede, ciò e nel L. hesperidum non è mai o in grado tenuissimo. Bentosto però, le cellule chitinogene, nel L. o/eae con enerria di gran lunga maggiore che non nel L. lesperidum, entrano in um fase di notevole attività, ed il loro prodotto ispessisce siffattamente li epi- dermide, che questa, negli adulti del L. o/eae, raggiunge ì 40 p. digros- sezza, mentre nel L. lResperidum, giunge e si mantiene sempre, amala pena, a 16 p. di spessore. Non solo in questo differisce lo stratc inte- gumentale del dorso nelle due specie ; vi ha altro ancora, più appa- riscente. L'esame dello strato epidermico del dorso di un Lecanium trat- tato debitamente colle soluzioni alcaline a caldo, od altrimenti, \er to- gliere di mezzo altri tessuti che impediscano la chiara visione, mostra tutta la pelle perforata da minuti pertugi, perfettamente rotond e dis- seminati sulla pelle uniformemente. Questi pertugi, radi abbastanza nel L. hesperidum, sono, i quella vece, molto più densamente disposti nel L. oleae (fig. 5, 0). Intanto, questi e quelli, come aperture di un condotto cindrico , mettono in una cellula o meglio ghiandola unicellulare , poco più vo- luminosa di quelle chitinogene , tra queste compresa e da loco mala. mente distinta, o che non si distinguerebbe, se il dutto e l’ {ficio non indicassero differente la natura e lo scopo, (fig. 2 b; fig. 6 ). La deposizione della chitina, da studiarsi nel L. oleae, gacchè nel L. hesperidum è così tarda e mediocre, comincia in quella fecie, dap- primo parcamente e eade fra gli sbocchi delle ghiandole, sr ora de- scritte, così modestamente, che gli sbocchi stessi liberamene stanno e con molta comodità in un vano ampio. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 73 Ma questo, colla maggiore attività delle cellule chitinogene, dimi- nuisce sempre più, talchè, alla fine, il condotto delle ghiandole tocca la circostante chitina, ed in questa più strettamente è racchiuso, fino alla ghiandola uicellulare da lui dipende. Ne viene così, che, in una sezione di epidermide e derma appar- tenenti al dorso di un L. oleae già maturo (fig. 6), si vede lo strato chitinoso molto spesso, perforato tutto da vani piriformi, cioè più larghi presso la superficie libera e più ristretti verso l’ interno del corpo, nei quali vani, per gran tratto liberamente e non premuto sta il dutto delle ghiandole. Ho detto per gran tratto, poichè alla parte più superficiale, il pri- mo e più vecchio strato chitinoso, che la ninfa porta con se dallo in- voluero della larva, è sottile bensì, ma pertugiato da fori non più larghi del lume del condotto ghiandolare, dal che viene quella particolare fi- gura dei vani nella chitina, per comodo dei condotti ghiandolari, che vediamo nelle sezioni longitudinali o trasverse dell’ epidermide, come si nota nella fig. 6. Ecco che il confronto delle due figure 6 e 2 cioè della sezione dell’ epidermide delle due specie, dimostra chiaramente che quella del L. hesperidum (fig. 2), si è arrestata nello sviluppo della chitina, ad uno stadio tutto affatto iniziale per il L. o/eae, così chè i vani la- sciati dalla chitina stessa ai condotti escretori delle ghiandole, sono tali, che i condotti stessi vi capiscono a mala pena e la chitina è loro con- tinuamente a contatto 0 quasi. In forza di questa disposizione, la pelle del dorso di un £L. oleae maturo o prossimo alla maturità, apparisce, se esaminata di faccia, co- me perforata da larghe areole pellucide, tra le quali, più o meno den- samente, si dispone poi la chitina, (fig. 7). (rià il Targioni ed il Signoret avevano notata questa disposizione, il primo * negando gli sbocchi alle ghiandole, nonchè prodotto alcuno; ed attribuendo siffatta struttura alla coalizione dello strato chitinoso coll’ ipoderma; il secondo, più brevemente chiamando la cute areolata di cellule ovali in alcune specie del genere Lecanium. Perciò la vera natura di questa struttura sembra sia finora sfuggita agli osservatori, nonchè, ciò che più monta, la secrezione particolare offerta da queste ghiandole, secrezione di cui diremo in seguito e della quale apparirà fa- cilmente l' importanza nella vita dell’ insetto, e spiegherà 1’ origine della lacca ed altri consimili prodotti. ! Tarcioni-TozzettI A. studi sulle cocciniglie, pag. 29, 00, tav. 2 fig. 51, 32. 74 i A. BERLESE Ma l'esame della cute dorsale nel L. oleae, immaturo o matu- ro, specialmente se bene rischiarata da bollitura nelle soluzioni alcaline concentrate o nell’ acido acetico, dimostra ancora la presenza di altri organi speciali, con ufficio diverso da quello delle ghiandole preceden- temente descritte. Poco al disopra delle valve anali, in mezzo a numerosi sbocchi delle ghiandole laccipare, sopra descritte, si vedono altri dischetti gial- lastri, perfettamente rotondi e con contorno spessetto, disseminati senza ordine, tra gli sbocchi delle ghiandole laccipare e di questi meno nu- merosi ma di assai maggiori. Come appaiono nel loro complesso, a pic- colo ingrandimento, lo dimostra la fig. 4 mentre la fig. 5 mostra una porzione della stessa epidermide, meglio ingrandita (« sono i detti dischi: b gli sbocchi delle ghiandole laccipare; #m le valve anali; p un pelo). L'esame di una sezione longitudinale della epidermide e del der- ma, dà poi ragione di questi dischi, i quali si vede essere il contorno, di faccia, di organi cupuliformi ed emisferici (fig. 6 f. f) chitinosi e perfettamente chiusi, infossati nella superficie dell’ epidermide o da questa in parte abbracciati, e in corrispondenza di un dutto, strettamente av- volto dalla circostante chitina, e finalmente in rapporto con una ghian- dola unicellulare (e, e, e fig. 6) più voluminosa delle circostanti ipo- dermiche e delle laccipare. Ghiandole dunque sono queste, che recano il loro prodotto alla su- perficie. Ma per essere esse totalmente e ben chiuse all’ apice di escrezione, bisogna ritenere, senz’ altro, che producano cera, della cui forma nulla posso dire, non avendola mai veduta. Qualche volta, gli sbocchi di que- ste ghiandole, si confondono con quelli delle laccipare, e nel vano la- sciato dalla chitina, speciale a queste ultime, il loro condotto libera- mente si incammina. Siffatti organi, solo al dorso, poco sopra le squa- me anali, ho veduto, nè mai altrove. Ma la cera è prodotta ancora altrove, e specialmente nei solchi stig- matici, di cui dirò in appresso, ed ha quivi ufficio importantissimo, quello, cioè, di riempire i solchi stessi, provvedendo all’ aria che sì reca agli stig- mi un conveniente filtro, ed impedendo (almeno in altri Lecaniti) che altre escrezioni della epidermide, troppo abbondanti, riempiano anche ì solchi stigmatici, con pericolo, in questo caso, di asfissia per l' insetto. Ma di ciò più lungamente dirò altrove. Per ora avverto che in tutto il solco stigmatico, dallo stigma ai peli del margine, hannovi sbocchi di ghiandole ciripare, e queste sì rag- LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI FAT colgono attorno allo stigma in maggior numero. (Così vedesi nella fig. 8, dove « a sono gli sbocchi delle ghiandole). Queste ghiandole però, uni- cellulari o pluricellulari, (fig. 3) recando il loro prodotto attraverso una epidermide molto esile, quale è quella del ventre delle cocciniglie che ora qui si studiano, hanno condotto brevissimo o quasi nullo, e corrispon- dono così, per la forma, a pere senza picciuolo,, mentre nel punto ove questo si inserirebbe al frutto, per continuare il paragone, sta lo sbocco (fig. 3 b). Gli sbocchi stessi, così detti impropriamente perchè apertura non vi ha, presentano forma circolare e sono molto minuti. Nel L. oleae (fig. 8 « a) raggiungono, a mala pena, i 3 a 5 p. di diametro, nè mag- giori sono nel L. hesperidum. Altrove ancora consimili gliandolette, con sbocchi analoghi ed iden- tico ufficio, stanno situate, nelle femmine adulte del L. Resperidum, e con dubbio nel L. oleae, cioè attorno alla vulva e lungo 1’ orlo interno dei lobi anali (tav. VI, fig. 3, 4), precisamente nel punto in cui questj sono, alla loro base, discosti tra loro, per formare un vano corrispondente alle valve anali, che, tra i lobi stessi, alla lor base, quasi cuneo sì im- mettono. Ora queste ghiandolette secernono cera, e la cera, espulsa di quà come glomeruli senza forma propria, prepara, nel L. lhesperidum un morbido letto, sul quale le neonate larvette, ancora immobili, stanno po- sate come in un nido. Consimile aspetto ha la cera dei solchi stigmatici. Anche i peli piantati nella incisura stigmatica dell’ orlo del corpo, sì coprono di cera in strato più o meno grosso. Di questi peli, se ne ossesvano alcuni (fig. 8, p°, p° tav. V) in numero di due o tre, di dimensioni minori, conici, terminati in punta e totalmente chiusi alla loro estremità libera, ed uno maggiore, (fig. 8 p) tra questi sta piantato, per quanto di forma e stuttura analoga ai pre- cedenti. Questo è quasi sempre, in modo più appariscente degli altri due, incrostato di cera e perciò apparisce molto grosso, e scabroso, men- tre in contatto coi solventi della cera stessa molto sollecitamente espone a nudo la sua vera figura. I peli che ora ho descritto, come gli altri sparsi con ordine sul contorno del corpo (fig. 8, p” p'”) ma più esili ed acuti, sono tutti trat- tenuti alla loro base, da una specie di coppa chitinosa, piantata su un dischetto della stessa materia, abbastanza densa per essere bruna. Se poi questi peli, od almeno quelli, alla incisura stigmatica cor- rispondano ad una ghiandola ciripara, non è facile assicurare, poichè sarebbe d' uopo riconoscere la natura della cellula che sta sotto a cia- 76 A. BERLESE scun pelo, per rilevare se segreghi cera o se limiti il suo ufficio alla nutrizione del pelo. Certo è che i peli alla incisura stigmatica sono co- perti di cera, con dubbio se raccolgano sostanza dalle cellule ciripare circostanti o la traggano entro il loro lume, per portarla al di fuori, da cellula propria. Nelle femmine inoltre, in tutte le età, e nei maschi nello stadio di larva e persino di ninfa, altre ghiandole ciripare esistono, attorno all’ ori- fizio anale. L'apertura anale cade tra due mezzi dischi chitinosi , nel fondo dell’ organo protrattile di cui si parlerà a proposito del tubo di- gerente, da cui esso dipende. A questi dischi (fig. 10 @), stanno uniti otto peli (fig. 10, 4), raccolti nel vano dell’ organo protrattile, allo stato di riposo, e che sporgono sull’ apice di questo, quando sia eserto , e a guisa dei petali di un fiore, ciascuno coi vicini suoi sporge al di fuori e allo esterno. Questi sono abbondantemente ricoperti di cera, che li rende grossi e scabri. Ordinariamente si riuniscono, a due a due, assieme, nella stessa guaina cerosa. Ora questa cera deriva da ghiandole pluricellulari (fig. 9, @) che circondano il retto, nel punto ove questo si inserisce ai mezzi dischi chitinosi che circondano |’ apertura anale. Di questi sì è già detto nella descrizione delle parti esterne degli insetti, nè giova ripetere qui, le cose già esposte. Certo è che queste ghiandole sono pluricellulari, in forma di clava, e colla parte più esile non di rado confusa per due ghiandole prossime (fig. 9, €). Ora il loro numero è variabile, possono essere sei o più, e quanto alla interna loro struttura, si tratta di un sacco chiuso nel fondo, sulle cul pareti stanno disposte cellule assai minute, che tappezzano tutta l’ interna cavità, come semplice epitellio pavimentoso. - Di qui geme la cera, attraverso ai mezzi dischi anali, che come sì sa, sono porosi, 0, in maggior quantità, entro i peli anali, dai quali trapela ed i quali riveste, nel modo che si è detto. L'ufficio di questa cera è quì male definito; può darsi che faciliti l'uscita del liquido escretivo del retto, come quello che per essere a- cquoso, non bagna la cera e scivola prontamente all’ esterno ; ma in questo atto i peli divaricati, ed aperti, alla cima dell’ organo protrat- tile eserto, non dovrebbero avere contatto diretto col liquido del retto, che esce inoltre con violenza. Discuteremo in appresso se possono avere questi peli così cerosi, LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 77 ufficio in una respirazione rettale, così chè nel loro complesso, sarebbero da paragonarsi al filtro che costituiscono le secrezioni cerose dei solchi stiematici, filtro, ben inteso, per l'aria. Concludendo adunque, nelle specie di Lecanium di cui ci occupiamo presentemente, havvi secrezione cerosa amorfa e granulosa, in grado as- sal limitato, attorno alla vulva, nei solchi stigmatici, e pobabilmente, in misura assai discreta sul dorso del ZL. o/eae presso alle valve anali, nonchè attorno ai peli anali. D'altronde, da tutta la superficie del dorso, in modo affatto uni- forme, per opera di ghiandole proprie, poco numerose nel L. Resperidum, assal più nel L. oleae, viene emessa altra secrezione, di aspetto diverso da paragonarsi alla lacca. Di questa sostanza, merita di parlare colla conveniente larghezza. La scarsezza di materiale, che non si può certo ottenere in così grande abbondanza da poterne fare uno studio chimico, sia pure abbre- viato, mi permise solo alcuni pochi saggi, che riporto qui, in confronto di quanto si conosce della chimica composizione delle lacche finora me- glio studiate. Premetto che sostanze analoghe, segregate da cocciniglie, con molta maggiore abbondanza, sono state diligentemente studiate da più autori, ed a queste, note col nome di Lacche, giova riferirsi per riconoscere an- che la natura della crosta che avvolge i maschi e le femmine dei nostri Lecanium. Il Gascard ' in un recentissimo e diligentissimo studio della Lacca delle Indie (Carieria Lacca) e di quella del Madagascar (Gascardia madagascariensis) rileva, con altri, che la lacca indiana si compone, oltre a materia colorante e ad altre sostanze di minor conto per noi, si com- pone, ripeto, per la massima parte, di resina, con una piccola quantità di cera. E però secondo 1’ Iohn * ecco la composizione di detta lacca. ! ALsert Gascarp. Contribution a l'etude des Gommes Laques des indes et de Madagascar — Paris 1893. ? Ionn. Chem. Schriften, 5, 1. 78 A. BERLESE Resina (5 corpi resinoidi) . ; 66,05 Sostanza particolare CERO ; : 16,70 Materia colorante . i 3 7 3,75 Sostanza estrattiva 3 ; A 3 3,92 Acido particolare (laccico) . : 0,62 Chitina j ; o i ì : 2,08 Materia cerosa . À È T,6%7 Salito $ ? ; 3 È 3 1,04 Sabbia e terra. : 5 i 3 0,62 200,00 * Secondo l’ Hatchett, la lacca (naturale) indiana, avrebbe invece la seguente composizione : Resina . : È } È s 68,0 Materia colorante | 3 : e 3 10,0 Gera : ° ; 3 ì X 6,0) (Glutine . 3 i - : 3 ; SO) Corpi estranei . - 6,5 Perdita . 4 ; 2 5 ; o 4.0) 100,0 Ma il Gascard riduce al 2 0 3% al massimo, la quantità di cera contenuta nella lacca delle Indie (in bastoni, cioè naturale). Nella lacca del Madagascar invece la proporzione di cera è molto superiore e la natura della cera stessa diversa; il Gascard dà infatti la seguente composizione per la lacca del Madagascar : Resine solubili nell’ alcool freddo . MZ. Cera solubile nell’ aleool caldo ° - 28,25 Prodotti solubili nella benzina calda . 13,00 Frammenti d’ insetti. * î 3 4,00 Perdite i . £ : : g 2,25 100,00 Sotto il nome di lacca, si comprende adunque, una mescolanza di sostanza resinosa, e di una particolare cera. La prima solubile nell’ al- cool a freddo, la seconda insolubile in questo, e insolubile o quasi, in tutti i solventi, mentre a caldo si scioglie nei liquidi ricchi di carbonio. Le brevi ricerche, per parte mia, limitate da un lato dalla natura del presente scritto e molto più ancora, d’ altro canto, dalla scarsità di materiale, si sono dovute limitare a riconoscere se le croste cristalline, ! Ho riportato queste cifre integralmente, ma la loro somma darebbe 96,95 an- zichè 200,00. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 79 coprenti sia i maschi che le femmine di Lecanium, fossero da conside- rarsi realmente come composte di sostanza da avvicinarsi alle lacche, o non piuttosto di cera o d’ altro simile corpo, rilevando in pari tempo la differenza colla cera dei solchi stigmatici e delle glandole genitali , granulosa e bianchissima. Ora, le croste trasparenti che rivestono e difendono i giovani ma- schi, dalla prima ninfa alla maturità, come quelle, che, senza forma de- finita, riparano le femmine in tutti gli stati, sono composte interamente di sostanza solubile nell’ alcool assoluto a caldo; la soluzione, precipita poi, in gran parte, in forma di pagliuzze e squamette che rimangono sospese nel solvente e questo contengono e trattengono così che tutta la massa prende l’ aspetto quasi di una gelatina; ma filtrato il liquido, e lasciato evaporare, abbandona un’ altra sostanza, di parvenza omoge- nea, trasparente essa pure. Non vi ha dubbio adunque che ci troviamo qui in presenza di una miscela di due diverse sostanze, l’ una solubile nell’ alcool a freddo, 1’ al- tra insolubile. Tanto è vero che se invece di alcool assoluto si ricorre all’ alcool ordinario (a 75) e si riscalda questo fino all’ ebollizione, le croste di Lecanium, sieno maschili che femminili, in esso contenute, si fondono dapprimo e poscia la parte loro insolubile si raccoglie in minute goc- ciole sferiche e trasparenti, nell’ alcool bollente, ma poi bianchissime, appena il solvente è di poco raffreddato. Nel liquido inoltre sì contiene l’altra parte della sostanza, componente le croste, cioè quella solubile, però aftatto incolora, e che non si rileva che facendo evaporare il li- quido che la accoglie. Ma praticata questa operazione su un porta oggetti, sì ottiene una crosta opaca e granulosa, come appare al microscopico, e di colore bianco. Solo che, riscaldando il porta oggetti sino alla fusione di essa crosta , questa divien liquida e trasparente, ma raffreddandosi poscia, si racco- glie in uno strato affatto pellucido, fragile e quasi cristallino, in tutto adunque simile alla resina. Che se invece si raffredda la sostanza insolubile, dopo la sua fu- sione, se ne ottiene sempre una massa amorfa, compatta, bianca e non fragile ma cedevole. In altri solventi, avviene presso a poco la stessa cosa: ma nel sol- furo di cardonio bollente, tutta la costa intera si scioglie, nè col raf- freddamento parte alcuna sua più si raccoglie su se stessa. Dal complesso però di queste prove, che moltiplicai, sebbene cia- 20 A. BERLESE scuna con poco materiale, si riconosce evidentemente che la proprozione della cera, in questa mescolanza, è assai rilevante, in confronto della sostanza solubile, e sarei per credere che fosse su quest’ ultima prepon- derante, a differenza, in ciò, da quanto avviene nella lacca del Madaga- scar e più ancora in quella dell’ India. Sì comprende però che non mi è stato possibile ricorrere a pesa- ture, con materiale così insufficiente, senza timore di grosso errore. Ma la cera degli stigmi e delle ghiandole cireumgenitali, mentre alle reazioni si presenta tutto affatto conforme a quella delle croste, assume però un aspetto diversissimo. Non dubito intanto che essa pure non si componga come quella delle croste dorsali, forse con minore eccesso di cera, ma la parvenza è diversa e di ciò dirò in appresso, premendomi ora alcune considera- zioni ulteriori sulle lacche in genere e su quella dei Lecanium in ispecie. Convenuto così che sì tratta, anche per i Lecanium, di una lacca, e ciò per quella sostanza dalla quale il loro dorso è protetto, mi pare di aver così messo in luce un nuovo e valido argomento per ritenere che la lacca sia totalmente un prodotto escrementizio dell’ insetto, con ufficio di difendere questo e ripararlo dall’ assalto dei parassiti, special- mente imenotteri, anzichè un prodotto di scolo della pianta, in seguito a puntura della cocciniglia. E per me gli argomenti in favore di questa tesi sono i seguenti: 1.° Nelle due lacche che io potei vedere, cioè sia in quella del- l India fornitami in begli esemplari dalla gentilezza del prof. Italo Gi- glioli, che me ne regalò un bastone lungo circa quindici centimetri, sia in quella del Madagascar, mostratami cortesemente dal prof. Targioni-Toz- zetti (esemplari questi figurati nella memoria dello stesso lodato ed a- mato mio maestro, sulla Gascardia madagascariensis, * a pag. 89) la superficie esterna non presenta screpolature di sorta, quali dovrebbero esservi, con raggi fino al legno della pianta, se da questa dovesse gemere la lacca e raggiungere poi la superficie esterna, attraverso a screpolature radiali, (piene in questo caso) sia che si addossasse direttamente al ra- mo, spostando così lo strato antecedente, che però dovrebbe essere scre- polato, come quello che in forma di cilindro solido, è obbligato, in un dato momento, ad assumere una maggiore ampiezza. Più infranto e sere- ! Tarcioni-Tozzetti. Note sur une espèce de laque provenant de Madagascar, in Gascard, loc. cit. p. 88, 89). ‘2 POSI De LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 81 polato che mai adunque dovrebbe essere lo strato più superficiale, come nella scorza delle piante vecchie avviene, ciò che quì non è affatto. Mi sì potrà opporre .che la secrezione od escrezione, da parte delle cocciniglie, avviene pure dal dorso, e sposta gli strati già prima deposti, e quindi qui pure dovrebbero generarsi screpolature e rotture della pri- ma secrezione. Così però non è. In seguito a successive secrezioni, da parte della cocciniglia, non cede già lo strato prima deposto, ma invece il corpo dello insetto stesso sempre più si restringe, innalzandosi perpendicolar- mente alla direzione del fusto, ed è appunto per ciò che sia la Carteria quanto la Gascardia hanno il corpo così totalmente deformato e di- verso, per aspetto, dagli altri Lecanidi. Il corpo degli insetti della lacca, adunque, compresso tutto all’ ingiro dalla secrezione sua, si innalza sem- pre più e si allunga, finchè raggiunto lo sviluppo definitivo, si ricopre totalmente dalla ultima secrezione dorsale (essendo il dorso la parte più prominente all'insù) e credo ancora degli escrementi anali, con parti- colare disposizione, assai bene descritta dal Targioni e da altri, perchè questi possano sempre raggiungere la superficie libera della lacca, sia ad ingrossare questa, sia a cibare formiche od altri insetti, caso quest’ ul- timo probabilissimo e che ci viene anche fatto sospettare dal De Fla- court '* dove a proposito del Leti detsie, come egli chiama la lacca Ma- dagascar dice : « Litin bitsic = C' est la gomme qui produit une espèce de four- mis dans les Ampatres, elle est blanche et attachée è une petite branche de bois, l’on voit dedans les petits fourmis attachez; ie croy que c’ est la vray cancanum de Dioscoride ». Dico questo perchè sembra più facile che in così antico tempo si sia più volentieri badato ad insetti avventizii, frequentanti la lacca stessa, che a quelli più interni e suoi veri autori, dei quali doveva essere più difficile riconoscere la presenza e difficiliesimo per sospettare la natu- ra vera. i 2.° Nella lacca, il Gascard riconosce e mette bene in rilievo la presenza di una sostanza azotata e così ne conclude * « Nous avons isoléè de la gomme laque en bàtons un principe cristallisè, ayant les proprietés physiques des cires, mais formé d'un acide azotè qu’ étérifie 1’ alcool myricique. Nous avons attirò 1’ attention sur ce point; 1° existence d’ une 1 De FLAcourt. Histoire de la grande isle de Madagascar, 1661, p. 150. 1 Gascarp, loc. cit. p. 85. 82 A. BERLESE cire azotée est un fait qui n° a pas encore été signalé et qui prèsente un grand intérèt. Il iètte un jour nouveau sur le travail physiologique de l’insecte. Il montre que celui ci intervient activement dans la pro- duction de la cire ». 3.° I Lecanium, come i Ceroplastes ed altre cocciniglie della tribù, segregano realmente dal dorso una vera e propria lacca, la quale è in- dubbiamente loro prodotto, mista a cera, sia in corrispondenza degli stig- mi, sia altrove, e ciò concorre efficacemente nel far ritenere come vera 1 affermazione, che nelle forme che danno la lacca del commercio 0 quella del Madagascar, od altre, in grande quantità, questa sia esclusivo prodotto dell’ insetto. Più tardi, quando avrò occasione di parlare del Ceroplastes rusct, del quale già, per mio conto, mi sono attualmente occupato, per ciò che riguarda le sue secrezioni cerose, dimostrerò come, anche per questa specie, si possa parlare di lacca segregata dal dorso, con cera frammista, con giudizio in ciò diverso da quanto è stato detto da altri per questa specie. 4.° La diversità delle piante su cui, ad esempio, la Carteria lacca vive, tra le quali il Watt * ne enumera 43, appartenenti a famiglie diverse (Leguminosae, Euphorbiaceae, Anonaceae, Apocynaceae , Bigno- niaceae, Sterculiaceae, Rutaceae, Urticaceae, Burseraceae, Malvaceae, Lythraceae, Anacardiaceae, Sapindaceae, Ternstroemiaceae, Dipterocar- peae, Verbenaceae, Combretaceae, Ramneae) mentre la lacca sembra im tutti i casi essere identica a se stessa, avvalora la convinzione che, a questo prodotto, la pianta non contribuisca che indirettamente, cioè at- traverso agli organi ed alle funzioni dell’ insetto. Ma la cera, come chiamammo la secrezione granulosa amorfa delle glandole ciripare, che si raccoglie nel solco stigmatico. attorno ai peli anali ed attorno alla vulva, nei Lecanium , (e che nella stessa tribù, nelle Philippie avvolge tutto il corpo e nelle Pulvinarie si dispone in fili intrecciati sotto il ventre), non sembra avere molto diversa compo- sizione. Pure riterrei che contenesse maggior quantità di resina che non la lacca delle secrezioni dorsali. Questo io dico, perchè, mentre le sue reazioni nei solventi sono identiche a quelle ricordate per le squame trasparenti dorsali, qualora questa cera venga fusa sul portaoggetti, so- lidificandosi poi, per raffreddamento, da amorfa ed opaca, risulta cristal- lina e pellucida nonchè di colore traente allo ambraceo. Le squame dorsali invece, sì comportano tutto affatto all’ opposto, 1 Warr. Diction. of the economie products of India, vol. II, p. 410. SERE LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 83 poichè trasparenti, fragili e cristalline allo stato naturale, dopo fusione diventano una massa opaca, bianchissima di consistenza cerosa, cioè non fragili. Ora il diverso aspetto di queste secrezioni, non dipende, evidente - mente, dalla natura chimica della sostanza che le compone, ma certa- mente invece, direi quasi, dalla struttura della sostanza stessa. Mentre le placche dorsali si mostrano composte di piastrelle ad- dossate senza intervalli occupati da aria, le une alle altre e riunite in un complesso laminaceo trasparente, la cera degli stigmi, come quella attorno al genitali etc. è un ammasso molto soffice ed elastico di par- ticelle minute che formano, in un complesso molto lasso e spugnoso, un ammasso bianchissimo e molto voluminoso. Questa tinta così bianca, dipende evidentemente dalla struttura, e non può avere grande rapporto col colore vero della sostanza, che, invece, fusa e raffreddata, appare, come già dissi, ambracea. Ora questa diversa struttura, dipende dalla diversa forma delle ghiandole da cui la secrezione od escrezione è prodotta. Nelle ghian- dole che in omaggio ai più vecchi autori, chiamammo eiripare, lo sbocco è chiuso, come testimonia il Mayer, o con un disco continuo ed esile, o con un disco meglio chitinoso, nel quale alcune minutissime fossette rotondeggianti, ordinariamente in numero di cinque, disposte a penta- gono, lungo gli orlì più duri del disco di chiusura, mentre godono di un fondo più esile, attraverso a questo permettono il passaggio della cera che filtra e geme come attraverso a membrana un liquido più denso, nel meno, entro il dializzatore. Ma il passaggio della cera, così, è lentissimo e questa appena al- l’aria sì rassoda, senza aver ulteriore confusione colla seguente, dal che viene di conseguenza la struttura così lassa e spugnosa di questa se- erezione. Le ghiandole invece che io chiamai laccipare, sboccano , sia pure con condotto ristretto, ma totalmente aperte, al di fuori. Da ciò avvie- ne che la lacca o cera 0 Coccerina * che dire si voglia, esce fluida ! Secendo il Liebermam. Berichte Chem. Ges. 18 Bd. p. 1975 (1885), così do- vrebbe chiamarsi la cera del Coccus cacti e forse di tutti i Coccidei della stessa tribù. Questa sostanza, fusibile a 100°105°, presenta del resto caratteri della cera estratta dalle lacche, salvo che è, come si vede, fusibile a più alta temperatura. Sembra che nella cera dei Coccidei, non vi sia traccia di sostanza resinosa, ciò che costituirebbe una notevole differenza con quella dei Lecaniti che contiene sempre, dal più al meno, della resina, ed è perciò una vera e propria lacca. 84 A. BERLESE all’ aperto così facilmente e così sollecitamente da disporsi in isqua- mette rotondeggianti, che sì addossano l’ una all’ altra ed assieme si saldano in dischi sempre più estesi, fino a formare una incrostazione generale su tutto il dorso. In questi casi la crosta stessa riesce pellu cida. Certo adunque è che la cera esce dal corpo delle ghiandole allo stato fluido, e siecome non può ammettersi che tale sia per la tempe- ratura (che dovrebbe in questo caso superare i 50 gradi almeno) deve questa sostanza essere sciolta in solvente, volatile abbastanza rapida- mente , il quale solvente non si conosce. Questo, bene inteso, quando invece l’aria non entri a coagulare od assodare la massa, altrimenti costituita chimicamente nelle ghiandole. Questioni queste ultime alle quali non io certamente avrò valore di rispondere nè pretesa a questo. Da quanto si è detto, è facile inoltre comprendere che la distin- zione tra ghiandole ciripare e laccipare come io posi, se è giustificata dalla loro diversa fabbrica, non deve far pensare ad una diversa natura della sostanza segreta, la quale sempre la stessa, o quasi, è per ciò che riguarda la sua composizione. Ma d’ altro canto una simile distinzione era pur necessaria , trattandosi di organi con struttura ed ufficio dis- simile. Ma ecco come si presentano al microscopio le squame dorsali di lacca in ambo i sessi del LZ. oleae, e nelle femmine del L. hesperidum. In ambedue queste forme, le larve di fresco uscite dall uovo e viventi liberamente all’ aperto, cioè fuori della protezione materna, si coprono subito di lacca, la quale comparisce dapprima come altrettante squamette rotondeggianti e trasparenti nel cui centro sta lo sbocco delle ghiandole. Queste squamette crescono di superficie come di spessore fino a coprire di una crosta unica ed uniforme tutto il dorso. Nel Lecanium oleae la secrezione è molto più abbondante e, cre- scendo il corpo della larva, come contorcendosi o muovendosi le parti di questo, ed assumendo già per tempo la carena longitudinale dorsale e quelle trasverse, avviene che la squama di lacca trasparente sì scre- poli, sì rompa irregolarmente, e sopravvenendo altre secrezioni, tutta la superficie dorsale apparisce così scabra e ruvida, per effetto della se- crezione Stessa, mentre tolta questa, la superficie chitinosa è, come nel L. hesperidum liscia e nitida. Una squama intera di lacca, (di 1,300 mill. per 800 p) come è quella figurata a tav. IV, fig. 5, tolta da una ninfa femmina di L. oleae, stac- cata delicatamente colla punta di uno spillo, apparisce colla forma precisa del dorso dello insetto, carenata come questo, e biloba posteriormente. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 89 Di più tutta la lamina che è trasparente, appare come areolata di grandi areole e molto scabra ed aspra. Simile struttura si vede an- che più chiaramente nella fig. 6 della stessa tavola, dove è meglio in- grandito un brano della detta squama di lacca, con vegetazioni di Cla- dosporium herbarum (b), in forma di catenelle, talora con conidii (c). Simile vegetazione è sparsa talora molto diffusamente sulle squame di lacca, e se non vive a spese di questa, approfitta della escrezione anale gommo-zuecherina che, da se stesso, l’ insetto si sparge sul dorso o da qualche vicino eiaculata, riveste e fortifica ordinariamente le squame di lacca. Nella femina adulta, del LZ. o/eae, finchè questa è ancor padrona delle proprie zampe e della loro attività, anche le ghiandole laccipare godono di molta energia e la squama di lacca è ordinariamente robusta nonchè continua. Ma col crescere e coll’ immobilizzarsi dell'insetto e colla diminuzione di tutte le sue funzioni, all’ infuori della genitale, caduta in frantumi la squama di lacca, questa non viene più totalmente rein- tegrata, e nelle forme già brune e generanti, si vedono sul dorso sparse uniformemente e tra loro ben distinte, solo squamette rotondeggianti, di- pendenti ciascuna da una ghiancola, che spiccano bene colla lore tinta pallida, sul fondo oscuro, (come disegnammo nella tav. 13 fig. 6). Fi- nalmente, cadute queste ed esaurita la secrezione delle ghiandole lacci- pare, nelle forme più vecchie la cute del dorso è nuda, bruna lucente. Nel Lecanium hesperidum, invece. durante tutta la sua vita, ec- cettuatine forse gli ultimi momenti, la secrezione della lacca sì ma- nifesta, ma meno intensamente che non nel ZL. o/eae. Però nel L. he- speridum sì rileva questo vantaggio, che le croste di lacca, pure es- sendo meno spesse che non nell’ altra specie, difficilmente si staccano dal dorso dell’ insetto , e per essere così esili e più uniformi nel loro spessore e liscie, malamente sì rilevano. Ma osservando attentamente, con opportuno ingrandimento, il dorso dell’ insetto in discorso, special- mente presso agli orli, si vede una superficie tutta liscia e screpolata, con areole poligonali, maggiori e quasi regolari, in contatto degli orli, più minute nella parte più interna, la quale appartiene alla lacca e non alla chitina, come si potrebbe credere a prima giunta ed altri ha creduto. Simile disposizione vedesi nella figura 4, della tavola IV, mentre , a sono le cellule poligonali maggiori degli orli, e 6, quelle più in- terne verso il centro del dorso, e e i peli laterali, essi pure incrostati di lacca è perciò a superficie così irregolare. L' accrescimento della lacca, (dA nel senso del suo spessore e più ancora della sua superficie, avviene 86 A. BERLESE adunque per interposizione di secrezione nuova nelle screpolature anzi- dette, con differenza, anche in questo, dal Lecanium oleae. Nello stesso gruppo di Lecariwm di cui è tipo il L. hesperidum il Signoret descrive è figura un Lecanium tessellatum (Signoret loc. cit. tav. 12, fig. 4), nel quale le screpolature della lacca dorsale, perfetta- mente simmetriche per ambedue le metà laterali, e con disposizione co- stante nella specie, sono da lui attribuite alla chitina del dorso, anzichè alla squama escrementizia, e queste linee costanti, dove la secrezione manca, sono ancor meglio manifeste nel genere Ceroplastes, mentre nel | nostro Lecanium hesperidum, non sembrano disposte in modo regolare e costante. Ma nei maschi di Lecanium (come delle Philippia ete.) la squam di lacca, molto meglio appariscente che non nelle femmine, è sempre conformata in modo costante per ciascuna specie. Nelle larve maschili, la secrezione della lacca non esiste, e questa compare solo nella prima ninfa ed anche quando questa è già molto avanzata ed ormai fissata immobilmente sulla pianta. In quella ninfa maschio che noi crediamo appartenente al L. oleae e che già descrivemmo, la squama di lacca, ha forma perfettamente ovale (fig. 7, tav. IV) forse più larga all’ innazi che posteriormente, e divisa (come per gli altri Lecaniwm e per le P/hilippie) nelle seguenti parti, fra loro bene distinte: all’ innanzi un pezzo trapezoidale, a mar- gini tutti rettilinei o quasi, più largo all’ innanzi che di dietro, occupa la parte anteriore e per essere corrispondente alla ragione cefalica, può essere detto seudo cefalico. (fig. 7, a). Due lunghe squame laterali, abbracciano anteriormente lo scudo cefalico e sono spaccate nel loro mezzo da un solco tranverso, così che ne risultano quasi due lobi (fig. 7, c, d); le chiameremo seudi laterali Essi comprendono fra se, per tutta la loro lunghezza, uno scudo lungo, quasi rettangolare, anteriormente e posteriormente troncato, con linee rette, che chiamiamo scudo mediano (fig. 7, b). Questo è contiguo, po- steriormente, con un breve scudetto triangolare. a punta diretta indie- tro, il quale, avvegnachè ricopra le squame anali, può essere detto scudo anale (fig. 7, f,). Questo poi è compreso da due squame che con- tinuano le laterali, posteriormente rotondate e simulanti i due lobi in cui anche il corpo è diviso, e che chiameremo seudi cincumanali (fi- gura 7, e). Tutta questa squama, nel suo complesso è lunga 2,800 mill. e larga 1,400 mill. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 87 Ora vi sono alcune particolarità nella forma e disposizione dei di- versi scudi, nonchè in altro ancora, le quali possono aiutare 1’ osser- vatore a distinguere questa squama da quella di alcune specie conge- neri come io feci, istituendone confronto. In primo luogo, tanto l’ orlo posteriore dello scudo cefalico, come l'anteriore dello scudo mediano, sono perfettamente rettilinei, e così pure sono gli orli posteriore dello scudo mediano e anteriore dell’ anale. Si vedrà invece che, ad es. nella P/ilippia, questi orli sono fortemen- te curvati ad arco o ad angolo. Ma tutti gli scudi sono tra loro sepa- rati da solchi profondissimi, nei quali la struttura della squama è ben diversa che non nelle lamine. Infatti, mentre in queste la lacca appare come areolata di grandi areole o zigrinata, nei solchi il suo tessuto è marcatamente striato di grosse strisce, perfettamente parallele fra loro e agli orlì della squama. Inoltre in questa specie ho notato, sia lungo gli orli laterali e posteriore dello scudo cefalico, sia lungo l’ orlo più iriterno delle squame laterali, e qui con centri multipli, sia lungo l’ orlo anteriore delle squa- me anale e cireumanali, quasi una vegetazione di riccioli cerosi, in forma di filamenti avvolti su se stessi a spira e brevi, (come vedesi nella fig. 8) che formano serie regolari elevate sulle squame stesse e devono dipendere da ghiandole di speciale fabbrica, come ora dirò. La accennata scarsità di materiale di forme maschili, mi ha ob- bligato a considerare il tegumento delle prime ninfe del Lecanizum oleae, assai incompletamente, e come potevo rilevare soltanto da due individui bolliti nelle soluzioni alcaline e poscia così esaminati nel loro involucro chitinoso epidermico. Perdoni quindi il lettore se quanto dico non è meglio rilevato da tagli o sezioni, e se debbo limitarmi a quella parte delle ghiandole e del tegumento che per essere chitinosa, non sì è perduta nelle mani- polazioni anzidette. I peli stigmaticìi in numero di tre in ciascuna incisura stigmatica (fie. 9, tav. IV) senza essere più lunghi degli altri che ornano tutto l'orlo del corpo (fig. 9 è) sono però claviformi (di 20 p.. di lunghezza) (fig. 9 a a). Nel solco stigmatico, veggonsi gli sbocchi consueti delle ghiandole ciripare (fig. 9 €). Tutta la superficie del dorso è crivellata dagli sbocchi della ghian- dole laccipare, non diverse e non diversamente disposti da quelli delle femmine, mentre manca, al dorso, traccia di quelle particolari ghiandole 88 A. BERLESE ciripare che nelle ninfe femmine stanno poco più su delle squame anali e delle quali in antecedenza si è detto. Ma sparse qua e là pel dorso, e precisamente in regioni che cor- rispondono alle suaccennate efflorescenze di lacca in forma di baston- cini circinnati, appaiono numerosi sbocchi di ghiandole ciripare, di par- ticolare struttura. Delle ghiandole stesse nulla posso dire, essendo queste, come si comprende, scomparse colle anzidette manipolazioni, ma i condotti loro chitinosi, sono rimasti ed hanno disposizione particolare e curiosa. (fig. 10, tav. IV). Infatti, il condotto più prossimo alla ghiandola, (fig. 10, c) è esi- lissimo, a pareti molto delicate, ma tosto si allarga in un cilindro, a pareti molto più spesse (fig. 10, a) che all’innanzi è chiuso da dia- framma (fig. 10, d) chitinoso. Segue un’altra porzione di condotto , pure cilindrica e lunghetta, (fig. 10, d) con parete esile, che finalmente si apre liberamente, con foro rotondo (fig. 10, e) nella parete dell’ epi- dermide. (Questi sbocchi di ghiandole, nel loro complesso, sono lunghi 71 p. per 4 p. di larghezza massima). Ora è facile comprendere il meccanismo di espulsione della cera, data questa struttura dei condotti ghiandolari, e la forma stessa che la cera assume al di fuori del corpo. La cera fluida, compressa convenientemente dalla sopravveniente secrezione, entro le pareti robuste del condotto a, geme attraverso al diaframma d, senza che però siesi solidificata troppo, mancando il con- tatto dell’ aria sufficiente nel condotto d, dal quale, in quella vece, a- cquista forma cilindrica, per conservarla tale uscendo dal foro e, dopo il quale il bastoncino ceroso si avvolge su se stesso, non diversamente da quello che nelle ampolline di stagno, tra le mani dei pittori, il denso colore ad olio, compresso, geme dalla apertura e subito su se stesso a spira si avvolge, in buona forma di cilindro circonvoluto. Che se il diaframma fosse alla superficie del corpo, la cera solidi- ficandosi tosto, assumerebbe, come per le ghiandole peristigmatiche av- viene, la nota forma granulosa. Ora le dette efflorescenze di bastoncini cerosi, sono le prime a com- parire sul dorso delle ninfe, nella loro determinata regione. Avvengono, in seguito, le secrezioni della lacca squamiforme, che sollevano le dette efflorescenze, di modo che queste si trovano poi sulla squama stessa, nei punti sopraricordati. Due o tre giorni soltanto sono sufficienti alla ninfa per compiere vi bilie si driacincn LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 89 la secrezione di questa squama di lacca, compiuta la quale ogni se- crezione dorsale si arresta e nella ninfa principia altro lavoro di orga- nizzazione più interna, per raggiungere novella forma e nuova fabbrica nei visceri tutti. Muscoli Ho rilevato una notevole differenza, nella disposizione dei muscoli, tra i lecaniti ora studiati e i dactylopius che precedentemente si sono considerati. Questo però per le femmine, mentre pei maschi la musco- latura è presso a poco conforme nei due gruppi, secondo quello che io potei rilevare dall’ esame del maschio di PhiZppia oleae che ebbi adulto in abbondanza. Ma le larve, identiche nei due sessi, e la prima ninfa maschile, in tutti gli organi suoi, sia interni che esterni (eccettuati i sessuali) si- mili alle femmine, hanno disposizione dei muscoli conforme e questa, nei Lecanium, è molto diversa da quella dei Cocciti. Mi occuperò molto brevemente, solo della femmina, poichè del ma- schio adulto, che non vidi, nulla posso riferire, per quanto non possa essere essenzialmente diverso da quello di specie congeneri che pure è frequente. Anche in questo caso, da larva ad adulto, non vi ha differenza no- tevole e perciò descriverò la muscolatura di una ninfa di L. hesperedum e questa servirà sufficientemente di esempio. Il fatto che più gagliardamente colpisce, in queste cocciniglie, è la assenza di fascie muscolari al dorso, di quelle fascie cioè che partendo dalla regione cefalica procedono di segmento in segmento, addossate al derma, e parallelamente ai margini del corpo, fino all’ estremità po- steriore di questo e che, due in ciascun lato, furono altra volta ricor- date col nome di fasci interni e fasci esterni. Ebbene questi fasci mancano auche nelle larve dei Lecanium e si comprende perciò la poca mobilità degli archi dorsali, l’ uno verso l’altro, e la loro sollecita fusione in un tutto unico, nelle ninfe (spe- cialmente del L. oleae), quando a muoverlì indipendetemente non con- concorrano altri muscoli, come dirò in appresso. A rappresentare, in certo qual modo, le fascie dorsali interne stanno i retti dorsali, cioè lunghe fibre muscolari, che partendo (come meglio si dirà in appresso) da uno speciale organo che circonda l’ apertura [ie] 0 A. BERLESE anale, corrono ai lati del retto, e debolmente divergenti fino ai primi anchi dorsali, dove sì inseriscono. Ma quesli muscoli, non sono interrotti in tanti frammenti, in cor- rispondenza di ciascun segmento, come per le vere fascie avviene, e come in queste specie si nota al ventre, ma sono interi e perciò non possono determinare movimento speciale a ciascun segmento, sopra il quale passano nel loro percorso. Mancano ancora nei Lecanium quei mrscoli che nei Dactylopius riconoscemmo e notammo enl nome di obliqui addominali, sia interni che esterni. Tutta la muscolatura dei Lecanium qui studiati, e probabilmente delle larve, almeno, degli altri, la muscolatura cioè destinata esclusi- vamente a muovere i segmenti del corpo, è conformata su un tipo suo speciale. Cioè si hanno in grande quantità e con complicata disposi zione o meglio irregolarmente sparsi, con molte licenze entro il tipo, una grande quantità di fascetti muscolari, aggruppati in numero vario, che dal dorso, corrono direttamente al ventre, dividendo tutta la cavità viscerale in tante areole o camere, entro le quali poi penetrano a suo tempo le uova, quando queste, cresciute molto di numero e di mole, riempiono quasi tutto il corpo. Ora, non è possibile assegnare nomi speciali a ciascuno di questi muscoli, o fasci di muscoli, tanto più che questi variano nelle parti colarità della disposizione, anche in uno stesso individuo, nel quale una metà laterale del corpo è diversamente provveduta di muscoli in confronto dell’ altra, ciò che influisce nolevolmente alla caratteristica asimmetria, quasi costante, di questi esseri (nelle ninfe almeno e negli adulti), asimmetria che si appalesa anche quando non vi sono difficoltà esterne al libero sviluppo di una data parte del corpo, ma tutte le parti, non coartate, potrebbero e dovrebbero egualmente e in pari mi- sura, svolgersi liberamente. Attorno alla cavità viscerale, nella quale si occludono gli organi della digestione, e della riproduzione, quasi a limitare questa dalle squame sottili nelle qnali il corpo lateralmente si allarga, stanno al- cuni potenti fasci muscolari, che direttamente vanno dal dorso al ven- tre, e che nella fig. 1 tav. VI, noi segnammo con o, 0, 0, e questi attorno al ganglio sottoesofageo, mentre di fianco al retto, per ciascun segmento, si vedono altre consimili fascie muscolari, appaiate e in due linee longitudinali, correnti esse pure dal ventre al dorso, come esprì- memmo nella stessa figura. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 91 Alcune di queste, riescono anche evidenti in g nella fig. 3, della stessa tavola, e si vede che sono composte di numerose fibre, disposte su una linea longitudinale, di fianco del retto.. Consimili fascetti, sparsi quà e là senza ordine definito, e con numero variabile di fibre, si scorgono un poco dappertutto, nella più ampia regione della cavità viscerale, tra i muscoli propri degli arti ed altrove, e noi ne segnammo uno anche in ? ed in p nella figura 1, della tav. VII. Ma nelle squame, tutto lo spazio è riempito da grande quantità di fibre, molto spesso semplici, talora appaiate, o in maggior numero e cortissime, che vanno direttamente dal dorso al ventre, senza ordine al- cuno, e senza misura definita. Questo avviene su tutto il contorno squamiforma del corpo, anche nella regione cefalica, come delineammo nella fig. 1, tav. VII in a, a; e nella fig. 3, tav. VI, nel lobo anale a destra (di chi esamina il di- segno). La presenza di queste fibre, nelle squame in cui il corpo si dilata, è speciale nel Lecanium , e queste aumentano di numero col crescere delle squame stesse, tanto chè, mentre se ne vedono poche nelle larve, numerosissime sono nelle forme successive. Qualche fascetto di fibre, più lunghe e più numerose, (tav. VII, a”, a") decorre obliquamente dal dorso al ventre, con direzione più oriz- zontale, quasi radiando dalla cavità viscerale, attorno a questa, nella regione cefalica e toracica, subito dietro l’ inserzione della zampe. Alla faccia ventrale, i,muscoli sono meglio definiti, e possono, an- che qui, limitarsi nelle tre regioni, cefalica, toracica ed addominale. Nella regione cefalica, mancando quello speciale ispessimento chi- tinoso puntiforme, avanzo dell’ apofisi occipitale, che notammo nel Dactylopius, al di sopra del ganglio sopraesofogeo, il gracile abduttore delle antenne (fig. 1, tav. VII, d) nasce lateralmente alla linea me- diana, subito sopra il ganglio, in corrispondenza dell’ origine dei nervi antennari, e si porta all’ angolo anteriore del basilare, mentre a questo stesso angolo si attacca un altro abduttore, (lungo) lunghissimo ed esi- lissimo (stessa fig. c), inserito questo agli angoli anteriori del clipeo, e adagiato nella scanalatura laterale tra il lobo medio ed i laterali del ganglio sopraesofageo. Questo muscolo manca nei Dactylopius. Man- cano qui gli adduttori delle antenne. inseriti (nei Dacty/opius) nel centro del clipeo, poichè questo pezzo, nei Lecanium non ha apofisi anteriore mediana, ma solo le laterali. (vedi anche tav. VI, fig. 1 m). 92 A. BERLESE Ad addurre le antenne, si vede destinato un singolare muscolo (adduttore comune) che corre trasversalmente dall’ una all’ altra an- tenna, inserendosi agli angoli inferiori del basilare, esile e lineare e che deve muovere tutte le due antenne simultaneamente. Nei Dactylopius invece, questo stesso muscolo è duplice e ciascuna metà si appoggia all’ apofisi puntiforme. Agli angoli inferiori del clipeo e del succhiatoio, si inseriscono poi potenti muscoli che vanno al dorso e servono a retrarre il rostro tutto. Nel gruppo muscolare toracico, quello che più colpisce, in confronto di quanto si è visto nei Dactylopius, è la debolezza e scarsità dei mu- scoli radianti dal primo apodema sternale e la deficienza di cosifatti muscoli qer gli altri pezzi del torace, mentre si vide la robustezza di questi stessi muscoli nei Dactylopius. Intanto, però, dall’ apodema, per così dirlo, del prosterno, partono due gracili fascetti, 1° uuo diretto all’ innanzi, che si attacca all’ orlo posteriore della regione cefalica (fig, 1, tav. VII, e); 1 altro diretto po- steriormente, all’ orlo anteriore del mesosterno (stessa fig. n). Inoltre da questo stesso apodema partono fasci obliqui, tra i quali ne noto uno che raggiunge l’ epidermide sotto lo stigma (stessa fig. /) e altri fascetti più larghi che si attaccano alla epidermide, in vicinanza delle anche del 2° paio (stessa fig. m). Dal centro del mesosterno e del metasterno non veggo partire mu- scoli, che del resto potrebbero esistere, ma per la loro gracilità non è difficile che mi sieno sfuggiti. Muscoli delle zampe. Parlerò solo di quelli che muovono le anche, mentre per gli altri dei rimanenti articoli in cui la zampa si divide, quanto già si è detto pei Dactylopins vale anche per i Lecanzim, es- sendo questi muscoli identici in tutte le cocciniglie. Alle anche sì attaccano muscoli che vanno al dorso, altri poi che sì inseriscono alla epidermide della faccia ventrale e specialmente agli epimeri. Così all’ anca del 1° paio, si attaccano muscoli partenti dall’ apo- dema prosternale (fig. sudd. f): altri due vanno al dorso (9) ed altri alla faccia ventrale (è). Per l’ anca del secondo paio, dal suo epimero, si staccano muscoli che vanno all’ anca stessa e altri che abducono il femore (s), nonchè alcuni che si dirigono verso il centro della faccia ventrale, altri invece esternamente verso il margine del corpo (9, »), mentre l' anca stessa è mossa ancora da muscoli inseriti nella epidermide del ventre (0). vee LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 93 Consimile disposizione vedi nella anca del terzo paio, mossa da muscoli inserti alla epidermide del ventre, un poco addentro (z), mentre dal suo epimero partono fasci alla epidermide circostante, sia interna- mente (7) che esternamente (), ed altri che adducono il femore (v). Nel gruppo addominale, oltre ai motori dell’ estrema parte del retto, dei quali si dirà abbastanza parlando degli organi di digestione, è facile rilevare la presenza di fascie ventrali, due per ciascun lato e composte da limitato numero di fibre, che occludono uno spazio a lungo trian- golo, nel loro mezzo. Di queste, le esterne, partendo dall’ orlo estremo dell’ ultimo segmento toracico, vanno a finire alla origine del lobo a- nale, cioè nel breve orlo anteriore di questo, dove circonda il minuto e triangolare 8° arco ventrale (vedi fig. 3, tav. VI, 4, 4). Nell’ arco sesto ventrale, questa fascia (come vedesi nella fig. 3, tavola VI) sì for- tifica anche dall’ aggiunta di altre fibre più esterne. La fascia più interna, consimile alla precedente, originata dal me- desimo orlo posteriore del metasterno, va a finire alla estremità del- l'ottavo arco ventrale, sotto e di fianco alla vulva (tav. VI, fig. 3, f pe VIT cio 4, aa"). Inoltre, su questa stessa faccia ventrale, che per essere di pelle più esile assai della dorsale, è ben divisa in segmenti e questi sono ab- bastanza mobili, si notano dei muscoli trasversi, situati immediatamente al di fuori della fascia esterna, e collocati nella linea di divisione degli archi, totalmente posati sulla faccia ventrale. Ne parlammo anche nei Dactylopius: ma qui, non raggiungono mai l’ orlo laterale del corpo. (vedi fig. 1, tav. VII, d': tav. VI, figura 3, 2, è). Nei lobi anali inoltre, sì vedono; distesi nel derma ventrale, altri fascetti muscolari, diretti, sia parallelamente all’ asse longitudinale del corpo (tav. VI, fig. 3, m), sia obliquamente (stessa fig. x). Questo è quanto succintamente credetti opportuno esporre, relati- vamente ai muscoli dei Lecaniwm; per ciò che sì riferisce a quelli mo- venti gli organi della bocca, se ne farà cenno breve, parlando degli or- gani di digestione. Sistema nervoso ed organi del senso Nella sua configurazione generale, questo sistema, nei Lecanzum, ricorda benissimo quello delle altre cocciniglie, e perciò non ci saremmo indugiati più oltre a parlarne, se alcune particolarità, degne di nota, da noi trascurate nei Dacty/opius non meritassero più estesa menzione qui. 94 A. BERLESE Centri nervosi — Il ganglio sopraesofageo, (tav. XII fig. 1 a; ed altre tavole) è assolutamente piriforme, cioè più ristretto là dove tocca la faringe, più largo all’ innanzi. La superficie ventrale dei ganglio stesso , e però suddivisa in tre distinte porzioni, quasi tre lobi; dei quali il mediano convesso e rigonfio, si prolunga in due codette nervose nell’ interno del clipeo, come vedesi bene nella sezione longitudinale (tav. XI, fig. 2, @) e questi nervi sono . da noi stati riferiti ai nervi del labbro superiore di Strauss. I lobi laterali del ganglio sopraesofageo, larghi alla base (fig. 1 b, tav. XI), subito si restringono nel nervo ottico, così che appaiono, triangolari. Ma la superficie dorsale del ganglio, non è invece così lobata, anzi pianeggiante, senza troppo evidente distinzione in parti. Nei Lecanzin hesperidum adulti, trovai il ganglio sopresofageo, circa 200 » di lun- ghezza. Le commessure nervose che uniscono i due gangli (fig. 2, €, tav. XI) abbracciano strettamente la faringe (fig. 2, f, tav. X1), prima che questa sì ripieghi sopra l’ apofisi transversa supèriore dell’ ipostoma (fig, 2, d, tav. XI); indi, dirigendosi obliquamente in alto, sollecita- mente fra di loro si saldano, in modo che il foro pel quale passa la prima porzione dell’ intestino, è molto stretto e breve (vedi fig. 1 tav. XI). Così riunite, le commessure nervose, passando attraverso al forame dell’ ipostoma, e costituendo quasi un peduncolo lunghetto al ganglio sottoesofageo, con questo finalmente si fondono. Il ganglio toracico per così chiamarlo, (per quanto poco propria- mente come se si dicesse esofageo o ventrale, poichè risulta sempre di una porzione veramente cefalica, quale è il primo lobo, e del restante che appartiene al torace ed all’ addome, e ganglio sottoesofageo è, nello stretto significato della parola, solo il primo lobo della seconda massa nervosa), il ganglio toracico, adunque, è di forma perfettamente elittica, con contorni rotondati, nelle ninfe e negli adulti, ma ad angoli nelle larve, dove assume, proporzionatamente al corpo, uno sviluppo notevole, di gran lunga superiore a quanto sì vede nelle ninfe ed ancor più negli adulti. (Vedi per questo organo, tav. XII, fig. 1 e; tav. XI, fig. 1 g; fig. 2, 6 ed altre in altre tavole; per le larve vedi tav. 6 fig. 1, £: 2 6). La divisione della polpa interna di questo ganglio in cinque por- zioni, confuse assieme nel centro, separate però alla superficie, è assai bene manifesta anche in questo genere di cocciniglie, rimanendo così constatato che il primo lobo appartiene al capo e rappresenta il vero LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 95 ganglio esofageo; i tre successivi al torace; l’ ultimo all’ addome ed è l’unico centro nervoso, speciale a tutta questa grande parte del corpo. Dalla struttura di queste masse nervose sì può avere idea con se- zioni in piano e longitudinali (vedi fig. 1, tav. XI, sez. in piano; fig. 2 a, db, sez. longitudinale mediana). La membrana esilissima che avvolge la sostanza nervosa, si stacca facilmente dal resto della polpa, in seguito alle manipolazioni per le inclusioni nelle paraffine, e così staccata si vede bene, ad esempio, nella tav. XI, fig. 1 4, all’ orlo superiore del ganglio sopraesofageo. In questo, la sostanza granulosa, così riccamente nucleata e che si colora tanto intensamente colle tinture carminiche , (tav. XI, fig. 1, c), oltre ad avvolgere tntto il ganglio fino alle radici delle commessure, penetra con rami nella polpa più interna e suddivide tutto il ganglio in lobi, confusi assieme, per ciò che riguarda la polpa centrale, ma distinti presso la periferia. Veggasi adunque (stessa fig. 1) che la parte anteriore del ganglio, è triloba cioè in tre parti e suddivisa la polpa interna che non si tinge col carmino, e traccia di altre divisioni consimili, ma meno profonde si nota sui lati del ganglio stesso, dei quali lobi però, uno penetra profondamente a formare la radice del nervo ottico. Ma la sezione longitudinale mediana, (tav. XI, fig. 2 @) e meglio ancora altre di fianco alla mediana, mostrano chiaramente che la polpa interna del ganglio riceve nel suo centro un setto di sostanza granu- losa, proveniente dalla faccia ventrale od inferiore, così che apparisce un lobulo penetrante profondamente nel clipeo, dal quale partono poi i nervi del labbro superiore. Anche il lobo ottico, è alla sua superficie tutto ricoperto di so- stanza granulosa, che cessa là dove comincia il nervo ottico. Della suddivisione , per opera della crosta granulosa, di tutto il ganglio sottoesofageo in lobi, si è già detto, e nel Dactylopius e qui, abbastanza. Più interessante è lo studio dello modificazioni che subiscono i centri nervosi dalla larva alla ninfa femmina, mentre conservano poi questa loro ultima fabrica, anche nell’ adulto. Se si si esamina una larva appena nata, sia questa uscita dal- l’ uovo nel L. oleae 0, ancora immobile, partorita viva dal L. hesperidum, sì vedrà chiaramente che il ganglio sopraesofageo, è non solo di di- mensioni molto maggiori, proporzionatamente, che non nell’ adulto, ma che la forma ancora del ganglio stesso è molto diversa (fig. 1, 2, ta- vola VI). 96 A. BERLESE Diffatti, 1’ orlo anteriore del ganglio medesimo, che tocca quasi l'orlo anteriore del capo, è profondamenle trilobo, ed il lobo mediano, straordinariamente sviluppato, si protende superbamente all’ innanzi, ter- minando rotondato. Subito dopo però, sempre nella larva, purchè abba- stanza cresciuta, comincia ad apparire, dal lato ventrale, un solco tra- sverso, che divide la polpa granulosa cerebrale in due porzioni distinte; l'una anteriore triloba, 1’ altra posteriore che ha la forma consueta del ganglio sopraesofageo, quale si vede nelle ninfe e negli adulti. Veggasi questa disposizione nella figura 1 della tav. VI, dove d@ ed a sono le dette dve porzioni. In questo momento, i tre lobi anteriori del ganglio sopraesofageo (detta fig. d) sono già assai ridotti di volume. Sicuramente è che nella ninfa femmina, la parte che chiameremo accessoria, trilobata, anteriore (d) più non sì rinviene, e come sia spa- rita, se riassorbita nel resto del ganglio od altrimenti, non è facile dire. Certo è che nella larva, la porzione mediana del ganglio soprae- sofageo, sotto il solco che la divide dalla parte triloba, la crosta nu- cleata divide la polpa interna in due lobi, mentre una traccia della di- visione in tre lobi si scorge anche nell’ adulto, per opera della crosta nucleata, come già si è detto. È probabile adunque che si arresti o si renda meno attivo lo svi- luppo della polpa interna non nucleata del cervello, nel passaggio da larva a ninfa, e che tutta la parte nucleata anteriore, triloba della larva, venga a depositarsi con lobi più modesti sulla polpa interna e da un cervello così particolarmente formato se ne riduca uno trigono come di consueto, serbando insegna della trilobatura anteriore soltanto nel suo interno, senza sensibile traccia sul suo orlo anteriore. Ma nella prima ninfa di maschio, il cervello si mantiene, in quella vece, affatto simile a quello della larva (fig. 1 tav. VI), cioè i tre lobi anteriori così largamente sviluppati persistono. Ed ora ecco che ne avviene. Di questa porzione (che già segnammo con d nella fig. 1 più volte citata) che però si mantiene distinta dal resto del ganglio sopraesofa- geo, precisamente così come nella detta figura è delineato, sorgono, nelle ninfe del maschio, procedendo nello sviluppo, altre parti del cervello, in rapporto coi nuovi occhi, di cui il maschio adulto è provveduto. * 1 Questo vedemmo molto bene studiando gran numero di maschi, in tutti gli stati, di Philippia oleae, mancatoci, come si è detto, il materiale, quanto a maschi, nel L. oleae. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 97 Ed ecco adunque, che anche in questo organo importante, una ben manifesta regressione si osserva, nello sviluppo da larva a ninfa ed a- dulto, cosicchè è bene detto che la larva è meglio provveduta , negli organi suoi di relazione, che gli adulti, è questo fatto poco manifesto nei Dactylopius è più chiaro, per tanti altri caratteri nel L. hesperi- dum, meglio nel L. o/eae e manifestissimo poi negli Astrolecanium , nei Diaspiti ete. Ma regressione nello sviluppo del maschio non v' è. Perciò si può dire, che le larve d’ ambedue i sessi, nascono bene provvedute, per ciò che si riferisce alle masse ganglionari cefaliche, di quei rudimenti che saranno chiamati in seguito, o che dovrebbero es- serlo, a soccorrere, crescendo di perfezione, a più acuti organi del senso, nell’ adulto, ma se ciò avviene per un sesso più fortunato, per l’altro, cioè per le femmine, accade atrofia totale di questi rudimenti, inutili nell’ accrescimento dell’ individuo. Altre modificazioni si notano nel ganglio sottoesofageo. Ho già detto che il suo sviluppo è enorme, nella larva, e lo mostri la fig. 1 (tav. VI) ma quello che subito colpisce è la sua forma. Diffatti il con- torno di questo ganglio, si eleva, lateralmente, in larghi ed alti lobi, corrispondenti ai nervi di ciascuna zampa, i quali sono grossissimi. Tutto ciò dimostra nelle larve una assai maggiore energia dei nervi delle zampe, corrispondente a maggiore sviluppo di queste e a più grande attività loro. Invece il nervo mediano, che rappresenta tutta la catena ventrale, dai centri in poi, è debolissimo , nelle larve, assai più debole dei crurali, poichè qui non vi sono genitali da innervare, e il tubo digerente richiede, per se, poca cosa, quanto a nervatura. Oltre a questo, il ganglio sottoesofageo , è, nelle larve, lungo la linea mediana, alla faccia ventrale, profondamente solcato da una fes- sura che intacca altamente il ganglio stesso, rigettando di quà e di là la crosta nucleata, mentre esso solco, raggiunge la polpa interna. (vedi fig. 1, tav. VI). In questa scanalatura, sta profondamente nascosta la ouaina delle setole rostrali. Nelle ninfe di ambedue i sessi come negli adulti, il contorno del ganglio sottoesofageo è semplicemente arcuato ail’ infuori, racchiudendo una figura ellittica, nè della profonda fessura longitudinale ventrale, di cui si è detto nelle larve, esiste, nelle altre forme, alcuna traccia. Vediamo ora quali sono ì nervi che partono da queste masse ven- trali ganglionari. 9g A. BERLESE Nervi — Dal ganglio sopraesofageo prendono origine principalmente i nervi degli organi del senso più importanti. I nervi ottici, (fig. 1, tav. XII c; tav. XI, fig. 1 x) sorti dal lobo sono notevolmente lunghi nello adulto, dovendo raggiungere gli occhi così spostati lungo l’ orlo del corpo allargato: ma nelle larve essi sono così brevi, che quasi segnano un punto solo di passaggio tra il lobo ottico e la parte allargata del nervo. dietro il cristallino. | Il nervo ottico non dà rami di sorta, nè è, nel suo interno, for- nito di sferule o cellule od altro, ma la struttura sua è fibrosa nella sostanza sotto la guaina. Così diritto e di uniforme spessore corre fino all’ occhio, dove gradatamente si allarga a clava, mantenendo struttura fibrosa a fibre esilissime, longitudinali, anche in questa porzione più allar- gata, dove finalmente abbraccia il cristallino e sì invagina nel pigmento. Molto presso alla origine del nervo ottico, ma, questa volta, sul- l'angolo anteriore del lobo mediano del cervello, nasce, da mediocre rialzo, un secondo nervo, più esile del precedente, il quale dirigendosi dapprimo (fig. 1, tav. XI, e; tav. XII, fig. 1 0) all'innanzi, raggiunge il segmento basilare delle antenne, in questo penetra poi, e il suo ul- timo filamento si arricchisce, tutto attorno, di minute cellule bene nu- cleate, di circa 5 |» di diametro, rotondeggianti, e il loro rivestimento, rende l'estremità del nervo stesso quasi claviforme (fig. 1, tav. XI, #) e così grossa che riempie, pressochè per intero, tutta l’ antenna, rima- nendo al connettivo e all’ ipoderma il restante dello spazio racchiuso dallo involucro dermico. Ma l'orlo anteriore del ganglio sopraesofageo, dà origine ad altri nervi molto sottili, (fig. 1, tav. XII, d, d) nascenti in un fascetto di dae o tre per ciascun lato, fra le origini degli antennari, e poi, con ramificazioni dicotomiche numerosissime , si diffondono a tutta la por- zione celfalica anteriore e laterale, recandosi specialmente ad eccitare 1 numerosi muscoli che uniscono le due faccie del corpo fra di loro. Dei nervi che entrano nel clipeo (x. del labbro sup.) ho già detto. Nel ganglio sottoesofageo, si vede, assai presso alle origini delle commessure nervose, nascere di quà e di là un minutissimo nervo che corre parallelo alle commessure stesse, «entro il rostro, ad eccitare i mu- scoli motori delle parti di questo, dove non ha dominio il ganglio so- praesofageo (tav. XII, fig. 1, p). Subito dopo questo, procedendo allo indietro lungo 1’ orlo laterale, comparisce un nervo grossetto più del precedente ma assai meno dei se- guenti, che dirigendosi all'infuori ed all’innanzi, si ramifica (fig. 1, sa Pap, Ende! “a : 1 “3 ùi LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 99 tav. XII, f) spesso e si porta (a quanto potei vedere) ai corpi storti- formi, alle ghiandole salivari, nonchè ai muscoli della porzione cefalica contigua al torace. Questi sono î nervi proprii alla porzione anteriore del ganglio sot- toesofageo. Le tre successive porzioni della detta massa, proprie al torace, danno, ciascuna origine ad un grosso cordone nervoso; tre dunque se ne contano per ciascun lato, tra i quali il mediano (zampe 2° paio) più gracile, il posteriore, fra tutti più robusto e più lungo (stessa fig. 4, h, i). Questi vanno alle zampe, ma prima di raggiungerle, danno, per via, rami ai numerosi muscoli che incontrano, e biforcandosi* poi in presenza delle anche, mentre un loro ramo penetra in queste, un’ altro rimane libero e si espande, con suddivisioni multiple, nei lati allargati, squamiformi del corpo. i Intanto la porzione ultima del ganglio sottoesofageo, quel loho a- dunque che è più strettamente addominale, si prolunga in un assai grosso cordone nervoso (7) che se ne va, senza ramificarsi, tra il retto ed il ventre, fino a circa metà della lunghezza del retto stesso, dove sì triforca, senza però, che in questo punto di divisione, ingrossi così da assumere aspetto e struttura di ganglio. Di questa forca, i due rami (fig. suddetta we) laterali più grossi, suddividonsi in una quantità di rami minori che vanno ai genitali, ai muscoli dell’ estrema porzione del retto, e, se non erro, ancora ai mal- pighiani, diffondendosi poi anche ai muscoli dei lobi anali. Il nervo mediano della forca a tre branche suddetta, breve ed e- sile (stessa fig. ») si attacca al retto, e dirò in seguito come finisce. Non ho potuto rilevare traccia di sistema nervoso viscerale, e questo a mio credere, nelle cocciniglie fa difetto; mi è parso vedere, e se debbo credere ad una sola preparazione fra le moltissime che ancora conservo, mi è parso vedere, ripeto, uno dei rami nervosi, dipendenti da quelli laterali della forca terminale, attaccarsi ai malpighiani, ma non posso dire come, giacchè non posso rilevare se realmente questo nervo sia al suo posto o trasportato là dalla manipolazione, tutto affatto artificialmente. Certo è che il retto ha nervi dal ganglio sottoesofageo come ho già detto. Quanto alla terminazione degli ultimi e più sottili filamenti ner- vosi ecco brevemente quello che ho veduto e figurato. Dei principali nervi sensori si è già detto, ma nei motori, si notano gli ultimi rami spesso torulosi, quasi varicosi, e nei puuti così allargati, come neì punti delle ramificazioni estreme stanno, nella sostanza più interna, elementi discoidali (fig. 2, tav. XII, 8) forse nucleati, di dimensioni varie, non- chè granulazioni, oltre alla sostanza fibrosa (stessa fig. c), il tutto con- tenuto nella guaina (stessa fig. a). Ma in contatto dei muscoli, i nervi si allargano in piastre motrici (fig. 3, tav. XII, a, a) di varia for- ma, tutte coperte riccamente da elementi cellulari (stessa fig. 8) che sì colorano assai bene col carmino, di circa 5 a 6 p di diametro, ro- tondeggianti e a modesto contatto fra loro, provveduti ciascuno di nu- cleo. Uosiffatte placche si stendono sopra i muscoli, dove questi toccano i nervi. Ma la terminazione dei nervi sia nei genitali che nel retto, è assai diversa. Le fig. 4, 5 (tav. XII) dimostrano questa terminazione come avvenga. Certo è che il nervo del retto, dopo breve tratto, sì suddivide in parecchi rami principali, i quali corrono sulla tunica del retto stesso e vi si distribuiscono con finissime e quasi impercettibili ramificazioni, quasi a coda di cavallo (fig. 4, tav. XII, d, d; fig. 5, f. f. #) che si diffondono specialmente fra le fibre muscolari trasverse (fipiione)! Non dissimile è il modo di distribuzione degli ultimi filamenti ner- vosi nelle pareti dell’ ovidutto, ad irritarne le fibre muscolari. Sparsi sulla tunica dell’ intestino medio, si notano cellule, forse nervose, delle quali si parlerà a proposito degli organi della digestione. Organi dei sensi — Ci limitiamo alla descrizione dell’ occhio (nelle femmine) poichè della antenna si disse già abbastanza. L'occhio, collocato sempre al dorso, presso 1’ orlo laterale del capo, apparisce come una macchia nera circolare, entro alla quale sta un punto bianco, lucente. Nelle sezioni in piano, non è difficile che il taglio cada in modo da presentare bene la sezione di tutto l' organo della vista. Allora si può rilevare bene 1’ epidermide, sollevata in forma di tu- bercolo sopra l’ occhio, cioè una cornea (tav. XI, fig. 1, 9), sotto cui sta un corpo perfettamente sferico, trasparente, di 6 |. di diametro (nell’ adulto del L. hesperidum), immerso colla sua metà più interna in un letto nervoso, abbracciato tutto da un tubo di pigmento nero. Il pigmento granulare circonda, adunque, la base del cristallino, come la estrema parte nel nervo ottico. Questo, in questa parte, è poi allargato abbastanza da abbracciare in parte il cristallino, con un compatto fa- scetto di esilissime fibre. Il punto bianco lucente che si vede nel centro dell’ occhio, in un animale intero, corrisponde precisamente al cristallino. 100 A. BERLESE Tr e=*_ TTTTTy7y=Z7x 101 PICCOLE COMUNICAZIONI dirt A. N. BerLese — Parassiti del gelso vecchi e nuovi Specialmente nei gelsi dell’ Italia settentrionale prese largo sviluppo nella pri- mavera di quest’ anno una malattia, non nuova, ma che da molti anni non soleva infierire così da allarmare gli agricoltori ed i bachicultori. In parecchi giornali agrari trovai menzionato il fatto di questo straordinario sviluppo del morbo, e lessi cose sulla natura della malattia e del parassita che ne è causa, altre esatte, altre no, talchè non ritengo fuor di proposito ritornare sopra un argomento che svolsi parecchi anni or sono. ! Il seccume, o fersa, o scottatura che dir si voglia (che tale è la malattia di cui è parola) è vecchia conoscenza per gli agricoltori e gelsicoltori dell’ Italia settentrio- nale. Troviamo di essa esatti e dettagliati cenni fino dal 1814 in uno scritto del Carradori, dove si dice che è però da più tempo conosciuta. Accuratamente venne poi, cioè nel 1838 studiata dal Turpin, indi dal Coppa, dal Bèrenger dal Sandri, Bellani, Ridolfi, Salvani, Gera, etc. ete. (1840-48) i quali ebbero a fare non brevi di- scussioni sulle cause immediate della malattia che altri voleva d'origine meteorica , altri parassitaria. Le foglie infette presentano quelle macchie di bruciaticcio o di secco, piuttosto circolari, spesso orlate di bruno, che i gelsicoltori bene conoscono. Se molte di tali macchie infestano una medesima foglia, questa viene così disturbata nelle sue fun- zioni, da palesare sintomi di sofferenza, accartocciarsi ed anche disseccata in parte, staccarsi dal ramo. Ma casi di infezioni così violente, non tanto di frequente si re- gistrano ; anzi nella primavera (se questa corre convenientemente asciutta) il parassita si sviluppa in scarsa misura così da non attirare soverchiamente l’ attenzione del ba - chicoltore, il quale non tiene conto di poche foglie in parte guaste. Ma quest’ anno suecedette che il parassita si sviluppò oltre l’ usato, e le foglie affette perchè troppo frequenti e troppo malate furono oggetto d’ osservazione da parte dei gelsicoltori e bachicoltori, i quali, anche prescindendo pel momento dai danni recati dal parassita e del modo di combatterlo, si chiesero se foglie similmente maltrattate non avrebbero per avventura recato nocumento ai bachi che di esse andavano nutrendosi. Al che parecchi pratici ed uomini di scienza risposero allegando l’ opportunità di non dare ai bachi le foglie malate onde evitare la possibilità di cattive conseguenze. Però io francamente dichiaro che tale operazione (prescindendo dal tempo non indifferente che richiede la esclusione delle foglie infette) rappresenta una spesa di foglia (quella geitata) che non viene in alcun modo retribuita. È rarissimo il caso che le foglie di un ramo sieno così letteralmente invase dal fungo da dover essere tutte gettate. Più di fre- quente (anche quando è il caso di infezioni forti) nelle foglie più invase, che non sono mai tutte in un ramo, rimangono regioni sane piuttosto ampie, le quali possono 1 Vedi Berlese Le malattie dei Gelsi prodotte da parassiti vegetali — Padova 1SS5 e Fungi Moricolae — Padova 1885-91. 102 venire dai bachi impunemente mangiate, Il baco, come tutti i bruchi, esclude da sè quelle regioni fogliari che o per troppa resistenza nei tessuti, o per necrosi, non pos- sono soddisfare al suo appetito. Ora un simile fatto avviene quando ai bachi si danno foglie affette da seccume. Le aree di secco vengono dagli animali rifiutate. Qualcuno, edotto sull’ organizzazione del parassita che è causa del seccume, potrà dirmi che non le macchie di secco possono recare nocumento ai bachi, bensì i germi, o sporule, o conidi che dir si vogliano, del parassita medesimo i quali largamente sono diffusi nelle foglie infette. Un fatto di tale natura potrebbe anche avere una certa importanza, se non si pensasse che in un gelso infetto da seccume, con una discreta quantità di foglie intaccate, il numero dei conidi che sono prodotti dal parassita è tale da aver invasa la maggior parte delle foglie. Una esperienza semplicissima che ripetei parecchie volte, tempo addietro, riesce a convircerci. Un ramo vegeto e ben fronznto di gelso presentante 2-3 foglie infette , viene tagliato ed immerso in un bicchiere d’ acqua, e ricoperto con adatta campana di vetro dopo essere stato privato delle foglie infette e convenientemente irrorato con un pol- verizzatore finissimo. Or bene, è raro il caso che poche foglie scampino al parassita. Nel maggior numero dei casì ebbi a notare una infezione più o meno violenta, ma sempre abbastanza copiosa in quasi tutte le foglie. Dal che facilmente si deduce che all'atto del taglio il ramo portava foglie le quali per la maggior parte già avevano i germi della malattia. E ciò nel caso di poche foglie infette. Che cosa si dovrà dire nei casi di forti infezioni, come fu quello della scorsa primavera ? Le foglie sane, all’ atto della sfogliatura portavano già più o meno abbondantemente i conidi del fungo, e questi con ogni probabilità vennero mangiati dai bachi, senza che poi questi ultimi accusassero disturbi. Nè si può sostenere che il fungo eserciti una speciale azione nei tessuti fogliari trovantisi al di Jà della sua orbita d’ azione nettamente rappresentata dalla macchia di secco, poichè ciò non venne in alcun modo confermato. Ma più che insistere sopra fatti di tal natura, credo opportuno esporre se esi- stono rimedi contro questo parassita. Si consiglia di togliere le foglie ammalate, ma come altrove esposi, questo ri- medio è di una importanza assai relativa, poichè i sintomi di malattia sono evidenti bene a maturità del fungo, e quando la disseminazione dei germi è già almeno par- zialmente avvenuta, talchè i germi già diffusi bastano a riprodurre la malattia. Migliore prova diede I abbruciamento delle foglie in autunno, poichè alle tante cause naturali di distruzione dei germi che concorrono durante l'inverno a limitare il numero degli stessi, una di artificiale se ne aggiungerebbe, e non delle meno profittevoli. N Prof. Cuboni asserisce, coll’appoggio di esperimenti da lui stesso in più luoghi condotti, che l ordinaria poltiglia bordolese giova anche per difendere le foglie del gelso dal seccume, e ne consiglia I’ applicazione alle foglie di secondo getto in autunno onde limitare lo sviluppo autunnale del fungo, ciò porterebbe pure una diminuzione della malattia a primavera. Questa operazione, non molto costosa, può benissimo essere fatta, e ciò gioverà anche alla vegetazione della pianta, che risente vantaggio, come altre, dall'azione della calce e del rame. Siccome poi il fungillo può intaccare anche i rametti giovani e verdi, ed è probabile che ivi iberni, così mediante la potatura corta, si può limitare la diffusione. Il fungo del seceume ebbe nomi non pochi. Più in uso sono Septoria Mori, Phleospora Mori e Septogloeum Mori. Alcuni autori ritengono esatto il secondo nome, 103 altri il terzo. Certamente il primo, quantunque più noto, perchè più vecchio degli altri due, devesi abbandonare. In scienza sotto il nome di Septoria si intende un fungillo provveduto di uno speciale ricettacolo fatto a pera piuttosto grossa e corta, entro cui si annidano delle sporule sottili, foggiate a bastoncello. Il tutto naturalmente e piuttosto microscopico, cosicchè è necessario l’ uso di lenti d’ ingrandimento per vedere le parti nominate. Tale fu creduta essere la conformazione del fungo del gelso di cui è parola; sol- tanto si ammetteva che quei tali concettacoli piriformi sopra ricordati (o periteci), avessero una ‘arga apertura alla sommità, in luogo di essere ristretti a pera come è il caso comune delle Septorie. Però gli studi accurati di Briosi e Cavara, ch’ io ebbi agio di ripetere più volte, dimostrarono che questo organo speciale, o peritecio non esiste e che quelle minute punteggiature sporgenti che si osservano alla superficie delle regioni disseccate nelle foglie infette, sono date da un ammasso di tessuto cel- lulare fungmo ben limitato, il quale forma come una specie di cuscinetto (strato imeniale o stroma) sul quale spuntano delle numerose papille (basidi) ciascuna delle quali port all'apice un conidio, o seme del fungo, foggiato a bastone. Questi conidi poi a maturità si versano alla superficie della foglia. Sono essi (così minuti da rag- giungere al massimo 50 millesimi di millimetro) che rapidamente vengono trasportati dall’ ari: sulle foglie sane. Da quanto dissi risulta che non è esatto parlare di periteci in questa specie. Sora tale fatto insisto, poichè in qualche giornale lessi articoli inspirati ai lavori anterici alle osservazioni dei Sigg. Cavara e Briosi, che, come esatte vogliono essere accettite da tutti coloro che tengono a cuore il progresso scientifico. I quest’ anno vennero segnalati altri parassiti sul gelso. Così Boyer e Lambert descrisero due malattie una causata da un bacteride (Bacterium Mori) che il Cuboni ritien identico a quello da lui osservato fin dal 1890 sulle foglie di Gelsi e da Mac- chiat chiamato BaciWlus Cubonianus. Le foglie affette sono ricoperte alle due pagine di mechie nerastre nelle quali il tessuto è distrutto da una grande quantità di bactei. L'altra malattia osservata da Boyer e Lambert è più grave poichè fa morire ognianno una certa quantità di piante. Il Cuboni asserisce che sotto il nome di Ma? del Falchetto, si comprendono due malattie di diversa origine; una prodotta dal parassitismo dell’ Agaricus (Armillaria) melleus; l’altra da una speeie di colpo apoletico, per cui nelle piante in un periodo più o meno breve le foglie disseccano e cdono rapidamente, e la malattia comincìata nei rami più alti si propaga verso il baso, fino a che la pianta muore. I sigg. Prillieux et De la Croix ! pubblicarono in quest’ anno un accurato lavoro sul malattie del Gelso che divisero in tre gruppi cioè I. malatt'a della foglia, II. mattia del tronco e dei rami, III. malattia delle radici. Tra le prime accennano alla fersa ed alla nebbia. Tra i parassiti che determi- na) le malattie del secondo gruppo accennano al Polyporus hispidus (di cui danno ame una buona figura), che ritengono il più dannoso parassita del gelso tra quelli ch intaccano il tronco. In altra parte del giornale, dove diamo le rassegne dei la- vo di patalogia vegetale esporremo più dettagliatamente le osservazioni dei suddetti auri a proposito di questo e di altri parassiti. ! Prillieux ev Delacroix Maladies du Muriers — Anu. Inst, Nat. agron. XIII. 1893. 104 Nella terza categoria di malattie gli autori ricordano l’ Agaricus melleus, la Rosellinia aquila e la Dematophora necatrix. Queste ultime due sono nuove per la flora micologica del Gelso, e la seconda (che come alrove ho dimostrato è una ge- nuina fosellinia) riesce fortemente dannosa poichè determina una forma di marciu- me delle radici simile a quella prodotta dall’ Agaricus melleus. I suddetti Prillieux e De la Croix accennano anche a rimedi per combattere alcuni dei parassiti più dannosi. Nella rassegna dell’opera dei suddet:i autori il let- tore troverà questa parte esposta con molti dettagli. Il lavoro dei sigg. Prillieux et De la Croix è accuratissimo ed i parassiti di cui tratta si sono descritti e figurati con tutta quella cura e quei dettagli che si ri- chieggono dalla scienza moderna. Questi sono i principali parassiti del gelso osservati nello scorso e nel presen- te anno. 7 A. N. BerLESsE — Lo stato ascoforo del Coniothyrium Diplodiella (Rot blane della Vite) Nella Revue de Viticulture (Vol. II p. 197) i sigg. Viala e Ravaz som riusciti a trovare un fungo ascoforo che considerano lo stato perfetto del Conio®yrium Diplodiella. Gli egregi autori chiamano questa forma Charrinia Diplodiella *reando sulla stessa un genere nuovo che dedicano al sig. Charrin. I caratteri del fungillo si possono concretare nella seguente frase diagnotica. Peritheciis sparsis sphaeroideis, 140-160 n. d. emersis, nigris verrucosulis late ostiolatis; ascis cylindraceo-attenuatis, rectis vel curvulis, breviter stipitatis, junica subtili praeditis, paraphysibus tertio longioribus cinctis, 56 8,5 octosporis; spridiis saepe distichis, fusoideis primo hyalinis uni-septato-constrietis demum triseptati, ad septa socundaria leniter constrictis, pallidissime citrinis. Hab in rachide Vitis viniferae diu loco udo, gradatim exsiccato et retige- rato, servata in Gallia, socio Coniothyr. Dipl. Dai dati diagnostici esposti nel suddette lavoro, ed i quali mi servirono a corre- tare la diagnosi sopra esposta, a me non sembra che il fungo possa essere distacato dal genere Metasphaeria dove abbiamo pure qualche specie con parafisi più lurhe degli aschi. Tuttociò però purchè il fungo sia perfettamente maturo, laddove se so fosse stato ancora in via di sviluppo allorchè venne osservato dagli autori, ed aliuo completo svolgimento avesse avuto gli sporidii colorati (come si può sospettare lal fatto che essi sono secondo gli autori « avec une très lagère teinte citron clair») allora apparterrebbe al genere Leptosphaeria. Gli autori dicono che il loro fungo è affine al genere Massarina però la mancaza di muco, negli sporidi, la presenza di periteci piuttosto membranosi, piccolissimi, mn- tre fanno escludere che si tratti di una Massarina, trasportano nettamente il fn- gillo nel genere Metasphaeria per cui a mio modo di vedere lo stato ascoforo del lo- niothyrium Diplodiella deve essere chiamato Metasphaeria Diplodiella (Via et Ravaz) Berl. Allo scopo di accertare poi che questa forma è legata intimamente al Cow- thyrium attendiamo dagli egregi sperimentatori la riproduzione del Rot blanc n seguito ad inoculazione negli acini d'uva di sporidi della suddetta Metasphaen Diplodiella, 44 105 A. N. BerLEse — Gommosi non bacillare nella vite Nel loro lavoro sulla Gommosi bacillare i sigg. Prillieux et Delacroix descri- vono uno speciale stato morboso della vite il quale essi ritengono sia prodotto dal- l’azione di un bacteride che determinerebbe una degenerazione gommosa del legno che incominciando nelle regioni prossime al cambio, libro molle, e vasi del legno giovane, guadagnerebbe poi le cellule del parenchima legnoso, i raggi midollari e le fibre. Conseguenza di ciò sarebbero un rattrappimento dell’ intera pianta, uno svi luppo enorme nelle foglie (profondamente incise), la formazione di spaccature radiali nel legno già rammollito e picchiettato di nero, ed infine la morte del ceppo. Gli autori espongono l’idea che questa malattia corrisponda al mal nero, al Aubernage, e anche al Roncet. Foex e Viala non dividono quest’ opinione, e riten- gono che sotto il nome di Gommosi dacillare si comprendano delle cose diverse e normali. Rimandiamo ad altra occasione la discussione di queste differenti vedute. Richiamiamo qui invece l’attenzione del lettore sopra un fatto che a prima giunta almeno, sembra di natura diversa da quello osservato dai suddetti Prillieux e Dela- croix. Questo fatto si riferisce alla presenza di gommosi nella vite senza che vi inter- vengano i bacteri che sembrano ad essa specifici. Il Mangin ebbe a constatare che 1’ abbondante produzione di gomma in viti sane, segnalata del resto da molto tempo, non era affatto accompagnata da bacteri. Le sue osservazioni vennero fatte sopra preparazioni nelle quali la gomma era stata coagulata con acetato tribasico di piombo, e colorata col rosso di rutenio. Il processo impiegato fu il seguente: I tagli che erano collocati in alcool ven- nero direttamente trasportati nell’ estratto di Saturno, e dopo alcuni minuti ven- nero lavati ed immersi in una soluzione acquosa di rutenio. In seguito si disidra- tarono con alcool ed essenza di garofano, indi si montarono nel balsamo del canada alla benzina. Con questo procedimento la sola gomma rimane colorata. Nelle viti sane si osservano dei vasi che presentano tilli più o meno sviluppati mentre altri più numerosi privi di queste formazioni, sono tappezzati da un rivesti- mento gommoso più o meno spesso. Alle volte la gomma trovasi in così grande ab- bondanza da obliterare interamente la cavità del vaso. Il più sovente essa si rin- viene nel legno giovane e vecchio, allo stato di rivestimento. Quale è l’ origine di questa gomma? Si possono seguire tutti gli stadi sopra una sola sezione. Nello stadio più giovane, allorquando i vasi non offrono tracce di gomma, si vede che le pareti, delle cellule annesse che sono a contatto col vaso, presentano un sottile rivestimento di gomma, il quale si ispessisce poco a poco, ri- caccia il corpo protoplasmatico, e fa pressione sulla parete cellulare. Questa pressione determina una rottura della parete medesima in corrispondenza alle punteggiature della parete del vaso, ed allora la gomma si versa a poco a poco nella cavità va- scolare stessa. Siccome un vaso è a contatto con più cellule annesse, e per ognuna può ripetersi il fenomeno suddescritto, così si costituiscono sulla parete interna del vaso altrettante massule gommose, rotondeggianti, quante sono le cellule annesse medesime. Se la produzione di gomma è abbondante, queste massule si fondono l'una coll’ altra, e tutta la cavità del vaso rimane piena di gomma, che può essere - coagulata e colorata. Essa presenta una struttura finamente granulosa, però questi granuli nulla hanno a vedere coi bacteri. + 106 Il Mangin chiama le massule suddette ti/l gommosi, ed ammette che le cellule annesse dei vasi del legno, nella vite possono manifestare la loro attività in due modi distinti, cioè: o formando tilli normali, o producendo della gomma. Ad ogni modo nei casi di formazione di gomma osservati dal Mangin non si tratta mai di una degenerazione gommosa del legno, e le fibre lignificate e le pareti dei vasi con- servano la loro struttura normale. Rimane assodato colle ricerche del Mangin, che vi può esistere produzione di gomma anche nella vite, (come nel legno delle Rosacee, nell’ Acacia Vareck ete.) senza l’ intervento di microorganismi, o di cause morbose, la quale perciò mon sa- rebbe una gomma patalogica. La gommosi bacillare di Prillieux et Delacroix, se è le- gata, come l’ attestano gli autori, all’azione di un bacteride, è bene distinta da quella del Mangin, e maggiormente si avvicina al mal nero di cui tanto fu discusso in quest’ ultimo tempo. Attendiamo frattanto nuove ricerche da parte di Prilleaux e Delacroix, le quali vengano a dimostrarci rigorosamente e confermarci che la gommosi bacillare è un caso netto di malattia specifica, dovuta all’ azione di uno speciale bacteride, è quindi nettamente distinta dalla gommosi naturale del signor Mangin. A. N. BerLese — Due parole di risposta alla controcritica del Dott. G. Del Guercio. Ho letto stamane la controcritica pubblicata dal Dott. G. Del Guercio nelle Me- morie della Società Botanica Ituliana (Vol. I n.83) a proposito della mia rassegna del lavoro dello stesso Dott. Del Guercio sull’ infezione crittogamica manifestatasi sul Caloptenus italicus nelle basse piarure fiorentine. In questa penosa epoca di esami, quella lettura mi fece l’ impressione della rea- zione di uno studente che ha subìto una bocciatura, per un quattro nel tema scritto di Botanica. Forse ciò ha luogo anche pel fatto che il Dott. Del Guercio, fresco di studi non ha ancora dimenticato, scuole, esami, bocciature e che so io, ed usa del metro dello scolare. Che colpa ci ho io se il Dott. Del Guercio non ha saputo riconoscere la nota Empusa Grylli, e se si è impappinato nel classificarla, mentre è Y unica en- tomoftoracea che vive sugli Acrididei? Tutt' al più ho la colpa di essermi sobbarcata la noja ed il disgusto di fare la rassegna di un lavoro del quale era più opportuno non mi curassi, e passassi oltre. Ma ho veduto nelle Memorie della Società Botanica Italiana un debutto in pa- tologia vegetale; 1’ ho considerato un elaborato d’ esame e niente più, come si è soliti fare di fronte ai lavori di persone nuove alla scienza. Ho docezato il candidato per insufficiente corredo di cognizioni : ho espresso il mio giudizio nella forma la più serena, la più dignitosa, e mi capita addosso tutta quella roba di primo getto. Proprio mi duole di aver urtato tanta suscettibilità !! Un giudizio severo, ma del pari decoroso, giusto e disinteressato, sui due lavori ! pubblicati dal Dott. Del Guercio in collaborazione del Sig. Dott. Baroni, nel Bollet 1 I titoli di questi lavori sono « SuZla infezione prodotta nella Fragola dalla Sphae- vella Fragaric; e Rimedi contro la infezione prodotta sulle Ruse dalla Sphaerotheca pannosa: » : ro = e_ » fi 3 si A 107 tino e nelle Memorie della Società Botanica Italiana (vol. I n. 3) si trova in questo stesso fascicolo della Rivista di Patologia. Ma come si fa a pubblicare nelle Memorie della Società Botanica Italiana questi concetti? Le cellule del palizzata e dello spugnoso nelle foglie delle Fragole contengono « clorofilla disciolta nel plasma ed in granuli. » Il tessuto fascicolare dello stelo, risulta: « di archi di fasci riumiti in una zona continua, i quali hanno il xilema dalla parte esterna ed il floema all’ interno. » I fasci: « cellulo-vascolari del picciuolo sono disposti ad arco.. hanno lo xi- lema esternamente, il floema volto verso V interno. » Alla superficie della lamina fogliare « sì presentano i corpuscoli ovoidali, al- lungati, bruni o nero-violacei, che sono gli organi riproduttori comidiofori del parassita. » Per combattere 1’ Oidium delle Rose venne impiegato lo zolfo. « La solforazione fu preventiva, avendo di tratto in tratto applicato lo zolfo sulle piante prima della comparsa della malattia. » E verità di questa natura il Dott. G. Del Guercio va ad insegnare agli allievi della R. Scuola di Pomologia di Firenze?! Ma la controcritica del Dott. G. Del Guercio, ha 1’ incontestabile merito di aver- mi illuminato circa gli scopi della Nota sulla infezione crottogamica del Caloptenus. Infatti il Dott. Del Guercio dichiara nella controcritica di aver voluto dire con quella Nota che « era sperabile che V infezione si estendesse nel Fiorentino, come ac- cadde in Crimea, e liberasse le campagne dalla presenza delle Cavallette. » Queste ingenue speranze, dopo /o splendido successo di tutta quella batteria di emulsioni e di innaffiatoi a fungo schierati contro le orde di Cavallette, sono una geniale quanto opportuna trovata. Ma il Dott. Del Guercio poteva spingersi anche più in là, e spe- rare, e far sperare colla sua autorità di Patologo, che le Cavallette, distratto, de- motito anzi (per usare una sua parola) l’ ultimo fuscello d’' erba, si divorassero a vi- cenda, e Zberassero così le campagne, dalla loro presenza Ah! povere pianure Fio- rentine!! Vede, egregio dott. Del Guercio, Ella mi obbliga ancora a darle qualche altro consiglio. Studiare è buona cosa. Vincere l’ orrore e lo spavento che incute quell’ in- nocente ordigno che si chiama Microscopio è cosa saggia assai; abbandonare per un momento la dzicroina, le nauseabonde emulsioni di benzina, i saponi bianchi e neri, i petrolii, il solfuro di Carbonio ete. (specialmente quando si vede che non sempre incontrano presso le Commissioni deputate alla distruzione delle Cavallette, mentre vengono da quest’ ultime sopportati in santa pace) e darsi agli studi dei parassiti crittogamici, è pure lodevole intendimento; ma voglia studiare dunque ! Non si lasci trascinare a delle pubblicazioni sulle meraviglie che Le capitano sotto il campo del microscopio, poichè 90 volte sopra cento si tratta di cose elementari. Le pubblica- zioni sopra quelle meraviglie ad un lettore che ha sacrificato 14 anni allo studio di questi argomenti farebbero dire: si tratta di una persona che ritiene di essere nata scienziata, uno spostamento di cervello e niente più. Se poi il lettore avesse la pietosa idea di esporre con forma seria e garbata le sue osservazioni, si tirerebbe addosso, da parte dello scrittore, una controcritica che sarebbe l'ira di Dio, a prova sempre più convincente che si tratterebbe di un genuino quanto lagrimevole caso di spostamento cerebrale, 0 di una prosopopea mal giustifica! ile. 108 To invece, per esempio, fui schiavo di un altro principio, cioè studiare prima bene un argomento; poi, se ne era il caso, pubblicare, senza pretesa, quelle osserva- zioni che ritenevo potessero riuscire di qualche interesse! In questo modo passai 14 anni zufolando, (a prova che mi infischio altamente delle critiche e controcritiche per quanto infiorate di volgari invettive, e di basse insinuazioni) col naso sul microscopio, come Ella ben dice. Sono sicuro però di non essere senza macchia (sarebbe una stolta pretensione), ma il lungo studio mi valse almeno a saper giudicare quei lavori di abboracciatura, che non possono passare per interessanti nemmeno se sono protetti dalle garanti ali delle Memorie di una Società nazionale. Questa è la coscienza che mi ha guidato sempre nelle cose scientifiche, come in quelle della vita ordinaria, caro Del Guercio, ed ho la convinzione radicata che chi usa poca coscienza nel trattare gli argomenti scientifici, ne impieghi altrettanta nei casi della vita ordinaria. Come vede oggi sono in vena di sermone! Non si allarmi, e non mi scagli ad- dosso altre invettive, perchè, anche se meno basse di quelle ch’ Ella, con decoro tutto suo, mi avventò, io non mi porrò a livello di poterle raccogliere. Invece Ella farà bene a studiare di santa ragione, perchè per quanto si abbia la tendenza a lasciarsi gonfiare dalle persone altrettanto benevoli quanto poco competenti, colle quali si im- batte chi è obbligato a menar vita tra i campi allo scopo di distruggere i parassiti, non è bene il ritenersi di primo acchito possessori di quella fama che viene con lunga fatica (informi quel Sommo presso cui Ella si trova) per quanto la stessa, con lodevole intendimento, si cerchi di raggiungere. Dalle persone dei campi poi non è buona cosa imparare un modo di polemizzare inurbano, poichè non sempre si trovano delle persone benevoli come me, e disposte al compatimento. S' Ella poi ha smania di pubblicare lavori sui parassiti crittogamici senza la necessaria preparazione, si associ a qualche compiacente botanico. Vedo ch’ Ella già questa via segue. Ciò non è troppo lodevole per chi ha un sì elevato con- cetto di sè, da ritenersi atto a dare al mondo lavori di primario interesse sopra qua- lunque argomento, ma è una buona misura per conciliare la manìa di pubblicazione colla poca preparazione. | Da ultimo quale modesto socio della Società Botanica Italiana, esprimo una preghiera ed un voto; che cioè sieno più accuratamente vagliati i lavori che devono essere inseriti nelle Memorie o nel Bollettino della Società, e che non sì accettino polemiche, tanto meno poi quelle nelle quali, non sulo la scienza fa difetto, ma an- cora quella correttezza del dire e quella serietà di argomenti che sono proprie alle persone educate e colte. La pubblicazione di simili polemiche è una infrazione allo Statuto sociale, e contro di essa io, quale socio. cui sta altamente a cuore la dignità della Società, e dei suoi Atti ufficiali, sento il dovere di protestare energicamente. Dal Laboratorio di l'atologia vegetale della R. Scuola Enologica di Avellino, 15 luglio 1894. . Rassegne di lavori di Patologia vegetale Griffths A. B. — Sur la matière colorante du Micrococcus prodigiosus — (Compt. rend. CXV 6.— Ex Jahresber. der Agrikult-Chemie 1892, p. 358). L'infezione dei semi di frumento germoglianti con Mierococcuss prodigiosus , è seguita da corrosioni, come già dimostrò fin dal 1874 il Prillieux nel lavoro « Corrosion des grains de blé colorés en rose par des bacteries » (Boll. Soc. Bot. Fr. 1874). Il mierococco che si trova diffuso nella regione amilacea dei semi, distrugge una gran parte di questi, cioè primieramente i granuli d’ amido, poi le sostanze azotate e la cellulosa. Colla immersione dei semi in soluzioni di solfato di ferro o di rame, si può distruggere interamente il parassita. A. N. BERLESE Jolicoeur H. — Les Ravageurs de la Vigne — Reims, Paris 1894. È una pubblicazione di lusso. Consta di un volume in quarto di oltre 200 pa- gine di stampa nitida e di 20 tavole in cromo, nelle quali sono illustrati i princi- pali insetti e funghi dannosi alla vite. La parte più importante in queste illustrazioni l'hanno i diversi organi della vite affetti dalle malattie, poichè sono posti bene in rilievo i caratteri che costituiscono la malattia stessa. Non di rado però la pittrice, signorina Anna Bauler, (che trasse i disegni dalla natura) si lasciò trasportare a certe ricercatezze nell’ applicazione delle tinte, ad una cura così artatamente studiata nella pennellazione, che se è un pregio nelle miniature del 600, non indica sempre buona scuola negli acquarellisti e non sempre riesce a riprodurre cor quella fedeltà rigorosa che degli oggetti da rappresentare si ottiene con un tocco ardito e sicuro. Gli in- setti ed i funghi lasciano anche di più a desiderare. Tutto ciò che è stato ingran- dito ha perduto in verità, in ragione dell’ingrandimento. Le cose tolte dal micro- scopio sono addirittura insufficienti. I parassiti illustrati sono Cochylis, Tortrix , Noctua exrclamationis, Agrotis segetum, A. crassa, A. Obelisca, A. aquilina, ete., poi Altica ampelophaga, A- dora Vitis, Vesperus Xatarti, Rhychites Betuleti PhyUoxera, Phytoptus ete. etc. Tra i funghi abbiamo pure i soliti, cioè Qidium, Sphaceloma, Armillaria mel- lea, Dematophora ete. Per i più importanti parassiti sono esposti i caratteri esterni, quelli microscopici (ove il parassita sia microscopio) la storia è la distribuzione geo- grafica, la biologia, l' epoca e la natura dei danni, l’ influenza degli agenti esteriori, ed i mezzi di diffusione. i Negli intendimenti dell’ A. e degli editori, l’ opera è destinata a volgarizzare i punti più importanti della storia dei parassiti vegetali ed animali, onde i viticoltori devano riconoscerli e combatterli; però la mole, del libro, il lusso con cui è stampato, ed il relativo prezzo elevato, non sono fattori adatti ad un largo e continuo consulto da parte dei viticoltori, ai quali riescono assai più a portata libri di minori preten- sioni ed altrettanto (o forse più) popolari rispetto alla trattazione degli argomenti. Prof. A. N. BERLESE 110 Barth-Rufach — Veber di Behandlung der Reben mit kupfervitriolhiltigen Mit teln cum Schutz gegen die Peronospora. — (Elsass-lothr. landw. Zeitschr. 1592. Ex Jahresb. der Agrikult-Chemie 1892, p. 363). L'A. mediante speciale trattamento del solfato di rame, è riuscito a formare con questo e la calce una mescolanza polverulenta la quale nell'acqua fredda, in de- terminate proporzioni, dà una efficace poltiglia bordolese. Simili polveri sono in com- mercio anche da noi, sotto nomi diversi. A. N. BERLESE Bohm JI. — Uber die Kartoffell'rankheit. — (Sitz-Ber. I. dl. zool-bot. Ges. Wien 1982). Riporto le conclusioni alle quali giunse l'A. dopo parecchi anni di studi, tanto più che alcune di esse non sono punto in accordo con quanto è oggidì generalmente ammesso. 1° La vera putrefazione principia per la chiusura delle lenticelle, ed è conse- guenza di un arresto della respirazione. Il marciume provocato poi dai bacteri, è un fenomeno secondario. In seguito alla totale esclusione dall’ aria ha luogo la fermen- tazione butirrica. 2° Nella malattia delle patate in stretto senso, vengono uccisi i tessuti dalla Phytophthora infestans; le ulteriori alterazioni alle quali soggiace la carne morta dipendono dalla intensità dell'infezione, dalla grandezza dei tuberi, dalla tempera- tura e dalla umidità dell’aria ambiente. 5° Sotto condizioni favorevoli alle sviluppo dei bacteri, i tuberi diventano puzzolenti, ne segue a poco a poco l’ avvizzimento, e le cellule suberificano le pareti: Il tubero è infetto da gangrena secca. La suberificazione ha luogo dall’ esterno verso l’ interno. 4° La infezione dei tuberi nel terreno non segue mai allorchè i tegumenti sono intatti, ma viene determinata dagli insetti e dalle lumache. 5° Da un tubero ammalato per Plytophthora, o non si sviluppa alcuna pianta, oppure se ne sviluppa una interamente sana. La ora indubbia affermazione che la Phytophthora sverna nei tuberi, e con questi viene poi trasportata nei campi è, decisamente inesatta. Il modo e la forma di svernamento del fungo, sono intera- mente sconosciuti. 6° A 0°C il fungo non solo non si sviluppa più largamente nei tuberi infetti, ma ancora muore, soltanto la carne di questi attraversata dal medesimo, la quale pri- mieramente ha un aspetto normale, poi diviene puzzolente e indurisce (si suberifica- verkorkt). A. N. BERLESE Bruhne K. — Hormodendron Hordei.— Ein Beitrag zur kenntniss der Ger- stenkrankheiten. (In Zopfs Beitr. 2. Phystologie und Morpholog. niederer Organismen). Il lavoro è diviso in tre parti, cioè: I. Proprietà morfologiche più importanti del fungo. II. Alcune proprietà fisiologiche. II. Alcune provrietà biologiche. Una bella tavola correda la memoria. i L'A. coltivò il fungo in molti substrati. Migliori risultati ottenne colle gelatine nelle scatole Petri. Dal ricco micelio si sviluppano poi conidiofori con conidi disposti 111 a catenelle ramose, tipiche di Hormodendron. I conidi più grossi e più vecchi si di- vidono poi con uno-due setti traversi. Interessante è il fatto osservato dall’ A. rispetto alla presenza od assenza di speciali verruch?, o papille nei conidi, a seconda dei sub- strati nutritivi nei quali il fungo si svolse. Così da conidi verrucosi, si svolgono miceli e conidiofori i quali, in seguito a speciali alterazioni del substrato, danno conidi simili a quelli seminati, ma con mem- brana liscia. Ciò può accadere secondo l’ A. anche in natura, in causa delle forti al- terazioni a cui può andare soggetto il substrato nutritivo. D'altra parte i conidi lisci, sotto l’ azione di speciali fattori di nutrizione, pos- sono riprodurre conidi verrucosi. Anche il micelio può andare soggetto a modifica- zioni nella forma dei suoi elementi, a seconda dei mezzi nei quali si sviluppa. Nella seconda parte l’ A. si propone di risolvere le seguenti questioni: 1° Da quali sostanze il fungo può contemporaneamente trarre il Carbonio e l Azoto ad esso necessari. 2° Quali combinazioni possono servire come soluzioni azotate. 8° Da quali combinazioni il fungo può trarre il carbonio necessario. Dalle numerose culture intraprese risulta: 1° Che il peptone è assai conveniente per fornire al fungo contemporanea- mente carbonio ed azoto, mentre la leucina è meno adatta, e la asparagina ha de- boli proprietà nutritive.. 2° Il fungo può trarre l'azoto necessario dall’ammoniaca, e dai salì ammo- niacali. Ambedue però nutrono meno bene del peptone. Dei sali ammoniacali, è però il carbonato ammonico più conveniente del nitrato. 3° La serie degli zuccheri di canna (zucchero di canna, di latte, maltosio) come pure la serie degli zuccheri d'uva (destrosio, galactosio) e quella della cellulosa (Destrina, Inulina, Gomma arabica) ad eccezione della cellulosa, riescono nutrienti. Per studiare l’ influenza della concentrazione di alcune sostanze organiche ed inorganiche nello sviluppo del fungo 1° A. fece colture in soluzioni variamente concen- trate di molte sostanze (Zuccheri, Destrina, Inulina, Cloruro di calcio, di Magnesia, Solfato di Magnesia, di Potassa, di Soda, Fosfato di Soda, di Potassa, etc.) e concluse : 1° Che la debolezza dell’ accrescimento dipende dalla concentrazione del substrato. 2° Che coll’ aumentare la concentrazione i caratteri del micelio si alterano notevolmente. 3° Che le diverse concentrazioni hanno in generale una influenza sull’ origine 2 formazione dei conidi. Rispetto alla formazione di fermenti, 1° A. trovò che il fungo non hà il potere di intaccare l’amido, e quindi non emette alcun fermento diastasigeno, però pos- siede enzimi capaci di peptonizzare la gelatina; di peptonizzare la caseina, di inver- tire lo zucchero di canna (@nvertina), di separare la caseina dal latte (fermento del caglio). Così sperimentando l’ azione di diverse sostanze velenose l’ A. trovò che eserci- tano veramente un potere deleterio, l' acido carbolico al 5 °/,, ed il sublimato cor- risivo al 0,1 °%/- Pochi gradi sopra 0’ sono il minimum di temperatura per la germinazione dei conidi; tra 21° e 25° C. si trova Il optimum e fra 30°, 31° C. il marimum. 112 I conidi resistono per due mesi sia che si trovino all’ aria di una stanza, o in un essiccatore; non germogliano però più dopo tre mesi di tale soggiorno. L' Hormodendron Hordei deve poi essere considerato come un parassita facol- tativo come risulta da esperienze che 1° A. condusse. Siccome il fungo vive anche nell’ Hordeum murinum, così la distruzione di questa pianta potrebbe servire a frenare la diffusione della malattia. L'A. non dà la diagnosi latina del fungo e spende poche parole per la elassi- ficazione, soltanto dice che il suo fungo è uno stato conidiale di una sferiacea. Però siccome riesce spesso assai difficile dalle forme conidiali risalire a forme di fruttificazione più elevate, così egli si attiene ai risultati sistematici a cui può es- sere condotto dallo studio morfologico del fungo come si presenta in cultura, e l' a- scrive quindi al genere Hormodendron. Non potendolo poi identificare con alcuna delle specie note, lo chiama H. Hordei n. sp. Egli è certo che il lavoro del Bruhne è un diligente e pazientissimo studio; però io da mia parte ritengo che parecchie cose l° A. avrebbe potuto omettere, poichè non sono che la ripetizione di quanto già da tempo è stato fatto e rifatto per pa- recchi altrì funghi affini agli Hormodendron. Dal lato sistematico, (anche tacendo della mancanza di una diagnosi latina nella quale è doveroso concretare le proprietà morfologiche della specie, onde renderla distin- guibile) 1° A. avrebbe potuto trattare dell’ affinità del suo fungo cogli altri Hor- modendron e coi Cladosporium. Forse sarebbe arrivato alla conclusione cui giunsi io in un lavoro che vedrà presto la luce; cioè che tra i due generi Cladosporium od Hormodendron non vi sono differenze, ma il primo è un Hormodendron nel quale si sono staccati i rami ed i conidi come facilissimamente avviene in natura. Dalle figure e dalle proprietà morfologiche, si potrebbe vedere nell’ Hormoden- dron Hordei il Cladosporium herbarum delle biade od una sua forma. Ad ogni modo il lavoro del Dott. Bruhne è una accurata e seria illustrazione di un fungo inferiore, un assai interessante contributo alla morfologia ed alla biologia del genere Hormodendron. A. N. BERLESE Cuboni G. — GL effetti del gelo sui tralci e le gemme delle viti. (In Stazioni sperim. agr. ital. Vol. XXVI, fascicolo II, e Italia Agricola Anno XXXI num. 13). L' eccezionale mortalità delle viti per opera del freddo, verificatasi negli inverni dell’ ultimo decennio, nel quali il limite minimo cui è discesa la temperatura, non si discosta gran fatto dal limite normale, deve ricercarsi, secondo 1° A. nel minore grado di resistenza al freddo presentato dalle viti. I ripetuti attacchi di peronospora non combattuta affatto, o combattuta insufficientemente, hanno in molte località così indebolite le viti da renderle inette a resistere al freddo. Inoltre i trattamenti anti- peronosporici con miscela cuprocalcica, fatti in stagione avanzata e con dosi elevate di solfato di rame e calce, prolungando il periodo di vegetazione nelle viti ebbero per risultato di mantenere una quantità anormale di acqua nelle foglie e nei tralci i quali rimasero verdi e non bene lignificati. In queste condizioni colpiti dalle brine dell’ inverno soccombettero in gran numero. Ciò accadde largamente in Romagna nelle colline dell’ Appennino Modenese e Reggiano specialmente negli inverni 1887-88, 1890-94. 113 Gli effetti del freddo per la vite sono molto diversi, secondo le condizioni in- terne differenti delle viti, e secondo le condizioni esterne del come agisce il freddo. Le condizioni interne sono: 1° la natura del vitigno, 2° lo stato più o meno pro- spero delle viti, 3° la quantità di acqua contenuta nei tessuti. Quanto alle condizioni esteriori, lo stesso grado di freddo produce effetti diffe- renti secendo: 1° 1’ epoca in cui il freddo agisce, 2° la durata del freddo, 3° la ra- pidità dei cambiamenti di temperatura, 4° il ripetersi diverse volte di seguito il gelo ed il disgelo. 1 L'A. aggiunge una nitida tavola rappresentante l’ aspetto caratteristico che nelle sezioni trasversali o longitudinali presentano le gemme ed i tralci colpiti dal freddo in confronto colle gemme e coi tralci sani. In questi ultimi la zona erbacea (che si pone allo scoperto togliendo una parte della corteccia) è di colore verde vivace; in quelli gelati essa è di color cannella che qualche volta trae al verde sbiadito. Se una gemma sana si taglia alla base, si scorge che la superficie del taglio è di un bel verde carico, laddove se si tratta di gemma gelata questa superficie è giallo-bruna e solcata da lineette brune trasversali o radiali (vere fessure o screpo- lature). Il libro dei tralci si presenta qua e là necrosato e percorso da numerose spac- cature, gli altri tessuti non presentano tracce di lesioni. A. N. BERLESE DN Joist M. — Die vertilgung schmarotzender niederer Organismen mittelst kupfer- vitriollisung und Rkupfervitriolspecksteinmehls (In Deutsche landwirtschafti. Presse 1592. — Ex Zeitschr. Pflanz-krank. III, 5). I trattamenti con poltiglia bordolese all’ 1 °/,, si mostrarono utili per le malattie crittogamiche del susino, della vite, del melo, delle patate, dei piselli, delle -piante di giardino e di campo; viceversa riuscirono di nessuna azione per la distruzione dei bruchi, dei pidocchi, ete. Gli impolveramenti con solfato di rame e steatite (steatite cuprica) liberano i susini, le patate, le rose e simili, dalle malattie fogliari, e due trat- tamenti valgono anche per liberarle dai pidocchi, dagli acari, ete.; resistono invece i bruchi -della gran cavolaia. A. N. BERLESE Cavara F. — La brunissure de la vijne en Italie. (In Revue Internat. de Vatic. et de Oenolog. I, n. 1). Questa malattia della vite che venne constatata in parecchie località della Fran- cia, si presentò nel 1892 anche in Italia. L'A. l’ ebbe ad osservare sopra foglie di vite provenienti da vigneti dei dintorni d' Ancona. Dopo averne data una dettagliata ed accurata descrizione, l' A. passa ad esporre i risultati dello studio anatomico. Per la gentilezza del sign. René Ferry, l'A. potè avere degli esemplari autentici di dru- missure, mentre il sign. Sauvageau stesso riconobbe la malattia negli esemplari an- conetani dall’ A. speditigli. Con questo modo di procedere prudente e serio, lA. si trovò in possesso di foglie di vite affette da malattia che nessuno avrebbero potuto revocare in dubbio che fosse la drunissure di Viala e Sauvageau. Rifatti i tratta- menti indicati dai detti autori, il Cavara viene ad esporre alcune considerazioni sulla vera natura della malattia la quale secondo lui, non e riferibile all’ azione parassita- ria di un fungo. Anzitutto molto felicemente 1’ A. discute la questione dall’ assenza di spore nella Plasmodiwophora Vitis, e dice a tale proposito: « La mancanza di spore 8 Ò 114 a mio modo di vedere, è un fatto della più alta importanza, particolarmente dal punto di vista della biologia e della sistematica ». ! « Un organismo vivente, che si adatta a vita parassitica, può presentare una ri- duzione eccessiva nel suo apparecchio vegetativo, ma non può essere manchevole di organi riproduttori, poichè la pianta ospite deve presto o tardi, per necessità di legge naturale abbandonarlo a se stesso ». Anche la mancanza di deformazioni negli organi invasi serve di appoggio all’ A. per avvalorare le sue opinioni. Altre conside- razioni aggiunge poi l’ A. e conclude che in causa della indeterminazione morfologica del preteso plasmodio, della natura delle alterazioni fogliari, e dell’ andamento della infezione, egli sente di dover emettere un dubbio sulla etiologia di questa malattia quale era stata ammessa da Viala e Sauvageau. In luogo di un vero organismo vi- vente nelle cellule sotto forma di plasmodio, si tratterebbe piuttosto, secondo l’ A. di uno stato speciale del contenulo cellulare; di una alterazione chimica provata dai bruschi cangiamenti delle condizioni meteoriche, per cui il protoplasma cellulare, si mostrerebbe resistente all’ acqua di Javelle. L'A. è d’ opinione poi che le alterazioni ritenute dal Voglino come casi di brunissure siano piuttosto dovute al T'etranyehus telarius. Ciò gli risulta dagli esami di esemplari della malattia studiata dal A. N. BERLESE Voglino medesimo. Liebscher G. — Versuche ueber die Bekimpfung der Kartoffelkrankheit durch Kupfervitriolkalk-Mischung und durch Kupfervitriol-Speclstein-Pulver. (In Journal fiir Landwirtsch. — Ex Zitschr. fur Pflanz.-krank. III, 5). Le ricerche condotte nel 1891 diedero che i trattamenti coi preparati di rame non possono impedire del tutto uno scarso raccolto, sebbene colla steaite cuprica si sia avuto un prodotto di tuberi eguale a 735 Cgr. per ha., e collo impiego della pol- tiglia bordolese questo sia stato di Cgr. 1102. Dalle ricerche del 1892 risulta che di fronte a piante sane ma non trattate, l’impiego della poltiglia bordolese diede risultati sensibilmente migliori di quelli ot- tenuti dallo spolveramento con steatite cuprica. L'A. in seguito a questi risultati conclude che i preparati di rame devono avere una applicazione generale. A. N. BERLESE Del Guercio e Baroni. — Rimedi contro la infezione prodotta sulle Rose dalla Sphaerotheca pannosa. (Nel Boll. della Soc. Bot. Ital. 1894, n. 7). Allo scopo di distruggere ì' Oidium delle Rose gli A.A. provarono varie sostanze, cioè solfo con o senza solfato di rame, soluzioni di Rubina, di Pittacallo, di Sa- pone, di Catrame, ete., etc. Collo zolfo gli autori fecero trattamenti preventivi, e scrivono: L’ operazione fu preventiva avendo tratto in tratto applicato lo zolfo sulle piante prima della comparsa della malattia. Non ottennero però alcun risultato, poichè le piante « trattate nel 1892, in primavera, nell’ estate e nell'autunno, furono nel 1893, egualmente molestate, tanto nei tepidari che in piena terra ». 1 Altri lavori vennero pubblicati sulla brunissure dopo l’ apparsa di quello del Ga- vara. Specialmente interessante riesce quello del Debray, poichè in esso si afferma la na- cura parassitaria non solo, ma si pongono in rilievo degli organi che secondo ]’ A. sareb- bero vere spore. Di questi lavori ci occuperemo in altro numero della Rivista. PR 9 TA PRASSI A 115 Dopo ciò gli autori concludono « É inutile secondo noi, fino a questo momento almeno, di insistere più oltre in un sistema di cura, al quale ciecamente molti si attengono ». Gli egregi autori si attengano pure ciecamente allo zolfo, invece di provare altre sostanze di dubbia efficacia; soltanto, lo applichino quando la malattia si è sviluppata. L' Qidium delle Rose è molto simile a quello della Vite, e come questo (secondo esperienze fatte) si combatte colle solforazioni, come la peronospora delle patate si combatte colle irrorazioni di poltiglia bordolese al pari di quella della vite. Da anni io, come fanno tanti altri, vado inculcando questa massima agli agricoltori « Com- battete pure l cidio quando si è sviluppato, e la peronospora prima che appari sca ». La maggior parte degli agricoltori segue ora questa massima. ui due patologi autori della nota sopra riferita, ne approfittino pur essi. A. N. BERLESE E. Baroni e G. Del Guercio — Sulla infezione prodotta nelle Fragole dalla Sphaerella Fragarie. (Nelle Memorie della Società Botanica Italiana, Vo- lume I, num. 3). Gli autori chiamano infezione il modo di presentarsi della malattia cioè i carat- teri che offre, quindi anzichè del modo nel quale avviene 1’ infezione, (come si po- trebbe intendere dal titolo) gli autori trattano dei caratteri morfo-istologici che pre- sentano le foglie i picciuoli e gli steli intaccati dal parassita. Dopo aver espressa la convinzione che la indicazione dei mezzi di difesa per com- battere i parassiti, « è più scarsa nei trattati di patologia, che nei giornali di agri- coltura, orticoltura e giardinaggio » gli autori dicono che dal suddetto fatto « chiaro risulta quanto poco si faccia in fatto di biologia nelle scienze naturali, e come quasi sempre, mentre si conosce la struttura e perfino la natura chimica delle parti di una specie, si ignorano affatto i rapporti di vita fra la pianta, o animale che sia e l’ambiente nel quale questo o quella vivono ». (!) Tutto questo dicono per giustificare « il desiderio di cercare » tra le altre cose, « perchè la malattia, mentre si mostra abitualmente e sempre (?!) sulle lamine fo- gliari, è quasi rara sui picciuoli, e non intacca mai, o quasi, mai i rami vegetativi e e riproduttivi ». LE però in tutto il lavoro indarno si cerca la risposta, al problema che gli A.A. stessi sì proposero. Dopo esposti i databtori esterni della malattia gli A.A., descrivono la struttura delle foglie sane e trovano che « la sezione trasversa della lamina » presenta sotto l'epidermide superiore « tre strati di cellule a palizzata (in qualche punto anche due soli) rettangolari, strettamente unite fra loro, e ricche di materia verde di sciolta nel plasma od in granuli ». In corrispondenza della nervatura mediana poi trovano che il palizzata « invece di essere continuo, è interrotto, ed è sostituito da un piccolo gruppo di cellule tondeggianti, con parete mediocremente ispessita, e contenuto granulare di granelli incolori, ovoidali od irregolari, addossati alle pareti interne ». L’insieme di queste cellule è unito direttamente col grosso fascio cellulo-va- scolare. Dalle mie cognizioni botaniche mi risulta che nella maggior parte delle Alghe (come dicono i trattati di botanica generale) ed in tutte le altre piante verdi, la clorofilla si trova sotto forma di piccole masse arrotondate o poliedriche. Soltanto nelle Cianoficee ed in alcune Bacteriacee essa è in seno al protoplasma fondamentale 116 ed allo stato di impregnazione omogenea. Dalle mie osservazioni poi, risulta che la foglia della Fragola non fa eccezione rispetto allo stato « della materia verde ». Dalle stesse osservazioni mi risulta ancora che il palizzata è composto di due strati cel- lulari, soltanto qualche volta troviamo tre cellule sovrapposte, (vedi anche figura di Trelease) inoltre che nella nervatura mediana alla base, i fasci sono tre, finalmente « quell insieme di cellule piccole » cioè l'arco meccanico (o guaina meccanica) del xilema, è dato da cellule a parete assai ispessita. Anche nelle cellule dello spugnoso gli autori trovarono « granelli (sic!) cloro filliani, e clorofilla sciolta insieme allu sostanza protoplasmatica ». Nel picciuolo, secondo gli autori i fasci cellulo-vascolari sono disposti ad arco ed hanno « xe/ema esternamente, ed il floema volto verso l interno ». Questa speciale, quanto curiosa, inversione negli elementi dei fasci, gli A.A. avrebbero osservato anche nello stelo, poichè quivi « il tessuto vascolare secondo gli stessi, risulta di archi di fasci riuniti in zona continua i quali hanno xi/ema dalla parte esterna e floema all’ interno ». Però tutto ciò è falso, ed i fasci del picciuolo e dello stelo della fragola, non fanno eccezione; al disotto del tessuto corticale dello stelo, secondo gli A.A. esiste « una serie di cellule molto piccole, le quali sono strettamente unite fra loro, e formano una vera guaina intorno ai fasci ». Or bene questa serie di cellule invece è tripla, cioè al di dentro dell’ endoder- ma si trovano tre strati di stereidi pericicliche. Quanto poi al fungo che è causa della malattia, gli A.A. lo chiamano Sphaerella Fragariae e lo caratterizzano nel seguente modo: « ANla superficie della lamina sî presentano i corpuscoli ovoidali, allungati, bruni 0 nero-violacei, che sono gli organi riproduttori conidiofori del parassita ». Dopo di chè il lettore ne ha già abbastanza, per farsi un concetto sul corredo di cognizioni botaniche degli autori e sull’ importanza dei loro lavori, ed interrompo la rassegna. A. N. BERLESE Hartig R. — Septoria parasitica in dlteren Fichtenbestiinden. (In Forstl. na- turwiss. Zeitschrift 1893). Nelle piante di Pino, anche vecchie di 30 anni, reca in Germania gravi danni un fungo che Hartig denominò Septoria parasitica, e del quale diede figure e detta- gliate notizie nel numero di novembre 1890 della Zeitschrift fiir Forst-und Jagd- wesen. La malattia compare alla fine di maggio o nella prima metà di giugno, nei giovani germogli dei Pini i quali si riducono pendenti, indi in breve tempo muoiono e disseccano. L’ alterazione comincia verso la metà del germoglio, e si spinge poi sopra e sotto, cosichè l’ apice dei germogli ancora poco lignificati si raggrinza, av- vizzisce e perde le foglie, mentre la base spesso si mantiene in vita per un tempo più o meno lungo. Altre volte poi 1’ alterazione comincia alla base del germoglio, dove essa è ancora circondata dalle squame della gemma che terminava il ramo della annata precedente. In questo caso, o il germoglio si rende pendente ed avviz- zisce tutto intero, oppure piega l'apice verso il basso, sotto un angolo acuto. Dalle alterazioni prodotte dal gelo la malattia si distingue pel fatto che si manifesta prima in rami isolati, indi si allarga man mano. Dalla malattia del Chermes Abietis si di distingue poi per la mancanza di galle. 117 Nei ramoscelli ammalati si formano poi in estate dei piccoli picnidi, e cioè parte nei pulvinuli delle foglie, parte alla superficie del germoglio. Sono specialmente nu- merosi alla base dei germogli, parimenti possono manifestarsi nelle foglie disseccate dell’ estremità dei germogli medesimi. Contengono questi picnidi delle sporule bicel- lulari che seminate in primavera sopra germogli sani, riproducono il fungo dal quale rimangono uccisi nel corso di 1-2 settimane. La malattia passa da pianta a pianta, e ne determina la morte. In una superficie di 0,40 ha. si sono verificate, per mezzo della malattia, delle grandi radure, risparmiando le quercie ed i faggi che si tro- vavano frammisti ai pinì. Il parassita non intacca soltanto le piante dei vivai, ma anche i pini di 30 anni e più. A prevenire l’ allargarsi del male, è utile tagliare i rami infetti, o sradicare le piante ammalate. A. N. BERLESE Hennings P. — Die schidlichen Kryptogamen unseres Gewcichshiuser. (In Gartenflora 1893. — Ex Beihefte zum Bot. Centr. Band IV, p. 300). L'autore dà l' enumerazione, ed una breve descrizione delle crittogame che per lo più si trovano diffuse nelle conserve e nelle serre. Egli principia colle Cyano- phyceae, e tratta, oltre che di diverse Oscilaria, Cylindrospermum, Nostoc e Hy- pheothrix sp., principalmente dello Scytonema intricatum, il quale fortemente invade sotto forma di pellicole, incrostazioni, o macchie brune vellutate, le foglie di diverse piante di serra. Fra le Ch/orophyceae 1 autore dà per dannosa specialmente la Vau- cheria terrestris, poichè il rivestimento formato da quest’ alga non determina soltanto un inacidimento della terra del vaso, ma ancora mantiene interamente umida la su- perficie della stessa, mentre gli strati sottostanti rimangono lungamente secchi. Nelle serre riesce specialmente dannosa e difficile ad estirparsi, la Trentepolia la- gemifera. I Miromiceti (specialmente la Fuligo septica) riescono dannosi soltanto alle talee ed alle barbatelle. Fra le Peronosporacee, l’ A. ricorda principalmente la Phy- tophthora Cactorum; una parte secondaria hanno le Uredinee e le Ustilagenee. Di rincontro I’ A. enumera molti Basidiomiceti, specialmente quelli che intac- cano i legnami delle conserve, le casse, etc. Essi recano danni e possono anche in- taccare le piante stesse. Molto diffuso 1’ A. trovò il Polyporus Vaillanti. In fine an- che un numero di Ascomiceti venne dall’ A. osservato nelle conserve. Delle Briofite vengono specialmente ricordate Marchantia e Lunularia. A. N. BERLESE Lindau G. Der Epheukrebs. (In Zeitser. fur Pflanzkr. IV Band, Heft 1.) Trattasi di una speciale malattia dell’ Edera, osservata dall’ A. a Berlino, ed assai somigliante per l'aspetto al cancro del Frassino descritto dal Noak. Le altera- zioni che l'A. illustra con una tavola, si mostrano sui cauli e sulle foglie determi nandone finalmente la morte. I giovani stadi consistono in un piccolo rigonfiamento che si distingue dall’ epidermide pel suo colore alquanto più carico. Questo rigonfia- mento poi si accresce e diventa bruno in seguito alla morte dell’ epidermide. Da ul- timo si fende longitudinalmente nel mezzo indi la ferita si allarga così da abbrac- ciare il caule. Ordinariamente in questo stadio il legno è denudato e già screpolato. Conseguenza di ciò è la morte della corteccia in quel punto ed il disseecamento della parte sovrastante del caule. 118 Nel tronco la malattia non si sviluppa. Nelle foglie appariscono delle macchie brune le quali sono visibili per lo più alla faccia superiore, piuttosto piccole e le quali finalmente, cioè dopo la morte dei tessuti si crepolano. Causa della malattia è un bacteride molto piccolo, cioè 2 !/, ». (?) baculiforme, un po’ ingrossato alle estre- mità. Nei giovani stadi le alterazioni anatomiche si riducono alle divisioni tangen- ziale degli elementi del primo o secondo strato di ipoderma. L’ epidermide allora è già imbrunito, al di sotto del periderma formantesi, il tessuto è sano. Intorno alla ferita le cellule epidermiche sono trasformate in una sostanza bruna, e lungo la fe- rita stessa le cellule sono irreconoscibili e i frammenti delle brune membrane sono incluse in mucilagine, incolora. Tutta la regione della ferita è limitata verso il basso da 3-4 strati di periderma, al di là dei quali i tessuti si trovano allo stato normale. A lungo andare nemmeno gli strati di sovero difendono dall’ invadente alterazione, e la mucilagine guadagna tutta la corteccia, e parte del leptoma spingendosi fino al legno. Verso i lati però esiste ancora uno strato di periderma. Finalmente anche gli elementi legnosi vengono corrosi al pari di quelli corticali. Nelle foglie si mostra pure il muco coi bacteri. Rispetto alla questione se i suindicati bacteri sieno causa od effetto della ma- lattia, I A. dice che a risolverla nettamente sarebbero state necessarie delle espe- rienze di inoculazione, le quali sgraziamente egli non potè condurre. Circa il modo nel quale avverrebbe l’ infezione, l’ A. dichiara di non aver dei dati precisi, però egli espone due casi di possibilità del fenomeno. Nel primo caso 1’ infezione avverrebbe per le cicatrici lasciate dai peli caduti, e non bene chiuse; nel secondo per le scre- polature della cuticola prodottevi dal non poter seguire lo sviluppo rapido dei sotto- stanti tessuti, proveniente da una generosa nutrizione delle piante. Le piante ammalate sono poi intaccate da altri funghi. L’ A. in alcuni caneri trovò dei pienidi con sporule ovoidee, però il materiale fu così scarso da non per- mettere la classificazione. Ad ogni modo l' A. esclude che si tratti di un parassita in rapporto col cancro stesso, poichè nei giovani stadi della malattia, egli non riuscì ad osservare tracce di micelio. A. N. BERLESE Navaschin — Uber cine neue Sclerotinia, vergleichen mit Sclerotinia Rhododendri (In Berichte der Deutsch. Bot. Ges. XII, n. 5.) L'A. la chiama Selerotinia Ledi poichè vive sul Ledum palustre. Dopo aver completato lo studio biologico, egli potè constatare che la sua specie pur avendo una notevole rassomiglianza colla S. Rkododendri, ne era sufficientemente distinta. Nell’ habitus gli apoteci delle due specie si distinguono pel fatto che i rizoidi di quest’ ultima, sembrano sostituiti da una sottile barba grigia. La struttura non offre differenze, in ambedue le specie, gli sporidî sono avvolti da muco. Vi sono però ancora queste differenze, 1° Nella S. Ledi le parafisi sono rigonfiate all’ estremità e forcate. 2° In soluzione nutritiva si ottengono un vigoroso micelio e conidiofori, con conidi che raggiungono una piena maturita, ed i cui disgiuntori per la loro piccolezza sono quasi invisibili. All aperto gli apoteci furono trovati dall’ A. nella prima metà del maggio, nel qual tempo le piante di Ledum posseggono già foglie giovani e fiori. Di questa specie e di un altra pure nuova (Sel. Ali) in altro lavoro l'A. ci darà le diagnosi. A. N. BERLESE i 119 Otto R. — Untersuchungen ueber das Verhalten der Pflanzenwurzeln gegen Kupferzalzlòsungen. (In Zeitser. Pflanzenkr. III. 6.) L'A. si propose: 1° di vedere a quali alterazioni morfologiche andavano sog- getti il sistema radicale e la parte caulinare di piante (Phaseolus vulgaris, Zea Mays, Pisum sativum) che per un lungo tempo erano rimaste colle loro radici in soluzioni di soliato di rame, come pure in acqua distillata, ed in acqua di acque- dotto. 2° constatare se il rame veniva raccolto in quantità significante dal corpo radicale, se esso poteva venire asportato dalle radici trovandosi sotto forma solubile e se si poteva rilevare la sua presenza nelle radici e nella parte sopraterranea. In un primo ordine di ricerche l' A. impiegò piantine di Fagiuolo ottenute dalla germogliazione dei semi nel germogliatore Nobbe. Queste vennero poi disposte in tre serie cioè; A piante in acqua distillata cui si aggiunsero 100 cem. cubici di solu- zione nutritiva per litro !; B Piante in acqua di acquedotto con 100 cem. di soluzione nutritiva per litro; C Pianta in acqua di acquedotto con 100 cem. di soluzione nu- tritiva, e 0,022 gr. di sol ato di rame. La reazione dei due liquidi era assai debol- mente acida. Le ricerche principiarono il giorno 11 maggio 1891 e terminarono il 30 giugno. Le piante crebbero bene e fiorirono. Il sistema radicale nella terza serie si è imbranito. La ricerca del rame (con ammoniaca) dimostrò soltanto la presenza di una debolissima traccia di rame nel corpo radicale. In una seconda serie di ricerche furono scelte quattro piante di Mais e disposte nel modo seguente: A in 3,5 1. di acqua di acquedotto + 175 cem. di soluzione nutritiva. B 3,5 I. di acqua distillata + 175 cem. di soluzione nutritiva. C 3,4 1. di acqua di acquedotto + 175 cem. di soluzione nutritiva + 00,87 gr. di solfato di rame. D 3,5 1. di acqua di acquedotto + 175 cem. di soluzione nutritiva, + 0,156 gr. di solfato di rame. Le tre prime soluzioni davano reazione poco acida, la quarta neutra. Le ricet- che incominciarono il 27 maggio e terminarono il 16 giugno, nel qual giorno le piante di A, B mostrarono sviluppo normale. Quelle di C e D rimasero più brevi ed ebbero le foglie, tutte o quasi tutte, all’ estremità giallo-brune, ravvolte a spira, indi secche. Anche il sistema radicale presentò sintomi di sofferenza. L’ analisi dimostrò tracce minime di rame, soltanto nella parte aerea di D. Nel sistema radicale delle stesse piante il rame esisteva pure ma in così debole quantità da sfuggire all'analisi quantitativa. La terza serie di esperienze fu fatta con piante di Pisello e nei modi indicati per la precedente. Dopo 28 giorni ecco quanto si trovò. Le piante A-B crebbero normalmente. Le piante C-D ebbero danneggiate le radici che si presentarono sten- tate; quelle secondarie rimasero brevi (circa 2 mm. lunghe) ed annerirono, anche le principali ebbero l’° estremità brune. Nella parte aerea di C-D non si trovò rame, e ne’ corpi radicali soltanto tracce. Le conclusioni alle quali arriva l'A. sono le seguenti: Le piante di Pisello, Fa- giuolo e Mais, che si lasciano crescere in soluzioni relativamente concentrate di sol- 1 La soluzione nutritiva impiegata è la seguente, Solfato di Magnesia gr. 2.46, Clorato di potassa gr. 2,98, Nitralo di calce gr. 6,56, Fosfato di calce gr. 2,20, Acqua cem. 1200. 120 fato di rame non assorbono il rame. Il protoplasma vivente, lascia passare il rame osmoticamente assai difficilmente, o nulla affatto. Evidentemente può la soluzione uccidere le cellule, e dopo entrare nelle stesse, ed allora essere portata anche nelle parti aeree delle piante. A. N. BERLESE G. Foex et P. Viala — La Gélivure de la vigne — maladie des sarments — (Im Revue de Viticult. Année I, n. 6, p. 129 ) È una alterazione dei sarmenti osservata fin dal 1892 nell’ Hérault, che è ri- comparsa quest'anno nei dintorni di Orange, nel dipartimento dell’ Allier, dell’ Hèrault, del Var. Le foglie delle piante attaccate non mostrano alcuna azione diretta della ma- lattia, quelle poste sopra i sarmenti ammalati ne mostrano però gli effetti indiretti. La malattia si appalesa vesso la seconda quindicina di maggio; la estremità dei rametti erbacei annerisce e dissecca senza disarticolarsi; 1’ alterazione si propaga verso la base e nei rami principali avviene allora la emissione di numerosi getti al disopra delle parti ammalate, per cui i ceppi assumono l’ aspetto caratteristico di teste di cavolo. Queste nuove ramificazioni possono rimanere immuni dalla malattia, il che avviene se si sono formate nell’ agosto o nel settembre. I meritalli si sviluppano irregolarmente, i nodi sono irregolarmente più ravvici- nati e presentano tracce dell’ alterazione solo in ultime quando l'intero sarmento è invaso. Nei sarmenti più vecchi, al principio dell'invasione i caratteri dell’ altera- zione si osservano sotto forma di striscie longitudinali brune dapprima, poscia fosche che si allargano fino ad invadere l’intero meritallo che si fende leggermente qua e là oppure presenta delle escoriazioni che penetrano ora fino al cambio ed ora fino al libro. Talvolta queste escoriazioni vengono sotto forma di tante placche irregolari. In ogni caso le alterazioni si propagano fino al cambio, lo imbrunimento in- vade la intera periferia del meritallo, ed allora secondo la direzione delle primitive linee di imbrunimento si aprono delle fenditure cuneiformi che interessano il cambio; alla base dei grossi sarmenti invasi si formano in abbondanza numerose false lenti- celle alla cui base si depositano degli ammassi amorfi calcarei, che si riscontrano pure in altre parti dei sarmenti ammalati. Queste false lenticelle disseccano rapida- mente, le cellule suberose si dissociano formando una polvere che potrebbe essere scambiata con un ammasso di spore. Tanto le fenditure che le escoriazioni possono cicatrizzare, le prime di norma dopo cicatrizzate vengono a spaccarsi nuovamente in seguito alla proliferazione della zona rigeneratrice. All’imbrunimento delle varie parti segue il disseccamento, che si osserva dap- prima nei varî tessuti del meritallo ed in ultimo si propaga alle gemme ed ai nodi. É superfluo aggiungere che i grappoli disseccano prematuramente in quello stato in cui si trovano al momento della morte dei rami. In tutte le lesioni causate dalla GèZivure gli A.A. hanno costantemente ritro- vato un batterio al quale è probabile si possa attribuire la malattia; però le prove d'inoculazione eseguite dagli A.A. non dettero alcun risultato positivo, il che dipende forse dall’ epoca tardiva in cui detti saggi vennero condotti. Da prove condotte dal signor Palmier, un miscuglio a parti uguali di solfo e calce quale usasi contro l’ Antracnosi, ha dato buoni risultati, il che lascia sperare che questa muova malattia si possa combattere con successo. Dr. V. PeGLION 121 L. Ravaz — Sur une maladie de la Vigne causée par le Botr ytis cinerea — In Revue de Viticult. anno I, p. 608. In questa breve comunicazione all’ Accademia delle Scienze, l' A. descrive una speciale alterazione dalle foglie, osservata nello Charentes, e dovuta alla ben nota Botrytis cinerea. La malattia cui dà luogo si può osservare eziandio sopra i rametti, i peduncoli ete. Delle spore ottenute da colture pure sono state seminate sopra foglie di vite allevate in serra mantenute a 28°; 22 ore dopo la semina si osservarono le caratteristiche alterazioni delle foglie stesse. Perchè l’ infezione riesca occorre semi- nare le spore in goccie di soluzione nutritiva, preventivamente sparsa sulle foglie. Se si seminano in goccie di acqua piovana l'infezione non riesce. Si potrebbe opi- nare quindi secondo 1 A. che le foglie e gli organi erbacei segreghino dei corpi che si oppongono alla germinazione delle spore dei parassiti e che solo in condizioni spe- | ciali costituenti un ambiente favorevolissimo allo sviluppo dei parassiti, questi spe- cialmente se a parassitismo poco accentuato, possono invadere i tessuti viventi. Dr. V. PeGLION P. Viala — La « Brulùre » de la Vigne — In Rev. de Viticult., 1.é6re Annee, p. 622. È una breve nota che conferma le osservazioni di Ravaz riassunte più sopra. Il parassitismo della Botrytis cinerea induce una alterazione « brulùre » che gli ame- ricani denominano « Burn-rot », ben distinta dal colpo di sole « sun scald »; ora la malattia descritta da Ravaz ha caratteri perfettamente concordanti con quelli del « Burn-rot » e con quelli di una consimile alterazione del fogliame e dei sarmenti erbacei la cui presenza era stata da Viala segnalata in vari centri viticoli, segnata- mente nel Mèdoc, nella Bourgogne ed in Algeria. Dr. V. PEGLION A. Giard — A propos du parasitisme du Botrytis cinerea — Rev. de Vaiticult. 1.ére Anne, p. 624 L'A. ricorda i lavori di Miller, Woronin, Kissling, Marshall Ward riflettenti la biologia della B. cinerea, notando che i conidi essendo dei frammenti di micelio, se quest'ultimo viene reso più vigoroso da un mezzo nutritivo favorevole, i corpi ripro- duttori saranno anch’ essi più vigorosi. Ricorda che di tre generazioni successive di Botrytis cinerea, ottenute in un substrato favorevole, la prima non è capace di pro- durre infezioni nelle foglie crasse di Sempervivum, la seconda produce questa infe- zione, la terza è molto virulenta. L'influenza del substrato sopra la virulenza di un dato parassita è d’ altronde dimostrata per numerosi altri funghi tra i quali l'A. ri- corda 1} Isaria densa. In ultimo nota che la composizione chimica influisce larga- mente sulla penetrazione del parassita. Prillieux et Delacroix — La gommose bacillaire des vignes frangaises — Revue de Viticult. 1.6re Année, vol. II. p. 5. Gli AA, accennato agli studi di Savastano, Garovaglio, Cugini, Cuboni, Comes, Pirotta circa il « mal nero » della vite, notano che una consimile malattia esiste in Francia da più tempo, sebbene il vero suo carattere sia stato finora misconosciuto. Nella corrente annata si è diffusa in modo allarmante in Tunisia, nel Varo, nel Bor- dlolese, ed in altri punti. I caratteri di essa concordano nelle relazioni avute da queste varie regioni. All esame anatomico si nota una degenerazicne gommosa del legno 122 giovane che invade quindi il parenchima legnoso, i raggi midollari e le fibre. Al principio dell’ infezione i vasi hanno il lume ostruito da tilli numerosi e vi si notano numerosi batterii, mobili, isolati che si coltivano nel brodo, nel succo di prugne, ge- latinizzati. Queste culture inoculate a viti sane hanno riprodotta la malattia: risul- tati tutti concordanti con quelli ottenuti dal Baccarini neile sue ricerche sul Mal nero. Molti funghi saprofiti mascherano l’azione del bacillo parassita ed affrettano la di- struzione delle parti invase. L'esame di un ceppo colpito da Mal nero, proveniente dall’ Italia ha mostrato alterazioni identiche a quelle presentate delle viti ammalate francesi. Se a ciò si unisce il fatto che all'impianto dei vigneti ammalati del Varo e della Tunisia vennero spesso adibiti vitigni provenienti dall’ Italia, non si potrà non concepire, osservano gli AA > la tendenza di riavvicinare la gommosi bacillare delle viti francesi al Mal nero. P. Viala — Gélivure et Gommose bacillaire — Rev. de Viticult. Vol. II, p. 17. Sono poche righe in cui 1’ A., accennata alla diffusione sempre maggiore che va acquistando la malattia descritta da Prillieux et Delacroix, nota come il batterio che cagiona la malattia invada attualmente i peduncoli dei grappoli che fa disseccare e cadere. Dagli esemplari presi in esame da Foex e dall’ A. .risulterebbe l'identità di questa malattia colla « gélivure » i cui caratteri sono esposti in riassunto più sopra. Dott. V. PeGLION C. Sauvageau et J. Perraud — La maladie pectique de la Vigne — Revue de Viticult. Vol. II p. 9. È una alterazione, osservata nei vigneti del Beaujolais, che gli AA. pongono nel novero delle malattie fisiologiche. Si osserva sulle foglie della base dei sarmenti, il cui lembo arrossa o ingiallisce, si distacca dal picciuolo e cade, seguìto a breve intervallo anche da questo. Più tardi, o contemporaneamente, si distaccano anche i fiorellini e talvolta anche gl’interi grappolini; la malattia si è sviluppata in terreni aridi, nei quali dopo un lungo periodo di secco sono precipitate abbondanti piogge, attaccando con uguale intesità i diversi vitigni europei, mentre le Riparia, il Vialla e l Othello resistono abbastanza. i L'esame microscopico del punto d’ inserzione del lembo sul picciuolo, mostra gli elementi cellulari distaccati gli uni dagli altri in corrispondenza della superficie di distacco di quei due organi. Tale dissociazione è dovuta alla scomparsa della lamella mediana che secondo le recenti ricerche di Mangin sarebbe formata da pectato calcico, e che è molto spiccata nel collenchima. Nei fasci si nota una alterazione consimile nella parte legnosa il cui parenchima è dissociato, i vasi giaciono in una specie di lacuna, e sono ostruiti da tilli, o da depositi spessi giallastri o bruni. Le stesse al terazioni si osservano nei grappoli. Gli AA. attribuiscono la malattia ad una imperfetta circolazione della linfa, € paragonano la dissoluzione della lamella mediana a ciò che succede quando i frutti raggiungono la sopramaturazione. É una malattia che dipende dalle condizioni anor- mali di vegetazione del 1893 e della primavera del 1894, che non potrà estendersi ma dovrà invece diminuire. Dott. V. PEGLION ! Dei lavori del Prof, Baccarini sì occuperà prossimamente la Rivista, A. N. B. 125 A. Giard — Sur la transformations de Margarodes vitium Gd. — Extrait des C. R. de la Soc. de Biol. — Mai 1894. L'esame di altri esemplari di questa cocciniglia viticola, ha permesso all’ A. di identificarla con maggior sicurezza coll’ animale incompletamente studiato da F. Philippi e dal medesimo riferito a” Nematodi, sotto il nome di Heterodera vitis. Segue una particolareggiata descrizione delle metamorfosi di questa Margarodes , dalla quale risulta un fatto molto importante e cioè 1’ esistenza di una vera ninfa nel ciclo biologico delle femmine, le quali diventano quindi insetti a metamorfosi com- © pleta. L'A. osserva che è probabile avvenga lo stesso presso il gen. Porphyrophora: osservazioni queste’ molto importanti sia dal lato della sistematica degli Emitteri, sia dal lato dell’embriogenia. Tali pupe si mantengono viventi per un tempo molto lungo, e dalle osservazioni condotte da Laboulbéne, Mayet e dall’ A. risulterebbe che il periodo di ninfosi delle femmine di Margarodes può durare persino 5 anni. T bozzoli vuoti sono spesso occupati da un piccolo verme che l'A. considera specie nuova e descrive sotto il nome di Enchytraeus Latastei. Dott. V. PEGLICN A. Prunet — Sur un nouveau mode de propagation du Pourridié de la Vigne Rev. gén. de Bot. 1894 p. 22. Gl’'innesti-talea e le talee di viti americane si sogliono conservare stratificati con della sabbia onde ritardare la loro messa in vegetazione. Secondo le ricerche di Viala, in seguito alla formazione di sclerozi di Botrytis cinerea tra le superficie di contatto del soggetto colla marza, può essere impedita la saldatura delle due parti medesime. L'A. ha constatato inoltre che le condizioni in cui si suole eseguire la stratificazione con sabbia umida e poco aereata e ricca di detriti organici, sono favorevoli allo svi- luppo del micelio della Dematophora glomerata Viala. Tale fenomeno egli ha potuto osservare presso due viticoltori-pepinieristi, i cui vigneti formati con innesti-talee al- levati in dette condizioni erano intensamente colpiti da marciume. Ad evitare siffatti inconvenienti l'A. consiglia di eseguire la stratificazione in un luogo asciutto, aereato, esposto al nord; la sabbia non dovrà contenere più del 10 °/o di acqua e dovrà essere sbarazzata da qualsiasi avanzo organico, si dovrà disinfettare ogni anno passandola in un forno, o almeno paleggiarla ripetutamente al sole durante le giornate calde estive. Dott. V. PEGLION E. Mer — Le Chaudron du Sapin — Rev. gén. de Bot. 1894, p. 152-175. Nel precedente fascicolo di questo periodico si è riportato in riassunto un altro lavoro dello stesso A. riguardante il così detto dalai de sorciere (scopazzo) dell’ abete dovuto alla penetrazione dell’ Aecidium elatinum nelle gemme. In questo nuovo e interessante lavoro vengono esposte le varie fasi di formazione e di deperimento dei Chaudron, i quali provengono sia dal tumore bacillare dello scopazzo sia dalla diretta infezione di un ramo o del tronco. Questo ultimo fatto non ancora è stato speri- mentalmente dimostrato per mezzo di artificiali infezioni, quindi si ignorano tuttora i primi stadi di formazione. Non si può neppure con certezza asserire che 1° infezione possa avvenire sopra un getto di più anni, sebbene l'esame anatomico possa talvolta mostrare che il legno speciale del Chaudron apparisca solo negli strati legnosi già 124 vecchi e ciò perchè si può sempre obbiettare che il parassita sia rimasto celato nella scorza e nel libro e non abbia agito sul cambio che dopo un certo tempo. Appena il tumore diventi manifesto, si può seguirne il cammino; il micelio del parassita estendendosi longitudinalmente e trasversalmente invade gli strati legnosi man mano che si formano, ed il tumore diventa voluminoso, unilaterale. Il cambio stimolato inegualmente nei vari punti produce delle zone legnose più larghe delle pre- cedenti, sinuose, costituite da tracheidi la cui forma, direzione e disposizione in una a quella dei raggi, si distinguono dal tessuto normale. Compaiono talvolta elementi anormali (tasche resinifere, parenchima legnoso amilifero). Questi ed altri caratteri diversi da’ normali si osservano eziandio in parte nel tumore bacillare degli scopazzi, confermando la similitudine di origine tra queste due manifestazioni patologiche. Il cambio è presto o tardi distrutto in uno o più punti per una estensione più o meno rilevante, cosichè in corrispondenza di quei punti cessa ogni formazione li- bero-legnosa. La scorza morta si distacca, e sui lati delle regioni necrosate si formano dei calli tendenti, ma senza giungervi, alla rimarginazione, si formano quindi nel le- gno ammalato delle interruzioni di tessuto più o meno estese. Il legno del tumore vivente è più ricco in albuminoidi, in tannino e in resina ed ha una desità maggiore del legno sano. Morto ed esposto alle intemperie sì al- tera e si trasforma in legno grigio, che imbevuto di acqua viene invaso da’ saprofiti che lo corrodono, lo disseccano e lo trasformano in un tessuto di colore ranciato; que- sta alterazione si propaga nelle regioni del ramo soprastanti e sottostanti al tumore. I danni causati dal chaudron consistono nella morte prematura delle piante. Per utilizzare gli alberi ammalati bisogna abbatterli prima della morte della parte tume- fatta, nel caso opposto, difficilmente si potrà ricavarne un utile adeguato. L'A. ter- mina osservando che questa malattia è molto diffusa nelle abetaie, perchè non si ha la cura di asportare gli scopazzi, operazione quasi sempre attuabile e che si dovreb- be eseguire in primavera o nel principio dell’ estate, prima cioè. della disseminazione delle spore. Dott. V. PEGLION I. E. Humphrey — Report of vegetable pathologich of Massachusetts State Sta- tion (Mass. State Rep. f. 1891 pp. 218-248). In questo rapporto e compresa una serie di note riguardanti il marciume delle lattughe, l’ oidio dei cocomeri, e varie altre malattie di piante, con consigli circa i trattamenti preventivi delle malattie crittogamiche specialmente dei carboni. Il marciume delle insalate è causato dalla Botrytis (Polyactis) vulgaris Fr. che arreca molti danni nelle colture in serra. L'A. consiglia la disinfezione di queste serre e la coltura oculata delle piante per prevenire i danni che può causare il parassita. I cocomeri sono spesso attaccati da un fungillo che invade le foglie, e gli steli formandovi macchie bianche, rotondeggianti, la cui superficiezè ricoperta dal micelio e dai conidi di un’ 0:dium; sulle foglie ammalate nell’ inverno si sviluppano i frutti ascofori di una Erisifacea i cui caratteri corrispondono a quelli assegnati alla Ery- siphe Cichoracearum D. C. Spruzzando le piante con una soluzione di fegato di zolfo in ragione di 20 gr. per 4 galloni di acqua, si può prevenire la malattia. Si otten- gono buoni risultati anche chiudendo ermeticamente la serra e sottoponendo il tutto per mezzora o una ora, all’azione di fumi di zolfo, che sono innocui alle piante mentre uccidono il parassita. È descritta quindi una malattia delle patate dovuta a un Macrosporium, una 125 speciale alterazione dei cocomeri di natura indeterminata. Poscia vengono consacrate alcune pagine alla illustrazione di vari funghi già noti; in ultimo vengono esposti i principi necessari per prevenire le malattie delle piante colla coltura razionale e col- l’uso adeguato di fungicidi. Dott. V. PEGLION S. A. Beach — Some beans diseases —( New York Stat. Bull. N. 48 1892 pagi- ne 308-333). . Una prima parte di questo rapporto è consacrata allo studio dell’ antracnosi dei fagiuoli dovuta al Colletotrichum Lindemuthianum, malattia molto diffusa in quello Stato dove nel 1891 cagionò danni che variano dal 20 al 10 °/, dell'intero prodotto. Trattando i semi con acqua calda, solfato di rame, solfato di ferro, sublimato corrosivo allo scopo di prevenire la malattia, si ebbero cattivi risultati. Invece si eb- bero grandi vantaggi dall’ uso della poltiglia bordolese applicata alle piante prima della comparsa della malattia. Il borato di rame, il polisolfuro di rame danneggia- rono invece il fogliame. Viene descritta quindi una malattia detta nebbia che pare sia dovuta a batterii e che riesce talvolta più dannosa alla coltura della precedente. La malattia si appa- lesa su tutti gli organi delle piante che non tardano ad essere invasi da funghi sa- profiti che affrettano la decomposizione della pianta medesima. I semi ammalati pro- pagano la malattia da un anno all'altro. Un’ altra malattia batteriacea causa gravi danni ai fagiuoli di Lima. In ultimo viene descritta la ruggine dei fagiuoli causata dalla Uromyces Phaseoli. (Uromyces appendiculatus) Dott. V. PEGLION S. A Beach — 7reament of potato Scab — (New York State Sta. Bull. nume- ro 49 — 1893). L'A. si è prefisso co’ trattamenti con vari fungicidi di rispondere ai seguentì quesiti: I. Fino a che punto si può prevenire la rogna delle patate trattando i tuberi con insetticidi? II. Spruzzando i tuberi ed il circostante terreno si ottengono gli stessi risultati così come immergendo i tuberi negli insetticidi prima della semina? II. Qual'è il valore relativo dei vari fungicidi nella prevenzione della rogna? Si esperimentarono le seguenti sostanze fungicide: solfato di rame, solfato di ferro, solfato di zinco, acqua celeste, DIRCNOS bordolese, sublimato corrosivo, carbo- nato di rame ammoniacale. Ed ecco le conclusioni cui è giunto 1’ A: I. La rogna delle patate in certe condizioni può essere prevenuta su larga scala, ma in un terreno fortemente infetto nessun trattamento è praticamente con- sigliabile. II. Nei terreni non infetti la spruzzatura dei tuberi e del terreno circostante all’ atto della semina dà migliori risultati della immersione dei tuberi nei fungicidi. In terreni infetti non v ha differenza notevole dal lato pratico tra i due metodi. III. Il sublimato corrosivo ha dato i migliori risultati in tutti gli esperimenti în cui i fungicidi vennero spruzzati. Nei terreni non infetti il solfato di zinco ha dato i migliori risultati; vengono quindi in ordine di efficacia, il sublimato corrosivo, e il solfato di ferro. Immergendo i tuberi, si ebbero i migliori risultati col solfato di zinco; 126 il solfato di rame diminuì sensibilmente il prodotto; l’acqua celeste uccise tutti i tu- beri immersi. Come mezzi preventivi l’ A. raccomanda: 1° Seminare in terreni possibilmente non infetti dal parassita; 2° far cuocere le patate ammalate prima di adibirle come alimenti onde non propagare la malattia col letame; 5° spruzzare od immergere i tuberi in una soluzione fungicida prima della semina; 4° se si sospetta la presenza della rogna, scavare le patate prima della maturazione poichè la rogna si diffonde sempre più per quanto le patate più a lungo rimangono sotterra. Dott. V. PEGLION E. G. Lodemann — Spraying apple Orchards in a wet Season — (New York Corn. Sta. Bul. N. 48, Dec. 1892 pp. 265-274). In questa memoria vengono esposti i risultati ottenuti dai trattamenti fatti con- tro la rogna del Melo (Fusicladium dendriticum e Entomosporium maculatum) ed il verme delle mele (Carpocapsa pomonana). Venne spruzzata la poltiglia bordolese sola o in unione al verde di Parigi, o alla porpora di Londra (composti arsenicali). Si fecero 4 trattamenti, il 1° il 13 giu- gno, il 2° il 22, il 3° al 1° luglio, il 4° al 22. Nel giugno vi furono 15 giorni pio- vosi come si rileva dai dati meteorologici che accompagnano la memoria. L'A. viene alle seguenti conclusioni: 1° I danni causati dalla rogna vengono sensibilmente diminuiti quando venga adoperata la poltiglia bordolese. 2° Aggiungendo verde di Parigi alla poltiglia bordolese si ottiene un effetto fungicida più marcato che non si ottenga invece mescolando alla poltiglia la porpora di Londra. 3° Il verde di Parigi ha una certa azione anticrittogamica, minore però di quella della poltiglia. 4° L'azione insetticida del verde di Parigi è praticamente uguale tanto se applicato da solo che se mescolato a poltiglia bordolese. 5° L'azione insetticida del verde di Parigi misto con poltiglia è maggiore di quella della porpora di Londra adoperata in uguali condizioni. 6° Durante una stagione umida sono necessarii più trattamenti che non durante una stagione asciutta; nel primo caso è necessario ripeterli ogni otto o dieci giorni. 7° Il miscuglio di poltiglia e di uno dei detti insetticidi è efficace e conve- niente praticamente contro la rogna e il verme del melo anche durante una stagione umida. Dott. V. PEGLION F. D. Chester — Can peach rot be controlled by spraying ? — (Delaw. Stat. Bul. N. 19 Dec. 1892 p. 16). Dalle esperienze eseguite in vari punti durante il 1892 onde vedere se fosse possibile frenare il marciume del pesco per mezzo di fungicidi, I’ A. viene a conclu- dere in senso affermativo, purchè si tengano presenti le condizioni che seguono : 1° Raccolta dei frutti mummificati, in modo che non permangano sopra l’ albero oltre l’ inverno. 2° Trattamento prima della cacciata dei germogli, usando una soluzione di sol- fato di rame a 0,5 p. °/o. e "RI por "i die «lla 127 3° Appena le gemme cominciano a schiudere, 2° trattamento con soluzione am- moniacale di solfato di rame in emulsione ete., e si faccia un 3° trattamento una volta aperte. 4° Si faccia un 4° trattamento quando i frutti sono ben formati ed altre due o tre (!) applicazioni quando il frutto è quasi maturo. Dott. V. PEGLION W. Woodworth — Root Knots on fruit tres and vins — California State Bul. N. 99, Dicembre 1892 pp. 1-3). È Una malattia che attacca varie piante da frutto in special modo l’ albicocco e la vite, diminuendone dapprima il prodotto, e indi cagionando la morte delle piante attaccate. La parte di solito attaccata è 1’ apice delle radici per cui 1’ A. propone di chiamare galle apicali, gl’ ingrossamenti che ivi si osservano, per distinguerli dagli ingrossamenti dovuti a Nematodi, o ad altre cause. Queste galle che possono rag- giungere ed oltrepassare, specialmente nell’ albicocco, la grossezza di un pugno sono costituite da tessuti bianchi, che imbruniscono all’ aria, gli elementi cellulari sono grandi, hanno parete sottile, sono percorsi qua e là dagli elementi dei fasci fibro-va- scolari, contorti e sparpagliati. La causa di queste galle è ancora sconosciuta: l’ A. ha separato e coltivato una specie di Micrococcus da alcune di esse, ma rimane a dimostrarne se sia la causa specifica della malattia. Per ora l'A. consiglia l' abbruciamento delle piante da vivaio ammalate; le piante vecchie si dovranno scalzare; le radici colpite da galle tagliare, e trattare le ferite con poltiglia bordolese; altri studi saranno eseguiti su questa malattia. Dott. V. PEGLION Kruck O. — Le deformazioni dei rami dell’ Elce prodotte dall’'Exoascus Kruchii Vuill. — (In Lav. e Relaz. della R. Stazione di Patol. veget. di Boma 1892, con due tavole). Fin dal 1890 VA. comunicò nel giornale Malpighia una nota preliminare re- lativa ad alcune deformazioni nei rami del Quercus Ilex e ne attribuiva la causa alla presenza di un fungo che ascrisse al genere Taphrina ritenendolo una nuova specie. Il Vuillemin in una comunicazione alla Società delle Scienze di Nancy ! asserì d’aver osservato e raccolto il detto parassita fino dal 1888 nei dintorni di Mont- pellier, e lo chiamò Eroascus Kruchii. In Italia questa specie venne raccolta ad Albano Laziale ed a Spoleto, e pre- . senta aschi cilindrici arrotondati alla sommità, leggermente clavati, 72-80 v 15-20 a maturità quasi sempre ripieni di conidi, raramente essi contengono le otto asco- spore. Dall’ E. coerulescens differisce per le dimensioni degli aschi e per la distribu- zione, delle fruttificazioni. Anche l E. Kruchii è provveduto di micelio ibernante, e determina nei rami infetti dell’Elce delle speciali alterazioni. La divisione nei rami infetti è assai più abbondante, che nei normali, ed in molti casi le ramificazioni presentano delle brusche curvature della ripiegature a gomito, e talora si nota anche un marcato geotropismo positivo. ® Le loro dimensioni trasversali sono spesso superiori a quelle del ramo 1 Vuillemin — Sur l’ action biologique des champignons parasites — Nancy 1801. 2 L' autore dice che si tratta di geotropismo negativo ma evidentemente voleva in- dicare positivo, per cui ci permettiamo correggere Ll’ espressione. 128 sul quale si inseriscono, ed in generale maggiori di quelle degli assi dello stesso ordine che sono portati dal ramo stesso. I rametti giovani dell’ annata, appartenenti ad un sistema di rami infetto, sono rigonfiati alla base, e debolmente attaccati al ramo che li porta, cosiché un piccolissimo urto basta a staccarneli. Le sezioni mi- croscopiche condotte attraverso i suddetti rigonfiamenti, mostrano che i cordoni di tessuto libroso (che nei rami sani formano una zona continua esterna ai fasci cri- brosi) sono invece staccati gli uni dagli altri per lasciare il passaggio ai rami fo- gliari o bratteali assai numerosi; inoltre gli elementi costituenti i detti cordoni librosi, non sono a parete molto ispessita, come nelle regioni sane. D'altra parte il libriforme è poco sviluppato ed intramezzato da abbondante parenchima legnoso. In molti casi però vi è un abbondante formazione di xilema che riunisce i fasci tra di loro, e dà resistenza al rametto. Le foglie infette sono di un verde pallido passante al giallognolo all’ epoca della fruttificazione del fungo, meno spesse e non così coriacce, bensì molto più flosce. La loro lamina offre delle bozze sporgenti, ed i margini tendono a ripiegarsi verso la pagina inferiore, sono di dimensioni inferiori a quelle sane, e di assai più breve durata, poichè cadono dopo la sporificazione del fungo, cosichè nell’ autunno i rami infetti sono del tutto privi di foglie. Rispetto alle modificazioni nella struttura, dob- biamo notare quanto segue: IL’ epidermide della pagina superiore rimane inalterata. Alla pagina inferiore il numero dei peli a stella è assai minore di quello che si ri- scontra nelle foglie sane, e la parete delle cellule epidermiche è meno ispessita. Mancano gli strati cuticularizzati, talchè alla cuticola segue direttamente la cellulosa. Al di sotto della cuticola abbondano i miceli del parassita. La forma delle cellule epidermiche in sezione è di un rettangolo col suo lato maggiore perpencicolare alla superficie fogliare, mentre nelle sane il maggior lato è parallelo alla detta superficie oppure le cellule sono isodiametriche. Qualche volta nelle foglie infette vi è ten- denza alla divisione tangenziale delle cellule epidermiche. Nel mesofillo delle foglie dello scopazzo la clorofilla è in quantità considerevolmente minore. Gli elementi mec- canici del sistema vascolare, e specialmente i cordoni librosi, offrono le pareti leg- germente ispessite, ed in molti casi vi manca la differenziazione in elementi mecca- nici delle cellule che si trovano tra i cordoni vascolari e 1’ epidermide. Nelle foglie più gracili il mesofillo è ridotto ad un solo strato, e manca ogni differenziazione di quel tessuto meccanico che nelle foglie sane accompagna i fasci, inoltre anche le cel- lule dell’ epidermide superiore, sono notevolmente aumentate di volume. Gli aschi si formano soltanto alla pagina inferiore. Il micelio si osserva sotto la cuticula fogliare ed in tutti gli altri organi limitati da una epidermide. I fiori che spuntano sui rami infetti vengono pure invasi dal micelio; in essi può avvenire la fecondazione, ma le frutta giunte ad un certo grado di sviluppo si disseccano e finiscono per cadere assieme alle foglie. Gli sporidi del parassita ed il micelio ibernante servono a diffondere la malattia e perpetuarla. Il micelio alla fine del periodo vegetativo annuale si trova nei giovani getti nei quali non si è ancora sviluppato il periderma e nelle gemme, e quivi sverna, per entrare nelle foglie al loro sviluppo. Esso si mantiene sottocuticolare, e non penetra quindi nè fra Je cel- lule epidermiche, nè fra quelle di più interni tessuti. Per allontanare le parti infette ed il micelio ibernante, onde impedire l' ulteriore sviluppo della malattia, basterà quindi tagliare tutta la vegetazione dell’anno dei rami colpiti. A. N. BERLESE AGENZIA ENOLOGICA ITALIANA MILANO FIGLIARI A BARI — CATANIA ISTRUMENTI, MACCHINE E PRODOTTI PER Viticoltura, Enologia, Distillazione ed Agraria _————_ + e @ <> e. _____&6 Per la prossima vendemmia raccomanda: Pigiatrici a cilindri di legno sistema Grosso. id. diraspatrici sistema Beccaro, Bruggmann. Torchi Mabille di speciale solidissima costruzione, con base ghisa e legno. Pompe a stantuffo ed oscillanti speciali per mosto. id. rotative per travasamenti. Filtri rapidi per mosti e vini sistema Simoneton e Rouhette perfezionati. Filtri economici sistema Olandese Carpenè. Mostimetri Babo, Haaf, Guyot ecc. Acidimetri Pavesi, Ebullio- metri, Enobarometri, Alambicchi di saggio ecc. ccc. Catalogo generale gratis a richiesta Rivista di Patologia Vegetale per cura dei Proff. Augusto Napoleone Berlese ed Antonio Berlese La Rivista di Patologia Vegetale è dedicata allo studio dei paras- siti sì animali che vegetali delle piante coltivate, all’ illustrazione delle malattie che producono, ed a suggerire i rimedi che l’ esperienza indica più adatti e più efficaci per prevenire, o per combattere le dette ma- lattie. Trovano quindi in essa posto lavori che trattano ì seguenti ar- gomenti: I: Biologia e sistematica di animali 0 funghi parassiti di piante. II. Istologia ed istogenia dei detti parassiti e delle alterazioni che essi determinano rell’ ospite. III. Esperimenti intesi alla distruzione di parassiti dannosi alle piante utile. La Direzione accoglie volentieri lavori da stamparsi nella detta Rivista e li correda di quel qualsivoglia numero di tavole in nero od a colori, che all’ autore sembrassero necessarie per la più chiara intelligenza delle cose esposte. Le dette, tavole come nel caso anche i disegni originali, eseguiti dietro semplice invio delle preparazioni microscopiche e dei pezzi da disegnare, sono fatte totalmente a spese del Giornale e per mano del Prof. A. N. Berlese per la parte botanica e del Prof. A. Berlese per la parte zoologica. Agli Autori vengono date gratuitamente 50 copie degli estratti, mentre rimane in loro la facoltà di ottenerne un numero maggiore a proprie spese. Ogni anno esce un volume di almeno 24 fogli di stampa cor- redato da buon numero di tavole e di incisione nel t:sto. L’ abbona- mento è di L. (francs) 18 annue. L' annata decorre dal 1° marzo al 28 febbraio. Redazione e Direzione presso il Prof. A. N. BERLESE, Laboratorio di Patologia vegetale della R. Scuola Enologica di AVELLINO. 1 Ran 9 RIVISTA DI PATOLOGIA VEGETALE SOTTO LA DIREZIONE DEI PROFESSORI Dott. AUGUSTO NAPOLEONE BERLESE Docente di Patologia Vegetale e Prof. presso l’ Università di Camerino E Dott. ANTONIO BERLESE Prof. di Zoologia generale ed Agraria nella R. Scuola Superiore d’ Agricoltura di Portici LIBRARY NEW YORK Bi YTA NIC AL VOL. III. Num. 5-12 Luglio-Dicembre 1894, Gennaio-Febbraio 1895 Giornale onorato della sottoscrizione del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio AVELLINO EDOARDO PERGOLA EDITORE TIPOGRAFO 1895 Prezzo d’' abbonamento annuo L. 18 SOMMARIO A. Berlese — Le Cocciniglie italiane viventi sugli agrumi . . . pag. 129 A. N. Berlese e L. Sostegni — Ricerche sul comportamento di SIA sali di rame in rapporto al terreno ed alla vite . . . » 172 A. Berlese — Insetticidi ed insettifughi contro alcuni insetti e special mente contro la Cockhylis ambiguella, il Dacus oleae e la Carpocapsa pomonana . . . » 221 W. G. Smith e A. N. Berlese — Ricerche suor. istoniche salle de formazioni prodotte dalle Exoascacee nei germogli e nelle foche DOT vip. cal ei eo Le G. Leonardi — Elenco dei Fitoptidi europel. i Vu eh O A. N. Berlese — Un nuovo marciume dell’ insalata . . . . = ssd A. Berlese — Metodo per esaminare sollecitamente terreni SI in- quinati da fillossere e raccogliere queste . . . . . . >» 3483 A. Berlese e G. Leonardi — Diagnosi di Cocciniglie nuove. . . . >» 346 PICCOLE COMUNICAZIONI A. Berlese e G. Leonardi — Di una cocciniglia che attacca la vite (Mytilaspis Pomorum). . . .. . .0. <<. e Rassegne di lavori di Patologia vegetale \.- 0. 0.0 a a Bibliographie des Sciences naturelles M. M. J.-B. Baillière et fils, libraires, 19 Rue Hantefeuille è Pa- ris, publient, par fascicules mensuels, une Bebliographie des Sciences Naturelles, qui rendra des grands services à tous les naturalistes. Le fascicule de décembre contient la bibliographie des ouvrages et brochu- res anciens et modernes sur la Botanique cryptogamique (Fougè- res, Lycopodinées, Équisétinées, Mousses et Hepatiques, Algues, Diato- mées, Bacteriacées, Lichens) Cette Brochure de 32 pages, comprenent l’ indications de plus de quinze cents titres, sera adressée gratis et franco a tout lecteur de ce Rivista qui en fera la demande è M. M. J.-B. Bail- lière et fils. Si pregano vivamente i Signori associati che ancora non hanno pagato l’ abbonamento alla Ill annata (L. 18) di porsi al corrente coll’ amministrazione (Prof. A. N. Berlese Orto botanico dell’ Università di Camerino) con cortese sol- lecitudine. Mi dea 129 Le Cocciniglie italiane viventi sugli agrumi MemorIa DEL Pror. ANTONIO BERLESE Organi della digestione BOARD Nel suo complesso, il sistema che ha per iscopo di assumere dal di fuori la sostanza nutritiva e trasformarla poi, per renderla assimila- bile, non differisce di troppo da quanto si è già visto nel Dactylopius, e se non fosse il desiderio di essere più minuto, in particolarità nelle quali più sollecitamente ho detto neila prima memoria, potrei quasi rimandare il lettore al già detto a proposito degli organi della dige- stione nel Dactylopius. Però mi si conceda una descrizione sommaria nei punti di contatto tra questo sistema nei due generi, più esatta dove vi ha differenza notevole. Rostro Una differenza generica, o di tribù, per chi esamina i Lecanium nei soli loro organi esterni, si appalesa bentosto nel succhiatoio, quì di un solo pezzo, nei Lecaniti invece di due articoli. Ma, oltre a ciò, altre differenze più minute si appalesano, all’ esame più accurato, anche nel corpo del rostro, e queste differenze risulteranno, a chi confronterà la presente descrizione con quella che già diedi del rostro del Dactylopius. Ecco di che sì tratta. Rimanendo fissa, come per le altre cocciniglie, la divisione delle parti che costituiscono il rostro, in corpo del rostro, setole mascilloman- dibulari e succhiatoio, mentre le seconde restano in posizione variabile, più o meno riparate nella loro guaina interna 0 prodotte all’ esterno, come quando sono infitte nei tessuti della pianta, all’ esame di un Le- canium, dal lato ventrale, apparisce sempre, bene manifesto, il corpo del rostro ed il succhiatoio, ambedue più o meno infossati in una depres- sione situata fra le anche del primo paio di zampe e, ordinariamente, in causa della quasi costante asimmetria dell’ insetto, fuori della linea mediana, più avvicinati ad una zampa che all’ opposta. Anche qui, il Clipeo è il solo pezzo del corpo del rostro, che ap- | parisce libero alla faccia ventrale, mentre sotto si cela l’ipostoma e 9 130 A. BERLESE solo con sostanze chiarificanti o con altri argomenti può apparire e farsi conoscere. Il Clipeo (tav. VIII fig. 1 A) ha forma presso a poco pentago- nale, cioè di sopra e ai lati rettilineo, inferiormente molto convesso 0 con punta ad angolo retto, in quel punto dove più specialmente si può parlare di labbro. Il labbro così fatto e limitato ancora dalle creste (stessa fig. L) labiali, concorre a costituire superiormente il tubulo od ostiolo, attra- verso il quale scorrono le setole mascillo-mandibulari. Gli angoli superiori del clipeo però, danno origine ed apofisi ba- cilliforme chitinosa (B) la quale penetra profonda nel capo e sì unisce poi ad una sbarra conforme, trasversa (C), sopra la quale viene a ripie- garsi la faringe, là dove diventa esofago. Questa apofisi transversa, che non esiste nei Dactylopius, almeno così robusta, limita come uno spigolo, due faccie, o meglio due larghe aperture, una superiore, di dove passa la faringe, le commessure dei gangli nervosi ete., l’ una inferiore, od interna (f) di dove entrano nel corpo del rostro, muscoli ed altro, e ne escono le commessure nervose dei due gagli. Si potrebbe chiamare la prima vano o forame dell'esofago, la se- conda forame dell’ ipostoma. L’ ipostoma poi, non dissimile quanto a fabbrica da quello dei Dactylopius, è però più profondamente inciso, al disopra, dal suo fora- me, e raggiunge poi la sbarra transversa sopradetta (C) col mezzo di due lunghe apofisi (R), da chiamarsi creste dell’ ipostoma, per quanto si possano assomigliare nei Dactylopius. E queste creste raggiungono l’ apofisi transversa, precisamente dove questa si salda alle apofisi superiori del clipeo, come da un an- golo di un cubo, partono in diverse direzioni ì tre spigoli. Delle apofisi chitinose transverse, destinate a limitare il giuoco dei corpi delle setole mascillo-mandibulari, esistono, molto bene visibili, la premascellare (E) e la postmascellare (F), in forma di bastoncini ci- lindrici, all’ apice debolmente piegati a ronca, così da trattenere meglio in posto le setole mascillo-mandibulari; ma la premandibolare manca, od almeno io non giunsi a vederla. ‘Il Succhiatoio (S) è, nei Lecanium, affatto diverso da quello dei Cocciti, poichè è composto di un solo pezzo conico, a forma di cap- puccio, perforato all’ apice da apertura rotondeggiante, (os) attraverso alla quale escono le setole del rostro. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 131 Queste intanto, nell’ interno del succhiatoio, scivolano su un pezzo chitinoso a doccia (pd), breve e alla base bicorne, al quale si attacca- no potenti muscoli che hanno inserzione su tutta la faccia inferiore e parte delle laterali del succhiatoio stesso. Tutta questa parte del rostro è, del resto, ordinariamente, molto infossata nella pelle del ventre, trattenuta in questa posizione da po- tenti retrattori che si attaccano ai lati della base. Di più su questi organi non dico, perchè conformi nel resto, salvo differenza di grado, a quanto si è già notato nel Dactylopius. Ma sulle setole mascillomandibulari, ho qualche osservazione da aggiungere, al già esposto altre volte. Nella sua parte basilare più larga, (tav. VIII fig. 2, @) la man- dibola non è libera, nè in contatto coi muscoli che la muovono, ma la chitina di cui è modellata, perde gradatamente del suo spessore, e ancora di tinta, e là dove è più sottile, riceve la parte più ristretta di un grosso corpo ovale, o sacciforme, (e) totalmente chiuso, e costi- tuito da una epidermide esilissima circostante, su cui, dal lato interno si dispongono, come in epitelio cilindrico, numerose e minutissime cel- lule, ciascuna col suo nucleo, le quali colle tinture carminiche si co- lorano intensissimamente. Il prodotto, quale esso sia, di queste cellule, sì riversa direttamente entro le setole mascillo-mandibulari, che sono tutte perforate per lo lungo, ma certamente chiuse all’ estremità. L’ ufficio di questo corpo, che esiste per ciascuna setola, così che se ne contano quattro, disposti per paia, ai lati del rostro stesso e tra i gangli sopra e sottoesofagei (vedi fig. 1, tav. VI, gg.) sembra dun- que essere quello di nutrire la setola mascillo-mandibulare, e diffatti questo organo, al primo sorgere delle setole mascillo-mandibulari, sia nell’ uovo che nelle mute, serve di centro alla matassa circolare delle setole stesse, che si forma ai lati del capo, e svolgendosi poi, corre al suo posto definitivo, come altra volta si è detto nella memoria sui Dac- tylopius, e questo organo, liberato dalla spira della setola, segue que- sta nella sua ultima posizione e si mantiene colà, forse a nutrirla. Ma il sacco ad epitelio cilindrico ora descritto, è tutto avvolto da una membrana (c) a tessuto cellulare pavimentoso, la quale prendendo nella parte più rigonfia la forma dell’ organo più interno, finalmente, dove giunge in contatto della parte più larga e chitinosa della setola mascillo-mandibulare, cambia natura per acquistare consistenza e na- tura di un cilindro chitinoso giallo (0, d) che avvolge completamente la base larga della setola mascillo-mandibulare, senza aderenza con 132 A. BERLESE questa e dà poi attacco ai muscoli (m) destinati a muovere la man- dibola stessa. Intanto, al sacco avvolgente l’ organo nutritivo della setola, si at- tacca, con porzione riccamente cellulare, allargata, un filamento fibroso, apparentemente un nervo (d) ma che tale forse non è perchè si dirige in alto, verso la estremità anteriore del capo, mentre i nervi di queste parti della bocca, non possono che dipendere dal ganglio sottoesofageo che sta in quella vece all’ indietro. Tale è la struttura di questi singolari organi a storta, sui quali già altri ha portata la sua attenzione e che certamente qui nei Leca- nium esistono in tutti gli stati dell’ insetto (femmina), fino alla sua ma- turità e morte. Intanto, dall’ ostiolo, si eleva la /@ringe 0 prima porzione dell’ e- sofago, (tav. VIII, fig. 1, H), posata come nei Dactylopius sul pro- cesso esofageo. Diretta così in alto, la faringe stessa, piegata anche un poco all'insù, verso il dorso, raggiunge l’ apofisi‘ transversa dell’ ipo- stoma e sopra questa si ripiega, passando cioè tra l’ apofisi stessa e l’ orlo inferiore del ganglio sopraesofageo , tra le commessure, (vedasi questa disposizione nella tav. VII, fig. 2, 3 e tav. XI fig. 2, che sono sezioni di fianco). i Dopo questa ripiegatura ad’ angolo acuto che subisce la faring sopra la apofisi trasversa dell’ipostoma, principia l’ esofago propria- mente detto. Muscoli, conformi a quelli già descritti nel Dactylopius, e inseriti alla faccia interna del clipeo, muovono e dilatano la faringe. Questo giuoco della prima parte dell’ intestino, è mostrato dalle sezioni di fianco del rostro e delle parti circonvicine, assai chiaramente. Vedasi infatti la tav. XI fig. 2, dove a è il ganglio sopraesofageo; e le sue commessure; d la sezione dell’ apofisi transversa dell’ ipostoma; f la faringe; e l’esofago; /% il clipeo; 9g gli elevatori della faringe. L’ esofago (tav. VII, fig. 2,3, e, e; tav. VIII. fig. 3, 4, 5, 4,4, Gj tav. IX, fig. 1, 2,3, 5, a, a, a, a; tav. XI, fig. 2, e) è un Janpolibi esile tubo, a lume cilindrico, con pareti grossette e tutte all’ esterno nodose per cellule bene nucleate, sporgenti. Questo tubo, addossandosi dapprimo alla faccia dorsale del ganglio sottoesofageo (tav. XI, fig. 2 b), abbandona poi questo e prosegue fino a penetrare nel retto, e que- sto circa verso la metà del corpo, cioè in corrispondenza della inser- zione delle seconde zampe. I lecaniti qui studiati differiscono dai Dacty/opius prima esaminati LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 133 anche in ciò, che nel fondo anteriore del retto, l’ esofago penetra pro- fondamente, e la prima parte del mesointestino si avvolge in una lunga introflessione od ansa. Ma di questa ansa, merita di parlare con maggior diffusione, sia perchè importante pel suo ufficio, sia perchè incompletamente od infe- licemente descritta dagli autori che mi hanno preceduto in queste ri- cerche anatomiche, mentre per conto mio debbo dichiarare, che a rico- noscerne la disposizione e struttura, tanto è complicato quest’ organo, mi si richiese tempo e fatica, quasi più che nello studio tutto degli altri organi. L' ansa intestinale (tav. VI. fig. 1, 9; tav. VIL fig. 1, 2, 3,A, bea bav VIII. fig. 3,46; è fig. 8; db, 9g; tavi.DU fig. 1,263, o; tav. X. fig. 1, db, c; tav. XI. fig. 2, «, v), è un sacco chiuso, for- mato dalla estrema parte del mesointestino che così appunto finisce, nel quale si accoglie, spiralmente convoluta, la prima parte del mesointe- stino stesso : il tutto poi abbracciato dal fondo anteriore, pure chiuso, del retto. Tutto questo organo singolare, si vede così liberamente pendere dal fondo del retto, ordinariamente avvolto e circondato da liquido escre- mentizio. Ma la struttura dell’ intestino compreso nel retto, è diversa da quella del rimanente mesointestino, e merita più minuta descrizione. L’ esofago, appena penetrato nel retto, o subito dopo, si allarga gradatamente e, ripiegandosi, viene a formare il primo arco della voluta che per essere il più discosto dalla cupola chiusa del retto, sembra l’ultimo (tav. IX. fig. 1, 2, 5, 4, db, db, b, b; tav. XI. fig. 2, v) poi ritorna all'insù, e ravvolgendosi a spira, per due giri nel Lecanium oleae, per tre o più nel L. hesperidum, sbuca finalmente, uscendo late- ralmente dal retto, nel mesointestino libero, in un punto che preciseremo in seguito. L’esofago però, nella parte sua che si allarga, perde la struttura sua speciale, cominciando quella particolare dell’ ansa intestinale. Il primo giro dell’ ansa, (cioè l’ estremo posteriore) ha, in ambedue le specie qui studiate, una singolare struttura. Le sue pareti sono for- mate da membrana piuttosto spessa, ma che dà origine, sulle sue pareti, a produzioni diverse. Quella parete che riesce più interna (tav. IX, fig. 1, 2, 3, 5, €, c, c, c,) la più breve adunque del giro, internamente al tubo è fornita di molte grosse cellule (nel L. oleae di 80 p di lunghezza con nuclei 134 A. BERLESE di 20 p), strettamente addossate le une alle altre (tav. IX, fig. 1, 2, 3, d, d, d) e occupanti quasi tutto il vano del tubo, con grossi nuclei nu- cleolati, quasi a simulare un epitelio cilindrico. Il protoplasma di queste cellule però, è trasparentissimo, senza granulazioni evidenti, così che le cellule stesse, a prima giunta, possono essere scambiate per vacuoli, colla illusione che tutto il vano del tubo riesca quindi concamerato. Ma un breve soggiorno nell’ acqua pura, determina l’ingrossamento di queste cellule da un lato, e dall’altro 1’ apparsa dei loro nuclei grossi e sferici e dei nucleoli, i quali elementi, allo stato normale delle cellule, per la grande trasparenza del protoplasma loro, non sì scorgono altrimenti. Il sublimato corrosivo poi, coagulando il contenuto delle cellule, dimostra benissimo la presenza del protoplasma, che altrimenti non com- parisce affatto, non scorgendovisi, come ripeto, granulazioni. Ma queste stesse cellule, al confine tra il mesointestino ed il pro- intestino, nel punto cioè dove I esofago si allarga, sono minori e dimi- nuiscono di volume, via via che nell’ esofago si penetra. Tutti questi elementi nascono direttamente sulla membrana del tubo. Ho potuto notare anche come sì rinnovano. Talora, tra le cellule e la membrana, scorgesi un esile strato di protoplasma bene granuloso (tav. IX fig. 2 e) con grossi nuclei pellucidi, il quale, cadendo le grosse cellule nel lume dell’ intestino od altrimenti perdendosi, ne prende sol- lecitamente il posto, ingrossando poi sino ad acquistare le dimensioni delle cellule mature. Ma sulla parete opposta del tubo (tav. IX fig. 1, 2,3,5, ff ff) cioè sulla più esterna, sia in questo primo arco come nei successivi, si generano, all’ interno, alcune cellule, assai minori, e molto meno elevate delle precedenti, e fra loro molto diverse in grandezza, le quali costi- tuiscono un basso strato, quasi un pavimento. È infatti questo un epi- telio pavimentoso (vedi in prospetto fig. 4, e fig. 5 9 e nelle altre fi- gure, in sezione 9, 9, 9, 9); ma il protoplasma di queste cellule è gra- nuloso, opaco ; solo i nuclei, che coll’ acqua pura bene appaiono, sono trasparenti ed assai grossi. Ma tutto questo strato di cellule sembra ade- rire assai poco alla membrana su cui posa, e in contatto dell’ acqua pura, rigonfiandosi quasi totalmente, talora se ne stacca. senonchè la membrana del tubo, in questo arco (e nei successivi, almeno nel L. hesperidum) dà inoltre origine ad altri e più singolari elementi, e questa volta allo esterno del tubo stesso. In fatti, molte volte, si vede all’ esterno, una serie di altri elementi cellulari, trasparentissimi, e che sparsi irregolarmente, sembrano dap- PACS LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 135 primo bolle della membrana , affatto vuote, a guisa di mezze sferette sporgenti. Però, l’acqua pura, fa comparire ben presto dei nuclei sferici nel loro interno, sicchè anche questi elementi sono proprie e vere cellule e vedremo l’ ufficio che io loro attribuisco (tav. IX, fig. 1, 2, 3, 5, A, h, h, h). Ma questo arco, ed i successivi, sono avvolti da una guaina, che lascia però un discreto vano tra se ed il tubo centrale (tav. IX, fig. 1, 2, 3. 5, 4 4, /, 4), la quale appartiene all’ estrema parte del mesointestino, che, come ho detto, a guisa di sacco avvolge 1’ ansa della porzione postesofagea dell’ intestino stesso. La struttura di questa membrana, è affatto conforme a quella che già sì è notati per la parete posteriore del tubo estremo, cioè si com- pone di una «sile pellicola, che internamente dà origine a grosse cellule (stesse figure w, 72, m) bene nucleate e a protoplasma granuloso (per quanto i lor nuclei affatto pellucidi, compaiano solo coll’aiuto dell'acqua pura), le quali tapezzano tutta la detta membrana, con poco saldi rap- porti però, «vvegnachè l’ acqua le distacchi assai presto. Esternimente poi, questa membrana, è ricoperta, saltuariamente, da elementi ellulari (stesse figure », ») affatto simili a quelli ricordati per la facia esterna della pellicola posteriore dei tubi. Ora è membrana avvolgente l’ ansa intestinale, dopo aver ricoperto il tubo in tutte le sue volute, nel L. hesperidum, e nella prima (poste- riore) o 1ella prima e seconda soltanto nel L. oleae, si fissa colla sua porzione interiore (fig. 1, 2°, 7°) alla cupola del retto, che in parte ri- veste intrnamente, non così strettamente addossata però, che talora, tra quesa ed il retto stesso non sì infiltrino elementi e detriti prove- nienti dlla estrema parte del mesointestino; (nella fig. 1, » è il retto). Tr: le due specie di Lecanium che qui si studiano, vi ha diffe- renza ntevole nelle proporzioni di queste e di altre parti dello intestino. Difatti el L. oleae tutto l’ organo è assai più grosso e robusto, e la parte ateriore del retto, quella che occlude Y ansa, è quasi globosa ; inoltre malpighiani, molto più grossi e molto più deformemente toru- losi di quelli del L. Resperidum di cui tutto 1’ intestino e le sue parti si manestano più delicate e più fini. M nell’ ansa dell’ L. oleae, (fig. 3) solo la prima voluta (A) im- mediatnente dopo l’ esofago, e parte, tutto al più, della seconda (B) ha la ruttura sopraricordata, mentre tutto quanto di tubo seguita a queste,fino a che uscendo dal retto penetra nell’ intestino esterno, ha struttu identica a questo, cioè ad una membrana esterna sono addos- 136 A. BERLESE sate, internamente, in modo uniforme, grosse cellule di dimensioni varia- bili, bene nucleate e con protoplasma granuloso, come del resto si vide nel mesointestino dei Dactylopius. Nel Lecanium hesperidum (fig. 1), in quella vece, le due o tre prime volute hanno struttura identica alla prima (A, e fig. 2) e la strut- tura cambia, identificandosi con quella dell’ intestino esterno, solo nella parte più elevata della spira (fig. 1 ©). La fig. 5 a tav. VIII, rappresenta schematicamente l’ intestino e specialmente l’ ansa, del L. oleae; e qui si vede che a è Vl esofago; 5 la prima voluta del mesointestino: 2° la seconda; c il punto dove questa sbocca nell’ intestino esterno; d la porzione cieca del mesointestino: e il mesointestino più prossimo all’ origine : f la porzione terminale dello stesso ; g, 9 il sacco in cui finisce e che avvolge le Spiri dell’ ansa e si addossa ancora alla parte cupolata anteriore del retto | % il pedun- colo comune ai malpighiani; è i malpighiani; / il retto. Mi è d’ uopo inoltre avvertire che nella tavola IX, lefig. 1, 2,3, sono tolte (colla camera lucida Abbe) da intestini freschi, e solo im- mersi in una goccia d’acqua pura, per qualche minuto; mwntre la fi- gura 5, è una sezione, (ottenuta con molta pena) dell’ intesino di L oleae, nel sito dell’ ansa, e che presenta perciò , in seguito \lle mani- polazioni, ai trattamenti per la deacquificazione e coloritura, |e_ cellule meno rigonfie e turgide, ma è assai dimostrativa, mentre in &, F, ap- paiono frammenti del mesointestino esterno, alla sua origine, e n D una porzione del mesointestino libero, presso la sua fine, e per il \esto, le lettere si corrispondono in tutte le figure. Ora, dell’ ufficio di questa singolare ansa, la quale sola fratutte le parti dell’ intestino riceve una trachea, nulla mai è stato detto, n molto ho potuto rilevare io stesso. Certo è però che molte volte io vli que- st ansa pulsare, o meglio pulsare appunto la parete esterna ch tutta la avvolge, nonchè la parete posteriore delle due prime volute. ;e pul- sazioni, molto regolari e rapide, riuscivano circa 60 per minuto)rimo, e determinavano un movimento nel liquido contenuto entro i tui. Da quali organi contrattili sieno determinate queste vere )ulsa- zioni (e non contrazioni vermicolari come si notano nel retto) ) non saprei dire, ma dubito fortemente che sieno prodotte dalla contritilità di quegli elementi cellulari che tapezzano irregolarmente la pare allo esterno del sacco e dei tubi. Questo io dico, poichè elementi ffatto consimili, sebbene assai più rari, si veggono sparsi quà e là albster- no, sulla membrana di tutto il mesointestino, come dirò in appsso. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI Tori È dunque probabile che 1° ansa intestinale concorra efficacemente, più che altre parti, a determinare la circolazione del liquido nell’ inte- stino, il quale intanto, nell’ ansa stessa si muove secondo le freccie segnate nella figura 5, tav. VII. Ma la strattura speciale delle prime volute dell’ ansa, può far cre- dere ragionevolmente ad una secrezione particolare, diversa da quella del rimanente intestino, sul quale argomento, del resto, ognuno vede come sarebbe facile esporre ipotesi, ma difficile il dimostrarne la verità o sol- tanto la probabilità. Ad ogni modo è certo che, in questo modo, il mesointestino manca di comunicazione libera col retto, poichè, senza dubbio il sacco con cui termina il mescintestino stesso ed avvolge l' ansa è totalmente chiuso. Probabilmente adunque 1’ uscita della parte eserementizia della so- stanza nutriente, avviene per esosmosi, e cade così nel retto. Ma allora è facile il domandarsi come altrettanto non avvenga per tutta la parete del mesointestino che pure è così permeabile (mentre quella del retto è quasi impermeabile) e nella cavità viscerale non sì versi, assieme alla sostanza nutriente elaborata, anche qualche parte escrementizia. Se questo è, come sembra probabile, si potrebbe molto a ragione dubitare che le escrezioni così abbondanti di cera, di lacca o di cereo- resina, da parte delle cocciniglie, soccorrano a liberare gli organi di quella parte inutile -o nociva, che dall’ intestino, assieme al nutrimento, cade nella cavità viscerale. Data la grande affinità e l'identità anche (in certi casi) fra la sostanza segregata dalle ghiandole laccipare o ciripare e l’ escrezione del retto, non è malagevole sospettare di queste singolari funzioni. Ritornando alla descrizione degli organi, dirò che l' intestino me- dio, uscito a diritta dall’ ansa ed insieme dal retto, sì allunga in un tubo perfettamente cilindrico, subito biforcato; mentre una parte, di- retta all’ innanzi (fig. 3, 4, d, dD, tav. VIII; tav. IX, fig. 1,5, E, E; tav. X, fig. 1, e), e chiusa, (czeco), ed un'altra, quasi per diritto alla precedente, diretta invece all’ indietro (tav. VIII, fig. 3, 4, d, b; tav. IX, fig. 1, 5, F, F; tav. X, fig. 1, dl) corre tortuosamente, quasi pa- rallela al retto, poi sotto questo si ripiega, con una branca transversa, per poi riuscire alla sinistra del retto, e egualmente, con andamento tortuoso (tav. VIII, fig. 3, 4, c, c) e al retto stesso parallelo, si reca all’ innanzi, più innanzi della cupola del retto, al quale finalmente ri- torna e in esso penetra (tav. IX, fig. 1, 5, D, D; tav. X, fig. 1, f) 138 A. BERLESE per allargarsi appena entro la cupola del retto stesso, nel sacco del quale già si è detto. Così avviene che questo estremo tubo sia, penetrando nel retto, assai prossimo e tocchi, anzi, la biforcazione del mesointestino uscito dall’ esofago, e nel punto stesso, ove questo contatto, in prossimità del retto succede, passi l’ esofago che corre a penetrare esso pure nella cu- pola del retto, (vedi perciò le figure 3, 4, 5 a tav. VIII; le figure 1, 5, a tav IX, e la fig. 1 a tav. X.). La struttura del mesointestino nei Lecanemm, è identica a quella già ricordata per lo stesso organo dei Dactylopius, e fu già bene de- scritta da molti. Si tratta di una tunica esilissima anista all’ esterno, a cui internamente sono addossate, a contatto fra loro, grosse cellule rotondeggianti o subpoligonali assai facilmente separabili dalla tunica avvolgente, con grosse cellule nucleolate e con protoplasma assai distin- tamente granuloso. Ma ciò che altri non avvertì, è la presenza, di tratto in tratto, allo esterno della tunica, di minuti elementi cellulari amigdaliformi (tav. VIII, fig. 6, 7), affatto ialini, e contenenti un grosso nucleo ro- tondo, con distinto nucleolo. Talora il nucleo (tav. VIII, fig. 6) si vede prossimo a sdoppiarsi, contenendo due nucleoli e perdendo la forma circolare, per acquistare quella ovale. Le dimensioni di queste cellule sono di 30 |. e corrispondono af- fatto a quelle ricordate nella parete esterna delle tuniche dei tubi, nel- l’ansa e del sacco. Io ritengo questi elementi nervosi, tanto più che manca nelle coc- ciniglie, che io studiai qui, (e nei Dactylopius) anche la traccia di si stema nervoso viscerale. Ora, riconosciuto che l’ intestino gode di movimenti vermicolari, (ciò che vide anche il Targioni) non è fuor di posto, a mio credere, attribuire a queste cellule una influenza diretta nella contrazione della tunica. * Laddove il mesointestino, compiuto il suo giro, sta per rientrare nel retto, ed a poca distanza da questo, sboccano nell’ intestino stesso i vasi malpighiani, al solito in numero di due (tav. VIII, fig. 3, 4 AI E . ' Nella figura schematica, (tav. VIII, 5) a maggior chiarezza, ho diretto il me- sointestino all’innanzi, anzichè all'indietro come è in natura; ma così la disposizione delle parti è più chiara, cosa che si richiede da una figura schematica. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 139 d,d; 5, i, 0; tav. X, fig. 1, 4, h; tav. VI, fig. 1, s; fig. 2, g) ret- tilinei, in contatto colla parete dorsale dell’ animale, e prolungati allo indietro, parallelamente al retto e di fianco a questo, fino agli ultimi segmenti del corpo. — Sono molto torulosi nel L. hesperidum e addirittura rosariiformi nel L. oleae. In ambedue queste specie sono riempiti di sostanza granulosa bru- no-rossastra, che occupa le cellule loro grossissime. Del resto, quanto a struttura, sono conformi a quelli dei Dacty- lopius, perciò rimando il lettore a quelle descrizioni e figure. Noto però, che mi venne fatto di rilevare un sottilissimo e breve filamento, con cuì terminano questi vasi, e col quale sono fissati agli archi dor- sali dell’ insetto. I malpighiani sboccano nel mesointestino con un comune con- dotto a guisa di peduncolo (tav. VIII, fig. 5, &; tav. X, fig. 1, 9) nel quale però, la struttura è conforme a quella del mesointestino, e che non è mai colorato di bruno. La larva differisce dall’ adulto nelle proporzioni di alcune parti del mesointestino. Così, la porzione cieca di questo (vedi tav. VIII, fig. 3, d; tav. VI, fig. 1, p), è brevissima, e solo più tardi acquista quella notevole lunghezza che già rilevammo. Inoltre tutta la porzione destra dell’ intestino medio è claviforme e più grossa del rimanente. I malpighiani poi, decisamente rosariiformi, non acquistano la loro ordi- naria grossezza (come è naturale) che nella larva che ha già cominciato a nutrirsi da se. Quanto a tutto il resto, il tubo digerente riesce identico in tutti gli stati. Il retto (tav. VI, fig. 1, r; 2, g; tav. VIII, fig. 3, 4, f, f; fig. ogiriiay-X, fig. 1,4; tav. VII, fig. 1, 2,3, è, è, 6;ctav. XI, fig. 3, 9), è un lungo sacco, assai ampio, e ovale-allungato, membranoso e delicato, che cominciando in corrispondenza della inserzione delle zampe del secondo paio, corre fino all’ ano. La membrana trasparentissima che forma il retto, non lascia scor- gere facilmente la sua struttura, perchè resa ancor meglio pellucida, dalla sostanza liquida escrementizia, che bagna internamente le sue pa- reti e che ha un potere rifrangente molto forte. Ma l’acqua pura che scioglie le dette sostanze, nonchè le tinture carminiche o quelle di anilina, dimostrano quanto segue. Havvi una esilissima tunica esterna che sembra senza struttura 140 A. BERLESE ma che talora apparisce come cosparsa uniformemente di minuti cor- puscoli rifrangenti di luce, e che probabilmente sono corpi estranei al tessuto. Certo è che attentamente osservando, si scorge la tessitura cellu- lare della tunica esterna, e qua e la nuclei appariscono discretamente, molto depressi, discoidali e che si colorano debolmente al carmino. Una maggiore quantità di questi elementi si scorge lungo la linea mediana ventrale del retto, in prossimità al punto dove un nervo (de- rivante dal ganglio sottoesofageo) si attacca al retto stesso, come ve- desi nella'fig. 4, della tav. XII, d, (d è il retto). Sotto a questa, vi ha una seconda tunica, questa volta muscolare, provveduta cioè di esilissimi fascì composti di molte fibrille, i quali fasci transversì (fig. 5 c, c), circondano, a guisa di annelli, tutto il tubo, e solo lungo la linea mediana longitudinale ventrale, sono interrotti. Ciascun fascio è abbastanza discosto dai vicini, quasi di tanto quanto è la sua larghezza. Le fibrille poi, straordinariamente esili che compongono questi fa- sci, per quanto muscolari, sono però affatto lisce. Sotto questo strato muscolare, se ne osserva un’ altro, con fibre di- rette invece longitudinalmente (stessa fig. 0) e non riunite a fascio, ma ciascuna libera per se. L'aspetto di quest’ ultime è conforme a quello delle precedenti. Finalmente, un’ ultima esile membrana più interna, avvolge il retto, e questa pare chitinosa e mi è sembrato di riconoscere che nelle mute, viene essa pure a staccarsi, raccogliendosi al centro, grinzosa e morta, per essere poi finalmente espulsa. Il retto, mercè le fibre muscolari sopraricordate, è contrattile. Ho contato in media 20 contrazioni al minuto primo. Queste sono molto ampie, cominciano nella camera attorno all’ ansa e si dirigono poscia al- l’ indietro, con movimento vermicolare di tutta questa parte dell’ in- testino. È facile vedere ciò, rovesciando sul ventre un Lecanium hesperi- dum vivente e esaminandolo poi così al microscopio. Attraverso alla trasparente pelle ventrale questo gioco del retto è evidente. Il liquido escrementizio contenuto nel retto, è denso, sciropposo, di colore giallastro, e più o meno incoloro, vischioso e che all’ aria, dopo pochi minuti si densifica in crostre fragili, trasparenti, appunto come fa la gomma arabica disciolta nell’ acqua. E credo infatti che in questo liquido una buona parte di gomma si trovi. ae LI LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 141 Inoltre esso contiene buona parte di zucchero, e se il materiale troppo scarso non me lo avesse impedito , avrei tentato di misurarla. Certo è che goccioline di detto liquido scaldate su porta oggetti, allo aumentare della temperatura imbruniscono gagliardamente, acquistando tinta fuligginosa e spandendo molto sensibile odore di zucchero bruciato. Il caratteristico imbrunimento del liquido, in presenza di acido cloridrico, od anche di soluzioni alcaline, manifesta esso pure la pre- senza di zucchero. Intanto, sia il liquido, sia le croste che esso produce disseccandosi, sono prontamente solubili nell’ acqua, mentre nell’ alcool rigonfiano leg- germente ma non si sciolgono affatto. Ora, ognuno sa che i Lecanium (almeno delle due specie qui de- scritte), lanciano questo liquido a distanza, e questo con una certa violenza. Io vidi delle goccioline così lanciate anche a cinque o sei centi- metri discoste dall’insetto, e sparse sulla foglia. Ho notato che per com- piere questo atto, l’insetto apre le valve anali, produce la estremità del retto, tenendo aperti i peli cerosi (di cui sì dirà) come in un fiore stanno i petali, e tutto ciò quasi perpendicolarmente alla superficie del dorso, dopo di che, certamente compressa dalle fibre muscolari del retto, la goc- ciola di liquido escrementizio, schizza fuori con violenza, diretta ordina- riamente dietro l’ insetto. Il retto, là dove termina nella apertura anale, assume, per aggiunta d’ organi speciali, una così complicata e curiosa disposizione, che merita di parlarne con una discreta larghezza. La membrana trasparente, che forma il retto, giunta in prossimità dell'ano, si salda cogli orli liberi, a due pezzi chitinosi reniformi (tav. V, fig. 10, a; tav. X, fig. 2, c; tav. XI, fig. 3, o) tutti apparente- mente perforati da pertugi di differente ampiezza. Di ciò più innanzi; per ora noto che questi due pezzi chitinosi o cerci anali, guardandosi 1 un l’altro colla concavità, accludono nel loro mezzo una apertura sufficientemente ampia, la quale è veramente l’ a- pertura anale. Nello stesso tempo i detti cerci, costituiscono come il fondo di un sacco membranoso (tav. V, fig. 9, d; tav. VII, fig. 1, 2, 3, 0, 0, 0; tav. VII, fig. 3, 4, 4, 4; tav. X, fig. 2, b,e fig. 4, a; tav. XI, 3, m) breve e cilindrico, colle pareti delicatamente striate di strie longitudinali parallele, e tutto affatto di natura chitinosa, ma pellucido. Questo sacco esertile, si salda coi suoi orli liberi, che sono appositamente induriti 142 A. BERLESE quasi in creste chitinose (tav. X, fig. 2, 0) alle valve anali, (stessa fig. d, nonchè nelle altre tavole precitate) nella loro faccia interna. Inoltre, sulla parete interna dei cerci anali, stanno piantati otto robusti e lunghi peli, a pareti esilissime, e racchiusi, allo stato di ri- poso, entro il sacco esertile, i quali (tav. V fig. 10, d; tav. X, fig. 2, e; tav. XI, fig. 3, ») sono sempre rivestiti di cera, bianca, granulosa (tav. X, fig. 4, c) che li ingrossa e deforma, riuniti però, due a due, in modo, che, in tutto, si scorgono nel sacco prodotto all’ esterno quat- tro appendici bianche, cilindriche, sporgenti dalla cupola del sacco eser- tile, precisamente come vedesi nella fig. 4 a tav. X, (c), mentre nel- l'atto che il sacco esertile si protende al di fuori (come vedesi nella fig. 3, tav. VIII, 4) tutti i peli assieme riuniti sporgono come un ci- lindro unico (stessa fig. <) che, eserto completamente il sacco, si apre e divide in quattro cilindri distinti, come sì è detto, tutti ricoperti di cera bianchissima. Questa emissione del sacco esertile all’ esterno, tra le valve anali, che avviene appunto quando l’insetto vuole espellere e lanciare a di- stanza il liquido contenuto nel retto, è appunto consentita dalla ela- sticità delle membrane del retto non solo, ma dal fatto che le pereti di questo si raccolgono su se stesse dietro al sacco (come vedesi nella sezione longitudinale mediana, a fig. 3, tav. XI, in g) cosicchè non sono neppure troppo stirate quando il sacco dal di dentro esce total mente al di fuori. Il retto adunque, accompagna il sacco in questo suo movimento, mentre il sacco stesso si arrovescia come il dito di un guanto. Allora l'apertura anale trovasi precisamente sulla faccia libera apicale del sacco ormai prodotto all’ esterno totalmente, e cade fra i peli cerosi. Così si vede nella figura 4, tav. X, in d. Lo scopo di questa operazione e degli organi sopradescritti che la permettono, è precisamente quello di portare l’ apertura anale libera tra le valve anali divaricate e bene discosta da queste, acciocchè il liquido rettale non le imbratti e non impedisca, alle volte, seccando, la libera uscita del liquido. Ma per produrre il movimento di estroflessione del sacco esertile, non vi sono muscoli appositi (mentre vi sono pel movimento opposto) e questo atto deve essere compiuto soltanto dalla pressione del liquido contenuto nel retto, e costretto dalle contrazioni di questo, ciò che ar- tificialmente ancora si può produrre, comprimendo delicatamente il corpo dello insetto dall’ avanti all'indietro (operazione questa possibile solo LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 143 nel L. hesperidum, non così duro e resistente nel suo guscio come il L. oleac). Nel Signoret (loc. cit. tav. 12, fig. 8) è appunto disegnato un Lecanium filicum nell’ atto di eiaculare il liquido rettale, mercè l’ appa- rato sopradescritto; senonchè il Signoret stesso, bravamente, nella me- desima figura, incide il corpo in due lobi, al lato opposto a quello di dove l'organo esertile sta superbamente elevato, cioè nella regione ce- falica. Assai più corretto è, a questo proposito il Reaumur nelle sue figure. Il Targioni vide meglio, e chiamò i cercì chitinosi, ano-genitali, e ciò per l’erroneo concetto che la vulva ed ano non fossero nè nei coccidei nè nei lecaniti distinti, ciò che invece è in tutte le cocciniglie. Negli insetti della lacca indiana, (Carteria lacca) questo apparato raggiunge il massimo sviluppo, diventando un vero tubo, che può in se rientrare come i varii pezzi di un cannocchiale, e colla estremità ornata di peli, i quali, sebbene gli autori non lo dicano, è bene rite- nere coperti di cera nello stato normale. E così che il lungo tubo può raggiungere l'estrema superficie della lacca stessa, attraverso apposito foro, e rigettare all’ esterno gli escrementi. Ma i due cerci anali, appaiono come perforati da pertugi di diffe- renti dimensioni (tav. V, fig. 10). Non sono veri pertugi, ma areole dove la chitina è assai meno densa e perciò permeabile alla cera, come si dirà in appresso. I vani maggiori corrispondono alla inserzione dei peli anali, e sono perciò in numero di quattro per ciascuno dei cerci (detta fig. d, db, 6, 6) mentre le areole minori sono sparse senza ordine nella squama chitinosa. Sui cerci stessi, nella loro faccia che guarda all’interno del corpo sono piantati organi diversi che meritano menzione. Attorno all’ estremità del retto, si vedono sorgere, sui cerci, alcuni organi claviformi, (tav. V fig. 9, c; tav. VIII fig. 4, 0; tav. X fig. 2 n; tav. XI fig. 3, p) minuti, che si riconoscono subito per grandule, e glandule pluricellulari, di cui le cellule disposte a pavimento tappez- zano la cavità interna. Sono ghiandole ciripare, e segregano quella cera che attraverso le esili pareti dei peli ciripari trasuda e riveste questi, oppure per la de- licata membrana delle areole nei cerci, all’esterno trapelando sì raccoglie in glomeruli bianchi attorno all’ apertura anale. Noi vedemmo queste ghiandole talora di 90 w di lunghezza. Oltre a ciò, molti muscoli, tutti coll’ ufficio di ricondurre il sacco 144 A. BERLESE esertile all'interno del corpo, dopo compiuto il suo ufficio all’ esterno, sì inseriscono sui cerci anali attorno al retto. E questi sono : 1. Tre potenti fibre muscolari, (retratiori del sacco) che con corto ma robusto tendine a guisa di tubercolo (tav. VII fig. 4, g; tav. X fig. 2 tav. IX fig. 3, g;) sì attaccano ai cerci, tutte e tre (in ciascun lato) con un tendine unico, e che vanno poi obliquamente all’ innanzi ed al ventre ad attaccarsi al 7° arco ventrale. Sul più grosso di questi tre muscoli, (tav. VIII, fig. 4, x, x, #; tav. X, fig. 2 9, 9. g) non è difficile scorgere, sulle sue pareti, dei nuclei rilevati e minuti (tav. X fig. 2, 4). Merita attenzione una fibra muscolare che partendo dal retto (ta- vola X, fig. 2, p) va ad unirsi ed a fondersi con uno di questi muscoli. Inoltre, alcune lunghissime fibre, (retti ventrale) partendo dai cerci stessi, nel loro lato ventrale, sotto il retto, e dirigendosi poi obliqua- mente in fuori, si portano all’ innanzi e si attaccano al 4 arco ventrale (fig. 2, tav. X, 2; tav. VIII fig. 4, r). Da ciascuna di queste fibre, presso alla loro origine, partono fibre minori, che si recano al retto ed a questo si inseriscono (tav. X, fig. 2, 12). Fibre affatto simili si notano ancora dal lato dorsale, inserite al 4° arco dorsale e fissate al fondo del sacco esertile, e sono questi gli unici rappresentanti delle fascie muscolari dorsali che già vedemmo nei Dacty- lopius, (retti dorsali) (vedi fig. 2 a tav. X, 2). Avverto inoltre che il retto stesso, un poco più innanzi, ha un mu- scolo proprio, (protrattore del retto) che si inserisce lateralmente e sì dirige all’ indietro, nonchè al basso, inserendosi al 7° arco ventrale. Mentre i primi servono evidentemente a ritirare il sacco esertile, quest’ ultimo serve a trarre il retto dall’ innanzi all’ indietro. Ho potuto notare come si inseriscono questi muscoli e le altre fi- bre muscolari striate or ora accennate, alle pareti del retto stesso. In contatto con queste, i muscoli si allargano in una placca (tav. X fig. 3 4) con fibrille diramantisi sul retto (») mentre nel suo spessore la placca stessa racchiude una massa protoplasmatica (c) discoidale, granulosa. Le larve godono di tutti questi organi, ma il sacco esertile è meno profondo, e perciò i suoi peli sporgono, quasi, al difuori, anche nello stato di riposo. Nelle mute, costantemente, tutto il sacco esertile coi suoi acces- sorii chitinosi viene cambiato, e trascina con se (a quel che mi parve vedere) anche la più interna tunica del retto. MP e) ni iv > Lidi x LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 145 Ghiandole salivali. Tra le ghiandole annesse al tubo digerente, oltre i malpighiani già descritti, ricordo le ghiandole salivari, (tav. VI fig. 1, é) in forma di grappolo di borsette subsferiche, da cinque a sette per ciascun lato, e affatto simili a quelle ricordate nel Dacty/opius, col loro condotto sboccante nel rostro. Modificazioni nell’ adulto del L. oleae. Ho già avvertito che nel L. oleae, dopo che la femmina, definitiva- mente fissata e abbastanza cresciuta, comincia a deporre le uova, per l’ammucchiarsi di queste tra il ventre e il piano sottostante, il ventre stesso si comprime, allontanandosi dalla superficie dell’ organo della pianta, di modo che il rostro, volendo a questa rimanere aderente, trae dietro a se l'epidermide ventrale, in un tubercolo od appendice clavi- forme più o meno lunga. E così nelle sezioni, si ha l'aspetto di tutto ciò, indicato nella fi- gura 4, tav. VII. (dove « è il corpo della femmina, è il rostro col suo prolungamento, e le setole rostrali infisse nella pianta, d quanto a que- sta sì riferisce, ed e le uova). Così anche gli organi interni vengono notevolmente spostati, e en- tro l’ appendice claviforme suddetta, oltre a parte dell’ esofago (vedi la sezione dell’ appendice in discorso, a tav. XI, fig. 4 a) vengono a trovarsi ancora i due gangli nervosi cioè il sopraesofageo (8) ed il sot- toesofageo (c); il primo coì suoi nervi ottici (4) e le commessure, l’ altro coì suoi nervi alle parti diverse del corpo (e). Nella appendice stessa sì raccolgono ancora le ghiandole salivari (7). Il rostro occupa la parte piana apicale dell’ appendice, e nella fi- gura si vede bene in f, il clipeo : in / la branca trasversa dell’ipostoma, mentre g è il succhiatolo. Ma al disotto del succhiatoio, 1’ epidermide ventrale, forma un altro sacco distinto (B), quasi appendice dell’ appendice, nel quale ven- gono a stabilirsi, in riposo, le setole rostrali (4, 4) colla loro guaina (m). Ecco come si dispongono i detti organi in questo singolare spo- stamento. Ciò non avviene mai nel L. Resperidum. Organi della riproduzione Le nostre indagini, nel genere Lecanium, per ciò che si riferisce agli organi sessuali, si restringono alle femmine, data la deplorata scarsezza o mancanza dei maschi, mentre non ci fu dato occuparci di 10 146 A. BERLESE questi organi nelle tre sole ninfe maschili da noi attribuite al L. oleae. Ma per non rimanere totalmente all’ oscuro della anatomia di un Le- canite maschio, abbiamo portato la nostra attenzione sui maschi della Philippia oleae, di cui studiammo la interna struttura. Solo quì questo studio, date le dimensioni del presente lavoro, non può trovare posto. Per l’ anatomia degli organi sessuali maschili, come degli altri, rimandiamo il lettore ad un lavoro nostro già pronto e maturo per la stampa, relativo alla P/eZppia oleae. Così il lettore stesso potrà rico- noscere come ì maschi sono conformati nei loro organi relativi alla ri- produzione e riterrà che, con poco divario, anche nel genere Lecamzum sieno questi organi fabricati su tipo conforme. Nelle femmine adulte, l apertura sessuale si apre nel 7° arco ven- trale, (vedi fig. 3, tav. VI, a) cioè sotto il solco che separa il 7° dal 6°, in un lobo triangolare che, colla sua punta, rimane compreso tra i lobi anali (stessa fig. B). È stato detto dunque a torto che una apertura comune, compresa tra le valve anali, dà passaggio ai prodotti sessuali e alle escrezioni del retto. Anche qui, come in tutte le coceiniglie, 1’ ano è ben distinto dalla vulva. All esterno, l apertura sessuale si manifesta poco chiaramente, in forma di fessura transversa (fig. 3, @: fig. 4, a) a labbra liscie senza rughe o strie di sorta. Nei Dactylopius sì vide già questa apertura fra il 6 e 7 arco ventrale ; qui adunque è un poco più all’ indietro. L’ epidermide, sotto alla vulva, è marcata di strie transverse gros- solane, come vedesi nella fig. 4. Poco più su della vulva, scorgesi, dopo un tratto a strie consimili a quelle sotto vulvari, e che non alla epidermide del 7 arco, ma al- l’ovidutto appartengono, e delle quali si dirà meglio, scorgesi, ripeto, un’ altra breve area ovale senza strie, con due peli, lunghetti, uno in ciascun lato (fig. 4 d) e nel centro con una specie di poro rotondo e minuto (fig. 4, c). Sembra che questo sia una vera apertura, dalla quale forse escono i prodotti delle due ghiandole che per analogia chiameremo sebacee, sebbene in questo caso è meno palese il loro ufficio. Non sono però certo che si tratti di una apertura, mentre potrebbe essere un’ area per l essudamento della cera, se le ghiandole anzichè sebacee fossero ciripare ciò che assai difficilmente si può rilevare, oppure questa papilla può essere un semplice rialzo impervio, senza particolare scopo. pe LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 147 Segue l’ovidutto unico, striato trasversalmente come un tubo, che si prolunga fino al solco tra il 5° ed il 4° arco ventrale, in corrispondenza del quale solco si biforca. Ora, procedendo allo interno, dalla vulva in avanti, (vedi tav. X, fig. 5 e tav. XI, fig. 3) dopo una breve vagina, si nota, in una parte meglio allargata dell’ ovidutto, introflesso un lembo annulare (tav. X, fio. 5 d; tav. XI, fig. 3 d) che lascia libero uno stretto passaggio li- neare nel mezzo e che nelle sezioni longitudinali, come in piano, sì pre- senta come bilobo, mentre in realtà è un vero e proprio tubo. Ora la struttura di questo organo è assai semplice; si tratta di una esile membrana, con moltissime pieghe e con gran numero di nuclei senza che a questa si attacchino muscoli od altro. In ambedue le specie così è, e quest'organo ci è sembrato un ovo- positore carnoso, entroflesso ed in riposo, mentre nelle femmine adulte di L. oleae, lo abbiamo più volte riconosciuto estroflesso, al di fuori della vulva, come una specie di cilindro carnoso. Alla base di questo cosifatto ovopositore, sboccano le due grosse ghiandole sebacee (fig. 5, tav. X, c) che si scorgono al di quà e al di là dell’ ovidutto (tav. X, fig. 6, 6 tav. VI, fig. 3. 4, d d), assai distin- tamente. (Queste ghiandole, certamente corrispondenti per posizione se non per ufficio alle consimili già notate nel Dacty/opixs, hanno speciale struttura, degna di nota. , Primieramente si mostrano plurilobate al loro apice estremo, ge- neralmente bilobate o trilobe, e questi lobi sono tutti rotondati, mentre allo sbocco la ghiandola si assottiglia alquanto. La porzione terminale lobulata, è occupata internamente da grosse cellule nucleate, quasi rotondeggianti (tav. X, fig, 5, d) alla periferia interna, lasciando un vacuolo centrale abbastanza esteso. Ma la porzione più ristretta di esse ghiandole, è rivestita internamente da epitelio ci- lindrico, con cellule molto più strette delle precedenti, e sembra che que- sta porzione della ghiandola costituisca una camera distinta e comuni. cante colle camere formate dai lobi estremi. Negando il poro sopravulvare già menzionato, ed accordando in- vece, come consiglierebbero le sezioni in piano, uno sbocco alle ghian- dole sebacee entro il cilindro membranoso che funge da ovopositore, più facile è l’interpretazione dell’ ufficio di quelle. Si può infatti credere che il loro segreto, versato nell’ ovopositore prodotto, questo distenda ed allunghi convenientemente, e trasudando poi attraverso alla esile 148 A. BERLESE membrana dell’ ovopositore medesimo, la lubrifichi a procurare più facile l’ uscita delle uova. Intanto tutto l’ ovidutto, dalla vulva alla biforcazione, apparisce cilindrico e tutto striato di traverso. Si tratta infatti di grosse fibre muscolari (non striate a quel che sembra), annulari (tav. X, fig. 5, /) comprese fra due tuniche epiteliari, l’ una interna, l’ altra esterna, con cellule disposte a pavimento e bene nucleate (fig. suddetta, 9, %). Ma dove cominciano i due rami primarii dello ovidutto, scompa- iono, dalla tunica di questi, le fibre annulari transverse, e rimangono solo, molto spesse, ie due membrane interna ed esterna epiteliari, com- poste di cellule allungate, fusiformi, e bene nucleate, sebbene assai pic- cole (stessa fig. <). Questa struttura sì conserva in tutti i rami, anche secondarii, dell’ ovidutto medesimo. Dove il ramo principale si biforca, proprio dal fondo della forca, nasce la spermoteca (tav. X, fig. 5, 0; fig. 6,f 9g; tav. VI, fig. 3, e; tav. XI, fig. 3, a, 6; tav. VII, fig. 2, 3, f, f). Questo organo, così spesso destinato , nelle due specie qui descritte, a continuo riposo, ha forma di clava, con peduncolo più o meno lungo, e una parte molto allargata, sferica all’ apice e sta tutto disteso verso la parte anteriore del corpo. La struttura del peduncolo è diversa da quella del sacco, poichè in tutto il peduncolo così cilindrico, oltre ad un epitelio esterno (tav. X, fig. 5 /) a quello che riveste tutto 1’ ovidutto, e che si continua, sebbene con cellule più larghe e più lasso, (stessa fig. #) anche sopra la teca, sta più internamente, subito sotto, uno strato di fibre annulari contrattili, come nell’ ovidutto basilare; l’ epitelio, poi, interno è costi- tuito da cellule cilindriche molto alte, di guisa che il lume del pedun- colo è esilissimo. Nella parte più basilare del peduncolo stesso le cellule di questo epîtelio, dirette perpendicolarmente all’ asse longitudinale del picciolo medesimo, corrono per diritto, 1 una incontro all’ altra del lato opposto, ma più presso allo sbocco nella spermoteca, le cellule epiteliari del ri- vestimento interno si piegano all’ innanzi verso la teca, e terminano acute, quasi ciliate. Un consimile epitelio, ma a cellule più grosse, con più grossi nu- clei, sempre però cilindrico, riveste internamente la teca, (fig. suddetta n). Alcune volte però ho veduto questo epitelio molto più depresso e quasi pavimentoso , e così il vuoto nella spermoteca, più ampio e più nettamente sferico. “de 1/ PPS (a) LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 149 Altre volte, molto più spesso, ho visto le estremità libere ed acute o biforcate delle cellule cilindriche del detto epitelio, fondersi insieme per interposizione di sostanza quasi mucosa, verdastra. Il caso più ovvio è quello di riscontrare aria sia nella teca che nel peduneolo. Molte volte, lungo tutto il peduncolo, ho visto infisso un assai curioso corpo filiforme, che segnava bene il lume del peduncolo stesso, e capitato alle due estremità libere nella teca e nell’ ovidutto, molto lucido e incoloro, con questi capituli angolosi, quasi come il ferro di una lancia. Non posso credere si tratti di uno spermatoplasto, e dubito sia in- vece una secrezione, concreta più o meno, delle cellule epiteliari. Gli spermatofori hanno struttura ed aspetto assai diversi da quelli di questo corpo, così che non è difficile il riconoscerli tosto. Spermatofori, nella vescicletta spermatica, delle due specie agru- micole, non ho mai riscontrato, sicchè posso credere, con altri, che queste due forme sieno, più che altro, partenogeniche, e che i maschi, se esistono, sieno straordinariamente rari. Constatiamo così che dalle uova non fecondate, nascono femmine, per cui possiamo ritenere che da quelle feconde si svolgano invece ma- schi e questo deve avvenire anche per altre specie. Sui rami secondarii dell’ ovidutto nascono e si svolgono le uova, nel modo già bene noto e da noi brevemente riferito a proposito dei Dac- tylopius. Ho cercato, con ognì studio, di sorprendere differenza nello sviluppo delle uova in forme di cocciniglie soggette a fecondazione, ed in queste condannate a perpetua vedovanza. L'argomento è riuscito e riesce duro a intelletti più robusti di gran lunga del mio, perciò non sarà meraviglia al lettore l’ apprendere che io potel riconoscere solo uno sviluppo nell’ uovo, evidentemente assai più rapide di quello notato nel Dact,/opius, poichè, molto per tempo, una delle grosse cellule vitellogene scende nella porzione basilare della capsula ovarica, (fig. 7, tav. X) ed è questo l’ uovo primitivo, mentre le altre (stessa fig. 4) rimangono al loro posto, per consumarsi e rico- stituirsi come ne fanno fede alcune così disfatte, che non ne rimane altro se non che il nucleo (fig. 8, 4, 9, d) con poche granulazioni at- torno. L'uovo primitivo si circonda subito di granuli di vitellus, dap- prima irregolari (fig. S, 72) finalmente uniformi e rotondi (fig. 9, me). 150 A. BERLESE Ma assai prima che l’ uovo sia prossimo a maturità, i resti della parte superiore della capsula ovigera, contenenti le rimanenti ghiandole vitellogene, scompaiono, mentre questi stessi rimangono molto più lun- gamente, fino ad uovo quasi maturo, nei Dactylopius. Questo solo potei vedere bene nel L. hesperidum. Im questa ultima specie, le uova entro la loro capsula stessa su- biscono tutte quelle fasì di segmentazione e sviluppo, in seguito alle quali comparisce, ognor più nettamente, l’ embrione, fino alla sua com- pleta formazione. L’embrione così fatto, colle zampe e le antenne ri- piegate lungo il corpo, rotta la membrana dell’ uovo, che rimane entro la capsula ormai inutile e vuota di cellule o d’' altri elementi, scende per i canali, a ciò destinati, ed esce all’ esterno. Ma così immobile e raccolto, rimane il neonato più giorni, in un acconcio nido (tav. XIII, fig. 5) formato da glomeruli morbidi di cera disposta sui tessuti della pianta e prodotta dalle ghiandole ciripare ge- nitali, mentre è protetto superiormente dagli ultimi segmenti della ma- dre, induriti e rientrati così nel ventre, da formare una volta al disopra del nido. Più tardi la larva si scuote e attraverso ai lobi anali o per altra via, esce allo esterno a provvedere a se indipendentemente. Il Lecanium hesperidum adunque, è decisamente viviparo, e in ciò ha ragione il Signoret e qualche altro che tale lo affermano, mentre meno bene altri con minor diligenza, parlando dei Lecanium in genere, li vogliono tutti ovipari. Nel L. oleae, in quella vece, il processo è molto diverso. La specie è ovipara, e le uova soggiornano un tempo più o meno lungo sotto il guscio che la madre fa con tutto il proprio corpo, e si vedono queste uova, mescolate talora a glomeruli di cera ed a larve, che via via nascendo, attendono occasione propizia per uscire allo esterno. Le cause che accelerano siftattamente lo sviluppo del L. hesperidum, in confronto del L. oleae e di altri Lecanium del gruppo stesso di quest’ ultimo, dipendono, a parer mio, da una necessità, alla quale, senza opportuno riparo, la specie, a quest’ ora dovrebbe essere già da gran tempo scomparsa. Infatti, il L. oleae, bene protetto, al dorso, da guscio duro e da abbondante secrezione di lacca, e più fecondo forse del L. hesperidum, è molto più difficilmente attaccato da parassiti mortali come sono gli imenotteri o da predatori voraci, e questo constatai facilmente sezio- nando gran numero di individui, quale mi è stato necessario pel pre- LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 151 sente lavoro, mentre quasi tutti i L. hesperidum, da me aperti, si tro- varono inquinati da larve di imenotteri parassiti. * Ora, la specie che così male provvede a riparo diretto nel L. he- speridum contro l'attacco di questi parassiti, mentre meglio si comporta il L. oleae, soccorre a se, nel L. hesperidum ed alla propria esistenza con un più sollecito sviluppo, non così bene però, che il L. hesperidum non sì mostri di gran lunga più raro del L. oleae, e non determini mai o troppo raramente perchè se ne abbia notizia, estese infezioni, come purtroppo avviene invece del L. o/eae. Possiamo adunque dire sicuramente che il ciclo vitale del L. he- speridum, è abbreviato in confronto di quello del ZL. oleae, non solo per ciò che si riferisce allo sviluppo degli embrioni, ma ancora a quello delle forme sessuate, poichè le femmine mature del L. hResperidum si possono paragonare alle ninfe non cribrate, che già si conobbero nel L. oleae , cioè alla prima ninfa di questo, tanto che esse si conservano sempre attive, nei loro organi di relazione, ciò che non è per il Leca- nium oleae ed altri del medesimo gruppo, i quali, negli ultimi momenti del loro sviluppo, si incamminano ad una specie di incrisalidamento. Non sarei inoltre alieno dal credere, che i maschi di queste forme od almeno quelli del L. hesperidum, abbiano dovuto soccombere dinanzi all’ attacco dei parassiti, come quelli che, soggetti a più prolungato sviluppo delle femmine, sotto l’ attacco dei parassiti, egualmente mal difesi, più lungamente hanno dovuto trovarsi. E notisi infatti, che dei Lecarnium appartenenti allo stesso gruppo del L. hesperidum, di nessuno è noto il maschio. Così sì può apprezzare bene l’opera altamente benefica dei paras- siti, che, altrimenti, una specie così celeramente prolifica, come è il L. hesperidum, richiamerebbe su di se assai maggiori lamenti, da parte dell’ uomo che richiede alla terra il frutto sudato, del L. oleae, che pur è così lamentato. ! Dei commensali, predatori e parassiti delle cocciniglie degli agrumi, dirò in fine, dopo aver parlato di tutte le cocciniglie agrumicole. Ho già raccolto tanto ma- teriale di osservazioni e di fatti, alcuni anche singolari e degni di nota, che temo la loro descrizione richiederà assai maggiore opera che non quella delle cocciniglie stesse. Per i Lecanium, oltre ad imenotteri parassiti, notai ancora uno speciale spo- rozoo, comunissimo specialmente nel L. oleae, in tutti i suoi stati, ma non però inducente così grave malattia, da impedire la vita e la riproduzione dell’ ospite. Più gravemente, questo parassita, attacca invece il L. Resperidum. 152 A. BERLESE Sistema respiratorio Sarò molto breve su questo argomento, sia perchè già da altri suf- ficientemente esplorato, sia perchè meno complesso. Accennerò però ad alcune particolarità proprie del gruppo. Gli stigmi, sono due in ciascun lato, il primo paio situato tra le anche delle zampe anteriori e il contorno del corpo, il secondo tra le anche delle seconde paia ed il contorno stesso. Già nelle larve, queste aperture sono sufficientemente discoste dal- l'orlo del corpo, e non aperte su questo come pure vorrebbe il Penzig (tav. II, fig. 1, tav. VI, fig. 1, st.). Ma, collo aumentare della forma, crescendo notevolmente la larghezza del corpo e più la porzione squa- miforme tra la linea longitudinale delle zampe e l'orlo libero, gli stigmi sempre più si scostano da questo, fino ad esserne, nell’ adulto, molto lungi. Intanto però, tra lo stiema e l'orlo del corpo, si mantiene sem- pre un solco lineare profondo, diretto adunque trasversalmente all’ asse longitudinale del corpo; noì chiameremo questa scalanatura solco sfigma- tico e se ne vedrà l importanza. Questo solco, giunto allo stigma si biforca, con due rami per di- ritto fra loro e paralleli all’ orlo del corpo e in queste foveole stanno riparate le zampe e le antenne, come sì è già detto. Ma il solco stigmatico esiste in tutti i /ecamiti, se dobbiamo argo- mentare da quello che vidi, non solo nel genere Lecarium, ma nel Ce- roplastes, Asterolecanium, Karteria, Philippia. Sì è già avvertito, nel capitolo delle secrezioni, che lungo questo solco stanno numerosi sbocchi (diciamo così) di ghiandole ciripare, ed il loro ufficio è quello di segregare glomeruli di cera, che riempiono il solco stesso e costituiscono un filtro attraverso al quale 1’ aria depurata giunge fino agli stigmi. Non appena le larve cominciano a provvedere a se, succhiando quà e là umori dalla pianta, le ghiandole ciripare del solco stigmatico riempiono la scanalatura suddetta di cera, e questa sempre rimane, fino alla morte dell’ individuo, convenientemente accresciuta. Questo cuscinetto lineare di cera pulverulenta è provvidenziale, specialmente per le specie fisse, nella massima parte della loro vita, poichè per quanto bene saldato sia il corpo, nei vecchi ZL. oleae ed in altri col suo orlo a parti della pianta, mercè questa striscia di cera, all’ aria è possibile il passaggio. Così pure è negli Asterolecanium e Ceroplastes LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 153 etc. ed il Targioni dimostra che nella Kartera, ì cuscinetti lineari cerosi continuano oltre il solco stigmatico, anche nello spessore della lacca, fino alla sua superficie libera, dove si scorgono le loro sezioni come punti bianchi e di quà passa l’ aria. Basta staccare un Lecanium, od un Ceroplastes, od un Asterole- canium 04 altro Lecanite a ventre piatto, staccarlo di dove sta, e ve- derlo dal ventre, per rilevare subito, anche ad occhio nudo, quattro strie bianche e raggianti come da un centro, ma in questo interrotte fra di loro, così che non sì toccano, le quali sono appunto i solchi stigmatici ripieni di cera. E questa cera è identica a quella delle ghian- dole genitali e circumanali cicipare, anche nella forma. * _ 1 solchi paralleli all’ asse longitudinale del corpo, quasi derivati o a contatto, come si «disse, collo stigmatico, non hanno secrezioni cerose, ma sembrano solo utilizzati ad accogliere, nella quiete ben lunga delle femmine di Lecanium, le zampe e le antenne. Ora, l’orlo libero del corpo, in corrispondenza degli stigmi, cioè all’ origine del solco stigmatico, è inciso, più o meno profondamente, in modo che il corpo stesso sembra essere diviso in tre grandi lobi. Nel mezzo di queste incisioni periferiche stanno piantati i peli stig- matici, di cui si è già detto a proposito del tegumento e sue referenze. Fu già detto e ripetuto che queste incisioni limitano le tre re- gioni in cui il corpo degli insetti tutti è diviso. Questo non è conforme a verità. Poichè se pure si potesse dimo- strare che la prima porzione compresa tra le incisioni anteriori e 1’ orlo superiore del corpo corrisponde al capo, certamente, con breve esame, si può riconoscere che la seconda sezione del corpo, compresa tra le quattro incisioni laterali non risponde al torace. Questa porzione infatti non comprende tutte sei le zampe, ma solo le prime quattro, mentre l’ ultimo paio cade più sotto assai, come nelle larve si può vedere bene (tav. VI, fig. 1j23 tav. 1, .fig.-1): Dopo le zampe del secondo paio, un solco transverso, corrente fra le incisioni al ventre, limita 1’ orlo inferiore del mesotorace, mentre sotto a questo, un segmento affatto simile agli addominali, porta le zampe del terzo paio. Siechè la porzione del corpo, tra le quattro incisioni compresa, ! Già il Reaumur, aveva osservato che staccando da un ramo un Lecanium, sul ramo stesso rimanevano, a significare la traccia dell’ insetto, quattro strie bianche, che appunto tali erano dai detriti di cera propri ai solchi stigmatici. V. Reaumur, Mèm, tav. 1, fig. 4, tom. 4. i 154 A. BERLESE corrisponde soltanto al protorace ed al metatorace assieme fusi, con un paio di stigmi per ciascuno, precisamente come già si è visto nei maschi del Dactylopius e come in tutti i maschi di cocciniglie da me esaminati. Però, l'esame degli scudi protettori segregati dai maschi, fa cre- dere, molto opportunamente, che il capo non sia limitato inferiormente dalle due incisioni anteriori, ma termini molto più innanzi, poco dopo gli occhi, rappresentando così il suo limite inferiore una linea molto curva all’ indietro, come è appunto tagliato l’ orlo inferiore della por- zione cefalica nello scudo protettore suddetto. Questo per affermare che non tutta la parte del corpo tra le prime incisioni e 1’ orlo anteriore può riferirsi al capo. Ma venendo a dire più precisamente degli organi della respira- zione, osserverò che gli stigmi, nei Lecanium, se esaminati in piano su spoglie di animali bolliti nelle soluzioni alcaline concentrate e poscia debitamente rischiarati, appaiono come dischi, perforati nel mezzo, sen- za che l epidermide in essi dischi sia troppo, più che altrove, spessa. Però le sezioni longitudinali di essi dischi, quale è precisamente quella a tav. XII, fig. 6, mostrano che sì tratta di una camera vuota a for- ma di focaccia, colla faccia superiore (a) convessa e 1’ inferiore (d) pianeggiante. Quella affiora la superficie della epidermide ventrale (#2) e con questa venendo a contatto, dove le due lamine si toccano così, apresi un foro rotondeggiante (0) che mette nell’ interno della camera o peritrema (c); mentre un’ altra apertura, pure circolare (4), contornata da chitina più spessa, praticata nella lamina inferiore della detta ca- mera, mette nelle trachee. Ma dalla lamina inferiore del peritrema, procede un braccio chitinoso, che poi si svasa all’ estremità opposta e pare che con questa aderisca al derma del dorso. Nel complesso adunque si ha una forma di rocchetto, ma il brac- cio chitinoso è impervio. Invece dal fondo del perimetra partono tachee e, e, e; ordinaria- mente una assal grossa ed una minore (?) che subito si ramificano, di- rigendosi verso il centro del corpo. Le trachee, oltre alle tuniche pro- prie (anista e filo spirale), presentano anche una esilissima tunica av- volgente con radi nuclei. Alla faccia inferiore del peritrema poi prendono inserzione numerosi muscoletti (7) disposti a ventaglio sotto lo stigma e che devono agire su questo. Attorno allo stigma stanno numerose ghiandole ciripare, di cui alcune abbiamo disegnato nella suddetta figura (f). LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 155 Il disegno a tav. XII, fig. 1, mostra, oltre i nervi, ì principali ra- mi tracheali già descritti per i Lecaniwm da altri, cito il Witlaczil. Dallo stigma anteriore, (tav, XII, fig. 1, A) parte, un discreto tubo che corre pressochè parallelo all’ orlo del corpo, fino entro tutto il capo e là si divide (trachea cefalica) (B). Direttamente invece, verso il centro del corpo, si allunga un’ altro tubo più grosso, partendo dallo stesso stigma, che subito però sì bi- forca. Il ramo che si dirige all’ innanzi (trachea cerebrale) (E), dopo breve tragitto, e dopo aver dato rametti alle ghiandole salivari e ad altri organi, si suddivide in due tronchi, dei quali uno corre (C) al rostro (che attraversa per lc lungo) e raggiunge così l'orlo inferiore del lobo medio, (tra i lobi ottici e questo), passa oltre, verso la parte anteriore del corpo, dà rami all’ antenne e ad altri organi; l’ altro (D) tocca il ganglio sottoesofageo nel suo orlo laterale, presso l’ origine delle commessure, e su questa massa gaglionare sì distribuisce. Il ramo invece che si dirige in basso (F), (trachea interstigma- tica), obliquamente verso l’ interno, sì biforca, mentre uno dei tronchi raggiunge lo stigma del secondo paio, (H) e l' altro, decisamente tran- sverso (G), passa sotto il ganglio sottoesofageo per raggiungere la tra- chea interstigmatica del lato opposto. Dallo stigma del secondo paio (L), oltre a rametti minori paralleli all’ orlo latrale del corpo (P) ed oltre alla trachea interstigmatica (H), sì dirige transversalmente verso il centro del corpo un ramo (M) per- fettamente perpendicolare all’ asse longitudinale del corpo, che passa sotto il retto, cioè in corrispondenza della faccia ventrale, e raggiunge così lo stigma opposto (Q) (trachea transversa ventrale). Però presso alla sua origine questa trachea produce due grossi rami che corrono direttamente all’ estremità posteriore del corpo, il più inter- no (N) (trachea genitale) ai fianchi del retto, a questo prossima; .il più esterno, pressochè parallelo al precedente, fino all’ apice del lobo anale (0). Ma dalla trachea interstigmatica, assai presso al punto dove que- sta si apre nello stigma del secondo paio, parte un grosso ramo tra- cheale, (R) che raggiunge la opposta trachea interstigmatica, dopo aver percorso una grande ansa all'indietro, e questo sopra il retto, cioè tra il retto e la faccia dorsale dell’ insetto (trachea transversa dorsale). Queste sono le principali trachee che si osservano nelle larve e nelle femmine dei Lecanà:m. L'esame di gran numero di tubi digerenti di femmine, appartenenti alle due specie qui descritte e ad altre, mi ha fatto rilevare due fatti importanti. 156 A. BERLESE Il primo si è che nè il retto, nè l’ intestino medio, se si eccettui le porzione ad ansa, sono provveduti di trachee di misura alcuna. Il secondo, che, molto spesso, il retto racchiude aria. Ho dubitato adunque di una respirazione anale, mentre ho dovuto convincermi, d'altro canto, che per queste forme non si può ragione- volmente ritenere, come per altri insetti, da altri sì è sospettato, che ai più minuti rami tracheali sia destinato, oltre al più palese ed ovvio, anche il più recondito ufficio di servire come veicolo ai liquidi nutri- tizii già elaborati, dall' intestino alla cavità viscerale od agli organi. Assolutamente nell’ intestino medio di quante cocciniglie ho sezio- nato di generi diversi, rami minuti tracheali non esistono. Come è portato 1’ ossigeno a questi organi, mentre a tutti gli altri così abbondantemente affluiscono le trachee? Per ciò che riguarda l’ intestino medio non so affatto come rispon- dere, per il retto dubito della respirazione anale. Ho detto che solo pochi rami penetrano nell’ ansa intestinale, ma le pareti del retto non hanno certamente tubo alcuno nè piccolo, nè di maggiori dimensioni, e perciò si può ritenere che 1’ aria occlusa nel retto serva alle tuniche sue e per la esilità di queste e la loro facile permea- bilità, ancora agli organi adiacenti. i. Vi ha di più, nel mio giudizio. Nelle cocciniglie che io esaminai, Dactylopius, Diaspiti, Leca- mum, ete., l apertura anale, o è un semplice foro senza sfinteri od altri organi che lo chiudano, ma liberamente e sempre beante, oppure se accessorii esistono, questi sono conformati in modo da simulare, nel loro complesso, un filtro cereo non dissimile da quello che si notò nel solco stigmatico. I Lecanium, per non dire i Lecaniti, rientrano in questo secondo gruppo. I.peli circondanti 1’ orifizio anale, inclusi allo stato di riposo nello organo rettratile, costituiscono, nel loro complesso, così rivestiti sempre di cera come si vedono, un cilindro che occupa tutto il vano del corpo retrattile, cioè un vero e proprio filtro, come nel solco stigmatico la barriera lineare di cera. Si veda nella tav. VIII, fig. 3, il cilindretto di peli avvolti da cera (è) mentre sta per sortire dall’ organo retrattile che si svolge. L’ accesso all’ aria, nelle forme ad apertura anale sem- plice, attraverso a questa non è impedita da organo alcuno. Nei Leca- nium sembra che |’ aria stessa possa penetrare, ma però filtrata. Questa idea sorride ancor più se sì pone mente al lungo processo retrattile, terminato da peli (molto probabilmente allo stato normale vi Ld d, 0% “i coperti di cera) delle Karterza, che già conobbe il Targioni; processo analogo affatto, al più breve organo retrattile dei Lecanium, e che nelle specie così ‘abbondantemente laccipare, serve a portare alla superficie ° della lacca le escrezioni degli insetti (lacca esse pure) non solo ma a scambiarle con aria da ritrarsi entro il corpo, troppo chiuso forse di fuori alla respirazione, almeno cutanea, per la lacca circostante, mentre i condotti aeriferi in corrispondenza colle trachee, così riempiti di cera non debbono lasciar passare molta aria, tanto più che agl’ insetti viene meno il modo di richiamarla o dilatando il corpo od altrimenti. Ma su questa questione, oltre le indicate osservazioni, e la pre- senza dell’aria nel retto, più volte riscontrata, non ho potuto avere, e forse non è facile ottenerle, prove più dirette. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 157 Differenze anatomiche fra i Lecanium ed i Dactylopius Riassumendo, credo utile rilevare qui le differenze anatomiche fra questi due generi, mentre, potendosi questi produrre come tipi delle due tribù di Lecaniti e Cocciti, risulteranno così evidenti le diversità nelle sezioni, per ciò che riguarda gli organi tutti. Organi esterni. 1. Segmento preanale dorsale intero nei Dacty/opius, diviso in due metà laterali (squame anali) nei Lecanium. 2. 7° segmento nei Lecanium allungato all’ indietro in due vasti lobi (Zobi anali); nei Dactylopius invece non aumentato all’ indietro, ma semplicemente rotondato a livello dell’ ano. 3. Nelle femmine già grossette, meglio che nelle larve, il corpo dei Lecanium è allargato in tutti i sensi in una porzione depressa squamiforme, mentre nei Lecanium è sempre carnoso e grossetto. Tegumento. 1. Tegumento, duro, spesso, nei Lecarium, e fuso al dorso tutto in un unico pezzo senza divisione apparente in segmenti; nei Dactylo- pius molle, con segmenti bene distinti, sia al dorso che al ventre. 2. Al dorso, nei Lecanium, il tegumento è provveduto di ghian- dole /accipare aperte, mentre nei Dactylopius di sole ghiandole ciri- pare chiuse. 5. Produzione di lacca in forma di sostanza di aspetto cristal- lino e trasparente, dal dorso dei Lecanium; nei Dactylopius invece sempre produzione di cera (Coccerina) in glomeruli o bastoncini. 158 A. BERLESE Muscoli. 1. Mancano le quattro fascie dorsali nel Lecanium; esistono bene visibili sa Dactylopius. . Deboli o nulli i muscoli a stella attorno agli apodemi ster- nali nei i, potentissimi invece nei Dactylopius. 3. Fibre muscolari numerosissime e brevi, dal ventre al dorso, nelle squame che circondano il corpo nei Lecanium, mancano queste fibre nei Dactylopius. Sistema nervoso. 1. Ganglio sopraesofageo distintamente diviso in tre lobi nel Le- canium, indiviso nel Dactylopius. 2. Dalla posizione posteriore del ganglio sottoesofageo, parte un nervo unico grosso (addominale) nel Lecam:m, sei grossi nervi invece, divisi in tre paia per ciascun lato, nel Dactylopius. Organi della digestione. 1. Succhiatoio di un solo pezzo nei Lecanzum, di due articoli, invece, nel Dactylopius. 2. Ansa intestinale di almeno due spire nel Lecanzm, di una sola e breve voluta nel Dactylopius. 5. Mesointestino comunicante per mezzo di tubo (dutto eseretore) col retto nei Dactylopius; manca il dutto escretore nei Lecanzium, e il mesointestino è chiuso entro il retto. 4. Retto senza appendici muscolari di sorta nei Dactylopéus ; con muscoli nella sua estremità posteriore nel Lecanium. 5. Apertura anale semplice, in forma di forame senza organi speciali attorno nel Dactylopius; apertura ‘anale in un organo partico- lare (sacco retrattile) nei Lecanium, con ghiandole e peli ciripari attorno. 6. Esiste un grosso corpo ovale sotto il retto, nel Dactylopixs; manca affatto tale corpo nei Lecanium. Organi della riproduzione. 1. Spermoteca col suo condotto totalmente distinto dall’ ovidutto e sboccante nell’ atrio vaginale nei Dactyloprus; col condotto sboccante nella biforcazione dell’ ovidutto nei Lecanium. Organi della respirazione. Nessuna differenza notevole fra i due generi. * ! Queste suddette differenze però riguardano solo le femmine e le larve e le prime ninfe maschili, perchè del resto non mi posso occupare non avendo potuto studiare il restante della serie maschile. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 159 CapiroLo III. Danni che i Lecanium arrecano alle piante di agrumi e modi di difesa Tra i Lecaniti, vi hanno forme per le quali la schiusura delle larve giunge una volta sola in un anno, o ad ogni modo ad epoca fissa e contemporaneamente per tutte le uova. Questo, ad es: si osserva bene, da noi, per il Ceroplastes rusci. Ma le due specie che quì sì sono studiate, si riproducono invece continuamente, senza che la schiusura delle larve, o gli ulteriori accere- scimenti di queste, abbiano rapporti col tempo dell’ anno. Perciò sulle piante di agrumi inquinate da Lecanium è facile ve- dere femmine di tutte le età e larve ancora. Di questo fatto è bene. tener conto, poichè ha interesse nella cura delle piante affette da questi insetti. Una notabile differenza si osserva nei costumi delle due specie qui studiate, per ciò che riguarda alcuni fatti della loro vita. Il Lecanium hesperidum, in tutte le età, frequenta volentieri anche le foglie della pianta, specialmente sulla loro pagina superiore, e si di- spone lungo la nervatura mediana di queste, più volentieri, così che questi insetti stanno ordinariamente in fila l’ uno dietro all’ altro. Le larve, si trovano sotto il ventre materno già bene e totalmente formate, ma riposano ancora, dopo nate, per qualche giorno, rimanendo immerse nel nido ceroso, colle zampe e le antenne raccolte al corpo e dirette allo indietro. Finalmente, quando loro pare, si scuotono e procurano di uscire al- l’ esterno, attraverso la pianta ed il ventre della madre. . Non trovai nei nidi mai più di quattro o cinque larve, alcune immobili, altre semoventi. Uscite all’ esterno, quando non si nutrano della sostanza zueche- rina espulsa dalla madre (ciò che non credo, poichè se questa sostanza è ghiottamente assorbita da altri insetti a cui fa prò, per le cocciniglie è escrezione forse inutile) vagano a cercare nutrimento, e si fissano, segregandosi intanto lacca per difendersi. Ma possono facilmente abban- donare il luogo prima scelto e recarsi altrove, ciò che fanno con grande pigrizia anche gli adulti. 160 A. BERLESE Questa disposizione però in fila, sia nelle foglie che sui rami, ne- cessaria d'altronde se tutti gl’ individui vogliono succhiare dalla stessa nervatura, contribuisce anche notevolmente a rinforzare le croste di lacca, poichè, eiaculando un’ individuo il liquido dal suo retto, lo lancia sul dorso di quelli che gli stanno dietro, e il liquido stesso, seccando sol- lecitamente sul corpo di questi, quando non sia accolto da altri insetti, rinforza la lacca di croste diverse. Ciò però conduce ancora alla nascita, su queste croste ed alla buona vita del Cladosporium herbarum, il quale fungo, del resto, anzichè in- comodare le cocciniglie, colle sue spesse ramificazioni miceliali, rinforza notevolmente le placche di lacca e le rende meno fragili. Ma a proposito di questo fungo mi sovviene di una osservazione che svolgerò più ampiamente a proposito dei commensali, predatori e parassiti delle cocciniglie agrumicole, ma che non voglio lasciare di ac- cennare brevemente qui. Nella epidermide dorsale di tutti i Lecanium oleae adulti, morti per età o per altro, è facile scorgere, per via di sezioni od altrimenti, una spessa e bene fruttificante crosta di Cladosporium, su tutta la su- perficie esterna non solo, ma ancora con micelii numerosi entro le ghian- dole laccipare. E non vi ha alcuna di queste ghiandole che non sia totalmente occupata dal micelio stesso, che ne invade, non solo tutta la cavità com- presa tra la chitina, ma ancora la cellula secernente. Questo fatto, comparato anche con quello che sulle eiaculazioni rettali di questi Lecarium subito si dispone e bene si nutre il Cladospo- rium, dimostra evidentemente due fatti importanti. | 1. L'invasione del Cladosporium, cominciata dal di fuori penetra finalmente nelle ghiandole laccipare, così che è duopo riconoscere e con- fermare ciò che la osservazione diretta pura rileva, che queste ghian- dole sono aperte nel loro estremo libero e non chiuse come le cìiripare e di qui la diversa disposizione, direi quasi molecolare, della lacca. 2. Che tra le escrezioni del retto e quelle delle ghiandole laccipare vi ha grande affinità, od almeno, bisogna ammettere che oltre alla lacca (sulla quale certamente funghi di sorta alcuna non si sviluppano mai) queste ghiandole espellano ancora una escrezione zuccherina analoga a quella del retto. Con ciò si accoglie una nuova prova, in favore di quanto io du- bitai a proposito degli organi della digestione , che cioè dal mesointe- stino trapelino per esosmosi sostanze escrementizie, oltre alle nutritive, LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 161 nella cavità viscerale, e l'essere il mesointestino chiuso nel suo fondo, deve concorrere a forzare maggiormente questa funzione. Le ninfe di Lecanium hesperidum, anzichè raggrinzire come le con- generi del L. oleae, procurano a tutta possa di stendersi e appiattirsi al massimo grado, e ciò forse per evitare meglio l’ attacco degli ime- ‘notteri, sfuggendo alla loro vista. Ninfe molto convesse, sono tali per presenza, nel loro interno, di larva di imenottero, e gli adulti così gib- bosi, indicano o la presenza del parassita, o che stanno generando. Il Lecanium oleae si comporta diversamente, non solo perchè rac- chiude sotto di se, quando genera, tutte le uova che può partorire, e in tale stato è ormai immobile e fisso, ma ancora perchè la riprodu- zione avviene più lentamente. Le larve del L. o/eae preferiscono nutrirsi sulle foglie, e sulle fo- glie stesse si incontrano spesso anche le giovani ninfe. Ma avvicinan- dosi la maturità, le femmine si ritraggono ai rami giovani e non di rado discendono ancora a quelli più grossetti, e quando sieno numerose si addossano e si stringono l’ una all’ altra, deformandosi nella com- dressione e col progressivo aumento, ma fisse tenacemente al luogo or- mai scelto come dimora definitiva. Ritengo però per certo, che la nutrizione avvenga e continui fino a deposizione completa delle uova ed oltre ancora. Certo la vita cou- tinua, e gli intestini si mostrano assai bene pronti all'opera loro ed i malpighiani ripieni di liquido, come pure dal dorso la lacca continua a gemere, in minor grado però che non per l’innanzi, e così queste fem- mine, ormai brune, sembrano tutte macchiettate di minuti punti bianchi, cioè della lacca di recente espulsa (tav. XIII fig. 6). Data la straordinaria fecondità di questi insetti, qualora l’ opera dei parassiti non eguagli il bisogno, è evidente la loro rapida ed estesa moltiplicazione ed i danni e lamenti che ne seguono. L’ effetto sulle piante è conforme a quello deplorato già per i Da- ctylopius, salvo che i Lecanium non attaccano i frutti, nè producono i caratteristici e brutti ammassi cotonosi di cera bianca. Ma quanto a danno diretto, con impoverimento conseguente di tutta la pianta, nonchè annerimento generale di tutti gli organi e ciò per la fumaggine ed altri funghi, in questo concorrono bene e Lecaniti e Cocciti degli agrumi. Una così abbondante produzione di sostanza zuccherino-gommosa per parte dei Lecanium è la causa dell’ annerimento sopra ricordato, ed i Lecanium stessi riescono, tra le cocciniglie degli agrumi, oltre ai Da- ctilopius i più attivi produttori di fumaggine. 11 162 A. BERLESE La invasione di Lecanium oleae ed L. hesperidum, ma più spe- cialmente del primo, è larghissima in Sicilia, e gravi danni ne conse- guono. Ma anche altrove, nella nostra penisola, il Lecanium si trova, e possiamo ben dire dovunque sugli agrumi. Preferite sono le piante sorte in luoghi umidi ed ombrosi, e le peggio attaccate dalla funaggine. Nelle serre è poi comune e troppo comune l’ Rybernaculorum pestis, come gli autori antichi chiamarono degnamente il L. hesperidum. Quanto al modo per distruggere o scemare queste infauste colonie sugli agrumi, trattandosi che ormai la pratica è abbastanza diffusa, con metodi recenti, non accennerò ad esperienze, che fatte da gran tempo, ormai sono abbastanza note ed imitate su vasta scala, ma ricorderò i metodi qui ed altrove usati e riconosciuti ormai efficaci. In America, dove attivamente si combatte questo insetto, già da tempo è stata proposta la miscela di Kerosene emulsionato nell’ acqua col mezzo di sapone, miscela questa ripresa, per conto suo, dalla R. Sta- zione di Entomologia agraria di Firenze, e vivamente consigliata agli agrumicoltori, per tutte le cocciniglie agrumicole, da combattersi in cura invernale. Al petrolio, di vile prezzo in America, ma costoso quì, la stessa Stazione sullodata, accogliendo le proposte del Prof. Franceschini di Milano, che consigliò 1’ uso dell’ olio di catrame contro le cocciniglie del gelso (Diaspis pentagona), sostituisce 1° olio di catrame medesimo, emul- sionandolo, al solito, nell’ acqua, col mezzo del sapone. Così modificata la formola, la miscela ha certamente buono ef- fetto anche nella cura invernale contro i Lecaniwm, poichè questi, come si disse, in tutte le stagioni si possono colpire allo stato di ninfe o di larve o di femmine che non hanno generato. E questo infatti soltanto si può ottenere con qualsiasi insetticida di effetto però deciso sugli insetti, poichè contro le uova del L. oleae così bene riparate sotto il guscio materno, fortemente aderente alla pianta, nessun insetticida può aver effetto evidente. Lo hanno bene gli insetticidi allorquando non più uova ma larve si nascondono sotto i gusci materni, e ciò videro già i professori Ca- ruso e Bruttini in esperimenti colla mia £ubina al 2 per cento, contro il Lecanium oleae sull’ olivo. * Ma ho dimostrato altra volta che la cura invernale contro la My 1 Agricoltura italiana, 16 luglio 1893. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 163 tilaspis fulva non giova, e perciò io raccomando attualmente agli a- grumicultori la cura estiva contro tutte le cocciniglie degli agrumi (meno che contro il Dactylopius che non sempre, però accompagna le altre specie). Così maggior numero di ninfe, larve ed adulti di Lecanium oleae ed L. hesperidum cadono, in estate, sotto l’azione dell’ insetticida. È convenuto ormai che queste forme muoiono facilmente, e le so- luzioni all’ 1 per cento o al 2 per cento al massimo degli insetticidi, suddetti (petrolio od olio di catrame) ne tolgono di mezzo assai. Attualmente gli agrumicultori di Sicilia, Sardegna e Calabria ri- corrono volentieri e con molto vantaggio ad una miscela di olio di ca- trame, che io proposi e che per essere stabile indefinitamente e tosto emulsionandosi in contatto dell’ acqua, risparmia all’ agrumicultore la noia e talora le difficoltà di ottenere sul campo una ben fatta miscela degli insetticidi suddetti, non ricorrendo nè a misure nè a manipola- zioni talora complicate per qualche agricoltore. L’ insetticida da me chiamato Piètteleina *, è ora abbastanza ge- neralmente usato da noi e lodato, e la facilità di impiegarlo, come pure il suo mite prezzo, ed il fatto che si trova alla portata di tutti, nonchè la sua decisa attività sulle cocciniglie, riconosciuta generalmente da tutti gli agrumicultori, spiegano la sua rapida diffusione e fortuna nel pubblico agricolo. Ma di questo insetticida e del modo di usarlo e portarlo conve- nientemente in contatto delle cocciniglie degli agrumi, dirò abbastanza quando tratterò dei Diaspiti, che infestano gli agrumi, cioè della più elevata tribù. Dal Laboratorio di Entomologia agraria presso la R. Scuola Superiore di agricoltura in Portici, 27 maggio 1894. 1 Olio di catrame 75 Pece greca . . 20 Soda caustica . 5 100,00 164 A. BERLESE SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAY. IL Fig. 1 — Larva di L. oleae veduta dal ventre a » 2 — Larva di L. oleae veduta dal dorso n » 3 — Antenna della larva di L. Resperidum = » 4-— Zampa della stessa (primo paio) — » 5 — Antenna di una ninfa di L. hesperidum = » 6 — Zampa primo paio della stessa = » 7 — Antenna di adulto di L. hesperidum ci » 8 — Zampa della stessa femm. (primo paio) = » 9 — Antenna della larva di L. oleae = » 10 — Antenna di ninfa di L. oleae lunga 800 n - 260 » 11— Antenna di ninfa di L. oleae non cribrata, lunga 1150 p 7 260 » 12— Antenna di una ninfa di L. oleae lunga 1400 p 7 » 15 — Antenna di femmina adulta di L. oleae, prima della deposizione delle » 14— Antenna di femmina adulta di ZL. oleae che ha già deposto le Lay SI: Fig. 1 — Adulto (femm.) di L. Resperidum veduto dal dorso 7 - 35 Fig. 2 — La stessa veduta dal ventre 7 a solco stigmatico anteriore colla sua cera; 2 id. posteriore. Fig. 3 — Femmina di L. oleae che non ha ancora deposto le uova, veduta dal 35 ventre 7 a rostro; d solco stigmatico anteriore, colla sua cera; c id. posteriore. 20 Fig. 4 — Femmina di L. oleae che ha già deposto le uova, veduta dal ventre 7 a processo claviforme che reca il rostro. \ #29 LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 165 Fig. 5 — Ninfa prima del maschio di L. oleae veduta dal ventre, tolta dalla sua squama protettrice > Fig. 6 — Antenna della stessa — ; a : 2 Fig. 7 — Zampa primo paio della stessa - ave VS 2 Fig. 1 — Femmina (che ha già partorito) del L. hesperidum, veduta dal ventre sa Fig. 2 — Zampa del primo paio di larva di L. oleae = Fig. 3 — Zampa del primo paio di ninfa di L. oleae lunga 1150 n» = Fig. 4 — Parte del lobo marginale del corpo di un L. hesperidum, veduto dal dorso, portante le concrezioni in forma di sottile squama serepolata in areole; @ a- reole marginali maggiori; 0 areole poligonali minori, più interne; e peli del margine coperti all’ apice. Fig. 5 — Squama dorsale di una giovane ninfa (di 1400 n) di L. oleae tutta intera. Fig. 6 — Porzione molto ingrandita della stessa, i. a sostanza della crosta, grossolanamente areolata; V filamenti miceliali di Alternaria tenuis; c fruttificazione dello stesso fungo. Fig. 7 — Squama dorsale protettrice della ninfa di L. oleae maschio - 5 @ porzione cefalica: 6 porzione dorsale; c prestigmatica; 4 interstigmatica; e dei lobi; f anale; 9, 9, 9 glomeruli di filamenti spirali. Fig. 8 — Filamenti spirali che si scorgono sopra la squama, molto ingran- POLZO diti 7 Fig. 9 — Margine del corpo, in corrispondenza agli stigmi, della prima ninfa maschile di L. oleae, per mostrare i peli, circa o, a, a, a peli stigmatici, © uno degli altri peli marginali; c sbocchi delle ghiandole ciripare stigmatiche. n : - 5 900 Fig. 10 — Organi ciripari della ninfa maschio di L. oleae -- ; @ porzione chitinosa dello sbocco della ghiandola ciripara; d setto di chiusura dello stesso; e porzione molle che si reca alla ghiandola; d porzione del condotto di sbocco ; e o- rifizio. TAVOVA Fig. 1 — Epidermide (a) e cellule ipodermiche di L. hesperidum veduta in x 450 é . 2 - piano --; @ epidermide ; d cellule ipodermiche ; e loro nucleo. ” 450 Fig. 2 — La stessa veduta in sezione ata ; a cellule ipodermiche; d ghiandole laccipare; c epidermide. 300 Fig. 3 — Ghiandole ciripare genitali del L. hesperidum —7 a@ ghiandole; d loro orifizio ; c nuclei, 166 A. BERLESE Fig. 4 — Porzione veduta in piano dell’ integumento dorsale di L. oleae 9 = ninfa SI a sferule terminali delle ghiandole ciripare; 2 orifizii delle ghiandole lacci- pare ; m valve anali. 450 - Fig. 5 — Lo stesso integumento più ingrandito <> ; a sferule terminali delle ghiandole ciripare ; orifizii delle ghiandole laccipare ; p pelo. 450 Fig. 6 — Sezione del tegumento di L. oleae maturo femmina sE a cellule chitinogene; 5 condotto delle ghiandole laccipare ; ec chitina ; 4 vani lasciati dalla: chitina attorno alle ghiandole laccipare; e ghiandole ciripare : Y loro sferula ter- minale; 9 ghiandole laccipare. Fig. 7 — Porzione di integumento di L. oleae femmina matura, visto in piano Di, a chitina; è vano attorno ai condotti delle ghiandole laccipare ; ec con- dotto delle stesse; 4 loro orifizio. Fig. 8 — Porzione dell’ integumento ventrale dì L. oleae ninfa, presso un solco - . 450 ; SI stigmatico — : @ sbocchi delle ghiandole ciripare : m orlo del corpo: p pelo mag- giore stigmatico : p" p’ peli minori stigmatici : p” peli ordinarii marginali. : E SS apati OPE AR, .__ 300 Fig. 9 — Ghiandole ciripare anali di Philippia oleae maschio 7: @ retto : 5 muscoli del retto : c ghiandole ciripare : d apparato protrattile : e valve anali. Fig. 10 — I due mezzi dischi chitinosi del fondo dell’ apparato anale retrattile : ; SI SETA S 900 S e: È : in una larva di L. oleae, veduti in piano : @ chitina: d areole di inserzione dei peli : c areole minori di dove geme la cera: d peli: m fessura anale. Tav Vi Fig. 1 — Larva di Lecanium hesperidum veduta dal ventre con alcuni organi interni = a ganglio sopraesofageo (lobo medio): 6 lobi ottici : e occhio, d parte acces- soria del ganglio sopraesofageo (per errore nella figura è messo g), e nervo ottico, f antenna, g organi stortiformi, % clipeo, # ghiandole salivari, Z ganglio sottoesofa- geo, m abduttori delle antenne, » setole rostrali (per errore r), 0 muscoli dorso ven- trali, p parte cieca del mesointestino, g ansa intestinale, r retto, s malpighiani, # fa- scia muscolare ventrale esterna, « retrattore deretto, v sacco protrattile. an ano, st stigma, ps peli stigmatici, su succhiatoio. Fig. 2 — La stessa veduta dal dorso 7 a ganglio sopraesofageo, 5 nervo ottico, c occhio, 4 antenna, e organi storti- formi, f clipeo, 9g malpighiani, % intestino, m setole rostrali, n valve anali, o setole, p peli stigmatici. Fig. 3 — Estremità posteriore di Lecanium hesperidum adulto vista dal ven- tre È .— 4, 5, 6, 7, archi ventrali, A, B, C, D, E, archi ventrali. a vulva, è ghiandole sebacee, c ovidutto, d rami primarii dell’ ovidutto, € spermoteca, f fascie ventrali interne, g muscoli dorso-ventrali, % fascie ventrali esterne, i muscoli intersegmentari, { ghiandole ciripare genitali, m muscoli accessorii dei lobi anali, » idem, o dilatatore della vulva. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI + 167 Fig. 4 — Estremità dell’ ovidutto e vulva separati. ec440 (L. hesperid.) 7 a vulva, è ghiandole sebacee, c falso poro delle ghiandole sebacee, d peli, e labbra interne vaginali, f ovidutto. LAW NIE, Fig. . — Lecanium hesperidum adulto che mostra i muscoli ventrali ed altri , 9A ea ARA 2 organi 7 (Le lettere greche si riferiscono ad organi diversi, le lettere romane a muscoli). a clipeo, f antenna, y zampe del primo paio, è organi stortiformi, s setole rostrali, } ganglio sottoesofageo, + retto, È ganglio sopraesofageo, X ansa intestinale, s zampadel secondo paio, v zampa del terzo paio, p sacco esertile, w pliche dermiche per l’ imerzione di muscoli. A tigma del primo paio, B stigma del secondo paio. t muscoli sparsi delle squame, a’ fascia ventrale esterna, a’ muscoli maggiori fascicuhti delle squame, a” fascia ventrale interna, 5 abduttore comune delle an- tenne , 0” intersegmentari, e lungo abduttore delle antenne, d adduttore, e, n, m, musco! dell’ apodema prosternale, f, 9, #, 0, p, 9g, 7, 5, t, «, v, 2 motori delle anche o del iemore, % dorso ventrali. fig. 2 — Sezione longitudinale mediana di L. Resperidum adulto - Je lettere greche corrispondono a quelle della figura precedente. a scudo dorsale (epidermide del dorso), è epidermide del ventre, c intestino. d mapighiano, e esofago, f spermoteca, g ovidutto, » labbra vaginali interne, è vulva, l squme anali, m lobi anali. lig. 3 — Sezione longitudinale medians di L. oleae adulto che non ha ancora partoito 3 È lettere greche e romane corrispondono a quelle della figura precedente. Ig. 4 — Sezione longitudinale mediana di L. oleae adulto femmina che ha 7 partorto 7 a corpo della femmina, d processo claviforme che porta il rostro, e setole ro- strali,Z organo della pianta, e uova. Tav. VIII. F:. 1— Rostro di L. oleae veduto di faccia (debolmente inclinato) “7 . clipeo; B apofisi bacilliforme del clipeo; C sbarra transversa dell’ ipostoma; E apofi premascellare; F apofisi postmascellare; H apofisi ipofaringea ; L creste la- brali; \ M setole mascillo-mandibulari (corpi); P_ guaina delle setole; S succhiatoio. i particolare disegno chitinoso nel pezzo ipofaringeo; pd pezzo a doccia; 0s ostiolo +1 succiatoio; ff forame dell’ ipostoma. Fig2 — Organo stortiforme coll’ origine della setola mandibulare DI corpo della setola mandibulare; è sua guaina chitinosa; c tunica dell’ orga- no storbrme; d nervo (?); e tessuto del detto organo; m muscolo. 168 A. BERLESE Fig. 3— Intestino di larva di L. oleae veduto dal dorso i a esofageo; d mesointestino presso 1’ origine; 8’ cieco; c mesointestino nel suo decorso; d malpighiani; e ansa intestinale; f retto; 9g valve anali; f sacco porattile che sta svolgendosi al di fuori; < cilindro di peli anali coperti di cera; 2 lob. anali. Fig. 4— Tubo dirigente intero di adulto di L. Resperidum, dal dorso L- Alcune lettere corrispondono a quelle della figura precedente, però: h è il sacco esertile tutto ritirato indentro; l è il retrattore del retto; m lunghi retrattori dorsali del sacco (fibre rettali); n corti retrattori del saco (p fibre rettali); o ghiandole ciripare circumanali; g tendine comune ai corti reattori; r unghi retrattori dorsali. Fig. 5 — Schema dell’ intestino di un L. oleae. \ a esofago; b prima spira del mesointestino; d’ seconda spira; c purto in cui il mesointestino esce dal retto; d cieco; e intestino medio (prima porzione); f inte- stino medio seconda porzione; g sacco avvolgente l’ ansa; X peduncolo dei maljighiani; . i malpighiani; / retto. Fig. 6 — Cellula contrattile della tunica esterna del mesointestino, veluta di \ SIATE i ; 900 fianco ed in via di sdoppiamento \ a cellula; d nucleo; e nucleoli; 4 membrana dell’ intestino. \ Fig. 7 — Come la precedente ma non in via di sdoppiarsi. ga DE Fig. 1— Ansa intestinale di L. Rrgperan adulto (con porzione del mesinte- stino esterno, dell’ esofago e del retto) ra A prima spira del mesointestino; B seconda; C terza; D mesointestino tertinale esterno; E cieco; F mesointestino esterno (porzione iniziale). a esofago (a esofago esterno); 5 vano del tubo della prima spira; c inica interna del tubo; 4 cellule grosse di detta tunica; f tunica esterna; g cellul che trapezzano questa tunica; % cellule contrattili esterne; 7 vano del sacco avvosente il tubo; 2 parete del sacco; m cellule che tapezzano internamente il detto sa@; cellule contrattili esterne (per errore m); !" tunica del sacco che tapezza il reto; r tunica del retto. Fig. 2 — Prima spira dell’ansa di L. Resperidum più ingrandita È Le lettere sono come nella figura precedente, solo e è lo strato rigenerativi delle grosse cellule (d). Fig. 8 — Prima e seconda spira dell’ ansa di L. olege adulto DO Le lettere sono come nella figura 1. Fig. 4— Cellule che tapezzano internamente la parete del tubo .di 7 oleae (prima spira del mosointestino) vedute di faccie ° Tutte queste figure sono tolte colla camera lucida Abbe da esemplari feschi, mentre la seguente è sezione di intestino incluso in paraffina. . 6 Daria & x c ° 170 Fig. 5 — Sezione di piano dell’ ansa intestinale di L. oleae = Le lettere sono come nella figura 1. LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI 169 TAV: DE Fig. 1— Porzione anteriore del retto cogli organi annessi di un L. Resperidum adulto di a esofago; d mesointestino incluso; c sacco occludente; d mesointestino libero (porzione originale); e cieco; 7 mesointestino libero porzione terminale; 9 peduncolo dei malpighiani; & malpighiani; è retto. Fig. 2— Estremità posteriore del retto, cogli organi che la circondano e colle valve anali in una giovane ninfa di L. o/eae. (Il sacco esertile è introflesso). Dal ventre. a retto; d sacco esertile (nel quale per trasparenza si vedono i peli ciripari, però spogliati della loro cera); c cerci anali; d valve anali (vedute dal lato interno); e peli interni; f tendine dei corti retattori del sacco; gg corti retrattori del sacco; h nuclei di queste fibre; è briglia rettale di una di queste fibre; / lunghi retrattori dorsali; m loro briglie rettali; » ghiandole ciripare; p lunghi retrattori ventrali. ‘Fig. 3 — Attacco di una briglia muscolare sulla membrana del retto (veduto di fianco). a ultime fibre muscolari (placca muscolare); è fibra muscolare; c placca pro- toplasmatica; r retto. i Fig. 4— Sacco esertile estroflesso totalmente tra le valve anali (dal dorso) in una femmina adulta di L. Resperidum a sacco; ò papilla anale (apertura anale); c peli anali coperti di cera; d valve anali. Fig. 5 — Sezione in piano dell’ ovidutto e della spermoteca in un L. hesperè- dum adulto 170 a vulva; d labbra vaginali interne (oviscapto carnoso); c camera periferica della ghiandola sebacea; d epitellio che la tapezza; e epitellio della camera prima; f fibre annulari della perete dell’ ovidutto; 9 tunica esterna dello stesso; % tunica interna; è tunica del ramo primario; / tunica esterna della spermoteca (condotto); m tunica della spermoteca; » epitellio interno; 0 vano della spermoteea; p condotto del- l’ovidutto; g cellule che tapezzano internamente l’ ovidutto; r retrattori dell’ ovidutto. Fig. 6 — Ovidutto colle sue ghiandole ciripare genitali, e spermoteca di un L. hesperidum adulto Ss a vulva; 5 ghiandole sebacee; c ghiandole ciripare genitali (nei lobi anali lungo l'orlo interno); d ovidutto; e ramo primario dell’ ovidutto; f condotto della spermo- teca; 9g spermoteca. Fig. 7, 8, 9— Uova nella loro guaina, a differenti stadii di sviluppo (da un L. hesperidum). a cellula vitellogena discesa; d cellule vitellogene fisse nella parte terminale della guaina; c epitellio che genera il chorion; d nuclei liberi essendo distrutto il protoplasma nelle cellule vitellogene; m guttule grasse che cominciano a disporsi per formare il vitellus, TEa0. A. BERLESE RAV Fig. 1—I due gangli nervosi in un L. Resperidum con, alcuni loro nervi ed organi vicini ae a ganglio sopraesofageo; d lobo ottico; c sostanza granulosa periferica; d mem- brana avvolgente; e nervo delle antenne; f commessure nervose fra i due gangli; g ganglio sottoesofageo; & corpo stortiforme delle setole rostrali; ?è due ghiandole sali- vari; / antenna; m terminazione del nervo delle antenne; » porzione terminale allar- gata del nervo ottico; o pigmento; p cristallino; q cornea. ae o k : . 170 Fig. 2 — Parte di sezione longitudinale mediana di L. hResperidum adulto 7 a ganglio sopraesofageo; d id. sottoesofageo; c commessure nervose tra i due gangli; d sezione del processo chitinoso transverso nella parte superiore dell’ ipostoma; e esofago; f faringe; g muscoli elevatori della faringe; / clipeo; è ipostoma; 7 suc- chiatoio; m setole mascillo-mandibulari; » ghiandole salivari; 0 ipoderma; p epider- mide chitinosa; g cellula laccipara; » porzione di malpighiano al sno sbocco; s sbocco dei malpighiani; # porzione estrema dell’ intestino medio; w parte di questo abbrac- ciata dal retto; v porzione dell’ intestino presso il cieco, occlusa nel retto; vv’ spire dell’ ansa intestinale; 2 membrana avvolgente 1’ ansa; 8 frammento di malpighiano; y cordone nervoso principale; è guaina delle setole rostrali; e retto; n nervo del lab- bro superiore. Fig. 8 — Parte posteriore della sezione mediana longitudinale di L. hesperidum 170 adulto 7 a spermoteca; d suo condotto; c porzione dell’ ovidutto terminale; d ovoposi- tore; e vulva e vagina; f epidermide del ventre; 4 retto; g° apertura anale; % ipo- derma; 2 epidermide (chitina) del dorso; ghiandola laccipara; mm organo retrattile anale; » peli cireumanali; o dischi chitinosi piliferi circumanali; p ghiandole ciripare anali; 9g tendine dei retrattori dell’ organo anale retrattile; r ghiandole ciripare geni- tali; s muscolo; # pelo; « squama anale; v lobo anale. Fig. 4— Appendice claviforme in cui si allunga la parete ventrale del L. oleae che ha già partorito, sezionata longitudinalmente nel mezzo. - a esofago; b ganglio sopraesofageo; c ganglio sottoesofageo; d nervo ottico; e nervo viscerale; f clipeo; g succhiatoio; & setole rostrali; è ghiandole salivari; / branca transversa dell’ ipostoma (in sezione); m guaina delle setole rostrali. A appendice claviforme; B appendicula contenente le setole rostrali in riposo. Tav. XII. Fig. 1— Ninfa di Lecanium hesperidum prossima a maturità, e mostrante il sistema nervoso e le principali trachee. -{ . Le lettere greche indicano parti diverse del corpo ed altri organi interni: le lettere romane maiuscole si riferiscono al siste- ma respiratorio; le lettere minuscole al sistema nervoso. a ganglio sopraesofageo; d lobi ottici; e nervo ottico; d nervi; e ganglio sot- toesofageo; f nervi degli organi boccali; g nervi del primo paio di zampe; % nervi 3) LE COCCINIGLIE ITALIANE VIVENTI SUGLI AGRUMI Al del secondo paio di zampe; è nervi dell’ ultimo paio di zamp?; / cordone mediano; m nervi degli organi genitali; » nervo del retto; o antennare; p degli organi boccali. A stigmi del primo paio; B trachea cefalica; C trachea cerebrale; D trachea del ganglio sottoesofageo; E ramo che fornisce queste due ultime trachee; F ramo transverso; G continuazione dello stesso; H ramo interstigmatico; L secondo paio di stigmi; M ramo transverso; N ramo genitale; O ramo dei lobi anali; P_ramo esterno; Q trachea transversa ventrale; R id. dorsale. a antenna; f zampa primo paio; y id. del secondo paio; è id del terzo; e retto; G corpi stortiformi delle mascelle e mandibule; m occhio; 4 rostro. Fig. 2— Porzione di nervo presso il suo estremo apicale. 100 a guaina; è sferule interne; e polpa interna. at i x salata: 300 Fig. 3.- Ultime diramazioni di un nervo. —_ a piastre motrici di muscoli; d cellule (he e nuclei; d un muscolo motore delle anche (2 paio); e filamenti nervosi; f una porzione di altro muscolo sul quale si vede come si dispongono le planche motrici; g sezioni di fascetti muscolari, colle loro placche nervose; » anca suddetta; è nervo che penetra nella detta zampa del secondo paio. (L. Resperidum). % RI i 260 Fig. 4 Terminazione del nervo del retto veduta di fianco —{_ a nervo; d sua parte ingrossata dove si suddivide; c retto; 4 ultime dirama- zioni esilissime del nervo nelle fibre muscolari del retto. (L. Resperidum). E Mt RARO 170 Fig. 5 — La stessa terminazione del nervo del retto, veduta di piano —,_ a retto; d le sue fibre contrattili longitudinali; c sue fibre contrattili tran- sverse; d elementi cellulari sparsi sulla tunica del retto; e nervo del retto; f sue ul- time diramazioni fibrillari. Fig. 6 — stigma ed origine delle trachee in un Lecanium hesperidum sezionato di fianco. a capsula esterna della camera stigmatica; d suo foro centrale; c camera stig- matica; d foro del fondo della camera; e, e, e grossi rami tracheali all’ origine; f ghian- dole ciripare; g loro sbocco; & muscoli stigmatici; # ramo tracheale minore; n epi- dermide del corpo, (ventre). May IT Fig. 1 Rametto di limone con Lecanium hesperidum (grandezza naturale). Fig. 2— Rametti di limone con Lecanzum oleae adulti (grandezza naturale). . : î 15 Fio. 3— Lecanium hesperidum visto dal dorso 7 Fig. 4— Altro Lecanium hesperidum veduto dal dorso ed egualmente ingrandito. Ò 40 Fig. 5— Nido di Lecanium hesperidum circa 7 E Fig. 6-— Lecanium oleae adulto, veduto dal dorso (7) che mostra le squamette ialine di lacca. N. B. Tranne la fig. 5 a tav. VIII, e la fig. 1 a tav. X, nonchè le fig. 1 e 2 a tav. XIII, tutte le altre furono disegnate colla camera luc.da Abbe. 172 RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME in rapporto al terreno ed alla vite ! MEMORIA DEI Prorr. A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI INTRODUZIONE Nel 1891 nel Giornale « Le Stazioni sperimentali agrarie ita- liane » pubblicammo i risultati di alcune ricerche rivolte allo scopo di constatare l’ azione del terreno sul solfato di rame, onde vedere da que- sto lato, qual partito si poteva trarre dalla pratica, consigliata da alcuni, combattuta da altri, di inaffiare il terreno al piede della vite con so- luzioni di solfato di rame, allo scopo di preservarla dagli attacchi della peronospora. Il creare nell’ interno della vite delle condizioni sfavorevoli allo sviluppo della peronospora, intossicando i succhi con una sostanza quale il solfato di rame, a prima giunta ci sembrò una cosa, (data la natura della sostanza, e l’ organizzazione della pianta) che mal si adattasse colla fisiologia e colla chimica, ma convinti come niun valore abbia in scienza una opinione che non sia il riflesso di esperienze accuratamente condotte, ci accingemmo ad uno studio sperimentale della questione. Per quattro anni seguitammo, durante la primavera e l'estate, il nostro la- voro, e pur troppo, nel frattempo provammo la sorpresa, non sempre pia- cevole, di assistere all’ apparsa di non pochi lavori sull’ argomento nei quali bene spesso gli autori esponevano conclusioni a cui eravamo giunti noi pure. Ci confortò però il constatare come di frequente le nostre espe- rienze ci portassero a conclusioni concordi a quelle dei più autorevoli autori, il che, se da un lato ci dimostrava che il nostro metodo di ri- cerca era buono, dall’ altro ci spingeva ad affrettare la pubblicazione del nostro lavoro. Questo ora offriamo al pubblico, fin d’ ora dichiarando di non aver esaurito l’ argomento, talchè le lacune che il lettore noterà, e quelle che noi pure porremo in evidenza, è nostra intenzione colmare con nuovi studi. ! Questo lavoro è stato pubblicato anche nella Revue internationale de Viti culture et dl’ Venologie — Année I n, 9-12, RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 173 Il lavoro nostro è diviso in due parti cioè: I. Azione del rame sulla vegetazione della Vite. II. Comportamento delle soluzioni di solfato di rame col terreno. Nella prima parte distinguiamo l’ azione del rame sulle radici della vite, e quella sulle foglie. Abbiamo creduto opportuno anteporre alla esposizione delle nostre esperienze un prospetto storico dell’ argomento, per cui ci demmo cura di riportare le opinioni dei diversi autori che si accuparono dell’ assorbimento del rame da parte delle piante, e del- l’azione del terreno sopra alcuni salì di rame. Riassunto storico La presenza di rame nell’ interno delle piante, venne rivelata da molti sperimentatori, fino dal principio di questo secolo, però circa la questione « se Ze piante sieno in grado di assorbire direttamente colle loro radici sane, î sali di rame solubili che possono trovarsi nel ter- reno 0 che ad esse vengano artificialmente somministrati, » vi furono e vi sono ancora opinioni contradditorie. Nel 1804 Th. De Saussure! allo scopo di constatare in quale pro- porzione le piante assorbivano l'acqua e le sostanze minerali in essa disciolta, istituì, come è noto, una serie di esperimenti (tendenti anche a dimostrare il diverso comportamento delle radici con diversi sali) sul Polygonum persicaria, sull’ Eupatorium cannabinum, la Mentha pipe- rita, il Juniperus communis etc. prendendo anche il solfato di rame, solo o mescolato ad altri sali (Nitrato di calce, Solfato di soda). Quantunque in generale queste esperienze abbiano dato risultati costanti allorchè le piante avevano le loro radici in perfetto stato, e risultati invece inattendibili allorchè le radici erano state previamente tagliate, pure le forti dosi di solfato di rame dell’ autore impiegate, devono avere necessariamente esercitato un’ azione corrosiva sulle radici, (ciò che del resto in alcuni casi riconobbe il Saussure stesso) e quindi questo corpo deve essere poi entrato nel corpo della pianta non per un fenomeno di assorbimento fisiologico. I. F. John? si occupò pure dell’ argomento in parola. ì De Saussure Recherches chim. sur la végétation, Paris 1804. 2 J. F. John Ueber die Ernàhrung der Pflanzen, Berlin 1819. 174 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI Quest’ autore pose a germogliare dei semi di girasole in una me- scolanza di carbonato di rame e sabbia umida, ed ebbe a constatare che le piante non avevano affatto assorbito rame, poichè il carbonato di rame è insolubile nell’ acqua, e quindi non posto allo stato di so- luzione in modo da poter essere assorbito dalle radici. Di rincontro i piselli allevati in terreno irrorato con soluzioni di nitrato di rame, di- mostrarono al trattamento del ferrocianuro di potassio la presenza di rame nell’ interno degli steli. Questa presenza, a quanto sembra deve ascriversi ad una alterazione nel corpo radicale, piuttostochè ad un nor- male assorbimento. Brevemente trattarono dell’ assorbimento del solfato di rame, e della sua circolazione nel corpo della pianta, il De Candolle !, Hattensaur ?, Wiegmann 3, Biscoff 4, e più recentemente il Pfeffer ®© ed altri che ri- corderemo a suo luogo. Interessanti riuscirebbero i risultati a cui arrivò il succitato Wieg- mann, il quale nei cauli del 772/ol2um pannonicum ebbe a constatare notevoli quantità di rame, cioè fino al 3 °|,, se il metodo di ricerche seguìto dall’ autore ci garantisse che le piante assoggettate ad esperi- mento non ebbero a soffrire danno nelle radici. D'altra parte il Gorup-Besanez © non riuscì a porre in evidenza nemmeno tracce di rame in piante di Pisello, di Segala, e di Polygo- num Tagopyrum che egli fece crescere in terreno cui era stato me- scolato del carbonato di rame. Alla loro volta i citati De Candolle ed Hattensaur parteggiano per coloro che ammettono 1° assorbimento del rame da parte delle piante, anzi quest’ ultimo autore dimostrò che la Molinia coerulea cresciuta in terreno contenente rame, zinco e piombo, assorbe tutti tre questi me- talli (naturalmente sotto forma di composti solubili ), anzi il rame in notevole quantità, sebben minore del piombo. L’ analisi chimica dei rami di Molinia cresciuta nel suddetto terreno diede: Piombo 2,041 °|, e Rame 0,266, quantità assai rilevanti se si pensa all’azione velenosa che possono esercitare questi metalli sul protoplasma della cellula vi- vente. Se poi questi metalli sieno entrati nell’ interno del corpo vege- 1 De Candolle Physiologie végétale 1832, I. p. 389. ? Hattensaur in Sitzungber. d, Wienier Akadem. 99, II, p. 29. 3 Wiegmann in Flora 1836, p. 21. + Biscoff in Bull. Sc. Nat. 7, p. 84. 5 Pfeffer Pflanzenphysiologie, I, p. 255. $ Gorup-Besanez ann. d. Chem. und Pharm. 1863, p. 243. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 175 tale per effetto di un regolare fenomeno di assorbimento, oppure in causa di guasti esistenti negli strati esterni del corpo radicale, l’ autore non dice. Noi discuteremo a suo luogo la questione della presenza del rame nell’ interno della pianta, ed il potere assorbente di questa rispetto ai composti rameici solubili coi quali possono a venire a contatto le sue radici. Per ora continuiamo il sunto storico della questione. Il Phillips ! asserì che il rame può venire assorbito dalle piante. Anche quest’ autore si valse di Carbonato di rame nelle sue ricerche sopra Geranium, Colea, Aegeratum, Achyranthes, e Viola tricolor. Del resto molti sono gli autori che dimostrarono la presenza del rame nell’ interno delle piante. Ai citati possiamo aggiungere Freytag ? che trovò questo metallo nelle foglie delle Querce e dei Peri del distretto di Mansfelder e ne concluse che le piante avevano il potere di assor- bire il rame; il Vicke 3 che trovò il detto metallo nei cauli di Polygonum aviculare in ragione di 0,032 e fino 0,049 °],, il Deschamps* che ri- levò nelle patate 0,0028 per chilogr.; Garlippe ® che per ogni chilogr. di fagiuoli diede 0,002-0,011 di Cu; il Boutigny 5 che lo constatò negli Spinacci, nel Radicchio, nell’ insalata ete.; il Papasogli”? che lo rinvenne nelle foglie di vite non trattate con composti cuprici, e nelle foglie e frutti di altre piante; il Tschirch, 51’ Haseloff, ® il Pichi, 1° 1° Alessandri, 1! il Rumm, !? l’ Otto, 43 il Sestini, 14 il Frank, ‘> il Kriiger etc. Daremo qui un cenno dei lavori che si riferiscono all’ assorbimento radicale dei sali di rame, riserbandoci di parlare in altra parte dei la- vori che trattano della fissazione del rame per mezzo degli organi aerei. Il Tschirch condusse nel 1891-92 delle esperienze con solfato di rame sul frumento e sulle patate. Nel 1891 il terreno venne trattato 1 Phillips F. Chem. News XLVI, 1882, p. 224. ? Freytag in Bot. Centr. XII, p. 127. 3 Wicke in Nachricht d. Gotting. Ges. fur Wissensch. 1864, p. 217. 4 Deschamps in Bull. Acad. medec. 1847, XIII, p. 542. 5 Garlippe in Tschirch Das Kupfer — Stuttgart 1893. 8 Boutigny Arch. d. Pharm. 1853, p. 261. * Papasogli in Chem. Centralbl. 1888, pag. 234. 8 Tschirch Das Kupfer — Stuttgart 1893. * Haselhoff Landwirtschaftlich. Jahrbiich. 1891. 10 Pichi Boll. Soc. Bot. It. 1891-92. 11 Alessandri Italia Agricola 1889. '? Rumm Bericht. det Deutsch]. Bot. Gesell. 1893. 13 Otto Zeitschr. fir Pflanzenkrankh. 1894. 14 Sestini Stazioni Sperim. Agrarie Ital. 1892. 15 Frank und Kriiger Bericht. Deutsch. Bot. Ges. 1899. 176 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI due volte con solfato di rame, cioè una prima volta all’ epoca della se- mina, e la seconda durante la fioritura. In due metri quadrati di su- perficie vennero impiegati 4 kg. di solfato di rame. Nel 1892 il ter- reno fu trattato soltanto all’ atto della semina. Non ostante alla quan- tità di rame impiegato, le piante non ebbero menomamente a soffrire, si svilupparono normalmente e recarono fiori e frutti perfettamente normali. Le ricerche sulle piante dimostrarono, secondo il detto autore, che il rame era stato assorbito in debole misura, ma evidentemente in mag- giore quantità dalle piante che crebbero nel terreno che aveva ricevuto doppio trattamento. Le quantità di rame rinvenute dall’ autore sono le seguenti: Frumento — Esperienze del 1891: Nella paglia 0,033 °/ di ossido di rame; nelle spighe 0,019 °/, — Esperienze del 1892. Nelle spighe 0,00829 %, di ossido di rame. Patate — Allo stato fresco 0,00207 °/ di ossido di rame; allo stato secco 0,00883 %. Riportandosi anche ai risultati ottenuti da altri sperimentatori il Tschirch viene a questa conclusione: La pianta vivente è in grado di assorbire il rame per mezzo delle radici e per mezzo dell’ epidermide. Secondo Haselhoff poi, che fece una serie di accurate ricerche sul- l’azione del solfato e nitrato di rame sulla vegetazione di piante di- verse, e sul terreno, si ha che le soluzioni di sali di rame riescono dan- nose alle piante. L'azione dannosa sì palesa allorchè nelle acque di inaf- fiamento si contengono 10 mg. di CuO per litro laddove 5 mg. non sono sufficienti a determinare uno stato morboso palese. Le piante che l’ autore assoggettò ad esperimento sono la segala, l’ orzo, il mais ed il fagiuolo. Le prime due piante riuscirono più dan- neggiate della terza, il mais più del fagiuolo. Il Pichi ‘ nel 1891 si propose di fare delle ricerche sulla vite allo scopo di intossicare i succhi con solfato di rame e giungere a stabilire nei tessuti di detta pianta, invasi dalla peronospora, alcune condizioni che non permettessero lo sviluppo del micelio del parassita. L’ idea dell’ intossicamento dei succhi della vite con solfato di rame, non è nuova e basta citare le esperienze di P. Lafitte fatte nel 1883 (Journ. d’ Agr. Prat.) dell’ Alessandri nel 1889. (Italia Agricola 1889). Il Pichi constatò che tralci vegeti di vite immersi ‘colla parte in- ! Pichi; Esperimenti fisiopatologici sulla vite in relaz. al parassitismo della pero- nospora. In Giorn. Bot. It. 1891-92. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 177 feriore in soluzioni più o meno concentrate di solfato di rame, ne as- sorbivano così da riuscire malconci dopo un periodo più o meno lungo secondo le concentrazioni delle soluzioni adoperate, e giunse anche a trovare dei cristalli azzurri di sali di rame nell'interno delle cellule fogliari più avariate. A tale risultato arrivò anche il Cuboni. Però non è a maravigliarsi che la soluzione nelle cellule morte sia andata concen- trandosi per semplice evaporazione, al punto da permettere la formazione di cristalli. E questo un fenomeno più che naturale. Meraviglioso sa- rebbe se i cristalli si fossero scorti in cellule sane. Il Pichi fece anche esperimenti sulle viti dei filari dei campi, somministrando a parecchie centinaia di viti soluzioni di solfato di rame più o meno concentrato in ragione di 25 litri per ogni vite vecchia e 10 litri per ogni vite gio- vane, oppure mescolando alla terra intorno alle radici di ciascuna vite, tanto solfato di rame quanto ne era contenuto nelle singole soluzioni. L’ autore rinvenne il rame in tutte le viti trattate, e notò che le viti trattate con soluzioni deboli di solfato di rame erano maggiormente in- taccate dalla peronospora di quelle trattate con dosi più forti (dal 0,5 °o in su) ed inoltre che le foglie inferiori dei tralci, più colorate ed im- muni dalla peronospora, attestavano che in esse molto prababilmente eravi il rame immagazzinato in quantità tale da impedire lo sviluppo della peronospora. Uno di noi ‘ in una rassegna critica del lavoro del Pichi, espresse le sue opinioni circa l’ attendibilità di una cura interna preventiva a base di solfato di rame, specialmente secondo il metodo suggerito dal Pichi, per cui ci dispensiamo dal ripetere qui la critica alle idee del detto sperimentatore. Soltanto il lettore vedrà se i risultati cui siamo giunti colle presenti ricerche, confermano le idee esposte dal Pichi, op- pure ne dimostrano la loro insostenibilità. Il Sestini * in un pregevole lavoro, constatò che le viti trattate con solfato di rame al piede o nelle foglie, fissano il rame nella parte alla quale il rimedio cuprico viene direttamente applicato; così nelle radici se è dato alla parte sotterranea per mezzo del terreno, e nelle foglie se è dato alla parte aerea. Due barbatelle di Colombana vennero, du- rante il 1889, abbondantemente inaffiate con solfato di rame in modo da saturare il terreno. Nella primavera le viti prosperarono, ma nell’ e- state cominciarono ad intristire e poi morirono. Le radici delle due bar- 1 Berlese in Rivista di Patologia vegetale anno I. e II. ? Sestini I. c. 12 178 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI batelle diedero all’ analisi una gr. 0,0547 di Cu l’altra ;gr..0,130% Dal rame trovato nelle diverse parti della vite trattate e non trattate il Sestini viene a concludere che una certa quantità di rame sì trova normalmente nelle viti non trattate, in proporzione media di grammi 0,00054 %. D'altra parte le foglie delle viti che ricevono solfato di rame per mezzo del terreno, sebbene se ne dia a larga mano, vengono a contenere meno rame di quelle che vengono irrorate all’ esterno. Poco tempo prima del Sestini, il Salvadori ' eseguì delle ricerche allo scopo di porre in evidenza se negli organi delle viti trattate coi composti cuprici esisteva rame, e realmente le analisi gli dimostrarono che il rame esiste in proporzioni varie secondo il modo col quale sì ap- plica il composto, e secondo la natura stessa del detto composto rameico. Sgraziatamente l’ autore non indica le pratiche fatte per lavare le fo- glie e gli altri organi della vite imbrattati coi composti cuprici, ed il metodo d’ analisi seguito per ritrovare il rame nei detti organi. Chi ha eseguito degli studii sull’ azione dei composti rameici sulla vegetazione con buon metodo di ricerca, fu I’ Otto, * poichè fece vegetare piante di pisello, di fagiuolo , di mais, in una soluzione nutritiva ad- dizionata di date quantità di solfato di rame. Le conclusioni alle quali giunse 1’ autore in seguito all’ analisi delle diverse parti delle piante cresciute in dette soluzioni sono le seguenti: Le piante di pisello, fagiuolo e mais, che si lasciano crescere in solu- zioni relativamente concentrate di solfato di rame mon assorbono il ra- me. Il protoplasma vivente lascia passare il rame osmoticamente assai difficilmente o nulla affatto. Evidentemente può la soluzione uccidere le cellule, e dopo entrare nelle stesse, ed allora essere portata anche nelle parti aeree delle piante. Queste conclusioni (almeno rispetto alle tre piante soggette ad e- sperimento) sono importanti, poichè pongono in chiaro che le radici non hanno potere assorbente sulle soluzioni di solfato di rame, però noi non possiamo in tutto condividere le idee dell’ Otto. Le quantità, talvolta rilevanti, di rame trovate dagli autori precedenti nel corpo ra- dicale di diverse piante, e la quasi assoluta mancanza di questo metallo rilevata dall’ Otto, costituiscono, come ognun vede, una contraddizione in termini, però si potrà trovare la spiegazione della cosa quando sì con- siderino le diverse condizioni nelle quali si sono posti gli sperimentatori. 1 Salvadori — Agricoltura italiana, 1890. ? Otto in Zeitschr. fur Pflanzenkrankh. III RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 179 Quando noi diamo soluzioni di solfato di rame al piede di una pianta, può succedere il fatto, che esse soluzioni sieno così concentrate da logorare le radici delle piante ed aprirsi così una via all’ interno del corpo radicale, oppure può accadere che entrino per le soluzioni di continuità che spesso si osservano sulle radici delle piante stesse. In un caso e nell’ altro 1’ analisi chimica ci mostrerà che la pianta contiene rame, ma la botanica ci può dire d’ altra parte, che questo corpo non venne assorbito per un fenomeno fisiologico. Operando con radici perfettamente sane, noi potremo avere la sor- presa di non trovare poi coll’ analisi, la quantità di rame che ci aspet- tavamo, come accadde all’ Otto. Però è giuocoforza rilevare che l’ Otto non esperimentò con tutto il rigore dovuto poichè, come dicemmo, egli aggiunse alla soluzione nutritiva il solfato di rame. Ora può accadere che soluzioni di solfato di rame dopo aver saturato il terreno circostante ad una data pianta, vengano a contatto colle radici di essa, ma tutto ciò non è il caso normale. Invece il caso normale è la formazione di carbonato di rame, la trasformazione di questo in bicarbonato, o carbo- nato acido, sotto 1’ azione dell’ acido carbonico che si trova nel terreno. Questo bicarbonato di rame, o carbonato acido, poi agevolmente viene in contatto colle radici delle piante. Può esso venire assorbito? A noi sem- bra che questo sia il vero modo nel quale deve essere posta la que- stione, perciò le nostre esperienze che conducemmo allo scopo di con- statare se le piante hanno la facoltà di assorbire il rame sotto la forma solubile nella quale può trovarsi nel terreno, ebbero per base il tratta- mento delle soluzioni nutritive con bicarbonato di rame. I risultati ai quali giungemmo non sono in accordo con quelli dell’ Otto, come a suo luogo esporremo. Recentemente il Viala fece delle ricerche allo scopo di constatare se il rame che si immagazzinava nel terreno, poteva a lungo andare riuscire dannoso alla vegetazione della vite, e trovò che 200 grammi di solfato di rame dato in soluzione acquosa in più riprese ad una vite in vaso di 35 cent. di diametro, sono affatto innocui alla vite. La pro- porzione di rame impiegata è assai elevata, poichè per un ettaro sareb- bero necessarii 20,000 chilogr. di solfato di rame. Se la dose sì riporta poi non alla superficie del terreno, ma ad una profondità di 50 cent., si arriva alla cifra di 50,000 kg. circa di solfato per ettaro. Evidente- mente qui ha una grande importanza il potere assorbente dei terreno, che è altissimo, come lo dimostra anche la nostra nota preliminare su riportata. 180 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI Dobbiamo ancora ricordare alcune ricerche del signor Vermorel ‘ fatte fin dal 1890, le quali per essere state condotte cogli stessi inten- dimenti del Viala, cioè di constatare se l’ accumulo nel terreno di sol- fato di rame proveniente dai trattamenti antiperonosporici poteva alla fine nuocere alla vegetazione, trovano qui il loro posto conveniente. L'Autore ha preso per punto di partenza una poltiglia bordolese composta di 3 kil. di solfato di rame e 3 kil. di calce, di proporzioni doppie quindi di quelle consigliate dal Millardet, rispetto al rame, e suppose che l’ applicazione venisse fatta tre volte per ciascuna annata, colle seguenti quantità di liquido : 2 ettolitri di liquido pel 1° trattamento 3 » » 2020 » 4 » » » 09° » Si verserebbero con simili trattamenti 27 kil. di SO‘Cu nel terreno per ogni anno, il che porterebbe : per 50 anni 1350 kili per ettaro PRIORA & 0 IPMME 2700 » » d.0 200%)» 5400.» » sul 3001 8100 » » » 1000 » 27000 » » Il signor Vermorel scelse 6 appezzamenti. Nel primo versò tanto rame quanto se ne dovrebbe trovare dopo 50 anni di trattamento, cioè in ragione di Kg. 1,350 per m. q.; nel secondo ne versò proporzionata- mente ad un trattamento di 100 anni, cioè Kg. 2,700 per m. q. e così di seguito fino al limite di 1000 anni, secondo i dati sopra esposti. Il sesto lo lasciò per controllo. In tutti questi appezzamenti seminò del frumento, e notò che nelle parcelle 3,4,5, la raccolta fu poco abbon- dante, ed i culmi sovente rimasero sotto i 60 cm. di altezza. Le par- celle 1,2 ebbero una vegetazione più soddisfacente, ma si vedeva ch’ essa non erasi compiuta in condizioni normali. Rappresentando con 10 la raccolta avuta nella parcella testimonio, si avrebbe la seguente gradua- zione : 1° — 50 anni di trattamento. 9 2° — 100 » » tI s°— 200 » » READ 4° — 8300 » » draft 5° — 1000. » » Mano ! Vermorel in Revue de la Station viticole de Villefranche n. 3, pag. 187 (1890). RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 181 L'Autore, anche non tenendo conto dell’ azione solvente pel rame delle acque di pioggia contenenti sempre dell’ ammoniaca, o dei sali ammoniacali, e quindi il trasporto di questo metallo, fuori del terreno coltivato, conclude che l’impiego dei sali di rame in agricoltura non costituirà un danno serio per la fertilità del suolo, e che l’ accumula- zione di questo metallo nel suolo, mentre non diminuisce in modo sen- sibile il raccolto dopo 50 anni, essa non comincia a diventare seria- mente nociva che dopo 100 anni di trattamenti. Fin qui abbiamo trattato degli autori che rivolsero le loro ricerche al corpo radicale della vite. Soltanto il Sestini ed il Salvadori, tra quelli citati, si occuparono anche del rame che esiste nelle foglie in seguito ai trattamenti colla poltiglia bordolese. L'argomento venne studiato dal Millardet e Gayon, dall’ Alessandri, dal Rumm, dal Frank e Kriigel. Prima di passare all’ esposizione delle nostre esperienze e dei risul- tati ottennti, riassumiamo brevemente le idee dei suddetti autori. I signori Miliardet e Gayon ' fecero una serie di ricerche dalle quali conclusero che il rame viene assorbito dalle foglie in quantità relativa- mente notevole, e che esso le rende refrattarie alla infezione peronosporica Di queste vedute discutiamo in altra parte del lavoro. L’ Alessandri * fece una lunga serie di esperimenti sul comporta- mento dei sali di rame e di altri corpi applicati alle foglie della vite e di altre piante. Non facciamo una rassegna critica del lavoro del detto professore (quantunque certe conclusioni dal lato fisiologico ci sembrino a dir vero sorprendenti) e ci limitiamo a discutere a suo luogo le con- clusioni dell’ autore che hanno relazione cogli argomenti da noi trat- tati. Qui esponiamo le sue vedute rispetto al comportamento della fo- glia di fronte a date soluzioni minerali. A proposito degli studi di questo autore (compiuti quasi contem- poraneamente a quelli di Haselhoff ed alle nostre prime ricerche sul me- desimo argomento e senza che gli uni fossero a cognizione dei risultati ottenuti dagli altri,) per ciò che riguarda il lato chimico, o chimico-bio- logico della quistione , è opportuno il ricordare qui che egli ha am- messo che i sali di rame disciolti passano ul disotto della membrana ! Millardet ed Gayon; Nouvell. rech. sur le developp. et traitem. du Mildiou et de l’ Antrach. 1887 et A propos de la Reserve de cuivre dans le diverses sortes de bouillie. In Rev. de Vitic. 1894. ? Alessandri. Studii sull’ azione fisica, chimica e fisiologica delle sostanze solubili* ed insolubili ispecie dei composti a base di rame, applicati come rimedii antiperone- sporici sulle foglie della vite. In Italia agricola 1889. 182 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI cuticulare ed arrivino fino ai vasi e specialmente nei vasi tracheali. Am- mette pure che una parte di questo rame venga fissato sotto forma più o meno insolubile dalla clorofilla, dal eremor di tartaro, e pare anche dagli acidi tannico e tartarico ed in condizioni speciali, possa anche essere ridotto dal glucosio, mentre un’ altra porzione passerebbe oltre nei liquidi che circolano nei vasi. Alla mescolanza di solfato di rame e calce egli preferisce la solu- zione semplice di solfato di rame, o il liquido cuproammoniacale perchè egli dice che questi composti con più facilità entrano nell’ organo foglia- ceo, ed anche il tenue precipitato che si ha con la seconda formola viene facilmente disciolto dall’ Co,. Nella comune poltiglia è principalmente la calce, egli dice, che passa per osmosi mentre il rame resta fuori allo stato di idrato affatto insolubile. Ciò l’ autore ha cercato di dimostrare con apposite esperienze di dialisi nelle quali si serviva come liquido dializzatore di una soluzione diluita di acido tartarico. Ho potuto vedere, dice l’ autore, che in queste condizioni dializzava solo il solfato di calcio ed un’ altra porzione di calce andava a formare sulla parete del dializzatore stesso un’ incrostazione di tartrato. Osserviamo intanto che se il prof. Alessandri avesse fatto gorgo- gliare nella poltiglia contenuta nel dializzatore un poco di acido carbo- nico, avrebbe veduto passare per endosmosi oltre ai sali di calcio in quan- tità sensibilissima, anche i sali di rame in buona parte almeno allo stato di solfato, e ciò per la decomposizione che si verifica in questo caso del solfato basico di rame che è il costituente più importante e veramente attivo nella comune poltiglia bordolese. Recentemente il Rumm! eseguì delle ricerche sulle foglie della vite trattate con poltiglia bordolese, allo scopo di constatare se realmente avevano la facoltà di fissare il rame, per vedere poi in qual modo sì poteva spiegare l’ azione che questo corpo, direttamente applicato alle foglie, determina nella vegetazione stessa. Mediante confronti microscopici, 1’ Autore viene a concludere che i corpi clorofilliani nelle foglie trattate sono più piccoli ma più nume- rosi, e che lo spugnoso è pure più ricco in clorofilla e meno lacunoso. Le analisi spettroscopiche delle soluzioni delle ceneri ottenute dalle 1 Rumm; Ueber di Wirkung der Kupferpraeparate bei Bekimpfang der sogenan nten Blattfallkrankh. der Weinreben. In Ber. der Deut. Bot. Gesellsch. — 1893 et Zar Friìge nach der Wirkung der Kupfer Kalksalze bei Bekàmpfung der LPerone- spora viticola. Ibid. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 183 foglie trattate con poltiglia bordolese nel giugno e nel settembre, poi accuratamente lavate etc. non rivelarono mai la presenza del rame, talchè l’ autore sì ritiene nel diritto di concludere che il rame non era stato fissato dalle foglie stesse. Costretto a spiegare la sua azione sulla vegetazione, generalmente constatata, invoca lo stamolo chemotattico del Pfeffer che esercitano, colla sola presenza, determinate sostanze sopra al- cuni plasmi vegetali od animali. Questo stimolo chemotattico determinerebbe la più attiva forma- zione di clorofilla osservata dall’ autore medesimo. Le idee del Rumm vennero in seguito combattute da Zimmermann ‘* e Aderhold ° specialmente rispetto alle combinazioni che sì originerebbero tra il rame e la calce nella formazione della poltiglia bordolese. Nel secondo lavoro il Rumm rispose ai due autori citati, contrapponendo muove osservazioni e considerazioni che non crediamo opportuno riportare. Le accurate analisi di parecchi autori, e quelle che per la contro- versa questione, fummo obbligati ad eseguire noi, pongono in evidenza che le foglie sono in grado di fissare minime quantità di rame, o per lo meno che questo nelle foglie si trova in uno stato di adesione così tenace da non poter essere tolto nemmeno coi ripetuti lavaggi con so- luzioni all’acido nitrico, relativamente concentrate. Cade quindi la teoria del Rumm circa lo stimolo chemotattico, invocato a giustificare l’ azione evidente di un corpo non rinvenuto coll’ analisi spettroscopica. Frank e Kruger * ripeterono le osservazioni sulle piante di patata e conclusero I. La struttura fondamentale delle foglie di patata trattate, non viene modificata, però l'insieme dei tessuti fogliari si mostra, sebbene in debole misura, più grosso e più rubusto. II. Il contenuto clorofillico nelle foglie di eguale età e grandezza è più copioso in quelle trattate. III. L'attività d’ assimilazione è maggiore nelle foglie trattate co- sichè a parità di giorni nei corpi clorofilliani delle foglie trattate si raccoglie più amido che in quelle non trattate. IV. La traspirazione viene aumentata in seguito ai trattamenti. 1 Zimmermann in Bot. Centralblatt 1893, n. 28, p. 308. ? Aderhold in Bot. Zeitung 1893, n. 11 p. 162. ® Frank e Kriiger Ueber den Reiz, welchen die Behandlung mit Kupfer auf Kartofî. hervorobingt. in Ber. Deut. Bot. Ges. 1894, p. 8 et Ueb. direkt. Kinfl. der. Kupfer — Vitr. Kalk. Brùhe auf Kartoff. Pflanz — Prenzlau 1894. 184 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI V. La durata delle foglie viene aumentata coi trattamenti. VI. Il reddito in tuberi ed il contenuto amilaceo di questi, sono pure aumentati. Gli autori ammettono l’idea dello stimolo chemotattico, poichè non rinvennero mai il rame nelle piante trattate. Anche sul comportamento del rame in presenza della calce delle poltiglie bordolesi, gli autori espongono idee che non sono punto accettabili, ma che non è il caso di discutere qui. Il Mangin ' in un articolo riassuntivo fatto allo scopo di dare larga diffusione alle idee sostenute dai diversi autori, rivela le contrad- dizioni di questi, ed espone l’ opinione che il rame fissato in minime quantità dalle foglie, possa esercitare sui corpi clorofilliani una azione simile a quella che esercitano i veleni sull’ organismo animale, i quali a grandi dosì sono micidiali, laddove in dosi minime esercitano una in- fluenza benefica. I risultati delle nostre esperienze ci inspirarono le medesime idee, e con soddisfazione le vedemmo professate da un’ autorità come è il Mangin. Ò Alcuni degli autori citati sì occuparono anche del comportamento del rame col terreno. A terminare il sunto storico ricorderemo i prin- cipali di quelli che trattarono quest’ argomento. Il comportamento dei sali di alcuni metalli pesanti di fronte al terreno ha formato oggetto di studio già molti anni addietro per parte di Gorup-Besanez (Ann. der Chem. und Pharm. Bd. CXXVII, 251 e del Nobbe Landwirtsch. Versuchs-Stationen BXV. 273), il quale rico- nobbe che il terreno esercita sopra i sali di rame un potere assorbente molto energico. Più recentemente si è occupato di questo argomento il Knop (Berichte d. math. phys. 1885) il quale constatò egualmente per quanto riguarda ì sali di Co e di Cu che questi venivano assorbiti dal terreno ed agivano come veleni per le piante in esso crescenti. Il Baumann (Landwirtschaftl]. Wersuchst. 13d. XXXI p. 1) ha fatto ricerche specialmente sul comportamento dei sali di zinco ed ha trovato che la loro opera morbosa si manifesta in modo molto sensibile con quantità superiore a 5 mg. per litro. Dati al terreno però non esercitano la loro azione nociva sulle piante se non quando sieno somministrati in forti dosi in causa appunto 1 Mangin in Revue des Sciences, Paris. 1894. o. * RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 185 della proprietà assorbente che esso manifesta sopra questi sali. Dice an- che questo autore che 1’ assorbimento è determinato dalla presenza nei terreni degli umati acidi e dall’ acido umico, e che vi concorrono an- che i solfati, l’idrato di allumina, i carbonati di calcio e magnesio. I sali insolubili di zinco che vanno a formarsi in quelle condizioni (car- bonati, solfuri, ecc.) si mostrano inattivi; 1’ H?O ne scioglie quantità pic- colissime. L’esteso lavoro eseguito da Emilio Haseloff alla stazione agraria sperimentale di Munster sopra il medesimo argomento, ebbe per iscopo come è stato detto, di determinare gli effetti che i sali di rame incor- porati al terreno possono esercitare sulla vegetazione di alcune piante. L’ autore prese anzitutto in esame ì materiali di rifiuto di un opificio per la lavorazione dell’ ottone. Le acque uscenti dalla fabbrica eran fatte scorrere sui terreni adiacenti. Questi terreni contenevano, come è ben naturale, quantità notevoli di sali di rame e zinco, e le piante er- bacee in essi cresciute davano ceneri abbastanza ricche di questi stessi metalli come si rileva dai dati seguenti. Acido solforico Ossido di Cu Ossido di Z. 1. Fieno 14,6 poco 0,83 2. Erba TA 1,72 2,06 L’ Autore riferisce anche il caso di vacche le quali essendosi cibate di quelle erbe, morirono per l’ azione dei sali di rame e zinco in esse contenuti. Un simile fatto però meriterebbe di essere controllato. Altre esperienze vennero eseguite dall’ autore con colture acquose, contenenti nitrato e solfato di rame e nelle quali egli fece nascere piante di fave e di Mays. I risultati di queste ricerche, per quanto riguardano il comporta- mento chimico dei sali di rame di fronte al terreno ed alle piante, sono i seguenti: 1. Le acque contenenti disciolti solfato e nitrato di rame determi- nano nei terreni sui quali scorrono, delle perdite di sostanze utili alle piante e specialmente potassa, calce e viene fissato dell’ ossido di rame. Per questo fatto la produttività del terreno viene ad essere più o meno diminuita. 3. I dannosi effetti prodotti dai sali di rame sono notevolmente attenuati per la presenza nei terreni dei sali di carbonato di calcio. 186 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI lE Azione del rame sulla vegetazione della vite 1.° Azione del rame sulle radici della vite e di altre piante Tutti gli autori che si sono occupati della questione dell’ assorbi- mento del rame da parte delle piante, non hanno impiegato, a nostro avviso, un metodo di ricerche rigoroso, per constatare se questo metallo poteva essere realmente assorbito. Sì sa che il rame è diffuso nel terreno e che sotto 1’ azione di agenti diversi può formare dei composti solubili. Ora la radice benchè sì sviluppi in un terreno omogeneo, è esposta a parecchie cause di al. terazione. Questa osservazione rende plausibile l'ipotesi che i liquidi che non sono fisiologicamente assorbiti, possono penetrare attraverso alle soluzioni di continuità accidentali nell'interno dei tessuti, mescolarsi ai succhi, e diffondersi così nell’ interno delle piante. Allo scopo di evitare gli errori che potrebbero provenire da questo lato, conviene esperimentare sopra piante le cui radici sieno perfetta- mente sane, e porle in contatto con delle soluzioni cupriche assai di- luite, poichè le soluzioni caustiche (come quella di solfato di rame) sebbene assai deboli, hanno una azione corrosiva bene spiccata sui peli radicali. Questa azione determina evidentemente il fenomeno di assor. bimento, se questo può avvenire, e condurrebbe a risultati che ispire- rebbero delle conclusioni inesatte. Ù Se si considera la questione dal punto di vista chimico, non si può distinguere il rame che sì trova nell’ interno della pianta per pe- netrazione accidentale, da quello che vi si trova in seguito ad un fe- nomeno di assorbimento, ma non è affatto la stessa cosa dal punto di vista fisiologico. Se si pone in evidenza la presenza del rame nell’ interno di una pianta data, spontanea o coltivata, non conviene perciò a nostro avviso, ammettere che questa pianta possieda la facoltà di assorbire questo metallo, poichè potrebbe darsi, che coltivando altri individui della me- desima specie in soluzioni nutritive contenenti rame in date soluzioni, sì ottenessero dei risultati opposti. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 187 Noi abbiamo esposto sommariamente quali sono le modificazioni principali che subiscono le soluzioni di solfato di rame, quando queste vengono in contatto col terreno, e per quali ragioni noi ci determi- nammo ad impiegare il bicarbonato di rame in luogo del solfato, nelle colture delle piante che assoggettammo ad esperimento. Queste furono primieramente Phasoolus vulgaris, Cicer arietinum, Vicia Faba, Can- nabis sativa. Facemmo vegetare alcuni esemplari delle stesse nella se- guente soluzione nutritiva : Mequalizti ti o ua ATA Nibratoihi- Calce. ancup nità 1» Cloruro di Potassio. dra 0 Solfato di Magnesia . . . . 0 » 25 Fosfato monopotassico . 0 Comparativamente altri esemplari delle stesse piante ponemmo a vegetare nella stessa soluzione cui aggiungemmo alcuni centimetri cu- bici di una soluzione titolata di bicarbonato di rame, in guisa che ciascun litro di liquido nutritivo contenesse: I gr. 0,005, II gr. 0,010, II gr. 0,015 di rame. Per ricercare poi questo metallo, noi riunimmo tutte le piantine di una stessa specie (dopo che si erano convenientemente sviluppate) separando le radici dai cauli, e sottoponemmo le une e gli altri ai processi che esporremo in seguito parlando della ricerca del rame sulle foglie trattate con poltiglia bordolese. Diamo quì sotto i risultati delle analisi : I. Due piante di Fagiuolo, sviluppate nella soluzione contenente gr. 0,005 di rame diedero: nella parte aerea, milligr. 0,6 di Cu, nella parte radicale milligr. 0,10 di Cu. II. Dieci piante di Cece sviluppate nella stessa soluzione diedero: Parte aerea milligr. 0,04 di Cu; parte radicale milligr. 0,05°di Cu. III Due piante di Fava, cresciute nella stessa soluzione hanno dato: Parte aerea millig. 0,04 di Cu, parte radicale millig. 0,03 di Cu. IV. Cinque piante di Pisello sviluppatesi in una soluzione conte- nente gr. 0,010 e 0,015 di Cu diedero: Organi aerei millig. 0,10. Le radici andarono perdute. Le piante di Canapa, che rimasero piccole, non furono sottoposte ad analisi in causa della loro quantità insufficiente. Da queste cifre si può coneludere che le pianti: di Pisello, Cece, 188 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI } Fava e Fagiuolo assorbono il rame che è in contatto colle radici allo stato di bicarbonato (che non sembra alterare sensibilmente questi or- gani) in quantità minima, ed inoltre che questo metallo può passare nella parte aerea. Il metodo da noi seguito per la ricerca del rame, molto più sen- sibile di quello adottato dall’ Otto, e la natura del sale di rame im- piegato possono spiegare il fatto dell’ aver noi trovato il rame là dove questo sperimentatore non fu in grado di rivelarne la presenza. Noi facemmo pure esperimenti sulle radici della vite, i quali de- scriviamo appresso. Dagli stessi risulta che il rame non è fissato che dal tessuti morti della corteccia radicale. Accidentalmente esso può venir posto in circolazione, ma le ana- lisi fatte, sopratutto quelle di Sestini, dimostrano che questo metallo sì fissa negli organi della pianta sui quali esso viene direttamente ap- plicato. Questa constatazione contribuisce anche a dimostrare 1’ impossibi- lità di avvelenare i succhi interni, 0 di introdurre del rame nello in- terno delle cellule fogliari, a mezzo di soluzioni di solfato di rame versate al piede delle viti, per preservarle dalla peronospora. 2.° Azione di alcuni composti cuprici solubili sulle foglie e sui sarmenti Allo scopo di ricercare 1’ azione delle soluzioni di solfato di rame sulla vegetazione della peronospora, noi eseguimmo una serie di espe- rienze delle quali diamo quì un breve cenno. I. In due vasi cilindrici di vetro di 1000° circa di capacità ver- sammo 600° di soluzione acquosa di solfato di rame al 3 °/o e in due altri vasi *identici versammo una quantità eguale di soluzione al 5 %oo; un ultimo vaso infine conteneva dell’ acqua distillata. In ciascuno di questi vasi noi collocammo un sarmento ‘tosto dopo averlo tagliato sott’ acqua), il quale aveva da 4-6 foglie. vigorose e sane. Sopra queste foglie noi abbiamo seminato i conidi della perono. spora, prelevandoli da lussureggianti vegetazioni, indi ricoprimmo cia- scun vaso, collocato in un cristallizzatore contenente un po’ d’ acqua, con una campana di vetro. Fu nostra cura rinnovare l’ aria ogni cinque ore sotto le campane. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 189 Questi apparecchi furono mantenuti ad una temperatura media di 26° c. Ecco quanto potemmo osservare: Al secondo giorno le foglie di tutti i sarmenti si mantenevano assai vigorose, quelle però dei tralci pescanti nella soluzione al 5 °/oo presentavano le nervature un po’ im- brunite alla base. Questo imbrunimento si rese palese al terzo giorno nelle foglie dei tralci pescanti nella soluzione al 3 °/oo, mentre in que- st’ epoca le foglie della serie precedente mostravano le nervature già imbrunite. I conidi della peronospora germinarono, normalmente, e dopo il terzo giorno, spuntarono copiosi conidiofori pressochè in corrispon- denza di quasi tutte le regioni seminate, le quali erano state distinte con un cerchietto nero tracciatovi con inchiostro, e delicatamente innaf- fiate ripetutamente con acqua distillata allo scopo di facilitare la ger-, minazione dei conidi e lo sviluppo delle zoospore. Noi non osserrammo alcuna differenza fra lo sviluppo della pero- nospora sulle foglie dei sarmenti pescanti nelle soluzioni di SO‘Cu, e quello delle foglie appartenenti al sarmento pescante nell’ acqua distil- lata; però le foglie dei primi avvizzirono più rapidamente. II. Le esperienze sopra descritte furono da noi ripetute eliminando le campane di vetro. Noi in questo caso notammo gli stessi sintomi di avvelenamento dei fasci ed il loro imbrunimento si mostrò più ra- pido e più deciso, guadagnando parimente i picciuoli ed i meritalli. I conidi che noì seminammo non poterono svolgersi così da riprodurre la malattia, prima che le foglie non presentassero degli evidenti sintomi di avvizzimento ; i conidiofori non sì svilupparono, però noi potemmo constatare sulla faccia superiore delle foglie e. precisamente nelle re- gioni che avevano ricevuta la semina dei conidi, le macchie caratteri- stiche che precedono l’ apparsa dei conidiofori, nei casi in cui l’aria non è eccessivamente umida. Ciò che più colpisce in tutte le esperienze, e più ancora in quelle della seconda serie, è il rapido avvizzimento che subiscono le foglie dei sarmenti pescanti in soluzioni di solfato di rame. Lo studio micro- scopico delle sezioni condotte attraverso il parenchima fogliare, mostra il contenuto cellulare allo stato normale. Le stesse sezioni non danno la reazione del rame se vengono passate al ferrocianuropotassico. Sem- bra che il rame non arrivi di primo tratto alle cellule fogliari, e che le soluzioni venendo successivamente a contatto dei fasci facciano loro perdere la facoltà di condurre i liquidi secondo il modo normale cioè fisiologico. In seguito, cioè specialmente dopo la necrosi delle cellule 190 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI annesse ai vasi, è reso possibile attraverso le medesime ed ai vasi stessi, il passaggio delle soluzioni le quali si portano fino alle cellule fogliari prossime alle nervature, ed a poco a poco queste celluie invase dal li- quido cuprico, prendono una colorazione livida caratteristica divisa dalle nervature medesime, indi le foglie sì disarticolano al punto di inser- zione del picciuolo sul tralcio. In queste cellule il rame, come è natu- rale prevedere, si trova in quantità sufficienti per dare la reazione col ferrocianuro potassico. A nostro modo di vedere in queste esperienze il rame non potè penetrare nelle cellule fogliari che dopo la necrosi dei vasi conduttori, dopo la seconda o la terza giornata. Ora è noto che la peronospora , in buone condizioni di temperatura e di umidità impiega meno di 48 ore per compiere l’intero ciclo del suo sviluppo conidico. Egli è quindi possibile che essa abbia potuto nelle nostre esperienze, svilupparsi nel- l'interno dei tessuti fogliari prima. che questi sieno stati invasi dalle — soluzioni rameiche. D' altra parte il micelio della peronospora non è troppo sensibile all’azione dei sali di rame che si possono formare in seguito alla possibile decomposizione del solfato di rame posto in con- tatto coi principi che si trovano nei tessuti della foglia. Ciò è dimo- strato dalle esperienze seguenti. III. Noi ripetemmo gli esperimenti precedenti, impiegando tralci con foglie peronosporate in luogo di sane. Nella serie di esperienze con tralci coperti da campana, noi constatammo uno sviluppo notevole e prolungato della peronospora. Sulle zone precedentemente invase dal pa- rassita, comparvero conidiofori lunghi e numerosi. Al quinto giorno sui sarmenti pescanti nella soluzione al 5 ‘o la peronospora era ancora in piena vegetazione. Negli esperimenti in cui furono escluse le campane di vetro, lo sviluppo del parassita, continuò egualmente, ma in causa dell’ atmo- sfera meno umida, della traspirazione più attiva delle foglie e del loro rapido avvizzimento, la malattia si arrestò prontamente. Sulle macchie peronosporiche in cui il parassita non sì era ancora mostrato all’ esterno, i conidiofori apparvero al secondo giorno. IV. Noi abbiamo distaccato delle foglie mostranti delle macchie peronosporiche, con qualche cespuglio di conidiofori, e le adagiammo colla pagina superiore alla superficie di una soluzione di SO*Cu al 5 %oo. Allo scopo di facilitare la penetrazione del liquido nelle cellule fogliari, noi soleammo la faccia superiore di alcune di esse delicata- mente colla punta di un ago lanceolato in modo da non oltrepassare RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 191 il palizzata. Lo scopo di questo esperimento era quello di portare la soluzione di solfato di rame a contatto diretto col micelio, in pieno sviluppo, della peronospora. Alcuni minuti dopo che le foglie erano state adagiate sulla solu- zione, noi osserrammo che quelle solcate dalla lancetta imbrunivano debolmente lungo le solcature stesse. Il liquido a poco a poco si dif- fuse, ed alla fine del primo giorno le zone imbrunite avevano circa la larghezza di un millimetro. Durante questo tempo la peronospora con- tinuò nel suo sviluppo. Al secondo giorno le striature brune erano molto più larghe e più marcate, al terzo ed al quarto giorno questi caratteri erano ancora più decisi, mentre le parti che la lancetta non aveva toccate sì mantenevano perfettamente verdi. Evidentemente nei punti in cui aveva avuto luogo la penetrazione della soluzione, le pa- reti cellulari ed il contenuto erano morti ed alterati essi avevano su- bìto quel deterioramento che si osserva presso i fasci conduttori dei sarmenti immersi in soluzioni di solfato di rame. La peronospora continuò a vegetare vigorosamente. In fine scom- parve sia in causa dell’ azione del rame sia in seguito alla morte delle cellule. Al secondo giorno però i conidiofori erano così lussuriosamente sviluppati da raggiungere quasi 1 mill. di altezza. Noi constatammo l’apparsa di conidiofori pressochè contemporaneamente in parecchi punti della medesima foglia; ciò dimostrerebbe che il micelio aveva invasa, durante l’ esperienza buona parte della pagina fogliare e la soluzione di solfato di rame non giunse ad arrestarne lo sviluppo. Nelle piccole aree fogliari sane, la peronospora continuava a vege- tare mentre all’ingiro il tessuto fogliare era fortemente alterato dalla soluzione di solfato di rame. Le foglie non striate poste nelle stesse condizioni si mantennero verdi per più lungo tempo, la peronospora si sviluppò come nelle pre- cedenti, e fino al quarto giorno non si ebbe nessun sintomo di mortiz- zazione nei tessuti. Da queste esperienze noi saremmo sul punto di trarre le seguenti conclusioni. I. Il micelio della peronospora è meno sensibile delle cellule fo- gliari all’ azione di soluzioni relativamente concentrate di solfato di rame, e per un certo tempo può continuare a vegetare e produrre conidiofori. II. Le soluzioni di solfato di rame si fanno strada assai lentamente nell'interno delle foglie attraverso la pagina fogliare superiore anche nelle foglie staccate dalla pianta. 192 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI In tutte le esperienze sopradescritte, noi ci possiamo domandare se a contatto coi miceli della peronospora pervenne realmente il solfato di rame, 0 se questo corpo, venendo a contatto colle sostanze contenute nelle cellule delle foglie, o nei vasi, non subì una qualche decompo- sizione. Noi sappiamo dalle analisi chimiche e microscopiche delle foglie e tralci delle vite, quali sono le principali sostanze che si trovano negli stessi, e fra quelle che possono avere una influenza sulla decomposi- zione del SO,Cu, dobbiamo notare la clorofilla. Ciò risulta da studi dell’ Alessandri e del Tschirch. Il primo espone che la clorofilla si com- bina col solfato di rame formando due composti diversi secondo che venne a contatto colla clorofilla stessa 1’ acqua celeste od il solfato di rame in soluzione acquosa. Il primo composto è solubile nell’ acqua, il secondo è insolubile nell’ acqua e solubile nell’ ammoniaca. Il Tschirch ammette la combinazione della clorofilla col rame e la formazione re- lativa di filloxantato di rame. Da esperienze che andremo in seguito esponendo si vedrà come il rame abbia una azione bene spiccata sulla potenza di colorazione della clorofilla, talchè non è improbabile che realmente avvenga una combinazione del rame (sotto forma di composto solubile) ed un componente della clorofilla. Ad ogni modo ciò potrebbe spiegare la nessuna azione della solu- zione rameica sui miceli della peronospora fino a che la soluzione stessa o per meglio dire il solfato di rame di essa veniva decomposto dalla clorofilla sia nelle foglie dei tralci immersi colla parte inferiore in so- luzioni di SO,Cu, sia in quelle adagiate sulla soluzione stessa. Ciò riusci- rebbe appoggiato anche da altri fatti che avemmo occasione di con- statare noi e che furono confermati da altri. Questi fatti riferisconsi allo sviluppo della peronospora in piante di vite largamente trattate con poltiglia bordolese dopo che era già avvenuta l'infezione perono- sporica, come pure l’ apparsa di macchie peronosporiche e di conidiofori rigogliosi. Anche ultimamente ci si presentò l’ occasione di osservare fo- glie di vite abbondantemente trattate con poltiglia bordolese nel luglio, le quali in ottobre avevano tutta la loro poltiglia quasi intatta, mentre nella pagina inferiore presentavano parecchi cespugli di peronospora rigo- gliosa, ed evidentemente sviluppatasi molto dopo del trattamento nelle aree fogliari in cui non si era depositato il rimedio. Ed a questo riguardo noi non possiamo ammettere le idee di Milladert e Gayon secondo i quali la poltiglia bordolese costituirebbe una reserve cuivreuse, non sol- tanto pel fatto che il rame in essa contenuto si ridiscioglierebbe ada- RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 193 gio adagio sotto l'influenza di speciali agenti meteorici, ma ancora andrebbe a rendere refrattarie le foglie dall’ infezione peronosporica. A dire il vero la aviditè colla quale le foglie assorbirebbero il rame mano mano che dalla poltiglia passa allo stato solubile, non ci sembra suf- ficientemente provata, anzi molti fatti provano il contrario. Questi autori si esprimono nel seguente modo a proposito dell’ a- zione dei composti rameici sullo foglie. « C° est justement ce cuivre de réserve qui sert a completer le traitement. C’ est en gràce à lui qu’ un feuille, qui n’ a regu que quel- ques éclaboussures de bouille, est devenue, apres deux à trois semaines ou meme Jlus tòt, invulnérable au Mildiou, non soulement sur les points tachés primitivement, mais sur toute sa surface. C’ est encor gràce au cuivre de réserve qu’ une jeune feuille, grand comme un piéce de cinq francs, qui n'a regu que quelques taches de bouille, sera de- vennu complétement résistante au Mildiou, sur toute sa surface, lor- sque, son accroissement étant terminé, elle aura acquis, par exemple, la grandeur de la main ». Da nostra parte noi siamo sicuri che quelle foglie poste in camera umida e seminate colle zoospore della peronospora nelle regioni non trattate, avrebbero permesso lo sviluppo del parassita. A proposito dell’ immunità raggiunta dalle foglie trattate con com- posti rameici, non possiamo ritenere del tutto esenti da critica le con- clusioni alle quali giunge il Millardet pure in un precedente lavoro * poichè ci sembra che esse sieno tratte da esperimenti non estremamente rigorosi. Infatti il Millardet dopo avere spruzzato delle foglie di vite con una soluzione al 2 '/» per 1000 di SO,Cu, lasciate asciugare, indi ri- petuta la spruzzatura, istituì sulle stesse una serie di ricerche sulla loro immunità. Due foglie vennero ripetutamente lavate subito dopo dis- seccato il liquido della seconda irrorazione ed immerse per qualche ora in acqua pura altre no. Dopo otto giorni, le dette foglie furono staccate dalla pianta, e poste con altra non trattata, in ambiente adatto allo sviluppo della peronospora. Vennero abbondantemente seminate con zoo- spore. Il parassita non vi sviluppò che nella foglia di controllo. Da ciò il Millardet conclude che le foglie (anche quelle lavate subito dopo il disseccamento del liquido di seconda irrorazione) in meno di due ore ® Miarper — Le developp. ete. l. c. p. 79. 13 194 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI erano riuscite ad assorbire tanto rame da riuscire completamente re- frattarie alla peronospora. Dalle ricerche da noi ripetute per grandissimo numero di volte, sulla presenza di rame nelle foglie trattate con composti rameici, ve- niamo a questa conclusione : Le foglie asperse con composti rameici, non cedono all’ acqua tutto il rame che esse hanno alla superficie, nep- pure se ripetutamente e lungamente lavate con getto forte di acqua. E necessario onde asportare completamente il rame, lavarle accurata- mente con soluzioni di acido cloridrico. Infatti allorchè le acque di la- vaggio di date foglie non davano più reazione del rame, questa si ot- teneva nella soluzione di acido cloridrico al 5 °/oo che aveva servito a rilavare quelle foglie stesse. Ora è noto (per studi del Millardet stesso) che ad impedire lo svi- luppo delle zoospore basta una soluzione al 10,000,000 di solfato di rame, quindi è assai probabile ehe nelle foglie sottoposte ad esperi- mento dal Millardet, fosse rimasto, non ostante ai lavaggi, rame in più che sufficiente quantità per impedire lo sviluppo delle zoospore, e quindi della peronospora. Le esperienze di quest’ autore sul potere del solfato di rame con- tro i germi della peronospora, dimostrano all’ evidenza come sia assolu- tamente erroneo il ritenere che le soluzioni di solfato di rame al 2 °%/v non abbiano alcuna azione sui conidi della peronospora, anzi permet- tano il loro sviluppo, e noi non possiamo che attribuire ad errore di osservazione i risultati cui giunse a questo proposito il citato Alessandri. Ecco quanto scrive quest’ autore (1. c. p. 118). « Ho messo diverse foglie di vite peronosporate in una soluzione di solfato di rame al 2 ‘co, ove le lasciai per circa otto giorni, quindi le tolsi ed osservando opportunamente, mi accorsi che il paras- sita era apparentemente almeno, distrutto. Lasciai però a sè la soluzione del solfato di rame in bottiglia di vetro ben chiusa ed osservai quanto segue: Dopo 15 giorni sulla parete interna della bottiglia si erano formati dei globuletti trasparenti che ingrossavano man mano e poi cadevano in fondo del vaso. Lasciando il tutto a sè dopo altri 10 giorni, una parte di quei tubercoletti era venuta alla superficie for- mando una zona di colore cinereo, radiata, di circa un cm. di diame- tro, a zone concentriche visibilissime anche ad occhio nudo sulla cui superficie avevano formato una specie di polvere pure cinerea. Insomma la produzione aveva preso veramente l’ aspetto di una macchia pero- nosporica sopra la foglia. » RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 195 « Esaminai al microscopio e ritrovai tutti gli elementi della pero- nospora, escludendo il Penicillium.... Dall’ esame accuratissimo, dal non aver potuto più esattamente classificare il fungo, dalla forma dei tubi, dal numero di spore, dalla loro disposizione, dalla loro forma, mi con- vinsì che poteva benissimo trattarsi di una peronospora e che la va- riata disposizione delle parti doveva essere semplicemente data dal mezzo in cui la spora aveva evidentemente germinato.... Da questo fatto se ne ricava, o almeno io ne ricavo, che la soluzione di solfato di rame in cui furono per un poco di tempo immerse le foglie pero- nosporate, uccise il micelio ma non le spore o conidi, poichè questi poterono poi germogliare dando un micelio che restava libero e fluttuante nel liquido e ciononostante si producevano nuovi conidii i quali ca- dendo sul liquido andavano al fondo ove dopo un poco di tempo ger- minavano ancora riproducendo un micelio sterile sinchè non viene a contatto dell’ aria. » Tutto ciò dopo le esperienze di Millardet (recentemente confermate dal Wutrich) condotte con tutto il rigore scientifico, e dalle quali riesce così chiaramente ed indiscutibilmente dimostrata l’ azione delle soluzioni di solfato di rame sui conidi della peronospora, non ci sem- bra che possa essere in alcun modo giustificato. A nostro modo di ve- dere i miceli ed i conidi osservati dall’ Alessandri, e considerati come appartenenti alla peronospora, sono invece di quelle comuni muffe che infestano qualsiasi soluzione nutritiva non sterilizzata, e che ricoprono di veli più o meno densi l’ acqua conservata in recipienti, purchè con- tenga tracce di sostanze nutritive. Il professor Alessandri potrà sostenere che la sua bottiglia conte- neva in gran parte rame allo stato di soluzione organica, non solfato di rame, ma è giuocoforza riconoscere che la soluzione di So,Cu nella quale furono immerse le foglie peronosporate per otto giorni, non può essere stata totalmente decomposta dalle sostanze organiche che secondo l’ Alessandri, si sarebbero per esosmosi versate nella soluzione stessa. Le nostre ricerche furono rivolte anche a ricercare il comporta- mento del rame coi diversi tessuti della pianta, onde constatare se esso avrebbe potuto essere fissato da qualcuno degli stessi. A questo scopo procedemmo secondo diverse vie, cioè: I. seguendo il cammino del rame nell’ interno della vite inaffiata al piede con soluzioni di solfato di rame. II. seguendo il cammino del rame in tralci tagliati sott’ acqua ed immersi colla parte tagliata in adatte soluzioni di So,Cu. $ 196 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI III. Trattando le sezioni dei tralci dei picciuoli e delle foglie con soluzioni di solfato di rame, indi, dopo lavate ripetutamente, determi- nando in essa la reazione del rame col ferrocianuro di potassio. Viti di maggiori o minori dimensioni, e variabili d’ età (da uno a quattro anni) ottennero in più riprese una data quantità di soluzione al o ‘o di solfato di rame, non minore di 50 litri per ciascuna vite. Le esperienze colle viti di 4 anni furono fatte nel giugno 1892, quelle colle vite di un anno nel settembre 1893. Quest’ ultime morirono. Le prime sono ancora vegete. L'esame microscopico condotto sugli organi verdi il giorno seguente al trattamento e nei successivi, non rivelò mai la presenza del rame. Evidentissima ci si presentò la reazione nei tes- suti corticali morti delle radici. Nelle viti che morirono in seguito, ai trattamenti, la radice estratta dal terreno apparve disorganizzata nelle sue sottili ramificazioni. Assoggettammo ad esperimento pure una barbatella in vaso. A tale scopo rompemmo il vaso, nella sua parte inferiore, ponendo così allo scoperto buona parte del corpo radicale che facemmo pescare in un cristallizzatore, (contenente una soluzione all’ 1 °/ di SO,Cu) dopo che liberammo le radici da una parte della terra, mediante il sottile getto d’ acqua di una pompetta convenientemente manovrata. Anche qui l'esame microscopico, ripetuto ad intervalli sugli or- gani verdi, non cì rivelò il rame. Da tutto ciò ci sembra poter concludere, col Sestini, che la vite fissa il rame in quella parte a cui esso viene direttamente applicato, ed in questo caso alle radici, essendo stato applicato al terreno circo- stante al piede delle viti stesse. Allo scopo di constatare il cammino seguìto dalla soluzione rameica nei tralci immersi colla parte tagliata nella soluzione stessa, disponemmo le cose come sopra esponemmo (pag. 189 — II), colla differenza che le soluzioni erano diverse cioè: cioè alcuni recipienti contenevano una solu- zione al 0,5 %x, altri all’ 1 °/co, altri al 2%, altri al 8 °/oo, al 5 %oofed al 10 °/o. Secondo il grado di concentrazione della soluzione 1’ influenza della stessa si mostrò più o meno rapidamente, però il comportamento del liquido fu eguale in tutti i casi. Si notò prima sulle foglie inferiori che le nervature acquistavano un colore bruno violetto, specialmente le primarie, poi anche le superiori ed alla fine le foglie diventavano qua e là livide, si accartocciavano e con grande facilità si staccavano dal tralcio per disarticolazione del picciuolo al pulvinolo. La superficie di disarticolazione si presentava imbrunita specialmente nei fasci. Sezioni Ca RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 197 trasversali dei picciuoli e dei tralci mostravano pure i fasci più o meno fortemente imbruniti. La reazione del rame si ottenne allorquando 1’ or- gano assoggettato al trattamento mostrava decisi sintomi di alterazione. Noi, per avere la detta reazione, procedemmo in due diversi modi, cioè cercammo di determinarla nelle sezioni od è toto. Nel primo caso le sezioni rapidissimamente fatte al microtomo e trasportate immedia- tamente in ferrocianuro potassico ci diedero la rezione del rame quando i tralci erano rimasti sufficientemente nella soluzione e le nervature delle foglie erano già evidentemente imbrunite; anzi le sezioni stesse per quanto rapidamente fatte e tolte dalla lama del microtomo con una paletta di osso, pure lasciavano precipitare sulla lama stessa il ra- me, cosichè sì formavano delle impronte rosse sul rasoio nel luogo del taglio, che ripetevano l’area della sezione. Era facile arguire da ciò che il rame nell’ interno doveva essere distribuito abbastanza uni- formemente, il che rivelava come esso avesse avuto campo di agire in modo da determinare una vera e propria alterazione dei tessuti e del contenuto cellulare. Infatti sia colle soluzioni deboli, che con quelle di maggiore concentrazione, noi potemmo constatare che la superficie del taglio veniva a mano a mano alterata profondamente, trovandosi in contatto colla soluzione, nel mentre che la traspirazione delle foglie determinava una rapida ascesa delle soluzioni nei vasi conduttori, e così queste venivano portate nelle nervature. Qui succedeva quanto già era accaduto nella superficie del tralcio, cioè più o meno rapidamente, secondo la concentrazione delle soluzioni, le pareti dei vasi si imbruni- vano, ed a poco a poco sì disorganizzavano nel mentre che si lascia- vano attraversare dalla soluzione che veniva allora direttamente a con- tatto colle pareti cellulari, le quali, subendo la stessa sorte, permette- vano alla soluzione di portarsi nell'interno delle cellule. Egli è, se- condo noi, per una vera e profonda alterazione della parete cellulare, che le soluzioni di solfato di rame vengono nell’ interno della cellula, non per un fenomeno di assorbimento fisiologico. Sono le cellule che fiancheggiano i fasci quelle che prime risentono l’ azione morbosa della soluzione, perciò illividiscono e muoiono, ed in esse la soluzione entra in così gran copia, da concentrarsi notevolmente in seguito alla evapo- razione, e da lasciar depositare dei minuti cristalli di SO,Cu. Così, e non altrimenti, è spiegabile la presenza di cristallini di sale di rame nell’ interno delle cellule fogliari di tralci immersi colla parte inferiore in soluzioni di SO,Cu. Se poi la soluzione di solfato di rame, venendo a contatto colle 198 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI diverse sostanze contenute nell’ interno della cellula, rimanga inalterata o si decomponga andando già a costituire altri composti rameici com- binandosi a qualche principio vegetale, non potemmo con sicurezza ve- rificare sempre, Per le constatazioni del rame n toto prendemmo por- zioni di tralci, picciuoli e foglie tolte dai tralci suddetti che avevano soggiornato nel SO,Cu, e le immergemmo in ferrocianuro-potassico, indi le assoggettammo al taglio. Constatammo anche quì la reazione del rame negli organi che presentavano i caratteri del passaggio della so- luzione rameica. In tutte le sezioni riscontrammo costantemente una forte reazione nelle pareti dei diversi elementi. Descriveremo un po’ specificatamente le cose osservate. Allo stato perfettamente erbaceo, il tralcio di vite in sezione tra- sversa presenta, come è noto, la seguente struttura: L’epidermide a cellule subrettangolari, robustamente cuticolarizzate, e sotto di questa parecchi strati di tessuto corticale fondamentale pri- mario nel quale si differenziano dei cordoni collenchimatici subepider- mici i quali spesso fronteggiano i fasci fibro-vascolari, cioè si trovano nel prolungamento radiale degli stessi. ed in corrispondenza delle costole longitudinali da cui è percorso il tralcio. L’ endoderma si presenta si- nuoso seguendo la superficie dei cordoni di stereidi pericicliche (che for- mano una guaina all’ esterno dei fasci floematici) e fondendosi poi coi raggi midollari ad ogni incontro con questi. Il libro molle è quindi li- mitato regolarmente da questi raggi midollari lateralmente, mentre al lato esterno termina con due-tre strati cellulari (provenienti pure dallo sviluppo del periciclo ed addossantisi naturalmente al lato interno del cordone stereomatico suddetto) ed al lato interno confina colla zona cambiale che cinge il libriforme regolarmente diviso dai suddetti raggi midollari. Il midollo al pari del libriforme è più o meno sviluppato secondo l’ età del tralcio. In seguito però succedono notevoli modificazioni. Altri fasci sì in- terpongono a quelli esistenti. Lo strato più interno della zona perici- clica diventa generatore di sovero, quindi 1’ epidermide, il tessuto cor- ticale col collenchima, i cordoni di stereidi pericicliche e gli strati pa- renchimatici periciclici sottostanti muojono e si staccano a poco a poco. Nel tessuto corticale secondario poi si formano dei cordoni di fibre li- beriane, mentre si originano dei raggi midollari secondari, e sì sviluppa assai il libriforme. A mio modo di vedere non è esatto il considerare le stereidi pe- RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 199 ricicliche suddette come fibre liberiane appartenenti alla corteccia pri- maria, (come sostiene 1’ Arbaumont) poichè esse sono cinte esternamente dall’ endoderma, ed appartengono quindi al cilindro centrale primario. Nei tralci immersi in soluzione al 5 °/oo colla parte inferiore, il ra- me dopo 24 ore dava una reazione nettissima in tutti i tessuti, meno nella cuticola, nelle fibre liberiane e nel libriforme. Una debole reazione sì aveva nei fasci legnosi primarii, specialmente nelle cellule annesse poco lignificate. Invece l’ epidermide, il tessuto corticale, il midollo, e sopratutto il collenchima e la regione floematica del fascio libero-legnoso, apparivano fortemente colorati. Soltanto nei casì di prolungata immer- sione in soluzione di SO,Cu, le cellule lignificate danno la reazione del rame; ma allora evidentemente sono alterate. Nei vecchi tralci, nei quali ha da tempo avuto luogo la forma- zione del sovero, i tessuti morti posti al di fuori di esso, reagiscono fortemente, ad eccezione delle fibre liberiane o meccaniche che fronteg- giano ciascun fascio. Però evidentemente qui si tratta di imbibizione analoga a quella osservata nelle radici. Allo scopo di constatare se eravi qualche tessuto che allo stato vivente fosse capace di fissare il rame, eseguimmo al microtomo delle sezioni in tralci di tutte le età, appena staccati dalla pianta, e rapida- mente le trasportammo in date soluzioni di solfato di rame. Sperimentammo colle concentrazioni le più varie (da ‘4 al 10 per mille), e lasciando le sezioni per un tempo più o meno lungo (da al- cuni secondi a 24 ore). Crediamo affatto inutile descrivere dettagliatamente le parecchie cen- tinaia di esperienze condotte facendo variare i due suaccennati fattori, e ci basterà il dire che in tutti i casi osserrammo le medesime cose, cioè: I. La reazione metta del collenchima nelle sezioni lasciate po- chi secondi in soluzioni anche debolissime di SO,Cu, indi lavate accu- ratamente con acqua distillata, poi trattate con ferrocianuro-potassico, rilavate ed osservate in glicerina. (Vedi tav. XIV, fig. 1.) II. La reazione del collenchima, dell'epidermide e delle cellule che accompagnano i fasci cribrosi, tutte le volte che lU immersione in SO,Cu era prolungata alquanto. III. Infine la reazione di tutti questi tessuti, del midollo, del tessuto corticale e delle cellule che accompagnano i fasci legnosi pri- marti, tutte le volte che U immersione era piuttosto lunga (2-4 ore, se- condo la concentrazione della soluzione). Nei tralci vecchi, invece è tes- suti morti reagiscono prontamente. 200 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI Il metodo seguito nelle diverse operazioni fu il seguente: Le sezioni rapidamente ottenute col microtomo, venivano subito tra- sportate con una spatola di osso in un vetro d’ orologio contenente ac- qua distillata. Continuamente agitate per parecchi minuti, indi traspor- tate in un secondo vetro d’orologio contenente la soluzione di SO,Cu. Ivi lasciate pel tempo voluto, poi trasportate in un filtro di lavaggio, costituito da un disco di porcellana forato, poggiato entro un imbuto e coperto da un disco di carta da filtro su cui sì adagiavano le sezioni che venivano poi sottoposte al getto continuato dell’acqua distillata contenuta in una spruzzetta. Accuratamente lavate venivano poi immerse per pochi istanti in una soluzione al 10 °/ di ferrocianuro-potassico, poi rilavate e passate alla glicerina sul porta-oggetti. Migliori risultati otte- nemmo impiegando la soluzione di SO,Cu al 2-3 9/0, e lasciando in esse le sezioni per quasi un minuto, indi procedendo come sopra fu esposto. Una immersione di qualche ora, anche in soluzioni debolissime, altera oltremodo le sezioni che non si prestano più ai successivi trattamenti, ed all’ osservazione microscopica. Le figure che diamo nella tavola annessa al presente lavoro, (XIV) mostrano nettamente il grado di reazione di sezioni sottoposte al trat- tamento sopradescritto. Come si vede (specialmente nella fig. 2) il collenchima e 1’ epider- mide hanno reagito energicamente, laddove la cuticola si mantenne inal- terata. Ciò osservammo anche nelle nervature fogliari, e nei picciuoli. La cuticola non reagisce mai, nemmeno se trattata con soluzioni relativamente concentrate, talchè noi conchiudiamo che essa non assorbe, e tanto mena fissa, il rame, poichè ci sembra strano che essa possa assorbirlo e fissarlo sotto tale forma da non dare reazione col ferrocia- nuro potassico. Come si vede questi risultati sono in aperta contraddizione con quelli ottenuti dal signor Millardet ' il quale asserisce che la cuticola assorbe energicamente il rame. Per quanto si sappia che la cuticola è assai resistente anche all’ azione dei più potenti acidi, pure non è ammis- sibile che 30-60 grammi di foglie di vite poste per 24 ore in un chilog. di acido solforico monoidrato del commercio, addizionato di 180 gr. di acqua, abbiano conservata inalterata la loro cuticola. Il rame assorbito da questa cuticola non prova che la proprietà della stessa allo stato morto, e sotto l'influenza dell’ acido solforico di fissare questo metallo. 1 Millardet. Le developp. ete. 1. c. p. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 201 Ma allo stato vivente divide questa proprietà ? È noto come le pareti delle cellule non sì comportino, di fronte a date soluzioni, nello stesso modo se sono viventi o morte. Le nostre esperienze dimostrano che allo stato vivente la cuticola delle foglie e dei tralci della vite non sì lascia attraversare dalle soluzioni di solfato di rame, e tanto meno le fissa. Ciò è anche in accordo con quell’ ufficio di protezione a cui risponde la cuticola stessa, e non so altrimenti spiegare le enormi quantità di rame trovate dal Millardet nella cuticola delle foglie di Vitis riparia, Vitis rubra, e Vitis rupestris * sottoposte ad esperimento che ammettendo un diverso comportamento della cuticola morta e trattata coll’ acido solforico. Noi studiammo il potere assorbente pel rame, dei diversi tessuti del tralcio anche con altri composti rameici, e notammo quanto segue: Sezioni di tralci giovani immerse per pochi istanti in filtrato ot- tenuto da lavaggio della poltiglia bordolese, indi trattate come nelle esperienze precedenti dettero la reazione del rame. Questa ottenemmo anche quando le sezioni erano passate prima al- l’ acido acetico ed all’ acido cloridrico al 3 °],, indi immerse in soluzioni di SO,Cu, e da ultimo lavate e trattate come nelle esperienze precedenti. Non avemmo invece la reazione allorquando impiegammo il liquido cupro-ammoniacale, poichè le tracce di ammoniaca libera scioglievano il precipitato. È nemmeno avemmo la reazione trattando le sezioni con bicarbo- nato di rame, il che è assai interessante, poichè potrebbe servire a dare una interpretazione al fenomeno della reazione: Cioè il solfato di rame venendo a contatto con qualche principio abbondante negli ispessimenti collenchimatici, meno nelle pareti degli altri elementi che possono dare la reazione, si decomporrebbe, forse in seguito all’ azione’ dell’ acido sol- forico sopra questo principio stesso, indi il rame depositatosi allo stato di impregnazione nello spessore delle ‘pareti cellulari darebbe la reazione in contatto col ferrocianuro-potassico. Questo fatto sarebbe appoggiato anche dal fenomeno costante del notevole aumento di spessore delle pareti collenchimatiche allorquando vengono a contatto col solfato di rame o coll’ acido solforico. Basta far arrivare uno di questi liquidi alla sezione sul porta-oggetti, durante 1 Infatti gr. 1,10 di cuticola di V. riparia (allo stato secco) avevano assorbito 9 mgr. 9 di SO,Cu. mentre gr. 0,970 di cuticola secca di V. rudra ne assorbirono mgr. 20, 50 e gr. 0,840 di cuticola secca di V. rupestris ne assorbirono mgr. 17. 202 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI l'osservazione microscopica, per vedere il forte e rapido aumento di spes- sore delle pareti collenchimatiche, le quali, come del resto è noto almeno pe: 1’ H,S0,, acquistano una larghezza anche doppia della primitiva. Abbiamo ricercato di studiare il comportamento del collenchima anche di altre piante col solfato di rame, ma pel momento ci limitiamo a quanto abbiamo esposto per la vite, onde non uscire dall’ argomento che stiamo trattando. Sulla fissazione del rame da parte delle foglie di vite irrorate con composti rameici, come altrove esponemmo, vi sono diverse opinioni. Secondo alcuni autori il rame viene assorbito e fissato energica- mente dalle foglie, secondo altri per mezzo di questi organi entra in cir- colazione, secondo altri esso viene fissato in debolissima misura, secondo il Rumm infine, non entra affatto nella foglia, nemmeno nella cuticola. Noi cercammo di risolvere la questione, cioè di eseguire delle ri- cerche rigorosissime allo scopo di appoggiare quella opinione fra le ci- tate, che dalle esperienze nostre stesse riuscisse la più sostenibile. Descriveremo brevissimamente queste esperienze ed i risultati ot- tenuti anche pel fatto che adottammo un metodo di ricerca del rame diverso da quello fin qui impiegato dagli autori precedenti. I. Esperienza — Assoggettammo un certo numero di foglie di Vite ben vegete e sane a quattro trattamenti di poltiglia bordolese durante i mesi di Maggio, Giugno, e parte del Luglio. Ancora imbrattate di poltiglia bordolese le staccammo dai tralci, e le lavammo con acqua acidulata al 4 °|, di HCI, indi facemmo passare sopra ciascuna di esse adagiata sopra una lastra di vetro, e convenientemente rivoltata di tratto in tratto, un forte e continuato getto di acqua pura. Queste ope- razioni ripetemmo per due volte, fino a che le acque di lavaggio, pure o acidulate, non davano più alcuna reazione del rame. Ponemmo a sec- care le foglie proteggendole da qualsiasi contatto coll’ esterno, indi ne facemmo le ceneri. Queste sciogliemmo in poco acido nitrico puro, ti- rammo a secco, riprendemmo con H,0, e tirammo nuovamente a secco. Queste operazioni ripetemmo per tre volte, indi riprendemmo di nuovo con acqua e trattammo con HN,, filtrammo, riportammo a secca, ri- prendemmo il residuo con acqua e due gocce di NO,H diluito e acqua, neutralizzammo perfettamente 1’ acido con soluzione di idrato sodico pu- rissimo e portammo al volume di 25c.c. A questi si è aggiunto le.e. del reattivo alla tintura di guaiaco in presenza di acido cianidrico, che per reiterate prove e confronti trovammo il più sensibile di tutti gli altri reattivi del rame, RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 203 Contemporaneamente istituimmo delle prove di confronto con due serie di soluzioni titolate contenenti la prima 2, 4, 6, 8 centesimi dì milligrammo di rame metallico pure in 25cc. di acqua. I risultati di questi esperimenti furono i seguenti : In un primo lia, di 4 foglie trovammo rame me- tallico à : î mgr. 0,05 In un secondo campione pure di 4 falle sì "oli rame metallico . , i » 0,08 In un terzo campione pas n° 4 todi sì cuba rame me- tallico i è È » 0,10 II. Esperienza — - Otto foglie i urti come le precedenti, vennero poi lavate nel modo sopra descritto, indi furono trattate con ammoniaca di media concentrazione. Riscaldammo debolmente il tutto; decantammo il liquido ammoniacale; evaporammo; riprendemmo con due gocce di acido cloridrico diluito, e trattammo nel modo suindicato. Ecco ì risultati: Rame trovato nella soluzione ammoniacale . mgr. 0,07 Rame trovato nelle ceneri delle foglie . - mgr. 0,04-0,05 Può darsi che il rame rinvenuto nella soluzione ammoniacale , si trovasse nello strato ceroso di cui erano rivestite le foglie e che venne asportato col trattamento ammoniacale, oppure trovandosi nell’ interno dei tessuti fogliari sia stato asportato dall’ ammoniaca attraverso alle minute ed inevitabili lesioni prodotte nelle foglie dalle diverse mani- polazioni, non ostante alla delicatezza colla quale si ebbe riguardo di trattarle. III. Esperienza — Cinque foglie vennero irrorate come le prece- denti, indi lavate nel modo suindicato , poi trattate con alcool forte. Vennero quindi analizzati il residuo ottenuto dall’ evaporazione dell’ al- cool, e le ceneri delle foglie bruciate. Ecco i risultati: Rame trovato nella soluzione alcoolica , i mer. 0,04 Rame trovato nelle ceneri . 3 £ » 0,10 Questi esperimenti che ripetemmo più nia ci dimostrano che la quantità di rame che si fissa nelle foglie è estremamente piccola, ad onta che le foglie vengano abbondantemente irrorate con poltiglia bor- dolese anche a forti dosi rameiche. Niuno, crediamo noi, dopo ciò, vorrà ritenere che le suddette quantità di rame possano costituire una riserva atta a rendere refrattarie le foglie stesse dalla infezione peronosporica, poichè come altrove dimostrammo, i miceli del parassita resistono bene 204 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI a dosi anche relativamente elevate di solfato di rame od altri sali di Cu, e le quali riescono invece dannose alla Vite. Del resto anche senza ricor- rere alle esperienze col BaciWlus Amylobacter per concludere che i tessuti della Vite sono meno resistenti dei miceli della peronospora, basta la con- siderazione che il parassita deve necessariamente poter vincere gli sforzi dell’ ospite intesi ad allontanare od impedire 1’ infezione. D’ altra parte i protoplasmi nudi che costituiscono le zoospore, sebbene delicatissimi, devono avere una resistenza verso gli agenti esterni, o le sostanze ad essi dannose, adeguata alla vita esterna, che sono costretti a condurre, resistenza quindi che forse anche @ priorî sì può ritenere superiore a quella dei corpi protoplasmatici delle cellule fogliari della vite, protetti durante tutta la loro vita da una parete cellulare che li garantisce di- rettamente dall’ influenza di agenti esteriori sfavorevoli. Le quantità di rame che vengono fissate dalle foglie) sono così piccole, da sfuggire all’ analisi microscopica. Ce ne convincemmo colle seguenti esperienze. Foglie trattate ripetutamente con poltiglia bordolese, con soluzione semplice di solfato di rame al 0,5 °/oo, vennero accuratamente lavate, nel modi suddetti, indi sottoposte ciascuna ad un esperimento speciale. Vennero cioè tagliati sott’ acqua i picciuoli alla loro base; staccata una prima foglia in tal guisa, si pose sotto la campana di una potente macchina pneumatica Bianchi a doppio effetto. La campana aveva una breve tubulatura alla parte superiore chiusa da un tappo di gomma forato. Pel foro del tappo venne fatto passare il picciuolo fogliare che sì piegò leggermente fino a pescare in una provetta ripiena di ferro- cianuro potassico, convenientemente collocata. Fatto il vuoto, dopo aver ermeticamente lutato con paraffina fu- sa, il tappo di gomma, si lasciò a sè 1’ apparecchio per un’ ora. L’ a- spirazione forte (la macchina indicava il vuoto di 1 mm.) richiamò in breve il ferrocianuro-potassico il quale attraverso ai fasci del picciuolo si sparse in tutta la foglia, in modo da raccogliersi dopo un quarto d'ora in gocce all’ apice di parecchi denti fogliari. Similmente furono trattate parecchie foglie, e rimasero sotto la campana fino a che esse lasciavano gocciolare il ferrocianuro assorbito. Le sezioni trasversali accuratamente osservate, non mostrarono mai in nessun caso la reazione del rame nell’ interno dei tessuti. Attenendoci a questo solo esperimento, noi saremmo stati mossi a concludere che il rame non viene assorbito dalle foglie il che è inesatto. Tutto ciò ci pare che possa dimostrare che il rame non può avere ® RICERCHE SUI COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 205 azione contro la peronospora altro che nel caso in cui si trovi sulla fo- glia cioè la foglia stessa rimane immune dalla peronospora, fino a che alla sua superficie ha un composto rameico solubile nelle acque di rugia- da o di pioggia il che attesta tra gli altri, anche il Professore Cuboni. * È noto che le foglie della vite trattate coi rimedi cuprici, acqui- stano in breve una tinta più carica, diventano più rigide, più robuste e sì mantengono per un tempo più lungo sulla pianta. Il Rumm ha creduto poter affermare in seguito ad una serie di osservazioni microscopiche, che nelle foglie trattate coi rimedi cuprici, i corpi clorofilliani sono più piccoli ma più numerosi. Noi per parte nostra ripetemmo le osservazioni del Rumm, ma non potemmo confer- mare le sue asserzioni, poichè non cì riuscì constatare rigorosamente ed assolutamente questo maggiore numero dei corpi clorofilliani nelle foglie trattate. Anche il maggiore spessore di queste foglie non sempre po- temmo constatare ìîn modo indiscutibile. Allo scopo di vedere se la tinta più carica delle foglie trattate con composti rameici dipendesse piuttosto da una più forte colorazione della clorofilla (esclusa, come dicemmo, la maggiore copia di questa sostanza) istituimmo delle esperienze colorimetriche le quali qui breve- mente riassumiamo: Scegliemmo coppie, o gruppi, di foglie presumibilmente della stessa età trattate e non trattate con poltiglia bordolese, le lavammo nei modi sopra indicati, indi le asciugammo ponendole tra fogli di carta bibula. Dalle foglie trattate staccammo mediante un cilindro di latta tagliente al margine e del diametro di 3 c.m., dei dischi che ponemmo in al- cool a 95* all’ oscuro, (in bottigliette da 50 cc.), talvolta interi, tale altra dopo averli rapidamente triturati in un mortaio di vetro. Tali o- perazioni ripetemmo colle foglie non trattate, in modo da fare delle serie parallele. L’ estrazione della clorofilla fu fatta sempre all’ oscuro. Dopo un periodo più o meno lungo, facemmo le determinazioni colorimetriche delle soluzioni di ciascuna serie, col colorimetro di Dubasch. Ciascuna serie, come si disse, era composta di due bottigliette in una delle quali vi erano ì dischi, interi o triturati, tratti da una foglia, od un gruppo di foglie trattate con poltiglia bordolese, e nell’ altra ì dischi interi o pesti, di un’ altra foglia o gruppo di foglie non trattate rispettivamente 1 Cusoni — L'azione dei sali di rame nei trattamenti contro la peronospora — In Boll. Vitic. Ital. 1894 p. 292. 206 A. N. BERLESE È L. SOSTEGNI della medesima età e vite, di quelle corrispondenti trattate della prima bottiglietta. Nella scelta delle foglie sì tenne conto oltre che dell’ età, anche della grandezza, dell’ esposizione, dell’ illuminazione ete., procu- rando di scegliere coppie o gruppi di foglie trattate e non trattate, che avessero la stessa età, la stessa grandezza, appartenessero alla stessa vite, fossero collocate vicine in ‘modo d'aver ricevuto sempre la stessa illuminazione etc., cioè tenemmo conto di tutti i fattori che potevano influire sulla formazione della clorofilla. Negli specchietti sottoesposti consacriamo i risultati ottenuti dalle osservazioni. I numeri degli specchietti indicano l’ altezza delle colonne liquide in mm., le quali presentavano la medesima intensità. La colonna liquida della soluzione clorofillica, ottenuta dalle foglie trattate si collocava ad altezza costante indi si variava l’ altezza di quella ottenuta dalle foglie non trattate, fino ad avere identità di tinta tra le due soluzioni, indi si leggeva nella scala la differenza indicata dal nonio. Con questo metodo ottenemmo i seguenti risultati: I. Serie — Foglie 12, divise in tre coppie (a, 6, c) di 4 ciascuna. Ogni gruppo è composto di due foglie trattate e due non trattate della stessa età etc. Da ciascuna foglia si trassero tre dischi che vennero posti in 50 ce. di alcool a 95° e lasciati digerire all’ oscuro per quattro giorni. 1 Foglie trattate Foglie non trattate Duo 5 mm. a 4,6 mm. OBESI So miope 9,4 mm. RIA 5 mm. 4,8 mm. Coppia è | 10 mm. | 10,5 mm Conti 5 mm. i | 5,0 mm. SPP183 O. LO 9,8 mm * Quanto più alta era la colonna tanto minore era l'intensità colorante della soluzione. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 207 II. Serie — La stessa disposizione, soltanto 9 dischi in ciascuna bottiglia lasciati digerire per 6 giorni. Foglie trattate Foglie non trattate o mm. È, 5,6 mm. 10 mm. 9,8 mm. 3 mm. 8,4 mm. b 5 mm. db o,ì mm. 10 mm. 10,7 mm. | 5 mm. # 5,7 mm. ©| 10 mm. 12,5 mm. o mm. 5,6 mm. "i | 10 mm i | 11,5 mm. III. Serie — Gruppi di foglie dai quali si trassero 12 dischi che furono posti in 100 cc. di alcool a 95° dove rimasero per 6 giorni conservati all’ oscuro. Foglie trattate Foglie non trattate 8 mm. | 3,3 mm. a Lo a tI 5 mm. 9,9 mm. | 8 mm: b | 3,5 mm. 5 mm. 6,0 mm. In questa serie d’ esperimenti le soluzioni di clorofilla erano assai concentrate, e siccome le differenze risultano meglio in soluzioni diluite così portammo ciascuna soluzione ad una diluzione del doppio con al- cool. Inoltre confrontammo colonne più basse, cioè di 3,5 mm., onde avere maggiore esattezza nei dati. IV. Serie — Dischi n. 4 in 50 ce. di alcool a 95°, per 5 giorni. Foglie trattate i Foglie non trattate 2 mm. 2 mm. a| 5 mm: ail . ca).i sky e SL nio TOFTEHO CACAO: 0,2 n e STR ISIN 5A Termeno: normale: 00, e NRE Sat Terreno: calcimabo;. = sngiht ena 220 Terrertonormale “tto OMNIA LAZ Terrano"calcinato: Lele tone ei Questi risultati ci permettono di concludere che la combustione della maggior parte delle materie organiche o almeno la profonda de- composizione dell’ acido umico (poichè egli è difficile in queste condi- zioni di bruciare completamente la materia organica nel terreno) non ha cambiato in modo assai rimarchevole il potere ‘assorbente che si è conservato sempre assai elevato. Nel campione n. 2 questo potere è leggermente aumentato nel terreno calcinato: può darsì che ciò dipenda dalla trasformazione dell’ umato di calce in carbonato in seguito alla combustione, e quest’ ultimo agisce molto più rapidamente dell’ altro. È bene ricordare ancora che questo terreno era ricchissimo in ferro, il quale in queste circostanze esercita un’ influenza di cui si deve tener conto. Infatti la soluzione che era rimasta in contatto col terreno per alcuni giorni, conteneva delle quantità notevoli di ferro, il quale spesso non permetteva il dosamento volumetrico col cianuro di potassio, poichè il liquido si intorbidava in seguito alla precipitazione di ossido idrato di ferro. Noi fummo obbligati perciò all’ analisi elettrolittica. L’ assorbimento del solfato di rame da parte del terreno, aumenta rapidamente durante i primi giorni, in seguito si rallenta, ma continua. Egli è perciò che durante tre mesi il rame era completamente scom- parso nelle bottiglie contenenti il terreno n. 3, mentre quelle del ter- reno n. 2 contenevano ancora delle quantità sensibili di rame. Il terreno Lar dt ALI RIT * RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 215 n. 1 aveva dunque decomposto in tre mesi circa 80 gr. di SO‘Cu per Kg. Questa azione è senza dubbio dovuta principalmente alla calce, di cui una parte può agire molto più lentamente dell’ altra, in seguito, al differente grado di tenuità, o meglio ancora forse di combinazione. Con- viene dire però che nelle nostre esperienze col suolo calcinato 1’ assor- mento sia completamente cessato dopo qualche tempo quantunque la soluzione contenesse ancora in tutti i casi delle quantità sensibili di solfato di rame. Noi abbiamo pure intrapreso un’ esperienza sopra le proprietà dei componenti dello scheletro del terreno estratto da uno dei campioni sottoposti ai saggi descritti sopra. Questo scheletro era costituito in maggior parte da calcare. Le ricerche avevano per iscopo di definire l’azione che questa parte del terreno poteva avere secondo il suo grado di divisione. Noi avemmo il seguente risultato. Solfato di rame decomposto da un Kg. di materia in 10 giorni Scheletro superiore di 4®® di diametro . . . 10 gr. 92 » da 2a4» » » petto 18 70 » Lia 2a » sapri 4934 56 Queste cifre mostrano quale influenza ha il grado di divisione del calcare, e inoltre che lo scheletro agisce benchè più lentamente in un modo sensibile sul potere assorbente di un dato terreno. III. Azione dei terreni preventivamente lavati cogli acidi È noto che il potere assorbente di un terreno scompare dopo i trat- tamenti cogli acidi concentrati. Allo scopo di rendere più evidente il meccanismo dell’ assorbimento, noi abbiamo avuto l’idea di trattare il terreno con acidi diluiti in guisa da decomporre soltanto il carbonato di calce, e le altre combinazioni della calce e della magnesia facilmente attaccabili. 100 gr. di terra furono posti a digerire a freddo in 500 c.c. di una soluzione acetico al 5 ° durante 48 ore. In seguito si filtrò e sì lavò la terra con acqua distillata fino al- l’ esaurimento della reazione acida. I campioni di terreno così prepa- rati furono disseccati all’ aria e messi in seguito nelle soluzioni di SO'Cu e nelle condizioni esposte sopra. Ecco qui i risultati ottenuti: 216 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI SO*Cu assorbito dopo SO*Cu assorbito da un 8 giorni da un Kg. di| Kg. di terra non terra trattata con aci- trattata con l’acido a- do acetico al 5 °/o | cetico dopo 8 giorni Terra, 25 gr. Esemplare 1 $ Soluzione di SO*4Cu al 2 hp 10 gr. 0 58 gr. 25 100 em. c. : Terra. 25 g IIS IO Soluzione di i S0*Ca 100cm.e. | " ù sE Di Il potere assorbente è dunque notevolmente diminuito col tratta- mento di acidi deboli, come si doveva prevedere, ma esso non è com- pletamente scomparso. Le combinazioni calcaree più facilmente attacca- bili sono soltanto scomparse. IV. Azione dell’ umato di calce Un terreno ricco di humus venne trattato con acido cloridrico diluito, poi si estrasse 1’ acido umico per mezzo di ripetuti trattamenti coll’ ammoniaca. La soluzione ammonicale, di un colore bruno carico, trattata con cloruro di calce, ha formato un voluminoso precipitato che è stato raccolto, lavato e disseccato prima all’ aria, poi alla stufa ad una temperatura di 70,65. Una quantità data di questa sostanza fi- nissimamente polverizzata venne riposta sul fondo di due larghi cilin- dri di vetro con tappo a smeriglio in ciascuno dei quali si versarono 100 cm. e. di SO‘Cu al 2 °/o. La reazione ebbe luogo assai lentamente e dopo molti giorni si osservò sullo strato nerastro della sostanza or- ganica un deposito verde, che aumentò di più in più, mentre la quan- tità della sostanza nera non subiva alcuna variazione apparente. Un precipitato verde si formò egualmente alla superficie del liquido e so- pra alcuni punti della parete. Questo deposito fu separato ed analizzato e sì trovò formato principalmente di ossido idrato di rame mescolato a piccole quantità di solfato basico di rame e di solfato di calce. Que- sta semplice esperienza tende a dimostrare che durante la reazione fra solfato di rame e umato di calce, il rame precipita in gran parte allo stato di ossido idrato e che l’ acido umico rimane allo stato libero senza formare alcuna combinazione col metallo. RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 217 V. Esperienze che hanno per iscopo di mostrare il probabile stato di combinazione del rame messo nel suolo Noi abbiamo considerato, per questo studio, il campione 3 del terreno precedente contenente il 4 °/ di carbonato di calce. 50 gr. di terreno furono messi in contatto, per quindici giorni circa, con 350 cm. c. di soluzione di solfato di rame -al 2 °/» in una bottiglia a tappo smerigliato che si agitò di tempo in tempo. Poi si decantò il liquido sovrastante, ancora colorato per l’ eccesso di solfato, e sivraccolse la terra su di un filtro dove la si lavò con l’acqua distillata fino a quando non si ottenne più reazione nel filtro nè col ferro cianuro po- tassico, nè con l’ossalato di ammoniaca, indizio dell’ eliminazione di tutto il rame e di tutta la calce. In seguito sì trattò la terra sul me- desimo filtro, con una soluzione al 20 °/ di cloruro di ammonio. Il liquido filtrato presentò immediatamente una colorazione verdastra ri- marcatissima, e coll’ aggiunta di qualche goccia d’ ammoniaca si ot- tenne una colorazione bleu assai evidente. Il composto di rame che sì era formato nel suolo era dunque solubile in buona parte nel cloruro d’ ammonio. Noi crediamo già di poter eliminare questa obiezione che l’ azione dissolvente possa essere attribuita all’ ammoniaca messa in libertà per l’azione della calce; infatti essendo stata la terra per lungo tempo in contatto con una soluzione di solfato di rame in eccesso, soluzione a- cida che deve aver attaccato tutto il calcare che poteva trovarsi in uno stato di grande tenuità o di facile decomposizione, il cloruro di ammonio non ha potuto reagire in queste condizioni e sopratutto con questa rapidità. Ad ogni modo, la nostra ipotesi sull’ azione del solfato di rame sul suolo è confermata dalle seguenti esperienze : 50 gr. del medesimo terreno trattati allo stesso modo dei prece- denti e lavati fino a che le acque di lavaggio non davano più la rea- zione nè del rame nè della calce, sono stati posti in un matraccio con dell’ acqua distillata. In questa poltiglia terrosa si fece passare una cor- rente d’ acido carbonico bene lavato. Il liquido filtrato, dopo pochi mi- nuti, si è colorato fortemente con l’ aggiunta di ammoniaca, ciò che dimostra che una quantità rimarchevole di sale di rame era stato di- sciolto dall’ acido carbonico, che agisce precisamente sui solfati basici. Questi risultati confermano l'ipotesi che noi abbiamo altra volta 218 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI enunciata, cioè a dire che il rame unendosi al suolo, forma dei com- posti analoghi a quelli che prendono origine durante la preparazione delle poltiglie cupro-calciche ordinarie: idrato, solfato basico e sali doppi di calce e di rame. VI. Azione del solfato di rame sopra l’ ossido di ferro Noi abbiamo già annunziato che nelle esperienze in cui la solu- ” zione di solfato di rame agì sulle terre contenute nelle bottiglie a smeriglio, abbiamo osservato che una certa quantità di ferro passò allo stato solubile. Per meglio precisare questo fatto, abbiamo preparato una certa quantità d’ idrato d’ ossido di ferro precipitando una soluzio- ne di CI°Fe? coll’ ammoniaca e lavando accuratamente il precipitato. Quest’ ultimo venne disseccato all’ aria su delle lastre di porcellana e portato in seguito nella stufa a 100° C. Una parte di questa sostanza finamente polverizzata, è stata trattata colla soluzione di solfato di rame al 2 °/, in bottiglie a tappo smerigliato. Una seconda parte d’ os- sido idrato di ferro, prima di essere impiegata, è stata molto legger- mente calcinata in una capsula di platino, senza arrivare al rosso, e messa poi in contatto colla soluzione nel medesimo tempo alla pre- cedente. Una terza parte è stata calcinata al rosso durante pochi. mi- nuti, poi sottoposta al medesimo trattamento colle altre due. Ecco i risultati ottenuti : Peso del solfato di rame precipitato da 100 gr. d’ idr. d’ oss. di ferro Idrato d’ ossido di ferro disseccato a 100° 1 gr. 3 gr. 25 1° esperiM. > sotuzione di solfato dî rame al 2 %o 100 cm. c. » ? i 1 » Oer b i T. 9 ni Eve Di ato d’ ossido di ferro leggermente calcinato 1 g1 gr. 84 Soluzione di solfato di rame al 2 %o 100 cm. c. IVRIA II Idrato d’ ossido di ferro calcinato al rosso 1 gr. 0 gr. 00 PEFIDI- | Soluzione di solfato di rame al 2 9 100 cm. c. Nella prima e nella seconda esperienza si è inoltre osservato, alla fine del quarto giorno, un leggero precipitato di aspetto cristallino, di color verde, al di sopra dell’ idrato d' ossido di ferro, più abbondante nel primo che nel secondo caso. Per un seguito di accidenti sopravvenuti dopo qualche manipola- zione, noì non possiamo dare l’analisi di questo composto che avevamo disciolto nell’ ammoniaca diluita nella quale esso è assai solubile. Si possono interpretare i risultati di questo esperimento ammet- I re RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DI ALCUNI SALI DI RAME ETC. 219 tendo che l’ ossido di ferro sia in piccola quantità disciolto dal solfato di rame, la cui reazione e nettamente acida, per formare probabilmente un solfato doppio di ferro e di rame, assai poco stabile, in modo che esso precipita in seguito in un composto di rame. Perciò la reazione è limitata: essa non ha luogo coll’ ossido di ferro calcinato al rosso, perchè allora si trova in uno stato che, potendo resistere all’ azione degli acidi concentrati, tanto meglio resiste ai sali acidi. VII. Azzone dissolvente del SO.Cu sugli altri elementi del suolo Si sa che nei fenomeni d’ assorbimento del suolo per qualche sale sì producono vere decomposizioni chimiche per doppia sostituzione. Nelle soluzioni si trovano, oltre la calce, molti altri elementi costitu- tivi dei terreni, così come hanno dimostrato parecchi autori, e benchè il caso speciale dell’ azione del solfato di rame*sul suolo sia stato già studiato, tuttavia noi abbiamo creduto di fare bene eseguendo alcune esperienze in questo senso. Abbiamo preso due campioni di terra, uno dal suolo, 1’ altro dal sottosuolo d’ una stessa zona del campo della Scuola. 30 gr. di cia- scuno di essi sono stati messi in bottiglie chiuse con 200 cm. c. di soluzione di solfato di rame al 5 %. Dopo alcuni giorni, durante i quali la massa era di tempo in tempo agitata, si sono filtrati 100 cm. c. di ciascun liquido, e si è eliminato tutto il rame per mezzo dell’ acido solfidrico: il liquido di filtrazione del solfuro di rame è stato ‘analiz- zato coi metodi abituali, e ì risultati ottenuti sono segnati nella se- guente tabella: Campione I (Suolo) Campione II (Sottosuolo) quantità corri- Basi eco (quantità corri- spondenti per | - | spondenti per 100 gr. di terra 30 gr. di terra|100 gr. di terra Basi disciolte in 50 gr. di terra ta de 1005 03404 | 0,1318 0,4349 LL AA ANERIEI SAAIII 15; 0,1241 0,0193 i 0,0637 APO? + Fe?0®. . . .| 0,0872 | 0,1228 0,0268 I 0,0884 | 0,0372 0,0828 0,2732 Na e, 0,0931 uri ì < 220 A. N. BERLESE E L. SOSTEGNI La quantità dei sali alcalini trovata nella soluzione è assai elevata in un medesimo caso essa è pressochè uguale a quella della calce. Nondimeno convien notare che si tratta di terreni di natura eminente- mente vulcanica, e per conseguenza, ricchi in metalli alcalini. Queste analisi confermano l’ asserzione di Haselhoff che le acque di rifiuto delle officine dove si lavorano le leghe a base di rame, che sono cariche di sali di questo metallo, spogliano i terreni che percorrono, asportando una quantità notevole di materiali nutritivi. Nel precipitato ottenuto per mezzo dell’ ammoniaca, dosata come ossidi di ferro e di alluminio, il primo costituiva sempre la maggior parte, per non dire il tutto. I risultati di tutti questi esperimenti ci permettono di trarre le seguenti conclusioni a proposito dell’azione del solfato di rame sul suolo : 1° Nell’ assorbimento del solfato di rame da parte del suolo, la calce ha un’azione predominante. La sua energia di decomposizione varia molto a seconda del grado di tenuità o di combinazione. Gli scheletri dei terreni calcari, ricchissimi di carbonato di calce, decom- pongono il solfato di rame con molta lentezza. 2° Nei fenomeni complessi che hanno luogo durante 1’ assorbimento, agiscono e si disciolgono altri elementi del suolo; questi sono sopra- tutto i metalli alcalini, la magnesia e gli ossidi di ferro e di allumi- nio. I terreni trattati con l’ acido acetico diluito non perdono intera- mente il loro potere assorbente pel solfato di rame. 8° L'acido umico sembra non entri in combinazione col rame, esso agisce solamente per mezzo della calce, colla quale è combinato. 4° Il rame s incorpora nel suolo principalmente allo stato d’ os- sido idrato, di solfato basico, e forse anche di solfato doppio di calce e di rame: non sì può affermare che una piccola parte non possa com- binarsi con qualche silicato. 5° Il solfato basico è facilmente decomposto dall’ acido carbonico ed è sopra tutto in forza di quest’ ultimo che una parte del rame si discioglie nelle acque cariche di questo gas, e che può così essere as- sorbito dalle piante. 221 INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI contro alcuni insetti e specialmente-contro la Cochylis ambiguella, il Dacus oleae e la Carpocapsa pomonana Quando nel decorso anno, precisamente in marzo, io redigevo l’ ar- ticolo intitolato « La lotta contro la Cochylis » (Bollettino di Entomo- logia agraria, n. 15 marzo 1894) mentre esponeva quei consigli che dalla conoscenza fino allora acquisita universalmente della vita dell’ in- setto e dei modi per combatterlo si potevano dedurre logicamente, non nascondevo certamente che la lotta era faticosa, malagevole e di me- diocre vantaggio, e sono precisamente queste le mie parole : « Ora sarebbe inopportuno farci illusioni sulla gravità del male non soltanto, ma ancora nella efficacia dei mezzi a nostra disposizione. E questo, non già per iscoraggiare l’ agricoltore, anzi per sollecitare l’attenzione di tutti gli interessati ad insegnare o ad apprendere, allo scopo di scoprire qualche cosa di utile in questa difficile lotta. » E dopo aver diviso in cinque periodi, dal punto di vista della possibile lotta, la vita della Coclylis stessa, io soggiungevo : « In tutti questi periodi si deve esercitare l’ opera distruttiva contro l’ insetto, per parte dell’ agricoltore. » « È perciò, che io dissi già, il problema essere complesso e la lotta grave. Coi mezzi finora a nostra disposizione, non è possibile di poter offendere così largamente il nemico in uno solo di questi pe- riodi, da vederne poi diminuito il numero talmente da renderne i danni mediocri o nulli. Questo è il consiglio dei più provetti ed oculati en- tomologi, che sul campo hanno sperimentato, per molto tempo, ed hanno, perciò, a loro vantaggio una esperienza estesa. » Esposti poi i metodi da seguire in ciascun periodo, allo scopo di scemare il numero degli insetti quanto più fosse possibile, così conclu- devo finalmente : « Questo è lo stato attuale della lotta, da parte nostra, contro la Cochylis. » « Mì auguro che questo scritto, in pochi mesi diventi ormai vec- chio, per l’ apparsa di qualche felice novità, la quale ci permetta mi- ì) 229 A. BERLESE ; gliori risultati contro il piccolo ma terribile nemico, con assai minor pena e dispendio. » L’augurio raccolto da alcune egregie persone, non ha mancato di stimolarle alla ricerca del meglio, ed è così che il desiderio della felice novità, è ora appagato, come dirò subito al benigno lettore. Fino a pochi mesi fa, il lavoro, da parte di entomologi e di va- lenti cultori di cose agrarie, ed ancor oggi, su orme da abbandonarsi, sì rivolgeva tutto, più che altro, alla ricerca di mezzi, sia meccanici che fisici o chimici, per uccidere le larve della prima generazione, durante la loro presenza nei grappoli di vite in fioritura. Ed è a questo modo che si sono consigliate le formole Dufour, il sapone puro 0 mescolato a benzina, o ad alcool e benzina insieme, la raccolta a mano dei nidi o l’ uccisione delle larve cogli spilli o colle pinzette, la caccia alle farfalle. È ben vero che, sia nella mia sopracitata nota sulla Cochylis, come in seno alla commissione entomologica che studiò a Roma il problema nel decorso aprile, come in altre occasioni, non mancai di esprimere dubbii sulla efficacia di questa distruzione delle larve primaverili, ed accennai al più probabile vantaggio nell’ uso di insettifughi atti a tur- bare od allontanare la deposizione delle uova, per la prima generazione come per le successive. E per riferirmi alle parole mie nella detta memoria espresse, io scrivevo (pag. 10): « Diciamo subito che la distruzione delle uova non è possibile, poichè queste sono molto resistenti, e così difficili a riconoscersi, che la loro ricerca sarebbe opera vana. Ma impedire la deposizione delle uova, 0 almeno disturbarla, possiamo, e così pure offendere le piccole larve che via via vanno nascendo. » Considerato poi l’ effetto delle polveri insettifughe, come dello zolfo con naftalina, quale fu proposto dal Pradel e la loro minore efficacia in confronto dei liquidi, consigliavo le irrorazioni di Rubina all’ 1 070 poco prima della fioritura della vite, con queste parole (pag. 11): « Occorre quindi trovare un insettifugo che contemporaneamente / sia anche insetticida, e sopratutto non offenda minimamente i teneris- simi organi della vite, di fresco sbucciati. È perciò che mi attengo più volentieri e consiglio a tutti e insisto su questo mio consiglio, le a- bluzioni di tutta la pianta, in questo periodo di tempo, con soluzione di Rubina all’ 1 00. Ecco cosa avviene da queste abluzioni. eiiilizhà L’ odore intenso di catrame, così aborrito dagli insetti INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 223 tutti, allontana le farfalline che volessero deporre le uova, dalla vite stessa e confondono il profumo di questa, in modo tale, che la Cocky- lis non è più richiamata dall’ odore alla pianta. » Che assai maggiori vantaggi si potessero attendere dall’ uso di sostanze insettifughe anzichè dagli insetticidi, nella lotta contro la co- chylis mi veniva suggerito da considerazioni e prove di varia natura, cioè dalla cotidiana esperienza, per molti altri insetti, e dalle prove di- rette contro la cochylis. L'esperienza comune insegna a coloro che provvedono a conser- vare panni dall’ una stagione all’ altra, lontani dal morso delle tignuole, non già ad uccidere tutte le tignuole che si trovano per la casa, che anche dopo tutto questo difficile e penoso lavoro i panni intignerebbero, di certo, per opera di farfalle nuovamente venute, ma insegna a spar- gere sui panni stessi della naftalina o canfora o pepe od altra simile sostanza a forte odore e la deposizione delle uova non avviene mai. Così, nei musei, gli entomologi conservano intatti gl’ insetti dal morso degli Antrenus non raccogliendo questi su per gli scaffali, ma sempli- cemente introducendo naftalina o canfora od acido fenico nelle scatole. E ognun sa che per salvare la carne macellata o la selvaggina da’ cacchioni di mosca, è più utile una moscarola sola che la distru- zione di migliaia e migliaia di mosche. Così potrei ricordare il goudror, 1’ olio di catrame, il carbolineum etc. etc., usati per imbevere i legnami e allontanare da questi le larve de’ coleotteri roditori, come le comuni tinte ad olio sui mobili di casa che impediscono l’ erosione da parte degli anobium, e le zanzare allon- tanate o turbate nel loro senso dell’ olfatto mercè i fumi di polvere di crisantemo, fumi che non le uccidono affatto, come si potrebbe credere ma impediscono loro di percepire convenientemente l’ odore del corpo umano dormiente, così chè non lo possono raggiungere. Potrei ancora accennare ad un fatto singolare, già fattomi rilevare dal signor Cantù uno dei comproprietari della ben nota fabbrica di concimi chimivi a Bovisa (Milano) che mi fece osservare (visitando io quella fabbrica), come nelle vicinanze delle caldaie contenenti solfuro di carbonio, riscal- dato per il digrassamento delle ossa, mancavano affatto le mosche co- muni, che ronzavano invece in grandissima quantità nelle altre parti dello stabilimento, attratte dalle ossa ammonticchiate in monti stermi- nati, alcune delle quali non sempre bene monde di rimasugli di carne. Ed è così che gli operai, conoscendo ciò, nelle ore della siesta meridia- na, per dormire a loro agio, non disturbati dalle mosche, concorrono a 2294 A. BERLESE riposarsi appunto attorno a quelle caldaie, di dove trapela sempre, per quanto benissimo chiuse, un leggiero odore di solfuro di carbonio. Così in quel tempo che nel mio laboratorio a Portici, dove pure le mosche sono così comuni, e troppo abbondanti, io praticavo mesco- lanze con del catrame per ottenere quelle formule che poi col nome di Pitteleina e Rubina feci conoscere al pubblico, in causa del grave odore di catrame diffuso in tutto il laboratorio, non si trovava più una mo- sca sola, tanto che ne mandavo a raccorre in altre stanze del palazzo, per poter nutrire alcune larve di formicaleone che tenevo in custodia. Potrei citare molti e molti altri esempi, ma è cosa troppo notoria che certi odori gravi, specialmente di idrocarburi e delle sostanze che si ottengono dal catrame, allontanano gl’ insetti. Molto meno poi, gl’ insetti che ricercano nido conveniente per deporre le loro uova, nella quale ricerca sono tanto scrupolosi e guardinghi, avvicinano sostanze graveolenti o in prossimità di quelle avventurano la loro progenie. Può ben essere che un insetto, specialmente se larva, continui a vivere in ambiente reso odoroso da insettifughi, ma non avviene mai ‘ che gli adulti vi depongano le uova. È perciò che ad es. una scatola contenente insetti secchi per collezione, se già invasa da antrenus larve, non viene salvata nemmeno dalla naftalina introdottavi, sia pure ab- bondantemente, mentre invece se questa sostanza si trova in contatto colla raccolta prima che vi sieno sopra deposte uova di antrenus questa non viene danneggiata mai finchè l’ insettifugo dura. Ed è possibile perciò che bruchi di Cochylis ormai riparati nei fiori di vite, non abbandonino affatto questi, per quanto si irrorino di sostanze insettifughe, ma continuino invece a vivere nei loro nascon- digli, e ciò io vidi più volte, ma vidi ancora che su grappoli o su parti di vite irrorata da sostanze insettifughe , come, ad es:, da solu- zione di rubina anche all’ 1 0]0, le farfalle non si posano mai a deporvi le uova. L'entomologia domestica adunque, per così dirla, è assai più in- nanzi di quella agraria, per quanto riguarda la difesa contro gli in- setti dannosi o molesti, e questo per un solo fatto, a parer mio, per- chè si è tenuto assai più conto degli insettifughi che degli insetticidi, mentre nella entomologia agraria, studio ancor bambino in confronto della antica comune esperienza di casa, desiderando vedere effetto im- mediato colla sollecita morte dell’ insetto dannoso piuttostochè atten- derne altro più utile ma meno direttamente visibile, si sono consigliati INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 225 troppo spesso gli insetticidi, con criterio più immediato ma certamente meno avveduto e con effetti troppo spesso lontani dal desiderio. A parer mio la lotta contro gl’ insetti dannosi all’ agricoltura, va tenta in due modi distinti, a seconda cioè delle condizioni in cui gli insetti stessi si presentano. Se accadda di trovarci di fronte a falangi di insetti dannosi i quali, o vengano migranti da altre regioni, oppure sviluppati sul posto ab- biano una sola generazione annuale ed in uno o in altro periodo di loro vita possano essere decimati per opera nostra, mettendo così fine ai loro danni per l’ annata in corso, allora certamente l’ uso di insetti- cidi o la distruzione con mezzi meccanici od altrimenti, è indicatissima e non sì può richiedere di meglio. Così, ad esempio, la lotta contro le cavallette può avere ed ha realmente utile risultato, sia colla distru- zione delle uova durante l’ inverno o con quella delle cavallette gio- vani o più avanzate, meccanicamente, o col mezzo di insetticidi, e questo se non guarentisce sempre contro le future possibili invasioni in “altre annate, salva però ì prodotti agrarii del momento. Così per 1’ Ocneria dispar, la distruzione invernale delle uova è l’unico mezzo efficace per impedire troppo largo sviluppo di bruchi più tardi, e per la Porthesia chrysorrea, V asportazione e distruzione dei nidi durante l'inverno conclude assai più che non la caccia ai bruchi più tardi, e la caccia alle melolonte adulte ed altri provvedimenti di simil genere contro altri insetti che troppo lungo sarebbe l’ enumerare come la distruzione delle larve di Hypornomeuta malinellus conducono a buon risultato. Ma quando abbiamo innanzi a noi insetti a più generazioni e mi- granti per giunta, come tutti in maggiore o minor misura sono, o che durante tutti i periodi di loro vita troppo bene riparati stieno entro appositi nascondigli a noi e ai nostri mezzi di difesa poco accessibili, allora l’uso di insetticidi o di altri argomenti per combatterli, torna meno acconcio, 0 inutile affatto, o troppo dispendioso o con effetti me- diocri, sempre però non pratico nè consigliabile. In questa rubrica degli insetti più malagevoli a combattersi introduco la Cochylis, la Carpocapsa pomonana e le altre farfalline con abituaini conformi, l’Anthonomus pomorum, il Dacus oleae e potrei citarne altri, fra i quali metterei volentieri gli afidi e le cocciniglie, almeno in parte. Per gli afidi però e per le cocciniglie soccorrono ancora bene gli ‘insetticidi, inquantochè la migrazione da pianta a pianta di questi mi- nuti esseri è lentissima, e quì può trovare posto anche la fillossera, 15 226 A. BERLESE à ma per gli altri l’uso di insetticidi od altrimenti la distruzione di- retta degli insetti in alcuno dei loro stadii è meno efficace poichè si deve lottare ancora contro la facilità di immigrazione di invasori nuovi da luoghi non soggetti alle disinfezioni e colla fecondità di quelli sfuggiti alla distruzione, la quale permette di continuare il guasto alle piante, sia pure una prima volta da noi liberate nella medesima annata. Cito 1’ esempio della Cochylis ed ammetto che in ‘un dato mo- mento, si possano, in un vigneto, distruggere tutte le farfalline deri- vate da ninfe ibernanti. Molto si sarà ottenuto certamente, ma anche dato e n0n concesso che altre farfalle da luoghi non soggetti a disin- fezione non possano volare nel vigneto disinfettato, e ciò per la brevità del loro volo, vi sono sempre tali e tante correnti d’aria continue, le quali se sono capaci di disseminare a migliaia di metri, in un con la terra, le fillossere non alate e radicicole, molto più facilmente traspor- tano insetti volanti e leggieri come le farfalline di Cochylis sono, e la comparsa dei bruchi nei fiori di vite del vigneto disinfettato, dimostrerà sollecitamente nullo il vantaggio ottenuto dalle pratiche precedenti di distruzione. E lo stesso avviene anche se in un dato vigneto si sia proceduto alla totale e scrupolosa distruzione, sia meccanicamente o con insetticidi, dei bruchi della prima generazione, nei grappoli di vite in fiore, poichè alle vendemmia non sarà difficile riconoscere, egualmente, una grande quantità di acini guastati da bruchi, questa volta di seconda o terza generazione ed evidentemente derivati da wova deposte da farfalle im- migrate. È facilissimo tentare, come iv feci più volte, questa esperienza e persuadersene. In un mio orto a Padova, io possedevo una vite @ pergolato, che forniva tutt’ al più qualche centinaio di grappoli d’ uva moscata dolcissima. Quando, recentemente, si discusse con maggior ca- lore intorno al modo di combattere la Cochylis e assicurare la ven- demmia dal morso del dannoso insetto, richiamai alla memoria esperi- menti condotti in altri tempi e continuati negli ultimi anni sulla vite stessa, dei quali è bene qui tener parola. Premetto che la vite medesima, pressocchè nascosta sotto rigogliose vegetazioni di zucche di fagiuoli e d’ altre piante educate con grande amore e con coltura straordinariamente intensiva da mio padre, nel piccolo orto di pochi metri quadrati, era anche separata da alte mura e da alberi, dai vicini orti. Difficile dunque sembrerebbe, in queste con- dizioni, la immigrazione di farfalline dal di fuori. INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 227 Quanto a quelle cochylis che sulla vite stessa ordinariamente al- hergavano, ecco quando costantemente succedeva: Gli acini, ancora pressochè immaturi, via via che sembravano a palati meno delicati abbastanza maturi, venivano golosamente colti ‘ad uno ad uno dal grappolo, o da bambini della casa o da qualcuno più adulto, dimodochè i bruchi dell’ ultima generazione trovavano tutti immancabilmente .ricetto entro stomachi umani, dove non vi ha luogo, che si sappia, nè opportuno ricovero allo incrisalidamento. Perciò si poteva essere certissimi che ninfe ibernanti sulla vite non si trovavano affatto, giacchè a metà di settembre appena, sulla vite stessa non rima- nevano che nudi raspi a testimoniare della passata dolcezza degli acini. Eppure durante la fioritura successiva io trovavo sempre sufficiente materiale per le mie esperienze in fatto dei bruchi di Cockylis ed altri abbastanza per esercitare la pazienza a distruggerli uno ad uno onde ottenere il desiderato frutto a suo tempo, il quale però si mostrava ordinariamente così bene invaso da nuovi bruchi di Cochkylis che se non fosse sovraggiunta a tempo, come ho detto, altra e più sollecita di- struzione, sulla vite stessa, dopo poche settimane, in fine di settembre, non sarebbero rimasti che acini guasti e grappoli ammuffiti. Sì distruggano adunque, da chi ne può avere agio, ad uno ad uno i bruchi di Cockyls entro i grappoli in fiore in una vite abbastanza appartata da altre e si distruggano a mano per essere ben certi della loro morte e poi si veda come e quanto sieno attaccate le uve alla loro maturità, od alla vendemmia e da ciò si giudichi dell’ effetto che possono avere gl’ insetticidi anche potentissimi, amministrati alla vite nella fioritura, e si giudichi ancora della capacità di volo delle farfal- line circostanti. Allo stesso risultato negativo affatto, conducono quelle operazioni invernali di scortecciamento o disinfezione dei pali di sostegno ete. allo scopo di togliere di mezzo le ninfe ibernanti. È ben vero però che si- mili pratiche, se non sono utili contro la Cochylis, asportano molti al- tri insetti dannosi e ne scemano ad ogni modo il numero così che vanno sempre consigliate. i ' Contro la Cochylis adunque, l’ uso di insetticidi che non sieno an- cora insettifughi non conduce mai all’ effetto desiderato, anche perchè contro ì bruchi riparati entro gli acini, gli insetticidi non si possono usare con vantaggio e questo fatto di cui io dubitavo da tempo, e che constatai in modo indiscutibile nel corrente anno, come fu riconosciuto egregiamente da un accurato sperimentatore di cui riporterò le prove 228 A. BERLESE più innanzi, è di capitale importanza, poichè ci toglie da una via sha- gliata sulla quale da tempo eravamo incamminati e alcuno degli ento- mologi nostri ancora rimane volentieri, e ci conduce su altra con mi- gliore uscita e più sicura allo scopo. Î Del Dacus oleae 0 mosca dell’ olivo, come della Carpocapsa e degli afidi etc. parlerò subito dopo aver detto abbastanza della Cochylis; per ora atteniamoci a questo insetto. L’uso invece di insettifughi, e meglio ancora di sostanze che sieno ad un tempo eccellenti insettifughi e insetticidi, può soltanto avere buono effetto su questi insetti a molte generazioni o bene riparati in certe epoche di loro vita e che facilmente si diffondono. Altri, per questi, come per quelli da combattersi con insetticidi o altrimenti colla caccia diretta, come sono le ricordate cavallette, le me- lolonte, la Ocneria, la Porthesia, il Iynchites alni, la Hyponomeuta malinella etc. etc. ha invocato una legge che obblighi tutti gli agri- coitori alla distruzione. Io però ho sostenuto e sostengo ancora che la legge può essere di grande vantaggio contro questi ultimi insetti, ed anzi in certi casi si mostrerebbe necessaria e noi stessi la caldeggieremmo con tutte le nostre forze; contro gl’ insetti di quel secondo gruppo a cui appartiene la Cochylis, la legge stessa avrebbe mediocre effetto, e qualora poi si fosse trovato il mezzo per combattere efficacemente la Cochylis col mezzo degli insettifughi, come il Dacus oleae, la Carpo- capsa etc. ete., e questo per parte d’ ogni singolo agricoltore, che potes- se difendersi bene, facciano gli agricoltori confinanti o meno altrettanto, allora della legge non vi sarebbe più bisogno alcuno, per questi ultimi insetti e i fatti e i risultati si imporrebbero abbastanza da se colle loro pene gravissime, negando il raccolto ai negligenti e accordandolo in- tero ai solleciti ed avveduti agricoltori, precisamente come ora avviene per la peronospora e per l’ oidium di modo che anche senza una legge speciale ognuno ora che non sia troppo grosso o pigro viticultore lm- piega il metodo dèi curativi, con grande attività e diligenza. E giacchè ho ricordato la peronospora e 1’ oidio, mi sia lecito ac- cennare ad un’ altra osservazione. Vedano i lettori che anche per questi parassiti, la lotta sì effettua attivamente e con sommo vantaggio, non già ricorrendo a sostanze che uccidono la peronospora e 1’ oidio ma a sostanze che ne impediscono lo sviluppo. Suppongo per un momento che fossero in nostro possesso, anzichè la poltiglia bordolese o il solfato di rame o lo zolfo, altre sostanze, I de e ari ia tc A ‘ INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 229 che molte ve ne sono, capaci di uccidere immediatamente la perono- spora e l’ oidio, mancando però di efficacia bastante a impedirne il successivo sviluppo. In questo caso la peronospora come l’ oidio non si potrebbero combattere altro che con grandissimo dispendio e con moltissima pena e sempre incompletamente, poichè dopo quattro o cin- que giorni soltanto, dalla prima distruzione, una sola spora avrebbe già riprodotto lussureggianti vegetazioni dei funghi dannosi e si richiede- rebbero altri trattamenti. Ma il solfato di rame e lo zolfo sono metodi ancora preventivi, anzi lo è assolutamente il primo che sulla perono- spora ormai sviluppata non ha che mediocre effetto, mentre impedisce la nascita e l’ aumento di nuove ife. Anche qui, adunque, sono i metodi preventivi che conducono ed hanno condotto a così felici risultati, pre- cisamente come per gli insetti faranno gli insettifughi e non mai gli insetticidi, e mediti il lettore avveduto su questa prova convincente. Che io poi abbia detto e dica qui il vero, si vegga leggendo i seguenti articoli che dirò preziosi, inquantochè richiamano a quella fe- lice novità, altra volta invocata e segnano un così notevole progresso nella guerra contro la Coclylis che io oso chiamare la esperienza che ha condotto a siìffatte conclusioni veramente classica e gli scritti che la illustrano e che ora riporto, dovuti, come è facile giudicare ad uno esperimentatore assai accorto e sagace, i più importanti che in fatto di Cochylis abbiano veduto la luce, non dirò in questo anno soltanto, ma da parecchi anni. Nel Progresso agricolo e commerciale della Toscana, organo uf- ficiale del comizio agrario di Arezzo, nel numero di giugno 1894 sta scritto : (pag. 130) Lotta contro la tignuola della vite (Risultati di esperienze fatte nel podere sperimentale nel R. Istituto Tecnico di Arezzo) Se grave fu l'infezione della Tignuola nell’anno scorso, che in alcune vigne ci ridusse a vendemmiare più muffe che prodotto trasformabile in vino, in questo anno l'invasione nei grappoli in fioritura mostrasi già, anche nel podere sperimen- tale, più forte dell’anno decorso, malgrado che si applicasse ogni cura alla distru- zione delle crisalidi e si ripetesse per tre volte sui germogli, fin dalla loro lun. ghezza di appena 10-12 centimetri, l’ applicazione della miscela Pradel, cioè zolfo col 10 °/, di Naftalina per cercare di allontanare le farfalle della prima generazione dal depositarvi le uova. Le prime Jarve potei trovarle sopra vitigni di uve da tavola, tenute a spalliera 230 A. BERLESE fin dal 24 maggio, ed il giorno appresso potei pure riscontrarle in quantità non in_ differente in una vignetta di Petit gamay noir. I fiori dei grappoli erano ancora chiusi e le larve, salvo pochissime eecezioni, vivevano nell'interno dei fiori stessi. Il giorno 28, in grappoli parzialmente sfioriti, si erano formati già numerosi gomitoli lobari e dalle osservazioni giornaliere susseguenti potei constatare che lo sviluppo delle larve procedeva nei diversi vitigni assolutamente di pari passo collo sviluppo dei grappoli. Sembra certo che la farfalla sappia, nella deposizione delle sue uova, prescegliere il vitigno che avrà i grappoli prossimi alla fioritura allorchè avverrà lo schiudi- mento delle uova stesse. Il nostro egregio collaboratore avv. Giuliani aveva constatato, nell’ anno scorso, il predominio delle larve dell’ Eudemis botrana sulla Cochylis ambiguella; nell’ invasione attuale ho trovato le larve delle due specie magari nello stesso ceppo ed anche nello stesso grappolo e non potrei davvero dire quale delle due predomini. Sia l’ una o l'altra specie poco importa nella pratica, perchè ambedue producono gli stessi danni e si sviluppano e diffondono con la stessa rapidità. In una piccola vigna di gamay in fioritura, contai, in soli 10 ceppi, 33 gomi- toli ed alla sola distanza di 24 ore ne potei contare 53 e potei facilmente osservare che ancora delle piccole larve rimanevano nascoste nei fiori che non avevano perduto la corolla. Fin dal giorno 4 giugno incominciai delle esperienze con Emulsione alcoolico- saponosa di benzina, secondo la formula della Stazione Entomologica di Firenze, e con la miscela di Dufour, ma mentre otteneva ottimi risultati colla prima special- mente se applicata nelle ore calde, nessun resultato ottenevo colla seconda. Le espe- rienze colla Emulsione saponosa posso dire di averle seguitate nei vari stadi della fioritura del gamay per 9 giorni senza mai danneggiare il grappolo ed uccidendo quasi sempre le larve che già erano escite dall’ interno dei fiori. I Interessavami però di fare delle esperienze comparative e siccome non. poteva attribuire l’' inefficacia assoluta della miscela Dufour che alla cattiva qualità della pol- vere di fiori di piretro, così dovei provvedermene nuovamente ed il giorno 11 giugno ad ore 11 !/, poteva misurare comparativamente la efficacia di questi tre rimedi: a) Emulsione saponosa alcoolica di benzina; 6) Miscela Dufour; c) Rubina in soluzione al 3 °/g- La emulsione applicata sui grappoli di n. 10 ceppi di gamay del tutto sfioriti, su 532 larve internate nei loro gomitoli ne fece sopravvivere soltanto 2. La morte era quasi istantanea, nessun danno ne risentirono i grappoli e si ottenne così un ri- sultato del 94 °/,. La miscela Dufour applicata egualmente sopra 10 ceppi gamay in identiche condizioni ete., su 24 larve ne fece sopravvivere 5. La morte era un poco più lenta che colla precedente, nessun danno ai grappoli e si ottenne così un resultato del 90/5 La Rubina, applicata sullo stesso numero di ceppi ete., su 34 larve ne soprav- vissero 9. Nessun danno ai grappoli ed un resultato del 78 0/0. L' applicazione venne fatta colla pompa Vermorel, nella quale era stata applicata la cannula Sibella che funziona perfettamente. ue, ti de sa 7 d ì INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 2831 { resultati ottenuti sarebbero davvero confortanti, molto più pensando che l' ap- plicazione di tali rimedi non porta nè una grande spesa, per la preparazione del ri- medio stesso nè per la mano d'opera !. Ma avverrà per la seconda generazione quello che è avvenuto per la prima? Quando avrò bene bene uccise quasi tutte le larve che infestano attualmente le mie viti, le farfalle della seconda generazione, so- pratutto per i vitigni precoci, non saranno sollecite a venire da altre vigne non cu- rate a depositare le loro uova, costrigendomi così ad una seconda difesa tanto meno efficace? Sono certissimo che collo scortecciamento dei ceppi, seguito dall’ applicazione del solfato ferroso e dalla disinfezione dei pali, ben poche crisalidi poterono sopravvi- vere; oltre a ciò nessuna porzione di uva lasciai nei soliti locali ad appassire e quindi è Guopo riconoscere che tutta questa invasione attuale non può essere stata prodotta che da farfalle venute da piantamenti vicini. In conclusione, ritengo che senza rendere obbligatoria. la difesa, in modo che venga generalizzata, non si potranno avere dai tentativi isolati che minimi risultati» Siro MARTINI Ora da questo primo articolo del sullodato autore appaiono chia- ramente alcuni fatti sui quali mi preme di insistere. 1° Inutilità delle cure invernali, intese a distruggere le ninfe di Cochylis. 2° Minore attività degl’ insettifughi in polvere cioè di zolfo con- tenente naftalina, e questo concorda assai bene con quanto abbiamo noi stessi avuto occasione di scrivere qualche mese prima del signor professore Siro Martini, nel nostro ricordato articolo sulla Cochylis a pagina 10. 38° La formula Dufour, qualora la polvere di piretro non sia di 1 L'emulsione alcoolico-saponosa di benzina porta ad una spesa per ettolitro di lire 7,82; infatti: Benzina ie 900 ai DE Alcool D'VTSO0 ai SIL. 1,60 Sapone tenero » 3,000 » » 1,20. . . . . » 3,60 I. 7,82 La miscela Dufour a lire 8,10: Polvere di fior di piretro kg. 1,500 a L. 3,00. . . 4,50 Sapone tenero »Pe3:000 ee AI 208580 C3:60 L. 8,10 ieRabina aL calato 00 Calcolando che ogni vite bassa porti in media 5 grappoli, e che tutti quanti debbono essere trattati, un quintale di rimedio può servire per 5000 ceppi e può essere benissimo applicato da un operaio in una sola giornata di lavoro. 2532 A. BERLESE . buona qualità, è inefficace, od in altri termini la soluzione di sapone molle al 3 °/o; se non contenga altre sostanze insetticide, non ha ba- stante azione sulle Cochylis e questo valga per coloro che vorrebbero portare la soluzione semplice di sapone tenero al 2 o al 3 ° ancor più innanzi della stessa Rubina. 4° L’emulsione alcoolico-saponosa di benzina, con un costo pari a lire 7,82, uccide il 94 % di larve; la formula Dufour con un costo di lire 8,10 ne uccide il 79; la Rubina con un costo di lire 4,50 ne uc- cide il 73. E qui si vede il vantaggio economico di quest’ ultima mi- scela. 5° Questo è il più importante, l’ egregio autore, da uomo avveduto e prudente, non canta subito vittoria, come troppi altri fecero vedendo ed ammirando morte quasi tutte le larve della prima generazione, ma desidera attendere la vendemmia per giudicare dei rimedii proposti e sperimentati. Che se tutti così avessero fatto, molte illusioni si sareb- bero risparmiate, e se tutti coloro che usarono più o meno largamente in Toscana e altrove il sapone puro o mescolato a benzina o ad alcool volessero ora dire dei resultati constatati alla vendemmia, come io mi sono preso la pena di fare, abbastanza largamente, durante il pas- sato autunno, precisamente nella provincia di Firenze, e non una volta sola nè in luogo soltanto, potrebbero mettere molta acqua ora nel loro vino d'altra volta, e riconoscere che in primavera morirono bensì molte Cochylis per effetto degli insetticidi usati, ma in settembre le uve e- rano danneggiate nè più nè meno di quelle delle viti non trattate, cioè, in altri termini, potrebbero confessare di averci rimesso la spesa del rimedio, quella di mano d’ opera e più tardi la dolce illusione co- vata amorosamente per pochi mesi. A questo io mi attendevo benissimo, ma sarebbe anche bene che i sullodati sperimentatori e solleciti lodatori, e non furono pochi, si ram- mentassero essi pure del fatto non allegro. Il prof. Siro Martini intanto, mentre altri viveva ormai tra due guanciali, sicuro di non vedere più il minuto bruco altro che in effigie o di poterlo annoverare tra le specie scomparse durante 1’ epoca quar- tenaria, continuava a tener d’ occhio le sue viti trattate o meno, e trovava argomento per questo secondo articolo, pubblicato nel numero di agosto dello stesso anno, e nel suddetto giornale, e questo precisa- mente un mese dopo cho il signor Farini aveva scoperto che le far- falle di Cochylis non volano. INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 253 Il vero punto nero per la nostra viticultura Senza volerci atteggiare a pessimisti, pure abbiamo inteso il bisogno di porre all’ articolo che scriviamo il titolo che sopra, giacchè un punto nero noi jo scorgiamo e ne risentiamo anche in quest'anno gli effetti malgrado l’ eccessive cure poste per evitarli. Intendiamo parlare della Cochylis ambiguella o Tignuola della vite la quale a parer nostro costituisce la minaccia più seria, non solo per il prodotto viticolo, ma anche per potere conservare ai nostri vini toscani quelle qualità che hanno fatto loro acquistare tante simpatie nei mercati nazionali ed esteri. In uno dei numeri precedenti esponemmo i poco lieti risultati ottenuti dalla applicazione della cura preventiva invernale e la poca fiducia che potevano avere negli insetticidi, malgrado che questi riuscissero ad uccidere la maggior parte delle larve racchiuse nei loro gomitoli «..... avverrà per la seconda generazione quello che è avvenuto per la prima? Quanto avrò bene bene uccise quasi tutte le larve che infestano attualmente le mie viti, le farfalle della seconda generazione, sopratutto per i vitigni precoci, non saranno sollecite a venire da altre vigne non curate a de- positare le loro uova, costringendomi così ad una seconda difesa tanto meno efficace? » Così ci esprimemmo nel predetto articolo e pur troppo i fatti ci hanno data piena ragione: La caccia da noi fatta alle larte di prima generazione, in una pergola formata di viti di uva da tavola ed in una vigna di Petit gamay noir, non poteva essere più accurata poichè non ci limitammo ad un sol trattamento ma ne applicammo due con la emulsione alcoolica saponosa di benzina, secondo la formula della R. Stazione Entomologica di Firenze, che noi avevamo nelle nostre esperienze riscontrata la più penetrante ed energica, riuscendo ad uccidere il 94 per cento di larve; e di più esplo- rando successivamente con lo spillo, erasi cercato di uccidere tutte quelle poche larve che avevano potuto sopravvivere ai due trattamenti. Ebbene'i danni che dobbiamo constatare sono egualmente gravi, e sopratutto nella pergola la metà del prodotto si è dovuto togliere acino per acino giaechè contenenti larve della seconda generazione. Noi quindi non possiamo affatto dividere l’ opinione di coloro che ritengono la farfalla capace solo di poco cammino e ci persuadiamo sempre più che invece possa trasportarsi, sia per forza delle proprie ali, sia per mezzo dei venti a distanze più o meno considerevoli, da vigna a vigna. La precocità maggiore delle uve da tavola ha reso anche più precoci i danni della seconda generazione, del resto già incominciano a manifestarsi anche nei grap- poli del gamay e sopratutto su quelli di ceppi innestati su piede americano od an- che su piede europeo, giacchè il prodotto presentasi più innanzi che nei ceppi non innestati. Ciò conferma sempre più la stretta corrispondenza delle varie fasi della vita dell'insetto con i varii stadi di sviluppo del grappolo e quindi vi è da temere che la vicinanza o promiscuità di varietà precoci, nelle nostre vigne, possano con- correre quanto le condizioni del clima alla formazione della terza generazione le cui larve troverebbero la massa delle nostre uve proprio nelle migliori condizioni per il loro terribile Javoro di distruzione. 234 A. BERLESE Pur troppo nella metà di giugno si avevano larve mature della prima genera- zione ed il 7 agosto abbiamo trovato larve egualmente mature della seconda gene- razione, cioè alla sola distanza di circa 50 giorni, e se consideriamo che dal 7 agosto per giungere alla vendemmia mancano ancora dai 50 ai 60 giorni, nei quali conti- nueranno temperature elevate da facilitare Jo sviluppo del funesto insetto, sarà facile persuadersi che vi è tutto il tempo perchè le nostre povere uve, nell’ ultimo periodo della maturanza, vengano a risentire danni gravissimi dalla terza generazione. Danni gravissimi, e per la diminuzione del prodotto, e per il conseguente svi- luppo di muffe che rende impossibile l’ appassimento delie uve da destinarsi alla pra- tica del governo del vino che tanto ha contribuito a formare il tipo così apprezzato del prodotto toscano. Malgrado il parere contrario di Ottavi e di altri, ripetuto in quasi tutti i gior- nali agrari italiani, tentammo l’ applicazione degl’ insetticidi come cura preventiva contro la seconda generazione, ed in una parte della vigna di Gamay fin dal 10 lu- glio applicammo, invece della semplice miscela bordolese, una miscela che contenesse della Rubina nelle seguenti proporzioni: Solfato tdi raine)160t BIEN, RES d000 Grassello di calce ‘bianca +. <<... 0 >» 1,000 Rupia IL e Se a ont, 1,500 ACQUENTINIE SLI e 00000 Fino al 10 di agosto potemmo constatare che, mentre i grappoli di Gamay non trattati mostravansi già abbastanza attaccati dal parassita, quelli trattati non ne mostravano quasi traccie; che l’ odore della Rubina persisteva sensibilmente soltanto esternamente, ma che non se ne aveva alcuna traccia al disotto della buccia degli acini; che trattati i grappoli sulla pianta con un getto minuto d’acqua, ad imita- zione di una buona pioggia, persistevano abbastanza le traccie della miscela cupro- calcica ma finiva collo sparire ogni odoce della Rubina. Noi ci limitiamo ad esporre questi fatti e ci guarderemmo bene dal trarre delle norme perchè queste non devono mai essere conseguenza di fatti isolati. L° esponia- mo perchè altri tornino con noi alla prova senza fermarsi alla prima asserzione, sia pere di persona autorevolissima « che rimedi insetticidi per la seconda generazione non vanno applicati. » Tutti dobbiamo, col provare e riprovare, contribuire a far dileguare questo brutto punto nero per la nostra viticultura e malgrado che noi ci siamo occupati discreta- mente della questione, pur tuttavia fino a questo momento non potremmo con sicu- rezza che determinare questi tre fatti: 1° Chè dalla cura preventiva invernale, cioè dalla uccisione delle crisalidi, sia nei ceppi delle piante, sia nei pali, sia nei locali dove vennero appassite le uve per il governo, come pure dall’ applicazione degli insetticidi per la uccisione delle larve di prima generazione non potremo riprometterci grandi resultati finchè i sistemi di difesa non vengano generalizzati. 2° Che è d’ uopo assolutamente di non tenere in grande vicinanza 0 mescolate in quà e in là con la massa dei nostri vitigni comuni, di ceppi di varietà precoci giacchè queste più che le condizioni di clima possono influire alla produzione della terza generazione. bi È “ INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 235 3° Che avendo viti precoci, nelle condizioni sopra esposte, è necessario, senza indugio, togliere tutto il prodotto immaturo che si mostri attaccato dal parassita, | prima che le larve della seconda generazione giungano ad incrisalidare. S. MARTINI È precisamente in conseguenza di questa sagace intuizione, propria degli esperimentatori accorti, che il prof. Siro Martini, liberandosi dalle pastoie di sentenze troppo facilmente cadute da bocche celebri, apre e batte una via nuova e che condurrà ad eccellenti risultati, ed ha in- tanto la compiacenza di poter scrivere il seguente ultimo ed impor- tante articolo * quale non poterono mettere insieme, con prove di fatto, tutti quei tanti insaponatori, benzinati o meno, che pure avevano avuto voce così squillante e allegra all’epoca della fioritura delle viti. Completa vittoria sulla tignuola della vite Siamo lieti di poter confermare il completo resultato ottenuto applicando fin dal 10 luglio u. s. ai grappoli di una vigna pi Gamay la seguente miscela: Solfato; di rame “o Li 0 sie Ego, 1,000 Grassello di calce bianca . . . . .. >» 1,000 Rubina LIA gie A e 1,500 REA rn rd lr 10,000 Nel numero precedente di questo periodico, nell' articolo « il vero punto nero per la nostra viticultura » come sintetizza il titolo stesso, ci mostravamo abbastanza scoraggiati nella lotta contro la Cochylis, giacchè dovevamo constatare i poco lieti risultati ottenuti colla cura preventiva invernale e coll’ applicazione degli insetticidi contro le larve della prima generazione. Gl' insetticidi e sopratutto la emulsione alcoolica saponosa di benzina, uccideva è ben vero il 94 per cento delle larve, ma anche fatto un successivo trattamento, seguito da diligenti esplorazioni con lo spillo, per avere sicurezza di una perfetta caccia alle larve, il tutto non aveva impedito affatto che le nostre uve non si tro- vassero ancora maggiormente infette delle larve della seconda generazione. Persuasi allora che la nuova infezione fosse dovuta assolutamente a farfalle per- venute da altre vigne e che anche l'applicazione degli insetticidi sulle larve non avrebbe dato risultati di sorta se non generalizzata, tentammo per la seconda gene- razione, il sistema preventivo sopra esposto. Nell’ articolo predetto constatavamo, che fin dal 10 tondo: mentre i grappoli di Gamay e di altri vitigni di ceppi non trattati si mostravano già abbastanza dan- neggiati dal parassita, quelli trattati non ne mostravano più tracce; ed ora possiamo 1 Progresso agricolo e commerciale sopra citato, mumero di settembre 1894, pag. 194. 236 A. BERLESE aggiungere che le uve che non vennero trattate furono affatto finite dalle larve della seconda e terza generazione, mentre quelle trattate rimasero affatto immuni. Il giorno 12 del mese corrente furono vendemmiate le uve trattate e malgrado che non avessero ricevuto pioggia sufficiente da essere dilavate e non ne fosse fatta alcuna scelta per scartare quelle che ancora conservavano tracce sensibili della mi- scela ricevuta, pure il vino che questa mattina venne tolto dal tino, presentasi franco da qualsiasi odore o sapore eterogeneo. 19 settembre 1894. S. MARTINI Questi scritti, che pure avebbero dovuto far meditare almeno gli entomologi, e indebolirli nella loro fede assoluta agli insetticidi, come, se non fosse bastata l’ esperienza mia di questo anno, ottennero in me certamente, passarono invece senza osservazione veruna alla lettura di coloro specialmente che, con grande lena, ma certo con poca futura for- tuna, sostennero e sostengono le miscele a base di sapone per combat- tere la Cochylis nelle sue larve di prima generazione, ed anzi non ser- virono ad altro, nell’ animo loro, che a fecondarne la inventiva, di modo che nacque una tardiva formula, la millesima della serie, nella quale si provvedeva ai bisogni della vite, nella sua guerra ai parassiti suoi, mescolando il sapone al solfato di rame ed aggiungendo dell’ ammoniaca per lo mezzo, onde confortare le due discordi sostanze a starsene in buona armonia, accolte nell’ acqua. E questo potrebbe passare, come tentativo da considerarsi con benevolo occhio e compatimento, se non avesse con- tro di se alcune gravi accuse. Primieramente, ammoniaca o solfato di rame che si aggiunga al sapone, non si aggiunge a questo valore insettifugo alcuno, e tutto al più se ne potrà scemare la forza insetticida , sicchè abbiamo una mi- scela ancor meno efficace della emulsione alcoolico-saponosa di benzina che pure, alla vendemmia, si riconobbe di effetto nullo per salvare l'uva sulle viti. In secondo luogo la miscela! è assai più costosa della mescolanza di poltiglia bordolese alla Ruhina, ed è meno facile a comporsi. In terzo luogo, e questo ci sembra più rimarchevole, la nuova formula è messa innanzi con grande apparato e molto clangore di tube, nel giornali agrarii, ma poca base o nulla affatto di esperimenti sul terreno, e se avvenga che gli agricoltori abbocchino, è difficile che a- cquistino, in seguito, un poco di quella fiducia negli entomologi che ora ! Secondo la formula: sapone 83; solfato di rame 0,500; ammoniaca 1—1//,; acqua 100. ar re per dr + + LI INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. ZOr appunto, per questo continuo variare e moltiplicarsi di formule le più disparate, negano quasi totalmente, siamo giusti, con non poca ra- gione. Ma l’anno presente, porterà con se così larghi esperimenti che certamente dell’ uno o dell’ altro indirizzo farà giustizia, ed allora poi, a fine d’ autunno, come ci sentiamo fin d'ora disposti a ravvederci, se in errore attualmente , il che siamo ben lungi dal dubitare perchè la esperienza insegna, ci proveremo a dire delle suddette formule più pro- lifiche de’ funghi, tutto quello che da gran tempo pensiamo e che pri- ma del giudizio del pubblico, non esporremo certamente ora. Intanto constatiamo il fatto che il sapone e le sue miscele con alcool e benzina o con benzina soltanto, non hanno azione insettifuga veruna , e perciò non possono entrare nella serie di sostanze da racco- mandarsì per una cura preventiva. Le miscele invece con derivati dal catrame, e tra queste in prima linea la rubina, così innocua sulle piante, hanno oltre alla notevole at- tività insetticida, della quale sono testimonio gli scritti precitati del lodato prof. Siro Martini, oltre a quelli di molti e molti altri che sa- rebbe troppo lungo l’ annoverare, e che in ogni caso chiunque non vo- glia essere cieco o sordo di proposito, vede e riconosce, ha, dico, una grande efficacia insettifuga, pel suo odore forte sopratutto e questa può essere ancora accresciuta, come io tenterò di fare, coll’ intervento anche di qualche altra sostanza odorosissima, come potrebbe essere ad es. la canfora od altra essenza solubile facilmente nel catrame di legno, col quale la rubina sì compone. Perciò a quei viticultori i quali si sentissero in cuore così pro- fonda nimicizia pubblica e privata contro le larve di Cochylis che aves- sero solo il desiderio di vederle morte, senza curarsi troppo se d’ altronde le viti continuano ad essere danneggiate e la sperata vendemmia manca, a questi consiglierei di usare la formula della R. Stazione di Entomo- logia agraria di Firenze, cioè la emulsione alcoolico-saponosa di benzina od il sapone puro, o il sapone ed ammoniaca e solfato di rame, tutti quei molteplici insaponamenti insomma che, senza particolare raccoman- dazione, sono stati proposti in questo anno. Ma temo che così fatti viti- cultori, sitibondi più di sangue di Cochylis, che di vino buono, sieno pochi. Agli altri più invece, che si contentassero di salvare il prodotto delle loro viti, avvenga che può della Cochylis, muoiano questi insetti in maggiore o minore misura, purchè la vendemmia sia abbondante, come essere dovrebbe senza il loro intervento, e l’ uva sana ed esente 238 A. BERLESE da muffe, a questi più io consiglio, non solo sui dati dell’ esperienza altrui, ma ancora sui miei, di usare la poltiglia bordolese mescolata a Rubina, secondo una formula conforme a quella così bene sperimentata e con buono effetto dal Prof. Siro Martini, e di usarla nelle condizioni che sono per dire ora. Dato adunque che la rubina si mescoli bene colla poltiglia bor- dolese la quale non presentando azione acida non ha sulla Rubina stessa facoltà di precipitarla nè di alterarla troppo sollecitamente, e questo si vide bene in prove condotte nel laboratorio di ‘Tecnologia chimico- agraria di Portici e sarà detto più estesamente da persona meglio pra- tica di cose chimiche, a suo tempo, purchè la rubina stessa venga me- scolata alla poltiglia bordolese già preparata e non a qualcuno dei suoi componenti, con intenzione di introdurre l’ altro più tardi, si ha così il grandissimo vantaggio di difendere contemporaneamente, cioè senza ri- correre ad operazioni distinte, difendere, dicevo, la vite, tanto dalla pe- ronospora quanto dalla Cochylis. Non è però escluso che sì possa così ottenere vantaggio anche contro l’ oidio. Il chiarissimo signor Ing. Arnaldo Corsi, sindaco di Sesto Fioren- tino, già benemerito della Entomologia agraria per l'invenzione dei suoi collettori contro le cavallette, aveva già avuto, affatto contemporanea- mente e forse prima del Prof. Siro Martini, l’idea di mescolare la ru- bina alla poltiglia bordolese e l’ idea fu tradotta anche in atto. Io stesso ebbi occasione di visitare, nei primi giorni di luglio, le viti così trattate e si mostravano bellissime. Senonchè mancarono generalmente nel co- mune tutte le ulteriori generazioni di Coclylis come mancarono quasi universalmente in provincia di Firenze e questo forse per la siccità !. Se non fu possibile, come ad Arezzo, riconoscere, a Sesto, l’azione della miscela rubino-cupro-calcica sulla Cochylis e sulla peronospora, in con- fronto di viti non trattate o soggette a diverso trattamento, è certo che il sullodato signor Ing. Arnaldo Corsì, potè intanto constatare, co- me ebbe a scrivermi, che la miscela stessa si spandeva sulle foglie e sui grappoli, assai meglio della semplice poltiglia bordolese la quale cade in gocciole minute e così evapora sugli organi della pianta mentre ! Tutti gli agricoltori da me consultati a Firenze attribuivano infatti alla siccità la mancata seconda e terza generazione della Cochylis in quest’ anno. Può essere che la causa sia diversa, oppure che la Cochylis si sia normalmente sviluppata ma non così le conseguenti muffe ed il marciume, di guisa che la presenza dell’ insetto, negli acini, sia riuscita dubbia e il danno minore. INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 239 la miscela contenente rubina si diffonde uniformemente sulle pagine fo- gliari e sugli altri organi ed io stesso ciò potei bene vedere a Portici. Abbiamo adunque quì quel vantaggio che si invocò dalla melassa od altre sostanze viscosette mescolate alla poltiglia bordolese in miscele assal raccomandate. Bisogna intanto avvertire che, secondo i più autorevoli consigli, l'applicazione della poltiglia bordolese allo scopo di prevenire la inva- sione peronosporica , sì deve fare nei seguenti periodi dello sviluppo della vite: Il primo trattamento si deve applicare quando i giovani tralci hanno raggiuuto da 10 a 12 centim. di lunghezza ; Il secondo pochi giorni prima della fioritura, o poco dopo, avendo cura di colpire a preferenza i grappoli, e si può benissimo praticare anche durante la fioritura ; Il terzo nella prima metà di luglio. Se la stagione corre umida, si farà, per la peronospora, anche un quarto trattamento in agosto. Ora il lettore vede bene che le surriferite date corrispondono egre- giamente anche con quelle nelle quali si dovrebbe irrorare la vite con sostanze insettifughe per allontanare la Cochylis, poichè appunto per impedire la deposizione delle uova da parte delle farfalle di prima ge- nerazione o meglio uscite da crisalidi che hanno svernato, le irrorazioni prima della fioritura della vite e durante questa, sono precisamente in- dicate, come per disturbare od allontanare la deposizione delle uova da parte di farfalle sorte dai bruchi che guastarono le infiorescenze, cade assai acconcia la irrorazione nella prima metà di luglio, e quella in agosto può allontanare la terza generazione. Così basta mescolare Kkilogr. uno e mezzo di rubina per ogni due kilogr. di poltiglia bordolese (nella quale il solfato di rame e la calce sieno in parti eguali) ed allungare il tutto con un ettolitro d’acqua per ottenere la miscela desiderata e applicarla nei tempi suindicati * ed 1 La miscela così costerebbe : Rubina . . . . kilog. 1500 L. 1,20 Grassello di calce. » 1,000 } 0.60 Solfato di rame . >» 1,000$” © L. 1,80 cioè meno di due lire per ettolitro. 240 A. BERLESE averne effetto utile contro la Cochylis e contro la peronospora insieme e forse ancora contro l’ oidio, il quale ultimo effetto se può essere so- spettato dietro alcune esperienze che ora non riferisco, non è però an- cora provato. * * * » Per ciò che riguarda il Dacus oleae 0 mosca dell’ olivo, dirò poche cose, anche per non esporre qui, cioè fuor di tempo a mio credere, os- servazioni multiple da me condotte nel corso di tre anni a Portici e le quali devono essere oggetto di più esteso e speciale lavoro. Le osservazioni suaccennate sì riferiscono più che altro al modo di combattere od allontanare la perniciosa mosca dal frutto prezioso della pianta, così che questo non bachi, con tanto danno. Partendo dalle prime prove le quali, per seguire il primo e più elementare impiego delle miscele di catrame, tendevano piuttosto ad uccidere le mosche (non potendo offendere le larve riparate nei frutti, le quali del resto non muoiono facilmente cogli insetticidi ordinarii), io avevo notato un fatto singolare del quale solo più tardi mi sono potuto dare ragione. Premetto che di queste ed altre mie osservazioni come immature e non bene chiarite ancora, io non tenni parola nelle discussioni della Commissione Entomologica convocata presso il Ministero nell’ anno de- corso, quando si trattò di redigere circolare contenente istruzioni intese a scemare i danni prodotti dalla mosca dell’ olivo. E per verità, quella circolare riflette più che altro metodi per impedire ad alcune mosche di recarsi sugli olivi, ma questi sono e saranno sempre danneggiati pressochè egualmente dalle rimanenti libere, così come le cure inver- nali per distruggere le ninfe di Cochylis non recano vantaggio alcuno al viticultore. Il fatto da me notato, e mi pare di importanza cardinale, era que- sto, che irrorando bene e diligentemente gli alberi, anche con soluzioni leggiere di rubina, allo scopo di combattere più che altro le cocciniglie così comuni e dannose (Lecanium oleae e Philippia oleae) con una cura estiva, cioè diretta contro le larve o le giovani ninfe dei detti insetti, si arrivava, oltre che al risultato desiderato, anche ad una notevole dimi- nuzione, se non allo zero assoluto, nella percentuale di olive abitate dalla larva di Dacus oleae. Dapprimo il fatto passò inosservato, inquantochè io tenendo d’ oc- chio le cocciniglie, tracuravo 1’ esame al frutto della pianta, e fattomi INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 241 rilevare dagli interessati, che molto spesso per la pratica loro hanno as- sai miglior occhio degli sperimentatori che scendono dal laboratorio, fu da me attribuito a cause di difficile ricerca. Continuai però le mie esperienze anche nel decorso anno, prendendo sempre di mira le cocciniglie e la EupAyUura, nonchè la tignuola del- l’ olivo, e dopo le discussioni della Commissione anzidetta , volendo io avere più profonda pratica del Dacus oleae, esaminai a suo tempo i frutti che pur dovevano contenere larve di Dacus, per trovare le quali però io dovetti, con mia meraviglia, raccorre le olive sugli alberi non trattati poichè su quelli soggetti alle abluzioni di rubina all’1 e al 2 p- Oro il materiale era così scarso che, si può dire, faceva diffetto. A questo punto mi convenne riflettere bene su tale fatto, e non potei attribuirlo che ai trattamenti, avvegnachè le poche piante irrorate e così immuni, sì trovavano in prossimità delle altre che non avevano subìto trattamenti con insetticidi e però molto infette. Successivamente, dovetti allontanare da me l’idea che 1’ effetto no- tevole fosse dovuto alla azione puramente insetticida della rubina, in- quantochè questa avrebbe potuto esercitarsi solo sulle ninfe riparate entro terra o nel tronco dell'albero o nelle screpolature della scorza, o meglio ancora sugli adulti. Che le ninfe così riparate od anche se fossero più esposte possano morire per effetto delle irrorazioni di rubina, non mi sento di crederlo in alcun modo, poichè mi è bene nota la resistenza agli insetticidi delle pupe di ditteri, e d'altronde quando sieno nascoste entro terra e qual- che centimetro come sono ordinariamente, o nel terriccio entro i tronchi, non sì raggiungono coì liquido. D'altronde necise queste, le circostanti mosche adulte avrebbero sempre avuto agio di recarsi nuovamente sugli alberi trattati. Così, pure ammesso che dalle irrorazioni molte mosche abbiano po- tuto morire, rimaneva inoffeso tutto 1’ esescito delle altre. Devesi dunque attribuire l’ effetto alla potenza insettifuga della ru- bina, e non altro. In quest’ anno poi, confortato da queste prime prove, io istituirò larghissime esperienze, che condurrò con molta diligenza, quale userò pure nella constatazione dei risultati ottenuti, ed espongo qui la linea di condotta che io terrò sempre presente, acciocchè altri possa altret- tanto tentare, ciò che io vivamente raccomando. Sapendosi bene adunque e questo più che altro per merito di un nostro insigne Entomologo italiano, il decano ed il maestro degli ento- 16 2492 A. BERLESE mologi nostri, il chiariss. Prof. Achille Costa, che le mosehe depositano le loro uova sulle olive già grossette, sarà opportuno praticare diligente irrorazione con soluzione di rubina all’ 1 od al 2 per Of di tutta la pianta, appunto quando le olive sono già di fresco allegate. Qualora poi alla rubina si volesse mescolare la poltiglia bordolese. non credo che ciò dovrebbe essere senza vantaggio, atteso che la miscela rubino-cupro- calcica, si diffonde più uniformemente e sì mantiene più a lungo sulle parti della pianta. Sarà d’ uopo tener bene d’ occhio che nelle irrorazioni sia bagnato copiosamente il frutto, acciocchè tutte le olive si trovino rivestite di pellicola insettifuga. Rammentando però che il frutto cresce e col cre- scere il rivestimento protettore da noi applicato così, gradatamente si perde e le variazioni meteoriche aiutano anche la dispersione, sì avrà cura attenta di ripetere una seconda irrorazione, ad esempio un mese dopo la prima. E quì procediamo al buio e solo per congetture, giacchè io non posso certamente affermare nè quante irrorazioni ulteriori possano oc- correre nè se le due indicate saranno sufficienti ad allontanare le mo- sche per tutto il tempo in cui occorre la deposizione delle uova. È certo però che mosche adulte presto muoiono e si può ben dire che in fine della calda stagione il pericolo della deposizione delle uova è passato. Quanto al riconoscere gli effetti della cura, è cosa facilissima, poi- chè qui basterà, all’ epoca della raccolta delle olive, notare la percen- tuale di quelle bacate negli olivi soggetti a trattamento, in confronto di quelle di alberi non trattati. Io ho indicato la via ed ho esposto fatti in appoggio di questo metodo di cura. Ora agli olivicultori così gravemente offesi sempre dalla mosca e con tanto danno, lascio il compito di aiutarmi a trovare le più opportune modalità dei trattamenti; ma le rudimentali osservazioni da me esposte, come quelle che sono state scrupolosissimamente constatate e controllate, mi sembrano di molta importanza, nella lotta contro un insetto contro il quale finora a_noi mancava qualsiasi arma, e per quanto qui abbia voluto esporre succintamente lo stato delle cose, tacendo anche quando avrei potuto dire di più, ho affermato e affermo questo fatto, che cioè, dalle irrorazioni di sostanze insettifughe come la rubina è, ol- trechè insetticida, è turbata o allontanata totàlmente la deposizione delle uova sulle olive, per parte della terribile mosca. INSETTICIDI ED INSETTIFUGHI CONTRO ALCUNI INSETTI ETC. 243 Quanto alla Curpocapsa pomonana io non ho esperienze mie, nè di questo insetto mi sono abbastanza occupato sinora. Soltanto da lettere pervenutemi in questo anno e da aftermazioni verbali di egregi sperimentatori, e di queste e di quelle potrò fare pub- blicazione nel caso, risulta 1 unanime affermazione che le irrorazioni di pitteleina, sostanza così gravemente odorosa, intese a combattere la Hyponomeuta o la Schizoneura e gli altri afidi, od insetti del melo o del pero, sì ottiene ancora sempre il risultato di salvare le frutta dal morso dalla Carpocapsa pomonana. Ciò evidentemente è dovuto, in questo caso, alla potenza insettifuga della Pitteleina la quale, come tutti i composti di catrame, ha odore for- tissimo e assai nauseabondo agli insetti che lo fuggono costantemente. Perciò appunto consigliammo e consigliamo anche attualmente più volentieri le soluzioni di catrame che quelle di sapone od altro, anche contro gli afidi e le cocciniglie ; poichè la spesa intanto è minore * e l’azione insettifuga preserva (dopo l'uccisione degli insetti sulla pianta), questa abbastanza dal pericolo di reinvasione ?. ! Così non posso certamente lodare l’ autore di quello scritto sugli acari degli agrumi e sugli afidi, il quale passando a discorrere incidentalmente della cura estiva (che pari ora entri un poco nelle grazie anché degli entomologi nostrali, dappoichè in tempo tutto affatto recente gli americani mi hanno dato assolutamente ragione) contro le cocciniglie, propone le abluzioni di sapone al 2 p. ©“, senza pensare che questa miscela costa più della soluzione di pitteleina all’1 p.°, è meno facile a farsi, più grossa nel polverizzarsi e non ha azione così potente nè insetticida nè insettifuga, e tutto questo per simpatia attuale agli insaponamenti, come per lo passato alle gli- cerine, ai catrami, alla liscivia fenice, ete. e'e. Salvochè gli agricoltori hanno invece più logica simpatia alle cose più pratiche, più efficaci e meno costose. ? Ecco a questo proposito una lettera giuntami dopo aver scritto il presente ar- ticolo e mentre stavo appunto per licenziare le stampe. Castenedolo 8 gennaio 95. Illustrissimo Professore, L’anno scorso ho adoperato la Rubina contro gli afidi del pesco, che io coltivo su scala piuttosto vasta. L'ho trovata molto efficace contro gli afidi, e dopo tre trattamenti all’ 1 per °% di rubina, erano tutti morti. Più efficace ancora l’ ho trovata trattando le piante prima che fossero invase dagli afidi, in modo che con due soli 244 i A. BERLESE Concludo ; contro la Cochylis, il Daeus oleae, la Carpocapsa e pro- babilmente contro altri insetti, la strada buona è nella ricerca di im- settifughi piuttosto che di insetticidi, e sieno liquidi piuttosto che pul- verulenti. E riprenderemo l’ argomento nel prossimo decembre. Portici decembre 1894. Prof. ANTONIO BERLESE trattamenti, sempre all’ 1 °/, conservai e preservai le mie piante da ogni guasto, e non trovai sulle piante nessun afide. Ora io vorrei provare la Rubina stessa contro la Cochylis, questa prossima pri- mavera. Farei l’ esperimento su qualche Ettaro di vigneto molto infestato quest’ anno dalla Cochylis. Conterei di combattere l’ insetto con trattamento preventivo ossia difenderei la vite per l’ allontanamento della farfalla e uccisione delle piccole larve, giusto com’ è detto nella Memoria da Lei scritta nel Bollettino di Patologia Vegetale del 15 marzo scorso anno. Ora (ecco quello che mi premerebbe sapere) non potrei io aggiungere al liquido 1 per °/o di rubina anche le dosi di solfato di rame e calce e così avere un liquido che servisse contro la Peronospora e allontanasse la Cochylis? Oppure non potrei aggiungere al liquido Rubina il 3 per mille di solfato di rame, e servire ai due scopi ? Devmo Ing. P. RiccaRDI ID a Ut RICERCHE MORFO-ANATOMICHE sulle deformazioni prodotte dalle Exoascacee nei germogli e nelle foglie per William G. Smith (Traduzione dal tedesco del prof. A. N. Berlese) ——_e-@-e-- Che ì funghi parassiti inducano nella forma e nella struttura della pianta ospite delle alterazioni più o meno profonde, è ben noto. Già da lungo tempo l’ agricoltore ed il silvicoltore hanno fatto oggetto di os- servazione tali funghi pei gravi danni che essi recano. Pur tuttavia le ricerche scientifiche sull’ azione che gli stessi funghi esercitano sulle piante ospiti non sono soverchiamente numerose. Gli sforzi dei micologi, più che alle dette ricerche, furono diretti primieramente alla classifica- zione e descrizione dei numerosissimi funghi. Nella letteratura dei la- vori di sistematica, non di rado troviamo dei cenni sopra l’ azione dei funghi sulle piante superiori, però detti cenni sono isolati e sparsi. Sol- tanto in questi ultimi tempi furono oggetto di studi più estesi le al- terazioni prodotte dai funghi parassiti. Le manifestazioni che sogliono apparire nelle piante ammalate si dividono in due gruppi. Da un lato v'è atrofia e diretta distruzione dei tessuti dell’ orgaro intaccato, dall’ altro v' è ipertrofia, ossia un ac- crescimento più vigoroso del normale, cui segue la distruzione. Egli è specialmente lo sviluppo ipertrofico quello che venne bene studiato soltanto sopra un piccolo numero di casi determinati da funghi. Così le deformazioni prodotte dalle Exoascacee, sono passate quasi tutte senza una trattazione speciale. Lo scopo del presente lavoro è trattare precisamente delle azioni di questo gruppo di funghi. ara tae "ae =-cn- Oss. — Il presente lavoro, pubblicato anche nella Forstl. Naturwiss. Zeitschrift 1894, venne compiuto nel Laboratorio botanico della R. Stazione per le ricerche bo- tanico-forestali di Monaco, sotto la direzione del Libero docente Dott. V. Tubeuf, il quale fornì il tema ed il materiale. 246 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Il Prof. Dott. Sadebeck ' nella sua recente monografia sulle Exoa- scacee ha esposto i risultati del suo fondamentale lavoro sopra questa famiglia di funghi, però tanto, in quest’ opera quanto nelle opere in essa citate, esiste ben poco sopra la morfologia e l’ anatomia degli interes- santi micocecidi, (Bozzacchioni, Scopazzi, Deformazioni dei germogli e delle foglie) determinati da questi funghi. Noi torneremo a suo tempo, sopra la speciale letteratura delle Exoascacee in riguardo alla loro a- zione sulla pianta ospite. Esistono poi diversi lavori sull’ azioni ipertrofiche determinate da altri funghi sopra le loro piante ospiti, e noi li dobbiamo qui ricordare. Così il Wakker * studiò l’ influenza che diversi funghi parassiti esercì- tano sopra le piante ospiti. Tra questi egli ricorda principalmente lo Exoascus Pruni, V E. alnitorquus, V Exobasidium Vaccini, il Cysto- pus candidus, la Plasmodiophora Brassicae, diverse Uredinee ed Usti- laginee. I risultati a cui giunse questo autore, sono di speciale inte- resse per questo lavoro, cosichè io li ricorderò brevemente. « La maggior parte dei funghi capaci di determinare ipertrofie (Ipertrofiti), dice il Wakker, sono causa che le parti ammalate si di- stinguono dallo stato giovane, meno di quanto non si distinguano le vecchie normali e corrispondenti in altre parole: il parassita impedisce più o meno energicamente la formazione dei tessuti primari o dei se- condari. In molti casi poi appariscono dei caratteri che quella parte di pianta non possiede nel suo stato normale ». Se noi poì ci spingiamo a studiare nei loro dettagli i risultati ot- tenuti dall’ autore, vediamo che essi possono essere divisi in due gruppi. I. Stati corrispondenti a quello giovane, quindi: Il collenchima e lo sclerenchima mancano nei cauli intaccati; lo stereoma non si sviluppa (Bozzacchioni del Pruno); le cellule del midollo non presentano ispes- simenti, o lignificazione, (Erobasidium Vaccini); la clorofilla nella mag- gior parte delle ipertrofie non si è formata; 1’ ossalato di calce manca, le druse sono meno numerose o mancano del tutto; l’ amido si è au- mentato; gli spazi intercellulari sono ordinariamente più piccoli; i tes- suti secondari si formano incompletamente e sono disposti più o meno irregolarmente. ! Sadebeck Die parasitischen Exoascaceen; eine Monographie. Hamburg 1898. ? Wakker Untersuch ueb. d. Einfluss parasitischer Pilze auf ihre Nihrpflanzen (In Pringsheim' s Jahrb. f. Botanik. Band 24, 1892 (Cfr. anche Riv. di Pat. Veg. Anno II, 1893). Lal SA RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 247 II. Fenomeni presso i quali appariscono nuovi caratteri. Aumento delle cellule e così scomparsa degli spazi intercellulari; colorazione del succo cellulare; formazione di clorofilla nei petali e nei filamenti sta- minali (Crocifere intaccate da Peronosporacee); formazione di druse stellate; apparsa di fascetti vascolari secondari; formazione di meristema dalle cellule e straordinaria formazione di cellule sclerenchimatiche. Hartmann * fece una accurata ricerca sopra le alterazioni anato- miche degli scopazzi dell’ Abete, i quali precedentemente erano stati de- scritti da De Bary. ? Primieramente il suddetto Hartmann confrontò le foglie ammalate con quelle sane, e trovò nelle prime come principale differenza un mi- nore numero di stomi, ed una cuticola debolmente ispessita. Inoltre i canali resiniferi erano più piccoli, irregolari e circondati da poche cel- lule; il palizzata e lo spugnoso non erano differenziati, ed il contenuto cellulare si presentava povero in corpi clorofilliani ed in amido. L’ anello endodermico e le fibre erano poco sviluppate ; i fasci vascolari risulta- vano da poche serie di cellule e le pareti cellulari erano meno ingros- sate. Fra l’asse sano e quello malato si notavano pure delle differenze rimarchevoli. Così il periderma nell’ ultimo aveva raggiunto un più forte sviluppo, mentre il collenchima ipodermico non sì era punto formato. I canali resiniferi erano più numerosi e di diversa grossezza; il paren- chima corticale si presentava irregolarmente disposto, e di sviluppo quasi doppio; le fibre corticali erano in minor numero, mentre il floema ed il xilema erano pure meno sviluppati; il primo inoltre era irregolare, e le zone annuali del secondo per lo più erano formate da larghe fibre e da fibre rotondeggianti a parete sottile ; il midollo era circa doppio di quello normale, e le sue cellule erano più grosse, più brevi, e con pareti più spesse e con un maggior numero di pori. Woronin * descrisse, col corredo di numerose e belle figure, le iper- trofie del Vaccinium Vitis-Idea, prodotte dall’ Exobasidium Vaccini. Queste ben note deformazioni delle foglie, dei cauli e dei fiori, sono trattate dal lato morfologico ed anatomico. Le foglie intaccate mostrano alla pagina inferiore sotto l'epidermide, dei hasidi provenienti da un micelio che sì spinge più o meno profondamente nei tessuti fogliari. In 1 Hartmann F. anatomische vergl. d. Hexenbesen der Weisstanne mit den nor- malen Sprossen derselben. Inaug-Diss. Univ. Freiburg. i. Baden 1892. ? De Bary Ueb. d. Krebs und die Hexenbesen d. Weisstanne. Bot. Zeit. 1867. 3 Woronin M. Exrobasidium Vaccini. Ver. d. Naturforsch. Gesellsch. zu Frei- burg i. B. 1867. 248 W. G. SMITH — A. N. BERLESE seguito all’ influenza del micelio, il tessuto spugnoso risulta formato da cellule poligonali arrotondate, le quali sono maggiori delle normali, e così strettamente addossate le une alle altre, da limitare dei molto pic- coli spazi intercellulari. Nelle cellule manca la clorofilla e vi sì trova in quella vece un liquido incolore nel quale soltanto sono a qua e là sospesi dei corpuscoli plasmatici, incolori. Le cellule del palizzata con- servano lo stesso ordinamento che hanno nelle foglie sane, esse mancano però di clorofilla, e sono ripiene invece di un succo rosso (eritrofilla). L’ epidermide della pagina inferiore delle foglie è così alterata, che le sue cellule sia per numero, grandezza e disposizione in confronto di quelle dell’ epidermide superiore, normalmente costituito, sì presentano molto irregolari, e più tardi vengono dislocate. Il numero dei fasci fibro-vascolari non è oltre il normale, però gli elementi non soltanto presentano lume maggiore, ma ancora sono in numero sensibilmente superiore. Woronin ritiene che l’ accrescimento a- normale delle parti di Vaccinium ammalate non sia determinato dalla dilatazione delle cellule normali già esistenti, ma piuttosto dalla nuova formazione ed attiva moltiplicazione cellulare. Fentzling ' ha studiato l azione di diverse uredinee sulle piante ospiti. Noi brevemente esporremo anche i risultati cui giunse questo autore. L'infezione dell’ uredinea, può interessare l’ intera pianta, e mo- dificarne 1’ aspetto, oppure rimanere localizzata, secondo l’ età della pianta intaccata al tempo dell’ infezione. Allorchè il germe del fungo si svolge molto per tempo, il micelio si sviluppa attraverso a tutto il germoglio, ed ordinariamente fruttifica nelle foglie. Im questo caso l’azione morbosa è risentita dall’ intera pianta, e questa lo dimostra con uno stentato accrescimento in lun- ghezza, una cattiva fogliazione, una peggiore lignificazione ed una breve vita; le foglie in tal caso rimangono piccole, di una tinta diversa dalla sana e di una costituzione grossolana e della resistenza del cuoio; i fiori vengono alterati in modo caratteristico. Se 1’ infezione segue negli organi sviluppati, specialmente nelle foglie e sui cauli, allora le deformazioni si manifestano soltanto nel punto d’ infezione, o nelle vicinanze, e si mo- strano con un rigonfiamento più o meno profondo del punto intaccato, e con una colorazione aranciata dello stesso. Rispetto alle alterazioni dei singoli tessuti delle foglie e dei cauli, si notano i fatti seguenti: ! Fentzling Untersuch. d. durch Rostpilze hervorgeruf. Veriînder. —Inaug. Diss, Freiburg i B. 1892. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 249 Le cellule epidermiche sono evidentemente più lunghe, il sottostante palizzata è rilassato in seguito agli spazi intercellulari, e le sue cellule sono in parte ingrandite. La grossezza dello spugnoso è aumentata in causa dell’ ingrossamento e della moltiplicazione delle cellule, della mag- giore ampiezza degli spazi intercellulari e dalla formazione degli ecidi. Nel caule le cellule epidermiche appariscono stirate; le cellule del pa- renchima corticale sono aumentate in numero, e qualche volta ingran- dite: il corpo legnoso rimane inalterato nel suo sviluppo; le cellule del midollo sono aumentate in numero. Wérnle * ha condotto delle ricerche sui micocecidi dei ginepri de- terminati da gimnosporangi. Nelle pustole fogliari egli trovò che il mi- celio aveva determinato una rapida moltiplicazione e divisione del pa- renchima. Nei rigonfiamenti dei rami egli constatò tanto un ingrossa- mento del legno, che della corteccia. Il parenchima corticale era molto aumentato. Nel periderma sì manifestò una grande moltiplicazione degli strati cellulari concentrici e un aumento del parenchima dei raggi cor- ticali e dei fasci. Le fibre corticali presentavano pareti alquanto sottili; nel corpo legnoso si manifestò un forte sviluppo del parenchima dei raggi midollari, come pure di quello dei fasci, e le tracheidi rimasero con pareti più o meno sottili, cosichè non fu più possibile distinguere il legno di primavera da quello dell’ estate. Knowles * ha studiato l’ influenza della Ustilago Maydis sul Zea Mays, e trovò che nelle regioni nelle quali avviene la formazione delle spore, succede una ipertrofia. Le ricerche microscopiche delle ipertrofie mostrarono che gli stomi erano stati irregolarmente spostati. Le cellule del tessuto dei culmi, specialmente le periferiche, erano più piccole e molto più numerose, presentavano pareti sottili e con un contenuto ab- bondante. 1 fasci vascolari erano rotti e così alterati che il floema ed il xilema sì distinguevano difficilmente. * Così abbiamo dato un rapido sguardo alla più importante lettera- tura che tratta collettivamente delle alterazioni anatomiche che sì notano nelle ipertrofie delle piante, e possiamo perciò rinunciare di riferire so- pra gli altri lavori che trattano di argomenti speciali. 1 Wornle Anat. Unters. d. durch Gymnopor. — Artin hervorger. Missbild. Imaug. Diss. Miinchen — Forstl. naturw. Zeitsch. 1894. ? Knowles A Study of the abnorm. struct. induced by Ustilago Maydis, Americ. Iourn. of Mycol. Vol. 4, 1889. ° Le alterazioni prodotte dall’ Ustilago Maydis vennero accuratamente illus trate anche dal Prof. G. Cugini (Nota del trad.) DO uv 2 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Biologia delle Exoascacee Prima di trattare dettagliatamente delle particolarità delle diverse Exoascacee, si rende necessario il dare un rapido sguardo alla biologia di questi funghi. Noi ometteremo di trattare delle speciali manifesta- zioni che si notano nelle deformazioni delle frutta, poichè esse escono dall’ orbita di questo lavoro. Furono già dettagliatamente trattate nei lavori di De Bary * e Wakker ?. La formazione delle spore avviene spe- cialmente nelle foglie, e si mostra sotto l’ aspetto di uno strato bian- chiccio o grigio, il quale ricopre parti più o meno decolorate e defor- mate di ambedue le epidermidi. Le fruttificazioni consistono in aschi con 4-8 sporidii, i quali spesso hanno prodotto numerosi conidi. Gli aschi si sviluppano sull’ epidermide in uno strato di cellule più o meno grosso costituito da elementi simili a quelli del palizzata, senza essere rac- colti in un imenio speciale. Questi aschi si sviluppano da un micelio, il quale scorre al disotto della cuticola sulle pareti esterne dell’ epi- dermide fogliare. Nel genere Magnusiella essi si mostrano primiera- mente come rigonfiamenti delle estremità dei filamenti miceliali, mentre nei generi Taphrina ed Exoascus , il micelio per la formazione degli aschi separa con setti trasversi le cellule ascogene, le quali, con o senza ingrossamento, e qualche volta anche, dopo essersi nuovamente divise, si trasformano in aschi. Questi rompono la cuticola per portare le loro spore a maturare alla superficie. Ciascun asco può derivare immedia- tamente dalla sua cellula ascogena, oppure quest’ ultima è divisa me- diante un setto trasversale, così da formare colla sua parte inferiore lo stipite. Il micelio subcuticulare viene prodotto per mezzo della germoglia- zione delle spore alla superficie delle foglie, oppure si sviluppa da un micelio perenne. Uno speciale micelio svernante nelle gemme venne posto in evidenza da Sadebek e da altri autori, e venne considerato come il punto essenziale di differenze tra i generi Exoascus e Taphrina. Nelle gemme il micelio determina uno stimolo sui tessuti meristematici , i quali tosto che la gemma si sviluppa, vanno a costituire una maggiore o minore ipertrofia nei rami. Ciò esporremo più tardi con maggiori det- ! De Bary Exoascus Pruni — Beitr. Morph. Phys. Pilze I Band, V Frankfurt 1864. ? Wakker l. c. p. 2. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 251 tagli. Dalla gemma il micelio si spinge nei tessuti dei rami e, secondo le specie, anche in diverse altre parti della pianta ospite. Nella mag- gior parte delle specie di Prunus il micelio degli Exoascus si trova nei più interni tessuti dei rami e delle foglie, mentre in altre piante ospiti esso si limita — come Sadebeck ha dimostrato per 1’ Exoascus Tosquineti vivente sull’ AZnus glutinosa — a scorrere soltanto negli strati subcuticulari delle pareti esterne epidermiche dei rami, dei pic- ciuoli fogliari e delle foglie. Dai rami il micelio passa nelle giovani gemme per svernare nuovamente oppure esso può spingersi nei tessuti fogliari, e formare allora, come micelio subcuticulare, nuove cellule a- scogene. Sadebeck in molti casì ha osservato tanto la germinazione delle spore sulla epidermide fogliare, quanto la perforazione della cuticola per mezzo di tubi miceliali, i quali si estendevano poi negli strati sub- cuticolari. Nelle specie di Zuplrina le spore possono soltanto diffondere il fungo, poichè le foglie le quali contengono l'intero sistema mice- liale, cadono in autuuno. Nella seguente tabella è esposto un prospetto delle Exoascacee. Que- ste sono divise in quattro gruppi, secondo le deformazioni ch’ esse deter- minano nelle piante ospiti. Le due prime comprendono tutti quei funghi le di cui deformazioni interessano il sistema rameale, formando quelle alterazioni note sotto il nome di scopazzi (Hexenbesen) nel senso più largo della parola, come espose Sadebeck. Si deve osservare che tutte queste specie, con eccezione di una sola che vive in una pianta erbacea annuale, appartengono al genere Exoascus. I due gruppi si distinguono pel fatto che il primo comprende soltanto quelle Exoascacee, le quali pro- ducono scopazzi nel senso stretto, mentre il secondo gruppo racchiude quelle specie le quali determinano deformazioni nei rami di un anno e nelle foglie. Il terzo gruppo comprende le Exoaseacee che producono malattie nelle foglie. Infine quelle del quarto gruppo determinano principalmente le de- formazioni nei frutti. BERLESE SMITH AN G. W. 13703} 19p 2uoIZguLIOJAp UINIGIO]I][Pqui{] ‘SNUSET{ | < « + gI0ds([od euragde], sIprz[o) eutgde], ru] euryde], SU99s0[n1900 = « 4, eefnso turiyde], < « « < « < UnIOpUOE SNISCOXH « « BA©H e[[pIsnUSEN « « « « « « equnie) vuriyde], « « ae[mpog turgde],, gI0]dOzIgI < muosueyo cr eurigde], « « gosne gulIyde],, 9I[Fo; a][ep ‘Zew10JAp IZuaonporsq 1} u9onPosq suaosgindind snoseoxg sSIUIStIRO eIprsnuSEN | « « goumnbso] SnostoxH 4 snu19ds011939eq SODOSBOXH snugu STDOsSEOXH UONIM SNOSBOXH IUIdI®) SNISBOX] snI[{Ydido snostoxH 4 snurdje « « < snul[nyoq « SOPISIN} SNISPOXH 4 UMuI[asoaI() ‘Uepeoneg snugze[dopnasg « TUNOIIVZIVI 1907 eul[edoo sny 05tYpo) BULUI99S0IS Y sI[eIgsne sz) 8UCZUOUI STUI](} sti} sodurto snuI() xAII « (atoads assoAIp) snoIent) erpppuidieo e£1)so sn[npoq snurdaeo) VURIUI X esouninjo = « gIqnI « VUBoUI « esourn]S snu[y voovifded —« erpopijadod —« EIpours9ZuI — « euUga «€ e}UIOpo —« susosaqnd —« BSOONIIIA [}og BOE «€ mu « vIoJIMuowr = « siqepiutifd — « eIsiu sn[ndog 91]50} al[op ® I[S0u1195 19p 2UoIZeUII0JOP 1}URONPoIq 1zzedoos 13U90npolg uedso apunid 040) 97)9P 2 29000SDOLH] 27)9P 0pp9ds04 g midso 23ueIq I RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. * ‘ds snostoxg « « SIUNUIUIOI « snugidnaso;] « TTMAO[1V.] « « <« IUNIYT SNOSBOXH 1}}01J 13p QuoIZeuLIOJAPp I}uIONPpoIq oosIIagse un ep ejeuSassemzuoo ouos ‘oJoA@[ 03sanb ur ruotzetmIoJAp 2] ayerpnys oIeuuAA Ienb ax[ep a100ds art SU99S9IN[ E[[pIsnuSeT{ Cuniyj «€ « (($ e}elnq vuryde], OV[{1}U930q < « « UMICIAJI[[2qua fq ‘SUUSEN{ 91[To al[op ‘Zewi10Jop T}U0NPoIq « « I99VIRI) SNOSCOXH « « SUBUIIOJAOP SNOSBOXH + IUNIJ SNISVOXH , IUNIQ SNOSBOXH IOUIUI SNOSVOXT 4 01]d0y olfop I]Sown1ad 19p 2012 eu1I0Jap 1ZuRonPporq eiuoIne] eunyde], TAI9INUIO) SNOSEOXH OVINIMISU[ SNOSLOXH 4 QUIVISU] Di SNISVOXH 4 « < ISVIO) SOOSVOXH 4 Izzedoos 17 URONPorq epumeripend s1193q mun}ezsue mmipidey S1193d A[9U], « tunsojnurds wnotgsAmq eoruodel eimopfo SIUNUIWIOI SUIT] eufSouow < sqzueoedx) su[idso 7 vIsIig « snpepsfuy « ( oroads 01) } -[e po epepiooqns — « @UTIIIBUI « epnund = « CURIE «€ esourds = « ]urjosas = « BUVINISITA = « CIMSQUOPp « eIMpuisur € snpegd «€ SUstII) «€ UDIABO € SN8g19090UEY) SOUNIJ (oroods asioAIp) è[[7ua3og uniprpuoyds wnojpesH olsnjed ‘uepaonogq t}idso o7utig 254 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Noi tratteremo soltanto delle deformazioni prodotte dagli Ezoascus, i quali nella tabella abbiamo distinti con un asterisco. Queste deforma- zioni mostrano delle alterazioni morfologiche, o esterne, ed anatomiche, o interne, della struttura delle piante ospiti in seguito all’ azione dei funghi. Noi ci proponemmo in questo lavoro di trattare di queste de- formazioni e ordinarle in gruppi senza por mente all’ affinità delle piante ospiti, o delle specie di Ezoascus. Il primo di questi gruppi comprende parecchie forme dei così detti scopazzi delle piante legnose. In un breve articolo di Tubeuf ' sono rac- colte le più note forme di scopazzi: esse formano un gruppo di defor- mazioni determinate da cause le più diverse. Alcune per es. sono de- terminate da ecidii dell’ abete e del crespino , altre da acari, mentre altre sono prodotte da Exoascacee. Gli scopazzi sono le forme più com- plicate delle deformazioni prodotte da £xoascus e noi tratteremo della loro Morfologia nel seguente capitolo e separatamente dai loro caratteri anatomici. Morfologia degli scopazzi prodotti dalle Exoascacee Nello scopazzo del Prunus Cerasus, prodotto dall’ Exoascus Cerasi, noi abbiamo una delle forme più comuni e note, la quale ci offre il materiale più proprio per la nostra prima ricerca morfologica, e che ci mostra in modo molto spiccato le diverse proprietà, di cui parlere- mo in questo capitolo. Gli scopazzi rappresentati nella tavola unita nella presente memo- ria vennero riprodotti secondo una fotografia del signor Tubeuf, la quale è di una speciale chiarezza rispetto alle proprietà morfologiche di quelle formazioni. (Benchè Rathay ? il quale pure ha esposto la connessione che esiste fra gli scopazzi del ciliegio ed una specie di Ezoaseus, abbia molto accuratamente descritto e figurato l’ aspetto esterno di questi scopazzi, sembra che gli stessi nei loro dettagli siano ancora da stu- diare). L'originale crebbe nei dintorni di Monaco, e venne tagliato alla fine di marzo di quest’ anno (1894). Le sue gemme erano per metà sviluppate e ciò mi permise di trovare foglie di sufficiente sviluppo e miceli dell’ Exoascus. Gli aschi non poterono però raggiungere la ma- ! Tubeuf Forstl.-naturw. Zeitschr. I Tahry. 1892. Heft 7. 2 Rathay Ueb. d. Hexenhesen d. Kirschbiume ete. Sitz-ber. d. K. K. Akad. Wien I Abth. 1881. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 255 turità. Lo scopazzo cominciava in un ramo di quattro anni (A), (rami- ficazione madre dello scopazzo), il quale, in causa del peso dello sco- pazzo stesso, aveva raggiunta una posizione orizzontale. La gemma terminale di questo ramo era sviluppata in un ramo normale (B), il quale crebbe per più anni rimanendo però, come lo mostra la figura, molto sottile, e alla fine morì interamente. Sulla ramificazione madre si è sviluppata una gemma laterale oppure quella che si trovava al di sotto della foglia invasa dall’ Exoascus e da questa gemma si sviluppò tutto il sistema di rami dello scopazzo. Il grosso ramo rigonfiato (C) è inserito al di sopra della ramificazione madre. Quando noi confron- tammo la periferia di questi rami, trovammo che il ramo A al di sotto del rigonfiamento, misurava 6 cm. di circonferenza, il ramo B 3, il ramo C, presso la sua inserzione sul ramo A, misurò 18 cm. Quest’ ultimo superò la ramificazione madre: in esso si sono sviluppati più rami, dei quali i quattro più robusti presentavano alla base le seguenti circonfe- renze, di 11,9 cm. di 2,11 cm. di 3,10 cm. di 4,8 cm. Gli altri rami rimasero più piccoli oppure morirono e produssero poi le cicatrici ruvide della corteccia. Dai quattro grossi rami parti un ben sviluppato sistema di rami, che mostravano un bene spiccato geotropismo negativo. * Quando noi studiammo il ramo di 2 anni, trovammo che il primo segmento, il quale comprendeva parecchi germogli dell’ annata, aveva una lunghez- za di 30 cm. Dal ramo B si svilupparono due robusti rami I e II. Quest’ ultimo era un ramo sorto nel 1888, e il germoglio di questo anno misurava 10 cm. di lunghezza. Oltre a molti rami brevi già morti questo ramo ha sviluppato la sua gemma terminale, e quella superiore laterale per rami lunghi. La prima nel 1889 formò un ramo di un anno di 10 cm. di lunghezza, e questo, sebbene la sua gemma termi- nale fosse morta, ha sviluppato due superiori gemme laterali per rami lunghi. Una di queste ha dato nel 1890 un ramo della lunghezza di 10 cm. La gemma terminale dello stesso si sviluppò in un germoglio lungo il quale nel 1891 ha formato un ramo annuale di 18,5 cm. di lunghezza. Quest’ ultimo ha formato nuovamente la sua gemma termi- nale e due gemme superiori laterali per rami lunghi. Il germoglio lungo della gemma terminale raggiunse la lunghezza di 26 cm. e nel 1893 sviluppò senza eccezione le sue gemme, cioè per lo più rami lunghi dei 1 L'A. qui e altrove si serve della parola geotropismo negativo per indicare la direzione dei rami verso il basso. Evidentemente però, oltre alla radice, qualsiasi or- gano che si dirige all’ ingiù, ubbedisce a geotropismo positivo. — I? traduttore. 256 A. N. BERLESE quali il maggiore presentava una lunghezza di 13 cm. e mezzo. I più giovani rami svilupparono quest’ anno tutte gemme fogliari. In questo modo noi potemmo seguire ciascun ramo e ciò ci portò sempre agli stessi risultati. Il disegno rende possibile la constatazione di due diversi periodi di sviluppo di questo scopazzo, cioè il 1° fino al 1890 incluso, il 2° dal 1891 ad oggi. In quest’ ultimo noi constatammo, e presso lo scopazzo del ciliegio, o del pruno, come pure dell’ A/nus cana, che nei frequenti casi in cui ciascun ramo annuale era lungamente sviluppato, esso era provveduto alla base di un rigonfiamento e quasi senza ecce- zione ciascuna gemma normale era sviluppata in rami e mostrava uno spiccato geotropismo negativo. L’ accrescimento dello scopazzo fu vario fino al 1890. I germogli principali dell’ anno erano più brevi e porta- vano tracce di molte ramificazioni, le quali morirono nel primo o nel secondo anno. Dopo il 1890 vi si trovarono pochi rami morti. Le ci- catrici, le quali caratterizzano così distintamente i più vecchi rami di questo scopazzo, sono dipendenti dal fatto che i rami ordinarii forma- tisi, dopo uno o due anni muoiono fino alla base rigonfiata. Dopo ciò si sviluppano da questa base in rami, una o più gemme dormienti. Questi rami secondari muoiono alla loro volta e determinano lo sviluppo di nuove gemme dormienti. Così si hanno, per la continuazione di questo processo durante parecchi anni, le cicatrici alla base dei rami morti, e il distacco della loro corteccia. Per gemme dormienti noi comprendiamo quelle gemme le quali si originano all’ ascella delle gemme squamose e le quali ordinariamente non si sviluppano, e servono allorchè vengono danneggiate le normali. I due periodi della vita di questo scopazzo trovano la loro spiega- zione probabilmente nella quantità di nutrimento eccessivo di cui lo scopazzo abbisogna. Nei primi anni il ramo principale non era in grado di nutrire il ramo sano e il sistema di scopazzi che si accresceva ra- pidamente. Ciò portò per risultato che i rami dello scopazzo svoltisi, si nutrirono malamente e rimasero incompleti, e in parte anche morirono nell’ inverno, mentre il ramo sano B a poco a poco venne dagli stessì privato del nutrimento fino a che esso cadde. Negli anni seguenti , le soluzioni saline arrivarono allo scopazzo, e più tardi ampliarono le vie di nutrizione, come noi vedremo in seguito, cosichè i rami svoltisi senza danno conservarono le loro foglie e maturarono meglio il legno, cioè completarono l’ accrescimento, e così poterono conservarsi durante 1° in- verno e sviluppare nella primavera successiva le loro gemme in rami fortemente ipertrofici, i quali caratterizzano il secondo periodo. L' accre- RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 257 scimento del 1892 è cessato allorquando un ramo di quell’ anno designato “come ramo del 1892 aveva raggiunta una lunghezza di 40 cm. e mezzo. Dallo studio di questo scopazzo noi possiamo, rispetto alla sua for- mazione, trarre la seguente conclusione. Esso é originato da un’ iper- trofia prodotta dallo stimolo dell’'Exoascus. L' ipertrofia si mostra coi seguenti caratteri: Aumento della lunghezza e grossezza dei singoli rami e specialmente ingrossamento alla loro base. Numeroso sviluppo di gemme fogliari nei rami fogliferi; mancanza di germogli fioriferi. Morte di molti dei rami giovani. Sviluppo in rami delle gemme dormienti. Geotropismo negativo e incurvamento dei rami. Con altre parole sono questi i principali fattori che hanno'agito nella formazione di questi scopazzi. Noi cercheremo ora di vedere in qual modo agiscono questi fattori nella formazione anche di altri scopazzi deter- minati da Exoascacee. Le ricerche sopra gli altri scopazzi del ciliegio condussero al risultato che fattori simili hanno prodotto in tutti i casì micocecidi, quantunque l’ azione degli stessi fattori non sempre si estrin- sechi in eguale misura, cosichè ora sembrano più attivi alcuni, ora altri. In generale la morte dei rami annuali negli scopazzi del ciliegio, non è così estesa come lo mostra l’ esemplare rappresentato nella tavola, e così pure lo sviluppo delle gemme dormienti non ha luogo così frequen- temente come ce lo mostra, p. es: il Prunus Padus. Insomma conserva lo scopazzo del ciliegio, (quantunque apparisca una cosa eterogenea sulla ramificazione da cui trae origine), ancora più l'aspetto di un ramo norma- le di quello che noi non troviamo negli scopazzi delle altre piante arboree. Come abbiamo veduto prima, mancano interamente i fiori, di guisa che in primavera uno scopazzo di ciliegio si distingue, pel suo colore verde, molto facilmente dai rimanenti rami coperti da fiori. Le gemme foglifere degli scopazzi si svolgono prima di quelle che si tro- vano nei rami normali, e perciò lo scopazzo apparisce verde prima che spuntino le foglie sui rami sani. In uno scopazzo le foglie sono tutte alterate dagli Exoascus, e si distinguono pel grosso e rugoso aspetto del loro lembo, e per un ingrossamento del picciuolo. Quando esse in primavera si svolgono prima delle normali, allora cominciano anche a perdere la loro colorazione verde, e diventano pallide e finalmente brune. Gli aschi raggiungono la loro maturità nel primo estate, e formano uno strato biancheggiante sulle foglie, le quali dopo questo tempo dis- seccano, e a metà dell’ estate imbruniscono e cadono. Più vicino alla 17 . LI | PERA 258 W. G. SMITH — A. N. BERLESE nostra specia si mostra uno scopazzo di Prunus Padus, il quale venne tagliato presso Miltemberg, nella Franconia inferiore, nel marzo di quest anno. Le sue foglie non erano ancora sviluppate e quantunque un ben sviluppato micelio d’ Exoascus esistesse tanto nelle foglie quanto nei tessuti dei rami, esso non giunse a portare a maturità gli aschi, cosichè non fu possibile determinare con sicurezza la specie. Fino ad ora io nella letteratura non vidi ricordato alcuno scopazzo sul Prunus Padus, perciò noi possiamo ritenere che anch’ esso sia prodotto da una specie di Eroascus, la quale è affine a quelle Exoacacee le quali sono caratterizzate da micelio scorrente negl’ interni tessuti della pianta 0o- spite, e che determinano scopazzi nelle altre specie di Prunus e nei generi affini. Noi dobbiamo considerare tanto più quello scopazzo che mostra caratteri esteriori eguali a quelli di questo scopazzo, come sono descritti nell’ esemplare di cui parlammo. L’ aspetto di quest’ ultimo però si allontana in alcuni punti da quello degli altri scopazzi. Il nostro sco- pazzo forma un cespuglio molto ramificato compatto, quasi glohose, con un diametro trasversale di circa !, metro. * La ramificazione madre misura 3 cm. di diametro, e presenta un repentino ingrossamento cilindrico da 6 a 9 cm. di diametro sopra una lunghezza di 22. Questo si dirige verticalmente verso il basso, e si di- vide in molti rami, i quali si piegano bruscamente ad angolo acuto, e portano numerosi rami di diverse età densamente ricoperti con molti ramoscelli strettamente uniti gli uni agli altri. Sui rami di qualunque età fino ai più grossi, vi erano tante gemme fogliacee per metà svolte cosichè questo scopazzo nell’ estate poteva sembrare una solida massa di foglie. Ciascun ramo e ramoscello mostravano un forte geotropismo ne- gativo e ciascun germoglio dell’ annata era, in confronto ai normali, breve, molto più grosso, e mostrava un molto notevole ingrossamento basilare. La cortezza dei germogli annuali è facilmente spiegabile, to- stochè si studiano i giovani rami dello scopazzo, poichè dei medesimi nemmeno uno era rimasto vivo fino al suo apice. In questa primavera le gemme dello scopazzo si svolsero normalmente, e i geli tardivi uc- cisero molte di esse, cioè quasi tutti i rami dell’ annata. La presenza quindi di un numero maggiore o minore di rami morti dà una carat: teristica speciale a questo scopazzo. Grandissimo interesse offrono gli ingrossamenti basilari, i quali pel loro modo di sviluppo formano la più gran parte del sistema ramifero, ! Secondo Tubeuf si tratta dell’ Exoascus Cerasi (Il Trad.) RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 259 e danno a questo scopazzo una forma molto irregolare. Anche nei rami normali di Prunus Padus io trovai non di rado, come formazioni del tutto normali, degli ingrossamenti basilari che raggiungevano due o tre volte la grossezza della parte di ramo sovrastante. Probabilmente quelle normali formazioni danno origine ai grandi ingrossamenti dei rami iper- trofici. L' ingrossamento basilare in un ramo di un anno dello scopaz- zo di Pranus Padus raggiunge due fino a quattro volte ia grossezza del ramo rimanente, e mostra le cicatrici di numerose gemme squamose. Quando un ramo muore, rimane ordinariamente in vita il rigonfiamento basilare e continua ad accrescersì in grossezza. In alcuni casì l’ ingros- samento dopo la morte del ramo, ha rimarginato la ferita, e formato così un tubercolo corticale rotondeggiante. Nei rigonfiamenti che conti- nuano a vivere, le gemme dormienti si svolgono in rami, ciascuno dei quali è inserito sul rigonfiamento originario per mezzo di un suo pro- prio ingrossamento basilare che va ad ingrandire quello originario. In simile modo si possono da ciascuno dei rigonfiamenti secondari svolgere molte gemme dormienti e formarsi così dei rigonfiamenti ter- ziari, ete. Da ciò ne segue che per mezzo della morte di questi rami, e pel fatto che rimangono brevi i germogli annuali, cd ancora per ri- manere gli ingrossamenti basilari strettamente vicini gli uni agli altri, (ciascuno dei quali svolge poi le sue gemme dormienti in molti rami), sì sviluppa alla fine uno scopazzo di forma compatta ed irregolare; que- sto si mostra del tutto dissimile dallo scopazzo del ciliegio che è svelto e piuttosto regolare. Lo seopazzo del Pruno, il quale in alcuni luoghi, com’ è noto, è assal diffuso, è prodotto, secondo Sadebeck, * da una specie di Ezoascus (Eroascus Insititeae), il micelio del quale vive nei tessuti interni della pianta ospite, mentre gli aschi si sviluppano su'l’ epidermide inferiore delle foglie. Noi non ci fermeremo nella esposizione della morfologia di questo scopazzo, poichè essa nei suoi caretteri generali corrisponde molto bene con quella dello scopazzo del ciliegio. I rami dello sco- pazzo del Pruno mostrano delle distinte curvature secondo il geotropi- smo negativo. Essi sono più lunghi e più grossi dei normali. Gli in- grossamenti basilari non sono però molto appariseenti. I rami giovani sviluppano un gran numero di gemme fogliari, cosichè uno scopazzo è ramificato molto più di un ramo normale. Il numero delle gemme ! Sadebeck Krit. Unters. ueb. die durch Taphrina-Art. hervogeb. Baumkrankh, Hanburg 1890. 260 W. G. SMITH — A. N. BERLESE dormienti sviluppatesi è molto piccolo, probabilmente in causa dei po- chi rami che muoiono. I germogli annuali sono generalmente più brevi e più sottili di quelli dello scopazzo del ciliegio, e tutto lo scopazzo sì mostra, come già fu osservato, molto più compatto. Gli scopazzi dell’ Almus incana ordinariamente non sono rari nei luoghi dove cresce la pianta ospite. L’apparsa di questi scopazzi venne primieramente notata da Tubeuf,' che descrisse anche I azione di un Exoascus (Exoascus borealis); più tardi il Sadebek * condusse delle ac- curate ricerche sul fungo e riuscì a dimostrare per mezzo di infezioni artificiali che lo scopazzo dell’ Alnus incana è determinato dall’ azione dell’ Exoascus epiphylus. Così potè constatare 1’ identità di questo Exoascus coll’ Exoascus borealis di Johanson. Nel lavoro ricordato di Sadebek sono disegnati parecchi tipici scopazzi dell’ Ontano, i quali l’autore ha ricevuto recentemente da Tubeuf di Monaco. Gli scopazzi dell’ Alnus incana sono in generale relativamente pic- coli e non sempre rilevabili dall’ occhio non esercitato. Però essi mo- strano tutti quei caratteri, i quali vennero riscontrati in altre specie già trattate. L’ azione ipertrofica si mostra nella lunghezza, nella gros- sezza, nei rigonfiamenti basilari, nella direzione geotropica dei rami dello scopazzo, nella mancanza di rami fioriferi e nell’ alquanto diverso aspetto delle foglie nonchè nella loro precoce caduta. In ogni caso si trova un primo rigonfiamento di uno scopazzo nel punto in cui la gemma venne primieramente infetta, e si sviluppò in scopazzi. I punti d' infezione possono trovarsi sulle gemme terminali, sulle laterali, sui germogli o lunghi o brevi. E da quel punto verso l’alto tutto il sistema di rami, sviluppatisi dalla gemma infetta, mostra i caratteri dello scopazzo. Al- cune proprietà dello scopazzo, confrontate coi rami normali, noi possiamo rilevare dalla seguente analisi di due rami di Ontano. Questi rami ave- vano parecchi anni e portavano molti rami normali annuali, come pure parecchi giovani scopazzi. Questi rami vennero tagliati nella primavera del 1894, ed io notai quando essi erano ancora freschi, il numero e la lunghezza dei rami annuali, come pure il numero delle gemme che vi si trovavano. Tutte le cicatrici delle foglie cadute, nelle quali non si era sviluppata alcuna gemma, oppure dove le gemme erano cer'amente mor- te, io ho brevemente designato col nome di « cicatrici fogliari ». Il ramo A aveva: 1 Tubeuf Beitr. zur Kenntn. d. Baumkrankh. Berlin 1888. ? Sadebeck Untersuch. l. c. p. 23. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 261 10 rami brevi, ciascuno di una lunghezza minore di 4 cm. e con una gemma soltanto: 5 rami lunghi normali, cioè: I. di 4,5 cm. con una gemma e 6 cicatrici fogliari. II. di 5 cm. con una gemma e 4 » . III. di 6,5 cm. con due gemme e 4 >» » IV. di 8,75 » » tre » 4 » » V. di 10 » » quattro » 4 » » Due germogli di scopazzo cioè: I. di 8,25 cm. di lunghezza con 5 gemme e 4 cicatrici foliari. II. di 13 » » » » e 3 » » Il ramo B aveva: 12 rami brevi, ciascuno di lunghezza minore di 2 cm. e con una gemma. 1 ramo lungo normale della lunghezza di 6 cm. con 3 gemme e 4 cicatrici fogliari. 1 ramo di scopazzo di 9 cm. di lunghezza, con 4 gemme e 4 ci- catrici fogliari. 1 ramo di scopazzo di 11 cm. di lunghezza con 5 gemme e 4 cicatrici. Così ha luogo nei rami dello scopazzo un determinato aumento nella lunghezza e nel numero delle gemme che si sono sviluppate in quest’ anno. Il geotropismo negativo si mostra ordinariamente molto spiccato negli scopazzi dell’ Ontano, specialmente nei casi in cui la prima gemma infetta fu una gemma laterale. In quei casì il primo ramo dello scopazzo riuscì più o meno pen- dente dalla ramificazione madre e portò un sistema di rami, i quali s'incurvarono verso l’ alto fino ad assumere una direzione prossima alla verticale, mentre la ramificazione madre in causa del peso dello sco- pazzo s'incurvò più o meno. La insignificante mole dello scopazzo dell’ Ontano noi possiamo anche ritenere come uno speciale carattere dello stesso: spesso si vedono alberi con molti scopazzi, però io non ne vidi mai di molto grandi. Questa piccolezza trova una doppia spiegazione primieramente nella breve durata dei rami, secondariamente nel molto scarso sviluppo di gemme dormienti. Molto pochi scopazzi diventano più vecchi di tre o quattro anni; è anche loro proprio che, quando incomincia la morte, è raro che essa sì limiti ad una parte del ramo, come è il caso presso lo scopazzo del Prunus Padus, ma sì spinge sino alla fine di due rami 262 W. G. SMITH — A. N. BERLESE annuali, e muore poi l’intero scopazzo sino alla sua base. I rami morti sì staccano facilmente col vento, in seguito della loro sottigliezza e ri- gidità. Le gemme dormienti sì sviluppano soltanto nel caso in cui abbia avuto luogo la morte di un ramo. Dove i rigonfiamenti basilari riman- gono ancora viventi, ivi sì possono sviluppare sugli stessi delle gemme dormienti in numero più o meno grande, dalle quali può essere prodotto un nuovo scopazzo. Le foglie dello scopazzo dell’ Alnus incana si distinguono dalle normali per essere alquanto maggiori e più grosse, tanto nella lamina che nel picciuolo. Esse non sono così liscie come le normali, ma opache e grigie in seguito di sottilissime rughe e di molto piccoli peli. Le foglie di uno scopazzo sì svolgono più tardi delle normali. Sotto questo rapporto esse si comportano diversamente dalle foglie degli scopazzi dei Pruni. Nel maggio di quest’ anno io ho trovato presso Hohenschwangau. molti sco- pazzi dell’ Ontano, nei quali lo sbocciamento delle gemme avvenne più tardi che nei rami sani dello stesso albero. Questo fatto è confermato anche dalle ricerche del signor Tubeuf. Le foglie dello scopazzo cadono anche più presto in causa dello sviluppo degli aschi alla loro superficie e del disseccamento che ne segue. Scopazzi della Betulla — In diverse specie di Betula non di rado compariscono degli scopazzi. Però finora non sono determinate con sicu- rezza le diverse cause degli stessi. Sadebek ! dà due specie di Ezoascus le quali producono scopazzi; Exoascus turgidus, il quale produce in parte i grossissimi scopazzi della Betula verrucosa, e V Exoascus betu- linus, che determina delle deformazioni scopazziformi sulla Betula pu- bescens e sulla Betula odorata. In seguito è citata nel Jahresbericht di Just una osservazione di Ormerod ? il quale riporta la formazione di scopazzi per la puntura di acari sulle gemme della Betula verrucosa (Betula alba, L.) Sopra le diverse cause di questi scopazzi io non posso insistere; e mi limiterò quindi alla trattazione dei molto diffusi scopazzi della Betula verrucosa, nei quali è stata dimostrata la presenza di un Exoascus. Questo scopazzo può raggiungere il diametro trasversale di un metro. Il suo aspetto compatto e simile ad un nido d’ uccello, ed il trovarsi esso sulle Betulle lo rendono molto facilmente riconoscibile. La compattezza è determinata dallo sviluppo di una quantità di rami sol- ! Sadebeck Monogr. ]. ec. p. 59-61. ? Ormerod In Just's hot. Iahresherichte, 1887, p. 514. : RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC, 263 tanto da uno o pochi nodi centrali. Se noi studiamo più da vicino l'oggetto, troviamo primieramente soltanto alcuni nodi centrali in luogo delle gemme, dai quali trae origine lo scopazzo. Negli altri casi si sviluppa il nodo centrale sul rigonfiamento ba- silare dei rami più vecchi dello scopazzo. Da questo nodo centrale partono rami in tutte le direzioni. Il nu- mero dei rami sopra un rigonfiamento centrale è così grande per pic- colo che sia lo scopazzo, che esso si può spiegare soltanto pel fatto che le gemme dormienti si sviluppano dalla base di piccoli germogli morti e sempre rivolti verso il basso. Nei maggiori scopazzi noi troviamo i nodi centrali strettamente avvicinati, ciascuno col suo sistema di nu- merosi rami sottili: così lo scopazzo diventa grosso e compatto. I singoli rami sono più brevi dei normali, però più grossi. Nel punto in cui un ramo è inserito nella ramificazione madre, mostra uno speciale ingrossamento, per lo più in forma di bulbo, oppure il ramo viene ingrossandosi a poco a poco dall’ apice verso la base. Il rigonfia- mento basilare è molto caratteristico in questo scopazzo; nei rami an- nuali possono le gemme svilupparsi in rami nel prossimo anno. Dai rami secondari se ne possono sviluppare altri, però si trova per lo più che i rami di ciascun nuovo anno diventano sempre più piccoli, e che finalmente un tal sistema di rami muore sino al rigonfiamento centrale. Questa morte dei rami contribuisce anche a mantenere lo scopazzo grosso e compatto intorno ad alcuni pochi nodi centrali. Si mostra naturalmente geotropismo negativo dove i rami riman- gono brevi e grossi, e sono stretti l’ uno all’ altro e non cadono facil- mente. Nello scopazzo della Betula noi abbiamo una deformazione la quale in generale nella forma e nell’ aspetto sì allontana notevolmente da quelle fin qui studiate. Però vi sono anche presso di questo tutti i ca- ratteri principali degli altri scopazzi. Un passaggio a questa forma di scopazzo si trova in quello del Prunus Padus, dove come in quello della Betula viene determinata la formazione di uno scopazzo compatto in seguito alla morte di rami e del conseguente sviluppo di nuove gemme. Rispetto alle foglie di questo scopazzo, io posso rimandare il lettore alla monografia di Sadebeck (pag. 59-61), nella quale esse sono descritte accuratamente. Pel risultato delle nostre ricerche sui rapporti morfologici dei sopra descritti scopazzi, noi possiamo affrontare le difficoltà che essi offrono 264 W. G. SMITH — A. N. BERLESE raccogliendole nel seguente capitolo, poichè non abbiamo lungamente trattato dell’ anatomia dei tessuti. L’ Exroascus esercita sopra le semme della pianta ospite uno sti- molo pel quale esse si sviluppano quasi senza eccezione in germogli fioriferi, i quali crescono più rapidamente dei normali, e mostrano una ipertrofia nell’ accrescimento longitudinale e trasversale, nella aumentata formazione di gemme, e un geotropismo negativo. L’ azione del fungo si dimostra fortissima nel tessuto della base del ramo, e determina qui un rigonfiamento. Che i tessuti del germoglio ipertrofico siano incom- pletamente sviluppati, noi vedremo in seguito, e come conseguenza di ciò vedremo avvenire anche la morte del germoglio ipertrofico, la quale a sua volta determina lo sviluppo delle gemme dormienti. Questi sco- pazzi formati in un modo del tutto diverso, e per ciascuna specie di al- bero e per ciascuna specie di Exoascus, sono tutti qui rappresentati nei loro rapporti di formazione. Anatomia degli scopazzi In questo capitolo noi dobbiamo studiare l’ anatomia dei tessuti degli scopazzi di cui abbiamo esposta la morfologia, cioè di quelli del Prunus Cerasus, Prunus Padus, Prunus domestica, Alnus incana e Betula verrucosa. Con questa anatomia noi confronteremo i rapporti anatomici dei rami normali, i quali relativamente all’ età ed alla loro formazione nel sistema rameale, sono analoghi a quelli degli scopazzi. Do- ve il materiale lo permetteva, vennero fatte le sezioni sopra rami dello stesso albero, e cioè germogli sani vennero, naturalmente, tagliati in luoghi che certamente non erano influenzati dai rami ammalati. La ricerca venne condotta in tutti gli alberi sopra nominati, essa diede rispetto al confronto dei rami normali, come pure riguardo alle altera- zioni prodotte dai parassiti, in realtà risultati così concordanti, che lo scopo di questo lavoro è raggiunto già, quando venga trattata in det- tagli una sola specie, e vengano le altre confrontate con questa. Io ho scelto l AZnus incana, per la quantità di materiale che era a mia di- sposizione, e per lo sviluppo particolarmente elevato dei diversi carat- teri dello scopazzo che questo materiale mostrava. Gli scopazzi sopra ricordati possono essere divisi in due gruppi: il primo comprende quelli del ciliegio, del pruno e del pado, nei quali il micelio degli Exoascus sì trova nei tessuti interni: il secondo comprende quelli dell’ ontano e Li RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 2.65 della betulla, nei quali il micelio scorre soltanto sotto la cuticola delle cellule epidermiche. La presenza di un micelio interno presso le sud- dette rosiflore venne rilevata da diversi autori, specialmente da Rathay, Kutsomitopulos ' e Sadebeck * e facilmente questo micelio si trova nei tes- suti dei giovani rami e delle foglie: Kutsomitopulos dice: « Il micelio abita negli spazi intercellulari degli organi di vegetazione, cioè occupa il parenchima della corteccia primaria, del midollo e dei raggi midol- lari, il cambio, il fioema primario e secondario e il parenchima legnoso ». L'azione del micelio, la quale determina l’ ingrossamento e la strati- ficazione delle pareti cellulari colle quali esso viene a contatto, venne già studiata da Rathay.* La mancanza di un micelio interno nell’ altro gruppo di scopazzi venne rilevata da Sadebeck, il quale non lo trovò in seguito ad accurate ricerche in alcun altro luogo dei rami o delle foglie, eccetto che negli strati subcuticulari delle cellule epidermiche. Nelle mie ricerche io confrontai i tessuti del ciliegio che contenevano micelii, molto accuratamente con quelli degli scopazzi dell’ Almus. Io non potei però trovare alcuna differenza nell’ azione dei funghi sopra le due piante ospiti, altro che le pareti delle cellule del tessuto del ciliegio erano ispessite. Infatti le azioni delle specie di Exoascus sopra i diversi tessuti delle loro piante ospiti, sono così simili l’ una all’ altra che dal punto di vista anatomico si dovrebbe aspettarsi anche presso 1° Ontano la presenza di un micelio interno, come nelle specie di Prunus. Tut- tavia io non lo trovai nemmeno una volta. Un ramo giovane, cresciuto normalmente, di Almus incana (e ge- neralmente anche degli altri alberi sopra ricordati) mostra i seguenti tessuti: una zona suberosa esterna bruna, costituita da più strati di cel- lule vuote con pareti ispessite suberificate; il fellogeno che forma un molto sottile felloderma di uno o due strati cellulari; il parenchima della corteccia esterna che è un tessuto collenchimatico, gli elementi del quale contengono protoplasma e clorofilla. Questo passa in un paren- chima interno formato da grosse cellule contenenti protoplasma e con molte druse, però con poca o punto clorofilla. In taglio longitudinale le cellule si mostrano a spigoli lunghi e ordinate in serie rettilinee. I cordoni di fibre corticali primarie formano un anello piuttosto interrotto. ! Kustomitopulos Beitr. Kenntn. Exoascus Kirschb. Sitzungber. d. phys.-med. Sec. Erl. 1882. ? Rathay Ub. Kirsch-Hexenbes. p. 11, 3 Sadebeck Monogr, l. e. p. 27. 266 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Gli spazi che esistono tra le porzioni dell’ anello sono occupate da cel- lule sclerenchimatiche con parete ispessita. Il floema consiste in tubi cribrosi, parenchima, cellule dei raggi corticali e fibre divise contenenti cristalli in serie. Il legno (xilema) è formato da vasi, tracheidi, fibre legnose, parenchima legnoso e qualche volta anche da cellule fibrose. I raggi midollari sono numerosi, formati per lo più di un solo strato di cellule, ad eccezione di alcune specie di Prunus, presso le quali essi sono composti da più strati cellulari. Il midollo, presso 1’ Ontano è bian- goloso, e tanto qui come presso le specie di Prurus, consiste in una guaina esteriore grossa di cellule isodiametriche, a pareti ispessite, pun- teggiate, le quali contengono amido di riserva, e di un cilindro centrale di tessuto lasso, formato da cellule maggiori a pareti sottili e egual- mente punteggiate, le quali contengono poco o punto amido, ed invece molti cristalli. Presso la Betuîa il midollo è omogeneo, interamente riempito di amido e soltanto con pochi cristalli. Se noi studiamo primieramente i grossi rami e i ramoscelli, i quali mostrano uno sviluppo ipertrofico dovuto alle Exoascacee, allora la ri- cerca è resa abbastanza difficile, poichè le alterazioni, anche quando i tessuti del rami presentano un notevole allontanamento dalla struttura normale, non sono molto rilevabili. Il fungo non distrugge i tessuti, nè determina nuove formazioni. Tutte le deviazioni dalla struttura norma- le dei rami degli scopazzi, sono piuttosto la conseguenza di un accre- scimento accelerato o arrestato di quella parte dell’ albero che viene intaccata, e si trovano tutti i passaggi dal tessuto normale a quello alterato, così che è spesso difficile dire dove comincia l’ ipertrofia. I rami dello scopazzo mostrano delle deviazioni di struttura secondo la loro posizione sul sistema rameale della branca madre o secondo l’ at- tività vitale dell’ albero e la presenza di altri fattori, i quali influi- scono sull’ accrescimento dei rami normali. Egualmente si possono con- statare delle differenze nell'interno degli stessi rami. Queste differenze sono tanto maggiori quanto più le sezioni vengono condotte vicino ai rigonfiamenti. Le più grandi deviazioni sono quindi nel rigonfiamento stesso. Nei casi più spiccati si presenta quindi una serie di alterazioni abbastanza costanti in diversi tessuti delle ramificazioni grandi e pic- cole, le quali si trovano più o meno costantemente negli scopazzi. Noi tratteremo più da vicino di questi rapporti in ogni scopazzo. L’ epidermide dei rami di un anno dello scopazzo, p. es: dell’ On- tano, è ordinariamente lucente, e poco liscia, e leggermente rugosa. Ap- pariscono più tardi anche lenticelle più distinte che presso i rami nor- RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 267 mali. Se si studia la zona soverosa dei rami di un anno, allora si trova che essa soltanto accidentalmente è composta dello stesso numero di strati cellulari, quale sì osserva nei rami normali, poichè invece più spesso sono aumentate le cellule, specialmente nel senso radiale. Le pareti sono più sottili e imbrunite soltanto nelle cellule soverose esterne , mentre quelle interne hanno pareti incolore e contengono protoplasma. Le cellule che formano le lenticelle sono maggiori e non così strettamente vicine le une alle altre. Verso il rigonfiamento basilare lo strato soveroso è frequentemente lacerato; ivi si trova anche sovero secondario. Mano mano che sì dissecca il parenchima corticale, si formano le cicatrici rotondeg- gianti ruvide, come sono visibili nella tavola annessa. Alle cellule su- berose interne succedono le cellule ricche di protoplasma di un felloderma il quale ordinariamente nei rami dello scopazzo è meglio formato che nei grossi rami normali Parenchima corticale. Se si ricerca la causa dell’ ingrossamento di un ramo di scopazzo, si trova che tanto la corteccia quanto il corpo legnoso sono ingrossati ' ed hanno determinato un fortissimo aumento. Nel rigonfiamento basilare la corteccia è relativamente più grossa che il corpo legnoso, e cioè essenzialmente in seguito all’ accrescimento del parenchima corticale. Nella parte superiore dei rami dello scopazzo possiamo distinguere anche una corteccia esterna ed una interna; presso il rigonfiamento però diminuisce quasi per intero qualsiasi differenza. In ambedue le zone le cellule si sono aumentate e in grossezza e in numero ; esse hanno un diametro trasversale, un contorno rotondeggiante o alquanto ! Offriamo qui i seguenti dati, ricavati da Rathay dallo scopazzo del Ciliegio. Ramificazione | Asse basilare | Ramificazione| Asse basilare|Ramificazione| Asse basilare madre dello | dello i madre dello | dello madre dello dello scopazzo | scopazzo scopazzo | scopazzo scopazzo scopazzo danni in Massima grandezza Diametro massimo del delle zone corpo legnoso i : A 20 19 | 25 mm. | 35 mm. | 26 mm. | 385 mm. B 19 18 2,00 » 3a » Ch » 40» Cc 10 9 bal» 3,5 >» 26 » 30 » D 11 10 1,9 >» 5,00 » 13 >» | 16 » 268 W. G. SMITH — A. N. BERLESE ovoidale. In taglio longitudinale esse presentano una forma più roton- deggiante e perdono la loro disposizione in serie longitudinali. (Vedi fig. 1-2). Le cellule contengono protoplasma, quella della zona esterna anche clorofilla, mentre quelle della corteccia interna ne hanno poca o punto. I cristalli si sono notevolmente aumentati in numero. Presso ì rigonfiamenti basilari di Prunus Padus vi trovai nelle cullule del parenchima corticale anche un succo rosso che non potei constatare nei rami normali. SE) si CI l 9 Se lo, © I O TO <| D (ra sani n. ossea OLS ass, (Ed) RK O) a) GS Ù È a_i Fig. 1 Fig. 2 Sezione longitudinale della cortec- Sezione longitudinale del parenchi- ma corticale di un giovane ramo-sco- pazzo dì A/mus Incana al medesimo ingrandimento della Fig. 1. cia normale di un giovane ramo di Alnus Incana. Fasci fibro-vascolari — Nei rigonfiamenti basilari la zona dei fa- sci fibro-vascolari è interrotta più o meno dai raggi midollari pri- mari, poichè per l’ appunto in questo luogo i raggi midollari spesso raggiungono una grandezza notevole e formano tratti di parenchima a grosse cellule che dal midollo si spingono fino alla corteccia. Essi si allar- gano ogni anno sempre più, cosichè finalmente sono disposti come biette dalla corteccia al midollo. (Vedi fig. 3). In taglio tangenziale appari- scono questi grossi raggi come gruppi ovali o rotondi di cellule pun- teggiate fra la rete di fasci vascolari, nella disposizione dei quali così determinano un notevole disordine. Nella parte superiore del ramo i raggi midollari primari non sono tanto grossi, così che i fasci vasco- lari sono normalmente ordinati e riuniti in un anello continuo. Questo stesso ingrossamento dei raggi midollari esiste, secondo Wòrnle * nei ri- ! Wornle 1. c. p. 7 della dispensa del sett. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 269 gonfiamenti delle specie di ginepro prodotti di Gymmnosporangium, ed anche in maggior grado che nel nostro caso. La guaina di fibre sclerenchimatiche si mostra nella parte supe- riore dei rami come un anello più o meno chiuso formato da cordoni fibrosi con cellule sclerenchimatiche interposte come nello stato normale. Presso il rigonfiamento i cordoni fibrosi sono più lontani l’ uno dall’ altro; i singoli cordoni diventano più piccoli, e risultano formati da poche fibre fino ad un punto nel quale essi mancano affatto. Anche le fibre si fanno man mano più brevi, e le loro pareti sono meno in- grossate. o . LI Pie.'8 Taglio trasversale di un grosso ramo dello scopazzo di Prunus domestica. I raggi midollari fortemente sviluppati sono lasciati in bianco. ® Le cellule sclerenchimatiche dei cordoni fibrosi si moltiplicano nel rigonfiamento: esse non formano però mai un anello chiuso, cosichè le cellule a pareti sottili del parenchima corticale s’ interpongono fra que- sti e la corteccia. Le cellule sclerenchimatiche sono più grosse, a pa- reti più sottili, e quindi con un lume maggiore di quelle normali cor- rispondenti. Il floema non mostra, oltre alla guaina sclerenchimatica, nessuna altra alterazione. L'intera corteccia si è allargata, e ciò trova la sua causa principalmente nella moltiplicazione delle cellule parenchimatiche, 270 W. G. SMITA — A. N. BERLESE specialmente cioè di quelle dei raggi corticali. Questi ultimi cominciano nella zona cambiale come prolungamenti dei raggi midollari legnosi, e sono costituiti da cellule che si distinguono dalle altre in causa della loro grandezza e del loro scarso contenuto. Verso la guaina sclerenchi- matica i raggi corticali diventano più larghi e le loro cellule aumen- tano in grossezza; là dove essì interrompono la guaina, le loro cellule passano a poco a poco nelle cellule esterne del parenchima corticale. Gli stretti elementi del floema sono limitati in vicinanza del cambio e appariscono in taglio longitudinale come masse di elementi scorrenti parallelamente e con un contenuto ricco di protoplasma. Essi sono di- visi da raggi corticali a grossi elementi e con poco protoplasma. Fra i tessuti floematici gli elementi parenchimatici mostrano un aumen- to in grossezza, e sono distintamente aumentate anche le fibre cri- stallifere. Il corpo legnoso mostra specialmente le molte interessanti azioni delle Exoascacee. Ciò riguarda principalmente la distribuzione delle tracheidi e delle fibre legnose, per cui noi dobbiamo studiare il fenomeno in riguardo alle due principali funzioni del legno, cioè il tra- sporto dell’ acqua e la resistenza, in seguito allo sviluppo del sistema meccanico. Questi rapporti sì studiano nel miglior modo nel corpo le- gnoso dei vecchi scopazzi, come per es. in quelli delle specie di Pru- nus, i quali raggiungono una ragguardevole età. Collo studio di se- zioni attraverso il corpo legnoso di molti scopazzi io trovai frequente- mente le seguenti cose: Nel 1° anno si forma una larga zona costi- tuita da molte trachee e poche fibre legnose, poi succede un periodo di molti anni nel quale gli stretti anelli annuali sono costituiti prin- cipalmente da trachee; però mostrano, sebbene relativamente in grado debole, un aumento nel numero delle fibre legnose. Il limite del legno d’ autunno è debolmente pronunciato, cosìchè le zone annuali si rilevano difficilmente. Siccome il ramo preso in e- same aveva circa sette anni, noi potemmo distinguere un nuovo perio- do, nel quale gli anelli annuali più larghi erano distinti da una zona stretta e nettamente limitata in legno di primavera, formato essen- zialmente da trachee larghe, e in legno d’ autunno raccolto in zona più larga e costituito da fibre legnose con poche e strette trachee. Le sezioni condotte attraverso alla ramificazione madre in vicinanza dello scopazzo, mostrano la medesima disposizione delle trachee e delle fibre legnose nelle zone annuali corrispondenti. Egualmente i primi anel- li normali sono caratterizzati da zone autunnali distintamente visibili. A spiegazione delle cose dette io do le seguenti misure di uno scopazzo RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. ST del ciliegio. Le stesse vennero prese 1° nella ramificazione madre 5 cm. al disotto del rigonfiamento dello scopazzo, 2° alla base dello stesso, 3° in un ramo principale dello scopazzo al di sopra del rigonfiamento. Raggio del periodo di formazione delle fibre legnose pa danni: ye da AD DAI 2. a dati alto Legiza 3. FONTE. sole er Raggio del periodo di formazione delle trachee bi, 6-8 anni atta 00) Res. 2. e fol ARA Oa 3. Da al MSA Raggio del periodo di sviluppo normale PLAN AI) GORAN AMOS ATTO AGO UU CIO — — La distribuzione sopra esposta delle trachee e delle fibre legnose nei periodi, è presso a poco generale nei rami dello scopazzo delle spe- cie di Prunus. Nei rami sani gli anelli dei primi anni hanno pure molte trachee e poche fibre; nei successivi però si forma una regolare zona primaverile con trachee a largo lume e una zona di legno estivo ad elemeati con lume ristretto. La presenza di molte trachee negli anelli dei primi anni indica il passeggio di una grande corrente acquea, men- tre nel periodo successivo d:llo scopazzo il materiale per la formazione delle fibre legnose (il quale cenza dubbio è necessario pel rapido au- mento in peso dello scopazzo stesso) viene utilizzato. Negli scopazzi di breve durata dell’ Ontano il corpo legnoso mo- stra naturalmente poche zone annuali. Numerose ricerche dimostrano che i primi due anelli annuali di un ramo di scopazzo sono larghi e prin- cipalmente formati da trachee con largo lume. L’ anello del terzo anno è pure largo, però le trachee a lume largo sono limitate al legno pri- maverile, mentre le fibre legnose e le trachee strette formano una zona interna. In ciascuna annata delle successive si formano anelli più sot- tili costituiti da una stretta zona primaverile con larghe trachee e da una zona autunnale composta di elementi a lume ristretto. Negli scopazzi della Betula la maggior parte dei rami muore (come già abbiamo ricordato) dopo pochi anni. L’ anello del primo anno di quei rami è più largo che l’ anello dell’ anno corrispondente nei rami sani, e consiste principalmente di trachee a lume largo. Gli altri anelli annuali non sono mai larghi e ogni anno sono più sottili. Nelle rami- PAPA W. G. SMITH — A. N. BERLESE ficazioni che portano rigonfiamenti centrali e che vivono molti anni, gli anelli dopo il primo anno sono sottili. Dove i rami di uno scopazzo mostrano forti curvature di geotro- pismo negativo (come nella tavola XIV), ordinariamente il midollo è eccentrico. Ciò è prodotto da un ineguale ingrossamento delle zone le- gnose. Così simili casi si mostrano dove il ramo curvato, e reso pen- dente, prima o poi si rivolge verso l’ alto. La disuguale grossezza del- l'anello legnoso è più notevole nell’ angolo dell’ incurvamento. Il mag- giore accrescimento viene qui al lato superiore del ramo al di sopra del midollo steso orizzontalmente. Esso viene determinato specialmente dall’ aumento delle fibre legnose negli anelli annuali più vecchi. Ciò si spiega da sè poichè il sistema di rami di uno scopazzo è un peso notevole per quel ramo che lo deve sostenere. Le curvature brusche proprie ai rami dello scopazzo, aumentano la tensione special mente nel luogo della curvatura stessa, cosichè potrebbe seguirne la rottura, se non venissero impiegati speciali mezzi, sotto forma di un aumento nel tessuti meccanici, per es. nelle fibre legnose. Qui si deve osservare che io trovai nel corpo legnoso dello sco- pazzo del Pruno una formazione di gomma più abbondante che nei rami normali. Essa comparisce principalmente nelle zone legnose pri- maverili, e per parecchi anni: così, per es. io ho osservato nei rigon- fiamenti degli scopazzi del ciliegio, dei quali diedi la misura più s0- pra, che in otto dei dodici anelli annuali esistenti, aveva avuto luogo formazione di gomma. Questo fenomeno patologico non è raro nemmeno nei rami normali del ciliegio, e fu già 1’ oggetto di molte ricerche. Frank ' trattò questa questione, e ammise cause diverse nella for- mazione della gomma, tra le quali principalmente le lesioni agli alberi. Raggi midollari — Noi abbiamo già trattato della alterazione che subiscono ì fasci conduttori per opera dei raggi midollari. Lo studio di un taglio trasversale in un ramo di scopazzo dimostra che i raggi midollari, in causa del loro aumento in numero e in grossezza, s0- no, in confronto dei normali, subito rilevabili. La fig. 3 rappresenta un taglio trasversale ingrandito condotto attraverso il corpo legnoso di una ramificazione madre, presso al rigonfiamento dello scopazzo. Nel primo anello annuale i raggi midollari sono in gran parte unicel- lulari e normali. Nel secondo le cellule degli stessi diventano più grosse e nei successivi i raggi midollari aumentano rapidamente in larghezza 1 Frank Krankh. d. Pflanz. Breslau 1881. ba se RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 273 specialmente nella zona legnosa primaverile. L’ ingrossamento nei raggi midollari dello scopazzo ha luogo tuttavia più per 1’ ingrossamento delle cellule che per un aumento nel numero delle serie cellulari. Nei rigon- fiamenti basilari, dove i raggi midollari raggiungono la maggiore lar- ghezza, essi sono formati naturalmente da più serie di cellule, mentre quelli che si trovano al disopra del rigonfiamento hanno ordinariamente il numero normale di serie cellulari, e le cellule sono visibilmente in- grossate, come lo mostrano le figure 4, 5, 6 e 7. Le cellule sono più rotonde e più larghe, cosichè esse si appoggiano strettamente contro le pareti degli elementi vicini, e le alterano. A questo ingrossamento dei raggi midollari nei rami dello scopazzo noi dobbiamo in gran parte ascrivere l’ aumento in grossezza dell’ in- tero corpo legn:so. Noi abbiamo già dimostrato sopra che, tanto il corpo legnoso, quanto la corteccia in seguito alla aumentata grossezza contri- buiscono alla ipertrofia del ramo. I singoli elementi legnosi non mostrano affatto un accrescimento visibile nè nella grossezza nè nel numero. L'aumento del corpo legnoso è prodotto piuttosto soltanto dall’ al- largamento del midollo e dei raggi midollari. Questi devono naturalmente per la loro grossezza e per trovarsi a contatto col corpo legnoso, aumentare il diametro del corpo legnoso stesso. Elementi del legno — In confronto ai rami normali gli scopazzi mostrano poche deviazioni. Ciò dimostra a sufficienza che le Exoascacee determinano un aumento nella attività cambiale ed una incompleta for- mazione di elementi. Gli elementi che contengono protoplasma sono molto più numerosi. Ciò sì osserva così facilmente nei rami tagliati di recente, per es: di Almus Incana, che la superficie del taglio di un ramo di scopazzo diventa bruna più rapidamente di quella di un ramo normale. La accurata ricerca fa ascrivere questo fatto alla presenza di cellule contenenti protoplasma, e cioè non soltanto appartenenti ai raggi mì- dollari, ma ancora al parenchima legnoso (vedi figure 4 e 5). I tagli longitudinali tangenziali mostrano nel miglior modo le diverse altera- zioni del legno come si può rilevare dalle figure 6 e 7, tratte da rami di Betula. Una sezione è condotta attraverso ad un ramo ipertrofico in- grossato, al di sopra del rigonfiamento basilare: l’ altra, attraverso un ramo sano, corrispondente al primo. In questa parte i raggi midollari sono unicellulari tanto nei rami normali che in quelli dello scopazzo , però in questi ultimi essi sono aumentati e le loro cellule sono più lar- 18 È 274 W. G. SMITA — A. N, BERLESE ghe e più rotondeggianti, cosichè determinano curvature più 0 meno pronunciate, le quali scorrono parallele agli elementi legnosi. Il paren- chima legnoso è parimenti aumentato; esso però non si rileva facilmente in un taglio tangenziale e dalle cellule dei raggi midollari, e dalle fibre legnose divise in cellule. Le fibre legnose si alterano nei rami dello scopazzo secondo due modi: primieramente le fibre diventano più brevi e con parete più sottile; secondariamente le fibre divise in cellule diventano molto più abbondanti che nel legno normale. Specialmente nella Betula si trovano fibre divise in cellule, le quali sono corte, e le loro pareti Fig. 4 . Sezione trasversale di una porzione legnosa di un ramo plu- riannuale di cigliegio. o i Le cellule parenchimatiche sono punteggiate. sono soltanto poco ispessite, ed hanno punteggiature poco decise, cosichè esse soltanto difficilmente si possono distinguere dal parenchima legnoso: le trachee sono raccorciate e il loro corso è bene spesso alterato dai raggi midollari, cosichè i membri dei vasi non formano un tubo verti- cale, ma mostrano delle deviazioni laterali, allontanandosi profondamente dalla struttura normale. Le pareti delle trachee sono più sottili, però conservano ancora le loro punteggiature e le altre differenziazioni della membrana. Queste alterazioni del corpo legnoso appariscono in grado molto diverso secondo la specie di albero e secondo la superficie del taglio. E e RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 275 Esse sono pronunciatissime nei rigonfiamenti basilari ; si trovano però più o meno accentuate lungo tutto il ramo. Ne’ rami dello scopazzo dell’ Alnus, della Betula e del Prunus domestica, vennero trovate delle cellule speciali (Zellhànge). Se però queste siano diverse e per grandezza e per numero da quelle che si trovano nei rami normali, non ricercam- mo in questo lavoro. Esse appariscono ai limiti delle zone annuali primaverili tanto nel ramo dello scopazzo quanto nella branca madre. Il midollo, come ricordammo, si è più o meno ingrossato nel ramo Fig. 5 Sezione trasversale di un ramo scopazzo della stessa età e allo stesso ingrandimento. Il parenchima è aumentato e le cellule dei raggi midollari sono ingrandite. dello scopazzo, a seconda del grado dell’ ipertrofia. Nei rami dello sco- pazzo le cellule midollari sono ingrandite, conservano però ancora l' ispes- simento delle pareti, sebbene in minore grado. Le foglie degli scopazzi mostrano una debole deviazione dalla struttura delle foglie normali. Vi si trovano tutti i tessuti allo stato normale, il mesofillo però rimane in uno stato giovanile, e non si differenzia in palizzata e spu- gnoso. Le cellule sono quasi sferiche, e limitano soltanto dei piccoli 276 W. G. SMITH — A. N. BERLESE spazii intercellulari. Nei picciwoli e nelle nervature i tessuti normali con- servano la loro disposizione, però gli elementi parenchimatici sono in- granditi. Riepilogo delle alterazioni anatomiche degli scopazzi prodotti dalle Exoascacee I rami degli scopazzi, confrontati coi normali, mostrano le seguenti cose. Tanto la corteccia che il corpo legnoso sono aumentati in gros- sezza, però la prima lo è relativamente di più. EM dii I Iii: I Sezione longitudinale tangenziale del legno normale di un ramo bienne di Betuia verrucosa. G. Vasi — Hf Fibre legnose — GF. — Fibre legnose concamerate — MS. Raggi midollari. Le cellule soverose sono alquanto ingrandite e mantengono ll loro protoplasma più lungamente. Il felloderna sviluppato più fortemente. L’ipoderma è quel tessuto il quale nell’ aumento della grossezza della corteccia entra per la maggior parte. Le sue cellule sono aumen- tate e non più disposte in serie longitudinali. L'anello selerenchimatico — I cordoni di fibre corticali primarie rimangono più piccoli e più o meno disgiunti l’ uno dall’ altro. Essì È RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. ZI possono anche interamente mancare negli scopazzi. Le fibre corticali stesse rimangono più brevi con pareti meno ispessite. Le cellule scle- renchimatiche sì formano in maggiore copia. Esse sono più grandi; però hanno pareti più sottili. Il floema aumenta principalmente in seguito all’ ingrossamento e all'aumento dei raggi corticali. Gli altri elementi possono pure aumen- tarsi nel senso trasversale. I cristalli sono aumentati. Il corpo legnoso è accresciuto in diametro trasversale per 1’ au- mento e l’ ingrossamento dei suoi elementi e specialmente del midollo Fig. 7 Sezione longitudinale tangenziale di un ramo-scopazzo della. — stessa età e allo stesso ingrandimento. G. Vasi — MS. Raggi midollari. e dei raggi midollari. Le trachee sono aumentate e i loro membri sono abbreviati. Le fibre legnose hanno parete più sottile, lume più largo e sono spesso divise. Il corpo degli elementi lunghi è alterato in seguito all’ ingrossamento dei raggi midollari. i CN NI AT Noi possiamo ora raccogliere i diversi fatti esposti nei due ultimi Capitoli e discutere sino a qual segno nell’ anatomia degli scopazzi 1 caratteri morfologici degli stessi possono spiegare le deviazioni di strut- 278 W. G. SMITH — A. N. BERLESE tura. Presso ciascun scopazzo noi troviamo una ipertrofia determinata dallo stimolo; la stessa si riconosce nel seguente modo A. In seguito alle deviazioni anatomiche nei tessuti dell’ ospite. a nell’ aumento e ingrossamento degli elementi b nella incompleta formazione degli elementi B. Morfologicamente per i caratteri suesposti. Il maggior accrescimento in lunghezza e in grossezza degli organi dello scopazzo viene prodotto principalmente dalla moltiplicazione e in- grossamentò dei tessuti parenchimatici, e cioè specialmente del midollo, dei raggi midollari e corticali e del parenchima corticale. Questi tessuti corrispondono esattamente a quelli degli scopazzi del ciliegio, nei quali Kustomitopulos e Rathay hanno osservato il micelio di Exoascus. To trovai le alterazioni non soltanto negli scopazzi delle specie di Prunus, ma anche distintamente in quelli dell’ A/nus e della Betula, nei quali il micelio non fu osservato nei tessuti interni. La formazione degli ingrossamenti basilari è manifesta nella ipertrofia prodotta dallo stimolo del fungo, il quale mantiene i tessuti molto giovani. La presenza degli ingrossamenti basilari in unione alla esistenza di una minore alterazione dei tessuti della parte superiore dei rami-scopazzi, indica uno stato simile a quello che si ha nella azione di altri funghi parassiti , come p. es. Melampsora (Calyptospora) Goeppertiana. Qui la presenza dei mi- celi del fungo determina in un germoglio una forte ipertrofia delle cel- lule corticali nei ramoscelli quando sono giovani; però nello stesso tes- suto in uno stato più avanzato, il micelio non può esercitare alcuna in- fluenza. Esso si estende fra i tessuti più lentamente di quello che non si sviluppi il germoglio; cosichè le cellule corticali della sommità dello stesso hanno compiuto il loro accrescimento quando sopravviene il mi- celio. In seguito a ciò, la base del ramo è molto ingrossata, mentre la sommità può rimanere del tutto normale. Presso le Exoascacee, che formano l’ oggetto delle nostre ricerche, il decorso di un micelio non è facile a seguirsi, però la presenza di un micelio perenne nelle gemme venne constatata da altri, e noi possiamo ammettere che questo micelio eserciti una influenza ipertrofica sopra i giovanissimi tessuti che si trovano alla base del ramo. Nelle ulteriori ricerche sull’ azione dell’ Exoascus Pruni e Exoascus deformans , noi troveremo che il micelio determina una molto forte ipertrofia non sol- tanto alla base dei tessuti del ramo, ma ancora nell’ intero germoglio. 1 Cfr, Hartig Lehrb. d. Baumkrankh. I Aufl. p. 57. Berlin 1882, RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 209 All’incomleta formazione dei tessuti dello scopazzo si deve ascri- vere la morte li molti giovani rami dello scopazzo stesso. Le cellule soverose a parti sottili, il parenchima corticale lasso e ricco di pro- toplasma, e la debole formazione degli altri tessuti, sembra che deter- minino la morte dei rami nell’ inverno. In seguio a questa succede lo sviluppo delle gemme dormienti nei rami, cone si svolgono dopo la perdita dei rami normali. La speci.le curvatura in basso dei rami-scopazzi alla loro base trova la causa nelh incompleta formazione dei tessuti: in seguito noi studiere- mo un esenio di ipertrofia dei rami dell’ A/nus glutinosa prodotta dal- l’ Exoascus Tosquineti. Questo ramo mostra un accrescimento più forte nella lunghzza e nella grossezza, come pure è aumentato il geotropi- smo negatio, però in luogo dell’ ingrossamento basilare si trova l’ in- curvamento L' anatomia del ramo mostra 1’ anello sclerenchimatico bene formato e è zona legnosa del precedente anno con molte fibre legnose mostra unc stato del tutto diverso da quello degli stessi tessuti dei rami scopazi. Sullo scopazzo si trovano anche rami, per es. quelli se- gnati nellatav. XIV, 1892, i quali non presentano alcun rigonfiamento basilare. Ci dimostra pure che i rami scopazzi, prima diritti, crescono verso l’ altc e che però il peso dei rami e delle loro foglie determina una curvatura egli stessi, e cioè specialmente là dove l’ anello sclerenchi- matico e lefibre legnose sì trovano in quantità minore. La parte su- periore e nno sviluppata del ramo con i suoi tessuti formati succes- sivamente, >rca perciò di ritornare nella sua posizione naturale, sfor- zandosi di eigersi verso l’ altro. Morfolog. ed Anatomia di alcune deformazioni dei ger- mogli e delle foglie L' Exoscus Pruni (Fuck.) — È ben noto quale causa delle de- formazioni d frutti (Bozzacchioni del Prunus domestica e del Pru- nus Padus).l materiale a mia disposizione consisteva in germogli dell’anno edi frutti di Prunus domestica, parecchi dei quali sono di- segnati nella g. 8. La deformazione dei frutti venne precedentemente descritta da « Bary ' e Wakker, * cosichè noi possiamo omettere di 1 De Bary l. p. 8. 2 Wakker l. p. 2. 280 W. G. SMITH — A. N. BERLESE parlarne. Nello stesso lavoro il de Bary ha descritto le deformazioni dei germogli di un anno del Prunus Padus, però non parl) di quelle del Prunus domestica. Quest’ ultime vennero descritte e dis:gnate da Ra- thay, ‘' però più in riguardo alla estensione del micelio ‘td ai caratteri morfologici dei getti deformati, che rispetto alle alterazimi anatomiche degli stessi. Noi abbiamo perciò intrapreso principalmente questa ricerca. Nella fig. 8 è riprodotto in fotografia un pezzo di rimo, il quale porta un breve germoglio, da cui pendono due frutti; uno èsano, mentre l’ altro è deformato. Questa è la ordinaria forma che assunono i frutti di Pruno deformati dall’ Exoascus Pruni. Le altre figure ofrono esempi di deformazioni dei getti; la figura mediana mostra un pezo di ramo Fig. 8 Deformazioni dei germogli annuali e dei frutti di Prunus] domestica, prodotte dall’ Exoascus Pruni. | normale che porta lateralmente un breve ramoscello con un nmale frutto e termina in un rametto fortemente deformato dall’ Exoaus Pruni. Presso la sua base questo rametto è soltanto poco ingrosso, e porta due foglie apparentemente nogmali. Verso la sommità al c@rario, esso è incurvato e molto più grosso, e la sua epidermide è bicheggiante e rugosa. Da ultimo questo germoglio morì completamenteNella parte superiore incurvata si trova una foglia, il di cui picciuò e la ner- vatura mediana sono ipertrofici e rigonfiati. Il tessuto folare, senza mostrare mai uno sviluppo ipertrofico, disseccò e imbrunìAl di sopra 1 Rathay Ueb. die von Exoascus — Arten hervorgeruf. Degener einig. Amyg- dal. Sitz. d, k. Akad. Wien 1878, x MbEPO: di RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. — 281 di questa foglia apparvero altre foglie del tutto contorte. La parte rap- presentata nella fig. 8 a sinistra, in alto, venne poi sottoposta a ri- “cerche anatomiche. In essa si notano come nei germogli soprascritti, una parte inferiore poco rigonfiata ed una superiore fortemente curvata e ingrossata e formante due giri di spira. Essa porta anche residui di fo- glie contorte, e all’ ascella delle foglie inferiori sì sviluppò un nuovo germogli» del pari ipertrofico e curvo, però con tracce di foglie. Ciò che non riesce particolarmente distinto è la presenza dei solchi longi- tudinali sulla parte rigonfiata e rugosa del germoglio. A queste parti succedono intervalli, i tessuti interni dei quali sono soltanto poco ri- gonfiati, e appariscono soltato qua è là senza ordine fra le regioni 3 © © : © lio e © ; h n mk - 7 2 e - pi 2 n, lesi - Ci n Cd B Fig. 9 A. Taglio trasversale. B. Taglio longitudinale delle fibre corticali ipertrofiche di Prunus domestica per l’azione dell’ Ezoascus Pruni. Tra le fibre sì vede il micelio punteggiato. Le pareti molto sottili delle fibre corticali hanno un doppio contorno: le cellule paren- chimatiche circostanti sono rappresentate con una sola linea. ipertrofiche. Essi sono ricoperti da una epidermide liscia. Il mio ma- teriale mostrava tutti i gradi di deformazione che vennero illustrati qui. Le descrizioni e le figure di Rathay possono chiarire più larga- mente ancora la morfologia di queste deformazioni. Lo studio anatomico (fig. 9) mostrò deviazioni dallo stato normale simili a quelle che noi già trovammo negli scopazzi: soltanto però in gra- do più elevato. Le sezioni condotte nella parte inferiore del germoglio, ricoperta ancora dall’ epidermide-liscia, mostrarono le seguenti cose. E- sternamente l’ epidermide di un solo strato di cellule senza formazioni soverose o fellodermiche. Il parenchima corticale, il midollo, i raggi midollari e i corticali costituivano la maggior parte della sezione, 282 , W. G. SMITH — A. N. BERLESE quantunque essa avesse un diametro doppio, e perfino triplo, di un cor- rispondente ramo normale. Le cellule del midollo e del parenchima corticale non mostravano quì più la loro disposizione normale, ma erano tutte più o meno ri- gonfie, cosichè il collenchima, il parenchima corticale a pareti sottili e le cellule midollari a parete spessa, non erano più distinguibili 1’ una dall’ altra. Le maggiori alterazioni si mostravano in certi luoghi dove si era manifestata una suppletiva divisione delle cellule nei tessuti che avevano compiuto il loro sviluppo. Ciò riuscì facile in seguito all’ ab- bondante contenuto in protoplasma delle cellule e alla loro forma irre- golarmente poligonale e alle loro pareti trasversali sottili. Al contrario le cellule indivise conservarono la loro forma quasi circolare e pre- sentarono pareti più grosse le quali facilmente si lignificano e si co- lorano in bruno. Il micelio scorre negli spazi intercellulari più larghi dei tessuti parenchimatici e cioè principalmente nei luoghi dove avvenne la for- mazione di nuove cellule. Le fibre corticali sono raccolte in cordoni isolati e mancano le cellule scelerenchimatiche. Il micelio si trova spesso nei cordoni di fibre corticali, scorre fra le fibre stesse, e ne determi- na un'alterazione, di guisa che esse sono più brevi e più larghe delle normali e le loro pareti rimangono lievemente ispessite. Nella parte molle della corteccia gli elementi predominanti sono le cellule dei raggi midollari, i quali scorrono tanto fra i cordoni degli ele- menti floematici a lume stretto, quanto all’ esterno dei medesimi, co- sichè questi vengono ristretti ad una regione prossima al cambio. Le cellule dei raggi corticali sono povere di contenuto, però gli elementi a lume stretto contengono in modo speciale protoplasma e molti cri- stalli. Il micelio si trova spesso nella corteccia molle. Il xilema è molto alterato dai raggi midollari ingrossati però tutti gli elementi che ordinariamente vi si trovano, sono ancora distinguibili. I vasi sono molto numerosi e i loro membri sono corti e larghi: essì non formano un tubo verticale, ma le loro estremità sono riunite obliquamente l’ una sull’ altra con pareti tagliate a scalpello. Queste sono più sottili, le punteggiature sono più grosse. Si notano i passaggi dalla forma anu- lare alla spirale. Le fibre legnose sono relativamente poche, brevi, cur- ve, con pareti poco ispessite. Lo studio delle sezioni condotte attraverso i germogli fortissima- mente rigonfiati, mostrano le suddescritte alterazioni anche in grado più elevato. Nei tessuti parenchimatici la neoformazione cellulare è RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 283 più copiosa, i cordoni vascolari sono sempre più piccoli, i fasci fibrosi corticali sono sformati e in pruppi di fibre lunghe, con lume largo e pareti sottili alquanto brunicce. Gli elementi legnosi sono in minor numero, e possono anche mancare del tutto. Le trachee sono più larghe e mostrano sempre l’ ingrossamento spirale o anulare della parete. Alla sommità dei germogli ipertrofici gli elementi dei cordoni vascolari scompariscono quasi totalmente. Soltanto rimangono parecchie tracheidi spirali e un resto di floema. Il rimanente tessuto è un parenchima a pareti sottili. Nei picciuoli ipertrofici e nelle nervature il micelio determina gli stessi fenomeni osservati nel germoglio. Nel mesofillo io non potei notare alcuna ipertrofia. Quivi le cellule sono strettamente stipate e piene di un contenuto bruno. Ciò che corrisponde alle osservazioni di de Bary nel Prunus Padus, è che nessun micelio sì trova nel diachima foliare, e che la morte del mesofillo avviene per atrofia, in seguito alla ipertrofia del picciuolo. Riepilogo delle alterazioni L' Exoascus Pruni determina un’ ipertrofia nei germogli fioriferì e fogliferi di molte specie di Prwns. Nel primo caso ha luogo la for- mazione di bozzacchioni, nel secondo la deformazione del giovane ger- moglio, dei picciuoli e delle nervature, non però del mesofillo. Il micelio si trova nel midollo, nella corteccia, nei cordoni di fibre corticali, nel fioema e nei raggi midollari. L’ ipertrofia si mostra fortissima nei tessuti parenchimatici, i quali si accrescono fortemente. Può aver luogo in questi tessuti una supple- tiva divisione nelle cellule, dove si trova il micelio. Le fibre corticali rimangono più brevi, e hanno, corrispondentemente al grado d’ ipertrofia, lume largo e pareti più sottili. Il fioema è accresciuto e più ricco in protoplasma. Gli elementi legnosi sono più larghi e le loro pareti meno ispessite; quanto più forte è l’ ipertrofia, tanto meno esse sono sviluppate. L’' Exoascus Pruni, come pure l’ Exoascus deformans, ci rappre- sentano il più alto grado d' ipertrofie prodotte da Exoaschi. I micocecidi tanto presto raggiungono la maturità e tanto rapidamente sì staccano, che questi due funghi si possono registrare piuttosto fra le specie di- struttrici anzichè tra quelle che determinano soltanto ipertrofie. Il con- ironto con le alterazioni che noi trovammo presso altri scopazzi dimostra 284 W. G. SMITH — A. N. BERLESE però che essi determinano alterazioni simili, ma soltanto in grado molto più elevato. Exoascus deformans (Berk.) Fuckel. Questa specie determina ì bozzacchioni del Prunus Persica (Amygdalus Persica) come pure una si- mile deformazione nel Prunus Amygdalus (Am gdalus communis.) Noi avemmo a disposizione del buon materiale in alcool proveniente da Beiden. Rathay ha trattato già di queste deformazioni e possono le sue osservazioni venire utilizzate in questo lavoro. Deformazioni del Prunus Persica. Il materiale a mia disposizione consisteva in un ramo di parecchi anni portante due brevi ramoscelli, uno dei quali aveva un germoglio terminale fortemente alterato e un breve ramo laterale normale. Il primo mostrava in tutta la sua lun- ghezza una forte ipertrofia. Esso aveva raggiunto una grossezza tripla della normale, era ricoperto da una biancheggiante e rugosa epidermide e portava una rosetta di molte foglie più o meno piane, le quali mo- stravano tutta l’ azione dell’ Exoascus. Molto evidenti erano gl’ ingros- samenti ipertrofici delle stipole alla base di ciascuna foglia, le quali allo stato normale sono caduche e in questo tempo sono già scomparse. L’ ipertrofia si spinge dal germoglio al picciuolo, alle nervature e al mesofillo. Alle volte guadagna tutta la foglia, altre volte soltanto una parte della stessa, però in ogni caso le regioni ipertrofiche sono in comunicazione col picciuolo, cioè mai isolate. Lo studio microscopico dei germogli mostra alterazioni nei tessuti ipertrofici così corrispondenti a quelle già descritte per I’ Ezoascus Pruni, che riesce appena necessaria una nuova trattazione. Nei picciuoli 1 ipertrofia è limitata ai punti dove esiste il micelio. Fra le regioni deformate si trovano però delle aree nelle quali gli ele- menti, pur essendo alquanto rigonfiati, conservano ancora la loro dispo- sizione normale. Il fascio vascolare s’ ingrossa, però non per aggiunta di trachee, ma per l’ ingrossamento e moltiplicazione degli elementi parenchimatici, tanto del fascio stesso quanto dei raggi midollari. La guaina del fascio ed il collenchima delle nervature mostrano una forte ipertrofia. Le nuove cellule sono fortemente ingrandite , e, come nell’ Ezoaseus Pruni, ha luogo una secondaria divisione delle cellule nei luoghi occupati dal micelio. Sulle foglie io trovai gli aschi soltanto alla pagina superiore. Il micelio scorre solamente nella parte superiore del mesofillo e si trova colà dove vi sono deformazioni fogliari. Il mesofillo ipertrofico è forte- mente accresciuto e la disposizione dei tessuti normali è alterata, come RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 285 lo mostra la fig. 11. L’ epidermide ascigero e il palizzata sono molto accresciuti e alterati in seguito a formazione di nuove cellule. Essi formano un tessuto a grossi elementi con pareti ingrossate e divise trasversalmente, e queste cellule sono tanto diverse da quelle del tes- suto normale che non sì distingnono più tra loro. Le cellule dello spugnoso sono ingrossate, rotondeggianti e limitano piccoli spazi intercellulari, cosichè il tessuto stesso ha interamente perduto il suo aspetto normale, però non ha luogo formazione di nuove cellule. Le cellule dell’ epidermide inferiore sono ingrossate, ma riman- gono tuttavia inalterate. (Vedi fig. 10-11) Fig. 10 - si Fig. 11 Sezione trasversale di una foglia Sezione trasversale di una foglia normale di Prunus Persica. della stessa pianta nella regione al- terata dell’ Ezoascus deformans, allo stesso ingrandimento. Sulla medesima foglia gli aschi sono già in alcuni luoghi sviluppati dall’ epidermide su- periore. I filamenti micelici negli spa- zi intercellulari sono punteggiati. Riepilogo delle alterazioni L' ipertrofia consiste nel’ ingrossamento del mesofillo, delle nerva- ture, del picciuolo e dei germogli e perciò si distingue da quelle del- l’ Exoascus Pruni. Succede l’ ingrossamento di tutte le cellule della foglia, e la di- visione delle cellule dell’ epidermide superiore che porta gli aschi, come anche di quelle del mesofillo vicino. 286 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Nelle nervature i tessuti parenchimatici sono fortemente accresciuti e può anche aver luogo la formazione di cellule nuove. Le alterazioni dei germogli corrispondono con quelle dell’ Ex0ascus Pruni. Prunus Amygdalus — Il materiale a mia disposizione consisteva in alcune foglie le quali mostravano delle bolle isolate e deformate in cui io trovai il micelio dell’ Exoascus e gli aschi. Nel lavoro surricordato di Rhatay sono descritte anche le defor- mazioni del germoglio del mandorlo. L'A. potè constatare con un ac- curato confronto delle deformazioni dei germogli di Prunus, che quelle deformazioni erano prodotte dal medesimo Exoascus. Io sono d’ accordo con quest’ A. rispetto a queste conclusioni, per quanto posso giudicare dalle deformazioni fogliari. Secondo Rathay gli aschi si trovano tanto nell’ epidermide supe- riore che inferiore. Però io nel mio materiale di studio rinvenni gli aschi soltanto nella pag. superiore. Le alterazioni prodotte da questo Exoascus corrispondono bene con quelle del Pruno, come sono descritte sopra e disegnate nella fig. 11. Riguardo alla questione di Sadebeck * circa 1’ identità dell’ Ezoaseus de- formans vivente sul Prunus Persica, e 1’ Exoascus del Prunus Amyg- dalus, io posso soltanto dire che, nè per gli aschi, nè pel micelio, nè per le deformazioni che producono, queste due specie si possono distin- guere. Exoascus minor Sadeb.) — Il materiale a mia disposizione consisteva in rami di Prunus Chamaecerasus con foglie le quali erano più o meno colpite da questo Eroascus. Questi rami erano cresciuti nei dintorni di Monaco, dove questo Exoascus non era stato peranco rin- venuto. Le foglie ammalate erano raccolte in gruppi sopra brevi ra- moscelli dell’anno e il mio materiale mostrava tutti gli stadi della malattia. Io trovai gli aschi soltanto nell’ epidermide inferiore e la loro apparsa era accompagnata da una deformazione delle foglie che si li- mitava soltanto ai punti direttamente intaccati. Le foglie avevano per- duto il loro colore verde: si erano ingrossate ed avevano delle rughe le quali scorrevano fra le nervature maggiori verso la parte superiore, cosìchè 1’ epidermide coperta dagli aschi si trovava al lato interno di queste rughe. Dove la foglia era molto intaccata, mostrava un aspetto rugoso e 1 Sadebeck Monogr. l. c. pe RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 287 si avvolgeva in basso verso l'interno contro la nervatura mediana, cosichè l’ epidermide ricoperta dagli aschi si trovava internamente. La malattia si estese nella maggior parte dei casi dalla base all’ apice della foglia. Le nervature maggiori in qualche modo impedirono 1’ a- yanzamento della malattia, e ciò produsse non di rado, che una foglia presentava soltanto una metà alterata, mentre l’ altra, separata per mezzo della nervatura mediana, era rimasta sana. Secondo Sadebeck quest’ Exoascus determina facilmente l’ ipertrofia dei rami sviluppatisi dalle gemme d’ inverno: però i germogli che io studiai, mostrarono soltanto un accrescimento dei rami molto poco più forte. Le accurate ricerche dell’ anatomia della foglia mostrarono il mi- celio nello strato sub-cuticulare delle cellule dell’ epidermide inferiore , dove pure esso aveva determinato un ingrossamento della cuticola. Quasi immediatamente si erano ingrossate le cellule epidermiche e riempite con succo giallo, e finalmente diventate rugose e disseccate, dopo che la cuticola era stata distaccata dagli aschi. Le cellule del parenchima spugnoso sì erano pure rigonfiate, ed erano diventate rotondeggianti , cosichè esse occuparono anche gli spazii intercellulari, ed erano così ad- dossate le une alle altre da aver tolto al tessuto il suo aspetto normale. Le cellule del palizzata si erano pure ingrossate ed avevano aquistato forma rotondeggiante. In seguito sopravvenne il disseccamento di tutto il mesofillo, ,e le sue cellule diventarono brune. Quando gli aschi ave- vano intaccato l’ epidermide di una nervatura allora s° ingrossarono le cellule della guaina del fascio. Esse però col disseccamento degli altri tessuti non divennero rugose. I tessuti dei fasci vascolari delle nervature non mostrarono alcuna alterazione. Exoascus Tosquineti (Westend.) Sadeh. — Compare sull’ Almus glutinosa e sull’ Alnus Incana, varietà glutinosa. È specie sufficiente- mente diffusa in Europa. L'aspetto morfologico della malattia venne già descritto dal Sa- debeck nel suo lavoro sopra la biologia di questo Exoasceus. Anche ri- guardo alla estensione del suo micelio quest’ autore fece delle accurate ricerche. Egli dimostrò che il micelio si trova già nelle gemme d' in- verno e si spinge in primavera nei giovani rami sino alle foglie, e soltanto però negli strati sub-cuticulari delle cellule epidermiche e non affatto negli altri tessuti. Da ciò si dovrebbe attendersi una ipertrofia dei rami suddetti, e essa infatti si manifesta, sebbene in grado molto 288 W. G. SMITA — A. N. BERLESE limitato, come risulta dalle nostre ricerche. I germogli intaccati sono maggiori e più grossi dei rami normali, però non vi sì trova alcun ingrossamento basilare, bensì un’ inserzione di rami deformati e curvati ed anche un sviluppo in rami di gemme dormienti. Il fungo sembra che non determini alcuna influenza sull’ accrescimento dei germogli oltre il primo anno, poichè fin qui non venne trovato alcun scopazzo dell’ A2- nus glutinosa, di età superiore ad un anno. Le ricerche anatomiche dei rami ipertrofici mostrano deboli alte- razioni nei tessuti. Il migliore soggetto che io trovai era un ramo an- nuale di sette millimetri di diametro alla base e che mostrava la se- guente struttura. Il sovero formava un grosso strato di cellule maggiori delle nor- mali corrispondenti. Il felloderma, bene sviluppato, era formato da tre o quattro strati di cellule clorofilligere. L’ipoderma era spesso e for- mato da grosse cellule con pareti divisorie secondarie, come abbiamo - descritto per 1’ Exoascus Pruni. I cordoni corticali erano bene sviluppati, e insieme alle cellule sclerenchimatiche formavano un anello completo. I raggi midollari erano numerosi e formati da cellule maggiori delle normali. Gli elementi del floema e del legno mostravano una disposi. zione normale, però erano tutti più grandi, specialmente i parenchima- tici. Le cellule del midollo erano fortemente accresciute e contenevano amido. Noi trovammo qui soltanto un ramo sviluppatosi, cioè in un esem- plare dove l’ ipertrofia era relativamente molto pronunciata. La presenza di un completo anello sclerenchimatico e la mancanza di curvature ne- gativamente geotropiche confermano l’ opinione sopra esposta relativa- mente alla causa delle curvature caratteristiche dei rami soggetti al- l’azione degli Exoascus. Le foglie in qualche ramo ipertrofico erano maggiori delle normali però rimasero più sottili e con tessuti non bene formati. In seguito esse prestamente arricciarono e, contemporaneamente allo sviluppo degli aschi, disseccarono e caddero. L’ infezione per sporidi può anche aver luogo in foglie isolate. Gli aschi possono mostrarsi ora alla pag. su- periore delle foglie ora all’ inferiore, e la loro presenza è determinata dal fatto che la foglia diventa di un verde pallido, poi gialla e rugosa e finalmente bruna e si accartoccia. Una foglia normale di Alnus glutinosa o di altra specie di Alnus è riconoscibile in seguito alla presenza di un ipoderma al disotto del- l’ epidermide superiore. Quest’ ipoderma consta di uno strato di cellule RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 289 . alquanto maggiori delle epidermiche, per cui vi è un tessuto palizzata di due strati, il quale in regioni isolate, dove manca l’ipoderma, giace immediatamente al di sotto dell’ epidermide. Nel resto la struttura fo- gliare corrisponde al tipo ordinario delle dicotiledoni. Se noi studiamo l’ azione dell’ Exoascus Tosquineti sui tessuti fo- gliari troviamo parecchie alterazioni all’ epoca dello sviluppo degli aschi. L'aspetto del micelio e degli aschi nell’ epidermide venne già rappre- sentato da Sadebeck. '* Quando il micelio si diffonde negli strati sub-cu- ticulari delle pareti esterne delle cellule epidermiche esso segue in massima parte il corso delle pareti laterali delle cellule epidermiche giacenti al di sotto delle stesse, e si spinge più o meno fra quelle. Collo sviluppo degli aschi la cuticola viene a poco a poco rotta e asportata. Allora ne segue un distacco delle cellule epidermiche e una distensione dell’ intera epidermide. In seguito alla perdita della cu- ticola sopraggiungono il disseccamento e la contrazione delle cellule epi- dermiche 1’ una contro l' altra. Gli aschi si trovano sull’ epidermide su- periore, per cui le pareti delle cellule ipodermiche si rigonfiano senza però che le cellule vengano alterate molto nella loro forma. Se il pa- lizzata è a contatto coll’ epidermide, allora le cellule perdono la loro colorazione verde, s’ingrossano, s’ arrotondano e rigonfiano le loro pa- reti. Allorquando avviene il disseccamento, allora tutto il mesofillo si contrae e diventa bruno. Quando gli aschi si trovano nell’ epidermide inferiore allora rigonfiano le cellule del tessuto spugnoso, che perdono la loro forma normale. Il palizzata non mostra alcuna alterazione fino a che sopraggiunge il disseccamento. Gli aschi occupano le cellule epidermiche delle nervature non così rapidamente come quelle dell’ epidermide ordinaria. Quando ciò succede allora queste cellule primieramente si gonfiano e poi disseccano mentre le cellule dell’ astuccio del fascio dal lato della nervatura immediata- mente contro l’ epidermide intaccato, diventano più grandi e colle loro pareti più fortemente ispessite. Quando ha luogo il disseccamento allora si contraggono e si riempiono di un succo giallo. 1 Sadebeck 1. c. p. 64. 19 290 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Riepilogo delle alterazioni Ha luogo ipertrofia dei rami che determina in assai debole grado una deviazione dallo stato, normale, come fu detto sopra. Le alterazioni nelle foglie sono limitate principalmente alle cellule epidermiche intaccate. L’epidermide viene attraversato dagli aschi e dilatato in seguito all’ accrescimento delle cellule. Il mesofillo s'ingrandisce poco e viene alterato dal dissecca- mento. Taphrina aurea — (Persoon) — Si mostra principalmente sul Populus nigra ed è diffusa nella maggior parte dell’ Europa. Il materiale a mia disposizione consisteva in foglie di Populus nigra nelle quali la Taphrina aveva determinato una deformazione molto pronunciata, consistente in pustole vesciculiformi, le quali s' innalzava- no sulla superficie fogliare. Ciascuna di queste pustole era convessa al disopra, concava al di sotto. I margini delle pustole erano irregolari e più o meno limitate dalle grosse nervature. Gli aschi furono descritti e figurati da Sadebeck ! e Johanson. * Essi sono grandi con un contenuto giallo d’oro e di solito appa- riscono nella parte inferiore della bolla, in alcuni casi anche nella parte superiore. Una foglia normale di Populs nigra mostra la struttura ordi- naria delle foglie delle dicotiledoni: epidermide superiore e inferiore, palizzata in due strati e spugnoso; i fasci vascolari sono fortemente sviluppati, provveduti di un astuccio consistente di una parte più in- terna con elementi a pareti ispessite e di un collenchima esterno. In corrispondenza delle bolle la foglia è sempre ingrossata. Al margine della bolla apparisce primieramente il micelio giallo sotto la cuticola delle cellule epidermiche, e penetra un poco fra quelle che si trovano vicine. Dopo la apparsa del micelio queste si alterano, cioè s’ ingros- sano; il loro strato cuticolare e le loro pareti cellulosiche, studiate in glicerina, sono fortemente ispessite e le cellule sono riempite con abbon- dante contenuto protoplasmatico. Le cellule epidermiche mostrano inol- tre una moltiplicazione. (Vedi fig. 12) 1 Sadebeck Pilzgattung Exoascus 1. c. p. 64. ? Iohanson studier éfver svamp. Taphrina Stocolma 1887. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 291 In seguito alla formazione di pareti parallele alla culicola, le cel- lule riescono divise in due parti, una esterna, l’ altra interna, in se- guito si formano uno o due nuovi setti simili che vanno così a for- mare una 0 due cellule, così che vie- ne a costituirsi una zona di tre o quattro cellule, una sopra all’ altra, poste sull’ istesso raggio della cellula epidermica primitiva. Zone cellulari con più di quattro strati di cellule non vennero peranco osservate. Di tutte le cellule la più esterna è la o È H - Fig. 12 maggiore e contiene la maggior co Sezione trasversale di una foglia di pia di protoplasma, ed essa è quella Populus nigra alterata dalla Ta- Tr phrina aurea. Sono rappresentate dalla quale prendono origine succes- soltanto 1° epidermide inferiore e al- a 2 è È cune serie di cellule collenchimatiche sivamente le cellule interne di ogni sottostanti ad una nervatura. Il mi- i , è Rio < celio subcuticulare è punteggiato, serie, di guisa che la più interna è però gli aschi non sono ancora svilup- SI è pati. À sinistra le cellule epidermiche la più vecchia delle cellule neofor- sono soltanto ingrandite, mentre a de- stra sono divise da un setto trasversale mate. Il palizzata mostra, quando gli aschi si sono sviluppati nella pag. superiore, un’ alterazione. Primieramente le cellule diventano maggiori e rotondeggianti e le loro pareti s’ingrossano. Indi ha luogo anche la moltiplicazione cellulare in seguito alla formazione di muovi setti pa- ralleli alla cuticola. Le nuove cellule hanno forma più sferica delle cel- lule che si sono divise; quando gli aschi appariscono soltanto alla pa- gina inferiore, il palizzata non mostra alcuna alterazione o riesce sol- tanto poco alterato. Lo spugnoso nelle pustole ammalate non è visibilmente alterato. Le sue cellule, specialmente quelle a contatto dell'epidermide che ha moltiplicato i suoi elementi, sono rigonfiate e colle pareti alquanto ispessite. La divisione delle cellule non ha mai luogo. Nelle nervature il cordone vascolare non è alterato, però 1’ astuccio collenchimatico del fascio lo è dal lato nel quale si trovano gli aschi. In seguito le cel- lule collenchimatiche si accrescono. Quando le cellule epidermiche por- tano gli aschi, esse mostrano le stesse alterazioni descritte sopra e rap- presentate nella fig. 12. 292 W. G. SMITA — A. N. BERLESE Riepilogo delle alterazioni Xi aschi possono apparire sopra ambedue le epidermidi e deter- minare delle pustole bollose. Le pareti delle cellule epidermiche sono ingrossate, le cellule si di- vidono e formano perciò, in luogo di un’ epidermide di un solo strato, uno di due fino a quattro strati. Le cellule del palizzata sono ingran- dite e divise. Le loro pareti sono ingrossate: le cellule dello spugnoso sono ingrandite e con pareti ispessite. Nelle nervature gli elementi col. lenchimatici sono ingranditi ed hanno pareti ispessite. Un confronto della azione di questa Taplrina con quella della Ta- phrina carnea, noi esporremo in seguito quando tratteremo di quest’ ul- tima specie. Taphrina carnea (Joans) — Determina delle formazioni molto pronunciate sulle foglie della Betula odorata della B. nana e della B. intermedia. Fino a qui questa specie venne trovata soltanto nelle isole Scandinave del signor Johanson * che la ha descritta e disegnata. Il ma- teriale che io ho studiato era un esemplare di erbario raccolto dal suddetto naturalista (ora disgraziatamente morto) e dallo stesso spedito a Monaco. Le foglie intaccate mostrano grandi escrescenze di colore rosso 0 carnicino, le quali sono nettamente limitate dalla rimanente superficie fogliare tanto per la colorazione che per la forma. in seguito esse sono molto convesse e sollevate sopra la superficie fogliare e portano gli aschi sopra la convessità. Il micocecidio è limitato al diachima fogliare. La foglia normale mostra la strut- tura ordinaria delle dicotiledoni (fig. 13). Nelle foglie ammalate il micelio del- la Taphrina si trova nell’epidermide su- periore, al di sotto della cuticola, e sì sviluppa in aschi. Questi formano un grosso strato limitato all’ epidermide su- periore. Il passaggio del tessuto fogliare Fig. 13 sano a quello ammalato è immediato, e Sezione trasversale della foglia di Ja foglia sì può ingrossare internamente betula odorata. di parecchi millimetri, cioè due e fino a quattro volte (v. fig. 14 e 15). ! Iohanson |. c. RICERCHE MORFO-ANATUOMICHE ETC. 293 In seguito all’ apparsa del micelio le cellule epidermiche mostrano un ingrossamento tanto nelle pareti esteriori che laterali e spesso sono Fig. 14 anche ingrandite. Indi, cioè quando gli aschi si spingono fra le cellule, ha luogo una nuova alterazione. Le cellule diventano strette e lunghe, e più o meno separate 1’ una dall’ al- tra, cosichè esse non formano più un epidermide intatto. Ha luogo anche moltiplicazione cellulare, però è dif- ficile constatare come essa avvenga. La stessa sezione al limite di una pu- . . stola di Taphrina carnea. La metà si- Tuttavia le cellule sono infallante- nistra è sana e mostra il micelio subcu- dis : . ticulare. Nella metà destra si vedono gli mente moltiplicate e mInori delle aschi e la deformazione fogliare (lo stesso ingrandimento). normali, cosichè evidentemente ha luogo qui la formazione di pareti perpendicolari alla superficie fogliare; soltanto qua e là si nota una parete parallela alla detta superficie. La Fig. 15 La medesima sezione allo stesso in- grandimento , e mostrante gli aschi sviluppati all’ epidermide superiore. speciale colorazione rossa delle bolle per lo più si trova in questo epider- mide; dopo che gli aschi hanno rag- giunto la maturità, le cellule epider- miche si presentano alquanto disfatte e si riempiono di un succo rosso, il qua- le compare poi qua e là negli spazi intercellulari del mesofillo. Le cellule dell’ epidermide inferiore mostrano, seb- bene più o meno ingrossate, la loro forma caratteristica, e formano nella parte interna. della bolla una superficie interrotta soltanto dagli stomi. Il me- sofillo mostra colla penetrazione degli aschi nell’ epidermide una repentina e grande alterazione, per la quale e difficile il distinguere i tessuti fo- gliari, l'uno dall’ altro. L’ alterazione ha luogo fortissima nel paliz- zato. Qui le cellule s’ ingrossano visibilmente e sono perciò così stretta- mente addossate l’ una all’ altra, che perdono la loro forma caratteri stica, e si presentano più o meno rotondeggianti, divise da pochi e pic- coli spazi intercellulari. Le pareti cellulari mostrano, osservate in gli- cerina, pure una notevole alterazione. Le pareti normali delle cellule epidermiche sono ispessite e si distinguono molto nettamente da quelle 294 W. G. SMITH — A. N. BERLESE molli del tessuto del mesofillo: però dopo della comparsa del micelio nella cuticola, le pareti delle cellule del palizzata sono così ispessite da distinguersi appena dalle cellule epidermiche. Le pareti ispessite si rigonfiano visibilmente in seguito al trattamento coi mezzi rischiaranti e mostrano le reazioni della cellulosa. Nella parte inferiore del meso- fillo, il quale corrisponde originariamente allo spugnoso, le cellule sono anche ingrandite, però sono meno strette l’ una contro l’altra, e con- servano dippiù la loro forma normale. Inoltre gli spazi intercellulari sono maggiori. Le pareti cellulari sono alquanto ispessite, però meno di quelle del mesofillo e noi potremmo qui aspettarci ragionevolmente una moltiplicazione cellulare, però essa è rara ed ha luogo soltanto nello strato superiore. Secondo il mio modo di vedere, 1’ ingrossamento delle cellule del mesofillo, ha origine per lo più dal disordinamento delle cellule in seguito al forte rigonfiamento delle singole cellule ed alla pressione prodotta da esso. Coll’ apparsa del micelio nella cuticola scompare la colorazione verde, primieramente nelle cellule dello strato superiore; indi nel rimanente mesofillo. I cordoni vascolari risentono pure l’ azione della Taphrina. Nelle nervature ammalate le cellule del tessuto parenchimatico sono fortemente ingrandite e le loro pareti os- servate in glicerina, appariscono molto ispessite. Nella regione legnosa e nella cribrosa esse conservano la loro disposizione normale, ma sono tutte ingrandite. Riepilogo delle alterazioni della Betula odorata Le pustole vesciculiformi sono molto sollevate sulla pagina supe- riore fogliare. Gli aschi compariscono soltanto sull’ epidermide superiore. La foglia riesce da due a quattro volte più grossa. L’ ingrossamento è prodotto per lo più dalle cellule del mesofillo, le quali ingrandiscono fortemente e perdono la loro forma e disposizione normali. Le cellule dell’ epidermide superiore si moltiplicano. Tutte le pareti diventano più grosse. La colorazione verde della clorofilla è distrutta. Apparisce un succo rosso, specialmente nelle cellule epidermiche. I tessuti dei cordoni vascolari sono ingranditi, conservando però la loro disposizione normale. L’ aspetto delle deformazioni fogliari prodotte dalla Taphrina carnea corrisponde così bene con quelle della Taphrina aurea del pioppo, che si dovrebbe aspettarsi anche una corrispondenza anatomica. Infatti noi da un lato abbiamo due specie di Zaplrina, le quali si estendono per mezzo di un micelio sub-cuticulare, e spingono i loro aschi in egual RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 295 grado fra le cellule epidermiche. Dall’ altro lato ci stanno innanzi le foglie di due alberi dicotiledoni, le quali nella loro struttura anatomica differiscono soltanto poco 1’ una dall’ altra e meno poi ancora nelle loro funzioni fisiologiche: però un confronto delle due specie mostra molte differenze, le quali noi ricorderemo qui. Le escrescenze si sollevano in ambedue i casi dalla superficie fo- liare; però in una gli aschi si trovano nel lato convesso, nell’ altra nel lato concavo. In ambedue i casì gli aschi lacerano le cellule epidermi- che in simile grado, però una volta viene fortemente alterato sopratutto il mesofillo, nell’ altra sono soltanto alterate le cellule del mesofillo pros- sime a quelle epidermiche colpite. Inoltre in un caso vi è una molto visibile moltiplicazione cellulare suppletiva, per mezzo della quale viene a formarsi un epidermide di parecchi strati, laddove ciò non ha luogo che di rado nell’ altro caso. La colorazione rossa così caratteristica delle deformazioni prodotte dalla Taphrina carnea, ricorda la colorazione che suole apparire in se- guito all’azione di altri funghi parassiti, come per es: nelle deforma- zioni determinate sui Vaccinii dall’ Erobasidium, che abbiamo ricordato sopra, come pure nei micocecidi caulinari del Vaccinium Vitis-idea prodotti dalla Calyptospora Goeppertiana, nelle pustule fogliari dei peri intaccati dalla ARoestelia ete., come pure nelle galle fogliari di molti insetti. Secondo Woronin * la colorazione rossa dello foglie intaccate dal- l’ Exobasidium è prodotta dal succo che si trova nelle cellule del paliz- zata. La colorazione rossa del Vaccinium è dal lato più illuminato for- tissima. Anche nelle vesciche della Taphrina carnea una simile colorazione si limita allo strato superiore di cellule e sarebbe interessante il ricer- care in posto se -la colorazione effettivamente è in relazione soltanto colla luce. Taphrina Betulae — Vive sulla Betula verrucosa e B. pubescens. È diffusa a quasi tutta 1’ Europa. Secondo Sadebeck * si mostra sotto due forme, cioò Taphrina Betulae (Iuk) e T. Betulae-var. autunnalis. Queste due forme si distinguono per la grandezza degli aschi e delle pustole che esse determinano sulle foglie delle betulle. La specie tipica offre pustole bianco-gialliccie o giallastre, mentre la varietà produce pustole ! Woronin |. c. p. 2. ? Sadebeck Mon. l. c. p. 2. 296 W. G. SMITH — A. N. BERLESE rossastre, di grandezza e forma straordinariamente varie. Il materiale a mia disposizione consisteva in foglie raccolte dal sisnor Allescher nella Baviera superiore nel settembre 1890. Le pustole sono molto variabili cosichè io ne trovai in una medesima foglia di quelle che corrisponde- vano a quelle di ambedue le suddette varietà: le più piccole consiste- vano soltanto in una macchia bianchiccia, senza rigonfiamento della foglia, le maggiori avevano un margine bianco di aschi, però al centro la foglia della grossezza della pustola era colorata più o meno in giallo e fino a bruno. Gli aschi apparivano o alla pagina superiore o alla in- feriore: ordinariamente però la colorazione bianca caratteristica si notava soltanto sopra una sola epidermide. La foglia non è ingrossata e tanto per questo, quanto anche per la presenza di una cellula stipite negli aschi, la Taphrina Betulae è distinguibile dalla Taphrma carnea. Come era da aspettarsi anche dai caratteri morfologici delle pu- stole di cui è parola, le alterazioni anatomiche non erano molto pro- fonde. Il micelio forma al di sotto della cuticola le cellule ascogene le quali sotto forma di papille sollevano la cuticola stessa, e finalmente la lacerano. Gli stipiti degli aschi sono larghi e non penetrano, spin- gendosi all indietro, fra le cellule epidermiche. Essi alterano molto poco la forma di queste ultime. ' In seguito però quando ha luogo un dis- seccamento in causa della distruzione della cuticola, le cellule epidermiche si contraggono, e sì riempiono con un succo giallo, donde ne segue la colorazione gialla delle pustole stesse. Le cellule del mesofillo sono poco alterate, o dopo che si è colorato l’ epidermide, disseccano anch’ esse. Nelle più grosse nervature non si sviluppano aschi, però sulle minori le cellule epidermiche possono portare aschi, e sono poi alterate nel modo sopra descritto. i Taphrina Sadebeckii Joans. — Vive sull’ Almus glutinosa e sul- lA. glutinosa, varietà incana, ed è diffusa per tutta Y Europa. Gli aschi appariscono ora sopra un’ epidermide ora sopra l’altra. Le pustole che si formano, soltanto di rado raggiungono un diametro trasversale di 5 mm. Primieramente esse constano di uno strato biancheggiante di aschi, più tardi mostrano una colorazione gialla e perfino bruna, però non vi sono mai bolle oppure ingrossamenti fogliari. La struttura interna delle foglie sane venne già descritta sopra. Le foglie che portano questa Taphrina non mostrano alcuna alterazione visibile nel loro tessuto. Il micelio produce un ispessimento della cuticola, però nè questo nè le 1 Cfr. Sadebeck Mon. l. c. p. 2, Tab. II, fig. 15. RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 297 estremità inferiori degli aschi si spingono fra le celluie epidermiche. Queste ultime sono appena alterate, e le loro pareti esterne si presen- tano alquanto convesse dove gli aschi posano sulle stesse. Più tardi queste medesime cellule disseccano e si riempiono con un succo giallo e finalmente bruno. Le cellule ipodermiche e quelle del mesofillo ordinariamente rimangono inalterate e si disseccano soltanto in rari casi. Anche gli elementi vascolari e le guaine dei fasci riman- gono intatti dall’ azione del fungo. Questa Taphrina ha un’ azione del tutto corrispondente a quella della Zaphrina Betulae. Ambedue distrug- gono soltanto la cuticola. Taphrina polyspora (Sorok.) — Vive sulle foglie di Acer tar- taricum e in diverse regioni d’ Europa. Non venne ancora osservata in Germania. Il materiale da me studiato consisteva in foglie raccolte da Johanson nella Svezia. Il fungo aveva determinato sopra le stesse, e in ambedue le epidermidi, delle pustole molto irregolari, colorate in giallo e perfino in bruno oscuro. Nelle foglie normali sane, noi troviamo la struttura delle ordinarie dicotiledoni, però i diversi tessuti hanno pareti molto delicate, cosichè la struttura fogliare ha il carattere d’ una grande delicatezza. Le regioni ammalate sono colorate, e ciascuna è limitata, in uno o nell’ altro epidermide, da uno strato biancheggiante di aschi. La co- lorazione delle foglie è visibile in ambedue le facce, ed è egualmente forte. Ciò non ha luogo nella Taphrina Betulae, dove la colorazione è visibile soltanto ad una pagina. Per l’ apparsa di un micelio, la cuti- cola sì ispessisce e più tardi viene distrutta, dopo, cioè, lo sviluppo de- gli aschi. Questi non hanno lo stipite e colla loro larga estremità in- feriore sì spingono soltanto poco fra le cellule epidermiche. (fig. 16) Quelle cellule epidermiche che portano gli aschi sono alquanto più grosse e le loro pareti esterne sì presentano un po’ ispessite, però queste cel. 5 L lule non si riempiono con alcun succo colorato. DA 209 La colorazione delle regioni intaccate dal paras- sita e limitata al mesofillo, le di cui cellule si disseccano dopo che la cuticula venne distrutta Fig. 16 dagli aschi sviluppatisi. Indi sì contraggono e Epidermide superiore di diventano brune. I tessuti delle nervature non Acer tartaricum cogli a- O schi della Taphrina poty- Mostrano alcuna alterazione. spora, in uno dei quali sono disegnati i conidi, Taphrina coerulescens (Mont et Dem.) 298 W. G. SMITH — A. N. BERLESE Tul. Vive sopra diverse specie di Quercus ed è sufficientemente diffusa. Le foglie di Quercus pedunculata da me sottoposte ad esame vennero raccolte dal signor Allescher nell’ alta Baviera. L’ apparsa di questa spe- cie di Taphrina sulla Quercus pedunculata non è registrata da Sadebeck, però Allescher * la ha già resa nota. Gli aschi appariscono in ambedue le superficie fogliari come uno strato in forma di irregolari macchie di diversa grandezza. Non si trova qui alcun rigonfiamento bolloso e la co- lorazione delle macchie si presenta sopra tutto soltanto un po’ più chiara del colore verde normale delle foglie, sebbene il punto mediano di molte macchie dissecchi e diventi giallo. Gli aschi sono senza stipite e le loro estremità inferiori si spingono però lungo le pareti fra le cellule epider- miche vicine. Io non le ho mai osservate spingersi fino alla metà della profondità di queste cellule. (fig. 17-18) \lgddi 7, \] ), > Fig. 17 Taglio trasversale della epidermide inferiore di u- Fig. 18 fia na foglia normale di Quer- Sezione della stessa foglia in u- cus pedunculata. na regione deformata e portante aschi di Taphrina coerulescens. Le azioni le quali vengono determinate sulle foglie delle quercie da questa Taphrina non sono molto manifeste, e possono anche non danneggiare menomamente la pianta. Dove il micelio fa la sua ap- parsa, ivi la cuticola è -ispessita e le cellule epidermiche, le quali nella foglia normale sono più larghe che profonde, diventano strette e lunghe senza che venga aumentato il loro volume. Dopo che gli aschi sì sono sviluppati ed hanno attraversato la cuticola, le cellule (quando gli aschi si sono spinti nelle pareti laterali) diventano ancora più sottili e si distaccano l’ una dall’ altra. Negli ulteriori stadii di sviluppo della malattia può apparire un succo giallo nelle cellule. Il mesofillo mostra soltanto poche alterazioni, e cioè quando gli ! Allescher Verzeichn. fiir Siidbayern neu gefund. Pilze-Jabersber. d. Bayer. Bot. Gesell. in Miinchen, Iahrg. L RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 299 aschi hanno attraversato la cuticola, allora le cellule clorofilligere che si trovano a contatto coll’ epidermide si presentano alquanto maggiori mentre la colorazione verde è diventata alquanto più pallida. Negli ul- teriori stadi, quando cioè ha luogo il disseccamento in seguito alla distruzione dell’ epidermide, le cellule sì contraggono e perdono la loro colorazione verde. Per la sua azione questa Taphrina viene a trovarsi da un lato fra la Taphrina aurea e la T. carnea, e dall’ altro fra la 7. Betulae e le rimanenti. Gli aschi si spingono fra le cellule epidermiche, però senza una visibile azione sui tessuti del mesofillo, e sulle cellule epi- dermiche stesse, le quali non mostrano alcuna moltiplicazione. La spie- gazione si deve ricercare nelle epidermidi più grosse e più robuste delle foglie di quercia in confronto a quelle della Betulla e del Pioppo. Conclusioni Noi abbiamo già in diversi luoghi di questo lavoro riepilogate le principali alterazioni morfo-anatomiche, però per poter fare un confronto coi risultati di altre ricerche, rivolte ad illustrare altre ipertrofie deter- minate da funghi, noi diamo qui ancora una volta un breve riepilogo dei principali risultati esposti in questo lavoro. Le ipertrofie determinate dalle Exoascacee nelle loro piante ospiti si possono limitare alle foglie (Taphrina) oppure possono manifestarsi tanto sui germogli che sulle foglie (ZExoascus). Germogli Le maggiori alterazioni hanno luogo in diversi tessuti parenchi- matici. Le cellule si rigonfiano e perdono la loro disposizione normale. Le pareti possono diventare più sottili negli elementi di diversi tessuti. Le differenziazioni delle stesse rimangono incompletamente sviluppate. Ha luogo moltiplicazione cellulare : a durante lo sviluppo dei germogli dalle gemme, quando nelle cellule non ha luogo una divisione suppletiva. b può manifestarsi una formazione di nuove cellule nei casì di più forte ipertrofia. Gli elementi dei cordoni vascolari subiscono una minore moltipli- cazione ed un minore ingrandimento di quelli parenchimatici. Gli elementi sclerenchimatici tendono a dimmuire e la loro for- W. G. SMITH — A. N. BERLESE mazione è più debole. Le loro pareti rimangono meno ispessite e il lume riesce ingrandito. Gli elementi floematici sono più ricchi di protoplasma. Le trachee sono aumentate in numero e meno complete nello svi- luppo. I loro membri sono abbreviati e riuniti irregolarmente. Gli ispessimenti delle pareti sono meno sviluppati. Le fibre legnose sono molto meno numerose (ad eccezione degli ultimi anelli annuali degli scopazzi) e le loro pareti rimangono più sottili. Foglie La presenza del micelio determina alterazioni nei tessuti fogliari. La Taphrina Betulae e la T. polyspora (fig. 16) non determinano altro che l'asportazione della cuticola e perciò il disseccamento dei tessuti fogliari. La Taphrina coerulescens (fig. 14 e 18) produce un ingrandimento delle cellule epidermiche, però ha poca azione sul mesofillo e sulle ner- vature. La Taphrina carnea (fig. 13, 14 e 12) determina delle rile- vanti ipertrofie in tutti i tessuti fogliari, però non vi è moltiplicazione delle cellule. La 7. aurea (fig. 12) e 1’ Exoascus deformans (fig. 10 e 11) producono egualmente delle forti ipertrofie nelle foglie e nei picciuoli e vi è inoltre moltiplicazione delle cellule. L' Eroascus Pruni (fig. 8) determina forti ipertrofie nei picciuoli e nelle nervature principali, però non intacca i tessuti del mesofillo. L’ Exoascus Cerasi e le altre Exoascacee che producono scopazzi, determinano incompleta formazione e ingrandimento delle cellule del mesofillo e dei tessuti delle nervature, ma lo sviluppo degli aschi, al- l’infuori del dissecamento, non produce altre alterazioni. Noi possiamo dividere in due gruppi le deformazioni prodotte dal- le Exoascacee di cui noi abbiamo trattato nel presente lavoro, cioè quelle le quali non si spingono oltre la foglia, e quelle che intaccano tanto la foglia quanto i germogli. Sadebeck ha diviso egualmente in due gruppi le Exoascacee, cioè Taphrina ed Ezxoascus, prendendo per punto di partenza la presenza o la mancanza di un micelio perenne. Uno sguardo alla tabella sopra esposta mostra che i gruppi formati da un punto di vista patologico, coincidono con quelli tratti dalla siste- matica dei funghi. Se noi ora consideriamo le deformazioni di germo- gli prodotte da Exroascus, allora potremo brevemente caratterizzare le due principali sottodivisioni di Sadebeck nel seguente modo. i 3 , ; RICERCHE MORFO-ANATOMICHE ETC. 301 A. Il micelio si estende nei tessuti interni dell’ organo assile. B. Il micelio si estende soltanto fra la cuticola e le cellule epi- dermiche. La maggiore ipertrofia è prodotta da due specie del gruppo A, cioè Exoascus Pruni ed Exoascus deformans.* Inoltre non si possono distinguere le alterazioni degli scopazzi prodotti dall’ Exoascus Cerasi del gruppo A, da quelle degli scopazzi dell’ Exoascus epiphyllus appar- tenente al gruppo B. Le differenze consistono soltanto nella estensione del micelio dei funghi di ambedue i gruppi. Se vengono confrontati i risultati sopra esposti con quelli di Vakker già ricordati, si trova che essi mostrano una piena corrispondenza in tutto e appoggiano le sue conclusioni ge- nerali « che cioè la maggior parte degli ipertrofiti etc. » (v. pag. 226). Riguardo ai casi da lui esposti nei quali gli organi ipertrofici corri- spondono allo stato giovanile, e in quelli in cui appariscono nuove pro- prietà, noi dobbiamo osservare che le Exoascacee ipertrofite si mostrano molto più disposte a produrre un arresto di sviluppo, o ad una conser- vazione dello stato giovane, di quello che a produrre nuove proprietà. Cogli altri lavori sopra citati i risultati nostrì corrispondono per- fettamente. Le nostre ricerche sulle Exoascacee che determinano ipertrofie ci portano alla conferma dei risultati di Vakker, che ammettono un ar- resto dello sviluppo nei giovani tessuti. Le cellule rimangono ricche di protoplasma, conservano per più lungo tempo la facoltà di dividersi e una forma più semplice, s’ ingrandiscono, si dividono in alcuni casi sup- pletivamente ancora una volta, non si differenziano però spesso nelle for- me più elevate di tessuti. Ciò apparisce tanto più distinto quanto più forte è lo sviluppo dei parassiti e quanto più giovane è il tessuto in- taccato. Ciò noi osserviamo nel miglior modo, per es.: nell’ Exoascus Pruni, laddove in speciali scopazzi il fungo esercita soltanto un primo e debole stimolo, e nel resto gli organi attaccati rimangono passivi e le ulteriori alterazioni dipendono piuttosto dal suo proprio peso e dalle altre cause sopra esposte. dare AEREE GOT 1 Non comprendo perchè il Sadebeck collochi questa specie tra quelle del gruppo B, poichè essa possiede un distinto micelio interno. 302 Elenco dei Fitoptidi europei —_—_e_ + —__ Lo studio dei Fitoptidi, così trascurato per lo innanzi, ha, in que- sti ultimi anni ricevuto un grandissimo impulso specialmente in con- seguenza dei lavori di Canestrini, da noi, e di Nalepa in Austria. Le specie riconosciute ed egregiamente descritte dal Canestrini, raccolte tutte in Italia, sommano a circa 90. Per queste, oltre alla citazione della specie, aggiungiamo la recensione bibliografica, e i lettori ci sa- ranno grati conoscendo l’importanza dell’ argomento. Phytoptus alpestris Nal. (Nalepa Ber. der k. Akad. der Viss. in Wien, Sitzung vom. 7 Ok- tober 1892, Iahrg. 1892. Nr. XIX. — idem, Canestrini, Appendice alla Famiglia Phytoptidae, VI Vol. Acari, pag. 777, tav. 61, fig. 2, 5). Causa dei cecidii sul Rhodendron hirsutum, le foglie attaccate dal parassita, accartocciano le due meta laterali su se stesse dalla parte della pagina superiore — Veronese, presso Tregnano. Phytoptus anthocoptes Nal. (Nalepa, Neue Gallmilben, anz. der. K. Akad. der Viss. in Wien, N. XXII, 1891 — idem, Neue Arten der. Gatt. Phyt. und Cecid., p. est. 2, tav. I, fig. 5, 6; Phyt. anthocoptes — idem, Canestrini, Ap- pendice alla Famiglia Phytoptidae, VI Vol. Acari, pag. 776, tav. 61, figura 7). Si riscontra sul Cirsium arvense — Padovano. Phytoptus anthonomus Nal. (Nalepa, Phytoptus und Cecidophies, pag. 6, tav. II, fig. 3 e 4, Ph. anthonomus — idem, Canestrini, Appendice alla famiglia Phytop- tidae, VI Vol. Acari, pag. 781, tav. 60, fig. 1, 2). Questo pidocchio produce deformazione nei cauli o germogli del , DI ei ELENCO DEI FITOPTIDI EUROPEI 303 Thesium intermedium, caratterizzati da cladomania e cloranzia. Questi germogli nella regione della infiorescenza si suddividono, anormalmente, in numerose ramificazioni, fra le quali le ultime invece che terminare da un fiore, portano molti fillomi bratteiformi, disposti a spica. Vive ancora sul Thesium divaricatum — Tregnano nel Veronese. Phytoptus artemisiae Can. (Nuove specie di Fitoptidi, seconda serie, — Bull. Soc. Ven. Tren- tina di Sc. nat. Vol. V-1; — idem, Acarof. ital. p. 650, tav. 53, fig. 10, tav. 49, fig. 3; tav. 54, fig. 6, 1892 — idem, Famiglia Phytop- tini, Atti Soc. Ven. Trent., Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 125, tav. 10, fig. 10; tav. 6, fig. 3; tav. 11, fig. 6). Questa specie produce galle singole od aggregate alla pagina su- periore delle foglie di Arfemisiae vulgaris — Padovano in giugno. Phytoptus betulae N. (Nalepa — Genera et specie, etc. estr. p. 9, tav. II, fig. 3-4 — idem, Canestrini, Acarof. it. p. 680, tav. 59, fig. 2-3, 1892 — dem, Cn. Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina, Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 155, tav. 16, fig. 2-3). Questa specie unitamente al Ph. leionotus ed a molti tarsonemi sì trova nel Cephaloneon betulinum Bremi della Betula alba — Trentino. Phytoptus breviceps Can. (Sopra due nuove specie di Phytoptus (serie ultima) in Bull. Soc. Ven. Trentina di Sc. Nat., Vol. V. fasc. 2 (aprile 1892) — idem, A- carof. ital. pag. 652, 1892 — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Società Ven. Trentina, Serie II, Vol. I, 1893, pag. 127. Specie rarissima, a quanto asserisce 1’ Autore, produce erinei sulla pag. inf. delle foglie di una quercus, che non è stato possibile determi- nare, pel fatto che l’ Autore non era in possesso che di una sola foglia. Phytoptus brevitarsus Fock (Fock, Notes sur les Acarocecidies, in Revue biologique du Nord de la France, 3 ann., N. 3, dicembre 1890, pag. 106 — 20em, Cane- strini, Acarof. ital. 1892, pag. 662, tav. 45, fig. 7, 8; 1892 — «dem 304 G. LEONARDI Cn. Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina, Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 137, tav. 2, fig. 7-8). Questa specie comune in tutta Italia dà luogo all’ Erinum alneum. Phytoptus buxi Can. (Nuove specie di Phytoptidi, prima Sez. in Atti Soc. Ven. Tren- tina di Sc. Nat. Vol. XII, fasc. 1, 1890, pag. 138, Ph. Buxi — #dem, Acarof. ital., 1892, pag. 641, tav. 51, fig. 4, 5, 6, 8,9 — “dem, Fa- miglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina, Serie IV, Vol. I, 1893, pag. 116, tav. 8, fig. 4-5-8-9). Questo fitopius, che spesso si trova associato al Phytoptus Cane- strini, è cagione della deformazione delle gemme del Buxus sempervi- rens — Ferrara, Padovano, Roma, Avellino. Phytoptus campestricola Frauenf. (V. Frauenfeld, Einige neue Milben in Verhandlungen der K. K. zoologisch-botanischen Gesellschaft, 1865, pag. 897, Phytoptus cam- pestricola — idem, Nalepa, Zur Systematik der Gallmilben, 1890, p. 59, tav. VII, fig. 3-4, Ph. ulmi — idem, Canestrini Acarof. ital. 1892, p. 676, tav. 52, fig. 12 (superiore); tav. 55, fig. 7 — idem, Can. Fami- glia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina di Sc. Nat., Serie II, Volume I, 1893, pag. 181, tav. 9, fig. 12 (superiore), tav. 12, fig. 7). Questa specie dà origine a delle galle vescicolari sulle foglie del- l’ olmo (Ulmus campestris); tali galle sono di colore verde sul principio della loro formazione, bruno-giallastre in fine — Valle di Non, Trentino e Padovano. Phytoptus Canestrini Nal. (Nalepa, Genera et species Phyt.; tav. II, fig. 5-6 — #dem, Cane- strini, Acarof. ital., 1892, pag. 615, tav. 54, fig. 2-2; tavola 51, fig. 10-11 — idem, Can. Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina di Sc. Natur., Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 90, tav. 11, fig. 2-3, tav. 8, fig. 10-11). Trovasi nelle gemme deformate del Buxus sempervirens, in ispecie in quelle che presentano molta peluria — Veneto. Phytoptus Carueli Can. (Atti. R. Istituto Veneto, adunanza 28 maggio, 1892 — #dem, Acarof. ital., pag. 669, tav. 58, fig. 1-2, 1892 — idem, Famiglia Phy- dl de a Td Ri ali Be 2h4 ELENCO DEI FITOPTIDI EUROPEI 305 toptini, Atti Soc. Ven. Trent., Serie II, Vol. I, 1893, pag. 144, tav. 15, fig. 1-2. Produce nella Quercus aegylops l° Erineum querci Pers — Lago di Garda. Phytoptus centaureae N. (Nalepa, Neue Phytopten, Anz. der K. Akad. der Vis. in Wien, 1890, XX, pag. 212 — idem, Genera und Species, estr. p. 5, tav. I, fig. 5-6 — idem, Canestrini, Appendice alla Famiglia Phytoptidae, vi Vol. Acari, pag. 778). Questa specie produce dei cecidii sulle foglie, specialmente radicali, di Centaurea amura e Centaurea maculosa, cecidii che sporgono mag- giormente sulla pagina inferiore delle foglie, che non alla superiore, presentano l’ aspetto come di tante pustole vajuolose — Tregnano Ve- ronese. Phytoptus chondrillae Can. (Ricerche, estr. pag. 17, tav. VI, fig. 3-4-12-13, Ph. chondrillae — idem, Acarof. ital. 1892, pag. 643, tav. 47, fig. 3-4-12-13 — 2dem, Fa- miglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trent., Serie II, Vol. I, 1893, pag. 118 tav. 4, fig. 3-4-12-13). Questa specie produce sulla Chondrilla juncea un fitottocecidio , originato per deformazione delle gemme — Veneto. Phytoptus coryligallarum Targ. (Vallot, Sur la cause de fausses galles, p. 153, Acarus pseudo- gallarum (nome che comprende anche altre specie) — idem Targioni- Tozzetti, Di alcuni rapporti delle coltivazioni cogli insetti, pagina 52, tav. II, fig. 8, Phytoptus choryligallarum — idem, Annali di Agricol- tura, 1888, p. 488, fig. 67, PA. pseudogallarum — idem, Nalepa, Bei- tràge, 1879, p. 15, tav. II, fig. 1-3, e tav. III, fig. 3, P%. avellanae — idem, Acarof. ital. 1892, pag. 611, tav. 52, fig. 9. — idem, Canestrini, Famiglia fitoptini, Atti Soc. Ven. Trentina, Serie II , Vol. 11593; pag. 86, tav. 9, fig. 9). Questo Phytoptus deforma le gemme del Coryllus avellana — Ve- neto e Toscana. Phytoptus cotoneastri Can. (Ricerche, estr. p. 21, tav. VII, fig. 7-8, PA. cotoneastri — idem, Difesa dai parassiti, anno I, num. 36, e Ricerche, p. estr. 13, tav. VII, 20 306 G. LEONARDI fig. 4, Ph. aroniae — idem, Acarof. ital., 1892, pag. 638, tav. 48, fig. 4-7-8 — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trent. Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 113, tav. 5, fig. 4-7-8). Produce cecidii alla pagina inferiore delle foglie del Cotoneaster vulgaris — Trentino, Veneto. Phytoptus crataegi Can. (Canestrini, Ricerche, 3 novembre 1890, estr. pag. 15, P%. cra- taegi — idem, Nalepa, N. Gallmilben in Nova acta, 13 dicembre 1890, LV, p. 367; Genera et species, p. estr. 13, tav. III, fig. 7 e 8, PH. Calycobius ? — idem, Canestrini, Acarof. ital., 1892, pag. 635, tav. 52, fir. 3 — idem, Can., Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trent. Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 110, tav. 9, fig. 3). Questa specie produce delle galle a guisa di tubercoli poco rilevati in principio verdi e poscia bruni-oscuri sulle foglie di Crataegus 0rya- canthus — Corredo, Val di Non (Trentino). Phytoptus cytisi Can. (Ricerche, estr. p. 18, tav. VII, fig. 10, Pluytoptus Cytisi — idem, Acarof. ital. 1892, p. 625, tav. 48, fig. 10, tav. 58, fig. 6, 7,8 — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trent. di Sc. Nat. Ser. II, Vol. I, 1893, -p-100;, tav. 5; fig. 10; tav. 10x-ilp. 6,04 ess) Questa specie produce la deformazione dell’ estremità dei germogli del Cytisum sessilifolius — Biondella, Tregnago (Verona). Phytoptus destructor Nal. (Nalepa, Phytoptida, Denkschriften der k. Akad. der Wiss. in Vien, math. nat. Classe, Bd. LVIII, tav. II, figure 3-4, Ph. destruetor — idem, Canestrini, Acaraf. ital. 1892, p. 631, tav. 45, fig. 10, tav. 46, fi. 7 — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Società Veneta Trentina di Scienze Naturali, Ser. II, Vol. I, 1893, pagina 106, tav. 2, fig. 10, tav. 3, fig. 7) Questa specie produce deformazione nel Sedum reflexum e preci- samente nelle foglie dell’ estremità dei germogli, tali foglie attaccate dal parassita, che risiede fra mezzo a loro, oppure alla loro ascella, assumono una forma irregolare, globulosa più corta della normale, con superficie lievemente raggrinzita. ELENCO DEI FITOPTIDI EUROPEI 307 Phytoptus diversipunetatus Nal. (Nalepa, Zur Systematik der Gallmilben, t, c, 1890, p. 41, tav. I, fig. 1 e 2, Ph. diversipunctatus — idem, Canestrini, Acarof. ital. 1892, pag. 671, tav. 58, fig. 7-8 — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trent. di Sc. Nat., Serie II, Vol. I, 1893, pag. 146, tav. 15, fig. 7, 8). Questa specie che si riscontra sul Populus tremula, è causa della ipertrofizzazione delle ghiandole che risiedono alla base della lamina fo- gliare, ghiandole che per azione del parassita si tramutano in cecidii rossastri a superficie rugosa. Phytoptus dolichosoma Can. (Sopra tre nuove specie di P7ytoptus, in Bull. della Soc. Ven. Trent. di Sc. Nat., tom. V, N. 1 — idem, Acarof. ital., 1892, pag. 623 — idem, Atti Soc. Ven. Trent., Sez. II, Vol. I, 1893, pag. 98). Questo fitoptus vive associato al Ph. geran nelle foglie accar- tocciate di Geranium sanguineum. Phytoptus echii Can. (Sopra tre nuove specie di Plyfoptus, in Bull. della Società Ven. Trent. di Sc. Nat., tom. V fasc. 2° (aprile 1892) — idem, Acarof. ital. pag. 628, tav. 49, fig. 2, 7) — idem, Famiglia Phytoptini, Atti Soc. Ven. Trentina, Ser. II, vol. I, 1893, pag. 103, tav. 6, fig. 2, 7). Sull’ Echium vulgare produce cloranzia e policladia delle ramifi- cazioni dell’ infiorescenza. Phytoptus effusus Can. (Atti Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, adunanza 28 mag- gio 1892 — idem, Acarof. it., 1892, pag. 657, tav. 57, fig. 1 — idem, Famiglia fitoptini, Atti Soc. Ven. Trent., Ser. II, Vol. I, 1893, pag. 132, Tav. 14, fig. 1). Il Salir daphnoides presenta sovente Vl Erineum effusum Kunz. che ospita questa specie — Macerata. Phytoptus eryngii Can. (Nuovi fitoptidi italiani (serie IX) in Atti R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, adunanza 27 novembre 1892 — idem, Appen- dice alla Famiglia Phytoptidae, VI Vol. Acari, pag. 779, tavola 60, fio. 5, 6). Questo fitotto causa la deformazione del caule e delle ramifica- zioni dell’ Eryngium arvense — Veronese. 308 G. LEONARDI Phytoptus euaspis Nal. (Nalepa, Ved. Kais. Awad. der Viss. in Vien, Jahrg, 1891, nu- mero XIX, Sitzung der math. naturw. Classe vom 8. Okt. 1891 — idem, Acarof. ital., 1892, pag. 620, Tav. 46, fig. 2, 3 — 30 ARA id. Serale 09 id. Mais (Nonarotello). . 0,39 id. ORO OL id. Mais (di Mauthner) . 0,06 id. AVENA I Ser 000 id. 351 Secondo le ricerche dell’ autore i semi contengono in media il quadruplo di CuO nel terreno, sul quale le piante si sono sviluppate. Le rimanenti parti di pianta con- tengono per lo più poco rame, e in qualche caso soltanto tracce. In seguito di questi dati l’autore pone la questione se il rame possa essere raccolto dalle piante forse non accidentalmente, ma abbia invece nell’ organismo ve- getale un dato compito. A. N. BERLESE Klebahn — Einige Wirkungen der Diirre des Friihjares 1893 (In Zeitschr. fiir Pflanzenkranch. IV Band, VI Hefl 1854). In una estesa parte della Germania la primavera 1893 fu eccessivamente asciutta, e ciò non fu.senza conseguenza nello sviluppo della vegetazione. I prati alla metà di luglio erano in gran parte gialli; ed il primo taglio fu molto scarso. Notevolmente meschino rimase l’ orzo, alcune civaie vennero infestate da insetti; il fogliame stesso degli alberi ed arbusti si presentava bruno anche in autunno in causa della siccità. Poco danneggiate, relativamente, furono la segala (segala di inverno) le patate e le piante da frutto. Queste diedero in parte anzi buon frutto. L’A. osservò che la siccità determinò uno straordinario sviluppo di insetti e simili animali, specialmente afidi ed acari, sviluppo che venne frenato e ridotto nei limiti ordinari dopo le pioggie abbondanti cadute nella metà del luglio. Un’ altra azione della siccità fu la ristretta apparsa di quei parassiti vegetali che sogliono mostrarsi in primavera. Così l’ Aecidium Grossulariae e Vl Aecidium Frangulae furono assai scarsi. Del primo l’A., in una regione dove abbonda il Fran- gula Alnus, e nella quale l’Aecidium negli anni precedenti si mostrava assai copioso, potè raccogliere appena il materiale per alcune infezioni artificiali. Ma un più sensibile effetto della siccità fu probabilmente l’ arrossamento delle biade, in seguito a sfavorevoli condizioni di nutrimento. L'A. osservò nella segala, nell’avena e nel frumento una colorazione rossa in luogo della verde normale, nelle piante che già portavano la spiga. L'A. non potè studiare l’ orzo. Questa colorazione era dovuta all’ apparsa di una sostanza colorante rossa ed alla contemporanea scom- parsa della clorofilla, in seguito a ciò l'A. non crede che in questo caso si possa am- mettere l’ opinione del Kny circa la funzione fisiologica della antocianina, poichè quivi la clorofilla non è affatto protetta dalla sostanza rossa, anzi manca là dove esiste quest’ ultima. La detta sostanza rossa è solubile nell’ acqua e nella glicerina, insolu- bile in alcool, e nel terpentinolo. Con potassa o ammoniaca si colora in Bleu, arrossa nuovamente cogli acidi, essa è immersa nel succo cellulare. Nella segala si trova nelle cellule del tessuto assimilatore dei culmi, per cui si vedono i culmi stessi striati in rosso. Manca nelle cellule epidermiche. Nell'avena invece esiste in quest’ ultime meno che nelle stomatiche, tanto nelle guaine che nelle pagine fogliari; specialmente queste ultime anzi appariscono altamente rosse. Le ricerche eseguite dall'A. allo scopo di constatare la percentuale di piante infette, lo condussero a trovare il 38 per cento di piante più o meno arrossate, con una diminuzione di raccoito del 10,7 °/o. Nelle piante arrossate l’ A. non trovò funghi (ad eccezione del solito Cladosporium). Il prof. Frank è pure d’avviso che l' arrossamento dipenda dalla siccità. Il dott. Tacke scrive che nel 1893 l’ arrossamento dell’ avena si presentò nei suoi campi sperimen- tali nei quali si verificarono cattive condizioni di nutrizione, cioè mancanza di azoto e di acido fosforico. Anche i campi nei quali 1’ A. osservò la suddetta alterazione erano magri e sabbiosi. A. N. BERLESE DIA \ Moritz et Busse — Veber das Auftreten von Plasmodiophora Vitis in Deutschen Weinbaugebiete (In Zeitschr. fir Pflanzenkrankh. IV Band, V Heft 1894). Nell’ estate 1895 il signor dott. Fonheyen inviava dal Reno al signor Miitz delle foglie di vite che presentavano i caratteri dell’ imbrunimento (Plasmodiophora Vitis). Gli autori in una tavola posero in evidenza i caratteri dei tessuti ammalati e sani, procedendo nelle preparazioni secondo il metodo esposto da Vialà. A. N. BERLESE Janse -- De Dadap-ziekte von Ooost-Java (Overgedrukt uit Tupmania IV Bd. 1893. Ex Schimper in Zeitschr. fiir Pflanzenkrankh. IV Band. V. Heft 1894). In Java Ie piante di Dadap, (A/bizzia sp.) coltivate allo scopo di dare ombra alle piante di caffè, in parecchi distretti vennero attaccate da una malattia epidemica Primieramente le foglie ingiallirono e caddero, poi disseccarono i giovani rami, e fi- nalmente i rami maggiori pure disseccati poterono cadere col tronco. Ciò riuscì molto incomodo ai coltivatori di caffé, cosichè l’ A. venne ufficialmente incaricato di stu- diare la malattia. Egli potè constatare che la sede del male era il sistema radicale. Quivi gli ispessimenti delle cellule del parenchima legnoso e dei raggi midollari, e- rano sciolti, e la lignina scomparsa, infine i tessuti si raggrinzavano e si fendevano. I vasi però rimanevano inalterati e non presentavano alcuna modificazione nella so- stanza legnosa. Nelle cellule morte e nelle fenditure l’ A. trovò piccoli bacteri che egli dubita sieno la causa della malattia. Le relative ricerche sono in corso. Non sono noti i mezzi per la cura del male. Si potrebbe sostituire l’ Albizzia con un’ altra pianta, si dovranno quindi intraprendere ricerche onde scegliere un altro albero ombroso. A. N. BERLESE Biedenkopf — Ustilago medians, ein neuer Brand auf Gerste (In Zeitschr. fiùr Pflanzenkrankh. IV Band, 6 Heft 1894). Da piante di orzo affette da carbone, lA. trasse delle colture, che egli credeva fos- sero pure e da ascriversi all’ Ustilago Hordei. Però osservò che tra le colonie di questa specie ve ne erano altre, anche in numero maggiore, che producevano sporidioli in ‘luogo di micelio soltanto, come è il caso della Ust.lago Hordei. Le ricerche condotte allo scopo di verificare se la seconda specie apparteneva alla Ustilago Jensemit che produce spiridioli, diedero risultato negativo, poichè le spore di questa terza specie erano verrucose al pari di quelle della Ustilago Hordei. L'A. ci offre alcuni dettagli sulla germinazione di questa terza specie, sulla formazione degli sporidioli, etc. Con- siderando detta specie come nuova, la chiama Ustilago medians e promette sulla stessa uno studio più profondo. A. N. BERLESE Rostrup — Phoma-Angriff bei Wurzelgewcchsen (In Zeitschr. fir Pflanz. IV Band. 6 Heft. 1894). Nell'isola Falster nel 1891 l'A. osservò una forte infezione nella Brassica Na- pus rapifera (B. oleracea Napobrassicae L) per la quale le piante imputridivano sul campo. La causa era un fungo che lA. chiamò Phoma Napobrassicae. I luoghi infetti delle piante erano attraversati da un micelio incolore, ramifi- cato, settato, che si spingeva in tutte le direzioni nelle parti apparentemente del ia e ei i 358 tutto fresche sia della periferia che dell’ interno. Le regioni contenenti micelio in breve morivano e si scoloravano. Alle superficie delle macchie, prima al centro, poi anche alla periferia, si mostravano dei piccoli picnidi neri, numerosi, i quali conte- nevano delle sporule incolore allungate, 4 — 6 v 2. L'A. segnala poi l’ apparsa in Danimarca dello Sporodesmium putrefaciens che nel 1893 portò notevoli danni nei semenzai di barbabietola, e notò come le piante anche se hanno delle piccolissime macchie, col trapianto in primavera rapidamente vanno a male. A. N. BERLESE Sempolowski A. — Beitrag zur Bekiimpfung der Kartoffellran]:hett. (Zeitschr. fir Pfianzenkrankheit. IV Band, 6 Heft 1894). Un campo sperimentale venne piantato con patate della varietà Sutton Magnum bonum, e diviso in 10 parcelle. La I non ricevette alcun trattamento. La II venne trattata con una poltiglia bordolese al 6 °/, di SO,Cu e calce viva. La III ricevette una mescolanza di solfato di ferro e di calce al 6 °/, di am- bedue i componenti. ) La IV rimase intrattata. La V ebbe poltiglia bordolese all’8 °/, di solfato di rame e calce. La VI ebbe simili proporzioni di solfato di ferro. La VII rimase intrattata. Ka VIII venne trattata due volte, cioé la prima il 28 giugno con poltiglia bor- dolese al 4 °/, di SO,Cu e calce, la seconda 14 giorni dopo con poltiglia bordolese al 6 per cento. La IX fu trattata come l’ VIII colla differenza che in luogo del solfato di rame fu impiegato il solfato di ferro. La X rimase intrattata. In tutte le parcelle il trattamento fu fatto il 28 giugno, La IX e la X ne eb- bero un secondo, come si disse, il 12 luglio. Prese le debite precauzioni onde le piante fossero tutte nelle identiche condi- zioni anche rispetto al modo e tempo dell’ innaffiamento , 1° Autore osservò 1° anda- mento della vegetazione e notò che la Phytophthora infestans comparve soltanto il 15 agosto. I risultati tratti dai dati della raccolta furono i seguenti: Num. dei tuberi per chg. °/, di amido °/, di tuberi ammalati Parcella I 257 19,1 6,0 » I 230 18,0 2, » III 255 17,0 3,5 » IV 262 19,6. 5,2 » V 213 18,1 3,0 VI 211 17,9 3,6 » VII 260 19,0 4,5 » VIII 221 19,4 2,0 » IX 209 19,2 2,5 » x 262 19,0 5,0 Questi dati suggeriscono le seguenti osservazioni : 23 354 Il maggior reddito sì ebbe nella parcella II trattata con poltiglia bordolese al 6 °/,, il minore si ebbe nelle parcelle VI e IX dove anzi la soluzione di vetriolo di ferro e calce fortemente concentrata, riuscì sfavorevole alla vegetazione, così che Je piante sei giorni dopo il trattamento si mostravano imbrunite. Le parcelle VIII e IX trattate due volte, diedero il minor numero di tuberi infetti. La miggior parte dei tuberi ammalati, si trovò nelle parcelle non trattate. All’ opposto fu qui maggiore il reddito ed il contenuto in amido. Fa eccezione sol- tanto la parcella II. Venne così dimostrato ehe l’uso del solfato di ferro arresta lo accrescimento delle piante e diminuisce la raccolta; il solfato di rame è notevolmente preferibile al vetriolo di ferro. A. N. BERLESE Prillieux et De La Croix — Maladies des Muriers — In Ann. Inst. Nat, Agro- nom. Tome XIII. 1393. Le diverse malattie di cui tratta il presente lavoro sono divise dagli Autori, giusta anche i concetti di Cornu, secondo gli organi che vengono intaccati, non quindi secondo la affinità dei parassiti. Così abbiamo tre gruppi: I Malattie della foglia, II Malattie del tronco e dei rami, III Malattie delle radici. Tra le prime la più importante è il seccume del quale gli autori espongono a larghi tratti i caratteri esterni, le condizioni meteoriche che lo favoriscono, e i danni che può recare. Come rimedio consigliano la raccolta di tutte le foglie ammalate della prima vegetazione o quella delle foglie di secondo getto alla loro caduta in autunno. Una malattia os- servata da un scricultore nel Var, gli autori inclinano a ritenere identica alla nebbia già studiata dal Passerini, Penzig, Poggi, Saccardo ete., ma per la sua rarità in Francia, non la prendono in seria considerazione. Più interessante riesce la trattazione delle malattie comprese nella II parte. V' è descritto come il più dannoso parassita il Polyporus hispidus, il quale intacca il durame. Sotto l'influenza del micelio, il legno assume una colorazione bruna -in seguito ad alterazione del contenuto cellulare e della materia inerostante le pareti delle fibre legnose, indi tutti gli elementi vengono corrosi ed il legno si fa molle e spugnoso, l’ alterazione si spinge poi anche all’ alburno che si trova separato dal du- rame, assai alterato, da una zona sottile di un bruno carico. Se viene intaccato un ramo, esso dissecca, se invece l'infezione comincia dal tronco l’ albero perisce dopo aver emesso alla sua base alcuni polloni di breve durata. Quanto ai rimedi gli AA. suggeriscono tagliare il ramo infetto alquanto al di sotto del limite tra la parte ammalata e la sana, oppure, se è infetto il tronco, asportare una porzione longitu- dinale di questo fino a trovare il tessuto sano. Queste operazioni vogliono però es- sere fatte in epoca diversa dall’ autunno, cioè prima della fruttificazione del fungo. Sulla piaga si pone un unguento, previo lavaggio della superficie di sezione con una soluzione di solfato di ferro acido, così composta SO*Fe = 50, H°S04= 1, H°?0 = 100. Ciò allo scopo di impedire la penetrazione di nuovi germi, e di arrestare lo scolo del latice. Contemporaneamente si dovrà smuovere il terreno in vicinanza delle radici, ed aggiungere in copia buòn concime azotato; inoltre per uno o due anni con- verrà non utilizzare pei bachi la foglia delle piante ammalate. Fra i parassiti minori del sistema legnoso, gli AA. ricordano, Stereum lirsutum, Schizophylum commune, Hirncola Auricula-Iudae Polyporus obliquus, Nectria cinnabarina, Tubercularia vulgaris la quale ultima, spesso saprofita, gli AA. osservarono invadere nettamente un gelso vivo e progressivamente danneggiarlo così da ridurlo a morte in alcuni anni binati a 355 Larga trattazione ebbe I° Agaricus (Armillaria) melleus nella III° Parte. Per questa specie gli AA. ripeterono le estese osservazioni dei non pochi autori precedenti che ne trattarono, e vennero alla conclusione che il micelio di questo pa- rassita in linea generale comincia il suo sviluppo saprofiticamente, indi venuto a contatto con radici sane continua a vivere parassitamente infettandole e distruggen- done i tessuti. Quando poi l’ infezione ha luogo per spore, il periodo iniziale di sa- profitismo è di molto raccorciato, ed il decorso della malattia è notevolmente più rapido. Ma di notevole importanza è lo studio che gli autori fecero di due altri funghi ben noti la Rosellinia Aquila e la così detta Dematophora mecatrir di Hartig. Questa è la parte più interessante del lavoro e quella che chiaramente dimostra l'accuratezza di osservazione degli autori ed il loro eccellente metodo di ricerca. La Rosellinia Aquila non era stata fin qui trovata che allo stato saprofitico. Gli AA. constatarono in modo irrefragabile che essa vive pure parassitamente sulle radici del Gelso. Le diverse parti vegetative e riproduttive, il modo di infezione, lo sviluppo del parassita nei suoi diversi stati, vi sono esposti con molti dettagli e con viva chia- rezza, tanto per questa specie che per la Dematophora. Gli AA. asseriscono che il micelio della Rosellania Aquila vive parassita al colletto delle piante e sulle radici, ed allorchè la parte infetta muore, esso emette gli organi riproduttori. É notevole l’accurato e minuzioso raffronto che gli AA. fanno di tutti gli or- gani vegetativi e riproduttori di questa specie e della Dematophora, in seguito ai quali essi vengono a questa conclusione « Bien que le manque d’ ostiole au perithéce ait paru a M. Viala, justifier le rapprochement du Dematophora du groupe des Tu- beracèes, le Dematophora mecatrie prèsente par tous les autres caractéres une si grande analogie avec la Rosellinia Aquila et quercina qu'il ne nous parait guére possible de l’ écarter de ce genre ». Ora i lettori della Kvista sanno che io sostenni questa opinione nel 1892, nel mio lavoro Rapporti tra Dematophora e Rosellinia (Rivista Anno I) e sono ben lieto che le osservazioni circa lo sviluppo e la posizione sistematica delle due specie in discorso, sieno stati confermati pienamente dai due illustri autori francesi. E sperabile che, almeno ora specialmente in Francia, anche negli articoli di pa- tologia pratica, la denominazione Dematophora necatrix deve cedere il posto all’ al- tra, Rosellinia necatrix, e non si parli più di affinità colle tuberacee. Dopo aver parlato dell'aspetto diverso .che hanno le piante infette nelle loro di- verse parti (rami, foglie, radici) secondo il tempo trascorso dall’ infezione, e forse an- che secondo la specie di parassita radicale, e dei danni maggiori o minori che si hanno secondo il sistema di piantagione, lo stato dei terreno etc. gli AA. ricordano le pustole violacee che si osservano frequentemente nelle radici e confermano l’ opi- nione del Gibelli e mia che non si tratti cioè di un parassita. Di volo accennano poi al Trichoderma lignorum, Stysanus Stemonites, Echinobotryum atrum che giu- stamente ritengono innocui, indi passano ai rimedi. Quanto alle cure profilattiche essi dicono che conviene piantare i Gelsi in condizioni le più favorevoli di vegetazione, togliere la soverchia umidità dal terreno, questo concimare bene, ed eseguire con cura lo sfogliamento delle piante, cioè a più riprese non in una sola volta. In quelle cho mostrano sintomi di sofferenza sopprimerlo fino a che l’ albero è ritornato nello stato normale. Secondo gli AA. non v è alcun trattamento da applicarsi alle radici 356 ammalate. Il micelio penetrato nei tessuti non può essere distrutto senza la distru- zione di questi, quindi 1’ albero infetto è condannato a perire, perciò è opportuno sterrarlo con quelle regole note per l’ estirpazione delle piante affette da marciume. AI desiderio espresso dagli AA. che venga trovata una sostanza tossica che possa essere praticamente impiegata per la distruzione del micelio del fungo nei luoghi nei quali si è abbattuta una pianta infetta, possiamo rispondere ora consigliando ai gel- sicultori } uso delle soluzioni di solfato di rame (metodo Dufour) o del solfuro di Carbonio (metodo Foéx) che diede buoni risultati contro il marciume della vite. Il lavoro dei signori Prillieux e De La Croix, sebbene non illustri parassiti nuovi, e per l'accuratezza con cui è condotto, e per la fedeltà e finitezza delle ta- vole che I’ accompagnano, è tra le più interessanti contribuzioni alla illustrazione delle principali malattie del Gelso, ed ai metodi di cura. Prof. A. N. BeRLESE P. Sorauer — Einige Beobachtungen bei der Anwendung von Kupfermitteln ge- gen die Kartoffelkrankheit (In Zeitschr. fir Pflanzenkrankh. III Band, I Heft, 1893). Si tratta di esperienze comparative fra la Solfosteatite euprica e la poltiglia bordolese e dell’azione dei rimedi cuprici sulla vegetazione e sul reddito delle patate. Interessante è il fatto constatato dall’ autore dell’ arresto, o ritardo, nella vegetazione in seguito all’ applicazione dei sali di rame. Nelle diverse parcelle trattate e non trattate, l’ accrescimento si mantiene egualmente rigoglioso in principio, però in se- guite le piante che hanno ricevuta 1’ applicazione dei rimedi, specialmente la s0/fo- steatite cuprica rimangono indietro. Le foglioline della stessa età, e staccate da cauli di eguale altezza hanno un differente spessore secondochè appartengono a piante trattate o meno. Sono più sottili quelle che subirono i trattamenti. Questa depres- sione sullo sviluppo influisce poi anche sui tuberi come lo dimostra il sottostante quadretto : A. Varietà « Sechswochen » tuberi grossi peso tuberi piccoli peso Con poltiglia bordolese 28 843 gr. 102 752 gr. Con Solfosteatite cuprica 33 669 gr. 119 912 gr. Senza alenn trattamento 38 1198 gr. 43 4923 gr. B. Varietà « /riie Blaue » Con poltiglia bordolese 35 999 gr. 89 837 gr. Con solfosteatite cuprica 25 577 gr. 49 472 gr. Senza alcun trattamento 89 2398 gr. 47 640 gr. Questi dati dimostrano che riuscirebbe dannoso trattare quelle piante che ma- turano i tuberi all’ epoca dell’ ordinaria comparsa della malattia. Riguardo alla effi cacia delle due miscele impiegate, I’ A. ha trovato che la poltiglia bordolese è sen- sibilmente superiore alla solfosteatite cuprica, il che risulta dal seguente quadretto: A. Varietà « Sechswochen » tuberi grossi peso tuberi piccoli peso Con poltiglia bordolese 45 1450,8 gr. 92 810,8 gr. Con solfosteatite cuprica d5 1192,93 gr. 101 988,2 gr. Senza alcun trattamento Eh) 1191,0 gr. 91 1191,0 gr. 397 B. Varietà « fruhe Blaue » Con poltiglia bordolese 52 2111,0 gr. 97 1173,9 gr. Con solfosteatite cuprica sl 909,2 gr. 73 764,6 gr. Senza alcun trattamento DI 2057,0 gr. 69 851,8 gr. L'azione favorevole dei sali di rame si rileva anche dal per cento dei tuberi ammalati nelle aiuole trattate e in quelle non trattate, come lo mostra il prospetto seguente : A. Varietà « Sechswochen » Con poltiglia bordolese tuberi ammalati 0,00 %/o Con solfosteatite cuprica » » L985% Senza alcun trattamento » » 59,4 o B. Varietà « Friuhe Blaue » Con poltiglia bordolese tuberi ammalati 1,03 °%/o Con solfosteatite cuprica » » STI Senza alcun trattamento » » Li a A L'A. osservò inoltre che le foglioline delle piante trattate avevano i margini rivolti verso l'alto ed erano meno distese di quelle non trattate, come se fossero state sottoposte a riscaldamento. Ciò era più evidente nelle foglie trattate con solfo- steatite. I ripetuti impelveramenti durante l’ estate 1891 portarono la conseguenza che nei punti della foglia dove si era accumulata la soluzione di solfato di rame, successe un imbrunimento. Nelle regioni dove comparivano le bruciature si notò una speciale alterazione del corpo fogliare dall’ A. chiamato già intumescentia. L’ epider- mide in queste regioni è bruno carico, il palizzata però è stirato a modo di un sacco, ed è povero di clorofilla. Non di rado le cellule sono divise da setti trasversi. Nei casi estremi la disteusione è così forte che l’ epidermide rigonfiato si rompe alla som- mità della bolla, e in questo caso si sviluppano in quel luogo degli altri funghi. Prof. A. N. BERLESE Dangeard et Bougrier — Note sur une anomalie florale de Tulipa silvestris (Le Botaniste, Poitiers, 1 et 2 Fascicules, 25 Juillet 1894). Gli A. della suddetta Nota hanno esaminato un ficre anormale di Tulipa sil- vestris che (mentre moltissime anomalie riscontrate nei Tulipani si riferiscono a fiori irregolari) non presentava altra irregolarità se non quella di aver per diagramma (45 + 4P +4E + 4E'+ 4C). Studiatolo anatomicamente nelle varie parti interne, han constatato che la -capsula era tetragona, i quattro carpelli erano identici a quelli dei fiori normali e che erano tutti uguali e della stessa conformazione. In ciascuno di essi si riscontrava un fascio fibro-vascolare dorsale o mediano e due fasci laterali, i quali ultimi si saldavano lateralmente con quelli dei carpelli adiacenti; vi erano ancora altri fasci più piccoli verso le estremità del carpello, cioè i fasci marginali che fornivano i filetti vascolari degli ovuli ed erano disposti in un cerchio interno, mentre i fasci dorsali e quelli laterali, assai più importanti, costituivano un cerchio esterno. Procedendo lo studio successivamente verso il peduncolo hanno trovato che il sistema conduttore esteriore si avvicinava al centro; che i fasci marginali rientravano in quelli laterali, e che non si vedeva più se non un solo cerchio formato dai quattro fasci dorsali in cui gli otto laterali erano aggruppati due a due. 358 A questo sistema fibro-vascolare-carpellare si aggiungevaro i sistemi conduttori delle altre parti del fiore; prima gli otto fasci degli stami, indi gli otto fasci me- diani dei petali e dei sepali, disposti quasi nel medesimo piano, donde risultava una corona fibro-vascolare completa. Nella parte esterna di questa corona si osservavano molti piccoli fasci costituenti un cerchio un po’ lontano dal primo: ogni sepalo e ogni petalo oltre a un fascio me- diano ne aveva due laterali, in quali entravano in gran parte nella formazione del cerchio esterno. Il resto derivava da ramificazioni e da anastomosi. Discendendo di più nell’ asse, i fasci si liberavano nuovamente dalla corona fibro- vascolare: otto di essi si fondevano lateralmente due a due a differenti livelli; nello stesso tempo diminuiva il numero dei fasci del cerchio esterno, quando qualcuno di quelli si avvicinava gradatamente al centro. Dalle osservazioni che hanno potuto fare sull’ unico esemplare di Tulipa silve- stris, gli A. hanno tratto la conclusione: che il fiore era regolare sia nella struttura che nella morfologia esterna, che nulla indicava uno sdoppiamento di uno dei pezzi fiorali, e che quindi l’ anomalia apparteneva allo stesso ordine di quelle delle varia- . zioni del ciclo fogliare in una medesima specie. Ciro ANGELILLIS P. A, Dangeard — La Reproduction seruelle de « L’'Entyloma Giaucii» (Dang.) (Le Botaniste, Poitiers, 1°" et 2° fascicules, 25 Juillet 1894). Il Dangeard in questo lavoro si studia di indicare tutti i dettagli del fenomeno di riproduzione in una sola specie delle Ustilaginee, cioè nell’ Entyloma Glaucri, e presentando e sviluppando la questione sotto i vari suoi aspetti, di rendere la sua nuova idea in proposito chiara, esatta e indiscutibile. Il genere Entyloma (da lui scelto in simile caso perchè molto favorevole allo studio della riproduzione delle U- stilaginee) comprende un gran numero di specie, ma egli si occupa del parassita dei Glaucium, il quale forma sulle foglie delle macchie rotonde, che si vedono sulle due faccie del lembo e che per il loro grande spessore si prestano molto bene alle osser- vazioni. Sotto un' epidermide ordinaria abbiamo due assise di parenchima in paliz- zata che si continuano in un mesofillo lacunoso bene sviluppato, fino all’ epidermide inferiore. L’ Entyloma Glaucii vive negli spazi intercellulari e più specialmente nel me- sofillo, ma gli stromi miceliali si riscontrano sulle due facce del lembo, producendo i conidi attraverso le aperture stomatiche. Per la grande resistenza che I’ EntyIoma (come, in generale, le Ustilaginee) oppone ai reattivi non riesce difficile lo studio delle cospore, le quali si trovano abbondantissime in tutta 1’ estensione delle pustole dove le più vecchie occupano il centro, le più giovani le estremità, così da avere spessissimo tutte le età e tutti gli stadi di sviluppo di una oospora. Sovente il solo mezzo di vederne con chiarezza la struttura istologica è quello di colorare le sezioni delle foglie su cui si fa l'osservazione di preferenza con I’ ematossi- lina di Grenacher, addizionata di una goccia di acido fenico; per avere una soluzione continua nelle membrane delle oospore occorre qualche volta schiacciarle nel collodion. Il diametro dei filamenti miceliali è assai poco variabile, gli spazi non sono eguali, gli articoli, al centro della pustola, sono provvisti di nuclei e di protoplasma reticolato qua e làè , poco carico di granulazioni e contenente molta acqua. Alla pe- riferia ciascuna cellula mostra più nuclei con piccolissimi nucleoli. 359 Le cospore compaiono dapprima come piccole vescicole che si producono all’ e- stremità dei filamenti miceliali o sul loro percorso e assumono varie disposizioni: ora la vescicola è completamente terminale, ora è intercalare, ora è un ramo corto gonfiato che si produce sul filamento principale: altri aspetti danno l’idea di copu- lazione, ma l'A. l esclude. D'altra parte sembrerelbe certo che l'esistenza dei tramezzi negli articoli plu- ricellulari non indicasse in ressun modo la divisione reale dell’ organismo, ma che piuttosto ciascun nucleo col >rotoplasma che lo circonda sia una unità o possa diven- tarlo. Quando in queste vesicole un secondo nucleo viene ad aggiungersi al primo si può dire che la vescicola contiene due gameti e che nella oospora la fusione di questi due gameti non tarerà ad essere completa. Nelle oospore giovanii due nuclei sono situati a qualche distanza l'uno dal- l’altro in un protoplasmaa vacuoli e frequentemente sono a contatto colla mem- brana, ma ben tosto si prtano verso il centro. Vi ha ancora una diretta comunica- zione tra la vescicola e ifilamenti miceliali: dei tramezzi limitano 1’ cospora. I due nuclei sono sospesi in mezo all’ oogonio per via di trabecole di protoplasma, e la loro struttura è difficilissma a studiarsi; sono sferici, circondati da una membrana a doppio contorno e porano nel centro un nucleolo. Studiando con cur:un grandissimo numero di preparazioni, si arriva ad osser- vare i vari stadi della usione. Bisogna fermare l' attenzione sopra le oospore in cui comincia a colorarsi lamembrana nella parte esterna mentre acquista un notevole spessore. I due nuclei venono a contatto e questo contatto si stabilisce in seguito su di una superficie più ginde, e mentre, a questo stato, le due membrane nucleari scompaiono, essi rimagono ancora distinti: diviene più completa la penetrazione de- gli ialoplasmi nuclea: e il contorno da elittico tende a ritornare sferico, ed allora i due nucleoli si unismo in un solo. È relativamenteassai facile osservare divenuto unico e grosso, nel centro, il nueleo dell’ oospora la quale, durante e dopo la fusione, aumenta di volume, si ispessisce nella sua iembrana e si lascia scomporre in un exosporio liscio, cutiniz- zato, concentricamere striato e in un’endosporio incolore. Le trabecole protopla- smatiche formano d grandi vacuoli in cui s' accumulano le sostanze oleaginose di riserva. Le oospore si ovano raggruppate in numero variabile negli spazi intercellulari e possono essere dirarie forme e irregolari per compressione: alla loro superficie si vedono uno o più olungamenti miceliali arrestati nel loro sviluppo. Nella germinazne il nuclueo sessuale passa nel promicelio, dopo di essersi di- viso generalmente otto parti, ciascuna delle quali forma un nuovo nucleo e va in uno sporidio; dondtrae origine la nuova pianta. L'A. conchiudavvertendo che i caratteri della riproduzione sessuale sono quasi identici negli Ascoceti: la differenza sta nel modo di germinazione delle cospore e nella loro strutture ca Ed egli si prone di stabilirne i passaggi e di riuscire a convincere tutti con nuovi lavori. Ciro ANGELILLIS Pic 360 Minà Palambo — Fumaggine della vite. (Dal giornale l' Agricoltura Italiana Anno XX, Fasc. 284 285, 16-31 marzo 1894). L'autore colla sua memoria ha cercato di riunire futti i dati positivi per con- tribuire allo studio di questa malattia conosciuta sotto il nome di Fumaggine o Morfea. | Le citazioni risalgono a Strabone, che scriveva com) talvolta le viti fossero uc- cise da una cocciniglia che si sviluppa sul ceppo e sulle\radici. A questi fa seguire Bouscaren, Riviere, Roze il quale ultimo concorda nell’ anmettere cogli altri che la causa della malattia è la presenza di coccidi, fa notare artora la presenza di sostanze zuccherine. Passa quindi a Duffour e Vinas, che oltre a lescriverla, enumerano an- cora i guasti che cagiona. Seguita con Planchon che la cliamò Ptiriosi, con Girard, con Andrè, con Valery Mayet, il qual autore dice che att&ca anche l’ arancio e l' o- livo. Del Prillieux riporta, come il fungo a differenza dell’ odio si distende sulla la- mina fogliare senza però intaccarne i tessuti; impedendo tutavia che la stessa possa funzionare; dice come il fungo prenda alimento dalle sostanze uccherine che si trovano sulla foglia. Il Palumbo a questo punto interrompe la sua rastgna, e fa notare come la melata formantesi in seguito a rapida evaporazione, oppur, le sostanze zuccherine emesse dai coccidi siano substrati efficacissimi per lo sviluppi della fumaggine. Ri- piglia la sua enumerazione col Viala, che osserva come la fuaggine si sviluppi ra- pidamente in anni caldi e secchi, come i trattamenti diretti sieno nulli, ottimi i preventivi, fra i quali menziona quelli della potatura, della svrticazione, dell’ ucci- sione delle cocciniglie, del lavacro della pianta con soluzione d\solfato di ferro, trat- tamento che bisogna ripetere dopo 15 giorni, osserva inoltre de dacchè ha inco- minciata la germinazione del fungo, questa continua quando egi pure la presenza dei coccidi. \ L'ultimo citato è il professor A. N. Berlese; questi convie? sui rapporti esi- stenti fra Cocciniglie e Fumaggine cogli altri autori, osservand però che la ma- lattia può svilupparsi anche mancando i suddetti coccidi. Concort poi col Viala circa l’epoca di sviluppo, cioè poco prima della maturazione dell’ uvasosì pure per i ri- medi da praticarsi, rigettandone molti altri come il latte di cald cloruro di sodio ecc. che col prof. Baccarini ritiene riescano dannosi alla pianta. | Per liberarsi più prontamente tanto degli uni come degli altiparassiti consiglia poi l’irrorazione di Pitteleina al 2 Ur | Con questo l’autore termina la storia della fumaggine e chile la sua memo- ria con quanto segue, cioè: | Che la fumaggine si sviluppa maggiormente nei mesi caldi secchi, che esi- stono rapporti riguardo allo sviluppo con la presenza di coccidi che lo sviluppo dacchè è principiato continua anche quando cessino i coccidi, chde funzioni delle foglie sono alterate, sebbene da queste non prenda il suo nutrimto; che il vino riesce cattivo e con odore, che i trattamenti da usarsi sono i prentivi e non i diretti. | Dopo aver osservato ai cultori di Botanica come non siasi aora determinato questo fungo, invita i viticoltori di ricercare nelle nostre plaghe iicole, se tale in- fezione esista, e cita la Sicilia ove con più facilità ciò può rinvenirehdando soggetta a stagioni molto secche e calde, Dr... LEONARDI 361 O. Ma:salongo — Calendario entomologico Vercnese. (Vol. LXIX serie III Accad. Arti e Comm. Verona 1894). È questo un utile ed accurato ‘elenco dei principali insetti che si incontrano fa- cilmente nei diversi mesi dell’ anno, nella provincia di Verona. _ al Gennaro — Sotto la corteccia degli alberi e fra i crepacci dei muri: Helops _ quisquilius, Helops lanipes, Pedinus femoralis, Coccinella septempunctata, Cocci- nella quinquepunctata, Broscus cephalotes, Dolichus halensis. Fessraro — Intorno ai fiori: Osmia rufa, Chalicodoma muraria, Rhodocera Rhamni. Marzo — Intorno ai fiori: Rhodocera Rhamni, Vanessa polychloros, V. Cardui, Vanessa Io; nelle giornate calde sopra i muri o tronchi d’ albero l' Acridium ae- gypiium. ApriLE — Sulla vite, il bruco della Conchylis ambiguella, e il coleottero Sino- eylon muricatum l’uno devasta l’infiorerenza, l’altro i tralci col forarvi gallerie, nelle ortaglie sulle radici delle insalate, fagiuoli, piselli ecc. la larva della T'ipula o oleracea, sugli alberi la Melolontha vulgaris. Maceio — Degli insetti che compariscono in questo mese si limita ad enume- rare quelli che riescono più dannosi e cita: il RAynchites betuleti (0 puternolo della | vite) che fabbrica zigari accartocciando le foglie, nonchè il RAyncehites purpureus, e R. baceus, il primo accartoceia le foglie del bianco-spino, it secondo quelo del pero e del melo; il bruco dell’ Agrotis fimbria ehe danneggia pure la vite, compie la sua opera distruttiva notte tempo, ritirandosi di giorno ai piedi della vite, un’ altro bruco dello stesso genere del precedente è quello dell’ Agrotis comes che danneggia le piante alimentari; compare pure in questo mese la libellula Caloptery® virgo. . Giueno — Ai primi del mese compare la Cecidomyia oleae, la cui larva genera delle galle nelle foglie e nei rami dell’ olivo, questa deturpazione fu chiamata rogna, ed è frequente; havvi pure l’ Anomala vitis che danneggia fortemente i vigneti; sulle rive dell’ Adige si riscontra la Perla dicaudata, fra le farfalle la Vanessa 10 e V. cardui i cui bruchi vivono a spese del luppolo e dell’ ortica; da un’ albero all'altro vola l’Apatura ilia var clythie, le piante di fico sono danneggiate dal bruco della S- maethis nemorana, che accartoccia i margini delle foglie; sull’Antirrhinum majus vive la larva della Calophasia platiptera, il frumento è danneggiato dal bruco del Cephus pigmaeus, e dal coleottero Leucocelis funesta, che visita pure i fiori di fava e papavero, attorno ai meli vola 1’ Hyponomeuta malinellus, sulla vite la cicala rossa Tibicina haematodes; i fiori sono visitati dal Bomdus terrestris, B. hortorum e Xylocopa vio- lacea; di sera si vede volare, raso terra il RAyzotrogus so!stistialis, sotto la corteccia morta del frassino si riscontra Vl Hy/esinus Frarini, intento a scavare gallerie. LueLio — Le ortaglie sono visitate dalla Pieris drassicae, P. rapae e P. napi, nonchè dai Milabris pisorum, M. rufimana, M. seminaria che infestano in pari tempo anche i granai. Nel bosco vola il Platycerus cervus, il Cerambya cerdo e C. Scopolii le cui larve danneggiano gli alberi nonchè i legnami conservati; appare pure il Calosoma sgcophanta, e dove esistono coltivazioni d' ulive il Phioeotribus sca- rabaeoides la cui larva scava gallerie sotto la corteccia all’ingiro dei rami e talvolta del tronco facendoli disseceare; gli olmi sono danneggiati della Gallerucella calmari- ensis che rode il parenchima delle foglie; neì boschi di faggio numerosa trovasi la Melolontha hyppocastani. 362 Agosto — In questo mese compare la Lithosia camiola, la Cicada pbebeia, la Tettigia Orni, sulla quercia rinviensi la PhyMorera coccinea, fra le vespe si notano la Polistes gallica, Vespa vulgaris e v. acrabro, fra i più dannosi ortotteri il Ca- loptenus italicus. SerteMBRE — Nei prati svolazzano le farfalle Colias edusa e Colias hyale, lungo le siepi la Limenitis camilla, sui pioppi la Saperda carcharius le cui larve scavano gallerie nel tronco recandovi così danno, i nostri mobili sono infestati dal Byrrhus pertinax, e dal suo affine Byrrhus paniceus vengono intaccati il pane biscotto, i sugheri, i libri e le collezioni botaniche, nei granai vive la Tinea granella, e il suo nemico la 7rogosita mauritanica, sui fiori e foglie dell’ Atragene alpina e Erica carnea innumerevoli sono le Sepsis cynipsidea che le ricuoprono, i rami del Pinus mughus presentano escresenze resinose provocate dalla larva della Tortrix resinana. Orrosre — Fa la sua comparsa la Vanessa atalanta e sull’ Artemisia campho- rata vitrovasi il bruco della Cucullia artemisiae, fra le cimici numerosi compaiono i Rhaphigaster griseus e la Palomena viridissima, sui fiori della Pieris hieracioides trovasi il minuto coleottero Phalacrus fimetarius. Novemere E DicemBre — Trovansi ancora sotto corteccie, sotto sassi, fra muschi varie specie di coleotteri come ad esempio il Carabus italicus e C. coriaceus, nelle acque nuota il Gyrinus natator, Acilius sulcatus, il Cibister Roescli. Fra gli in- setti che si incontrano durante tutto l’ anno notansi il Necrophorus Vespillo, e V° A- teucus sacer. Qui I autore osserva che gl’ insetti predatori si riscontrano in ogni stagione, e ciò egli crede perchè in ogni epoca riesce loro facile procurarsi alimento e cita l'esempio, come nelle belle giornate d'inverno, rinvengasi facilmente, fra le erbe, la Creindela campestris e la Cicindela hybrida, che non riscontransi in grande quantità che nel mese di maggio. Con queste chiude l’autore la sua rassegna, osservando però, per coloro che si interessano di Entomologia e che fossero presi dal desiderio di farsi una raccolta, che l’ epoche a ciò migliori sono: I. quella della fioritura dei salici e bianco-spino ; II. quando fioriscono le ombrellifere; III. Alla fioritura della composite. Nel passag- gio da una epoca all’ altra avvi diversità di numero, aumento di insetti passando dalla prima alla seconda, diminuzione da questa alla terza.- Dr. G. LronARDI A. M. Giard — Terza nota sul genere Margadores. (Extrait des Comptes rendus des Sciences de la Société de Biologie) (Seance du 10 novembre 1894). L'A. in questa memoria dà particolareggiate notizie circa lo sviluppo del Mar- garodes formicarum parassita poco conosciuto, rilevando in pari tempo le differenze che passano tra questo e il M. Vitium. L'A. rileva come siavi una grande diversità di sviluppo per cui variabilissime sono le dimensioni, e come si possano trovare talvolta delle femmine più piccole che certe larve, fatto che fu mal compreso da altri naturalisti che s' occuparono di stu- diare il ciclo biologico dei Margadores e delle Porphirophora. Dallo studio poi anatomico tanto del M. formicarum che del M. Vitium V A. rileva che queste due specie differiscono sufficientemente per poter giustificare pel M. Vilium V' istituzione di un sotto genere, che potrebbe anche essere un genere di- stinto (Sphaeraspis). L'A. osserva come i Margadores, per diverse particolarità della loro organiz , e PRATI E SIORICE PPT SL) TL A Pi 4 si - ® È, » 363 | zazione si avvicinano molto più ai Diaspiti che ai Cocciti propriamente detti, dove si trovano collocati dal Signoret, dal 'l'argioni-Tozzetti ece. Vi è però il fatto che i Margarodes e le Phorphirophora hanno metamorfosi completa, con femmine adulte esapode, ciò che accenna ad uno stadio molto più elevato che non sia quello dei Diaspiti i quali l'A. ritiene come forme progenetiche. L'A. narra poi come il M. formicarum sia attaccato da un fungo, che è un vero entomofito, il quale mummificando nell’ interno del guscio la cocciniglia la tra- sforma in una massa nerastra. Dice di aver ottenuto delle colture di questo fungo artificialmente, e che sa- ebbe bene che venisse studiato con cura potendo forse riescire di grande impor- tanza per la distruzione degli Omotteri a vita sotterranea come la Fillossera, il Rizococcus ecc. } Esprime poi l'idea, che il M. formicarum possa vivere anche allo stato di vita rallentata per un tempo più o meno lungo. Il maschio di HM. formicarum è ancora sconosciuto. L’A. termina la sua memoria coll’ osservare come non manchi altro che deter- minare quali sono i vegetali o le piante sulle cui radici vive il Margarodes delle Antille, inoltre come debbansi aggiungere alle località, infestate da questo parassita e già indicate da Guilding, l'isola di Montserrot e Saint-Kitts. (Saint-Christophe). Dr. G. LEONARDI T. D. A. Cockerell — Descriptions of new Coccidae. (Entomological News, April, october 1894, pagg. 203, 253). L’A. descrive le seguenti specie nuove: 1. Lecanium urichi, trovato a Trinidad nei nidi di formiche (Crematogaster brevispinosa Mayr.) nel settembre 1893. È il primo Lecanium che si sappia vivente nei nidi di formiche, poichè tutte le altre specie finora conosciute vivono nelle parti aeree delle piante. Per i suoi caratteri, per quanto questa specie ricordi il L. de- goniae Douglas, meriterebbe di essere sottogenericamente separata dalle altre. i 2 Eriococcus coccineus vivente sul « Rat-tail Cactus » È la prima specie di Eriococcus che attacca le Cactacee. Ben distinto dalle specie congeneri. Per le an- tenne 7 articolate e per la tibia più corta del tarso, si avvicina all’ E. raithyi Ma- skell, vivente sui Fagus alla Nuova Zelanda. 3. Bergrothia steelii (Cock. et Townsend) n. sp. trovato a Las Cruces (New Mex.) presso l' Agricultural College e si distingue dalla B. townend: per i seguenti caratteri: B. townendi. Piuttosto gracile, antenne 7 articolate, artic. 2° e 3° pressochè eguali; sulla Furquieria. y B. steeliî. Piuttosto larga, antenne 8 articolate, col 2° art. decisamente più lungo del 3°; sulla Larrea. TT. D. A. Cockerell — A new scale-insect on Agave. (Entomological news 1894, pag. 59). La specie è I’ Aspidiotus bowreyi, raccolto alla Giammaica sulla Agave rigida. T. D. A. Cockerell — Notes on some insects of the subfamily Diaspinae. (The Canadian entomologist 1894, pag. 127, 189,) ibidem coccidae p. 284. L'autore parla delle seguenti specie : ao 1. Chionaspis maior Cock (su Heliotropius); 2. Diaspis cacti Comst; 3. Asp diotus fimbriatus Maskell (su Eugenia in Australia); 4. Aspidiotus dictyospermi Morgan (su Cycas, Giammaica); 5. Aspidiotus punicae Ckll. (Jamaica); 6. Aspidio- tus affinis (diffinis) Nwstead (su Jasminum pubescens-Jamaica); Aspidiotus bi- formis CkIl. (orchidee-Jamaica); 8. Aspidiotus iuglandis-regiae Comst. (Las Cruces New Mex.); 9. Chionaspis ortholobi Comst. (sul cotone Nebraska); 10. Mytilaspis albus var. concolor Ckll. (su Atriplex canescens-Las Cruces); 11. Aspidiotus abietis Schrank (Conifere-Europa e America); 12. Aspidiotus ancylus Putnam; 13. Tachar- dia cornuta n. sp. (Artemisia ?); 14. Orthesia annae Ckll. (su Chenopodium-Ari- zona); 15. Phenacoccus helianthi Ckll. (Las Cruces); 16. Dactylopius solani n. sp. (S. tuberosum-Las Cruces '; 17. Diaspis lanatus Mory et Cockll. (Geranium); 18. A- spidiotus converus Commst. (Juglans regia). T. D. A. Cockerell — 7wo new Coccidae from the arid region of North Ame- rica. (Annals and Magazine of Natural History, Ser. 6, vol. XIV, July 1894). Le specie nuove sono due cioè il Ceroplastes daleae, vivente sulla Dalea for- mosa (New Mexico) ed il Lecanium phoradendri, vivente sul Phoradendron (Arizona). T. D. A. Cockerell— Two new species of Pulvinaria from Jamaica (Trans. Ent. Soc. Lond. 1893, Parte II Juny). L'autore descrive due nuove specie cioè la Pulvinaria cupaniae vivente sulla Cupania edulis (Jamaica); e la Pulvinaria urbicola raccolta sul Capsicum (Jamaica). T. D. A. Cockerell — Notes on some Trinidad Coccidae (Journal of the Trinit. Field Naturalists. Club. vol. I N. XII, 1894). L’ autore cita le seguenti specie: Chionaspis braziliensis Sign. (Orchidee); Jsch- naspis filiformis Douglas su Pandanus; Mytilaspis citricola Pack. (agrumi) Pinnaspis Pandani Commst. (su Palme); Aspidiotus Palmae Cock. (su banani); Aspidiotus de- structor Sign. (su banani). Aspidiotus articulatus Morgan (su Pandanus); Aspidiotus biformis Cock. (su orchidee); Lecanium haemisphericum Targ. (su Eranthemum variegatum etc.) Lecanium oleae Bern. (su olivi); Orthezia insignis Dougl. (su Eranthemum variegatum). Vinsoma stellifera Westwood (su felci); Aspidiotus de- structor Sign. (su palma coco); Chionaspis minor; Masek. (su Hibiscus); Pinnaspis Pandani Comst. (su Pandanus, Heliconia, palme ete.); Lecanium depressum Varg. (Hibiscus); Asterolecanium miliaris Boisd. (su Bambou); Asterolecanium bambousae (su bambou); Diaspis lanatus (su Carica papaya). Sono descritte inoltre le seguenti specie nuove: Astarolecanium Urichi vivente sulle palme; JSuglisia vitrea, sulle Acacia; Pulvinaria (Protopulvinaria) pyriformis che costituirebbe un gruppo distaccato nel genere Pulvinaria, a cui si avvicina per la presenza dell’ ovisacco cotonoso , benchè poco sviluppato. È molto simile al Lecanium mangiferae e agli altri, ma ne differisce nei caratteri generici, c merita di costituire sruppo a se (Protopulvinaria) in causa del guscio della femmina, piatto, piriforme con piastre anali asszi lunghe e ovisacco cotonoso poco sviluppato). Pulvinaria simulans (su pianta non identificata). 365 |. T.D. A. Cockerell — A check list of the Coccidae bf the Neotropical region (ibidem p. 311). Sono elencate 117 specie di cocciniglie così divise: Ortonia 2 specie; Leachia 1; Jcerya 4; Liaveia 1; Capulinia 1; Acanthococ- cus 1; Dactylopius 9; Coccus 1; Margarodes 1; Conchaspis 1; Lichtensia 1; Pul- vinaria 4; Protopulvinaria 1; Lecanium 17; Ceroplas es 15; Vinsonia 1; Jglisia 1; Fairmaria 1; Tachardia 5; Lecanopsis 1; Prosopohora 1; Asterolecanium 6; Ortezia 2; Aspidwtus 18; Parlatoria 2; Pseudoparlatoria 1; Mytilaspis 3; Pin- naspis 2; Fiorinia 1; Ischnaspis 1; Aonidia 1; Chionaspis 3; Aulacaspis 4; Diaspis 5. L. O. Howard — The Hymenopterous Parasites of the California Red Scale (Jnsect Life, N. 3, 1894, p. 227.) L'A. descrive le seguenti specie di imenotteri parassiti (Pteromalini). Aspidiotiphagus n. gen. 1. Aspidiotiphagus citrinus Craw parassita dell’ Aspidiotus aurantii, var. citrinus; 2. Coccophagus aurantii n. sp. parassita dell’ Aspidiotus aurantii var. citrinus, dell’ Aspidiotus ancylus Put. della Mytilaspis citricola Pack. e dell’ Aspidiotus Pini Comst. 3. Coccophagus lunulatus n. sp. parassita dell’ Aspidiotus aurantii. 4. Aphelinus diaspidis How. parassita dell’ Aspidiotus aurantii e della Diaspis rosae. 5. Signiphora occidentalis n. sp. parassita dell’ Aspidiotus aurantii var. citrinus. 6. Signiphora palliata Ashmead, parassita dell’ Aspidiotus citricola Pack. 7. Aphycus immaculatus n. sp. parassita dell’ Aspidiotus aurantii. La memoria è accompagnata da bellissime figure di tutte le specie descritte ec- cetto che della Stgniphora palliata. E. A. Schwarz — The San Josè scale, at Charlottes ville, Va. (Jnsect Life, N. 3 1894, p. 347.) È detto dell’ Aspidiotus perniciosus che infesta molte piante, e di cui sono enumerati i nemici, cioè Collops 4 — maculatus, Pentilio misella, Monomorium mi- nutulum, Chilocorus bivulnerus, Formica schaufussi, Typophorus conellus. D. W. Coquillet — The San Josè scale în Virginia (Insect. Life, Num. 3, 1894, pag. 153.) The new mexico entomologist. N. 1. May 15 th. 1894 (Cockerell). Sono rammentati il Lygus pratensis L. che guasta piante di molte specie e, contro il quale hanno dato buon risultato le emulsioni di Kerosene, nonchè il Nisus angustatus Uhler, contro il quale, oltre alle emulsioni di Kerosene e stato sperimen- tato, con effetto, |’ estratto di Piretro. F. D. A. Cockerell — The San Jose Scale (Southwestern Farm and Orchaed — Mai 1894). Dopo aver trattato delle cocciniglie in generale, l’ autore parla dell’ Aspidiotus perniciosus Commst. che danneggia gravemente le piante da frutto nella famiglia rosaceae. 366 T. D. A. Cockerell — The Twentieth neotropical Aspidiotus. Alle diciotto già enumerate nella lista « A check list of the coccidae of the Neotropical region » già ricordata, viene qui aggiunta una dicianovesima specie 1’ Aspidiotus Bowreyì Ckll, già descritta, e la diagnosi di una ventesima |’ Aspe- diotus Latastei n. sp. A. Giard, — Comunicazioni alla Societè Entomologique de France (Anno 1893, vol. LXII, p. CXCIX seduta del 10 maggio 1398). A. Giard. presenta molti insetti emitteri notevoli, sia per l’azione che esercitano sui vegetali , a spese dei quali vivono, sia per le modificazioni che subiscono essi stessi, sotto l influenza di diversi parassiti animali o vegetali. Alcuni di questi in- setti sembrano nuovi. Questi sono : 1. Una bella Psylla (PsyUla litchi Gd.), di cui la larva produce numerose pu- stule galloidi, emisferiche alla faccia superiore delle foglie così spesse del Litchi (De- mocarpus litehi). Questa Psilla è originaria del Tonchino. Essa determina talora la sterilità dell’ albero che infesta. 2. Due Cocciniglie, raccolte in Algeria sull’ Asparagus horridus, dal prof. Tra- but. L'una è un Lecanium, (L. Asparagi Gd.) che copre di masse bianche ovoidi tutti i rami della pianta. Gli scudi cerosi dei maschi sono egualmente abbondantis- simi, ed il maschio adulto può essere facilmente osservato. L'altra è un Diaspis (D. asparagi Gd.) che si colloca il più spesso all’ascella dei rami. 3. Un’ Eriopeltis, trovato assai comune, allo stato ovigero, nel mese di settem- bre, a Echinghem, presso Boulogne-surmer, sulle foglie di un Graminacea (Brackypo- dium pinnatum L.) Da lungi, questa pianta che fiancheggia la strada, sembra es- sere stata irrorata con acqua di calce. La messa della pianta e le infiorescenze sono considerevolmente modificate per castrazione parassitaria. La cocciniglia (Eriopeltis bruchypodii Gd.) è essa stessa molto spesso infestata da un Muscide (Leucop?s an- nulipes Zett.) 4. Una Cocciniglia di un genere nuovo, che vive a Vimereux, sulle radici di diverse piante e sopratutto delle Graminacee, nell’ interno dei formicai. Pel suo ge- nere di vita, questa Cocciniglia (Spermococcus fallar Gd.) si avvicina alla Riper- sia formicicola Maskell, della Nuova Zelanda, ed alla Ripersia Tomlini Crewstead, di Guernesey e del sud d'Inghilterra (Dorsetschire). Ma i suoi caratteri anatomici non permettono. di collocarla nel genere Ripersia, e I aspetto generale è piuttosto quello di un Lecanide. L'autore descrive brevemente questa specie, mentre promette più ampia descri- zione anche delle altre forme muove, prima citate. L'autore presenta inoltre diverse cocciniglie trovate abbondanti, quest’ anno, nei dintorni di Parigi, cioè: Pulvinaria carpini Linn. ; Lecanium aceris Sch., Leca- nium Coryli Linn; Lecanium aesculi Koll. ete. A. BERLESE G. Del Guercio — La coccimglia del Pandanus utilis Rons (Bullettino della R. Società toscana di orticultura — giugno 1894, num. 6). Rilevando che, secondo il costume dell'autore, questo lavoruccio è messo insie me senza conoscenza alcuna dell’ argomento impreso a trattare, non ce ne occupe- remmo, e passeremmo oltre con quel compatimento che è opportuno rivolgere ai ogi- 367 vanili tentativi, se non ci sì trovasse qui, manifesto, il deliberato proposito di insi- stere in errori grossolani, pur di non riconoscere la verità, ciò che in scienza non si usa. Così l’autore, nel giugno del 1894, continua, ripetutamente (pag. 177, 179, 181, 182) a chiamare strato, velo, scudo ceroso il follicolo delle femmine, e ciò dopo che noi chiaramente ! avevamo detto nel principio del 1893 : « Ora questi gusci, come quelli di tutta la tribù (diaspiti) non sono affatto com- posti di materia cereo-resinosa, come troppe volte si è detto, ma di sostanza pro- teica, insomma un albuminoide, insolubile nei solventi della cera, come il cloroformio, l’ etere solforico, il solfuro di carbonio, 1’ essenze di trementina e le altre essenze etc. etc. e solubile invece in soluzioni alcaline più o meno concentrate, a caldo ». L'autore ha letto questo ma non teme menomamente, pur di continuare, coc- ciutamente, nell’ errore di scrivere (pag. 177): « ....è di uno strato sottilissimo, bianco cereo, di sostanza cereo-resinosa solu- bilissima nella liscivia di potassa e di soda, a freddo ed a caldo. Nelle soluzioni al- caline si dissolve egualmente quel lembo di cera che contorna i lati delle due spo- glie larvale e tettrice, e che da queste parti le mantiene adese alle foglie; ma non si sciolgono, a freddo almeno, e-dopo breve tempo, le spoglie stesse ® che sono for. mate di materia amorfa, porosa e che prendono un colore bruno rossastro sotto la azione dei liquidi sopraindicati ». Secondo l’autore adunque, tutto ciò che é disciolto dalle sostanze alcaline è cera o per lo meno cereo-resina senza più. E non potrebbe, per avventura, essere seta ? Ma vi ha di più. L'autore parla sempre nella sua Fzorinia (che pure è una cocciniglia, per quanto dalla tavola annessa sembri piuttosto un crostaceo rassegnato e abbattuto, special- mente la fig. 2 con quei penicilli in capo) parla dico di apertura ano-genitale, mentre già il Targioni, nel 1868 * scriveva: « Sopra la faccia tergale ha una depressione ad imbuto, ove si apre la vulva, sulla faccia inferiore un’ ostiolo più circoscritto, più vicino all’ estremità del corpo e corrisponde all’ ano ». Il quel tempo adunque, a Firenze, le due aperture erano, nei diaspiti, distinte, ed ora quì e altrove lo sono in tutte le cocciniglie, per quanto, ora, più moderna- mente, le cocciniglie tutte usino avere la apertura sessuale al ventre, e l’anale al dorso. Questa confusione tra i due orifizi è assolutamente deplorevole ! E perciò deploriamo ancora che l’ autore disponga attorno all’ano, quelle sue filiere aggregate perianali, le quali sono invece perivulvari, e ripeta 1’ errore a pa- gina 180, 181, 182, mentre il maestro insegna (Catalogo citato, pag. 26): 1 A. Berlese, Estratto di una memoria sulla Mytilaspis fulva e mezzi per com- batterla (Riv. di Patologia vegetale, anno II, fasc. I, pag. 3). 2 Il dottor Del Guercio può lasciare ogni dubbio e credere che le dette spoglie, che egli chiama porose (!) non si sciolgono affatto, ne presto nè tardi, nelle sue liscivie, poi ché sono composte di segreto chitinoso, il quale forma 1 involucro (è bene ricordarlo al- l’autore) degli insetti tutti non meno che di altri artropodi, involucro questo più che po- roso, impermeabile. 3 Alti Soc. Italiana di Sc. naturali, vol. X1, fasc. III, pag. 27. lia Pi 1 1% 8...‘ 4, Mei dea ti 308 « ....fusisque discretis marginalibus vel condunatis , ad vulvam hemicyclum continuum, vel agmina 5 disjiuncta formantibus ». Inoltre l’ autore rimprovera il Comstock perchè nei suoi disegni della Y. Pan- dani non ha accennato alle filiere marginali, senza pensare che il Comstock il quale conosce le cocciniglie, non disegna caratteri comuni a tutti i diaspiti. È ben vero che l’autore cade dalle nuvole rilevando lungo 1’ orlo del pigidio di questa F. Rusce che in così mal punto gli è arrivata fra mano, una serie di filiere marginali, ma non ci meravigliamo noi affatto di ciò, giacchè sappiamo che agli oe- chi di principiante nella pratica del microscopio, tutto è nuovo e straordinario quando capita nel campo di questo strumento. Ma l'autore non si turba, e basandosi saldamente sulla ignoranza propria in fatto (oltrechè d’ altre cose) anche della più grossolana anatomia delle cocciniglie, fonda una specie nuova la Forinia pandaniana la quale sarebbe caratterizzata dal- l’ assenza delle filiere marginali ! Non parlo poi del fatto che queste diventano circolari nella F. asteltae (e ciò per opera dell’ autore) e riescono cubiformi nella Y. acactae, ma se l’autore aveva tanto desiderio di fabbricare una specie, anzi un genere, anzi un ordine nuovo di a- nimali, perchè non ha studiato invece e descritto garbatamente quella incognita e irreconoscibile forma disegnata da lui stesso nella sua tavola, dove tra le altre cose l'embrione ha sette articoli nelle antenne ?, Quanto al metodo di cura l’ autore dice : « ....non è difficile distruggere l’ insetto, strofinando contemporaneamente le due pagine foliari con una spugna appena inumidita in una soluzione di sapone od altro ». Ecco che almeno sei lunghe pagine di spropositi, con tavola litografica annessa, servono a dimostrare che le cocciniglie schiacciate fra le dita muoiono di positivo , ben inteso purchè entri per lo mezzo il sapone 0d altro ». AnroNIO BERLESE <- FECE CNS Cali to da Cles fà ele ‘©, n 3 “Da î * 06) < A | SI "0 Za /, È y i 7 fi adi fa! " N Ri À ( a x } | TS | aste iso Doo SS fr Sy avo) o) IE Rel firenze li deificardi di Architettura TAV. XI. e lari Mn n DI PAT. VEG. VOL. IL RIV Dif inizio mtettyra h dei Ricordi dAro WI; (iPEnze £ TAV. XII. RIV DI PAT. VEG-VOL.IIT lei Ricordi di Architettura I di D) li (4 Firenze, r. ef Mme. fel A Berlese sé ei IV DI PAT. VEG-VOL II TAV XI ABerlese adnat chromoliti. hirenze, Lit di LECANIUM RIV. DI PAT. VEG-VOL.II. UA Wa Ti ANNA /} È VON ) Fipanze lit dei Ricordi di Arehitetture AN Berlese dis.edno. (e) TAV. XV. RIV. DI PAT. VEG. VOL. HI. Rivista di Patologia Vegetale per cura dei Proff. Augusto Napoleone Berlese ed Antonio Berlese La Rivista di Patologia Vegetale è dedicata allo studio dei paras- siti sì animali che vegetali delle piante coltivate, all’illustrazione delle malattie che producono, ed a suggerire i rimedi che l’ esperienza indica più adatti e più efficaci per prevenire, o per combattere le dette ma- lattie. Trovano quindi in essa posto lavori che trattano ì seguenti ar- gomenti: I. Biologia e sistematica di animali o funghi parassiti di piante. II. Istologia ed istogenia dei detti parassiti e delle alterazioni che essi determinano nell’ ospite. III. Esperimenti intesi alla distruzione di parassiti dannosi alle piante utili. La Direzione accoglie volentieri lavori da stamparsi nella detta Rivista e li correda di quel qualsivoglia numero di tavole in nero od a colori, che all’ autore sembrassero necessarie per la più chiara intelligenza delle cose esposte. Le dette tavole, come nel caso anche i disegni originali, eseguiti dietro semplice invio delle preparazioni microscopiche e dei pezzi da disegnare, sono fatte totalmente a spese del Giornale e per mano del Prof. A. N. Berlese per la parte botanica e del Prof. A Berlese per la parte zoologica. Agli Autori vengono date gratuitamente 50 copie degli estratti, mentre rimane in loro la facoltà di ottenerne un numero maggiore a proprie spese. Ogni anno esce un volume di almeno 24 fogli di stampa corre- dato da buon numero di tavole e di incisioni nel testo. L° abbona- mento è di L. (frares) 18 annue. L’ annata decorre dal 1° marzo al 28 febbraio. Redazione e Direzione presso il Prof. A. N. BERLESE, Orto bota- nico dell’ Università di CAMERINO (Marche — Italia). £ fi V) mr IARATONI CANOA SUTTON RADIANT PL ILRRTION n i ti IMINUIRI BYLUTAVII (00 RA Vai (n N PIA oi Ù N fi VÀ N MT VA FT IAOVIDI VITTI iure 1 SILA MILANI i IA } LOI i Hi, MUMMIA i } NILO | "I n HZAN\ SA MUUI î i Na MURA h) Min ha 5497” Patio dI Mila INTRO LAS HANNO LV di DI VIUTTCO \ i i VIVIANI AVANZO All LT de TU LIME \ NATA MEAN NR SO RILIPACTA (N IN Ù ) i ? HG hi NGI DIN [o N Li ARDA i; ALe i) VELLA TORE STIRIA A AS / \ i NFAPTRIMRROROTE IVPTALZIOTATAA I MISSA UTIEALIARUAI GRATIS LINA INAVIA CANTI IPAVALITR EL SEMI A LRIN BRA n il Ùu VI { AL SIZAALITO] RA TA VENIVA: N Vi A F_MENE PTO du SP RANIT (PIL RT ea DNA - TOPINO 00280 4654 n iieeE tia, re ;