RIVISTA PERIODICA DSI LAVORI DELLA L R. ACCADEMIA DI SCIENZE? LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinaria della Sezione di Medicina, G. F. Spomgia. Ctuiieitie «timo e iecotiSo Def < 8 5 4 - 5 s. ' h»- ? V? e -'li ,><» ,. PADOVA PER F. A. SICCA E FIGLIO TIPOGRAFI DE114 I. R. 4CCADEMI* ^//^.A, / RIVISTA PERIODICA LAVORI DEILI I. R. ACCADEMIA ,^ DI SCIEXZE, LETTERE ED ARTI / DI PADOVA * j Redattore, uno dei Merabri Ordinarli della Sezione di Medicina, G. F. Spongia. Ctiuiejtte primo e iecou3o Sef i85i -Sa, PADOVA PER F. A. SIGCA E FIGLIO TIPOGRAFI DELL^ I. K. &CC\DEMI& PREimiNARE A> li primo apparire la Rivista periodica dei la- vori di un'Accademia die numera oltre ai tre se- coli di vita, avremmo desiderato esibire, se non altro, un catalogo delle pubblicazioni avvenute fino al nostro tempo, onde aver guida a consultare il passato, se mai bisogno avvenisse ; ma tra la ori- gine (1540) e la restaurazione (1779) dell'Acca- demia di Padova tante fasi passarono, che imba- razzerebbe, più che non sembri, rintracciarne gli scritti, né si saprebbe quale via bibliografica più diritta fijsse, facile e sicura. Non è così dal 1 786 in poi. A quest' epoca comincia una serie ordinata e, sebbene ad intervalli svariali, continua fino al 4 presente, la quale offriamo con lutto rigore cro- nologico : 1786. Saggi scientifici e letterarii dell'Ac- cademia di Padova. In 4.** . . Voi. I 1789 )) II 1794 » in — . )) IV Voi. 4 1809. Memorie dell'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova . . « I Voi. 1 1817. Nuovi Saggi dell' I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova. )) I 1825 » n 1831 » m 1838 » IV 1840 )) V 1847 » VI ~ Voi. r In totale Volumi 11 Questa serie dimostra che dalla restaurazione dell'Accademia (1779) fino al termine del 1851 gli undici volumi, che si succedettero, distrìbui- ronsi in un tempo di 72 anni ; cosicché, preve- dendo prossima la edizione d' un duodecimo, pos- siamo contare in media ad ogni sessennio un volu- me : né questo è poco, perché ogni volume con- tiene molte Memorie di somma importanza, né d' altronde il numero dei volumi può essere mi- 5 sura di azione d' un Corpo accademico. La grande lacuna dal 1794 ali 809 non ha bisogno di spie- gazioni; quei quindici anni comprendono lungo tratto di tempo poco adatto agli studii : evidente poi il fatto, che dal 1809 in poi la distanza dì edizione da un volume alP altro non offre diffe- renze di tempo così notevoli. E però conveniente T abbreviare in seguito que- ste distanze, e trovar modo affinchè i lavori acca- demici sieno assoggettati con più di frequenza al giudizio del pubblico. Come arra di buon volere, e con proponimento di facilitare la collezione in- tera de' lavori suoi, l'Accademia di Padova (nella Tornata 4 Marzo del corrente anno) determinava si pubblicasse una Rivista periodica. Presenterà questa un sunto delle Memorie lette, e le darà per intero se argomento nuovo, o con nuove vedute svolto, e d'interesse immediato alla scienza, ne domandasse pronta pubblicazione ; le osservazioni, le discussioni, le analisi d' Opere, ec. ec. , tutto in fine che agirà il Consesso accademico nell'anno, sarà parte integrante della Rivista, e renderà più agevole la edizione del volume degli Atti : consue- tudine che l'Accademia vuole serbare immutata, a continuare senza interruzione gli Annali di sua esistenza. Ad allargare i confini del nostro Periodico sarà vantaggiosa un' Appendice. Di questa una parte assai utile vediamo nella Sezione bibliografica ; si perchè offra i libri donati all'Accademia, sì perchè informi su quelli che in Italia e fuori concorrono ad avanzare il sapere. Invitiamo quindi a pronte comunicazioni i Colleghi nostri, e desideriamo dai lumi loro que' commenti che vengono spontanei ad ogni studioso nella partita propria, e servono di alimento il più vitale ad una stampa periodica inaugurata per un lungo avvenire. Dalle stanze deirAccademia. — Padova il 3i Marzo 1852. Sul Tetranychus Passerìnii, nuova specie di Aracni- de, della tribù degli Acarei. — Memoria del Membro Ordinario Cav. Vittore Trevisan, Iella nella Tornata ì 8 Dicembre 1851. JLi autore tesse dapprima brevemente la storia del genere Acarus, fondato nel 1735 da Linneo nel Sy- stema Naiurae, ed il quale costituisce oggidì una tri- bù distintissima nell'ordine degli Aracnidi Tracliearii. Parla della parte che s' ebbero ne' progressi di questa difficile branca della scienza, notevolissimi in codesti ultimi tempi, i lavori di Miiller, Latreille, Fabricius, Hermann, Leach, Hammer, Degeer, Savigny, Leone Dufour, de Tliéis, Audouin, von Heyden, Dugès, Walckenaèr, Gervais, Herlug, Koch. E ricorda come, suir esempio di Latreille, siasi riservata dal Dugès l'antica denominazione generica Acarus all'oc. Siro, il volgarissimo mito del formaggio, ed alle specie affini. Si fa poi a discorrere del genere Tetranychus^ pro- posto nel 1832 da Leone Dufour sopra una nuova specie che addomandò lintearius ; genere dal Dugès ammesso nella sua sottotribù degli Acarei Trombidiei, arricchito di numerose specie, e distinto pei seguenti caratteri riformati ; a Corpo ovale, e terminato in avan- )) ti da un piccolo succhiatoio conico, il quale è for- » mate da un labbro triangolare concavo, e racchiu- 8 )) dente l' apparalo mandibolare ; cioè un doppio bul- )) bo carnoso, su cui inserisconsi due stiletti legger- )) mente ricurvi, e sprovveduti di setole. Due palpi ra- » paci, rigonfii verso il mezzo, col secondo articolo )) maggiore di tutti, col penultimo armato d' un uncino » brevissimo e sodo, coli' ultimo ottuso - piriforme, e )) costituente un'appendice unicamente destinata al » tatto; grossi, corti, conoidi, applicati sul labbro » triangolare, e formanti con esso una maniera di te- )) sta ottusa e biforcuta. Due occhi latero -anteriori. » Otto zampe ambulatorie, inserite a ciaschedun lato )) del corpo in due gruppi, uno per le due anteriori, )) uno per le due posteriori ; di cui le due anteriori » sono costantemente le più lunghe delle altre sei, e » nelle quali tutte il terzo articolo, cioè la coscia, è » molto maggiore degli altri; terminate da due uncini )) piccolissimi, assai ricurvi, saldati ad un settimo ar- » ticolo di piccole dimensioni, e sorpassati da quattro )> setole rigide, grosse, e quasi diritte. Larve a sei » piedi, somigliantissime agi' individui adulti. » Di questo genere Tetranychus è ad aversi in par- ticolare per tipo VÀcarus ielarius di Linneo, il vol- gare mito tessitore, o le iisserand (fautomne di Geof- froy; del quale espone la storia, la descrizione, lo sviluppo, le abitazioni, i costumi. Vi appartengono pure ambedue le nuove specie che il Robineau-Des- voidy propose recentissimamente co' nomi (['Acarus caldariorum e solanorum ; ed alle quali codesto autore volle attribuita tanto la malattia che desolò quest'anno i nostri ubertosi vigneti, quanto quella delle patate. 9 Delle quali specie il Trevlsan denomlaa Tetranychus caldariorum la prima, e Tetranychus solanorum la seconda; e dell' una e dell' altra pure spone i caratteri, i domicilii, le costumanze, le affinità. Sul finire del- l' estate e dell' autunno decorso ne ha osservato l' ul- timo, oltreché sulle patate, sopra numerose altre spe- cie di vegetali appartenenti a svariatissime famiglie naturali. Contemporaneamente colse il Tetr. caldario- rum (a cui senza alcun dubio devesi riferire V^cariis che il Linneo per primo vide sulle foglie di numerose piante esotiche nelle serre calde, e descrisse sotto la frase : « Acarus rubicundo - hyalinus, abdomine ulrin- que macula fusca » ) abbotidantissimo nelle stufe di codesto I. R. Orto botanico, ed in altre di Venezia, Vicenza e Verona, sulle Muse, sulle Eliconie, sui Ca- ladii, suir Hovenia dulcis, sulle Bauisterie, e sopra molte altre piante di serra calda e temperata, ove for- ma un vero flagello, ed è non di rado la disperazione de' giardinieri : all' aria aperta poi sui Sorghum vul- gare, saccharatum ed halepense, e copiosissimo sulla Zea Mays, coltivata ad uso di foraggio d' autunno per gli animali bovini. In seguito narra come, con sua sorpresa grandissi- ma, abbia su tutte le viti da lui esaminate nel Pado- vano e nelle provincle limitrofe costantemente osser- vato, anziché il caldariorum, siccome veniva annun- ziato, una diversissima specie ; la quale, poiché non crede che sia stata da alcuno sinora descritta, propone addomandare Tetranychus Passerinii, Intitolandola in argomento d' amicizia e di stima da Giovanni Passeri- 40 ni, professore di Botanica nella Reale Università di Parma. E la definisce così: a animai: Rubellum; pe- )) dibus hyalùiis ; dorso regulariter ciligero, ciliis ra- » ris , brevibus , tenuibus ; maculis abdominalibus » utrinque nullis. — Ovum : Orbiculare , liyallnum. w — Aetas puerilis et juvenilis : Minimum, suborbi- » colare, hyalinnm, dein albicans, hyalino - virescens, )) hyalino - flavescens, paulatim rubescens. » Questa nuova specie principalmente differisce da- gli affini Tetranychus ielarius, solanorum e caldano- rum per la mancanza della piccola macchia bruna ad ambedue ilati dell'addome; ed in particolare dall'ul- timo per il colore notevolmente meno carico in ogni stadio di vita, e per essere sul dorso e sulle zampe guernito di cigli sempre e notevolmente più radi, più brevi e più tenui. Oltreché poi sulla vite, osservò il Teir. Passerinii abbondantissimo sulle rose affette dal hianco, cioè àaSì^ Acrosporium hyalinum (Trevis. = Monilia hyalina Fries; Acrosporium monilioides Nees ; Oidium monilioides Link ; Oidiuni leucoconium Desmaz. ; Oospora moniliformis Wallr. ; Torula mo- nilioides Corda) , sulla Robinia pseudacacia, sulla Me- dicago saliva^ sull' Helianthus annuus, ed un pajo di volte pure sulla Cucurbita Pepo prese dall'^crospo- rium macrosporum (Trevis. r=: Sporotriclium macro- sporum Grevill. ; Oidium erysiphoides Fries ; Oidium oblongum Balsam. et De Notar. ; Oidium Tuckeri Berkel. ; Oidium albescens Gasparrini ; Torula hotry- oides Corda ; Torula Tucheri Berang.), vale a dire dall'identico fungo della vile; infine sopra una varietà ii del Felargonium zonale, sul Pelargonium puniìlum variegatum , e sulla Broussonetia papjrifera senza miceli. Sul Trifolium pratense, sulla Medicago falca- la, sul Melilotus offic'inalis , sulla Flantago major, sulla Capsella bursa-pastoris e sopra moltissime altre piante infette di Acrosporii, ha vanamente ricercato questo od altro Tetranico. Ricorda che il Robineau-Desvoidy, avendo ricono- sciuta r esistenza di Acarei sopra buon novero di ve- getali appartenenti per la più parte a differenti fami- glie naturali, credette di potere avanzare che tali spe- cie di Aracnidi variano secondo le serie botaniche. Conviene che la scienza si è troppo poco occupata sinora dello studio di questi esseri, i quali non sem- brano essere stati posti al mondo se non per tormento degli altri animali e a danno di un immenso numero di piante ; come pure che ciascheduno di questi quat- tro Tetranichi affini, telarius, solanorii,m,caldariorum. Passerina, i quali contemporaneamente osservava so- pra disparatissimi vegetali, ama probabilmente vive- re su una qualche specie di preferenza, e forse pre- dilige quelle di una tale piuttostochè di una tal altra famiglia. Ma il Tetranico che da noi assalse la vite, non è lo stesso osservatovi altrove dal Robineau ; quello qui còlto dall'autore suW Helianthus annuus è il Passerina, e non il solanorum rinvenutovi in Fran- cia ; ed il Passerina pure è il Tetranico eh' egli me- desimo osservò sulle nostre rose e robinie, ne il tela- rius sempre slnora vedutovi sopra. Sono adunque a quest' ora conosciute più specie, probabilmente insle- 12 me confuse sin qui sotto codest' ultimo nome, le quali attaccano indifferentemente la stessa pianta. In appresso discute sulla nuova teoria emessa dal medesimo Robineau intorno alla recente malattia delle viti e delle patate. Di già, un anno prima di questo autore, il Robouam erasi accinto a dimostrare, in pa- recchie Memorie lette alle Società di Agricoltura e di Medicina di Parigi, che tra le malattie delle patate, delle viti, e di altre piante, eravi identità assoluta ; e che l'analogia delle alterazioni conduceva ad ammet- tere l'identità della causa primitiva, la quale era da attribuirsi ad una cocciniglia, a cui dava il nome di Goccus radicum. Posto quindi che codeste alterazioni fossero in generale prodotte da una sottrazione ed ima viziatura de' sughi nutritivi operate da insetti, egli pensava che gli stessi insetti determinassero costante- mente r apparizione di fenomeni morbidi, riferibili ad un medesimo quadro nosologico, ed ai quali quasi sem- pre accompagnasi la comparsa di differenti vegetazioni fungose. Invero gli Acarei, gli Afidei e le Cocciniglie tro- vansi ben di frequente insieme a determinate vegeta- zioni fungose d' ima semplicissima organizzazione, ed appartenenti generalmente ai generi Erysiphe^ Acrospo- rium, Uredo, Erineiim. Ma egli è per certo assai lun- gi dall'essere dimostrata l'esattezza di quell'asserto, essere codeste vegetazioni semplicemente una conse- guenza diretta, immediata, pressoché necessaria ed inevitabile della presenza degl' insetti stessi sopra una pianta. All'opposto è provato che in una folla di casi 13 rinsetto vive, prospera sino a far perire il vegetale at- taccato, senza che mai proceda di pari passo col suo sviluppo, o gli sussegua la produzione fungosa. Cosi nelle sere calde e temperate giammai sinora gli Acro- sporii sonsi veduti associarsi al Tetranychus caldario- rum ; ed il Trevisan arreca molti esempii di piante, appartenenti a svariatissime famiglie naturali, straca- riche di Tetranichi, e crescenti nel mezzo di altri ve- getali sommamente infetti di Acrosporii, sulle quali mai ha veduto più tardi svolgersi alcuno di questi mi- ceti. Dal complesso poi delle proprie ricerche l'autore si vide condotto alla singolare osservazione, che sopra una medesima pianta incontrerebbesi costantemente ima sola specie di Tetranico in unione ad un'unica specie di vegetazioni fungose dello stesso genere. Avvenne che nel fascicolo VII., Luglio 1851, il Giornale bresciano intitolato Medicina politica por- tasse un Articolo del dott. Giovanni Pellizzari: La frenologia resa evidente dal magnetismo animale. Quindi sperienze ed escogitazioni di questo medico distinto e pensatore sagace. Interessava quell'Articolo sotto vario aspetto. Il desiderio vivissimo che progre- dissero e seriamente gli studii in fatto di magnetismo n era il primo motore ; l' altro, che non si abbando- nassero fra noi le investigazioni frenologiche ; la fre- nologia poi ed il magnetismo animale, come si promet- teva, avessero a darsi ajuto reciproco, d'onde nasces- 14 se un giorno la evidenza che domanda per credere co- lui che a prima giunta non crede ; era questo il terzo motore dell' interessamento, e più dei due altri po- tente, da spingere qualunque studioso a raccogliere fatti, verificarli, comunicarli, e procurare cosi il sug- gello alla dimostrazione. Questa e non altra fu l'occasione che mosse il Mem- bro Ordinario dott. Argenti ad intavolare in sua casa una serie di esperimenti, prendendo a spettatori e te- stimonii persone bene senzienti della scienza e dell'ar- te, e a registrare tutto che veniva osservato, colla mira di proseguire e rettificare. E riflettendo egli come le Accademie, se non prestassero ausilio ai ricercatori del vero coli' autorità che viene dagli uomini collegati insieme, non risponderebbero pienamente alla istitu- zione loro ; ha risoluto comunicare all'Accademia no- stra, la sera del 1 8 Dicembre, un sunto delle osser- vazioni già incamminate, proponendo e chiedendo una Commissione verificatrice di quanto affermava; per- chè poi pensatamente raccogliessesi un numero di fatti, si desse a questi il valore meritato, si conchiu- desse sul vero o non vero con cognizione incontestata di causa. L'Accademia accolse volonterosa la proposizione del suo Membro Ordinario, e votò ima Commissione com- posta di cinque suol Membri : Bellavitis, Mugna, Se- rafini, Spongia^ Trevisan. Rimase preside e relatore della Commissione il Membro Ordinario Bellavitis. Sta- tuito tempo e luogo alla prima seduta, la Commissio- ne continuò a prestarsi In altre, intenzionata di trat- 15 tare il suo mandato con tutta religione di scienza ; ed arrivata al termine di sue osservazioni, farà rapporto all'Accademia, e renderà conto dell' operato , a disim- pegnare la sua fede. Dei fiumi che corrono in gliiaja e delle pescaje. — Memoria del Prof. D. Turazza, Presidente dell'Accademia, letta nella Tornala 15 Gen- naio 1852. Le pescaje, quelle fabbriche o chiuse che si fauno su tutta la lunghezza dell'alveo d'un fiume, allo scopo o di tenere in collo l'acqua superiore, o di minuire la eccessiva pendenza del letto ; od altrimente nei fiumi ghiaiosi per trattenere le ghiaje nelle parti superiori dell'alveo; diedero argomento di meditazione all'au- tore, il quale non disconosce la difficoltà di questa im- portante disciplina idraulica, su cui versarono e ver- sano assiduamente tutti i periti. Volle nel suo discorso cercare con ogni studio e chiarire gli effetti delle pe- scaje, vedere quale e quanta utilità può tornare dal- l'uso delle medesime ogni qual volta vengono propo- ste j ed è appunto sotto l'aspetto assai discusso essere le pescaje destinate a trattenere le ghiaie nelle parti superiori dell'alveo, ch'egli prende a considerarle; nulla essendovi a dire intorno alle regole da seguirsi allorché si voglia tenere in collo l' acqua superiore, o diminuire la eccessiva pendenza del letto. 10 Il Gugllelmlni, padre e maestro della scienza dei fiumi, che tiene le pescaje inutili ad impedire la pro- trazione delle ghiaje ; il Grandi , il quale le giudica dannose, temendo che l' accelerazione nel corso del- l'acqua-, prodotta dal salto alla pescaja, possa trascinar ghiaje in maggior copia e più grosse, e che la scala delle pendenze debba perciò farsi maggiore ; altri, fra' quali primeggia il Manfredi (annotatore del Gugliel- mini), i quali mettendo in conto l'accelerazione di sbocco dovuta al salto della pescaja, reputano minore il bisogno d'una determinata pendenza, perchè il fiume possa per la stessa sezione portare la medesima quantità di acqua; preparano al nostro autore, co' pen- samenti diversi, un campo più netto alla disquisizio- ne. Giusta il Manfredi, e quelli che si accordano con lui, la interposizione delle pescaje col diminuire la pendenza del letto varrebbe a trattenere le ghiaje nelle parti superiori; dal che diverrebbero quelle mezzi utilissimi a regolare i fiumi che corrono in ghiaja : opi- nione che fu pure del Fossombroni, Il quale, proget- tando la sistemazione dei fiumi veneti, suggerisce le pescaje sul Brenta, da Fontaniva in su, ove appunto si presentano le ghiaje. Le grandi masse di ghiaja, arena o sabbia, dissemi- nate, sparse o ammonticchiate sopra e sotto alla su- perficie terrestre, devonsi, giusta l'autore, tenere coe- tanee all'ultima formazione del globo: esempio le arene della Numidia e dei vasti deserti di Tartaria, ove im- mense , profonde , uniformi , non lasciano presumere corso anteriore di fiumi ; e se si voglia dedurle da in- 47 fluenza marina, il mare è assai distante da (luelle. Vuol egli queste materie sieno originalmente preparate dalla natura, messe a nudo dalle vicende atmosferiche e dai lavori di agricoltura ; d' onde la facilità ad essere tra- scinate dalle acque e trasmesse all' alveo dei torrenti e dei fiumi, non senza uno sfregamento reciproco fra le gliiaje, ma di poco rilievo ad impicciolirle ; che se lungo la discesa dell'alveo dlstinguansi sempre più minute, e scomparire infine, ciò deve provenire dalla sempre minore pendenza del letto e dalla crescente resistenza delle parti all'urto; d'onde la gradazione del volume in grosse, men grosse , minime, ec, sino all'ultimo confine. La opinione del Guglielmini, il logoramento cioè progressivo delle ghiaje fino a di- venire sabbia od arena, è infermata dalla considera- zione, che le ghiaje sono calcari, siliciche le sabbie e le arene. Sta a vedere se un fiume che corre in ghiaja giun- ga in fine a stabilire il suo letto, e come ciò avvenga. La minor copia delle acque non altera l'alveo formato nell'ultima piena; e, stante la poca velocità, le ghiaje non ismuovonsi. Colla piena, eh' è presta ed impetuo- sa, introducousi nuove ghiaje nell' alveo , portate dai confluenti, e si smuovono quelle che già vi esistevano. Le ghiaje mobili , l' urto dell' acqua impetuoso, sono cagioni d' un movimento rapido e continuo ; cede più o meno da un lato, resiste più o meno dall' altro ; ed il letto al finir della piena si trova diverso, scavato un alveo nuovo fra mezzo alle ghiaje, che trovansi in uno stato ben diverso da quello che avanti la piena offri- 18 vano: fenomeno comune ai granai e piccoli torrenti; e le acque di magra correre un cammino vario dal primo alveo, e talvolta ancora con differenze notevoli. Osservarsi quindi che 1' alveo dei fiumi correnti iii gliiaja ha generalmente, se abbandonato, una grande estensione in larghezza, e presenta notevoli variazioni ad ogni avvicendarsi di piena. Crede l' autore che il trasporto delle ghiaje in un alveo sia più laterale che longitudinale, più uno smo- vimento che trasporto ; ritenuto sempre che V alveo non sia arginato, siccome di torrente abbandonato a sé stesso. E dà ragione, per volervi alle ghiaje un po' pesanti una determinata pendenza ; la quale non mu- tandosi, non può avvenire un grande trasporto longi- tudinale: vedersi in pratica che le ghiaje d' un dato volume non si protraggono al di là di certi llniiti ; ciò che succede quando, regolando il torrente, si toglie la facoltà di espandersi, ed alzando il letto si apparec- chia la pendenza necessaria perchè anche le ghiaje di una certa grossezza possano avanzare. Il fiume avrà alveo stabilito quando saranno statuiti i confini, entro ai quali le ghiaje vengono portate e consumate. E qui l'autore lamenta lo sbarbicamento improvido delle sel- ve, ostacolo potente alle ghiaje che vanno agli alvei dei torrenti ; la cultura dei terreni in pendio, che au- menta il numero delle ghiaje trascinate dalle acque : dal che più difficile a stabilirsi il letto dei fiumi, e pres- soché impossibile. Distingue lo stabilimento del letto dallo stabilimen- to dell'ultimo limite al quale si portano le ghiaje, pò- 19 tendo non aver luogo il primo e avvenire il secondo, almeno per un tempo lunghissimo ; e adduce un esem- pio tratto da un torrente che attraversa la strada da Vicenza a Verona, l'alveo del quale va continuamente innalzandosi, e le sue ghiaje finiscono prima che metta foce in altro torrente ; né indizio di ghiaja si osserva a quel punto. Viene poi a discorrere degl' interrimen- ti, onde accostarsi al soggetto delle pescaje, ed aver lumi a trattarlo. Deir interrimento due modi : o avviene da prima in un tronco inferiore, e da questo ascende all'origine ; oppure comincia da questa, e si propaga all' ingiù : distinzione importantissima, a torto negletta dagli scrit- tori ordinarii d' Idrometria ; distinzione sempre però relativa ai tronchi di fiume superiori od inferiori a quello da cui comincia ed ha luogo l' interrimento. E qui l'autore diffondasi, adducendo prove dell' Interesse che viene in pratica da tale distinzione ', e convalida il proprio assunto con osservazioni di fatto , facili a verificarsi tuttora relativamente ai due grandi fiumi, il Po e l'Adige. Quanto all' Interrimento dovuto alle ghiaje, siccome quello è di trasporto e non di deposizione, così una causa qualunque che valga a diminuire la pendenza del letto darà occasione al soffermarsi delle ghiaje nell'alveo superiore; ed Ivi trovando sforzo bastante, si arresteranno, e da quella causa verrà accorciato II limite delle ghiaje medesime. Le ghiaje arrestate al termine d' un tronco si spandono In pax'te all' Incile del successivo ; d' onde la probabilità che la diminu- 20 zione di pendenza nel propagarsi all' insù scemi gra- datamente, e la nuova linea del fondo concorra assiu- toticamente alla primitiva in punto più o meno lonta- no, a seconda di circostanze particolari. Applicando queste considerazioni al caso delle pe- scale, è chiaro che, costruendo uno di questi manufatti nell'alveo d' un fiume, le ghiaje trascinate dalla prima piena si arresteranno alla pescaja, e riempiranno col tempo il vano fra il vecchio alveo e la cresta di quella. Che se la forza dell'acqua basterà a sollevare le ghiaje e trascinarle nel tronco inferiore, ciò non avverrà che in iscarsa copia, e la grande massa di ghiaja troverà ostacolo insuperabile. Tutto che segue serve ad illustrazione dei principii emessi, né si può raccogliere in un estratto senza le- dere la integrità del ragionamento che l'autore ha seguito rigorosamente nella sua Memoria. Sulla immoralità del suicidio. — Memoria del Dott. G. A. Galvani, Socio Corrispondente. — Seconda lellura della Tornala 15 Genn. 1852. JU autore ha voluto con questo Discorso unirsi alla schiera dei molti, i quali, colla scorta della ragione, della filosofia, della morale religiosa, cercarono preve- nire il suicidio, sperando sempre che la ragione sia sana in que' disgraziati che ne hanno tendenza, e pos- sano adoprarla liberamente, onde non cadere nella ignominia. 21 Il Discorso, sebbene nou mostri una divisione iu luoghi distinti, è condotto In maniera da lasciar ve- dere tre punti principali : definire il suicidio , dare I motivi di riprovazione, ribattere i sofismi co' quali si tenta giustificarlo. Sarebbero queste le basi della pri- ma parte. Una breve storia del suicidio, aggiunte le opinioni dell'antichi tà, citando le scuole filosofiche che lo avrebbero approvato, costituisce la parte seconda ; la quale annovera Infine esempli storici delle varie ma- niere di compierlo. La terza parte finalmente è tutta morale pratica, In opposizione ad alcuni moderni, I quali non solo ne scrissero l'apologia, ma si presenta- rono ancora siccome campioni di fatto nel suicidio. L' autore chiude la sua Memoria raccomandando al probi ed onesti una vigilanza sulla gioventù inesperta, la quale, facilissima alle impressioni, è in pericolo di lasciarsi abbacinare colla lettura di scritti empii ed abbomlnevoll. Critica della influenza della temperatura, e rap- porti geografici delle endemie. — Memoria del Dott. G. F. Spongia, Membro Ordinario, Vice - presidente, letta nella Tornata 29 Gennaio 1 852. Hilla è questa la ottava Memoria d' un lungo lavoro sulle malattie popolari, incominciato fino dal 1 839, seguito come permettevano le circostanze dei tempi, 22 offerto fino dal suo nascere all'Accademia, la quale tiene già, nei voi. V. A'^I. degli Atti suoi (^Nuovì Saygi)^ le prime cinque Memorie. La sesta fu stampata a parte; la settima letta nella Tornata 22 Maggio 1 85'J ; questa e la presente sono tuttora inedite. A parte la prima Me- moria, contenente la somma delle ricerche progettate, ed il piano di critica che si proponeva l'autore; le altre prendono mossa dalle malattie endemiche della torrida, e continuano su queste fino a tutta la quinta. La sesta, tenendo occasione da una topografia speciale, si occupa delle febbri intermittenti, e cosi la settima ; se non che in questa ha principio la trattazione della tubercolosi^ sotto punto di vista etiologico, con esame della respirazione ad aria rarefatta e condensata, dipen- dentemente dalla pressione : ciò che prosegue nella ot- tava, mettendo a calcolo la rarefazione dell' aria per temperatura, e la temperatura stessa, per tracciare inoltre i confini delle endemie, e preparare , sopra base fisica vera, una geografia medica razionale. Le otto Memorie, lette finora all'Accademia, hanno vincolo strettissimo fra loro, né si potrebbe parlare d una senza riferirsi alle altre, siccome parti d'un tutto. Nella Tornata 29 Gennajo l'autore, incomin- ciando dalla respirazione, dagli agenti in questa fun- zione, e dagli effetti che vengono dalla copia maggio- re o minore di ossigeno, per accresciuta pressione o di- minuita, siccome investigava nella Memoria preceden- te, tenne discorso sulla influenza della temperatura, percorrendo molte regioni del globo, e rilevando gli effetti immediati del caldo, del freddo, e d'ambedue la 23 siccità e la umidità. Seguendo l'analogia degli effetti nelle l'egioni di eguale temperatura, ha segnato, come per saggio d'un lavoro geografico più esteso, alcune linee di pari temperatura, distinguendone le stagioni ; ed ha mostrato come il sistema delle linee isotermiche dell'Humboldt potrebbe servire ad uno studio etiolt- gico ed anche terapeutico nelle endemie ; rigettando come puramente ipotetica la dottrina dell' antagonismo patologico, celebrata qualche anno addietro. Stabiliti i confini delle medie termiche, valutate le differenze speciali da luogo a luogo per ragione geognostica, stu- diate le accidentalità per ridurle possibilmente ad un tipo primitivo; è agevolata la fondazione d'una geo- grafia medica ragionata, sorretta dal fatto puramente fisico ; la quale nel dare ragione etiologica serve in pari tempo a tentare la cura della malattia, avvenuta sotto date condizioni climatiche, col ricori-ere a con- dizioni diverse ed opposte. ilei componimento della Memoria letta l'autore ebbe occasione a dire dell' ozono, sostanza provegnente dal- la modificazione dell' ossigeno, siccome dalle sperienze del prof. Schoenbein di Basilea. In una sua Memoria su d' alcuni effetti fisiologici indiretti della elettricità atmosferica l'illustre chimico tiene probabile che la importanza degli effetti fisiologici attribuiti alla elet- tricità sia molto esagerata ; e trova che il maggior nu- mero di quelli non sono che altrettante conseguenze 24 iudirelte dell' azione elettrica. L'odore elettrico sareb- be dovuto all'ossigeno dell'aria cliimicamente esaltato (ozono), formantesi nelle scariche elettriche ; il sapore percetto sulla lingua dietro una scarica elettrica non essere che dell'acido nitrico fatto a spese dei compo- nenti r atmosfera ; la luce ed il rumore che vengono dalle scariche, un effetto del movimento vibratorio im- presso alle molecole dell' etere, dell' aria, ec. ; final- mente aversi a considerare che tutti gli effetti attri- buiti all' elettricità non vengono giammai dalla statica, ma solo dalla dinamica, sia ella istantanea come nelle scariche, o continua come nelle correnti galvaniche. Premesse tali riflessioni, che conducono lo Schoen- bein ad insistere sullo studio dell'ozono, richiama egli r attenzione dei medici, persuaso che questo prin- cipio, se grande la sua quantità nell'aria, attacca gli or- gani del respiro, e diviene eminentemente nocevole ; sia probabilmente ancora destinato in natura a depu- rare r aria , distruggendo un gran numero di mia- smi (1). L'ozono, il cloro, il bromo, l'iodio sono agen- ti di ossidazione, dotati di grande potenza sulle sostan- ze formate dall'idrogeno unito a principii organici ed (1) Come questi cenni sull'ozono vengono tratti dalla Biblio- thèque universelle de Genève, KovemLre 1851, ai quali si riferi- sce un Articolo esistente nello stesso Giornale, Tomo VII. (Jr- chives) pag. 67, crediamo convenire alla importanza del soggetto la trascrizione letterale di quello. — u M.'' Schoenbeiji a déjà an- )) noncé depuis longtemps que l'on peut constater dans l'air at- » mosphérique la présence de l'ozone au moyen des bandelettes » de papier recouvertes d'empois d'amidon, contenant de l'iodu- ))rc de potassium. Du papier inqirégné de sulpliate de manga- 25 inorganici ; ed a tale ossigenazione dovrebbe attribuirsi la facoltà loro distruggitrice dei miasmi. L'ozono si forma incessantemente nell'atmosfera sotto influenza elettrica ; la sua virtù ossldatrice si manifesta alle or- dinarie temperature sul maggior numero di materiali ossidabili inorganici ed organici ; d' onde la modifica- zione radicale della loro essenza chimica, e per conse- guenza ancora dell' azione fisiologica. E seguono le sperienze del Sclioenbein, comprovanti tutto che af- ferma sulle virtù dell' ozono sopra sostanze organiche putride ed esalanti vapore miasmatico. L' ozono del- l'aria cresce in proporzione durante l'inverno, e, ge- neralmente parlando, le regioni di maggiore distanza » nese peut aussi ètre employé clans ce Lut, puisqu' il brunit » sous l'influence de l'ozone. La proportion d'ozone coiiteiiue )) dans l'air est très-variable ; qiielquefois une exposition à Tair )) libre de quelques lieures bleuit le papier amidonné plus que )) ne le fait à d'autres époques une exposition de plusieurs jours. )) Les jours de neige, ou de pluies orageuses, se font surtout re- » marquer à cet égard. )> « L'auteur, ayant ob^ervé que la respiration d'im air ozonìsé )) causait une atlection catarrliale analogue à celle que produisent » le chlore et le brome, pense que la présence d'une forte pro- )) portion d'ozone dans l'air pourrait ètre la cause des affections )) de ce genre si générales à de certaines époques. Des expérien- » ces comparatives ont été faites par lui et par le prof. Jmig, )) Jung notant les jours qui se faisaient remarquer par l'abon- )) dance de rliumes et catarrlies , tandis que M."" Sclioenbein » notait les jours ou son papier amidonné bleuissait le plus V promptement. Il annonce qu'ils ont obtenu par la comparaison )) de ces observations une concordance remarquable ; les jours » ou le papier était fortement bleui étaient toujours suivis de n Jours de rluimes et de catarrlies. » 2G dal livello del mare ne offrono in quantità che si au- menta coir altezza : d' onde la conseguenza che l' aria dev' essere più pura nelle regioni più alte ; e quest'aria carica di ozono (fermo il piùncipio annunziato più so- pra) deve favorire le affezioni delle mucose bronchiali più che non facciano, a circostanze pari, le regioni che si accostano al livello del mare. Oltre air ozono, l'autore della Memoria letta nel 29 Gennajo ha toccato la scoperta di M/ Chalin, presen- tata nel principiare di quest' anno all' Istituto di Fran- cia, ed affidata, come al solito, per esame ad una Com- missione. Nel fascicolo di Fehbrajo degli Archives gé- nérales de Médecine (pag. 245) sta un Articoletto sulla presenza deW iodio neW aria, nelle acque, nel suolo, nei prodotti alimentari delle Alpi francesi e piemontesi, eh' è appunto la scoperta di M.'' Chatin. Poiché da qualche tempo si studia con fervore per ri- levare le cause del gozzo e del cretinismo, ed i cultori della scienza non possono accontentarsi sulle deduzioni del dott. Grange, che i terreni e le acque magnesiache favoriscano senz' altro tale malattia (ciò che anzi si crede provato in contrario), crediamo a proposito ri- ferire un sunto delle osservazioni del Chatin, raccolte nei detti Archives j ed è il seguente. L' atmosfera a iodio è rarefatta d' assai sulle altezze alpine e nelle valli relative a queste; in tali situazioni l'aria e tutte le acque dolci sono povere d'iodio, men- tre ad una certa distanza dalle grandi masse alpine r aria e le acque leggiere sono mediocremente, ma si- multaneamente iodate. Lungi dalle Alpi (a Parigi od 2T a Londra, p. e.) V aria e le acque leggiere sono ricche d'iodio; le acque pesanti poco iodate, qualunque ne sia lo stato dell' aria. Le materie alimentari sono iodate diversamente giusta il suolo produttore. M.'" Chatin ha trovato me- no d' iodio nel ma'ìs d'Aosta e d'Aiguebelle, che in. quello della pianura di Alessandria ; nei vini di Saint- Julien - en - Maurienne e di Moutiers, che in quelli di Montmèlian e d'Astier, e soprattutto che nei vini di Borgogna, Orléans, Bordeaux; nei formaggi delle valli dell'Are, dell' Isère, de la Doire-Battée, che in quelli del bacino della Senna e della Loira ; nel latte e nei fieni del Cenisio, che in quelli che si vendono a Pari- gi ; nelle biade della riva destra della valle di Graisi- vaudan, che in quelle della riva opposta. Osservazioni tali zion avrebbero gran valore in ar- gomento di Medicina, se non additassero un' applica- zione ed un accordo con fatti patologici ; restando poi sempre a vedersi se v' abbia vero vincolo tra causa ed effetto. Il Chatin trova coincidenza tra Y abbondare dell' iodio neir aria, nel suolo, negli alimenti, e la mancanza assoluta di gozzo e cretinismo; la diminuzio- ne progressiva dell' iodio corrisponde all' aumento progressivo delle due affezioni morbose : ciò che ha egli rilevato non solo fra le Alpi, ma in altre parti ancora di Francia e Svizzera ; ed accenna avere osser- vato egualmente M."" Boussingault fra le Cordiliere della Nuova Granata. Detto di questa causa speciale e delle generali, M."^ Chatin vuole classificare i rapporti tra l' iodio, il 28 gozzo, il cretinismo ; ed esponeudo le regioni esaminate da lui, distingue quattro zone, cioè di Parigi, Soisson, Lione con Torino, e delle vallate alpine ; ed assegna a ciascuna la frazione propria d'iodio, mettendo a cal- colo la media dell' aria respirata, di cibi presi, di acqua bevuta nel periodo di 24 ore da un individuo, generalmente parlando. Vedremo quali saranno i risultamenti dell'esame del- la Commissione stabilita dall'Accademia delle Scienze. Più tardi, nel 1 6 Febbrajo passato, M.' Chatin pre- sentava all'Accademia delle Scienze i risultamenti della sua analisi delle acque; e sono quelli che seguono: 1." I cloruri die abbondano nelle acque piovane Sulle regioni marittime, sono pure a Parigi in una pro- porzione maggiore che nelle acque della Senna, se spiri il vento dalle parti più prossime al mare, o, a dir breve, sia marino. 2.° A Parigi e nella Francia centrale l'acqua di pioggia contiene solfati, ed in quantità notevole. Que- st' acqua, avvegnaché di frequente men carica di clo- ruri che la fluviale, di confronto a questa ha copia maggiore di solfati. 3.° Nelle acque piovane i sali a base di calce e di soda si trovano in quantità apprezzabile. A° Le acque piovane si distinguono soprattutto per tenere sino a \ decigramma per litro di materia or- ganica azotata, la quale può aversi come composta di una mescolanza di ulmato d'ammoniaca e di acido nimi- co. Questa materia stessa abbonda negli strati inferiori 29 dell'atmosfera (a Torino e sulle coste inaritlime in proporzione minore che a Parigi e nella Maurlenne), dai quali si depone nelle rugiade o nelle brine, e può separarsi colle lavazioni. 5.° Più che le leggiere le terre argillose tratten- gono i principii disciolti nelle acque pluviali. L'atmo- sfera e le pioggie destinate a lavarla hanno ufficio im- portante in agricoltura ; ritornano al suolo una parte delle materie minerali ed organiche solubili, utilissime alla vegetazione. ile sono meiio interessanti la terapia eia igiene, le conchiusioni di M. E. Marchand sulle acque naturali e loro origine geologica, depositate all' Istituto di Fran- cia nel 21 Luglio 1851, e contenute nel Giornale citato più sopra. Le poniamo qui appresso, avendo esse pure rapporto colla Memoria ridetta del 29 Gen- najo, e come appendice alla medesima in relazione alla igiene pubblica e privata di tempo e di luogo. i .° Tutte le acque naturali (meno le circostanze di cui in seguito) contengono iodio e bromo. 2. Tutte queste acque contengono la litina. 3. Tutte, quando sorgono da terreni superficiali cretacei o da terreni calcari, contengono il ferro. 4. L' iodio ed il bromo delle acque vengono dalle sottrazioni fatte all'acqua marina a mezzo dei vapori, nei quali le particelle acquee che vi si mescolano con-: tinuamente, e portansi sui conlinenli, cadono in piog-j 30 già, neve, grandine. Le acque di pioggia e di neve contengono generalmente una proporzione apprezzabile d'ioduri e bromuri. 5° Nei paesi molto boschivi V iodio ed il bromo ponno sparire dalle acque, e passare allo stato salino, a mezzo delle forze organiche, nel novero dei priucipii minerali fissali dai vegetali. Le ceneri in maggior parte degli alberi delle foreste contengono iodio. 6.° Le cause determinatrici il gozzo ed il cretini- smo non istanno nel carbonato di magnesia delle acque di cui usano i gozzosi ed i cretini. T. La causa determinati^ice è negativa, e dipende dalla mancanza d' iodio e bromo nelle acque. 8. La costituzione fisico-chimica delle acque varia ad ogni giorno e ad ogn' istante della giornata. Nella stagione di temperatura piìi alta la densità delle acque è maggiore; più considerevole quindi la quantità dei loro principii salini ; una variazione rapida di tempe- ratura si riflette nella costituzione delle acque. 9.° E nota la influenza dello estirpamento dei boschi sull'abbondanza o scarsezza delle sorgenti; né in questi fenomeni non si tenne conto della influenza della vegetazione in generale, ed in particolare di quella della cultura delle piante agricole. Si ammette essere più copiose le sorgenti nell'inverno che nella state : opinione erronea, mentre nei terreni calcari al- meno le sorgenti abbondano in ragione dell'attività vegetale, e scemano d' importanza a misura che si va spegnendo la vita vegetale. Sono al minimum verso i 15-20 Gennajo. 311 1 0.° Tutte le nostre acque (parla il francese Mar- chand) sorgive o fluviali contengono azotati ; pure le acque marine, che le ricevono tutte, non contengono traccio apprezzabili di azotati. Ciò si spiega perchè da un lato, sotto la influenza respiratoria dei pesci, gli azotati sciolti nell'acqua passano con questa attraverso le loro branchie, e subiscono una decomposizione, da cui sorge poi V ammoniaca. Dall' altro lato nelle pro- fondità oceaniche si trova una grande quantità di mol- lusclù univalvi e bivalvi che escernono una data copia d' acido idrosolforico libero, il quale, trovandosi allo stato nascente, deve ridurre allo stato di ammoniaca r acido nitrico degli azotati co' quali si trova a con- tatto. Il fango che si depone in fondo alle acque con- tiene cristalli di solfato ammoniaco - magnesiaao, e le acque contengono acido idrosolforico. ì 1 .° L' acido idrosolforico libero o combinato si trova spesso, se non sempre, nelle acque di pioggia. Egli è quello che somministra lo zolfo alle piante della famiglia crucifere. ì 2. Da questo ultimo fatto i-isulta che le regioni infette dall'acido idrosolforico possono disinfettarsi coltivando piante crucifere. Sull'argomento di queste 1 2 tesi è commendevole il lavoro del dott. Nièpce, intitolato Traité clu goiire et du crétinisme, ec, edito a Parigi nel 1851. Crediamo che prendendo a tipo, per altre investigazioni topo- grafiche desiderate, quella del dott. Nièpce, e di altri ancora, favorite dai lumi delle scienze fisiche, avremo un giorno una serie di osservazioni che svolgeranno il sa caos etiologico di molte malattie endemiche avvolte tut- tora nel mistero, perchè non istiidlate giammai, ovvero sia studiate sopra una falsa strada. Della educazione fisica infantile. Difetti: condizioni igieniche necessarie a migliorarla; utile influen- za degli Asili di carità per F infanzia. — Me- moria del Dott. F. A. Argenti, Membro Ordina- rio, letta nella Tornata 12 Febbrajo 1852. Jr remessa la enumerazione dei soccorsi sociali che crebbero e si diffusero nel corrente secolo d'accordo colla civilizzazione, osserva che i mezzi impiegati finora alla educazione della infanzia non valsero a bene incamminare quella parte della educazione che chia- masi fisica ; che anzi si mostra ella manchevole e ne- gletta: ed è questa la base del discorso che l'autore ha tessuto, siccome penso accademico. Ad ordinare la trattazione di sì grave argomento, il quale, bene svolto, assicura prosperità a tutta una generazione, divide la infanzia ne' suoi più naturali periodi: l'allattamento; l'intervallo dalla prima alla seconda dentizione ; e da questa l'altro che ha confine alla pubertà. Dovendo mostrare ciò che rimane a far- si» l'autore aveva d'uopo di riandare ciò che si è fatto ") fin qui, onde incoraggiare 1' avvenire ; e rivede i van- taggi dell' insegnamento ostetrico spinto da più anni 33 alla perfezione, quelli della istruzione igienica diretta a miglior fine che non si soleva nel passato secolo : dal che viene condotto egli a conchiudere che, insistendo nei precetti, si arriva a radicare il vero, farlo seguire ed amare ancora dalle classi sociali cui manca il bene d'una cultura intellettuale. Di fatto, il popolo apprese a non avvinghiare colle fascie gì' infanti, e lasciare li- bertà agli arti ; la gradazione delle coperture, la posi- zione nella culla, il danno del cullare ; il vantaggio dell'aria libera e rinnovata, della mondezza, del ba- gno, ec. ec. ; effetti principali della istruzione diffusa, i quali, aggiunti a molti altri, l'autore, destinato a presiedere a grande riparto di vaccinazione, ebbe cam- po di verificare a suo soddisfacimento. Non è così dall'allattamento in poi. L'aumento della prole nelle famiglie, le attenzioni rivolte all'ultimo nato, la necessità di guadagnare il sostentamento, sono cause che infievoliscono le cure del secondo periodo, e tolgono all' infante il benefizio d'un appropriato reg- gimento in epoca pericolosa, quella della prima den- tizione. Sturbate le funzioni addominali , si fa ampia occasione al gastrismo, alla elmintiasi, ai processi afto- si, agl'ingorghi ghiandolari; quindi alla rachite od alla scrofola, malattie che hanno comune l'origine. Progredendo la età, né prestandosi le madri ad ogni uffizio di necessità immediata, sottentra l' impulso, che viene dal costume, di affidare cioè gì' infanti alla cura di donne mercenarie, le quali tengono una raccolta di questi esseri infelici : raccolta che fra noi addomandasl 5CMo/a. E qui l'autore, che ha perenne occasione di 3 34 rilevare i fatti in questa miseranda partita, espone con triste verità quali sieno quelle scuole. Direttrici, don- ne vecchie, acciaccate da malori, rozze, meschine; i piccoli allievi non tutti affrancati nelle gambe, dimo- ranti nella scuola tutto lungo il giorno qual è ; lo spa- zio angusto, d' ordinario ad uso di cucina, con fuoco quasi sempre acceso ; situazione a pian-terreno, spesso umida, male ventilata ; talvolta in luogo della cucina l'unica miserabile stanza da letto, ove la famiglia è raccolta ed ove si consumano tutt'i bisogni domestici; lalfìata ancora V ultimo piano dell' abitazione, ed ivi la stanza sola di cui può disporre la educatrice : quin- di caldo, freddo, umido, aria infetta a permanenza, perchè manca una ventilazione ; e se penetri l' aria per le male riparate aperture, rinnovasi facilmente quel tanfo che sorge incessante dalla immondezza. Si aggiunga la disciplina della immobilità dei fanciulli, necessaria a vigilare su tutti quanti essi sieno ; e qui l'autore enumera i dannosi effetti, valutandoli in re- lazione all'arte ed alla scienza che guida a conoscerli, non senza prevedere i mali che da essi derivano. Queste riprovevoli usanze in fatto di educazione fisica, o, a dir meglio, queste negligenze di educazio- ne proseguono oltre la età che si destina alle così dette scuole or ora descritte. I fanciulli di 5-6 anni passano alla istruzione del leggere, dello scrivere, dei lavori femminili ; e chi dirige questa istruzione non ne sa di educazione fisica, né può per conseguenza applicarla. Togliete, continua V autore, la pompa di quelle pro- cessioni dal collegio alla chiesa, e da questa a quello, 35 le molte ore residue, destinate alla dimora nelle scuo- le, rimangono vacue affatto di educazione fisica ; clie anzi in alcuna di quelle scuole non sono perdute le consuetudini villane d' un tempo, le maniere aspre, le cose di fatto umilianti, nate fatte per avvilire lo spi- rito dei fanciulli, ed opposte allo sviluppamento mo- rale consono alla dignità dell'uomo. Se parlisi di fan- ciulle in particolare, si aggiunge la pazza idea di strin- gere il tronco negl' imbusti, ed impedire cosi alla ve- getazione rigogliosa di quella età un materiale dilata- mento. Su queste prave consuetudini gridarono ad alta voce i medici d' ogni tempo, segnarono a dito e con sicurezza gli effetti che ne derivano ; e tutto indarno, poiché prevalse sempre la idea di dare al corpo ima forma artificiale. Qui l'autore continuando a parlare dei danni delle diverse posizioni del corpo, e toccando pure i lavori femminili, si conduce diritto al principio reggitore del suo discorso, che la primitiva educazione debba favorire un proporzionato ed armonico incre- mento fisico ; ed il lavoro sia alternato colla distrazio- ne, il movimento libero e sciolto colla occupazione della mente, onde conseguire colla cultura della intel- ligenza la robustezza ancora dell'organismo. Disordini di tal fatta, che influiscono sulla società intera, V autore ritiene si potrebbero diminuire e to- gliere a mezzo della influenza municipale: vigilare cioè sxiUe donnicciuole che raccolgono fanciulli, sui pe- dagoghi ed altri che ad allevarli si dedicano, obbligan- doli a denunziare rigorosamente il loro imprendimen- to : dal che ne verrebbe che, noti alla Rappresentanza 36 comunale, questa potrebbe riconoscere locali, oppor- tunità, numero degli educandi, e capacità negli edu- catori. Vorrebbe vi cooperassero i medici-condotti ; e per parlare di città, i medici così detti di parrocchia o contrada : e stringendo il suo dire alla città di Pa- dova, non dubita che il vantaggio di vigilanza medica sulla infanzia avesse ad influire sulla istituzione delle condotte mediche interne, desiderata perchè vantag- giosa, e tale dimostrata dalla esperienza in altre città anche minori. Le providissime fondazioni degli Asili di carità per la infanzia, diffusi nelle nostre provincie, contano ornai in Padova quattro Stabilimenti ; promettono alla ge- nerazione attuale ed a quelle che verranno mi vivere più lieto : ed il nostro autore, che li ha visitati, ne loda il buon principio, ed espone i suoi desiderii di perfezionamento in riguardo alla educazione fisica prin- cipalmente. Riduce a cinque le condizioni igieniche eh' egli crede necessarie : 1.° la respirazione d'un' aria pura tanto nclF in- terno che fuori del luogo abitato ; 2.° un sistema dietetico semplice e sufficiente ; 3.° la qualità e il modo di vestito che corrispon- da alla età, al clima, alle stagioni, e si attagli allo sviluppo del fisico ; h° un esercizio proporzionato alle forze del sog- getto, ed applicato scientificamente, secondo gli even- tuali bisogni ; 5,° la moderata occupazione delle facoltà intel- lettuali. 37 Queste cinque tesi fondamentali d* igiene applicata alla educazione fisica d'una età che, bene o male con- dotta, influisce sulle età future da farle felici od infe- lici, sono svolte separatamente dall' autore , ed illu- strate in guisa da renderne piana, intera ed agevole l'applicazione anche per parte di coloro che non ab- biano istituzione scientifica appropriata. Importantis- simo sarebbe d'altronde che i preposti agli Asili del- l'infanzia quella istituzione avessero, affinchè nulla mancasse alla pratica di tai precetti; ed in questo caso niente di meglio che la vigilanza esercitata dai medici, siccome l' autore ne manifestava il desiderio fino dal principio del suo discorso. Ricordando la pubblicazione degli Atti accademici, il cui ultimo volume rimonta al 1847, fu proposto di dar conto a brevi periodi di tutto che fa l'Accademia, metten- dosi alla redazione d'una specie di Diario; e frattanto dar mano alle pratiche statutarie, per istampare il solito vo- lume degli Atti. Piacque la proposizione, e si dispose per- chè alla ventura Seduta fosse preparato un preventivo sui modi migliori e sulla spesa, informandosene presso il tipo- grafo della I. R. Accademia, il sig. Angelo Sicca. Studii sui dialetti della lìngua italiana. — Memo- ria del Prof. Ab. Nardi, Membro Ordinario, letta nella Tornata 4 Marzo 1852. iWWVMiVWVW\iVWV%/M 53 PERSONALE ACCADEMICO U PADOVA Presidente Turazza. Vice - Presidente Spongia. De Visiani. (Fisica) . , Mdgna. (Medicina) Direttori di Sezione < Bellavitis. (^Matematichi) Poli. (Filosofia e Lettere) Menin. (per le Scienze) Agostini, (per le Lettere) Archivista e Bibliotecario Cittadi;li.a-Vigodahzbhi. Segretarii perpetui Amministratore e Cassie- re Onorario Argenti. TH^eutSti Oiò'matit. Sezione di Fisica. i. Catullo. 5. Db Zigro. 2. Jappelli. 6. Sbllenati. 3. Menin. 7. TREviSASr 4. De Visiam. Sezione di Medicina. i. Argenti. 5. Spongia. 2. Benvekisti. 6 3. Festleb. 7 4. Mugna. 54 Sezione di Matematica. i. Bellavitis, 5 2. MlNICH. 6 3. Santini. ^ 4. TCBAZZA. Sezione di Filosofia e Lettere. 1. Agostini. 5. Nardi. 2. BoNATO. 6. Poli. 3. ClTTADELtA. ' 4. Cittadella -Vigodar- ZERE. 1. cornbliari. 2. Racchetti. 3. Serafini. 4. Trivellato. 5. Maggi. 6. Trettenero. 7. LuzzATTo Samuele. «.rocit c/t«aorMttaui. 8. BlAGGI. 9. Bernati. 10. Zambelli. 11. Perez. 12. Orsolato. 13. Cavalli. 1. Basso. 2. Berti Antonio 3. Berti Jacopo. 4. Brugnolo. 5. Brusoki. 6. Calegari. 7; Dalla Torre. 8. Fabeni. 9. Fanzago Luigi 10. Fava. 11. FoRMENTlKI. 12. foscarini. 13. Galvani. 14. Naccari. 1 5. Podrecca. 16. tolommei. 17. Vedova. 18. Zacco. 19. LuZZATTO FlLOSSBNO. 20. Bonturinx. 21. Coletti. 55 iSlfuuuI afte o/cjioui Di Fisica. Di Medicina. \ 1. ToSINI. 2 2. CONCATO. 3 3 Di Matematiche. Di Filosofia e Lettere. 1. .... . 1. De Leva. 2 2 0(«..>. ci.»..»* bidello. Smiderle Pietro. Inservienle. Vedova Valentino. wwvvvvvwv wvvvw 56 00 ( 00 o o O o -ti bQ Oh W K i=> fa Q a ce w >j hj w » HH o o estate. ; e Corri- l' anno. A Ila Presi- o e e 1 re kp'4 re t-l 'S'3 5? Ò Ph s .LI im alM parte CONI. re istre d' wdinar ta fra ! enno a' cu 1— H a; ni o u o re a C ttore d ento d iorno f .1 re r— t 2 JAN ; al M. 0. Jappei STLER nel 18 Marzo ; seconda lettura per del Dott. G. B. Ron p2 re o e o nel seme ocj Strac alche voi srà un ci re tr 'co Ph re la al Dire l' argom tnerà il g u a »— t 're ctì re .2 o ci 3 SS te e 4-> le 6. 1/4 Ignori S una qu ita bast( 0) c5 • f-4 s 1 sia, insinuerà la person cui potrà appartenere iesimo ; quindi determ; a. re '+3 C/3 C CO qT SI re -Ili re a> -re u ^ u -< a> 5 re .3 -Ti !h O (0 stre d' inverno ; ali desiderato che i s; spondenli leggano destinare la giorna denza. e J cs e, u K '< « o >J race ^00 o » 5 S 33 a o O S 5 0 rQ Ni Oh -^ o -3 re tS 'T3 c S 0 -6 T3 'Sc^ QO fe S S o li OD in o M '^ 00 rH (^^ •^ fO t^ ro r- 't "^ - s i- in co th ca T^ SII! Ti 1 1 1 ri CM 1 i 1 1 1 .■a w o 57 STATUTO ATTUALE Mia % U. '^ccaìfemm ìri Qdm^e^ €etUtt eìf 3lrti IN PADOVA RIFORMATO NEL 1838. Articolo I. CDe??& 't)lcerse c^a^^^ "^el TnaeiuCu compoueiitL V€lcccìòeima, § I. ii Accademia si compone di Membri Ordina- rli, Sodi Onorarli, Straordlnarii, Corrispondenti, e di Alunni. § II. La nomina dei Membri di queste diverse Se- zioni e degli Alunni è fatta dal Corpo Accademico dietro proposizione del Consiglio. Articolo II. (X)ei Tnóeiu6«t ©tò'maùi, § 1. 1 Membri dell'Accademia, clie hanno voto deli- berativo coir obbligo di lettura , sono ventotto, tutti indistintamente col nome di Membri Ordinarli del- l'Accademia. ^ II, Questi devono soggiornare in Padova ; e quan- do si trasferissero ad abitare altro paese, dopo sei mesi dalla loro partenza sono tolti dal novero degli Ordi- narli, e posti fra gli Straordlnarii, col diritto di pre- lazione a rientrare negli Ordinarli quando fissassero *4 58 nuovamente la loro dimora in Padova. I Membri Or- dinarli che, dopo aver prestato lungo servigio all'Ac- cademia, cliiedono per l'età onorevole riposo, acqui- stano il titolo di Emeriti. § III. I Membri Ordinarli sono partiti in quattro Sezioni: Scienze fisiche; Scienze mediche; Matemati- che ; Filosofia e Lettere. Ogni Sezione è composta di sette Membri. § IV. La elezione si fa per concorso e successivo scrutinio ; il concorso viene pubblicato dal Presidente in séguito a determinazione del Consiglio Accademico, e rimane aperto per quindici giorni. Sono ammessi a questo concorso esclusivamente i Socii Straordinari! che soggiornano in Padova, e che hanno antecedente- mente prodotte all'Accademia o fatte di pubblica ra- gione Memorie relative alla Sezione, nella quale è aperto il concorso. Il Presidente raccoglie le petizioni co' rispettivi titoli ; indi, col mezzo del Direttore del- la Sezione cui appartiene il posto vacante , vengono eletti fra i Membri Ordinarli due Censori designati segretamente ad esaminare le produzioni dei concor- renti. Entro un mese il Direttore lesserà alla Sezio- ne il giudizio dei Censori, tenendone celato il nome ; e la Sezione riunita dal Presidente deciderà a pluralità di voti suir ammissibilità del concorrenti al Corpo Accademico per mezzo di scrutinio segreto, in cui ha parte anche il Presidente, qualora abbiasi a togliere la parità dei voti. Appartenendo il Presidente alla Sezione votante, il Vice-Presidente lo supplisce. Il Presidente comunicherà al Consiglio 11 Processo Ver- 59 baie della uuione di Sezione, e sottoporrà poi le peti- zioni degli aspiranti ammessi dalla Sezione alla deter- minazione del Corpo Accademico, la quale si ottiene per iscrutinio segreto. Per V ammissibilità di ciasche- duno dei proposti sono necessarii due terzi dei voti, e, fra più ammessi, il maggior numero dei voti sopra i due terzi determina V eletto. Se però accadesse che negli scrutinii non potessero ottenersi a favore di al- cuno dei proposti i due terzi dei voti, si rinova tre volte lo sperimento. Tornando infruttuoso anche il ter- zo, i nomi di que'due fra' proposti, eh' ebbero un mag- gior numero di voti sopra la metà, si assoggettano ad un quarto scrutinio. La elezione risulta dalla plurali- tà; e nel caso che i voti fossero pari, lo scrutinio è rimesso ad altra Seduta. Articolo III. uOei Oocit ©woKatti. § I. A Socii Onorarii sono nominati uomini illu- stri per dignità, per protezione de' buoni studii, e per diffusa rinomanza d'insegno. § II. Il Socio Onorario presente alle Sedute gode di tutte le prerogative di Membro Ordinario. Articolo IV. C/Jei oocù ottaotò'matil. S I. I Sodi Straordinarii sono presi tra i sudditi del Regno Lombardo- Veneto, conosciuti per Opere pubblicate, e per rinomanza nelle Scienze, nelle Let- tere e nelle Arti. co § II. I Sodi Straordinarii che soggiornano in Pado- va, secondo T indole dei loro studii e la loro dichiara- zione, saranno ripartiti nell'una o nell'altra delle quattro Sezioni dell'Accademia. § III. I Direttori delle rispettive Sezioni potranno impiegare l' opera loro nei lavori accademici relativi alla Sezione cui appartengono. § IV. Il loro numero è indeterminato : la proposi- zione per la loro nomina appartiene esclusivamente ai Membri Ordinarii. Due di essi per lo meno ne fan- no in iscritto o riservatamente la proposizione moti- vata al Presidente, il quale la comunica al Consiglio, che, prese le necessarie informazioni, giudica dell'am- missibilità. Il Presidente, fatto stendere il ragguaglio dei meriti del proposto, lo partecipa coli' organo dei Segretari! al raccolto Corpo Accademico, e poscia fa seguire lo scrutinio. Nel caso di giudicata inammissi- bilità, la decisione del Consiglio è manifestata ai pro- ponenti col mezzo dei Segretari!. Articolo V. Oòai tfocii (PortispoiiDetitl, § I. Quelli che si metteranno in comunicazione col- TAccademia mandando le loro Opere pubblicate o i propri! scritti da leggersi all'Accademia stessa, po- tranno essere nominali a Soci! Corrispondenti, dietro proposizione del Consiglio appoggiata al giudizio favo- revole della Sezione cui si riferiscono ! lavori tras- messi. In questo giudizio si terrà il metodo indicato dal § VI. dell'Art. IX. 61 Articolo VI. (Z)cgfi ©L IuuhÌ. § I. Gli Alunni sono presi fra I giovani che in Pado- va si applicano con lodevole diligenza a qualche ramo di scienza o di letteratura, ed hanno date prove di buona condotta e di beli' ingegno. § II. Gli Alunni sono dodici, partiti secondo i varii loro studii nelle quattro Sezioni dell'Accademia. So- no proposti dalla Sezione, e scrutinati dal Corpo Ac- cademico. § III. Ogni Alunno dipenderà per gli oggetti acca- demici dal Direttore della Sezione cui appartiene. § IV. Gli Alunni hanno il carico di leggere alterna- tivamente all'Accademia una compendiosa indicazione delle Opere analoghe alla Sezione cui appartengono, enunciate e prese in esame dai Giornali scientifici e letterarii raccolti nella pubblica Biblioteca e nel Ga- binetto di lettura. § V. Quelli che avranno dimostrato una speciale di- ligenza ed attività, ed avranno letto all'Accademia alcu- na loro propria produzione, potranno dopo tre anni essere proposti dalla Sezione al Corpo Accademico per la promozione a Socii Corrispondenti; e trattandosi di Alunni appartenenti all' Università, la loro propo- sizione non potrà aver luogo se non quando abbiano compiuto il corso regolare dei loro stiidii. § VI. Quando l'Alunno nel corso dell' anno accade- mico manca tre volte alle ordinarie Tornate senza giu- stificazione, e non adempie gli obblighi impostigli, il 62 Direttore della Sezione ne partecipa airAccademìa la decadenza, ed invita la Sezione ad una nuova proposta. Articolo VII. § I. Il Consiglio dell' Accademia è composto di un Presidente, di un Vice-Presidente, di un Direttore per ciascuna delle quattro Sezioni, di due Segretarii, uno per le Scienze e l' altro per le Lettere, di un Cassiere e di un Archivista-Bibliotecario. § IL Al Presidente è affidato il governo e la dire- zione generale dell'Accademia. A nome di esso si con- voca il Consiglio e l'Accademia tutta. Appartiene a lui esclusivamente il firmare tutti gli atti dell'Acca- demia, e il rappresentarla in ogni occasione. § III. Il Vice -Presidente supplisce al Presidente in mancanza di questo, ed a lui appartiene l' invigi- lare all'esatta esecuzione delle Leggi accademiche, come lo speciale conservatore. § IV. I Direttori delle Sezioni hanno ispezione particolare sulla loro Sezione. Possono convocarla quando credono necessario, e sono il mezzo di cui sì vale il Presidente o il Consiglio per comunicare in ispecialità colla Sezione medesima. § V. Il Presidente in ogni Seduta, prima di scio- gliere l'Adunanza, annuncierà il giorno della seguen- te, e il nome del Membro Ordinarlo che leggerà in questa. § VI. I Segretarii tengono regolare Processo Ver- bale delle Sedute tanto del Consiglio, quanto dell' Ac- 63 cacleraia. All'aprirsi d'ogni Seduta il Presidente in- vita il Segretario, che scrisse il Processo Aderbale della precedente, a farne lettura. Il Processo Verbale con- tiene tutto ciò di cui si è trattato nella Seduta, e spe- cialmente la esatta menzione delle Memorie che sono state lette, e i titoli delle Opere a stampa e degli scritti che a mano a mano pervengono all'Accademia. I Segretarii non sono obbligati alle letture prescritte ai Membri Ordinarii. Spetta ad essi la corrispondenza accademica e il relativo carteggio. § VII. Al terminare della Seduta il Segretario, che ne tenne il Processo Verbale, nomina i presenti, e fa menzione delle scuse che i mancanti avranno fatto per- venire al Presidente. § Vili. Il Cassiere amministra gli averi dell'Acca- demia; assoggetta ogni anno, dentro il mese di Luglio, i conti al Consiglio, cui spetta approvarli di anno in anno in apposita Seduta; egli non può far pagamenti senza l'ordine in iscritto del Presidente. ^ IX. L'Archivista - Bibliotecario custodisce tutte le carte dell'Accademia, soprintende alla stampa degli Alti e alla vendita dei volumi stampati; ha cura della Biblioteca Accademica; raccoglie e coordina al termi- nare d' ogni anno tutti gli Atti Accademici e i Processi Verbali delle Sedute, che debbono essergli consegnati dai Segretarii per depositarli nell'i'Vrchlvio. § X. Alla fine di Giugno il Consiglio Accademico riconosce lo stato delle vendite fatte dal Bibliotecario, e delle somme da lui versate in cassa. 5 XI. Il Presidente è proposto per ischede ed elet- 64 to per iscrutinio, incominciando da quello che nella proposizione ebbe più schede. Dura in carica due anni, e viene preso per turno dalle Sezioni coli' ordine con cui queste sono scritte nello Statuto. § XII. Il Presidente che cessa diventa Vice- Presi- dente ; ed in mancanza del Vice- Presidente supplisce r ultimo uscito dalla Presidenza. § XIII. I Direttori delle Sezioni siceleggono per ischede e successivo scrutinio dal Corpo Accademico; durano due anni, e non possono essere rieletti se non dopo un biennio. § XIV. I Segretarii, il Cassiere e l'Archivista -Bi- bliotecario sono perpetui. Il Cassiere e l'Archivista possono essere nominati a Presidenti, ma non già i Segretarii. Articolo VIII. CDeC tuo3o '^i ttattase afi affati accademici, ^ I. Per deliberare sugli affari accademici l'Adunan- za dev' essere composta di uno più della metà dei Membri Ordinarii. § II. Il Consiglio Accademico non può deliberare se non siano presenti almeno sette de' suoi individui. Ciascuno manifesta a voce il proprio parere sulle fatte proposizioni. Il Presidente poi, raccolta l'Accademia, espone il partito preso dal Consiglio, e lo assoggetta allo scrutinio, adducendone i motivi. § III. Tutti gli scrutinii debbono avere i due terzi de' voti dei Membri presenti per essere favorevoli. 65 § IV. Il Consiglio, nelle cose che riguardano gli uffizii a lui affidati, stabilisce da sé i metodi d' inter- na amministrazione. Ma trattandosi di regolamenti che tendano ad obbligare tutto il Corpo, il Consiglio deve assoggettarli ai voti dell'Accademia. § V. Le adunanze di Sezione per essere legali de- vono comporsi da quattro Membri Ordinarii almeno, e inoltre dal Presidente o Vice- Presidente, e da uno dei Segretarii. Il Direttore della Sezione ha il diritto d'invitare ad un'adunanza di Sezione, in cui stimi opportuno un maggior numero di votanti, qualche Mem- bro Ordinario delle Sezioni affini. Articolo IX. (D&U6 tfeSute e J^ttuto accaSeiuicfie, § I. L'Accademia, incominciando entro la prima metà di Novembre^ si raduna due volte ciascun mese nel giorno di martedì nelle ore pomeridiane per le suo ordinarie Sedute, a riserva dei mesi di Luglio, Ago- sto, Settembre ed Ottobre. Finito il corso delle Sedute ordinarie, ne ha luogo una pubblica, che viene aperta dal Presidente con breve allocuzione allusiva alla cir- costanza; e nella quale uno dei Segretarii alternati- vamente fa la relazione delle letture dell'anno acca- demico. § II. Dopo la Seduta pubblica, riveduti ed approvati dal Consiglio i conti del Cassiere, si eleggeranno in una Seduta straordinaria le cariche accademiche per l'anno successivo. 06 § III. Nella prima Seduta di ogni anno accademico si estraggono a sorte, per turno dalle quattro Sezioni, i nomi degli Accademici che dovranno leggere nell'an- no prossimo ; e prima della successiva Seduta il Pre- sidente ne fa consegnare a stampa l' elenco a tutti gli Accademici. § lY. Le Sedute non dureranno piìi di due ore: ciascheduna incomincierà colla lettursS fatta da un Membro ordinario nelF ordine con cui furono estratti. Il Presidente, d'intelligenza co' Direttori di Sezione, disporrà per le opportune successive letture di ogni Seduta. § V. Il Membro Ordinario, fatta la lettura di ob- bligo, consegua immediatamente al Segretario, che tiene il Processo Verbale della Seduta, l'estratto della sua Memoria, onde ne faccia regolare ed esatta rela- zione. Entro un mese dalla seguita lettura, al più lar- di, dovrà inoltre depositare in mano del Presidente il suo manoscritto, ritirandone ricevuta. I Membri Or- dinarii, che non conseguano entro questo termine le Memorie lette come penso accademico, o quelli che le facciano stampare di per sé, sottraendolo così alla raccolta degli Atti, saranno trasferiti nella Sezione dei Socii Straordinarii. Per tutti gli altri iVccaderaici basterà che sia trasmesso al Segretario 1' estratto del- la lettura. § VI. Il Presidente trasmetterà il manoscritto con- segnatogli al Direttore della Sezione cui appartiene r argomento trattato, tenendone nota nei proprii re- gistri. Il Direttore nominerà segretamente due Censo- 67 ri- per avere in iscritto, da ciascuno di essi separata- mente, una relazione motivata da sottomettersi al giu- dizio della Sezione, la quale deciderà se quel mano- scritto sia degno della stampa fra gli Atti dell'Acca- demia. Questo giudizio si emette dalla Sezione a plu- l'alità di voti secreti. Lo stesso metodo ha luogo per le Memorie lette o spedite dai Socii Straordinarii e Corrispondenti Que' Membri Ordinarii che danno alle stampe Memòrie lette come penso accademico, escluse dalla censura della Sezione rispettiva, apponendovi r epigrafe Letta neW Accademia di Padova, od altra simile, saranno cassati dall' elenco degli Accademici. § VII. I Membri Ordinarii che mancassero per tre Sedute consecutive senza giustificazione approvata dal Consiglio, perderanno il loro posto. § Vili. Ogni Membro Ordinario è tenuto a leggere ima Memoria ogni due anni nel giorno fissato dalla sorte. Mancandovi senza giustificazione approvata dal Consiglio, potrà per la prima volta obbligarsi a leg- gerne due nel susseguente biennio ; e mancando nuo- vamente, perderà il posto. § IX. Ogni anno, prima della fine di Dicembre, si pubblicherà un volume degli Atti, contenente Memo- rie lette nell'anno accademico percorso. Trascorso questo periodo di tempo senza che ne sia intrapresa la stampa, gli autori potranno disporre a talento delle loro Memorie, purché ne diano avviso al Presidente con apposita dichiarazione in iscritto. ■ =>^3®@&<= INDICE DELLE MATERIE iHEtlMIKAIlK Pag- 3 Sunto di Memobie originali. Trevìsan. Sul Tetranychus Passerina, nuova specie di Aracnide, della tribù degli Acarei » ^ Turazza. Dei fiumi che corrono in ghlaja, e delle pescaje . . m 15 Galvani. SuUa immoralità del suicidio . . ^ » 20 Spongla. Critica della influenza della temperatura, e rapporti geografici delle endemie .j .... » Argenti. Della educazione fisica infantile : diletti condizioni igie- niche necessarie a migliorarla ; utile influenza uegli Asili di ca- rità per l' infanzia » 32 leardi. Studii sui dialetti della lingua italiana » 37 Festlcr. Le diatesi richiamate al loro valore primitivo fisio -pato- logico . )» 41 Do Leva. Idee sulla filosofia della storia » 44 Notizie diverse. 21 Commissione relativa a studii sul magnetismo animale e sulla freno- logia » 13 Sull'ozono del Prof. Schoenbein . » 23 Sulla presenza dell'iodio nell'aria, nelle acque, nel suolo, nei pro- dotti alimentari delle alpi piemontesi e francesi , rilevata da M."" Chatin, e comunicata all' Istituto di Francia . ...» 26 Analisi delle acque naturali, dello stesso » 28 Sulle acque naturali e loro origine geologica, di M."" Marchand . » 29 APPENDICE. Libri offerti in dono all'Accademia » 50 Personale accademico in Padova » 53 Nuove aggregazioni 41. 49 Ordme delle Sedute e delle Letture per l' anno 1851 - 1852 . . n 56 Statuto attuale dell'Accademia, riformato fino dal 1838 ...» 57 Al^VERTUMEUTO Presso la Tipografia editrice si vendono i fascicoli della Rivista al prezzo per ciascuno di lire austriache effettive 1. 50. La Tipografia stessa, incaricata del deposito di questo Giornale, è au- torizzata pure dall'Accademia a ricevere associazioni. -^J- RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA L R. ACCADEMIA DI SCFEIVZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordiiiarii della Sezione di Medicina, G. F. Spongia. oriutestEe tct'jo e quatto Set <855-5a. PADOVA PER F. A. SICCA E FIGLIO TIPOGB&FI DEtXA I. R. ACCADEMIA RIVISTA PERIODICA DBI lAYORI DELLA I. R. ACCADEMIA DI SCIE1«ZE5 LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinarii della Sezione di Medicina, G. F. Spongia. Critueàtte tcfio e (Quatto flef i85i -Sa. o.«^,--y'> ^^- ^ PADOVA PER F. A. SICCA E FIGLIO TIPOCR&FI DBLLH I. R. ACC^DEMI^ Rivista periodica dei lavori deiri. R. Accade- mia di Scienze , Lettere ed Arti di Padova. — Trimestre terzo e quarto i 851 - 52. Tornata 1.° aprile ^852. ■ ■■ j'-.i il Membro ordinario presidente prof, Turazza cOi- mimico alcune sue idee relative alla sistemazione de- gli scoli delle campagne quando il terreno, essendo a differente livello, non permette di condurre le acque dei terreni alti a far foce ih altro punto da quello ove immettono gli scoli dei terreni bassi; ma si debbono invece condurre le acque tutte, per mezzo di un co- mune canale portatore, ad immettere in uno stesso punto del recipiente comune. Cominciò dall' esporre le conseguenze che si dedu- cono dalla soluzione dei due problemi seguenti : 1.° Supponendo che in un vasto bacino venga immessa dell' acqua secondo una legge data del tem- po, e che il detto bacino comunichi per mezzo di un' apertura determinata con uno stagno ove sia co- stante il livello dell'acqua, determinare la legge de- gli alzamenti, data quella delle immissioni. 2.° Ammettendo invece che quel primo bacino co- munichi con un secondo, nel quale pure sia immessa 72 dell' acqua con data legge, e che questo secondo versi r acqua per mezzo d' un' apertura in uno stagno a li- vello costante, si domanda la legge degli alzamenti nei due bacini, supposta data quella che regola le im- missioni dell'acqua nei bacini medesimi. Sebbene la soluzione dei problemi precedenti non siasi data dall'autore che per approssimazione, pure sembrarono al medesimo incontrastabili le conseguen- ze: che il massimo degli alzamenti avviene dopo quello delle immissioni ; e che nel secondo caso gli alzamenti nel primo bacino sono maggiori, ma nel secondo mi- nori di quello che diverrebbero se i due bacini non ne formassero che uno solo; e che nel bacino inferiore la piena sarà di maggiore durata, ma di intensità minore. Da ciò crede poter dedurre l' utilità di separare, col mezzo d' opportune dighe munite di luci di sca- rico regolate, in varj bacini i canali di condotta dei terreni collocati a differente livello; e reputa questo mezzo utilissimo a regolare lo scarico delle acque, cosi che mentre i terreni alti non ne devono risen- tire alcun nocumento, possano i terreni bassi an- cora scaricare in tempo opportuno le loro acque : lo che forma lo scopo primario ed insieme la massima difficoltà del problema. 73 Fu ammesso per la seconda lettura il dottore chi- mico sig. Gio. Battista Ronconi. iieir intendimento che giudicato fosse un suo deside- rio di pubblicare un piccolo Corso di geogom'a, desti- nato all'istruzione della gioventù e del popolo, il dott. Gio. Battista Ronconi ha letto la quarta lezio- ne, eh' è l'indice di quasi tutte le materie trattate nelle 36 lezioni del Corso. Essa è un saggio teorico della Geogom'a (seconda parte in cui fu da lui divisa la Geologia), o di una teoria sull'origine della Terra. Divide il lavoro della creazione in sei epoche : nella prima considera il moto della materia elementare, e la sua attrazione in varj centri ; nella seconda la ma- teria è considerata allo stato gasoso, ed in progres- so di condensazione; nella terza la materia mediocre- mente condensata, indi consolidata, d' onde la forma- zione della prima crosta terrestre, sopra cui stanziò il mare primigenio, e da cui emersero i continenti ; nella quarta esamina la formazione dei terreni meta- morfici, il diradamento dell'atmosfera, e la comparsa del sole e della luna ; nella quinta la formazione del terreno paleozooico, la vita animale e vegetale, la fossilizzazione, l'innalzamento delle montagne secon- dane, il mare attuale ; nella sesta finalmente consi- dera la formazione del terreno plioceno moderno, l'aria atmosferica attuale, e la comparsa dell'uomo. -o«Q@e&o- 74 Sulle cause della pellagra. — Memoria del Mem- bro ordinario dott. M. Benvenisti, letta nella Tornata 22 aprile 1 852. Usservazione fatta in qualche Comune di campagna vessato da labe pellagrosa, che l'abitudine della raa- stuprazione era notevolmente diffusa, l'Autore si è in- teressato di veinficare ed lia potuto convincersi del fatto, siccome di cosa che non ammetteva dubbiezze, ne' costumi inveterati de' contadini, framezzo a' quali d'altronde regnava da gran tempo endemica la pella- gra. Tanto servì di eccitamento ad analizzare con più di attenzione i sintomi di questa forma morbosa, co- ordinare e riassumere più filosoficamente che non si era fatto da prima i risultamenti delle necroscopie, onde vedere se da queste due fonti sorgesse una con- dizione patologica, e tale da mostrare un vincolo ra- zionale e fisiologico colla coincidenza accennata, che causa od effetto potesse apparire. Nei tre stadj statuiti di comune accordo fra i me- dici, una triplice serie di fenomeni variamente uno suir altro preponderanti ricorda il Benvenlsti : feno- meni cutanei, gastro- enterici, spinali. Quindi i cuta- nei, denominatori della malattia, aver sede nel corpo papillare del derme, dal quale separasi una epider- mide esuberante, che si offre scagliosa ; questi non essere costanti in tutt' i casi, meno poi in tutti gli stadj, non proporzionati né rispondenti per indole e gravità all'indole e gravità della malattia. I gaslro-en- 75 terìci essere, più che altro mai, lesioni di senso e di moto del tubo intestinale, perturbamenti funzionali delle varie porzioni del medesimo ; tali poi da non dar ragione della forma, del corso, della natura, delle cause, dei metodi di cura con cui si rintuzzano : non indicar essi finalmente una base flogistica profonda ; mancare talvolta, e mostrarsi di spesso a corso inol- trato. I cerehro- spinali, e gli spinali particolarmente, seguire dal principio alla fine la malattia ; essere in numero e forza tale, in ogni caso, da condurre alla le- sione dell'asse cerebro- spinale, tenendo a guida la interpretazione fisiologica della sintomologia. Esal- tamento da prima, abolizione in seguito del senso e del moto animale, lesione delle facoltà intellettuali, esprimono quanto basta la essenza. Che se la cute mostri frequente un eritema specia- le, tendente a desquamazione, e nei siti ove il raggio solare (cui si espongono abitualmente i contadini) percuota più assiduo ; ciò dipende dalla vulnerabilità maggiore delle papille cutanee (dalle quali V epider- mide normale e patologica, per sentenza dell' autore, è prodotta), impartita dallo stato morboso dell'asse spinale, in cui i loro tralci nervosi abbondanti e co- spicui sono impiantati (1). E se i fenomeni di senso e (1) Nell'opera uscita appena alla luce, intitolata Storia ana- lomico-falologica del sistema vascolare, l'Autore (alle pag. 360. 361. 362. 363) espone i suoi pensamenti relativi all' alterazione della epidermide in quelle impetigini, ove si rende più o me- no squamosa e cornea; e palesa ivi appunto l'opinione pro- pria, l' epidermide cioè normale e patologica non essere che un 76 di moto, che compionsi nello stomaco e negl'intesti- ni, sieno pure frequentemente nei pellagrosi sviati dalla normale, questi vanno considerati come sequela dell'alterazione originaria, permanente, progressiva prodotto più 0 meno abbondante ed indurito delle papille cu- tanee. E l'appoggia su molte osservazioni, le quali crediamo non inopportuno trascrivere nella integrità loro. « L' epidermide, colle parti più complicate che da quella ri- cevono formazione e con essa han comuni caratteri e funzioni, è certamente organizzata ; ma la sua organizzazione è di un grado molto inferiore a quella di molti altri perciò più nobili tessuti, perchè cellulosa , e non vascolare , ne fibrosa : e simile ai pro- dotti di secrezione, che di cellule nucleate abbondano, non allun- gate in fibre, ne sviluppate in canali; con questa sola differenza, che in parte pel contatto dell'aria, in parte per l'azione dei sot- toposti vasi assorbenti, è mancante questa escrezione di liquido elemento che le cellule tenga disgregate e nuotanti ; e risulta quindi di sole cellule avvicinate, compresse e disposte in istrati molteplici e sovraposti. Se è prodotto di secrezione eseguita da altro vascolare più nobile e complicato elemento anatomico del derma sul quale è stesa, resta a ricercare quale esso sia : ricerca necessaria e importantissima tanto pel fisiologo che pel medico curante. Questo elemento mi parve formar parte sicuramente della membrana tegumentaria di cui la cuticola costituisce l' ul- timo strato, il velamento più superficiale. Ma non mi parve, come altri pensò, poterlo essere il follicolo o la cripta comune, perchè questi organi danno olio , muco o cerume , un liquido abile a lubricare, ma non ad organizzarsi, suscettibile di accu- mulamento , ma non di regolare concrezione ; perchè coperti i foUicoli una volta di epiderme , non si saprebbe vedere come i loro buchi potessero ancora continuare a emettere sego o altro liquore; perchè tanto se si parli della cute, come se si parli delle mucose, l' epidermide abbonda ove i follicoli scarseggiano o mancano , per es. nella palma della mano e nella pianta del piede, e scarseggia ove questi sono abbondanti, per es. sul viso e negli inguini. A me sembrò sempre in quella vece che l' organo ( I e profonda di quell'asse medesimo che presiede alle sensazioni, ai movimenti enterici, alle sensazioni, ai movimenti esterni a mezzo dei pueumogastrici e delle anastomosi intercostali : malato ne' suoi segmenti di- produttore dell' epidemie dovesse essere la papilla, la quale va troppo ricca in vasi d'ogni specie, per poter essere creduta alie- na da ogni ufficio di secrezione. E veramente si osserva, che do- vunque sono più numerose, più sviluppate, più vascolose le papille, ivi appunto l'epidermide è più pronvuiziata . E più grossa sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi, dove, per servire all' opera del tatto , le papille sono , come ognun sa, numerosissime e in modo particolare organizzate e disposte ; è più grossa sulla lingua, dove il senso del gusto esige copia, protuberanza e molteplicità di organi papillari ;, e in quelli ani- mali che hanno, come il bue, le papille della lingua enorme- mente sviluppate, anco l' epidermide che la copre è più grossa ; e, parlando delle altre membrane mucose, ivi soltanto si trova epitelio, dove esistono papille sensibili animate da nervi del senso, solo cioè in vicinanza ai naturali orifizj del corpo. Si può anche dire che lo smalto dei denti, specie di tessuto epidermi- co, è pur esso separato dalla papilla, eh' è l'elemento vivo del dente. E forse anco l'astuccio epidermico di ogni pelo, colla midolla colorita che corrisponde al reticolo malpighiano, deriva da quel rialzo o papilla prominente e conica, che sempre si tro- va alla sua base, e sulla quale è ad evidenza piantato; mentre la parte liquida od oleosa che tiene lucida la sua superficie, e la porzione di cute su cui spimta e cresce, sembra separata da quei due orecchioni o glandolo oleigene che stanno appese ai lati del- la introflessione cutanea che acchiude la papilla. Sotto i morbosi aumenti poi della sola epidermide, mentre i follicoli per niente si trovano discostati dall'ordine naturale, le papille invece sem- pre dimostrarono accrescimento di sviluppo e di nutrizione. Rokitansky insegna avervi ipertrofia delie papille nelle più svi- luppate ictiosi e nelle verruche volgari ; e gli accumulamenti tutti della cpiderme, aventi forma di squame, sorgere sempre da papille sviluppate sotto l' aspetto di cilindri, di villi, di ra- 7S versi, suole di spesso mostrar meglio i fenomeui di riflessione negli organi lontani, cui i nervi surti da que' segmenti si distribuiscono, che non nella regio- ne medesima, ove il focolare si asconde. mi. Secondo Cruveilhier, anco quelle impropriamente dette corna accidentali, le quali, anziché da sego addensato, sembrano risultare da un agglutinamento di numerosi peli, sono un mor- boso prodotto delle papille del derma, numerose e aggruppate in corpo papillare. 11 Dott. Hebra recentemente avvertiva, che nella psoriasi od erpete squamoso, in cui 1' epidermide è solle- vata in forma di squame l' una suU' altra addossate e sovrappo- ste, la cute sotto ad esse ha forma di macchie rosse prominenti e sanguinanti, che corrispondono alle papille. Lo stesso risulta dalle ricerche di Duchesne-Duparc e Cazenave. Chevalier poi trovò in una elefantiasi squamosa le papille cutanee allungate e rigonfie, formanti ognuna un tubercolo rotondo, alla cui super- ficie stava adesa una epidermide quasi cornea: apparenza che non trovò in quelle affezioni cutanee crostose, alle quali impro- priamente si accomunò l' epiteto di elefantiache. Anco Alibert aveva mostrato come nella elefantiasi vera, quando l'epiderme ingrossata assume la forma di squame simili a quelle della ictiosi, il corpo papillare è distintissimo dal derma, e sopra que- sto le papille sorgono allungate, allargate e prominenti. Rayer pensa decisamente, che l' infiammazione del corpo reticolare e delle papille è il principale carattere anatomico delle malattie cutanee squamose. Le infiammazioni squamose sono caratterizza- te, secondo il Rayer, da elevatezze rosse, sulle quali si formano, si distaccano e si rinnovellano delle squame, composte di lame e lamelle di epidermide più o meno alterate. Questo autore ne ammette sei specie : la lebbra, la psoriasi, la ftiriasi, la pellagra, l' acrodini'a e la sifilide squamosa. Willan classifica appresso a queste anco l' ictiosi ; e Bouillaud, attesa la stretta analogia di questa colle forme precedenti, non prova alcuna difficoltà a col- locarla in seguito ad esse. Questo autore pure, che crede la vera lebbra consista nella formazione di piastre scagliose più o meno estese e circolari, con Willan ammette che abbia pur essa per 7 117 Sunto di Memorie originali. Tai'azza. Idee relative alla sistemazione degli scoli delle cam- pagne » 71 Ronconi. Prospetto delle materie trattate in 36 lezioni d' un pic- colo corso di geogenia )> 73 Ben venisti. Sulle cause della pellagra '...)) 74 Bonturiui. Del modo di disporre ordinatamente e pubblicare le leggi statutarie italiane » 84 niolin. Meccanismo con cui si effettua il battito del cuore . . » 108 Sopra una valvula osservata nelle vie lagrimali dell'uomo. » 110 Minicli. Nuovo metodo di costruire i raggi di curvatura delle li- nee curve )) 114 ìMattioli. Considerazioni patologico - cliniche sul panno della cor- nea, guai sequela della blefaro - congiuntivite contagiosa delle armate )> 133 magna. Sui fondamenti del vitalismo in medicina, tratti princi- palmente dalla storia )> 145 BellaTitis. Calcolo ed esposizione elementare delle due prime fun- zioni ellittiche )> 149 Casato. Sul credito fondiario applicato alla provincia di Padova. )> 152 Appendice. Libri offerti in dono all'Accademia ■ )> 155 Nuove aggregazioni » 113 Elenco dei membri ordinarj che a^Tanno obbligo di leggere nel ven- turo anno accademico 1852-53 » 154 Presso la tipografia editrice si vendono ì fascicoli della Rivista al prezzo per ciascuno di lire austriache effettive 1. 50. La tipografia, incaricata del deposito di questo giornale, è autorizzata pure dall'Accademia a ricevere associazioni. _- r m. . RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA I. R. ACCADEMIA DI SCIEIVZE3 LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinarj della Sezione di Medicina, G. F. Sporgi a. Gnutestte «timo e secout)o l PADOVA PER F. A. SICCA E FIGLIO TIPOGBIFI D81L& I. K. ACCADEMIA RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA L R. ACCADEIIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinarj della Sezione di Medicina, G. F. S fon gì a. Otiuiebtte «timo e ^ecottt)o 3ef i85a-53. V^_;., •-•■■■-•' ì sionarne i casi diversi di si fatte famiglie naturali o )> dei morbi. » » Le cause occasionali delle febbri e delle infiam- » mazioni sono: altre di natura traumatica, altre in- » vece di natura dinamica. Le prime, ledendo manife- )) stamente, e diremo obbiettivamente, i tessuti orga- nnici, sogliono d ordinario dare origine a quell'infiam- ))mazione che si disse traumatica, e ch'io chiamo » idiopatica. Le seconde di converso, mutando in modo )) più palese le azioni vitali dell' organismo, e quindi » influendo, a così dire, più soggettivamente che ob- » biettivamente sopra di esso, sono altrimenti usate di » produrre, quando le febbri, quando le infiammazioni «interne o dinamiche, le quali io chiamo infiamma- y>zioni simpatiche: Esaminiamo adunque coteste gene- » rali forme morbose diverse, e vediamo l'origine loro » sotto l'azione delle cause occasionali rispettive, n » L' azione nociva traumatica, mentre altera, come » SI disse, in qualche maniera obbiettivamente seusi- » bile la tessitura degli organi, modifica pure per gli )) effetti soggettivi le vitali azioni loro. Queste azioni » allora sostituiscono dentro l'organismo l'azione pa- n togenica traumatica, e per conseguenza le medesime » si erigono in quello al grado e alla dignità di azioni » morbose. Pe' rapporti dinamici delle parti oi'ganicbe » iufra di loro sì fatte azioni morbose si ripetono in )) tutto l'organismo; e così vengono in iscena le rea- » zioni di questo verso quelle sue parti, le quali pro- » varono gli effetti immediati della causa occasionale. » Quindi in un cosi fatto agire e reagire degli organi » rimangono necessariamente influite tutte le funzioni, » e prima delle altre, e meglio più sensililmente delle )) altre, la circolazione del sangue, la quale per tal » guisa è portata a manifestare il suo turbamento in » modo cospicuo e mediante marcati fenomeni diffe- }) renti. In primo luogo un maggiore afflusso di san- » glie si stabilisce intorno all' organo offeso ; globuli )) sanguigni si avanzano oltre ai loro naturali confini ; »e col formarsi così l'injezione o l'eccessivo turgor » vitale nei minimi vasi capillari, si viene necessaria- )) mente ad effettuare quella irritazione intrinseca ch'è » mantenuta dall'eccitamento imiversale accresciuto, e )) cbe si denominò processo flogistico. » )) Avvenuta ima sì fatta irritazione, gli atti vitali » dello stesso organo affetto sono allora sturbati da » due cause prossime diverse ; cioè dalla lesione trau- )) malica cangiatasi in azione morbosa, e dalla irrita- n zione flogistica che vi si aggiunse, e cbe pur essa M opera come una seconda azione morbosa. Se dunque )) la prima ha mutate colle sue influenze sull'universale » le azioni vitali dell'organismo intiero, la seconda )) pure, per le stesse ragioni, le deve mutare : l'ultima » anzi deve raddoppiarne lo sconcerto, mentre aggiun- >) gè esca ad esca, lesione a lesione. Per questo fatto 167 » hanno quindi vie maggiorraenle da alterarsi tutte le » funzioni, ed in conseguenza da aumentarsi progres- )) sivamente gli effetti della turbata circolazione, d'on- » de si alimenta l' incominciato processo flogistico. )> )) Egli è poi facile di vedere in tal fatto della vita )) ammalata una maniera di circolo d'azioni e reazioni » organiche, e quindi un effettuarsi sotto un sì fatto )) circolo tutto r insieme dei fenomeni della forma in- » fiammatoria. Che se in quel circolo non s' introduca )) prima una maniera di equilibrio dinamico tra le )) parti agenti e le parti reagenti, la produzione degli » effetti non può cessare ; anzi dovrebbero accrescersi » progressivamente, mentre di continuo l' azione rin- )) forza la reazione, e questa a sua posta rinforza quel- )) la a vicenda. Ciò almeno ha luogo fino all'acmeji del n processo morboso in discorso, cioè fino al punto del » massimo sviluppo dell' azione morbosa e della rea- wzione organica; risultando dall'esperienza, che nel- )) r incremento della flogosi tutti i fenomeni si accre- )) scono successivamente, e che quindi si mostrano, a )) così dire, stazionar] allorché quello è pervenuto al )) suo apogeo. Verificandosi poscia il decremento della » flogosi, suole alleila l'azione mox'bosa rimettere, e » col suo mezzo anche la reazione dell'organismo vie- » ne ad acquietarsi ; com' è provato dalla progressiva » diminuzione di tutti I fenomeni fino al grado della » completa risoluzione, quando la flogosi tende a que- )) st' esito. » » Accertano d'altronde i fatti clinici relativi alle in- » fiammazioni idiopatiche in discorso, che il processo 4 08 )) morboso si ordisce prima nelle località offese ; e ciò » mediante gli effetti riflessi di quella reazione , la )) quale dai chirurghi è detta traumatica. Comincia » poi tale processo dal grado minimo ; e, giusta le cir- >) costanze occasionali , per gradi avanza più o meno )) rapidamente verso il suo acmen. Perciò da principio » gli effetti della stessa reazione traumatica sono ap- )) pena avvertiti, rimanendo l'irritazione flogistica tut- )) tavia circoscritta al luogo della primitiva sede della « traumatica lesione. Solo quando l'incremento di quel- » la si rende in seguito più obbiettivo anche la reazio- )) ne dell'organismo intiero passa a mostrarsi in modo » affatto sensibile ; e quindi allora si palesa la febbre )) detta di reazione traumatica. » » E qui è da notare che nelle infiammazioni idio- )) patiche , le quali tengono dietro alle estese lesioni )) ed alle grandi operazioni chirurgiche, la febbre che » vi si aggiunge fin da principio, non dirò della inva- )) sione, ma del loro incremento, non può a rigor di 3) termine dirsi un sintoma delle medesime , mentre » piuttosto deesl ritenere siccome una reale successio- » ne morbosa. Ed in vero una tal febbre, intantochè )) procede dalla reazione traumatica, è poi mantenuta j) dagli sconcerti di tutte le azioni organiche, e quindi » anche insieme dai prodotti di queste funzioni sul )) sangue circolante, influendo quelli su le secrezioni e >' le escrezioni, che sono funzioni depuratorie di un sì )> fatto umore. Laonde come tale la stessa febbre di )) reazione si presenta quale morbo che compone o » complica la primitiva infiammazione idiopatica j e 169 » perciò la medesima, riguardo a questa, esprime un » reale aumento dell' affezione. Che se nel caso s' im- » pieghi, giusta le regole dell'arte, il metodo antiflogi- » stico, onde vincere l'eccitamento accresciuto dei vasi, » allora si arriva a domare la reazione traumatica feb- » brile; si ritorna a' suoi naturali confini proprj il pro- » cesso flogistico; e così il morbo, già fattosi composto, » si riduce di nuovo allo stato di semplicità primitiva. » » Passando ora alla genesi delle febbri e delle in- » fiammazioni simpatiche, è innanzi tutto da osservare » che fra le loro potenze occasionali più comuni ci si )) presentano le così dette reumatizzanti. Sopra tutto )) il freddo, che agisca sull'organismo dell'uomo a cor- » pò sudante, può divenire cagione di tale uno scon- » certo de' suoi atti vitali e delle sue funzioni organi- )) che da procurare all' individuo quando una febbre » semplice o composta , quando una decisa infiamma- » zione simpatica, od apiretica, o febbrile. » «L'azione del freddo, riguardo all'organismo vi- )) venie, può offrire diversi gradi, e può quindi tornar «cagione di differenti effetti morbosi, giusta l'esten- » sione e la importanza della parte su cui influisce: i n geloni, le reumatalgie, le diarree, i catarri, le feb- » bri diverse, e le infiammazioni simpatiche di diffe- w renti specie, possono tutte a vicenda od insieme es- n sere originate da una sì fatta causa occasionale. Per- « che poi la febbre venga in iscena deve il freddo in- >) fluire sulla perspirazione cutanea in modo o da sce- M mare notevolmente o da sopprimere altresì questa «funzione depuratoria del sangue. I materiali non 170 » eliminati circolnno allora con questo umore dentro )> r organismo, e quindi assumono l' offizio di potenza )) nociva Irritante riguardo a tutti i solidi organici, al » cui contatto pervengono. Questo fatto frattanto basta » a rendere ragione, se non altro, dell'eccitamento ac- )) cresciuto dei vasi ; fenomeno eh' io ricordava essere » comune alle febbri e alle infiammazioni. » » Ora una tale condizione irritante del sangue vie- )) ne nella febbre necessariamente a coesistere con la )) morbosa azione della cute, la quale cagionò, in pri- )) ma origine, la ritenzione del perspirabile, e la quale )) si presenta come effetto soggettivo superstite all'im- » pressione del freddo occasionale. Quest' azione mor- )) bosa dunque compone quella condizione irritativa )) dei vasi ; e quindi , coesistendo con essa , provvede )) insieme alla sua continuazione ed al suo ingrandi- » mento. E a questo proposito ci fanno conoscere i n fatti clinici, che una sì fatta condizione può subire » delle vicissitudini in principio di aumento» ed in se- » guito di diminuzione, seguendo le fasi dell'azione » morbosa stabilitasi per gli effetti della causa occa- » slonale. Persuadono di ciò gli stadj delle febbri con- » tinue ed intermittenti, nonché gli accessi medesimi » di quest'idtime, percorrendo esse in tutti questi casi )) dei cicli, nei quali l'attenta osservazione ravvisa, ri- » guardo a' fenomeni, quando una prevalenza dell'azio- )) ne morbosa, quando invece una prevalenza della rea- w zione organica, che a vicenda dominano l'eccitamento » accresciuto dei vasi, e che, per cosi dire^ determiua- » no la direzione de' suoi effetti. » ITI » Un altro fatto si mostra in connessione con la ge- )) nesi della condizione patologica della febbre ; e que- » sto pure riconosce per cagione efficiente l' azione » morbosa coibente suddetta . Esso consiste nella de- » viazione e neìV inequabile distribuzione del sangue » dentro l'organismo. Nell'atto infatti che si produce, )) a spese dell'escrezione perspiratoria, il materiale ir- » ritante del sangue, viene anche a diminuire il turgor )) vitale della cute impressionata; e quindi per tal gui- >) sa si sturba l' afflusso di quell' umore, e l' impulso a » tergo del cuore lo fa declinare per quei vasi o quei )) rami vascolosi, i quali non risentirono l'influenza » della morbosa impressione. Riesce poi un tal fatto )) manifestissimo nello stadio del freddo delle febbri )) intermittenti, ed in generale nell'ingruenza febbrile » di ogni morbo che col freddo invade. » » Un terzo fatto ancora ha luogo in tale genesi ; e » questo riconosce la sua causa efficiente da quello or » ora considerato. Ed in vero, allorché si stabiliscono » i deviamenti del circolo per l'impressione della cau- » sa occasionale mutata in azione morbosa, si vengono » pure a determinare delle emormesi o verso gli or- » gani secretori interni, ovvero verso i visceri più va- )) scolosi , i quali sieno disposti a ricevere il sangue »ch'è impedito di aflluire alla cute. La cefalea, l'an- )) sietà del respiro, l' offuscamento della mente, i tre- » mori delle membra , sono sintomi i quali , accompa- » gnando i morbi febbrili sino dalla loro invasione, » accennano appunto ad un tentativo di localizzazione )) riguardo a quella condizione irrilativo-flogistica, la 172 » quale dicemmo annidata nel sangue circolante . I )) processi morbosi subflogistici agli organi secernenti M ed escernenti interni, i quali rendono composte le » febbri semplici ; ed i processi morbosi flogistici, i » quali costituiscono le infiammazioni simpatiche ; so- )) no d'altronde fatti i quali dimostrano effettivamente » Tavvenuta localizzazione. » » Del resto nella genesi delle composizioni morbo- H se per mezzo della localizzazione ricordata importa » molto di avere riguardo alle specifiche qualità di )) struttura, ed al modo d' influenza sulla funzione de- » gli organi che divengono scopo della localizzazione » medesima. Ed in vero, quando essa avvenga in or- » gani vascolosi secretori, come sono le mucose, il fe- » gato, ec. ; e quando insieme si attivi la secrezione, » sicché in qualche maniera vicariamente venga sosti- «tuita la soppressa perspirazione della cute; allora si » stabiliscono di preferenza le febbri composte, come » le catarrali, le gastriche, le biliose, ec. ec. Allorché » poi quella abbia luogo in organi non secernenti, op- » pure allorché essa si effettui in organi secernenti )) con tale impeto ed abbondanza da sopprimere anche )) l'abituale secrezione; in tali casi si stabilisce un » reale stato flogistico simpatico, come quando dicia- » mo trattarsi di encefalite, di pneumonite, di bron- )) eh ite, e così via dicendo. » » Da tutto ciò adunque emerge che nelle febbri com- » poste e nelle infiammazioni simpatiche le azioni sub- » flogistiche e flogistiche locali sono secondarie alla » febbre, e quindi effetto e non causa di questa. Nel 173 )) che si scorge ancora essere sì fatte azioni morbose )) simpatiche, almeno per la loro origine, diverse da » quelle che costituiscono le condizioni patologiche » delle flogosi idiopatiche ; poiché queste sono anzi » causa della febbre, la quale in seguito alle medesi- )) me viene a comporlo, come di sopra ho dimostrato. » » Dietro l'esposto non può di presente tornare dif- » lìcile ad intendersi come nelle febbri di un corso al- » quanto lungo, sopratutto se sieno di tipo continuo, )) possano in via di localizzazione prodursi endocar- ))diti, esocarditi, arteriti, flebiti, e qualunque altra >) infiammazione simpatica ; e come quindi nei cada- n veri di coloro che per tali febbri soccombettero pos- )) sano del pari ed anzi debbano di sovente rinvenirsi » le tracce di un pregresso lavorio flogistico. Quelle » tracce cadaveriche poi sopratutto non possono man- )) care nel cuore, constando dall' anatomia che questo » viscere ha la sua circolazione propria, e che perciò » i suoi vasi coronar) devono essere molto disposti a » sopracaricarsi di sangue ogniqualvolta per uno scon- )) certo della circolazione periferica dell'individuo tale » umore venga in qualche maniera ad accumularsi nei » tronchi dei vasi maggiori, e particolarmente in quel- » lo dell'aorta. E che questo fatto avvenga si può par- » ticolarmente inferirlo e dal concitamento del viscere )) durante lo stadio d' invasione dei morbi febbrili , e » dalle ambascia precordiali che allora di leggieri si » presentano, e dalla stessa oppressione di respiro a » queir epoca , quale indizio della difficoltata circola- » zione centrale. « 12 174 M Toccati così 1 principali punti del mio tema, om- » metto per brevità tutti i secondar], e passo quindi >) alle seguenti C0]V€I^IJ̧»10]1I )ì I. I sintomi della febbre paragonati con quelli » dell' angioite ; il metodo antiflogistico giovevole tan- » to nelle febbri, quanto nelle infiammazioni ; ed i ri- » sultamenti necroscopici nelle une e nelle altre dì » confronto ; provano soltanto l'analogia della loro na- ))tura, ma in nessun modo l'identica loro condizione » patologica. » M II. Una rigorosa patogenia, fondata sulla fisiolo- » già, dimostra che tra le febbri e le infiammazioni esi- » stano realmente delle essenziali differenze; e queste » risguardanti la forma, l' origine e le condizioni pa- )) tologiche rispettive. » )) III. Essenzialmente le febbri differiscono fra di )) loro : prima per la forma semplice o composta ; po- w scia per l'origine primaria o secondaria; ed in fine )) per la condizione patologica, la quale nella forma » semplice consiste nell'infezione reumatica irritativo- » flogistica del sangue, da me altrove chiamata emite y) reumatica ; e nelle forme composte si risolve in ima » localizzazione di sì fatta condizione nei tessuti se- )) cernenti ed escernenti, dove attiva una evacuazione » vicaria alla perspirazione, e vi si presenta perciò » quale subGogosi, che caratterizza la specie della feb- » bre composta. » 175 » IV. Le infìanimazioni, quali processi morbosi ir- » ritativo - flogistici fissi nei tessuti organici, riguardo » alla loro forma essenziale ed alle loro condizioni pa- )) tologiche, non vengono ad offrire alcuna essenziale » differenza : esse in proposito costituiscono sempre lo » stesso fatto morboso, il quale appunto può definirsi )) siccome una irritazione sanguigna intrinseca ai mi- » nimi vasi capillari dei tessuti, la quale è alimentata » da un' eccessiva riproduzione, e nello stesso tempo )) suscita quest' ultima a produrre disorganizzanti ef- )) fetti. » » V. Però le stesse infiammazioni, riguardo alla lo- » ro origine, vengono essenzialmente a differire fra di )) loro, potendo essere quando idiopatiche, quando in- )) vece simpatiche. » )) VI. Essendo il processo morboso della febbre sem- » plice una condizione irritativo -flogistica inerente al » sangue circolante, per cui affetta tutto l'organismo ; w e risultando il processo morboso delle infiammazioni «essere una condizione irritativo -flogistica inerente » ai tessuti, dove fissa la sua sede ; discende qui la » conseguenza , che i due differenti processi morbosi » possono coesistere fra loro, come in effetto sovente » si riscontrano uniti in pratica. » )) VII. Nelle febbri composte, e nelle infiammazioni » tanto idiopatiche, quanto simpatiche, la ricordata » coesistenza dei due processi morbosi costituisce un » fatto ordinario : in esso allora l' un processo dipen- »de dall'altro; ed in ciò v'ha solo l'essenziale diffe- » renza , che nelle febbri composte e nelle infiamma- 176 » zioni simpatiche T affezione locale è secondaria al- w r universale, mentrechè nelle infiammazioni idiopa- w tiche è di converso primaria l'affezione locale. » )) Vili. L'agginnta delle locali azioni flogistiche o w subflogistiche nelle febbri semplici, e l'aggiunta delle M universali azioni febbrili nelle infiammazioni idiopa- » tiche, costituiscono sempre delle circostanze aggra- )) vanti lo stato morboso, mentre dinotano la composi- )) zione della condizione patologica primitiva. » » IX. Da ciò emerge, che per guarire dalle febbri w composte e dalle infiammazioni simpatiche deve pri- » ma cedere il processo morboso locale, mentrechè per » guarire dalla infiammazione idiopatica dee cedei'e » invece primieramente la condizione patologica della » febbre di reazione. » » X. Per non errare nel giudizio che si porta in- » torno alle tracce cadaveriche lasciate dai trapassati )) per febbri o per infiammazioni, importa sempre coor- » dinare i fatti in modo da poter distinguere se quelle » sieno state causa oppure effetto della malattia feb- » brile, dietro cui avvenne la morte. » » XI. In fine la nuova teoria esposta sulla genesi w delle distinte condizioni patologiche delle febbri e w delle infiammazioni, se non vogliasi che renda la cu- » ra di questi morbi piìi semplice e più razionale, al- » meno io credo che non valga a cambiarla in nna più » difficile e meno razionale dell' altra, la quale riduce » sì fatti morbi all'unica condizione dell'angioite. » 177 LIBRI OFFERTI IN DONO (Continuazione del Catalogo precedente a pag. 160) Information respecting the History condition and pro- spects of the Indian Tribes of the United States. Part II. Philadelphia 1852. Siuithsonian contributlons to knowledge. Voi. DI. Was- hington 1852. Idem Voi. IV. 1852. Report of the commissioner of patents for the year 1850. Part. I. arts and manufactures. Part. II. Agriculture. Wa- shington 1851. IHcssase from the President of the United States to the tw'o houses of congress at the conimene ement of the first Session of the thirty-first congress. Part III. Washin- gton 1849. Meteopogical Register for twelve years, from 1831 to 1842, compiled from observation ecc. Washington 1851. Eiiplauatìons and sailing directions to accompany the wind and current charts approved by Commodore Lewis Warrington. Washington 1851. f iftU annual report of the Board of Regenst of the Smith- sonian Institution, for the year 1850. Washington 1851. A noticc of tlie origin, progress and present condition of the Academy of Naturai Sciences of Philadelphia by Ruschen- berger. Philadelphia 1852. Report of the Secretary of war communicating Information in relation to the geology and topography of California. Lcttcr from the Secretary of the tresaury, communicating a report of the computation of tables, to be used with the hydrometer ecc. Idem a report of chemical analyses of sugars, molasses ecc. Recent improvements in the Chemical arts by James C. Booth. Washington 1851. 178 DÌFCcdons for coUecting, preserving and transportìng spe- cimens of naturai Hlstory, prepared for the use of the Smithsonian Institution. Patent Laws. Inforniatiou to persons having Business to transact at the Patent office. American zoological, botanica!, and geologica! bibliogra- phy for the year 1851. AltiStract of the seventh census. List of Foreign Institution in correspondence with the Smith- sonian Institution. Map of the Delta of the S.' Clair. Map of that part of the minerai Lands adjacent to Lake su- perior. Donkschriftcn der K. Akademie der Wissenschaften, Phi- losophisch-historìsche classe. Dritten Band. Wien 1852. Sif zangsitericlite der K. Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische classe. 1851. VII. Band. 3, 4, 5. Heft Vili. Band. Archlv fur Kunde osterreichischer Geschichts - Quellen . 1851. VII. Band. 1, 2, 3, 4. Heft. Hrltische Durchsicht der v. Dawidow Verfassten Wòrter- sammlung aus der Sprache der Aino's, v. Pfizmaier. Nofizcnlilatt beUage zum Archiv fùr Kunde òsterreich. Geschichtsquellen 1851, n." 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 179 Riflessioni intorno al calcolo delle orbite planetarie dietro osservazioni geocentriche. — Nota del Membro ordinario Cav. Santini, per servire di Appendice alle sue Lezioni di Astronomia pub- blicate in Padova nel 1 830 (ediz. 2.='), letta nel- la tornata Ì3 gennajo 1853. JU problema di determinare, dietro osservazioni geo- centriche, l'orbita di un nuovo pianeta o di una nuova cometa esercitò, da Newton fino a' nostri giorni, i più distinti matematici, gli sforzi dei quali condussero suc- cessivamente a metodi di più in più perfezionati per la pratica astronomica. Newton pe'l primo, avendo dimostrato che le comete si aggirano intorno al Sole in orbite ellittiche molto allungate, le quali in vici- nanza del perielio sensibilmente si confondono con gli archi di una parabola avente la stessa distanza perie- lia, propose un metodo grafico per assegnarne gli ele- menti parabolici, il quale in sostanza riducevasi a ri- guardare come rettilineo e percorso con moto unifor- me il piccolo tratto di orbita compreso fra tre osser- vazioni molto fra loro vicine. Bouguer, Eulero e Lam- bert pei-fezionarono i metodi imaginati da Newton, e sopratutto quest'ultimo insigne matematico in una sua pregevolissima operetta intitolata Insigniores orhitae cometarum proprietaies^ publicata nel il Gì in Augu- sta, sviluppò con molta profondità e sagacia la teorica 180 del moto parabolico e del moto ellittico; dimostrò un teorema divenuto celebre, cbe assegna in una parabo- la, ed anco in una ellisse, il tempo impiegato a tras- correrne un dato arco mediante i due raggi vettori estremi e la sua corda, a cui si appoggia il metodo posteriormente dettato dal fu celebre Olbers per cal- colare l'orbita delle comete, eh' è anco a' nostri gior- ni generalmente seguito. I principi generali però, ai quali si appoggiano i metodi per il calcolo delle or- bite dei corpi celesti, furono per la prima volta svi- luppati dal sommo matematico La -Grange in una sua Memoria publicata fra le Memorie dell'Accademia di Berlino dell'anno 1778. Ivi egli espone i fondamenti dei metodi imaginati da Newton, da Eulero e Lam- bert, e dai principj della gravitazione universale ri- cava le proprietà fondamentali del moto ellittico e parabolico; e nel supposto di avere tre osservazioni geocentriche fra loro molto vicine, prendendo per in- cognita la distanza del pianeta o della cometa dalla Terra nell'osservazione di mezzo, dimostra che l'equa- zione, alla quale appoggiasi la sua ricerca, ascende al settimo grado. Dietro le tracce di La -Grange presero a trattare analiticamente questo complicato problema Le Gen- dre. La - Place nella sua Meccanica celeste, il nostro Mossotti nelle Effemeridi di Milano. Le loro soluzio- ni sono al sommo grado coramendevoli per la eleganza e simmetria delle formule, per la ordinata loro espo- sizione ; ma si appoggiano per lo più alla risoluzione d'equazioni di gradi elevali, alle quali non si perviene 181 che a mezzo di calcoli lunghi e lahoriosi, nei quali i piccoli errori delle osservazioni esercitano un'influen- za pericolosa. In vero il metodo proposto dal sig. Mos- soci conduce alla risoluzione di due equazioni di pri- mo grado, nelle quali le incognite sono strettamente legate alla posizione del piano dell'orbita; la loro for- mazione però è molto laboriosa, ed ha l'inconveniente analitico di esigere quattro osservazioni, mentre, ge- neralmente parlando, tre sono sufficienti. Quest'ultimo difetto sarebbe leggerissimo; ma non si presta (alme- no nella forma proposta ed illustrata con esempio dal chiarissimo autore) alle continue approssimazioni; e gh elementi, ai quali conduce direttamente, risultano dal vero troppo lontani, come apparisce eziandio dal citato esempio : lo che vuoisi attribuire alla pericolo- sa influenza che esercitano nei risultati le quantità trascurate ed i piccoli errori delle osservazioni. Né più felice nelle pratiche applicazioni io ritengo che sia il metodo proposto dal celebre La -Place nella sua Meccanica celeste. Infatti la determinazione degli ele- menti dell'orbita si appoggia ai coefficienti differen- ziali primi e secondi delle longitudini e latitudini os- servate, dedotti dalle osservazioni fatte in più giorni consecutivi. Lasciando da parte l'inconveniente di' ri- richiedere un numero di osservazioni molto superiore a quello per cui il problema riesce determinato, è pa- lese che i piccoli errori delle osservazioni fanno enor- memente variare i coefficienti differenziali del secondo ordine, ed esercitano per conseguenza nei risultali una influenza pericolosa. 182 Da questi difetti, generalmente riconosciuti da tutti quelli che hanno tentato di valersi dei citati metodi analitici nella determinazione delle orbite dei pianeti e delle comete, sono esenti quelli proposti ed illu- strati con numerosi esempj dal sig. dott. Gauss nella immortale sua Opera Theorica motus corporum coele- stium in sectionibus conicis Solem ambientium^ pu- blicata in Hamburg nel 1 809. In essa il chiarissimo autore si appiglia a nuove vie, che appiana con arte meravigliosa col sussidio di alcune tavole numeriche, le quali abbreviano e facilitano immensamente il cal- colo numerico. Col loro sussidio da principio lo stesso Gauss potè con meravigliosa prontezza e precisione calcolare le orbite dei nuovi pianeti Cerere, Giunone, Pallade e Vesta, discoperti nel principio del presente secolo ; ed i giovani astronomi dei nostri giorni cogli stessi mezzi e cogli stessi metodi pervengono a calco- lare le orbite della numerosa coorte dei piccoli pianeti disseminati nell'ampio girone compreso fra Marte e Giove, discopertivi dopo il 1 845 dalle assidue ricer- che dei signori Henke, Gasparis, Hlud, Luther, Cha- cornach e Goldschmidt. La natura di questi argomenti non permette ch'io mi accinga a darvi un ragguaglio dei nuovi metodi da esso imaginati, non consentendolo la difficoltà ed ari- dezza del linguaggio. Ciò sarebbe anche inutile, aven- do io riferito di quell'Opera estratto abbastanza esteso nel secondo volume de' miei Elementi di Astronomia ^ il solo in vero che fino al presente siami accaduto di riscontrare nei molti Trattati di Astronomia publicati 183 anche presso i nostri fratelli di oltremonti. Solo io dirò, che il metodo proposto dal Gauss si appoggia ad una relazione eh' esiste fra le projezioni delle tre aree triangolari formate in tre osservazioni fra i raggi vettori condotti dal centro del Sole ai luoghi in esse occupati dal pianeta e le loro corde nei tre soliti pia- ni coordinati, la quale fu per la prima volta trovata da La -Grange nella Memoria sopra citata del 1778, e che posteriormente da tutti venne adoperata in si- mili ricerche. Questa relazione, applicata ai tre piani coordinati, conduce ad esprimere le distanze del pia- neta dalla Terra per mezzo dei rapporti delle tre in- dicate aree triangolari. Ora è manifesto che queste aree triangolari differiscono dai settori ellittici real- mente percorsi dal pianeta in quantità di terzo ordi- ne ; quindi un primo rapporto prossimo delle accen- nate aree triangolari è quello delle differenze dei tempi intercetti fra le date osservazioni. Da questo principio prende le mosse il Gauss, ed assumendo per incognita aion già la distanza del pia- neta dalla Terra nella seconda osservazione, ma l'an- golo formato al pianeta dalle linee di là condotte al centro del Sole e della Terra, riduce la determinazio- ne dell'assunta incognita ad una equazione trigonome- trica semplicissima del quarto grado, nella composi- zione della quale entrano i rapporti delle anzidette aree triangolari. A questo punto con false posizioni artificiosamente dirette, e con poche xùpetizioni di calcolo a correzione successiva delle approssimazioni, si perviene ad un'esatta determinazione dell'incognita, 184 la quale quando siasi ottenuta, con metodi diretti e di pronta applicazione si perviene agevolmente alla completa soluzione del problema. Tale air incirca è la via prescritta dal Gauss per determinare, mediante tre osservazioni geocentriche non molto fra loro distanti, l'orbita di un nuovo pia- neta o di una nuova cometa, dovendosi notare che nel caso di una cometa l'orbita divenendo il più delle vol- te parabolica, viene molto a semplificarsene il calcolo, divenendo allora il metodo identico con quello già sul finire del secolo trascorso proposto dall' Olbers, e quasi universalmente seguito dagli astronomi per la sua facilità e prontezza ; e questo è anche il metodo con qualche modificazione da me riferito nel mio Trat- tato di Astronomia sopracltato, e generalmente segui- to ogni volta che discuopresi un nuovo pianeta. Havvi tuttavia un caso, in cui il metodo proposto diviene indeterminato ; ed è quando il pianeta si mo- vesse nel piano dell'eclittica, perchè allora viene a mancare interamente la projezione delle tre aree trian- golari in un piano perpendicolare all'eclittica. Se poi non muovasi esattamente nel piano dell' eclittica, ma in un piano poco ad esso inclinato, il metodo, senza essere assolutamente indeterminato, riesce poco sicu- ro, acquistando una pei'icolosa influenza i piccoli er- rori delle osservazioni nelle latitudini geocentriche. Queste circostanze non isfuggirono all'acutezza del sig. Gauss, e suggerì un nuovo metodo, il quale in- chiede quattro osservazioni, due delle quali posso- no essere anco incomplete , non richiedendosi nella 185 prima e nella quarta le latitudini geocentriche del pianeta . L' amore della brevità mi suggerì di lasciare da parte nel mio Trattato dì Astronomia V estratto di questo secondo metodo, che riesce in vero più labo^ rioso e prolisso del primo ; come pure non stimai di dover riferire i metodi opportuni al calcolo delle or- bite iperboliche, ritenute possibili, ma di troppo rara applicazione. Molti dei piccoli pianeti recentemente scoperti han- no piccolissime inclinazioni, e la determinazione delle loro orbite riesce col metodo superiormente accennato penosa ed incerta. Ho stimato quindi opportuno compilare una pic- cola Appendice, nella quale io riferisco l' estratto del secondo metodo, tanto più in quanto che alcune men- de tipografiche incorse nell'Opera stessa del Gauss potrebbero renderne mal sicuro V uso. Nell'Appendi- ce che vi presento in via di nota a' miei Elementi di Astronomia brevemente deduco il metodo da seguirsi per questo caso speciale dai principj da me in essi esposti ; dimostro in qxiadro ordinalo la serie delle operazioni numeriche da eseguirsi per il calcolo del- l'orbita del pianeta, ed in via di esempio riferisco il calcolo completo dell'orbita del pianeta Mel-pome- ne (1 8), della serie degli asteroidi, scoperto a Londra dal sig. Hind ai 24 Giugno 1852, del quale eziandio il sig. Trettenero calcolò l'orbita, facendo uso di tre osservazioni, che venne da me presentata all'I. R. In- stituto Veneto, ed anche inserita nelle Astron. Na- «86 chrichten di Altonsu, continuate dai signori Petersen ed Hansen dopo la mancanza del già nostro Socio stranie- ro e mio amico Cons. Schumacher. Le osservazioni, alle quali appoggio il mio calcolo, sono quattro luoghi normali formati al modo seguente: ì.° Luogo normale pe'l giorno 29 Giugno a 12."* T. M. di Berlino, dedotto dalle osservazioni di Cam- bridge 29-30 Giugno, di Berlino 29 Giugno. 2.^ Per il giorno 29 Luglio a 12.»^ T. M. di Ber- lino, dedotto dalle osservazioni di Berlino 29 Luglio^ Padova 28 Luglio, Amburgo 28-30 Luglio. 3.° Per il giorno 28 Agosto a 1 2.'^ T. M. di Ber- lino, dedotto dalle osservazioni di Bonn. 28 Agosto, Liverpool 25-31 Agosto, Durham 31 Agosto, Was- bington 29-30 Agosto, Padova 27-28-29 Agosto. A° Luogo normale ai 28 Settembre 1852, dedot- to dalle osservazioni di Washington dei giorni 26-27- 28-29-30 Settembre. Ponsi fine a quest'Appendice col riferire eziandio i precetti pe'l calcolo delle orbite iperboliche, e colla tavola del Gauss calcolata inserviente alla determina- zione degli elementi delle orbite stesse dietro la co- noscenza di due raggi vettori , e dell' angolo fra essi compreso nel centro del Sole. -o^3@@sk>- 187 Sui terreni jiirassici delle Alpi venete. — Me- moria del Membro ordinario Cav. De Zigno, letta nella tornata 27 gennajo 1853. I terreni jurassici, così denominati perchè furono da prima osservati nella catena del Jura, hanno il loro posto, nella serie cronologica dei terreni, tra quelli che si nomarono triassici, e quelli che compongono il sistema cretaceo. Essi distinguonsi per una fauna fos- sile speciale, in cui cominciano a comparire per la prima volta gli Insetti ditteri, imenotteri, emiileri' i Crostacei isopodi j i Molluschi tettihranchi ; i Bra^ chiopodi cirripedi', i Grinoidi liberi; e le Foramini- fere sticosteghe e monosteghe: ai quali devonsi ag- giungere le celebri spoglie di Marsupiali, trovate a Stonesfield nelF Inghilterra, che ci porgono le prime e le più antiche traccie degli animali mammiferi, dei quali non si trova poscia più orma alcuna se non che nei terreni di sedimento superiore o terziarj. Abbondano inoltre nei varj gruppi del terreno Ju- rassico le reliquie fossili dei Folipaj, dei Cefalopodi, dei Brachiopodi, dei Gasteropodi, dei Molluschi la- mellihranchi e hriozoj, degli Echinidi, dei Crostacei decapodi, dei Pesci ganoidi, e dei Rettili sauriani. Questo terreno fu riconosciuto in quasi tutte le ca- tene montuose d'Europa, nell'Asia Minore, all'Hima- laya, ed in alcuni punti delle due Americhe; e sem- 188 pre caratterizzato, dalla zona torrida fino al circolo polare, da una fauna analoga a quella che popola og- gidì le regioni tropicali. Anche la flora fossile di quest'epoca, sehbene as- sai povera di specie, e scoperta finora soltanto a Scar- Lorough e Stonesfield nell'Inghilterra, a Morestel, Maniers e Verdun nella Francia, a Solenhofen ed a Ludwigsdorf nell'Aleraagna, ci palesa come allo- ra vivessero in varj punti dell'Europa temperata piante appartenenti a famiglie, le cui specie vegetano ora esclusivamente nelle regioni tropicali ed australi. Questo interessante periodo della storia antica del globo ha lasciato anche sulle nostre circostanti mon- tagne vaste orme di se, le quali non isfuggirono alle ricerche del Maraschini e del Catullo, che primi ne annunciarono l'esistenza in quella forma che permet- teva lo stato della scienza or sono trent'anni ; e quin- di con tanto maggior merito, in quanto che le cogni- zioni paleontologiche erano allora così incerte da ren- dere oltremodo difficile il paragone delle faune fossili. Ora poi, che l'amore dello studio dei resti orga- nici impietriti si è da per tutto estesamente diffuso, la storia di questi antichi abitatori della terra, arric- chita di nuovi fatti per le osservazioni e pe' i con- fronti instituiti fra le diverse parti del suolo che ci sopporta, prende forma di scienza, e procede su basi più sicure. Perciò, sebbene da molto tempo io ponessi ogni studio neir investigar: il numero, l' estensione e la giacitura delle formazioni che compongono le alpi del 189 Veneto, fu solamente in questi ultimi anni che, mercè le Opere publìcate di recente in altri paesi, mi fu dato sceverare il dubbio dal vero, ed ismentire l'esi- stenza di certe asserite anomalie, le quali, se aves- sero realmente esistito, avrebbero rese le nostre mon- tagne bizzarramente diverse da quelle di tutto il re- sto del globo. In altri miei scritti esposi il risultamento delle mie ricerche sopra i terreni terziarj, e sul sistema cretaceo che li sorregge, distinguendone i diversi piani, e precisando i limiti delle formazioni. Formeranno soggetto di questa lettura i terreni che precedettero i depositi cretacei, e che apparten- gono a quell'epoca, della cui fauna e della cui flora ho testé tenuto brevemente parola. Sopra quell'insieme di calcaree grigio -nerastre e di arenarie rossìccie che sono riferite al Trias, e sotto quella calcarea bianca che contiene i fossili del ter- reno neocomiano, giace anche tra noi fraposta una potente serie di strati calcarei ora cristallini, ora com- patti, spesso segnati da una bellissima struttiu'a coli- tica, i quali occupano precisamente il piano assegnato al Jura nelle altre contrade di Europa. Dalla riva destra del Tagllamento al lago di Garda essi formano la massa maggiore delle nostre monta- gne, e dalle più alte vette del Tirolo, del Bellunese e del Friuli scendono variamente inclinati a formare le sponde delle grandiose valli della Piave, della Brenta e dell'Adige, e si profondano sotto alle col- line cretacee e terziarie che formano l'ultima e più 13 J90 ridente zona delle eminenze che abbellano il limite settentrionale della pianura veneta. In alcune località la parte inferiore di questa serie è composta di schisti argillosi ora bruni, ora verdo- gnoli, di conglomerati gresiformi ad elementi pirosse- nici, e di calcarea grigio -violacea con venature spa- tose : roccie tutte, che per l'aspetto e per la compo- sizione mineralogica mostrano grande analogia con quelle del Lias del Wiirtemberg, della Francia e del- l'Inghilterra. Nel Cadore, lungo la valle del Boite, e nell'Agordlno non è difficile imbattersi in queste forme, le quali, sebbene occupino il posto del Lias, pure non ci permettono di riferirle ad esso con sicu- rezza, per essere affatto mancanti di fossili. Nelle grandi vallate della Piave, della Brenta, del- l'Astico, dell'Agno e dell'Adige queste apparenze non si palesano all'occhio dell'osservatore, mentre invece potenti strati di calcarea cristallina formano ivi la base del sistema Jura-liassico. Scendendo da Borgo di Valsugana a Bassano, o da Perarolo fino oltre Belluno per la strada d'Alemagna, o scorrendo la Valle Pantena e la strada di Boveredo e Vallarsa, oppure salendo per la Valle dell'Astice nei Sette -Comuni, e visitando le valli secondarie che in pili guise attraversano quella ingente massa calca- rea, sarà agevole riscontrare come questo grande banco cristallino si mostri ovunque soggiacente agli strati oolitici del Jura propriamente detto. La struttura cristallina della roccia componente questo banco sarebbe indizio d' un'alterazione prò- 191 dotta da una di quelle caiise cui fu dato il nome di plutoniche ; cause che agirono in senso verticale dal basso all'alto, e prodotte dall'azione modificante di una roccia in istato di fusione ignea sopra una roccia di sedimento. Senonchè quest'azione irraggiante dalle zone più basse della crosta terrestre avrebbe dovuto alterare assai di più le roccie inferiori a quelle di cui parliamo. Ciò invece non si osserva nelle nostre mon- tagne; anzi in ogni punto, in cui si può scorgere il banco cristallino appoggiato agli strati del Trias che vi sta sotto, questi si mostrano inalterati, e ripieni di resti organici in perfetto stato di conservazione. In una Memoria inserita negli Atti della Società geologica di Londra ho creduto di potere spiegare questa struttur-a cristallina supponendo che l'azione modificante si fosse sprigionata da orifizj apertisi a grandi distanze dalla nostra catena, e poscia si fosse estesa in linea orizzontale, alterando la temperatura del mare liassico, e cagionando la precipitazione cri- stallina de' suoi sedimenti, senza recare alcun cangia- mento nella struttura degli strati del periodo ante- cedente. Il sesto sollevamento del sig. di Beaumont, che diede origine al sistema detto del Thuringervvald, di cui è continuazione il Boemerwald, è appunto avve- nuto dopo la deposizione del Trias ed al principiare del periodo Jurassico. E questa grande squarciatura, che formò le catene della Baviera, della Sassonia e della Boemia, devo avere spinto a considerevoli di- sianze emanazioni alte ad alterare la temperatura ^92 dei mari circostanti , nonché la natura dei loro se- dimenti. Come avviene sempre nelle roccie modificate, sono rarissimi anche in questa i fossili, e le sole e scarse traccie eh' io ne potei rinvenire consistono in alcuni modelli di conchiglie appartenenti a molluschi Gaste- ropodi riferibili ai generi Trochus e Ghemniizia, i quali, a dir vero, mostrano molta analogia colle spe- cie llassiche d' altri paesi. La calcarea cristallina nella parte superiore rac- chiude subordinati alcuni strati di calcarea compatta ; e r insieme di questo gruppo, eh' io calcolo presso di noi quale rappresentante del Lias, corrisponde alla Dolomia del sig. Pasini. Al di sopra di questa formazione noi vediamo svol- gersi anche nelle alpi nostre la forma colitica, che a più riprese s'avvicenda colla calcarea grigia compat- ta; e quest'ultima ci presenta buon numero di fossili, di cui però è malagevole la determinazione, riuscendo oltremodo difficile di estrarli intatti dalla roccia. Appartengono quasi tutti ai Molluschi lamellibran- chi, ed in particolare al generi Pholadomia, Gervil- lia, Isocardia, Nucula. Il Pasini vi trovò pure in gran copia modelli di una Nerinea; ed io vi rinvenni la Terebratula sphaeroìdalis, Brachiopodo caratteristico dell'oolite inferiore, a cui è forza riferire per la po- sizione e pe' fossili gli strati tutti oolltici che si os- servano presso di noi. Le due serie oolitiche superiore ed inferiore del sig. Pasini sono da me comprese in questo gruppo, e 193 perciò adeguate aWEtage Bajocien dell' Orblgny, al- l'In/ènor oolite di Sowerby, nlVUnterer oolith di Roeraer, ed in parte anche al Brauner Jura degli autori alemanni. Proseguendo nell'esame della serie ascendente, ve- diamo ricoperta questa formazione da un' altra cal- carea compatta argillosa, di colore cinereo, spesso conchiglifera; e su questa si estende uno strato mar- noso grigio - oscuro, in cui sul monte Spitz, presso Botzo, si sono scoperte da gran tempo bellissime im- pronte di piante fossili. Riferisce l'abbate dal Pozzo nelle sue Memorie storiche dei Sette 'Comuni Vicen- tini, che la scoperta di queste piante ebbe luogo nel- l'anno 1764 all'occasione che si scavarono lastre del- la pietra grigia di Rotzo, per coprire i murelli che attorniano il cimitero di quella Parochia. E singolare come queste piante non abbiano mai risvegliato in alcuno il pensiero d'indagare a quali specie potessero riferirsi. Ne fece alcun cenno per incidenza V ab. Fortis, parlando dei Sette - Comuni, nelle sue Mémoires pour servir à VHisioire naturelle de Vltalie. Sfuggirono al Marzari ed al Maraschini, troppo intenti allo studio dei fenomeni presentati dalle rocce ignee ; ed assai brevi parole dissero sopra questo argomento il Catullo ed il Pasini. Visitando più volte questa località, ebbi campo di raccorne buon numero, di precisarne la giacitura, e di riconoscere come lo strato fitolitico scenda dallo Spitz, e si prolunghi tra Mezzaselva e Roana, ove la roccia mostrasi più scissile, e le piante meno conservate. *13 Da alcuni fossili avendo potuto conoscere come in certi punti delle valli veronesi si scorga allo scoperto il gruppo inferiore del sistema colitico, ed esista so- pra di esso anche colà uno strato con resti vegetali, pregai il dott. Massalongo a farne ricerca; ed egli, corrispondendo all' invito, m' inviò alcuni frammenti di piante fossili estratti dai terreni jurassici di san Bortolamìo presso Selva di Pi'ogno. Sebbene la roccia fitolitica sia qui mineralogica- mente diversa da quella di Rotzo, tuttavia essa oc- cupa lo stesso orizzonte geologico, e contiene alcune specie identiche a quelle di monte Spitz. Operati degli scavi in tutte e due queste località, giunsi a riunire circa quattrocento esemplari (1), che mi svelarono l'esistenza di una flora terrestre, in cui predominano specie riferibili ai generi Equiseti- tes, Sagenopteris, Gycadites, Zamites , OtozamiteSj Brachyphyllum, Araucarites. Lo studio di questa flora mi condusse a raffermare quella classificazione di questo deposito, cui già la semplice stratigrafia mi avea indotto di ammettere ne- gli anteriori miei scritti. La flora di Rotzo e di Selva di Progno sta quindi collocata al di sopra dell' oolite inferiore, negli strati della grande oolite, od oolite di Bath, Etage Batho- (1) Fra breve uscirà alla luce un mio lavoro su queste piante, corredato di trenta tavole, in 4.", in cui saranno deli- neate tutte le specie. Questa scoperta fu da me annunciata fino dall'anno scorso alle Società geologiche di Londra e di Parigi, ed all' I. R. Istituto geologico in Vienna. 195 nieu dei signori Omalius e d' Orbigny, ed è perciò contemporanea dei celebri depositi di piante dell'ooli- te di Mamers nella Francia, e di Scarborough nell'In- ghilterra. Anche in essa, come in quelli, compariscono soltanto I resti di piante terrestri, e fra queste in maggior copia le Cicadee. Questa scoperta, mentre conferma quanto scrissi finora sui terreni stratificati delle alpi venete, arric- chisce la flora jurassica europea di una nuova località ferace di piante fossili di quell'epoca, e presenta un fatto del tutto nuovo per la geologia dell' Italia. Uno straterello di marna color giallo d'ocra, in cui veggonsi fugacissime impronte di bivalvi mal conser- vate ed indeterminabili, ricopre in ambi i luoghi la roccia fitoli tiferà, e s'interpone fra questa e gli strati piuttosto potenti di una lumachella bianco-grigiastra, in cui non di rado si trova la Terehratula ornitho- cephala, e che termina quella serie di roccie, le quali, secondo il mio parere, occupano presso di noi il posto della grande oolite. Ciò viene convalidato dalla comparsa di un marmo subcristallino, screziato di bianco, di giallo e di rosso, con cui cominciano gli strati sopraincombenti di quel- la calcarea per lo più di color rosso, che segna una zona ben marcata in tutte le alpi venete e tirolesi, e che io fino dal 1846 classificai come appartenente al sistema oxfordiano, così bene sviluppato in varie parti di Europa. Il sig. d'Orblgny nel suo recente Prodromo di Pa- leontologia universale ha diviso i terreni componenti 196 questo sistema in due piani : uno inferiore, che deno- minò Calloviano, prendendo per tipo la roccia di Kelloway dell'Inghilterra; e l'altro superiore, che chiamò Oxfordiano, adeguandolo all'argilla d'Oxford. Questa divisione in due piani, che mostrano fra di loro in alcune località la più stretta connessione, e presen- tano anche dei fossili promìscui all'uno ed all'altro, non sarà per avventura generalmente ammessa. E per vero, anche fra noi questa connessione si fa chiara- mente palese nella calcarea di cui si tratta, nella quale però, oltre ai fossili del terreno calloviano, si rin- vengono negli strati superiori parecchie specie pro- prie dell' oxfordiano, che vi succede. Perciò mentre si può stabilire che nelle alpi venete questa zona rap- presenti i terreni dell' oolite media, chiamati fino ad ora col nome di Oxfordiani, si può egualmente am- mettere eh' essa comprenda i due piani in cui furono recentemente divisi dall' Orbigny. I fossili caratteristici del primo gruppo, che si tro- vano presso di noi con maggiore frequenza, sono : La Terehraiula diphya Buch T. triquetra Park. T. bicanaliculata Schlot. Gli Ammonites viator Orb. ji. zignodianus Orb. J[. anceps Beineck. A. athleta Phillips A. Baheriae Sowb. A. Hommairei Orb. Quelli del secondo, e che s' incontrano negli strati più alti, sono : 19T Lo Spatangus carinatus Goldf. Gli Aptychus latus Mu. A. lamellosus Voltz. La Terehratula resupinata Puscli. Gli Ainmonites virgatus Buch A. tatricus Piisch. A. plicatilis Sowb. Con questa roccia ha termine la serie dei terreni jurassici in tutte le alpi del Veneto, della Lombardia e del Tirolo meridionale. Gettando ora uno sguardo sui cangiamenti avvenuti durante l'epoca jurassica in questa piccolissima parte del globo, noi veggiamo come nei priniordj di essa, e subito dopo la deposizione del terreno ch'io adeguo al Lias, il mare coprisse tutta questa regione, e desse ricetto a molluschi gasteropodi, brachiopodi e lamel- libranchi ; animali a stazione litorale, che vivono in mezzo agli scogli, e che ci porgono indizio di un mare poco profondo. Questo stato di cose sì conservò durante tutto il pe- riodo dell'oolite inferiore, e si cangiò soltanto all'epo- ca della grande oolite, quando avvenne anche fra di noi, come in alcune rare località del rimanente di Europa, che il suolo rimasto sgombro dalle acque potè permettere lo sviluppo di una flora terrestre che ri- corda quella delle regioni tropicali. Senonchè ben presto vediamo ricomparire le acque pelagiche, e seppellire questi vegetabili sotto le potenti stratificazioni dell'oolite media, nella quale prevalen- do nelle nostre montagne i resti dei cefalopodi, ab- 498 biamo argomento sufficiente per ritenere che il mare questa volta fosse assai più profondo di prima ; giac- ché, com'è noto, i cefalopoJi sono molluschi a con- chiglia fragile, che rifuggono dagli scogli, e vivono in alto mare, ove possono agevolmente sottrarsi al- l'azione delle tempeste col profondare il proprio gu- scio, empiendone d'acqua le concamerazioni, per risa- lire poscia a galla nei tempi di calma, vuotandole col sifone che le percorre. La profondità dei mari si mantenne costante anche nell'epoca cretacea successiva, e cominciò a scemare soltanto nel periodo in cui si deposero le calcaree a rudiste della creta cloritica, continuando poscia a de- crescere gradatamente fino all'epocS del terreno ter- ziario più recente. Tracciate così in iscorcio le vicende della circo- stante regione alpina durante il periodo jurassico, e segnati i limiti delle formazioni, ed i principali feno- meni che ci presentano, porrò fine al mio dire ram- mentando come lo studio diligente delle stratificazioni juresi non raggiunga soltanto lo scopo di appagare la curiosità o di svelare qualche nuova pagina della sto- ria aulica del globo, ma possa ricevere un utile appli- cazione a vantaggio della società ; giacche sono gli strati juresi che ovunque ci porgono i marmi più belli, ed è in questa formazione che si scoprì quella pietra, la quale negli ultimi tempi segnò un'epoca così importante nella storia dell'arte. 199 XI Membro ordinario Spongia presentò all'Accade- mia alcune notizie sull'andamento singolare del cho- lera in Polonia, tratte dalla relazione che fece il dott. Tschsekgrlien, presidente del Consiglio medico del regno, all'Accademia di medicina di Parigi nel novembre 1852. Nell'ultimo trimestre del 1851, de- rivato dalla Silesia, rimase nei distretti di Sieradz e Kalisch fino al marzo 1 852; nel 24 maggio seguente apparve in un angolo del governo di Varsavia, d'onde si propagò in altri luoghi, e giunse a questa capitale neir 8 luglio. Era a Varsavia, ed in un raggio di più miglia non lo si vedeva; e così fu osservato in altri luoghi molto distanti quasi isolato, prendendo non una sola linea, come nelle epidemie anteriori, ma molte ad un tempo ed opposte fra loro. I primi ad esserne presi furono i nuovamente venuti da un luogo infetto e gli alloggiati in una stessa casa; quanto a Varsavia, i primi spettarono alla popolazione della città, non messisi in comunicazione con altri prove- nienti da luoghi infetti. Numero dei luoghi infetti: Città -155 Comuni 348 473 Somma degli attaccati a tutto 5 settembre : 46, 328 — — guariti — — 20,i69 — — morti — — 20,906 — dei rimasti in cura — 4, 74 0 200 In Varsavia dalVS luglio al 5 settembre: casi d 0,673 guariti 5.908 morti A, 362 in cura -,303 Proporzioni : \ malato sopra 3 abitanti ì . , , , , ^ _ > in più luoghi. d morto — 7 — ^ ^ » la metà della popolazione attaccata ) ^ Brudno ■1 morto sopra 4 abitanti J sopra Varsavia. \ malato sopra -16 abitanti ì „..,,.,- , . .,- ,.^ _> nella citta di Varsavia. i morto — 37 abitanti J Media della malattia: i malato sopra 48 abitanti nella popolazione delle città e delle campagne. Media della mortalità : 4 morto sopra 38 abitanti nelle città 4 — •^- 43 — — campagne (senza eccezione veruna riguardo alle condizioni igieniche dei luoghi diversi.) Quanto al sesso, età, condizione, si contarono 8 femmine in piìi su cento malati adulti, ed 1/5 di fan- ciulli nel numero intero dei malati: circostanza che distingue il cholera di quest'anno da quello degli an- ni precedenti, ne' quali l' età infantile fu rispettata generalmente. Nei militari, specialmente in quelli dispersi nel regno, la mortalità fu rilevante. Caratteri particolari deW epidemia. — A principio diarree e febbri intermittenti per due e più settimane; 201 non raro però vedere la malattia irrompere senza pro- dromi. Crampi meno universalizzati e men violenti. Soppressione d'orina, non in tutti; vomito più pro- lungato, ed allora più fausto. Dalla respirazione la- boriosa, prognostico pessimo. Vomiti di sangue e de- lezioni sanguigne durante la cianosi, segno mortale. Corso violento e rapido; spesso, dopo poche ore, mor- te. Frequenza straordinaria di recidive, e quasi sem- pre mortali. Rosolia, scarlattina, orticaria, parotiti, antraci, di esito felice. Elmintiasi, dissenteria, tifo e e. fra gli esiti. Dopo la ordinaria lettura del 27 gennajoj T Accademia sì raccolse in seduta privata. Il Direttore della Sezione di Matematica ha presentato il voto della sua Sezione favore- vole a promuovere il Socio straordinario dott. Virgilio Tret- TEMERo a Membro ordinario. Raccolti 1 voti, il Presidente ha proclamato Membro ordinario dell'Accademia nella Se- zione di Matematica il dott. V. Trettenero, Aggiunto al- l' Osservatorio astronomico di Padova, ed ordinato le pra- tiche di metodo al Segretario. -o^s^e&o 14 202 Sulla nuova dottrina della sifilizzazione. — Com- mentario del Membro ordinario Spongia, letto nella tornata 1 7 febbrajo 1 853. JLJo inoculare a preservazione è antichissimo. A sal- vare da malattie acute eruttive, le prime traccie sto- riche stanno, tra'l Caspio ed il Nero, nella Circàssia; la insizione del vajuolo da là venne a noi. Con energia superiore ai mezzi di donna, in sul principiare del se- colo XVIII, cooperava la famosa Montagne a diffon- dere quella insizione; sehbene mite generalmente l'ef- fetto, il pericolo di vita prossimato a chi non n'era disposto, ned avrebbe forse soggiaciuto al vajuolo, contradiceva al reggimento prudente dell'arte salu- tare, e fu ostacolo massimo. In seguito, e sul finire del secolo, i trovati di Jenner facevano obbliare la Mon- tagne ; e forse che la materia del Jenner era la stessa, mitigata da lunga elaborazione in organismo più ro- busto di quello dell' uomo. Dal Jenner a noi una far- raggine di esperimenti e di sperimentatori. Bello il successo, naturalissimo desiderio era lo uscire dai con- fini del vajuolo, ed estendere il benefatto colla face dell' analogia. Morva, farcino, antraci, rosolia, scar- lattina, morbilli, rabbia, peste del vecchio e del nuovo mondo, furono base e speranza d'inoculazione; e la sifilide, meno spaventosa al tempo nostro che a quello del Fracasloro, rimanevasi indietro, forse perchè at- 203 tutiti gli animi dai dettati di Hunter, dominatori delle scuole fino a questi ultimi tempi. Dagli sperimenti di Giovanni Hunter (1 786) sape- vasi le due forme più comuni della sifilide, blennor ra- gia ed ulceri, essere reciprocamente genitrici l'una dell'altra, e della lue costituzionale ancora ; i sintomi secondarj della sifilide inocularsi impunemente ; la si- filide essere esclusiva alla specie umana, non trasmis- sibile ai bruti. La identità patologica e la reciprocan- za genetica della blennorragia e dell'ulcera si ebbero opposizione acerrima contemporanea ; più tardi , la non-comunicabilità dei sintomi secondarj fu a quando a quando contestata : ultima, e creduta, restava la non transmissione ai bruti, fino a tanto che, veduta qualche forma sifilitica nei bruti stessi, si ritoccarono i tenta- tivi d' inoculazione. Alquié, camminando sulle traccie di Hunter, ha cercato ancora la inoculazione terapeu- tica nel 1 837; nel 1 838 il Ricord trovò di confermare le idee Hunteriane sulla non-comunicabilità dei sinto- mi secondarj e la non - trasmissione della sifilide dal- l'uomo ai bruti; nel 1841 il Castelnaxi finì col ripro- vare la inoculazione per ogni verso ; nel ì 839 il Le- blanc riusci nello innestare morva e farcino da bruto a bruto, e cosi Breschet e Rayer nel 1 840. Se riguardisi poi la insizione dal lato terapeutico, la è cosa vecchia più d'ogni altra, e rimonta al 1778: si fu a questa epoca che il Percy immaginava praticarla e la praticò nelle sifilidi torpide, ribelli al trattamento mercuriale, fattosi egli accorto dalla circostanza che una lue costi- tuzionale antica traeva al meglio dopo nuove infezioni. 204 Il dott. Auzias-Turenne di Parigi diede mano ad inoculare sifilide nel 1 844. Da quanto esposero i gior- nali, giunse non solo a comunicarla ai bruti, ma, soc- corso personalmente dal de Weltz di Wurtzbourg, a provare la nuova trasmissione dai bruti all'uomo. Ve- runo dei dogmi Hunteriani avrebbe resistito alle nuo- ve investigazioni ; la non - comunicabilità dei sintomi secondar}, sostenuta oggidì ancora da qualche celebri- tà vivente, fu combattuta, con fatti clinici innumere- voli, da pratici insigni non dottrinar], ma osservatori. L' Hunter peraltro intendeva per inoculazione. Da Auzias-Turenne la sifdizzazione ; parola coniata ad imitare l'anziana — la vaccinazione. — « S' inocula )) un animale, e ripetutamente, anche a distanze sva- )) riate, e sorgono ulceri eguali a quelle che fornirono » il pus alla inoculazione : di tutte, la ulcera più pron- )) ta a comparire, più ampia, più ricca di pus, infiara- )) mata a grado e durata maggiore, è la pi'ima; con » questi caratteri , la seconda sta alla terza come la )j prima alla seconda ; e così di seguito fino a tanto le » inoculazioni cessino di mostrarsi efficaci . » L' ani- male si trova quindi, rimpetto alla sifilide, come il vaccinato relativamente al vajuolo ; il primo è sifiliz- zato, il secondo è vaccinato: sifilizzazione e vaccina- zione rappresentano l'atto ed il mezzo. Vero il fatto, è anche vera la preservazione; da questa alla cura, un passo. Ed è naturale che se la inoculazione, eseguita sempre colla stessa materia, e ripetuta nello stesso individuo, andiede di mano in mano scemando gli effetti fino ad estinzione, si appa- 20 o lesa la immunità da miove infezioni, e la potenza cu- rativa, siccome fu nelle ulceri arlifiziali su mentovate, la seconda delle quali corresse la prima, la terza la seconda, la quarta la terza, ec. ec. Questi precipui ed altri cenni storici servirono di proemio al commentario letto, e mostrarono come il grande successo dalla vaccinazione avesse invogliato ricerche molteplici, e lo affaccendarsi degl'inoculatori non fosse stata d'altronde una sterile fatica. Poco virus sifilitico inoculalo è causa frequente di dannose conseguenze ; molto, adduce vantaggi ; ed è questo il cardine fondamentale della sifilizzazione : co- sicché il dott. Bégin, nel riferire all'Accademia di me- dicina di Parigi, non poteva offrire idea migliore di- cendo : le resumé de la doctrine est celui-ci : lorsque tout le monde sera sature de vèrole, la vérole riexi- stera plus nulle pari. — Il cardine fondamentale, egualmente che la tesi rappresentatrice della nuova dottrina, tenendo una via opposta a quella da cui ci vengono le nozioni più ovvie, hanno certamente sem- bianza di paradosso. Uno studio assiduo potrebbe riu- scire non inutile affatto. L'omoiopatia, col suo sìmilia similibiis curantur, ha guadagnato nel campo della vaccinazione, perchè, oltre al preservare dal vajuolo, il vaccino divenne pure un mezzo terapeutico; l'isopatia guadagnerebbe ora nel campo della sifilizzazione, dacché propriamente identica a quella eh' è prodotto della malattia, é la materia che s' introduce a preservare e curare. Non è nuovo il pensiero: quindici o venti anni fa un zoojatro 206 di Lipsia, il dott. Lux, apriva campo vastissimo a spe- rienze Isopatiche nei bruti (in fatto di morva, antraci, rogna, rabbia, ec), ed otteneva successo tale da invi- tare a meditazione. Le vivisezioni, allo studio della fisiologia e della farmacologia, hanno sagrificato ani- mali innumerevoli ; sotto aspetto isopatico varrebbe la pena lo esperimentare con fermo divisamento, e deci- dersi una volta per sempre. Limitandosi alla sifilide (ne potremmo, anco volendo, occuparsi d' altra malattia cui la sperienza non abbia dato per anco analogo sviluppamento) è d'uopo convin- cersi che appunto la differenza de' suoi sintomi primiti- vi, secondar], terziari, ammessa dai pratici, è favore- vole da per sé sola al principio fondamentale dei sifi- lizzatori. Non rispondevano alla inoculazione i sinto- mi secondar} al tempo di Hunter; gli oppositori hanno negalo un merito all'uomo insigne, e raccolsero fatti a provare la comunicabilità, né s' avvidero eh' egli pro- clamava soltanto la inoculazione non riuscita, né ces- sava che i sintomi secondar] si comunicassero in altra maniera. E vuol dire che in questi la potenza conta- giosa è inferiore a quella dei primitivi j com'è inferio- re, e forse nulla, la potenza dei terziarj comparati co' secondar}. Si attenua un virus nella elaborazione or- ganica, e a lungo andare perde apparenza ; si attenua nelle masse, passando per molte individualità organi- che, ed anche si spegne la proprietà virosa: ma non senza lasciare traccia di sé nelle modificazioni assimi- lative, le quali, sia che guardinsi in un solo individuo, sia in molti ad un tempo, ovvero in quelli che discen- 207 dono per generazione, sono sempre tali da influire manifestamente sulla organizzazione e sulle qualità morali ad un tempo. Ed applicheremo il fin qui detto. Poco virus inoculato è causa di dannosi effetti, di- cono i sifilizzatori ; molto, adduce vantaggi. Non ri- pugna il credere ai danni di poca materia straniera attivissima sulle facoltà dinamiche e sull'impasto or- ganico, quando e segnatamente all'individuo sia nuova l'azione ; poca, e ripetuta per gradi, conduce abitudi- ne, e la sensilità organica, aguzzata in sulle prime, si fa ottusa in progresso di tempo: la quale osserva- zione è sì moltiplicata in arte da rendere non necessa- rio un commento. E così appunto adoprano gl'inocu- latori, serbando distanza di tempo e di luogo dall'una all'altra insizione ; così che l'effetto della seconda trovi pronto l'effetto della prima, e vi si unisca a far fronte agli effetti delle insizioni future , i quali , accumidati insieme, daranno la non- recettività finale, la perfetta sifilizzazione. Cosa sia questa non - recettività finale, questa perfetta sifilizzazione, sia essa temporaria o permanente, simigli ad una saturazione secondo il linguaggio chimico, non è dato rispondere per ora, ed è a prevedersi non lo sarà in seguito. Cosa sia l'azione di poco virus, capace di esulcerare e percor- rere tutta la scala patologica fino alla distruzione or- ganica ; r azione di molto virus, correggitrice a prin- cipio, e sauatrice, in progresso, di lesioni superficiali e profonde ; lo presumeranno gli speculatori condotti dall'analogia generalmente presa delle azioni medica- mentose: oppure fabbricheranno una ipotesi vitalistica 208 o chimica, inutile sempre, dappoiché il fatto, se vero, non sarà fecondo di nuovi vantaggi con una interpre- tazione ipotetica. Guardiamci soltanto dal credere che a forza d' inoculare s' introduca nell'organismo grande quantità di virus : idea spaventevole, quando si pensi alla parvità di materia cui seguono guasti profondi, e se ne argomentino maggiori ed estesi nella proporzio- ne di aumento della materia introdotta. Ricordiamo che il Jenner, nello studiare la differenza dal vajuolo naturalmente svolto all' inoculato, osservava che il pus introdotto colla inoculazione non era quello che veni- va assorbito e tradotto nel torrente assimilativo; bensì quello che s'ingenerava dalla infiammazione dei solidi co' quali veniva a contatto la materia Inoculata : co- sicché questa diveniva uno stimolo ad infiammare, per- chè il prodotto della infiammazione desse adito ad un processo assai mite, che non era quello del vajuolo na- turale. Checché ci abbia rivelato il Jenner, la infiam- mazione fu però sempre specifica, poiché altrimenti non avrebbe dato pustule aventi carattere vacuoloso. Siamo d'altronde diffidati sull'assorbimento di tutto il materiale che la inoculazione adopra a destare un processo, del quale se ignoriamo le leggi, conosciamo i limiti : processo non diffusibile senz' aver provocato nuove secrezioni, e per esse la eliminazione di fluidi inquinati dal virus, o, se vogliasi, modificati radical- mente dall'azione di questo. Gioverà esaminare la que- stione sotto veduta diversa. Crediamo al fatto che il virus sifilitico abbia azio- ne medicamentosa, perchè molti lo attestano in base 209 di esperienze ripetute ; e sappiamo dalla storia della patologia fatti analoghi che lungo sarebbe e fuor di luogo lo enumerare. Piuttostochè perdere il tempo nel- la interpretazione del modo che serbano le quantità materiali d' inoculazione, siamo invece attenti alle con- seguenze che verranno dal fatto, giacché il fatto sus- siste. Il dott. Diday di Lione è, per quanto sembra, ami- co della sifilizzazione, avvegnaché scolare e seguitato- re del Ricord di Parigi. Ella é dottrina del Ricord, che i sintomi primitivi sieno malattia locale; che i costi- tuzionali (secondar] e lerziarj) non sieno inoculabili. Relativamente ai sintomi terziarj, di confronto ai se- condar], quelli non solo refrattarj alla inoculazione, ma alla trasmissione ereditaria; questi trasmissibili: i secondar] docili a trattamento speciale idrargirico ; i terziarj ammettere appena una cura iodica, scevri di carattere assolutamente sifilitico, perchè avvenuti in seguito a diuturna elaborazione organica, modificatrice del virus primigenio. La lue costituzionale, in fine, non poter avvenire che una volta sola nella vita del- l'nomo. E tutti questi princip] professa il Diday sic- come verità portate all' ultima dimostrazione ; e va in traccia d' un mezzo preservativo dalla sifilide, come a preservare dal vajuolo fu cercato e trovato il vaccino. Questo mezzo preservativo (che ci sarà permesso chia- mare il vaccino per la sifilide) sarebbe il sangue dei sifilitici terziarj ; ed ecco i motivi della scelta : una donna gravida, presa da lue costituzionale, può dare la lue al proprio feto; la morva ed il vajuolo si comuni- 210 cano colla iuoculazione del sangue : dunque (e sarà am- mirabile la conseguenza) è lecito presumere che questa potenza di trasmissione non manchi al sangue dei si- filitici terziari !!! La sperienza fu istituita in sedici in- dividui, e riuscì in quindici, come fu pxibblicato. Era- no affetti da sintomi primitivi, i quali si spensero con cura locale comune, non già antlsifilitica ; il sedicesi- mo, che aveva un'ulcera primitiva passata all'indura- mento, soggiacque alla lue dopo il corso di otto mesi dalla inoculazione. Comunque sia il trovato meritevole o no di attenzione, non sappiamo comprendere come si vada a cercare il sangue dei terziarj, dopo aver di- chiarato che i sintomi terziarj non sieno trasmissibili neppure per eredità; e si domandi appoggio alla tesi adducendo che II sangue della gravida trasmette al feto la lue, la morva ed il vajuolo s' innestano col sangue. Risponde il dott. Diday, che una lesione terziaria non è evidentemente sifilitica, ma possedè ancora un resto di sua origine, atto a provocare una modificazione or- ganica, cui egli appoggia la virtìi profilattica contro nuove infezioni. Ed il non apparire della lue dopo la inoculazione di quel sangue sarebbe per avventura una prova dell' operata preservazione ? Lo sarebbe se la pratica ci dicesse essere soggetto alla lue chiunque abbia ulceri primitive; e nei sedici inoculati v'ha un di più, che la cura locale fu ammolliente, poi astrin- gente e narcotica. Non v'ha chi non vegga necessarie sperlenze più nette ed estese. Ma la tesi che desta lo interessamento più prossi- mo, al paro che in altre malattie contagiose, si è clie 211 la lue costituzionale non si possa ripetere nella vita dell' uomo ; tesi emessa dal Ricord, sostenuta con fer- ma fiducia dal discepolo, il Diday; ed a segno che, se in qualche caso di sifilizzazione mancato abbia lo svolgimento della lue, tanto si volle attribuire alla legge di unicità, perchè il sifilizzato ne fu soggetto in avanti ; e d' altra parte se apparve nuovamente anche dopo anni molti, in causa di altra infezione, quella si tenne provocata e risorta, perchè non bene guarita. I pratici più avanzati nella terapia della sifi- lide soggiungono aver veduto più d' una volta nella vita dell' uomo la lue costituzionale ; che, apparsa la seconda dopo lungo intervallo e per nuove infezioni, sapevano aver curalo definitivamente la primaj e che, ammettendo nella seconda apparizione il risorgimento della prima non vinta affatto, è negare all'arte il cri- terio di guarigione compiuta, testimonio il benessere individuale confermato per una serie d'anni. Né si ac- queteranno i pratici, e domanderanno su quali fonda- menti appoggi la tesi; né basterà ad essi la fiducia volgare (dacché l'autore della tesi non dà altre ragioni), che malattie contagiose eminenti, superate una volta, salvino dalla recidiva. La quale è ben ragionevole av- venga se il corso della prima invasione sia stato impru- dentemente reciso, o la reazione individuale abbia man- cato quando era necessario operasse con tutta energia. Dunque la tesi di unicità, chiedente tuttora una solida base a sostenersi, rimane sotto all'egida (non ammessa strettamente dall'arte) d'una speranza, d'una probabili- tà, come per altre malattie derivale da causa specifica. 212 Seguono (nel Commentario letto da noi) gli speri- menti istituiti finora in Europa, i recentissimi ancora del dott. Book, prof, di clinica chirurgica a Chri- stiania, annunziati dalla Gazètte medicale, N.° 6, pagi- na 92 di quest'anno; raccolto quanto si poteva, onde l'elaborato fosse a livello delle cognizioni attuali sulla nuova dottrina. E traendo partito da tutto die forma la teoria e la pratica dei sifilizzatori, prendesi a con- siderare la essenza della sifilizzazione. E si prosegue. Sia che, inoculando, introducasi materialmente grande copia di virus, o questo in piccola o grande quantità si arresti alla regione inoculata, ne faccia che provocare, e di mano in mano accrescere un pro- cesso organo - dinamico specifico ; sarà sempre vero, nel primo caso, che una materia peregrina invaderà gl'intimi recessi dell'assimilazione, modificandone i prodotti; nel secondo caso, il processo specifico in- camminato e spinto agli estremi con 20-30-AO e piii inoculazioni, non lascierà in quiete l' insieme organi- co: lo chiamerà invece a quelle inordinate reazioni che diciamo simpatie, d'onde verranno senza dubbio modificati i prodotti che vanno a compensare le per- dite dei tessuti . Egli è vero avervi differenza tra l'azione diretta di materia peregrina mescolata ai flui- di nutrie], e la indiretta operata da lunge a mezzo dell'eccitamento vitale: ma considerato che un virus (prodotto sempre organico, e quindi destinato a risol- versi ne' suoi elementi di prim' ordine) non può resi- stere al conflitto ordinario nel processo di nutrizione, e deve influire ad uno scambio straordinario produt- 213 tore (li materiali insolili; ne verrà per conseguenza che, tx'attanclosi di malattia a fondo specifico pertur- batore, si dovrà far conto, in ultima analisi, della con- dizione in cui trovansi i tessuti organici dopo lunga lotta coli' azione di materia straniera distruggitrice (poicliè la soluzione organica finale è preparata già dal primo tocco) dell' edifizio fisiologico. Come si tro- vino i tessuti organici dopo una tal lotta, ce lo inse- gnano gli esiti del vajuolp, del tifo di Europa, d'Afri- ca, d'Asia, d'x^merica; e volendo discendere alle for- me meno facilmente pericolose, a quelli del morbillo, della rosolia, della scarlattina : de' quali morbi le in- terminabili convalescenze attesteranno lo scompiglio della crasi umorale, che avrà quiete transitoria nelle congestioni, negl' ingorghi, cause di futuri cronismi. La non è sempre così, opporranno con ragione i si- filizzatori; e persuasi che poco virus sifilitico apporti danno, molto sia utile (s'intende sempre a curare), po- trebbero anche rispondere : gli esperimenti fatti sin- ora non aver dato sinistre conseguenze. Né il tempo de- corso dai primi sperimenti, ne un cumulo apprezzabile di nozioni sugli effetti, né una diffusione degl' innesti da comprendere numerosi individui di classe e tempe- ra svariata, possono dar ragione fin qui di ciò che ne sia avvenuto; se altro morbo, o meno, siasi sostituito alla sifilide curata col nuovo metodo: ad ogni modo però, e fino a tanto che buon numero di fatti valga ad una idea legittimamente scientifica, possiamo permet- terci, se non altro, una presunzione. Il virus, inoculato in piccola o grande quantità, va nel torrente dell' as- 214 similazione, oppure si limita al sito dell' innesto, fa- cendo le veci d'un irritante; e regge il ragionamento da noi tenuto più sopra. Il virus, copiosamente intro- dotto, perde le sue qualità specifiche, ed altre ne as- sume incapaci a produrre i soliti effetti : tutto questo forse in causa d'una decomposizione e susseguente ri- composizione medicamentosa immediata, valevole a neutralizzare il processo sifilitico già formato, o di- struggerlo, come potenza caustica, ad esempio ? Non regge^ allora in massima parte il ragionamento nostro ; ed è perchè ci mancherebbero prove, e si darebbe alla nuova azione per base una ipotesi che attende realità. Diciamo non l'eggerebbe in massima parte il nostro ra- gionamento, poiché sarebbero tolti di mezzo gli effetti specifici del virus; ma rimarrebbe sempre (secondo la ipotesi) l'effetto di questa nuova azione, corrispon- dente per avventura al metodo ectrotico, di già ten- tato nel vajuolo, nella scarlattina, ec. La importan- za altissima del subbietto ci vieta stare all' ipotesi : veggano i sifilizzatori se sia possibile, oltre agli spe- rimenti compiuti, seguire per lungo tempo la vita di coloro che vi furono sottomessi, e procurare nozioni legittime a base della malleveria che si domanda in fatto di sanità pubblica e privata. Avvengachè le parole del dott. Bégin (vedi più so- pra pag. 205) sappiano un po' di epigrammatico, pos- sono servire a considerazioni gravissime. Questo virus sifilitico , universalizzalo a saturazione nel genere umano, e la estinzione della sifilide, quale preveduta conseguenza del virus diffuso, ci mette innanzi una 215 specie di equilibrio organo -dinamico, al cui difetto dovremmo attribuire la condizione passiva individuale inverso alla facoltà virulenta ; e meglio ancora la ge- nesi del virus, di qualunque specie si voglia. Diciam meglio la genesi, per assicurare chiunque non parteg- giare noi, ned avere parteggiato giammai all'idea stranissima, che i virus esistano qual semente in na- tura ; credere invece alla formazione eventuale di la- voro organico, semprechè precedano condizioni atte a sviare la fisiologia dell'organismo nel senso proprio alla formazione medesima. Il vaccino, a mo' di esem- pio, sarebbe destinato ad impedire la nuova forma- zione del virus variolico, oppure soltanto a guarentire il vaccinato dal vajuolo altrui? E rimanendo a questa seconda maniera di vedere, ornai resa volgare, crede- remmo noi che, universalizzata la vaccina in modo che veruno sia eccettuato, si vedrebbe il fomite va- ioloso ad ogni qual tratto insorgere, per mettere a prova la immunità dataci dal vaccino? A parte le questioni futilissime sulla spontaneità o meno del va- juolo ; rimossa quella farragine di argomenti sul va- juolo modificato, i quali cooperarono a confondere in- sieme i principi di tutte le scuole, teniamo semplicis- simo il dedurre che il fomite vajoloso non si trovereb- be. E riteniamo che, mettendo ogni rigore nell'atto e nel mezzo di vaccinare, la immunità dopo lungo lasso di tempo uscirebbe persino dal sospetto di essere tem- poranea; ciò che porterebbe a conchiudere, la genesi del virus variolico essere allora tolta dalla nosogenia. Un prodotto organico nuovo non può venire che dalla 216 posizione insolita degli elementi ; ed è possibile che il prodotto medesimo, inoculato in organismo non sog- giaciuto in avanti a tal cambiamento, questo induca, mantenga e propaghi, aprendo sentieri diversi alla elaborazione organica. Di queste mutazioni intime non sappiamo il confine; ignoriamo se favorevoli alla con- servazione individua, ovvero nemiche, ed a segno da ingenerare affezioni nuove, preparate da una genera- zione, trasmissibili a quelle che verranno ; la lebbra, poi la sifilide ; la scrofola un tempo ristretta, oggi diffusa ; le malattie cutanee limitate ad alcune razze ; saranno cose pur troppo arcane in nosogenia, ma col- la successione loro mostreranno mutabile V organismo nelle masse in seguito a cause universalmente diffuse. Di già, relativamente al vaccino, i signori Carnot e Bayard (Gazètte medicale de Paris, N." 28, 1 0 lu- glio 1852) hanno incominciato un esame, appoggian- dosi a dati statistici della febbre tifoidea avanti e do- po la vaccinazione ; è però manchevole d' assai il cal- colo della mortalità, e lascia desiderare notizia di cause influenti, svariatissime , sebbene mostrisi di grande rilievo l'epoca precedente il 1800, e l'altra di vent'anni dopo, ambedue prese a confronto negli spedali militari: sicché noi crediam meglio rimettere i leggitori a quel periodico. In altra occasione, e pros- sima, riepilogheremo il fin qui detto, e faremo più esteso il discorso (1). (1) Quand'io scriveva il Commentario, di cui presento il simto destinato alla Rivista, aveva già letto l'opuscolo Mémoire 217 sur le vole aàopté par VAcadémie de médecine de Paris, dans sa séance du 21 aoùt, cantre la praf«/«e de la syphilisation camme mayen prajììiylactique et camme méthode curative de la syphilis, par C. Sperino, 10 septemire 1852, Turin; e segre- gato quanto v'era di polemico, ne approfittava a mia istruzio- ne. Attesi invano la pubblicazione del parere della Reale Ac- cademia medico -chirurgica torinese, avvertita imminente dal dottore Sperino, ed a segno da presagirne l'epoca; dacché pro- mette l'opera sua maggiore sulla sifilizzazione pe'l novem- bre 1852, aussitòt que la Comviissìon, qui depuis le 26 mai 1851 a fait avec mai des éludes de syphilisation, aura présente son rapport à VAcadémie royale mèdico - chirurgicale de Turin. A' primi di marzo, colla data gennajo 1 853, si vedeva presso i nostri libraj un grosso volume intitolato La sìfdizzazione stu- fliata qual mezzo curativo e preservativo delle malattie veneree da C. Sperino {Torino, tipografia sociale degli artisti A. Pons e camp.) ; e nel proemio leggevasi che la Commissione stava per presentare il suo rapporto alla Reale Accademia di Torino. Comprendiamo il ritardamento da parte della Commissione accademica, la quale ha offerto le proprie giustificazioni nel 23 luglio p.° (Gazètte medicale de Paris 1852, pag. 507); com- prendiamo ancora la premura e la necessita nel dott. Sperino di pubblicare il fatto proprio senz'attendere il voto della Com- missione ; e nel volume teste uscito alla luce vedemmo già una lunga serie di sperimenti che bisognava far noti ai cultori e ai pratici. Quando l'Accademia torinese manifesterà i suoi lavori di esame sul centro primario di sifilizzazione in Italia, esame invocato dal dottore Sperino nel 23 maggio 1851, faremo co- noscere il parere accademico, dando in pari tempo un com- pendio dell'opera del più strenuo fra i sifilizzatori attuali. o^@@@&o 15 218 Nuovo metodo di Encke pe'l calcolo delle pertur- bazioni planetarie, applicato al pianeta Irene. — Memoria del Membro ordinario Trettenero, let- ta nella tornata 3 marzo 1853. ixllorchè si annuncia in astronomia la scoperta d'un nuovo membro della numerosa famiglia degli asteroidi, compresa fra Marte e Giove, il processo che si tiene onde giungere alla esatta determinazione de' suoi mo- vimenti è il seguente. Si comincia dal calcolare sulle prime osservazioni Forbita ellittica che meglio vi cor- risponde ; poi, col dovuto riguardo all' azione pertur- batrice degli altri pianeti, quella prima orbita si viene in ogni nuova apparizione dell'astro paragonando e correggendo colle successive osservazioni : ed in tal modo, dopo un certo numero d' anni, si arriva a sta- bilire un'orbita che per un lungo intervallo di tempo non abbisogna che della progressiva applicazione delle perturbazioni per rappresentare con sufficiente esat- tezza le posizioni osservate. Ma questo processo, così brevemente emmciato a parole, involge nel suo svi- luppo ed applicazione lunghi e laboriosi calcoli ; per cui nel rapido succedersi dei nuovi asteroidi scoperti in questi ultimi anni divenne urgente il bisogno d'una ordinata distribuzione di essi fra gli astronomi, onde evitare il pericolo che qualche asteroide occupi con- temporaneamente ed Inutilmente il tempo di parecchi 219 astronomi, e qualche altro ne resti abbandonalo: con che, se non è più temibile a' nostri tempi la perdita d'un pianeta, certo almeno ne riuscirebbe più difficile l'osservazione. Il primo impulso ad una tale distribu- zione ci venne dal eh. Direttore dell' Osservatorio di Berlino Cav. Encke, ed il celebre Argelander aggiun- se il consiglio, che anche riguardo alle osservazioni ogni asteroide venisse affidato ad uno o più astronomi in particolare. Avendo io fin dalla loro scoperta im- preso a determinare le orbite d'Irene e d'Eunomia, ho con ciò contratta l'obbligazione morale di conti- nuare finché sia necessario nel perfezionamento della loro teoria; senza però assumermi la responsabilità delle osservazioni, finché questo nostro Osservatorio non sia fornito dei nuovi mezzi che la generosità del Governo ci ha già promessi. Scopo pertanto della pre- sente lettura é d' informare l' Academia d'un mio lavo- ro testé compiuto intorno ad Irene : nel che avrò oc- casione di parlare d'un metodo proposto da Encke nel N.° 79 1 dell'Aslr. Nachr. pe'l calcolo delle perturba- zioni speciali ; metodo che sopra quello della variazio- ne delle costanti, usitato finora, accoppia i vantaggi di una maggiore semplicità, brevità ed esattezza. Irene, decimoquarto degli asteroidi per ordine di scoperta , fu trovato da Hind a Londra nel 1 9 Mag- gio 1851; e indipendentemente da Hind, quattro gior- ni più tardi dal nostro Gasparis; e fu denominato Irene da Herschel, che volle con questo nome alludere ai beneficj della pace, a cui allora nella sua patria si fe- steggiava il trionfo nel palazzo di cristallo. 220 Ben tosto lo si i^iconobbe anche in questo Osserva- torio, e si continuò ad osservarlo al circolo meridiano fino al A Luglio ; dopo di che la sua crescente distan- za dalla Terra ce lo tolse di vista. Negli Osservatori perù forniti di mezzi più potenti fu seguito per lungo tempo ancora, e segnatamente a Cambridge fino al 20 Settembre, e a Washington sino al finire di Otto- bre. In questa prima apparizione, come avviene soli- tamente, molti si occuparono tlella sua orbita: Car- rington e Pogson in Inghilterra ; G. RiJmckei', Vogel e Wolff in Germania ; Fergola ed io in Italia. Ma dopo lui primo tentativo, che per la vicinanza delle osserva- zioni fondamentali non poteva essere che una grosso- lana approssimazione , Carrington , Pogson , Wolff e Fergola abbandonarono la ricerca ; Ri'imcker e Vogel diedero successivamente tre sistemi di elementi, ma sempre partendo da tre sole osservazioni. Io calcolai quattro sistemi, l'ultimo dei quali, dedotto da cinque luoghi normali col metodo dei minimi quadrati, fu il seguente : Epoca 21,0 Maggio 1851. T. M. Greenwich. M=r:A5°35'40",57 te) — 86° 49' 3", 1 0 \ Dall'equinoz. medio T = 1 78° 48' 46, 99 j dell'epo"- -; = 9°6'40",08 (P = 9°42'19",4T ^ = 853", 8749 Z. a = 0.4124081 221 Tulle le osservazioni da me conosciule fino allora, cioè fino ai 20 Seltembre, erano benissimo rappresen- tate ; quando piii tardi mi pervennero quelle di Was- hington, protratte a tutto Ottobre, trovai in queste lo stesso accordo. Per cui senz'altro mi diedi a calcolare le perturbazioni di Giove e di Saturno, per trasporta- re quegli elementi alla futura opposizione dell'astro, e preparare un'effemeride che servisse di guida agli os- servatori. I nuovi elementi perturbati e la relativa ef- femeride vennero publicati nelle Astr. Nadir. N. 80T. La prima osservazione d'Irene nella nuova appari- zione fu fatta a Cambridge il 9 Luglio p. p., ed ebbi il conforto di trovarla diversa dalla posizione calco- lata di soli A" circa di tempo in AR, e circa 25" in declinazione : le osservazioni ulteriori confermarono questo risultato. Una sì piccola differenza tra il calcolo e l'osserva- zione parca rendere superflua per ora una correzione agli elementi; ma riflettendo che il pianeta dall'epoca della scoperta fino alle ultime osservazioni del 1852 non ha compiuto per anco una terza parte della sua rivoluzione eliocentrica, ho temuto che l'errore degli elementi, piccolo adesso, potesse divenire eccessivo fino all'opposizione futura; e perciò mi determinai a correg- gerli. Sventuratamente in questa seconda apparizione il pianeta fu poco osservato. Io non so d'altre osserva- zioni, che di Cambridge, di Durham, dJ Liverpool, di Berlino e di Padova. Le osservazioni di Berlino sono tre sole ed isolate; quattro sole quelle di Padova; ed anche queste per la distanza dell'astro che si trovava 222 verso l'afelio, e per la debolezza del nostro equato- riale così incerte, ch'io credetti prudente consiglio at- tenermi per la formazione dei luoghi normali alle sole osservazioni inglesi. I due luoghi normali che ne ricavai sono relativi al 12,0 Luglio e 12,0 Settembre 1852: v'aggiunsi poi altri quattro luoghi, risxdtanti dalla pri- ma apparizione; che tutti tradotti all'eclittica, all'equi- nozio medio del 21,0 Maggio 1851, e al T. M. di Greenwich, mi risultarono i seguenti: 91 n M • iQt;-. ^ ^ = 24ri8'/,0",10 2i,0 Maggio 1851 |^^^^09,^g„^?22 21,0 Luglio 1851 I ^^^^24'OV^^^ 19,0SettembJ85lj^-^^;^,';,^^^^^^^^^ 25,0 Ottobre 1851 ^^=2_63:^^^^^^^^^^^^^ 19 OT .V 18^9 i ^ = 350° 14' 27", 62 12,0 Luglio 1852 |^^_^o°37'38",OT 49 n« M . 4cro^ Z = 340°38'19",16 1 2,0 bettemb. 1852 j 13°l/'57" 87 Per dedurre da questi luoghi l'errore del primi ele- menti ellittici bisognava anzi lutto dal movimento rea- le del pianeta levare l'effetto delle perturbazioni, onde averne il moto ellittico puro; e ciò feci col paragona- re ai suddetti luoghi non gli elementi primitivi diret- tamente, ma sì gli elementi osculatori relativi ai tempi dei luoghi noi'mali, avuto riguardo all'azione perturba- 223 irice (li Giove e di Saturno. Questo confronto mi diede pe'i primi elementi i seguenti errori: 1851. 21,0 Maggio 21,0 Luglio 19,0 Settemb. 25,0 Ottobre 1852. 12,0 Luglio 12,0 Settemb. 1.0- ■ C + 0", 66 + 0, 35 + e, 05 + 2, 82 — 63, 68 — 84, 72 X.0— c + 0",18 — 1, 69 4-7, 58 + 2, 50 — 9, 24 -1-5, 33 Ogni errore, sia in longitudine che in latitudine, somministrando un'equazione di condizione fra le cor- rezioni degli elementi, n' ebbi perciò 1 2 equazioni li- neari fra le sei correzioni incognite, che sciolte col metodo dei minimi quadrati mi diedero le seguenti correzioni : AM=-|-35",64; A7r=:— 1' 51",40; Attì=4-3",16; A;=:=-{-0",38 5 A(?j = +36",34; A^= + 0", 0313576. Al 5° luogo fu attribuita soltanto la quinta parte del peso dato agli astri. Per cui gli elementi ellittici divengono : Epoca 21,0 Maggio 1 851. T.M. di Greenwich. M=: 45^ 36' 16", 21 où = 86° 49' 6", 26 ) Equinozio medio 7r= 178° 46' 55", 59 ) deirepoca. '/=:9°6'40",46 9°42'55",81 : 853", 90626 /.a = 0.4l23975 224 Gli elementi osculatori che ne tlipendono mi diede- ro questi piccoli en'ori residui: Long. Lat. 0 — c 0 — c 21,0 Maggio — 0",67 + 2", 71 21,0 Luglio — 1, 71 — 1,73 19,0Settemb. + 2, 65 + 7,47 25,0 Ottobre -f 0, 48 + 1,97 12,0 Luglio -\- 4, 88 — 1,71 12,0Settemb. — 0, 13 — 1,40 Gli elementi osculatori per l'ultimo luogo 1 2,0 Set- tembre 1852 sono i seguenti: Epoca 12,0 Settembre 1852. T. M. di Greenwich. M=159°33'58",43 ft)z=86°48'55'', 84 J Equinozio medio 7r = 178° 43' 19", 02 5 21,0Mag.1851. i z= 9° 6' 42", 62 (P= 9° 41' 54", 05 i. a — 0.4123482 |M= 854, 05 1847 Partendo da questi ultimi calcolai l'effemeride per la prossima opposizione futura, che avrà luogo il 26 No- vembre 1853, tenendo conto delle perturbazioni di Gio- ve e Saturno in questo intervallo col metodo di En- cke, che qu\ brevemente esporrò. Se dicansi x,y,z le tre coordinate rettangole di un pianeta rapporto al centro del Sole, ed r il suo raggio vettore, è noto che la determinazione del mo- 225 vimento ellittico del pianeta dipende dalla integrazio- ne delle tre equazioni di 2.° ordine df ' r;^ ' df ' rj 0; df + C ' dove K è la costante di Gauss. Invece se rappresen- tiamo per P, Q, R le forze perturbatrici parallele ai tre assi, per x, y, z, r le coordinate e raggio vettore del movimento perturbato, la determinazione di que- sto dipenderà dalla integrazione delle tre equazioni d^ X /r n dir cioè dalle stesse equazioni del moto ellittico, modifi- cate dall'aggiunta dei termini esprimenti le forze per- turbatrici. Il primo sistema di equazioni è esattamen- te integrabile. Al secondo sistema si può soddisfare con integrali della stessa forma, purché in essi gli ele- menti dell'orbita non si assumano quali costanti asso- lute, ma come funzioni del tempo ; e nello sviluppo delle variazioni degli elementi, dipendentemente dalle forze perturbatrici, consiste il metodo così detto della variazione delle costanti , usitato finora pe'l calcolo delle perturbazioni planetarie. Ora questo sviluppo, quando si voglia tutta l'esattezza, incontra insormon- tabili difficoltà nel caso di orbite che abbiano sensibile eccentricità ed inclinazione all' eclittica, come ha luo- go per gli asteroidi ; ed anche dentro al limiti d'una 226 difici^eta approssimazione riesce sempre assai luugo, penoso, difficile. Ecco invece la via più diretta e più breve, additata da Encke. Se si prende la differenza tra le equazioni differenziali del moto perturbato e quelle del moto ellittico, le nuove equazioni che ne risultano riescono immediatamente integrabili per qua- dratura. Infatti chiamando a, ^, y le differenze tra le coordinate perturbate e le ellittiche, i primi membri delle nuove equazioni potranno ridursi d'oi d^B d^^ df ^ de "^ df ' e i secondi membri con facili sostituzioni diverranno funzioni delle coordinate del corpo perturbante, delle coordinate ellittiche del perturbato, e delle correzioni di queste, cioè di a, /3,y, le quali acquistano anche sempre piccoli coefficienti. Cominciando adunque dal trascurare nei secondi membri i valori di a, ^,'y, si otterrà colla doppia integrazione un primo valor pros- simo di queste correzioni, col quale si potranno cal- colare più esattamente i secondi membri ; e quindi ri- petendo r integrazione, raggiungere più esatti valori, e cosi via fino all'esatta determinazione di a, ^, y. Quest' ultimo calcolo è mirabilmente semplificato ed abbreviato mercè le formule per la doppia integrazio- ne impiegate da Encke : formule date in origine da Gauss , dimostrate da Encke nel Berliner Jahrbuch per l'anno 183T, e delle quali avrei qui tenuto più lungo discorso, se non avessi saputo che il eh. Prof. Bcllavitis, che di fresco è giunto, indipendentemente 227 da Encke, ad analoghi risultati in una Memoria di prossima pubblicazione, ricorderà, e certo meglio che non avrei potuto farlo io, il lavoro di Encke. Mi ac- contenterò dunque di osservare che in quel metodo d'integrazione, diviso il tempo fra cui si estende l'in- tegrale in un certo numero d'intervalli eguali, la de- terminazione dell'incognita per un tempo qualunque si può con molta approssimazione far dipendere non dal valore della funzione differenziale corrispondente all' epoca stessa, ma solo dai valori delle differenziali per gì' intervalli precedenti : con che il processo di successiva approssimazione, superiormente accennato, riesce uniforme e speditissimo. Le stesse formule per- mettono poi di calcolare immediatamente i valori del- l'integrale anche pe'l mezzo degl' intervalli, per cui con una facile interpolazione se ne ottiene il valore per un istante qualunque, compreso fra i limiti del- l'integrale generale. Ottenute in tal guisa le correzio- ni delle coordinate ellittiche, basterà aggiungerle a queste col proprio segno, per avere in ogni tempo la vera posizione del pianeta nello spazio. Questa maniera di calcolare le perturbazioni parve così semplice e diretta allo stesso Encke, ch'egli esitò lungamente prima di pubblicarla, sembrandogli quasi impossibile che nessuno l'avesse trovata prima di lui. E difatti prima di lui l'aveva trovata Bond in Ameri- ca, il quale ne informò Encke con una lettera privata, non già con una pubblica rivendicazione di priorità, la quale, dicea Bond, sarebbe stata indegna di entram- bi ; esempio di rado imitato. Hansen e Briinow in Ger- 228 marna estesero il metodo di Enckc al calcolo delle cor- rezioni delle coordinate polari. Dirò adesso com'io abbia applicato il metodo al mio caso particolare. Essendo arbitraria la scelta degli assi, bo preso per piano fondamentale l' eclittica, per asse delle X la linea condotta dal centro del Sole all'equino- zio medio di primavera pe'l dì 21 Maggio 1 851; le j positive dalla parte delle longitudini crescenti, le z positive se dirette verso il polo boreale dell'eclittica. Partendo dal 12 Settembre 1852 fino al 25 Genna- Jo 1 85/j, bo calcolato di 40 in 40 giorni le coordinate ellitticbe d'Irene e le forze perturbatrici di Giove e Saturno, prendendo le posizioni di questi pianeti dal IVaut. Almanac; quindi per gli stessi intervalli le cor- rispondenti equazioni differenziali, in cui bo assunto per unità alle correzioni delle coordinate ellitticbe la sesta cifra decimale, cioè il millionesirao della distan- za media della Terra dal Sole. In questo modo colla doppia integrazione ottenni la correzione delle coor- dinate di 20 izi 20 giorni, e quindi coli' interpolazio- ne di due in due giorni dal 1.° Ottobre 1853 fino al .20 Gennajo 185A, cioè per circa due mesi prima e dopo l'opposizione. Ciò fatto, calcolai pure di due in due giorni fra gli stessi limiti le coordinate ellitticbe del pianeta, e colle correzioni applicate ne ottenni le coordinate del moto perturbato. Cosi determinata di due in due giorni la vera posizione eliocentrica d'Ire- ne, altro non mi restava che passare alle posizioni geo- centriche. Computate dunque di due in due giorni le coordinate eliocentriche della Terra, e trasportala pò- 229 scia r origine delle coordinale dal centro del Sole a quello della Terra, ne dedussi tosto le coordinale sfe- riche d^ Irene rapporto all' eclittica ; le quali poi col- r applicazione della precessione e nutazione riferite all'equinozio apparente, e tradotte finalmente all'equa- tore, mi diedero colla interpolazione la seguente effe- meride di giorno in giorno, in cui non è compreso l'ef- fetto dell' aberrazione. (Sefjiie V Effemeride) 230 ^ 1 1853-54 Log. T.M. AR Declinazione | Distanza di Greenwich dalla Terra Ottobre 1,0 4h 44'42' ',75 -)-15°47'28' ,1 0.3419557 2,0 44 53, 08 47 37, 3 3,0 45 1, 87 47 45, 0 0.3366263 4,0 45 9 ,12 47 51, 0 5,0 45 14, 81 47 55, 6 0.3313144 6,0 45 18, 92 47 58, 7 7,0 45 21, 45 48 0, 5 0.3260296 8,0 45 22 39 48 0, 7 9,0 45 21, 71 47 59, 8 0.3207814 10,0 45 19, 43 47 58, 0 11,0 45 15, 51 47 55, 0 0.3155788 12,0 45 9, 94 47 50, 7 13,0 45 2, 74 47 45, 5 0.3104312 14,0 44 53, 91 47 39, 2 -15,0 44 43, 42 47 32, 1 0.3053488 16,0 44 31, 28 47 24, 1 17,0 44 17 46 47 15, 3 0.3003398 18,0 44 1 98 47 5. 6 19,0 43 44 82 46 55, 3 0.2954170 20,0 43 25 , 99 46 44, 3 21,0 43 5 48 46 32, 7 0.2905904 22,0 42 43 28 46 20, 4 23,0 42 19 , 41 46 7, 7 0.2858731 24,0 41 53 87 45 54, 5 25,0 41 26 67 45 41, 0 0.2812772 26,0 40 57 , 80 45 26, 9 27,0 40 27 , 29 45 12. 7 0.2768156 28,0 39 55 . 13 44 58, 1 29,0 39 21 , 37 44 43, 5 0.2725019 30,0 38 45 , 99 44 28 6 31,0 38 9 , 06 44 13 8 0.2683502 231 1853-54 Log. T. M. AR Declinazione | Distanza di Greenwich dalla Terra Novembre 1,0 4''37'30 ',56 + 15'43'58' ',9 • 2,0 36 50, 55 43 44, 2 0.2643748 3,0 36 9 00 43 29, 5 4,0 35 26 04 43 15, 2 0.2605888 5,0 34 41 61 43 1, 1 6,0 33 55 84 42 47, 4 0.2570053 7,0 33 8 69 42 34, 2 8,0 32 20 23 42 21, 2 0.2536365 9,0 31 30 49 42 9, 0 10,0 30 39 54 41 57, 4 0.2504948 11,0 29 47 44 41 46, 5 12,0 28 54 20 41 36, 5 0.2475906 13,0 27 59, 87 41 27, 4 14,0 27 4 54 41 19, 1 0.2449345 15,0 26 8 22 41 11, 7 16,0 25 11 , 00 41 5 4 0.2425369 17,0 24 12 92 41 0 3 18,0 23 14 , 04 40 56 , 4 0.2404055 19,0 22 14 41 40 53, 8 20,0 21 14 , 10 40 62 7 0.2385504 21,0 20 13 19 40 53, 0 22,0 19 11 72 40 55, 0 0.2369773 23,0 18 9 77 40 58, 5 24,0 17 7 39 41 4, 0 0.2356943 25,0 16 4 66 41 11, 1 26,0 15 1 67 41 20, 4 0.2347065 27,0 13 58, 52 41 31, 7 28,0 12 55 24 41 45, 3 0.2340161 29,0 li 51 91 42 1, 1 30,0 10 48 60 42 19, 5 0.2336264 232 1853-54 Log. T. M. AR Declinazione Distanza di Greenwich dalla Terra Dicembre 1,0 4'i 9' 45", 40 + 15°42'40",3 2,0 8 42, 40 43 3, 9 0.2335374 3,0 7 39, 69 43 30, 2 4,0 6 37, 29 43 59, 5 0.2337474 5,0 5 35, 28 44 31, 6 6,0 4 33, 77 45 7, 0 0.2342540 7,0 3 32, 83 45 45, 5 8,0 2 32, 52 46 27, 4 0.2350503 9,0 1 32, 91 47 12, 7 10,0 0 34, 05 48 1, 6 0.2361314 11,0 3'>59 36, 00 48 54, 1 12,0 58 38, 86 49 50, 3 0.2374890 13,0 57 42, 65 50 50, 3 14,0 56 47, 45 51 54, 2 0.2391140 15,0 55 53, 29 53 2, 0 16,0 55 0, 25 54 13, 9 0.2409977 17,0 54 8, 37 55 29, 8 18,0 53 17, 69 56 50, 0 0.2431297 19,0 52 28, 28 58 14, 4 20,0 51 40, 16 59 43, 2 0.2454999 21,0 50 53, 39 + 16° 1 16, 3 22,0 50 8, 01 2 53, 9 0.2480968 23,0 49 24, 07 4 36, 0 24,0 48 41, 57 6 22, 8 0.2509096 25,0 48 0, 62 8 14, 2 26,0 47 21, 20 10 10, 3 0.2539250 27,0 46 43, 35 12 11, 1 - 28,0 46 7, 12 14 16, 6 0.2571313 29,0 45 32, 53 16 27, 0 30,0 44 59, 62 18 42, 2 0.2605143 31,0 44 28, 39 21 2, 5 233 1853-54 Log. T. M. AR Decimazione Distanza di Greenwich dalla Terra Gennajo 1,0 3h43'58",88 + 16°23'27", 7 0.2640610 2,0 43 31, 10 25 57, 6 3,0 43 5, 07 28 32, 3 0.2677569 4,0 42 40, 79 31 12, 0 5,0 42 18, 30 33 56, 6 0.2715883 6,0 41 57, 58 36 46, 1 7,0 41 38, 66 39 40, 3 0.2755423 8,0 41 21, 55 42 39, 4 9,0 41 6, 20 45 43, 2 0.2796051 10,0 40 52, 66 48 5i, 7 11,0 40 40, 91 52 4, 8 0.2837649 12,0 40 30, 96 55 22, 4 13,0 40 22, 78 58 44, 7 0.2880098 14,0 40 16, 40 + 17° 2 11, 7 15,0 40 11, 80 5 43, 1 0.2923285 16,0 40 8, 97 9 18, 8 17,0 40 7, 91 12 58, 8 0.2967112 18,0 40 8, 61 16 43, 1 19,0 40 11, 05 20 31, 7 0.3011493 20,0 40 15, 23 24 24, 4 Qjpao:^ 16 234 Risulla r opposizione dell' astro ai 26 Novem- bre 1853 a 9h9'6",6 T. M. di Greeuwicli. Compiuto il calcolo, e considerato il nuovo metodo da un punto di vista esclusivamente pratico, si può credere eh' esso fra poco farà abbandonare totalmente l'antico metodo delle variazioni delle costanti, e per- chè assai più breve, e perchè più semplice, rende me- no probabili gli errori ; e perchè in fine in quella cor- rezione continuamente progressiva delle coordinate è implicita l'influenza delle potenze superiori delle mas- se perturbatrici, d'onde un'esattezza non mai raggiun- gibile col metodo antico. Il Cav. Encke spera di poterlo estendere anche al caso delle perturbazioni generali. Sulla utilità del premio nella educazione pubblica e privata. — Memoria del Dott. G. A. Galvani, Socio corrispondente. — Seconda lettura della tornata 3 marzo 1853. li aiitoie intende che gli allievi debbansi abituare ad un premio, che sia tenuto non come ricompensazione di studio, ma quale manifestazione di benivoglienza e gradimento ; ed è allora che il premio conduce seco vantaggi. Ad ogni opera innana bella ed onesta non solo è lecito, egli dice, ma dicevole un guiderdone j e 235 conviene nella educazione pubblica e privata : e sic- come nel guiderdonare importa moltissimo il mezzo, questo è d'uopo si scelga, onde convenga e profitti. Sono questi i tre cardini principali del discorso mo- rale tenuto dal nostro Socio corrispondente. Accorda egli la compensazione del bene operare a chi bene opera, il quale può anche rinunziare al premio ; ma trova obbligatorio il premiare per parte della società e de' rappresentanti suoi : e lasciando i generali argo- menti, ci conduce passo passo alle specialità che ri- flettono la educazione. Tocca la educazione trattata fra le pareti domestiche ; risponde alle obbiezioni che potrebbero insorgere sul premiare; accenna al potente stimolo della emulazione; e si diffonde sopra tutto in esempi tratti da popoli diversi, i quali non solo con- fessarono col fatto la necessità del premio, ma pensa- rono ad eternare il mezzo di ricompensazione per qualunque oggetto vi avesse che riguardasse il bene sociale ed il merito di chi vi si adopra. Da questi esempi, che sembrerebbero sviare il discorso dalla meta precipua, la educazione, vengono tratti invece elementi di molto valore a provare come la educazio- ne debba essere animata al progresso, e come questo si ottenga col premiare gli allievi distinti, e mostran- do ai medesimi l'affezione di chi è preposto a edu- carli. L' autore si occupa finalmente della qualità del premio ; ed applicando alle classi diverse di studio un libro di preferenza e di confronto ad altri mezzi destinati al premiare, indica, secondo egli pensa, gli autori più adatti, mentre riprova la scelta di altri, i 236 quali o non sarebbero intesi dall' allievo, o nuocereb- bero alla intelligenza sua,' non esercitata per anco alle discipline chiedenti età provetta. LIBRI OFFERTI VS DONO ALL'ACCADEMIA. (Continuazione del Catalogo a pag. 177.) Alihandlnnscn der K. K. Geologìschen Reìchsanstalt. «lahrbtich der K. K. Geolog. Reìchsanstalt. Schlass der herausgabe der Naturwissenschaftlìchen ab- handlungen von W. Haidinger. Der crstc Band der abhandlungen der K. K. geolog. Reìch- sanstalt von W. Haidinger. Orazione letta nel solenne Ossequio reso dall' I. R. Univer- sità di Padova al prof. ab. Giuseppe Barbieri. Trcviisan B. A. cav. prof. Sulla provenienza del bianco dei ; grappoli sopra viti malate di picchiola. 1852. Delle Erisifée, ed in particolare di quella eh' è causa generante l'attuale epifitia delle viti. 1852. Sulla origine delle alterazioni che osservansi alla su- perficie delle parti verdi nelle viti affette dal bianco dei grappoli. 1852. Cittadella Luigi Napoleone. Descrizione d'un dipinto in porcellana. Ferrara 1853. -o^5S@g^o- 23T Saggio di una classazione naturale dei Licheni. — Memoria I. Sulla tribù delle Patellariee. — Letta nella tornata del I T Marzo dal Socio ordinario cav. prof. V. Trevisan. Inter inferiores plantas semper ad statum primitivum attendendum. Fries, Lichen, europ. reform. pag. 282. A taluno, il quale a fondo conosca le tante vicende della Lichenologia dal principio di questo secolo sino a' nostri giorni, il dissenso tra' suoi cidtori e la confu- sione presente, potrebbe putire di soverchia temerità e titolo e assunto di questo scritto. Nel vero somma- mente ardua e dllicata impresa si è quella d' una ri- formazione del sistema lichenologico, principalmente fondata sui caratteri delle spore ed altre parti di frut- tificazione. Nondimeno incedo fidente, non nelle pro- prie forze, che so pure quanto sieno pusille, ma nel- r effetto immancabile di quella luce che da Strasburgo ha principiato a diffondersi, e a mano a mano ha di- radate e sperderà le nebbie di molte menti. Già nella tornata del 27 marzo 1851 (Della sup- posta identità specifica dei Licheni riuniti dallo Schaerer sotto al nome di Lecidea mlcrophylla) io aveva richiamata l'attenzione dell'Accademia sopi'a questo argomento, e strettomi attorno al vessillo dis- piegato dal Féc, rialzato dal De Notaris ; vessillo di 238 ribellione a' dettami del Fries e di quel Scliaerer, di cui lamentiamo la recentissima perdita ( 5 febbrajo p. p.). Al nuovo appello scese animoso nel difficile agone un terzo Italiano, l'accademico nostro straordi- nai'io dott. Massalongo; il quale, colla publicazione di 400 figure rappresentanti a notevole ingrandimen- to le spore e gli ascili di altrettante specie o varietà di licheni, rese un vero servigio alla scienza (^Ricer- che suW autonomìa dei Licheni crostosi. Verona nel- Tanuo 1853, in 8.°) Il Saggio presente è un estratto parziale d'un va- sto lavoro, a cui da lungo tempo dedico gli ozj pres- soché esclusivamente, nel quale intendo trattare mono- graficamente de' generi tutti appartenenti alla classe de' licheni. Ma poiché alla molta estensione dell'argo- mento mal si affarebbe un sunto , fosse pure affatto sommario, per una sola comunicazione, divisai meglio trattare^ in altrettante separate Memorie, d'ogni sin- gola tribù naturale. Ciò che fornito una volta, sarà agevole raccogliere le sparse fila, e trarne generali considerazioni. Avverto di regola, non avere tenuta parola se non che di quelle specie le quali possedo nel mio ricchissimo erbario, e sottoposi da me stesso al microscopio, solo in rarissimi casi avendo fatta ecce- zione per una qualche specie, le cui parti della frutti- ficazione furono da recente scrittore diligentemente descritte e figurate: così pure, quanto alla storia ed alla limitazione de' generi, non avere discusse se non che le opinioni dei pochissimi autori, i quali ammi- sero fra i caratteri generici più essenziali un'identica 239 organizzazione delle spore in tulle le specie del me- desimo genere. Io prendo inlanto le mosse dalle Patellarìee, tribù che sotto tal nome proposi sino dal 185J (vedi i Nuovi Annali delle Scienze naturali di Bologna, Se- rie III. Tomo III. pag. 458) pe' licheni Parmeliacei Glnnocarpi crostacei discocarpi con disco orbicolare e col talamio contenuto da escipido tallode ; nella quale attualmente comprendo quindici generi: Patellaria, Acarospora, Callopisma, Mischohlastiay Bérengeria, Gyalolechia , Icmadophila , Divina , Lepadolemma , Gompliospora, Ectolechia, Urceolaria, Antrocarpum, Vulvaria e Gyalecta. Riunisco nel genere Patellaria tutte le specie for- nite normalmente di otto spore uniloculari con nucleo omogeneo : nella sola Pat. scrupulosa il loro numero sale da 1() a 24 ; nella Pat. calcarea riducesi ordina- riamente a 4 ; nelle Pat. viridescens, lundensis e ci- nerea varia da 4 a 6; nelle Pat. mutabilis e cinera- scens da 6 ad 8. Il prof. Massalongo spartisce buon numero delle specie da me riferitevi in sei generi, che addomanda Lecanora, Fsoroma, Placodium, Ochrole- cìiia , Aspicilia , Pachyospora; acquali avrebbe per certo aggiunto un settimo per la Pat. aipospila. Sof- fermiamoci alquanto intorno alle cagioni d'un tanto dissenso. Imprendendo una riforma della Lichenografia euro- pea, il celeberrimo Fries ricordava altamente « voler- n si una riformazione, e non già una rivoluzione. » Questo vero non potrà mai venire dimenticato da' se- 240 guaci di Fée, i quali non saprebbero del pari scordar- si un istante la base di quel metodo che i Jussieu eb- bero la gloria d'introdurre e naturalizzare nella scien- za ; vo' dire la subordinazione dei caratteri, o, con al- tre parole, l'importanza relativa degli organi. Ora sia che, a giudicare dell'importanza relativa degli organi della fruttificazione dei licheni, onde subordinarne i caratteri per una classazione naturale, si consideri l'importanza delle funzioni degli organi medesimi ; sia che se ne argomenti dal grado di generalità degli or- gani stessi nell'insieme di questa classe di crittoga- me, od infine dalla loro maniera di formazione ; sem- pre trovansi in prima linea le spore, in seconda gli aschi e le parafisi od aschi sterili, in terza l'ipotecio, in quarta l' escipulo. Sappiamo che l' importanza teo- rica di ciaschedun organo si misura secondo la sua propria importanza, e secondo quella della categoria alla quale esso appartiene. Così per un classificatore gli organi della nutrizione sono moltissimo meno im- portanti di quelli della riproduzione. Che si direbbe di quel botanico, il quale avvisasse di separare gene- ricamente la Paeonia officìnalis dalla P. Moutan solo perchè l'una ha cauli erbacei, l'altra fruticosi? Quin- di, lasciata pe'l momento da banda la questione del- l'importanza attribuibile per la distinzione delle tri- bù dei licheni al tallo centripeto o centrifugo, foliaceo o crostaceo ; le secondarie modificazioni del tallo cro- staceo, ora uniforme, ora del tutto o parzialmente sfi- gurato, per certo non potranno da per sé sole valere a distinguere solidi generi nella medesima tribù, 2M quando i caratteri della fruttificazione non concorres- sero ad appoggiarne la separazione. Cosi le Pat. simi- laris e lentigera non possono genericamente allonta- narsi dalla Pat. infiala, né questa dalla hadia e dal- Yaira: per lo stesso motivo la Bérengeria oreina do- vrebbe costituire un genere a parte. La grandezza assoluta d'un organo è carattere di pochissimo interes- se, che non importa se non per la distinzione delle specie : le spore della Pat. viridescens sono appena maggiori di quelle delle Pat. scutellaris e polygonia. Lo stesso è a dirsi delle lievissime differenze nel loro nucleo: la Pat. elacista ha il nucleo granuloso, come nelle Pat. parella e tartarea ; la Pat. upsaliensis omo- geneo, come nella Pai. afra. Anche l'inserzione de- gli apotecj sul tallo, secondochè sono immersi, innati, adnati, sessili od elevati, è carattere di scarsissimo va- lore, quando identica essenzialmente sia l'intima orga- nizzazione delle spore : dalla Pat. crassa ed atra alla radiosa ed infiala, da queste alla rupicola, alla scu- tellaris, alla cinereo -rufescens, alla lundensis, alla verrucosa, spesso i passaggi sono insensibili. Non di- versamente avviene dei rapporti dell' ipotecio colla la- mina proligera; così l'essere questa sovraposta ad uno strato gonidifero od agonimico è circostanza di po- chissimo momento, mentre non è raro il caso di rin- venire nello stesso individuo apotecj, specialmente vec- chi, ne' quali lo strato gonimico sottolaminare fu rias- sorbito, misti ad altri con ipotecio gonidifero. Né mi dilungo a parlare del colore della lamina proligera, dell'essere questa marginata od imraarginata, della 2A2 forma degli ascUi, di quella delle parafisi e del loro colore, delle piccole differenze, assai spesso prove- nienti da aborto più o meno costante di alcuna di es- se, nel mimerò delle spore da specie a specie, perchè tutti questi sono caratteri generici di affatto seconda- rio valore. Più importante è la composizione dell'esci- pulo, il quale ora è affatto omogeneo ed esclusiva- mente tallode, come nelle Pat. crassa e suhfusca; ora neirinterno modificasi più o meno profondamente, co- me nelle Pat. friahilis, elacista, coarctata, polytropa, ed altre. Talvolta, come nella Pat. Dufourii, lo svi- luppo dello sti'ato corticale di un escipulo perfetta- mente tallode arrestasi in guisa che, continuando r escipulo a crescere, questo risulta discolore, e pre- senta l'aspetto di un escipulo proprio. Fui lunga- mente in forse se dovessi seguire l' esempio del Cav. di Flotow (in Linnaea XXII. pag. 364), ammetten- do il genere Zeora, però ristretto alle sole specie for- nite di spore uniloculari con nucleo omogeneo, per le Patellarie con apotecj, com'egli li chiama, biformi, e con escipulo composto; per quelle, cioè, nelle quali lo sviluppo dello strato esteriore ed assolutamente tal- lode dell' escipulo arrestasi ad un'epoca determinata, mentre lo strato più interno e maggiormente modifi- cato del medesimo escipulo protrude al disopra del primo, di tal maniera che gli apotecj ora pajono cinti da escipulo tallode e veramente patellariacei, ora da escipulo proprio e biatorinl. Ma da ultimo parvemi migliore consiglio non accettare una tale separazio- ne, fatto riflesso che mai l'escipulo tallode obliterasi 243 totalmente all'esterno dell' apotecio, o nell'interno modificasi sì fattamente da lasciare in forse sulla ge- nerica classazione del lichene esaminato, per cui giam- mai per il diligente osservatore n' è possibile la con- fusione con una vera Biatora; alla frequente insensi- bile graduazione de' passaggi ; alla perfetta uniformità di organizzazione nelle spore di tutte le specie che oggidì presento riunite nel genere Patellaria, il quale perciò parmi nel suo insieme quanto altro mai natu- ralissimo e distintissimo. Aggiungi , che l' identica raorfosi incontrasi negli apotecj di altri generi di que- sta medesima tribù, come nei Callopisma e nelle Bé- rengerie, oltreché in quella delle Parmeliee. Lo smi- nuzzamento soverchio de' generi, quando questi non riposino sopra note caratteristiche di un alto valo- re (1), è sempre più dannoso che utile al progresso reale della scienza; a cento doppj poi più pernicioso allorché trattisi d'una radicale riforma: nel qual ca- so non solamente s' hanno a combattere pregiudizj profondamente radicati, e talvolta pure le puerili schi- filtà d'un malinteso amor proprio, ma ci conviene at- tendere con ogni possibile sforzo ad adescare gì' in- certi e i ritrosi colla chiarezza delle definizioni, colla precisione de' caratteri, colla facilità del metodo. Primo ad usare la denominazione Patellaria fu l'Ehrhart, proponendo con essa distinguere (fino dal- (1) Perciò pure riunisco nuovamente all'antico genere Col- lema quelli Mallotium e Stephanophorus, stralciatine da Flotow (vedi i miei Caratteri di tre nuovi generi di Collemacee, Pado- va 1853). 244 l'anno 1T85) un nuovo genere, fondato sul Lichen upsaliensis di Linneo. Conservando adunque il nome Ehrhartiano per quella tribù del suo genere Parmelia, che comprendeva questa specie e le altre ad essa le- gate per istrettissima affinità, come la tartarea, suh- ■fìisca ed atra, giustissimamente osservava il Fries (^Lichen, europ. reform. pag. 131): IVisi omnem histo- riae auctoriiatem et naturae convenientiam violare velis, aia generi aut tribui Patellariae nomen impo- nere haud licet. Fra tutte le varie denominazioni ge- neriche imposte a' licheni che riunisco nel primo ge- nere, trascelgo pertanto la più antica ; e tanto più vo- lentieri, dacché l'Eudlicher (Gener. piantar. n.° 381) ha di già proposto chiamare Lecanidion V omonimo precedentemente stabilito dallo stesso Fries (System, mycol. II. pag. 138) tra' Pirenomiceti, ed oggidì am- messo senza contestazione. Accennai testé al nessun valore, come carattere ge- nerico, delle piccole differenze nel numero delle spore da specie a specie, per cui, a modo di esemplo, non può essere staccata dalle sue naturali congeneri la Patellaria calcaria, perchè d'ordinario ne ha quattro ; né la Patellaria scrupulosa, perchè ne ha sedici a ventiquattro; il Gallopisma candelarium, perchè ne porta ventiquattro a treutasei ; la Bérengeria sopho- des, perchè n'è fornita di quattordici a venti. Nelle Acarospore invece gli aschi contengono parecchie cen- tìnaja di minutissime spore uniloculari, e quindi que- sto genere figura tra' più naturali e megUo distinti. Comprendo nel Gallopisma tutte le specie a spore 245 uniloculari, nelle quali la cellula protoplasmica (0, anziché aderire senza discontinuazione all'interna su- perficie della endodermide, come nelle Patellarìe e nelle Acarospore, assume nelle prime età una figura analoga ad uno di que' cannelli del ripieno che s'infi- lano nel fuscello della spola per uso del tessere. In esse cioè la cellula protoplasmica presentasi dappri- (1) Avendo institulta numerosa serie di sperimenti nella mira di rischiarare possibilmente le dubbiose questioni atti- nenti alla formazione delle spore dei licheni, alla loro com- posizione, ed alle leggi che presiedono alla metamorfosi delle spore semplici in spore composte, comunico intanto alcuni ri- sultamenti sommar] delle mie osservazioni, ad intelligenza di quanto esposi parlando de' generi Callofisma e Misclioblastia. Le spore d'ogni lichene . presentano invariabilmente quattro parti distinte : una sporodermide, una endodermide, una cel- lula protoplasmica, ed un nucleo. La loro formazione avviene sempre nella maniera medesima. Nel protoplasma dell'asce se- gregasi dapprima un nucleo che a mano a mano diviene più distinto, ed in breve rivestesì di una sottile membrana cellu- lare: sopra questa in seguito deponesi una seconda cellula, e su essa da ultimo una terza. Io chiamo cellula protoplasmica la prima, endodermide la seconda, sporodeimide l'ultima. L' endo- dermide in ogni specie ed in ogni epoca aderisce tenacemente alla sporodermide, sicché senza assai potenti mezzi aggrandi- tivi non è spesso possibile distinguere l'una dall'altra. La spo- rodermide costantemente non subisce modificazioni se non nel colore: dapprima è sempre affatto translucida ed incolora, ma da idtimo in certe specie diviene fortemente colorata e quasi opaca. Tutte le spore pluriloculari sono da principio unilocu- lari: tutte quelle che da ultimo sono longitudinalmente bi- tri - quadri - pluriloculari, divengono tali per introflessione del- l'endodermide ; sicché la cellula protoplasmica di ogni loro loculo trovasi racchiusa entro una distinta eiulodermide. Pre- sto ritornerò dettagliatamente sopra questo argomento. 246 ma divisa in tre parli bene distinte, di cui le due maggiori stanno alle opposte estremità della spora, hanno forma di una mezza sfera colla superficie meno arcuata rivolta verso il centro della spora stessa, e so- no insieme riunite da una maniera di briglia assile or- dinariamente cilindrica e molto sottile. Più tardi que- sta briglia viene riassorbita dai due nuclei polari, per cui la spora apparisce bilocidare; ma realmente essa giammai è divisa da un tramezzo trasversale, come nelle vere spore a due loculi, cioè, per esprimermi pili propriamente, formansi due distinte endodermidi. Negli apotecj dei Calloplsma incontransi tutte le medesime modificazioni di organizzazione e d'inser- sione proprie delle Patellarie. In parecchie specie Tescipulo presenta la stessa morfosi delle Zeore, in al- tre ripotecio acquista considerevole sviluppo. Non di rado sopra lo stesso individuo, per esempio di Callo- pisma ferrugineum, Tescipulo di alcuni apotecj ri- scontrasi affatto tallode; in altri gli strati escipulari interni sono più o meno modificati fino a simulare un esclpulo proprio ; in altri infine questi strati modifi- cati protrudendo da ultimo al disopra degli strati este- riori immutati, la lamina proligera sembra recinta da un mero escipulo proprio, e vestono realmente le sem- bianze di una vera Biatora : però non n'è mai possi- bile la confusione. Il Gali, arenarium ha d'ordinario quattro a sei spore per aborto ; il Gali, lamproclteilum spore allungatissime, e sino a nove volte più lunghe del diametro; in quelle deWocìiraceum la briglia assile della cellula protoplasmica ha forma di fuso, anziché. 24T come nelle altre specie, di cilindro, e solo per isbagllo fu detto che questa specie possiede spore quadrilocu- lari. Il tallo è ora sfigurato, ora uniforme. E perù ten- go questo genere non meno naturale de' precedenti, abbeuchè fosse stato diversamente circoscritto dal cav. De Notaris, ed il dott. Massalongo ne avesse riferite alcune specie alle sue Physcia e Gandelaria, mentre con altre compose i nuovi generi Blaslenia e Fyreno- desmia. L'anello di congiunzione tra le Patellariee a spore uniloculari e quelle con spore biloculari è indicato dal genere M.ischohlastia, nel quale la cavità della spora è bipartita in seguito alla formazione di due di- stinte endodermidi, come nelle Bérengerie, mentre la cellula protoplasmica primitiva s'avvicina al tipo dei Callopisma. Dapprima la spora è veramente unilocu- lare, e la cellula protoplasmica riscontrasi del tutto conformata come nei medesimi Callopisma, con due nuclei polari riuniti da una briglia assile. Più tardi l'endodermide introflettendosi, e quindi spartendosi in due, la briglia si rompe ; ma non venendo essa pron- tamente riassorbita dai nuclei, ognuna delle due cel- lule protoplasmiche, che ne risultano, presenta d'or- dinario la forma di una mezza sfex'a irregolare, alla cui superficie piana, cioè a quella rivolta verso il dia- framma della spora, aderisce colla base un piccolo cono. Da ultimo foudonsi insieme l' emisfera ed il co- no, e la cellula protoplasmica stendendosi riempie la cavità del loculo rispettivo, come appunto nelle Bé- rengerie. 248 Non mi dilungherò intorno a' generi Bérengeria ed Icmadophila, ambedue con spore biloculari, i quali altra volta proposi da questo medesimo luogo (27 mar- zo 1851); ne su quello Dirina, nettamente determi- nato. Le Bérengerie furono teste spartite dal Massa- longo in due generi, Gyalolechia e Rinodina, fondan- done la distinzione sul colore delle spore e sulla mor- fosi dell'escipulo. La Ber. candìcans ha le spore tras- parenti come nelle sue Gialolechie, e l' escipulo delle Rinodlne. Forse potrebb' essere tuttora disputabile se il solo colore , per esempio paglierino o fuligineo, possa bastare a differenziare dei solidi generi ; né l'illustre De Notaris (Memorie della Reale Accade- mia delle Scienze di Torino, Serie IL Tom. XIL pa- gina 1 44) avvisò per questo separare in due generi le Slitte. Nulladimeno separo attualmente dalle Béren- gerie, a cui io le aveva in precedenza riunite, le spe- cie fornite di spore ialine, alcune delle quali servi- rono a tipo del genere Gyalolechia. Sino dal 1T85 T Ehrhart {Blant. crypt. Dee. IIL n. 30) aveva indicato il Lichen ventosus (Linn.) sic- come tipo di un nuovo genere, pe'l quale pose innan- zi il nome Lepadolemma. Le specie che vi apparten- gono s' avvicinano alle Dirine pe'l numero de' loculi, ed anche un poco per la forma delle loro spore ', ma lo strato carbonaceo, a cui sta sovraposta la lamina proligera, rende impossibile lo scambiare quest'ultimo genere con verun altro. CoW Icmadophila aeruginosa hanno comune la forma allungata-fiisiforme delle spo- re; forma però che volge all'ovale nei Lepadolemma 249 rubrum e diploloma. Io riferisco senza esitazione a questo genere la pr-ima delle due specie citate, la quale non può riunirsi alle Gyalecta ne pe' caratteri delle sue spore, né per la provenienza degli apotecj dal tallo, e non già dall' ipotallo. Le Gomphospora sono egregiamente distinte per la singolarissima configurazione delle spore di quattro a cinque loculi, di cui uno notevolmente più ampio de- gli altri è fiancheggialo per una parte da un solo lo- culo minore e rotondeggiante, per l'altra da due a Ire loculi che si vanno assottigliando verso l'estremità della spora; la quale perciò risulta foggiata quasi a guisa di breve clava, colla più grossa estremità co- stantemente rivolta in su, cioè verso l'apice del- l' asco. La Biatora Phyllocharis, descritta dal Montagne, presenta tali caratteri, per cui riesce impossibile il riferirla ad alcun altro genere; e però oggidì ne pro- pongo uno nuovo per essa col nome Ectolechia. La lamina proligera è composta di soli aschi, mancando- vi del tutto le parafisi, i quali contengono una spora, rarissime volte due, veramente massima per grande numero di sottili tramezzi trasversali e longitudinali, divisa da idtimo in moltissimi piccoli locidi. Non co- nosco altro lichene ginnocarpo crostaceo se non la Brigantiaea Mariae, nuovo genere e nuova specie del Capo di Buona Speranza, di cui publicherò la descrizione nella prossima rivista della tribù delle Lecideine, che sia fornito di spore moltiloculari dì un tanto volume, contenute dentro aschi monospori. 17 250 Ma l'escipulo HeW Ectoleclu'a è affatto talloile, quello della Brìgantìaea esclusi varaente proprio: di più, l'ul- tima è fornita di parafisi capillari. Lo stesso piano ge- nerale d'organizzazione delle spore si ripete nei quat- tro generi, di cui restami ancora a parlare, Urceola- ria, Antrocarpum, Volvaria e Gyalecta, co' quali si chiude la serie delle Patellariee. Il cav. De Notaris {Giorn. Botan. lial. , anno S.** Tom. II. Parte I. pag. \ 80) limita il genere Urceola- ria di Acharius alle sole specie a spore pluriloculari co' loculi uniseriali, escludendone quindi tutte quelle con spore uniloculari, che dal 185j ho riferite alle Patellarie, e per le quali quest' anno il prof. Massa- longo propose i suoi due nuovi generi Àspicilia e Pachyospora. Però le spore di ogni vera Urceolaria giunte a perfetta maturità sono moltiloculari, in causa di tramezzi tanto longitudinali, quanto trasversali. Al genere così ristretto riunisco l'altro P/iZjc/i5^ fondato dal WallroUi, ed ora riproposto dal medesimo Liche- nografo veronese. Le spore irregolarmente ovali-allun- gate subacuminate delle Phlyctis agelaea e spiloma- tica sono dapprima divise da parecchi tramezzi tras- versali, e da ultimo le cellule protoplasmiche, intro- flettendosi anche in direzione longitudinale, risultano spartite in assai notevole numero di loculi. Non di ra- do l'ultimo loculo all'estremità della spora, in seguito ad una prima divisione trasversale di questa, non si suddivide ulteriormente nella direzione longitudinale, mentre avviene l' opposto nel loculo che immediata- mente sussegue; per cui l'apice della spora presentasi 251 sotto forma acuminata. Ma questa forma non è costante nelle spore d' uno stesso asco, anzi nemmeno in una medesima spora ; una estremità della quale spesso pre- sentasi acuminata, mentre l'altra segue la curva d'un solido ovale. Talvolta le spore delle TJrceolarie scru- posa ed ocellata presentano identiche varietà di figura. Nelle Urc. agelaea e spilomatica l'escipulo è dapprima chiuso, poi irregolarmente lacero - deiscente ; né per questo solo la Patellaria caesio-alba potrebbe venire disgiunta dalle sue naturali congeneri. Ad ognuno so- no notissime le facili leggi che seguono i talamj nel loro progressivo sviluppo. Pressoché tutti da princi- pio sono chiusi e più o meno perfettamente nucleifor- mi ; sempre persistono nucleiformi ne' licheni Angio- carpi; mutansi da ultimo in disciforrai ne' licheni Gin- nocarpi : ne' quali quando lo stato nucleiforme è si presto transitorio, che la lamina proligera fino da' pri- missimi momenti non presentasi chiusa, né connivente pe' margini, li diciamo talam] primitivamente aperti. Però fra i talamj primitivamente chiusi e primitiva- mente aperti de' licheni Ginnocarpi vano sarebbe il cercare un limite evidente e preciso; né per questo ca- rattere unico veruno s'attenterebbe spartire generica- mente una parte delle Patellarie, dei Callopisma, delle Bérengerie, dall' altra. Il genere Antrocarpum con minimi termini potreb- be benissimo definirsi col dire eh' è ima Urceolaria con escipulo doppio, la cui lamina proligera rimane, sino ad avanzatissimo grado di sviluppo, velata dal- l'escipulo interiore. Da principio gli apotecj sono ver- 252 riicheformi,c l'esclpulo esteriore affatto talloJe e chiu- so: in breve questo apresi all'apice, e da ultimo ricin- ge la lamina proligera non diversamente che in una Urceolaria ; sicché ne risultano apotecj iirceolato-scu- tellati con margine intero. La lamina proligera, la quale prestissimo diviene disciforme, prima ancora che r escipulo tallode si apra, resta ermeticamente racchiusa dentro l'escipulo interiore; e questo da ul- timo lacerasi superiormente, ma non obliterasi, men- tre gli irregolari frastagli perdurano avvizziti al di sopra del disco. Ij' Anirocafpum lepadinum da poco fu rettamente riferito dal Fries {Summ. Veget. Scand. pag. 109) ai licheni Ginnocarpi, a' quali senza dub- bio alcuno appartiene, abbenchè ancora da qualche recente scrittore meno felicemente si ascriva agli An- giocarpi. Tipo del genere Volvaria è il Lichen clausus (Hoff- mann, Enum. Lichen, pag. 48, 1784), a torto riu- nito pure dallo Schaerer nello stesso genere coll'^n- trocarpum, da cui, come altresì dalle Gyalecta, in ogni caso si allontana moltissimo per le sue spore sempre longitudinalmente quadriloculari. Questo ge- nere Volvaria fu proposto dal De Candolle (^Flor. Frane. IL pag, 373) poco tempo dopo al Thelotrema di Acharius (^Method. Lichen, pag. J30, 1805), di cui si è per lungo tempo creduto sinonimo ; ed il quale dev'essere ristretto alle sole specie che, come i Thelotrema Bonplandiae, microporum, ec. , hanno gli apotecj veramente ostiolati e le spore sempre longitudinalmente quadri - seiloculari . De Notaris 253 (^Giorn. Botan. Ital.^ anno 3.° Tomo IL Parte I. pa- gina 1 82) aveva già richiamata l'attenzione sulla dif- ferenza grandissima tra Vulvaria (« con sporidj qua- driloculari a logge uniseriali ))) e Gyalecta (« nelle quali le logge veggonsi suddivise per de' tramezzi con- dotti nella direzione dell'asse degli sporidj »); avver- tendo di non avere esaminato il Thelotrema lepadì- num, che, secondo Fée (Supplem. à V Essai sur les Gryptog. des écorc. offic. pag. 88), presenterebbe i ca- ratteri della Volvaria, mentre realmente ha le spore organizzate affatto come quelle di una vera Gyalecta. E però senza necessità Fries {Summ. Veget. Scanditi. pag. 1 20) propose pe'l Lichen clausus II nuovo nome generico Petractis^ dappoiché quando codesta specie deve, come credo, costituire un genere a parte, questo genere, né per certo alcun altro, non può con altra de- nominazione chiamarsi, se non con qiiella Volvaria. Una seconda specie del medesimo genere, dietro pure gli esemplari favoritimi dallo stesso autore, è senza dubbio alcuno il lichene descritto fra gli Angiocarpi, e figurato dal prof. Massalongo col nome Thelotrema gyalectoides. Tutti i precedenti licheni portano apotecj prove- nienti dal tallo; nel genere Gyalecta W invece sempre provengono dall' ipotallo. Questo genere però legasi di strettissima affinità aWAntrocarpum ed alle Urceo- (1) Montagne (Aperc. morphol. de la fain. des Lich. pag. 10) colloca presso il genere Gyalecta la Gassicurtia di Fée, eh' io non conosco se non per la descrizione e la figura datane da quest' ultimo. 254 larie per la identica organizzazione delle spore ; ed è in vero di meraviglia come sia tuttora riferito talvolta ai licheni Angiocarpi, dai quali la morfosi de' suoi ta- lamj lo allontana le mille raillia. Termino con una protesta che feci altra fiata da questo luogo, e desidero oggidì valga una volta per tutte. Spaziando sopra nuovo terreno, guidato da ben diversi propositi, forse ad ogni pie sospinto m'è giuo- coforza disvelare una menda, abbattere qualche por- zione dell'altrui edifizio. Io non intendo in veruna maniera deprimere I lavori de' Lichenologi che mi pre- cedettero, alcuno de' quali resterà sempre monumento durevole e riverito nel libero dominio della scienza. E per citarne uno solo, la classica Liclienografia euro- pea dell'illustre Fries, in cui tale è un tesoro di os- servazioni e di erudizione da non saperne abbastanza desiderare la novella edizione, che l'autore da lungo tempo promise. Del resto, non dimentichiamo giammai come la critica sana ed onesta giovi ed affretti il pro- gresso vero delle scienze ; come la critica appassiona- ta, freddamente sistematica, di cui pur troppo non andò smarrito il mal seme, lo inceppa e per poco lo ammazza. 255 PRODROMUS SYSTEMATIS I\ATURALIS rATELLARlEARU.H SuLtribiis I. Callopismeae, * — Apothccia e ihallo oriunda. Gen. I. PATELLARM, Ehrh. (1785) — Apolliecla superficialia vel immersa, excipulo thallode re- cepta. Asci 4-8- vel rarissime 1 6-24- spori, paraphysibus obvallati. Sporae ovoideae, uni- loculares, pellucidae, nucleo liomogeneo. — Thallus crustaceus effignratus vel nniformis. Subgen. I. Placodium. — Thallus effìguratus. Sect. 1. Euplacodium. — Apothecia sessilia, scu- tellata. Thallus squamoso - imbricatus effìgu- ratus vel ambitu radioso-lobatus. ì. Paf. frustulosa, * (Lichen frustulosus, Dids.) 2. Pat. similaris, * ( Psora similaris , Hoffm. — Urceolaria Lamarckil, De Cand.) 3. Pai. henacensis, * (Psoroma benacensis, Mas- sai.) ^K Pat. gypsacea, * (Lichen gypsaceus, Smith) 5. Pat. crassa, * (Lichen crassus, Huds.) 6. Pat. Dufoimi, * (Parmelia Dufourii, Fries) 7. Pat. lentigera, * (Lichen lentigerns, Weber) 8. Pat. friahilis, * (Lichen friabilis, Vili.) 9. Pat. concolor, * (Lecanora concolor, Ramond) — Asci elongato-clavalj, 8 -spori; paraphyses 25G apice iucrassatae flavescentes. Spoi'ae ova- tae, pellucidae, miniitae. 1 0. Pat. muralis, * (Lichen miualis. Sdir eh. 1771. — Lichen saxicola, Pollich 1777.) ìì. Pat. albo- puh erulenta, * (Placodiiim albo- piilverulentiun, M.assal^ 12. Pat. albescens,* (Psora albescens, Hof/J/t. — Lecanora Flotowiana, Spreng! Neue Ent- deck. ì. pag. 221. — Parmelia Flotowiana, Spreng! Syst. Veget. IV. 1. pag. 294.) 13. Pat. Reuteri, * (Lecanora Reuteri, Scliaer.) — — Asci clavati, 8-spori; paraphyses tenuis- simae, apice fuscescentes parce incrassatae. Sporae ovatae, pelKicidae. 1^1. Pat. gelida, Achar. — Asci elongato-clavati, 8-spori 5 paraphyses tenuissimae, capillares, hyalinae. Sporae ovato - elongatae, normali- ter subseriatae, pellucidae. Sect. 2. Psorodium. — Apothecia innata, prinii- tus siiburceolata, deraum adpressa scutellata. Thallus centro areolato - verrncosus, ambitu radioso - lobatiis. 15. Pat. inflata, * (Lichen inflatus, Schleich.} 1 6. Pat. deusta, * — P. thallo crustaceo aduato, subtus nudo, badio-fumoso-nigresceute, tar- tareo ; ambitu dilutiore radioso, laciniis li- nearibus multifidis stellato - imbricatis ; cen- tro areolato-verrucoso, plicato-rugoso : apo- theciis innatis, deraum adpressis amplis; di- sco badio-nigricante o- 272 aggiunta alla Noia del Cav. Santini, letta nella tornata 13 gennajo 1853, ed inserita in questo stesso fascicolo alla pag. 1 79 nsque 1 86, Non Istimando opportuno di entrare nei particolari di questo esempio, che si troveranno nella Nota ori- ginale, porremo fine col riferire gli elementi ellittici finali, ai quali l'autore è pervenuto, che concordano con quelli dei signori Schònfeld e Thormann, riferiti nelle Notizie astronomiche di Altona, e rappresen- tano lodevolmente il complesso delle osservazioni finora insti tuite. Anomalia media ai 29,5 Giugno 1853, T. M. di Berlino. = 284". 13'. 44",3 Longitud. del Perielio = 15°. 10'. 33",7 del Nodo = 150 . 0. 4,7 Inclinazione == 10 . 9. 12,6 Angolo di eccentricità == 12. 32. 20,2-, Log. e =: 9.3366662. Log. semiasse magg. == 0.3610548 Moto diurno medio sid. = 1019", 5870. 273 SfìJuta straordinaria irci 21 iHar^o 1853. O innalzerà in Vienna un tempio votivo a ringraziare Iddio pe'l prodigioso salvamento di S. M. I. R. Ap. dalle mani dell' assassino nel giorno nefasto 1 8 feb- brajo 1853. Alla edificazione contribuì il suo obolo la I. R. Accademia di Padova offerendo la somma di aiistr. lire 150 (cencinquanta). Il Cassiere le ba ver- sate nella I. R. Cassa il dì 25 Marzo. Fu voto pressoché unanime dell'Accademia che la giornata di giovedì e l'ora vespertina delle sedute ordinarie non convenissero, e fosse di grande vantag- gio una mutazione, lasciando poi allo sperimentato accorgimento del Presidente il determinare. Il Presi- dente ba creduto frattanto opportuno destinare la do- menica e la prima ora dopo il mezzogiorno j con die si avrebbe, pe'l secondo semestre, la riformazione a quanto era statuito sino dal principiare dell'anno alla pag. 159 del fascicolo, come segue: -10 Aprile. Bellavitis. i9 Giugno. Cittadella Gio- i.° Mag-gio. Maggi. vanni. 22 — Sonato, 3 Luglio. Mugna. 5 Giugno. De Visiani, 10 — Tukazza. E siccome il numero delle 1 4 sedute già annun- ziate nella Rivista (vedi pag. 154. 159), colla rifor- mazione fatta, mancherebbe d'una; questa, serbando 274 il consueto intervallo da una seduta all'altra, potrà ordinarsi dalla Presidenza in una delle domeniche di luglio dopo quella del 10. Per ultimo, l'Accademia ha considerato che la Ri- vista periodica, distribuita gratis ai Membri ordinarj, può essere data ugualmente ai Socj straordinarj e corrispondenti che frequentano le sedute ordinarie ; fu definito, per conseguenza, che, ad ogni pubblica- zione di fascicolo, si troverà sul tavolo della Presi- denza un dato numero di esemplari ed un foglio per annotare la consegna di mano del Socio che si pre- senterà a ricevere l'esemplare destinato a lui. -<.^3@g&o- lìVDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL FASCICOLO PRIMO DEL 1852-53. ffestlei*. Sulle differenze essenziali delle febbri e delle infiam- mazioni Pag. 161 Sautini. Riflessioni intorno al calcolo delle orbite planetarie die- tro osser\'azioni geocentriche » 179 Aggiunta » 272 De Zlgno. Sui terreni jurassici delle Alpi venete ....)) 187 Sponsia. Sul cholera in Polonia nel 1851 -1852 » 199 Sulla nuova dottrina della sifilizzazione .... » 202 Trcttenero. Nuovo metodo di Encke pe'l calcolo delle pertur- bazioni planetarie applicato al pianeta Irene .-....» 218 Galvani. Sulla utilità del premio nella educazione pubblica e privata » 234 Trevisan. Saggio di una classazione naturale dei Licheni. Memo- ria I. sulla tribù delle Patellariee ....•....-)» 237 APPENDICE. Libri offerti in dono all'Accademia . . . i . Pag. 160. 177. 236 Destmazione dei Membri ordinarj alle letture, e giorni assegnati alle medesime per l'anno accademico 1852-1853 . ...» 159 Nuove aggregazioni » 201 Seduta straordinaria 21 Marzo 1853 (motivi tre) .... » 273 I nr. RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA L R. ACCADEMLl DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinarj della Sezione di Medicina, G. F. Sposgia. Gtt«lte^tte tctp e ciiiatto # U^-'-^ t.'*»"*! PADOVA VEK F. A. SICCA E FIGLIO ni'OGRAFI DELLA I. R. ACCADEMIA RIVISTA PERIODICA DEI liVORI DELIA I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinarj della Sezione di Medicina, G. F. Spongta. Cnmestte tetto e quarto Scf 4 8 5 2-53. PADOVA fER r. A. SICCA E FIGLIO TIPOGRAFI DELLA I. n. ACCADEMIA Rivista periodica dei lavori deiri. B. Accade- mia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova. — Trimestre terzo e quarto 1 852 - 53. Comunicazione del Membro ordinario prof. Bella- viTis, fatta nella tornata 10 Aprile 'J853. (Pri- ma lettura del secondo semestre.) N el Giornale intitolato Nouvelles Annales de Ma- thématiques par Terquem, Tom. XI. 1 852, pag, 400, è proposto il problema: Trovare il piano che forma dato angolo colla fondamentale, e che ha le tracce che comprendono angolo dato. — Lo si può trasformare nel seguente: Dato sul piano orizzontale l'angolo ASB, determinare la retta S(G) che abbia data in- clinazione all'orizzonte, e che si trovi colle date SA, S B in due piani fra loro perpendicolari. Dimostriamo da prima, che se per le rette fisse SA, S B passino due piani fra loro perpendicolari, il luogo geonietl'ico delle loro intersezioni S(C) è un cono speciale, le cui sezioni circolari sono perpendi- colari alle generatrici iS^^ S B. Il piano coordinato verticale sia perpendicolare allo spigolo SA, per lo che la traccia verticale del suddetto cono sia il circo- lo ^c 5 col diametro AB sulla fondamentale j sieno 280 SAc^ SBc le tracce eli clue piani che dobbiamo tli- mosti'are perpendicolari. Dal pxinto e, appartenente alla traccia del cono, s'imaginlno condotte le perpen- dicolari a quei piani; Fangolo-^cB, perchè inscritto in mezza circonferenza, è retto ; ne viene che la per- pendicolare al piano SA e sarà la retta cB projettata sulla fondamentale C JS^ e la perpendicolare al piano SBc sarà projettata verticalmente nella e A; quindi il suo piano projettante, nonché la retta slessa, sarà perpendicolare alla predetta (C B^ e B). Il problema sarà risolto dalla intersezione {SG) del predetto cono con un cono rotondo, il cui asse verti- cale passa pe'l comune vertice S. Ogni piano orizzon- tale taglia il secondo cono in un circolo, il cui raggio dipende dalla data inclinazione della S(C) sull'oriz- zonte; e taglia il primo cono in un' iperbola, i cui assintoti sono projettati sulle SA, SB: perciò l'asse primario sarà projettato nella SE, che divide per me- tà r angolo ASB. Sia E il punto dove quella retta incontra la fondamentale, ed e il punto corrispondente del circolo A cB, e consideriamo la sezione fatta nel primo cono dal piano orizzontale condotto pe'l punto (e); questa iperbola avrà il semiasse primario eguale a SE, eà il semiasse secon ^ Si scorge da ciò facilmente: ') .° Che le variazioni delle differenze di livello al- la fine d'ogni semi -oscillazione sono sensibilmente proporzionali al quadrato della differenza di livello, ossia del carico al principio della oscillazione me- desima. 2° Che le differenze delle predette variazioni stanno invece sensibilmente nel rapporto dei cubi de' carichi stessi. In quanto al tempo, sviluppando la (G), e ricor- dando dover essere t z=. 0 per x :=! a, avremo : ^h Ci II 1^ I e ^1^ 30j I 00 00 est ^|C5 l« I ^l*:^ t^^ + |0 rH 00 + 4lC) 00 1^ + m 00 00 loo / M + fO o + tri cr» _loo + 302 Dalla quale ricaveremo il tempo di una semi-oscil- lazione, essendo la differenza di livello al principio della stessa eguale ad a, ponendo in luogo di a — x la quantità 22 ^4aN^ , ) 135 \z>/ ) Si scorge facilmente che il tempo t dipenderà da a e da 06, cioè : 1 ." Le oscillazioni non saranno isocrone. 2.° Il tempo d'una oscillazione non è indipen- dente dalla resistenza, come asseiù il Venturoli. IV. Discussione deW ipotesi^ in cui si siippon- yono le resistenze proporzionali alla semplice ve- locità. Se si suppone la resistenza proporzionalo alla sem- plice velocità, sarà oc = o. e la (e) si ridurrà alla d'x 4/5 dx 2g ^ ^ de D dt i Questa ha per integrale completo x = \ A. cos. t. Y. 1^ -f B. scn. i.y. ^U Vi Vi D 303 dove è y V 23M 2^ eà A e B sono le due costanti arbitrarie. dx Siccome pei- f m 0 dev'essere x ■= a e — rzO, ^ dt cosi sarà A = a « JB = 2/3 Z?T a. i/2g d' onde (M) 05 :=: a 323 Saggio di una Geografia per servire alla filosofia (Iella storia. Memoria del Socio corrispondente dott. Giuseppe De Leva. — Terza lettura del- la tornata 22 Maggio 1 853. In uu Saggio di filosofia della storia, clie ebbi già l'onore di comunicare a codesto illustre Corpo scien- tifico, io mi studiai di scoprire il vincolo interno die lega tra di loro i popoli tutti di storica importanza ; e parmi averlo trovato in quella parte che ciascun po- polo prese allo svolgimento delle forme sociali per soddisfare con ordine graduale ai pubblici bisogni, eh' è quanto dire allo sviluppo del principio per cni esiste il mondo morale, allo sviluppo della dignità umana : onde, procedendo non altrimenti dal geologo cbe congiunge i climi mediante le gradazioni delle li- nee isotermiche, e dal botanico che raggruppa le pian- te relativamente alla loro fisonomia ed alla tinta par- ticolare che danno al paese ; mi riesci facile, attorno a quel principio, siccome a perno, stringere insieme le proprietà etnografiche le più diverse, conformemente al colore particolare die ricevettero dall' idea domi- nante, di cui la vita tutta d'un popolo fu l'espres- sione fedele. Ma questa vita non cade solo nel tempo, è assai più limitata nello spazio ; e perciò io era tratto a ri- cercare, se il principio particolare che ogni popolo sente in sé, lo avesse parimenti come una determina- 324 zione tklla natura; o se la terra, 11 teatro di esso prin- cipio e degli avvenimenti corrispondenti, potesse al- meno agevolarmi la loro spiegazione. Già Riiter, nelle sue prenozioni alla geografia del- l'Asia, si propose la ricerca degli eccitamenti esterni, o dipendenti dalle condizioni naturali, sullo svlluppa- mento spirituale dei popoli : ma il grand' uomo ha pure presentito, che a determinare le proprietà etnografiche non avea fatto ancor tutto ; gli restava cioè di com- piere alcune ricerche comparative in un campo non meno fecondo, qual si è quello degli stimoli interni e spirituali, indipendenti dalle condizioni esteriori, e che pur hanno gran parte allo svolgimento storico dei popoli e degli Stati. E questo presentimento appunto, più che altro, gli valse l'onore di aver primo elevata la Geografia a dignità di scienza, dirò meglio di aver poste le fondamenta ad una filosofia della medesima ; comunque nel resto non abhia fatto che procedere sul- le traccle già segnate nella teoria dell'influenza della natura, del suolo e del clima dall' immortale autore dello Spirito delle leggij dal vero fondatore della filo- sofia dell' istoria. Non c'è scienza di natura sperimentale, che non pos- sa soddisfarsi d'un presentimento, d'una ipotesi a punto di partenza; ed io assumo confidente quello di Bitter, e Insieme il carico e la sicurezza di verificarlo colle applicazioni. La natura quindi, posso dirlo sin da principio, es- sendo ordinata per l'uomo e per lo sviluppo delle in- genite disposizioni, non può altro che promuovere il 325 processo della sua storia ; e s' essa d' altra parte è morta, o non ci parla altrimenti che con un linguaggio simbolico, ne consegue, tutt'altro che potersi leggere la storia di un popolo in tutto il suo rigore dal suolo che occupa, esser possibile soltanto il contrario: vale a dire, di leggere e intendere le cifre geografiche colla chiave della storia medesima, come un pezzo di mu- sica col soccorso del testo corrispondente che inspirò il compositore. Ma nel tempo stesso, se la storia reale si manifesta sul Campo geografico siccome sua base naturale, è chiaro non meno che quest'ultimo, la terra, dovea esser nel piano della creazione prestabilito in conformità alla stessa manifestazione della storia in generale e de' suoi singoli periodi in particolare. Gli è dunque in una parola, senza tornare ai sofismi di Campanella e di Montesquieu, l'armonia prestabilita tra la storia e il globo terracqueo, tra i suoi singoli periodi e i singoli paesi nei quali si parte la terra, che forma oggetto delle presenti mie ricerche. Eitter stesso descrive con perfetta indifferenza tutta la terra, come se tutte le sue parti fossero di eguale importanza per lo scopo finale, avessero presa egual parte nella storia dell'umanità, E dovea farlo, poiché ancora non s'era proposto di eccedere i limiti di una semplice descrizione del globo terracqueo. Ma chi di quella vuol fare suo studio solo in quanto giova al- l'intelligenza della storia, vede bene di quanta impor- tanza ed utilità gli torni, per accorciarsi la via, il prija- cipio da me assunto, qual si è di porre la storia a fondamento della Geografia, e non viceversa. Imperoc- 22 326 che se la storia nega ronnipotenza del clima e le vir- tù misurate ai gradi di latitudine, ella pur c'insegna die nelle zone troppo calde o troppo fredde non può esserci terreno pe'i popoli veramente storici, perchè l'acquisto della libertà morale, da cui dipende V inci- vilimento, non dev'essere reso difficile dalle forze na- turali; e perciò in virtìi del principio medesimo, aven- do in mano un critex-io per escludere molti paesi dal movimento della storia del mondo, si può affermare una volta per sempre, esser le zone temperate, e più assai la parte nordica delle medesime, il vero teatro della Storia dell'umanità, e quindi il punto centrale della vita geografica. Le forze naturali dei boschi primitivi, delle rupi, delle acque non ancora infrenate nel loro corso, dei deserti e delle piogge tropiche, esercitano ancora, lo so, tutta la loro influenza soltanto sull'uomo mezzo selvaggio; mentre l'uomo incivilito, a poco a poco si scioglie dai lacci della natura circostante e della sua ter- ra natale. Ma non per questo sorgerà dubbio in alcuno, che anche lo stesso sviluppo della civiltà, lo stesso an- damento della cultura non sia condizionato alla forma della superficie terrestre, a certe plastiche condizioni dalle quali dipende la conformazione e lo spartimen- lo dei continenti, alla elevazione degli altipiani alla estensione orizzontale delle steppe e dei deserti, al corso dei canali, alla ramificazione delle vallee, ai tratti delle oasi, allo sviluppo delle coste. Si pensi all' Egitto , a quella lunga striscia di terra fertile che si allarga al Nord a ventaglio, e giace in mezzo a deserti, irrigato 327 (la quel fiume che Erodoto chiama operoso, ed è la ve- na vitale del suo territorio; e sarà facile persuadersi che senza ricorrere alla Geografia, e alla natura e conformazione del suolo, sarebbe impossibile la solu- zione di un solo tra i molti enigmi che la sua storia ci presenta per rispetto al carattere ed alla cultura della nazione. Ma oltre a queste dipendenze dalle condizioni or- ganiche della natura, la specie umana appare eziandio in un rapporto speciale col regno vegetabile. Se la formazione della crosta petrosa della terra, delle roc- ce o dei minerali vuoisi indipendente da tutte le in- fluenze climateriche ; per lo contrario la natura e il carattere della vegetazione, la flora del paese è in ogni luogo condizionata alla misura del suo calore solare. Mentre gli abitatori della zona calda vivono dei frutti degli alberi pittoreschi, in quella vece le specie dei frutti di Cerere circondano le sedi dei popoli set- tentrionali. E chi considera che l'esistenza della crea- zione animale poggia sull'esistenza delle piante; che il fi'utto, Il tronco e le foglie delle medesime assicurano all'uomo il soddisfacimento de' suoi primi bisogni di alimento, vestito e tetto ; trova ben naturale la connes- sione geografica tra la distribuzione dei vegetabili sul- la superficie della terra e l'andamento dell'umana cul- tura. Ai confini del mondo asiatico delle palme noi ve- demmo la sede della più antica civiltà, il punto cen- trale della nostra storia. I cespugli del banano, che sono l'ornamento delle umili contrade, circondano le 328 capanne dell'abitatore del Nilo egualmente che le ope- re colossali della sua architettura. Quel campi feraci tra l'Eufrate e l'Indo, tra il Mar Caspio e il golfo Persico, ne' cui altipiani che li limitano dalla parie orientale gli antichi miti asiatici posero l'Eden, sono in vero a considerarsi quale un giardino opportuna- mente collocato dalla natura per somministrare all'Eu- ropa i più preziosi prodotti vegetali. Ma il mondo vegetale non serve soltanto agli ester- ni bisogni; è anche in un secreto e costante commer- cio colla vita interna dell'uomo. Quanto diversa è l'im- pressione che ci fanno le frondi dei nostri boschi e l'aspetto del paese delle palme. Chi non si sente, dice Alessandro de Humboldt, diversamente modificato nel- le oscure ombre dei faggi, o sulle colline coronate di abeti, o sui campi erbosi ove il vento sibila tra le frondi tremanti delle betulle ? Non risuona egualmente la lira del poeta tra le lande nebbiose della Scozia e sotto il cielo sereno della Jonia, o la vampa del sole tropico al Gange. A non parlar di molte arti belle che riconoscono le prime imagini e l'espressione pittoresca dalle forme delle piante, dai loro aggruppamenti in ar- monia 0 in contrasto colle forme del terreno e le cir- costanze dei monti, e dalle gradazioni de' loro colori; dirò soltanto che l'architettura antica portò sempre r impronta di una idea estetica in cui si riflettono le intuizioni della natura. Nelle opere artistiche degli antichi Messicani, Giavanesi, Cinesi e Giapponi, s' in- contrano ad ogni tratto le forme dei coralli, i ser- penti, le conchiglie, e le piante selvaggie di quelle con- 329 trade. L'archilei tura indiaua ed arabica accenna alle sottili palme dell'Oriente, T egiziana alla quadrata sovrairaposizione delle masse montuose dell'Egitto su- periore ; la tedesca antica alle querele d'alto fusto e ai faggi della sua patria. Non lungi dalla fonte Castalia, tra le erme rupi del Parnaso, facea di sé pompa, "vici- no all'Oracolo di Delfo, l'alloro sacro ad Apollo ; e la forma di quest'albero rivive negli ordini delle colonne dei Greci. Le vòlta del cielo che poggia in Oriente sulle vette del Caucaso, è sostenuta all'Occidente dalle aeree spalle dell'Atlante, a' cui piedi nuotano le beate isole delle Esperidi sull'Oceano che le cinge; e die- tro questo tipo del mondo ergevansi le magnìfiche co- lonne del Partenone, e s' incurvava la cupola del tem- pio di Delfo simile alla vòlta stellata del cielo. In una parola : i fruiti del regno vegetale che veste la nuda crosta della terra; il corso delle linee isotermiche, alle quali è condizionata la migrazione delle piante ; le correnti dell'atmosfera e delle onde del mare, che dan- no e mantengono alle isotermiche la varia loro flessio- ne o curvatura ; la posizione astronomica della terra sulla sua orbita; la sua rotazione e la rivoluzione an- nuale attorno il sole, onde sono determinali i processi terrestri; tiilla questa serie di cause ha in qualche luogo favorita, in tal altro impedita la civiltà, e chiu- sa la storia dell'uman genere sulla superficie del no- stro pianeta entro limiti o barriere topografiche. Un solo sguardo sulla carta geografica lo prova. Gli Stati tutti che presero parte al procedimento del- l'umanità, la Cina, il suolo classico delle Indie, cioè il 330 paese del Gange, con Benares la città delle leggi; le contrade caldeo-babilonesi, dal golfo Persico, dal Tigri e dall'Eufrate in su sino alla Fenicia; l'Egitto e la Palestina, la Persia, la Grecia, V Italia, i paesi classi- ci del medio evo; la Germania, T Inghilterra, la Fran- cia; tutti questi Stati giaciono rigorosamente entro i circoli del tropico del Cancro. La Russia stessa, per rispetto a' suoi possedimenti europei, sorpassa di poco il circolo polare ; ed anche l'Unione Americana colla sua estremità più meridionale, la Florida, giace quasi rinserrata entro i circoli del tropico medesimo. Il Pa- raguay, unico Stato dell'America meridionale che la- sci sperare una vera cultura ; le colonie del Capo in Africa, ed egualmente la parte sinora colonizzata del- l'Australia, si possono considerare quali posti avanzati dell'umana civiltà in un terreno infuocato, avvegnaché la parte principale del loro continente giacia pure nella zona temperata del Sud, vale a dire nell'emisfero meridionale. La natura in tutti questi Stati adoperò per così dire un' esattezza minuziosa. La Cina e l' E- gitto infatti avrebbero potuto estendersi più al Sud : il terreno lo comportava ; eppure in quella vece noi troviamo popolate le loro parti meridionali da stirpi barbariche: nell'una cioè la penisola dell' India po- steriore con An-nam, Siam, il regno dei Birmani e gli Stati di Malacca ; nell'altro la Nubia, e il paese del- le sorgenti del Nilo, abitato da numerose stirpi di Negri non mai resi partecipi dei beneficj della civiltà, e scoperto soltanto a' tempi nostri mediante le tre spe- dizioni di Mebemed-AU, che sciolsero finalmente il 331 grande problema geografico sull'iutei'iio dell'Africa, dalle Montagne della Luna , il Djebel-el-Kumr degli Arabi, sino al Capo Gardaful. Le montagne dunque e le cataralte dell'Assuan formano dal lato della civiltà il confine naturale dell' Egitto. Senonchè io ho pre- sentita tutta la forza delle obbiezioni che mi si po- trebbero muovere a questo proposito da que' molti cui piace, a scusa di paziente esame, acquetarsi alla testimonianza di Erodoto sulla derivazione della cultura egiziana da Meroè; e perciò volli aver buona in mano una serie di ragioni a confutarle. ' Anzi tutto osservo che la coltura egiziana, siccome condizionata essenzialmente alla natura del suolo, uon potea sorgere fuori di quello ; e che poi non si rende più facile la spiegazione dell'origine della medesima col derivarla da Meroè, in quanto che dalla parte più feconda della valle del Nilo la si trasporta a questo modo nelle angustie d'un terreno smisuratamente caldo, e fertile solo nelle Oasi; d'un terreno che fu sempre in un rapporto di dipendenza, rispetto alla valle infe- riore del Nilo, anche sotto i Tolomei ed i Romani ; e quando il Cristianesimo dall'Egitto penetrò per la Nubia sino alle alpi dell'Abissinia ; e quando i domi- natori Arabi dell'Egitto, i Seldschuki e Mameluki, sottomisero la Nubia, Dongolah e Sennaar; e quando Mebemed-All si fece tributarie le tribù al corso su- periore del Nilo. Si aggiunge che, mentre per la de- rivazione della cultura egiziana da Meroè manca an- che l'apparenza d'un fondamento tradizionale, ci sono prove in quella vece a dimostrare che l'accordo tra 332 le condizloui eLiopiche ed egiziane ha dipenduto dal- l'influenza dell'Egitto sulla valle superiore del Nilo, sapendosi con sicurezza che i Faraoni dei tempi di Amenemhes e dei Sesostri intrapresero le loro spedi- zioni militari all' insù del Nilo; che là eressero terapj e lasciarono monumenti anche più lungi dalla cascata di Wady-Halfa; e ch'essi dopo la cacciata degli Hyc- sos (se mai pnò ammettersi che abbia realmente esi- stito la dinastia dei Re-pastori), coprirono tutta Nu- bia coi loro edifizj ; si che Soleb sembra essere stato il punto di confine meridionale della più sicura e stabile signoria egiziana. Del resto nessuno che legga la pit- tura che fa Diodoro dei costumi di Meroè, potrà soste- nere che la sua cultura fosse più elevata dell'egizia- na: era piuttosto un rozzo bastardume di quest'ultima, come lo provano non pochi monumenti, anche quelli che si trovano al di là della foce dell'Atbara presso Shendy-Naga, ad eccezione delle reliquie sul monte Barkal, che però appartengono a Tirrhaka, il quale regnò insieme sull'Egitto e sull'Etiopia; e noi sap- piamo da Diodoro e Strabone, che gli abitatori della valle superiore del Nilo in giù di S^ène viveauo allo- ra, come anche a' nostri giorni , da nomadi e poveri pastori a causa del cocente calore e della sterilità del suolo. Finalmente osservo che il nome di Meroè non è ricordato dagli storici greci, uè ai tempi in cui gli P]tiopi dominavano l' Egitto, né a quelli della emigra- zione della casta dei guerrieri sotto Psammetico, né all'occasione della spedizione di Carobise contro gli Etiopi. La Genesi la ricorda per prima; poi Erodoto 333 quale capitale degli Etiopi. Adunque appena ai tempi dei Persiani sembx'a che Meroe divenisse capitale di nn regno etiopico, il quale nel periodo de' Tolomei giunse sino ai confini dell' Egitto. Del re Ergamenes per lo meno, clie distrusse la signoria sacerdotale in Meroè, della quale non fuvvi mai alcuna traccia in E- gilto, si leggono i nomi in geroglifici presso Dakkeli nella Nubia, poco huigi dai confini meridionali del- l' Egitto. Dimostrata sin qui Y influenza del clima matemati- co, discendo alla parte geologica e veramente scienti- fica della Geografia, per avvisare al suo nesso od accor- do direi quasi prestabilito, coll'andamento progressivo della civiltà nelle diverse parti del globo. Un paese qualunque, siccome corpo della grand'ani- ma sociale, ha nel suo fiume quel sistema naturale di vene che dalla sorgente sino alla foce si parte all'in- finito in fiumi, colli, ruscelli e canali, e così lo pene- tra, lo feconda e lo divide ; e questo fiume dev'essere nel suo centro, poiché altrimenti uno Stato non è più padrone dell'interna sorgente della vita; non è sicuro del suo commercio ; gli manca la via che lo congiungc coir Oceano, e mediante l'Oceano col mondo. Ora da Ritter stesso noi apprendiamo a delineare col metodo comparativo l'ideale, a dir così, del corso di un fiume, il quale piìi o meno si parte in quattro sezioni : la su- periore, la media, l'inferioi-e, e l'estrema nella foce. In sul principio, sin dalla sorgente, catene di monti lo arrestano; onde avviene die la costante apparizione dei laghi sia caratteristica del suo corso superiore, fin 334 che gli riesce, ove trova minor resistenza, aprirsi un varco nell'orlo più esterno deiraltipiano, donde In ca- teratte si precipita, più che non scorra, nelle aperte contrade, come il Reno presso Sciaflusa. Di là pro- gredisce in direzioni serpentine e meandri, che sono il carattere del corso di mezzo ; poi in tutta la sua pie- nezza scorre tranquillo per la pianura o le vallee, che sono bacini scavati e bagnati dal fiume medesimo; e finalmente verso la foce forma la cosi detta blfluenza, il delta, ch'equivale ad un'isola, ad un elemento oceanico. Quindi considerando in sé medesime ed isolatamen- te codeste quattro sezioni del corso di un fiume, ab- biamo per ciascuna un tipo elementare del territorio compresovi : quello dei paesi montuosi e degli alti- piani pe'l corso superiore ; dei paesi intercìsi, fatti qua- si a scaglioni, pe'l corso di mezzo ; delle vallee o ba- cini pe'l corso inferiore ; de' paesi marittimi, o confor- mati ad Isole, pe'l corso estremo verso la foce. Ora se noi compariamo I quattro terrltorj della Sto- ria primitiva, della Cina, dell'India, di Babilonia e dell'Egitto, ci deve veramente sorprendere il ti'ovar in essi prevalente uno di questi tipi elementari, e pre- cisamente quello della vallea o del corso Inferiore del fiume. Come i fiumi gemelli della Cina, l'Hoang-ho e il Klang (giallo ed azzurro), cosi il Gange e II Brahma- putra in India, l'Eufrate e II Tigri in Babilonia, ed il Nilo in Egitto, sono I fiumi più grandi della terra, se si eccettui il Mississipi nell'America settentrionale; onde la prevalenza in tutti questi Stati dell'elemento del fiume è divenuta proverbiale nella storia. Ero- 335 dolo cliiamava già l' Egitto un dono del fiume, del Nilo operoso (TorcicfÀ.os spyxTDiOi)^ perchè quell'au- gusta oasi in mezzo ai deserti, chiusa intorno dalle catene libica ed arabica, vuoisi non esser altro che un sedimento del suo limo fecondatore ; e rispetto alla Mesopotamia egli dice non voler raccontare quanto grandi crescano là, in virtù delle allagazioni del fiume, gli arbusti del cenerò e di sesamo, perchè quelli che non li hanno veduti non potrebbero aggiustargli cre- denza. Potrei dire lo stesso della Cina per rispetto al territorio compreso tra i due fiumi gemelli, raccon- tando anche Staunton che la melma trasportata dalle onde dell' Hoaug-ho tinge del suo colore il mare delle coste, che perciò prese il nome di mar giallo (Hoang- hai). Lo stesso finalmente del paese del Gange, ove il delta in cui giace attualmente la capitale Calcutta, è surto anzi a memoria d'uomini dal limo di quel fiume gigante. Ma nulla può meglio attestare e quasi riflettere in uno specchio la prevalenza in questi paesi dell'ele- mento del fiume e della vallea, quanto la vita, i co- stumi e le istituzioni dei medesimi. Ciascun sa che in- torno agli argini, ai canali per regolare la irrigazione del terreno, da cui solo dipende la sua fertilità, si volge quasi tutta la pubblica amministrazione. Sono troppo note, perchè io ne parli, codeste opere idrauli- che de' tempi antichissimi in Babilonia, in Cina ed in Egitto, le cui piramidi e il misterioso labirinto appar- terrebbero alle opere medesime, secondo l'opinione del dotto alemanno Ferchhammer che visitò quelle con- trade nell'anno ì 843. Le cognizioni relative formano 336 in Cina una parte essenziale della scienza di slato e della dottrina dei letterati, i quali si conoscono dei dettagli più minuziosi di quel sistema idraulico, non altrimenti che alcuni naturalisti degli enti impercetti- bili dell' Inseltologla e della Conchiliologia. Lo stesso - Imperatore fa di propria mano rapporto alla nazione sul compimento dei canali, e il rapporto è registrato negli annali dell' Impero siccome documento di eterna gloria; e meritamente perchè quanto possa tornar fu- nesta la trascuranza di queste costruzioni lo prova il fatto, raccontalo dallo stesso Ritter, di una rottura del- l' Hoang-ho, che costò la vita a ben 500,000 uomini. Si aggiunga il vantaggio agronomico di questi lavori idraulici^ si consideri che solo in virtù di essi i paesi bassi della Cina mantengono una popolazione di cir- ca 370,000,000, accorrendo a quel centro in cerca del riso anche i Mantschiri e i Mongoli dallo sterile Gobi sino ai confini della Siberia. Lo stesso si dica dell'Egitto che una volta manteneva circa 7 milioni di abitatori, e a sé richiamava le carovane tutte del- l'Africa per quelle vie segnale dalla natura medesima del terreno, che da Tebe couduccvano all'Oasi Siv\ah, 1 antico Amraonium, e di là oltre Augila, per le catene del Ziltan e del bianco e nero Harudjé, a Fezzan, don- de le caravane raoveano al Sud verso Bilma e le rive del Tschad, e al Nord verso l'Oasi di Gadames che si congiunge colla grande pianura dei datteri, Biledul- gerid. Lo slesso finalmente si dica della Mesopotamia, o di Babilonia, la fertile vallea dell'Eufrate e del Ti- gri, quasi un'altra Oasi in mezzo ai deserti. 337 Oltre a ciò la prevalenza del tipo da noi assegnato ai paesi medesimi della Storia primitiva è provata dal fatto che in quelli non si conoscono strade pubbliche propriamente dette. Una sola traccia di strada mae- stra artificiale de' tempi antichi si trovò ai confini del- l'Egitto vicino alla cateratta di File, o meglio di Ele- fantina, probabilmente perchè questa non potea esser navigata da alcun carico naviglio. Ma quivi, per testi- monianza di Erodoto, la comunicazione tra i singoli distretti era stabilita da un perfettissimo sistema di navigazione fluviale: sistema che solo può farci ces- sare dal dubbio che mette il l'acconto di quelle masse di granito, statue colossali, obelischi traspoi'tati im- mediatamente dalle cave al luogo della loro destina- zione, e di quel tempio monolito che da Elefantina fu tradotto a Saide, comunque vi s' impiegassero 3000 navicella] e tre anni di tempo. Nella Cina stessa, ad eccezione di alcune strade imperiali, non vi sono strade comunali o provinciali ; e perciò appunto fu per lungo tempo impossibile a tutti i bai'bari che piombavano dal Nord, di conquista- re la vallea dei due fiumi gemelli, il fiore del centro, ad onta della mollezza dei suoi abitatori, finché essi non appresero dai vinti medesimi a costruir zattere e navigar su pei canali. Di qui venne che quantunque volte il Nord della Cina fosse occupato da codesti barbari dell'altipiano asiatico, le dinastie sbalzate dal trono si fondassero sempre un nuovo regno nel Sud, vale a dire precisamente nella vallea circoscritta dalle acque dell' Hoang-ho e del Kiang : quella dei Song al 338 tempo tleirirruzlone dei Mongoli sotto Tchingkis-Khan; quella dei Ming al tempo deirinvasione dei Mantclious. Per ultimo si osservi che in tutti questi Stati pri- mitivi si ripete lo stesso fenomeno del culto del fiume. In Cina ad ogni fiume presiede un genio con un tem- pio suo proprio, cui deve offrir vittime lo stesso Im- peratore, per preservare il paese dal flagello delle al- lagazioni. In India, come il mondo e gli Dei, secondo la dottrina dei Bramani, ebbero origine dall'acque; così anche tutte le acque della terra si tengono in conto di fiumicelli o rivi del Gange, il cui mito forma un epi- sodio della grande epopea, il Ramayana. Il santo uffi- cio di pellegrinare alla volta di quel fiume e de' suoi tributar}, ch'erano 27 al tempo dei Mongoli ; di tuf- farsi in essi, di bevere alle loro fonti, di lavare la macchia dei peccati, di spargere le ceneri dei defunti, mette in movimento migliaja di persone, occasiona un vivo commercio tra i popoli circonvicini, ed imprime una direzione uniforme a quasi tutti i loro affari pub- blici, alle relazioni commerciali ed agli usi giornalieri. Sull'acqua del Gange, a tal uopo conservata in ogni tribunale di giustizia, giura l' Indiano, come il Mao- mettano sul Corano, il Cristiano sulla Croce. In Egitto finalmente comunque ogni distretto avesse i suoi nu- mi particolari, tutti però facevano a gara nell'adorare Osiride, il simbolo del Nilo fecondatore ; Iside, il sim- bolo della forza produttiva della natura ; ed Horus, il figlio vendicatore del Nume ucciso, la nuova benedi- zione dell'anno che trionfa sul sole infocato, e sui venti distruggitori del deserto. I 339 Da codeste premesse si è facile argomentare all' in- fluenza di questo tipo geografico sul principio storico in generale degli Stati medesimi. Già Hitler stesso lia os- servato che tra tutte le forme della natura, quelle dei grandi sistemi de' fiumi in congiunzione colle vallee che li circondano, sono le meglio adatte a ravvicina- re gli uomini, a riunirli in civile consorzio ; e perciò chiama i grandi fiumi vene vitali, organi proprj del globo, punti centrali della vita dei popoli, in quanto che coir influenza di una cultura elevata, che in quelle vallee si svolge prima assai che non in qualunque al- tro dei grandi tipi geografici, raccolgono entro la loro periferia le forme e attività della natura, che altri- menti sarebbero divise e segregate. E questo appunto di che io abbisognava. Nel discorso sulla filosofia della storia ho detto che era cosa di prima necessità per l'uomo, che fosse ordi- nata la società ; che questa, come ogni altra necessità, si compie immediatamente, senza neanco avvertire il suo riferimento ad uno scopo qualunque ; che perciò la Storia dovea cominciare con un periodo nel quale l edifizio sociale da mezzo divenisse scopo, sicché l'in- dividuo fosse sacrificato allo Stato; e finalmente che questo periodo è rappresentato dai quattro imperi pri- mitivi della Cina, dell'India, dell'Assiria, dell'Egitto. A questa missione degli Stati primitivi corrisponde così perfettamente il tipo geografico, che potrei dirlo quasi predestinato. Nelle vallee dei medesimi dovea, prima che in ogni altro luogo, esser facile il passaggio all'agricoltura ; e l'agricoltura per sé stessa fa cessare 340 rinslabilllù della vita erraiile, obbliga alle ferme stanze, esige cura e previsione del futuro, la cono- scenza della regolarità delle stagioni e della distribu- zione dei lavori a seconda di quelle ; dopo soddisfatti i primi bisogni, invita alle arti che abbelliscono la vita ed alle scienze che la ordinano; dà finalmente origine alla proprietà del suolo ed alle relazioni di diritto che ne conseguono, e sono II vero fondamento dello Stato. Ma non è ancor tutto: il fiume colle sue allagazioni impone in sulle prime un'unione ancor piìi intima ed attiva di ajuti vicendevoli, per vincere le difficoltà op- poste alla cultura ed alla costruzione delle abitazioni ; l'unione delle forze contro il comune nemico : e il fina- le risultamento della sua influenza è appunto questo di cancellare le caratteristiche, di adeguare tutte le differenze degli abitatori, sieno individuali o di raz- za. Di qui runiformità del Cinese, dell' Hindu e del- l'Egiziano, del loro carattere e della loro cultura. Dì qui un altro svantaggio ancora : non solo la staziona- rietà dipendente dall'immobilità della natura fisica, dal regolato alternar delle stagioni, dall'uniforme col- tivazione; ma, ciò che più monta, la degradazione mo- rale. Imperocché se è un fatto che lo sviluppo dello spirito non avvenga senza contrasto come quello della vita oi'ganica, ove è quasi nulla la produzione dell'uo- mo e tutto quella della natura, là scade necessariamente l'uomo dalla sua dignità, perde il sentimento della per- sonale libertà, s' invilisce, si annienta al grado di cre- dere suo necessario destino il peso che lo tien curvo alla terra. Il nessun rispetto della propria e dell'altrui 341 vita; la vedova indiana che si getta nel rogo dopo la morte del marito ; i fanatici che si fanno frantumare sotto le ruote del carro di Visnu ; le madri che getta- no i loro figli nel Gange, o li lasciano struggere ai raggi del sole ; 'A suicidio de' Cinesi per vendicarsi • l'esposizione dei loro bambini, sono fatti che provano fjuest'auuientamento morale, il quale tra molte cause concorrenti riconosce anche quelle d'una soverchia prodigalità della natura. Senonchè s'intende da sé che queste quattro vallee elementari sono diverse per molti riguardi tra di loro; ed appunto in queste differenze corrispondono al par- ticolare principio da noi riconosciuto nel discorso sul la filosofia della storia. Ho detto in quello, che es- sendo prima radice d'ogni sociale ordinamento la fami- glia, nel primo Stato storico, la Cina, dovea dominare e domina infatti il principio patriarcale ; ed a questo principio risponde a capello il suo isolamento geo- grafico. Non solo alte insormontabili montagne dell'al- tipiano asiatico la chiudono al nord, all'ovest e al sud ; ma anche il mare, il confine orientale, incatena i suoi abitatori alle coste, anziché invitarli ad uscire per mettersi in commercio col mondo. È noto già che ovunque le onde del mare si levano più alte alle coste orientali che non alle occidentali j ma in Cina si aggiun- ge che il Mar giallo, per il limo trasportato dai duo fiumi gemelli che in esso mettono loce, é così melmoso, che può esser solo navigato coi piatti junki dei Cinesi, 1 quali alla lor volta non possono poi pescare abba- stanza a fondo nel mare aperto. A causa di questa 23 342 condizione delle coste, nessuna nave europea sino al giorno d'oggi cimentò di avvicinarsi alla foce dell'Ho- ang-ho. Di qui viene che le coste cinesi siano ancora sconosciute; di qui pure il timore de' navicellaj cinesi del mare aperto. Si aggiungano i bassi-fondi, i banchi di sabbia, le correnti del Mar-giallo, e sopratutto i monsoni che spirano sin entro il continente, e ren- dono la navigazione cotanto pericolosa anche pei Ci- nesi, ch'essi a scansarla non si lasciax'ono sgomentare dalla gigantesca impresa di congiungere l'intero Sta- to, dal Nord sino al Sud, col mezzo del Canale im- periale. La divisione del lavoro e delle condizioni è il prin- cipio fondamentale dell'India; e a questo principio storico sembra pure predestinata da quelle grandi, dis- tese ed aperte pianure, dal piede dell' Hlmalaya sino al mare inclinate in un modo appena percettibile, ric- camente adacquate da innumerevoli vene del Gange che mette foce nell' Oceano, e del quale Oceano l' Hin- du non volle approfittarsi, perchè la vallea del fiume bastava a' suoi bisogni, al commercio interno. m Ma il vero commercio è l'esterno, nel quale ha il I suo compimento il principio della divisione del lavoro e delle condizioni ; ed il commercio esterno è appunto la forma sociale dei popoli caldeo-babilonesi. Ora è evidente che, prima della scoperta della via marittima alle Indie orientali, sinché il commercio si limitava tra ambo i bacini del DIedIterraneo e dell' Oceano in- diano, nessun altro paese giaceva in luogo più favore- vole di Babilonia al medesimo. Impei'occhè mentre il 343 Golfo arabico tiene sembianza di un lungo e stretto canale, ed è seminato ovunque di scogli e d'isole, il Golfo pei'sico per lo contrario, siccome un grande e vasto bacino, il cui ingresso più esterno pone un ar- gine alle onde irrompenti dell' Oceano indiano, sem- bra precisamente destinato a divenire il porto comune per il commercio meridionale dell'Asia; tanto più che i fiumi eh' esso accoglie sono poi altrettante strade pel trasporto delle merci nell' interno dell' Asia, agli abitatori del Mar-caspio, del Mar-nero e del Mediter- raneo. E n' è una prova solenne che ogniqualvolta la spada d'un conquistatore venne a distruggere le grandi e fiorenti sedi del commercio di questa parte del mon- do, la natura rivendicossi sempre col far sorgere più belle dalle ceneri e dalle ruine nuove città al sito delle distrutte. Dopo Babilonia, Seleucla, indi Ctesifon- te, e finalmente Bagdad. Dopo Sidone, Tiro; e di- strutta Tiro, Alessandria. Viene per ultimo tra gli Stati primitivi 1' Egitto; ed io appresi dalla filosofia della storia, che la virtù dell'Egitto sta in questo, di aver saputo accomodare il sentimento nascente della personalità, il sentimento confuso di qualcosa al di là del fenomeno e della lar- va umana che conobbe, col panteismo del resto di Oriente : alleanza che compare sin anche nella sua ar- chitettura, nei nomi dei Faraoni scritti sull'albero sa- cro del palazzo del Sole, nelle memorie della vita po- litica, delle battaglie, dei trionfi dell'uomo, che hanno pur un posto nella magione degli Dei, e sopratutto nel culto dei morti. 344 L'Egitto non è che ima grande oasi nel deserlo, rade volte più larga di due ore; in cui Tuberia cam- pestre d'ambe le parti si tocca colla desolazione delle arene; ove il Sole e le pioggie periodiche fra i monti del tropico che crescono il Nilo, sono le condizioni della vita e dell'attività comune, ed il corso che pren- de l' inondazione è un corso fisico determinato che so- miglia a quello del Sole, perchè non altrimenti che il Sole, spunta, arriva a mezzogiorno e poi declina: sicché quivi anco dal lato geografico era eccitato l'uomo a ripiegarsi sopra sé stesso per trarne, se non ancora la luce della libera coscienza, il contrasto almeno dello spinto colla materia ; era naturale che prendessero radice in questo singolare paese singolari istituzioni con un solo pensiero fondamentale, il con- trapposto della vita e della morte, la riproduzione del- le vicende del Sole e del fiume. Coir Egitto finisce il corso del mondo primitivo; ed io mi riservo ad altra tornata il discoi'so sull' influen- za o connessione prestabilita degli altri tre tipi ele- mentari geografici coi principi della Storia antica, media e moderna, manifestati nell'andamento progres- sivo della civiltà; perchè non avendo io colla presente lettura ceixato altro che l'occasione di attestarvi la mia riconoscenza per l'onore fattomi coli' aggregazione a cosi illustre Consesso della scienza, non vorrei mo- strarmi sin da principio disposto ad abusai-ne, stancan- do soverchiamente la molta indulgenza, della quale si- nora ascoltandomi mi avete dato una prova generosa. ^ 345 Sulle Cicadee fossili dell'Oolite. — Nola del Mem- bro ordinario Cav. de Zigno, letta nella tornata 5 Giugno 1853. » "uesta singolare famiglia di piante, che riunisce in sé i caratteri delle Palme e quelli delle Conifere, e che ora abita le regioni poste in vicinanza dei Tropici, la- sciò abbondanti tracce della sua presenza nei terreni che stanno fra l'arenaria variegata ed il sistema cre- taceo. Parecchie specie di Cicadee si trovano descritte e figurate nelle Opere di Young e Bird, di Philips, di Buckland, di Brongniart, di Lindley e Hutton, in quelle di Sternberg e Corda, di Goeppert, di Bunbury, di Unger, e nelle recenti Memorie dell' Ettingshausen; però manchiamo tuttora di un lavoro speciale e parti- colareggiato stii resti fossili di questa famiglia. Tra i var) Generi che la compongono, alcuni furono stabiliti sopra caratteri desunti dall'esame di semplici frammenti, altri sopra le differenze presentate dalla forma e nervatura della fronda. Tralasciando di parlare dei primi, toccheremo di volo i caratteri degli ultimi, e noteremo quei Generi che ci fu dato rinvenire nella formazione colitica delle circostanti montagne. Sei sono i Generi stabiliti sulla forma e nervatura della fronda j e sono: 346 1 ° Il Genere Cycadifes di Bronguiart, le cui pin- ne sono lineari o lanceolate, piane o rivoltate negli orli, e percorse nel mezzo da una sola nervatura, come nelle specie viventi del Genere Cycas. Le specie di questo Genere si trovano a prefe- renza nei terreni del Lias e nell'argilla di Weald. 2." Il Genere Otozamites di Braun, caratterizzalo da frondi pinnate, inserite obbliquaraente sulla rachi- de, auricolate o cordiformi alla base, colle nervature che si dipartono tutte dal punto d'inserzione, e si di- rigono biforcandosi, e divergendo verso il margine delle piune. In questo Genere si devono comprendere le Otopte- rìs e le Gyclopterìs dei signori Lindley e Hutton, al- cune delle Zamiii del Brongniart, il Pterophyllum ohlongifoliutn di Kurr, ed il Zamites iindiilaiiis di Stcrnberg. Tutte le Otozamiti sono proprie soltanto del Lias e dei terreni oolitici. 3.° Il Genere Zamites di Brongniart, che ha in- vece le pinne risti'ette alla base, acute o rotondate al- l'apice, e segnate da nervi per lo più semplici, e pa- ralleli agli orli delle pinne. Le specie di questo Genere si trovano nei terreni Ijassici, oolitici e nealdiani. 4.^ Il Genere Gtenis, stabilito dai signori Lindley e Hutton sopra una pianta dell'Oolite di Scarborough, e dal Braun esteso a quattro specie del Lias di Bay- reuth. — Questo Genere non è ammesso né dal Goep- j>eil, né dall' Unger; lo e però dal Brongniart, che vi 347 comprende quelle Cicadee a fronda profondamente pinnatifida, le cui pinne sono lineari, continue, allar- gate alla base, e segnate da nervi paralleli per lo più semplici, divergenti al punto d'inserzione, e conver- genti verso l'apice. 5.° Il Genere Plerophyllitm del Brongniart, di- stintissimo per le pinne lineari oblunghe, troncate al- l'estremità, spesso quadrilatere, e colle nervature pa- rallele dalla base all'apice. I Plerophyllum si trovano in tutti i terreni juras- sici e wealdiani. 6.° Il Genere Nilsonia, pure di Brongniart, che SI distingue dal precedente per avere le pinne brevis- sime, e continue alla base, colle nervature assai spor- genti, arcuate, e confluenti all'apice. Le specie di questo Genere sono proprie del Lias e dell'Oolite inferiore. Le Cicadee trovate finora nei nostri terreni del- l' Oolite appartengono tutte ai soli tre primi Generi, e ad una nuova forma, colla quale ho fondato il Genere Cycadopteris. Questi quattro Generi ci danno venticinque specie, nuove; cioè; 1 Cicadite, J6 Olozamiti, 3 Zamiti, e 5 Cicadotleridi. Omettendo la lettura di lunghe e minuziose descri- zioni, vi presento, chiarissimi Colleghi, quattro Tavole, in CUI sono delineate alcune specie che possono servire a far conoscere i caratteri di questi quattro tipi (1). (!) E qui sarebbe nostro desiderio che le quattro tavole presentate all'Accademia, lettura durante, si fossero trovate al 348 Nella Tavola marcala colla lettera A è tliseenala una specie, cui diedi il nome di Cycadites plaiyrachis, perchè distinta da tutte le conosciute per la larghezza della rachide. E il primo esempio di una Cicadlte tro- vata nella formazione colitica, giacché il Cycadites pe- cten di Philips, rinvenuto nell'Oolite di ScarLorough, è invece un Pterophyllum^ come giustamente riconob-- bevo i signori Lindley, Hutton, Goeppert ed Unger ; e le altre specie sono tutte del Lias, dell'argilla di Weald e della creta. La Tavola segnata colla lettera B porge alle figu- re 1 . e 2. la specie che nominai Otozamites Bunhu- ryanus, ed alle figure 3. e 4. quella cui diedi il nome di Otozamites Parolinianus. Tutte due presentano as- sai chiaramente i caratteri proprj delle Otozamitl, i quali sono l' inserzione obbliqua delle pinne sul lato anteriore della rachide, e le nervature flabellate che si dipartono egualmente dal punto d'inserzione, di- vergendo e biforcandosi verso il margine. Non v'ha alcuna delle specie descritte dagli auto- ri, che si avvicini a queste due, le quali sono poi fra di loro distinte per caratteri specialissimi riscontrati sopra varj esemplari di diverse età. La Tavola segnata G ci mostra il terzo tipo, rap- presentato da due nuove Zamiti ; la Zamites Goep- periii, fig. 1 . 2., e la Zamites pulcliellus^ fig. 3. 4. 5. L'una e l'altra palesano in guisa assai chiara il siste- Joro posto. Se il tempo alla pubblicazione della Rivista avesse permesso, avremmo ciato le disposizioni opportune j ma tanto si potrà fare in seguito. 349 roa di nervature ed il modo d'inserzione delle pinne proprio di questo Genere, e per la forma delle pinne stesse si allontanano da tutte le specie descritte. Nella Tavola maixata colla lettera D è figurata la mia Cfcadopteris Ungeri, tipo del nuovo Genere Gy- cadopteris, ì cui caratteri principali sono compresi nella seguente frase: CycADOPTERis. Frons pinnata vel hipinnata, pin- nis vel pinnulis integris, coriaceis, margine induplì- catis, uninerviis, in rhachide deciirreniibus. Le specie di questo Genere sono cinque, e popo- lano con gran copia d' individui gli strati della grande Oolite tanto nel Veronese, che nel Vicentino. Gettando ora uno sguardo sulla distribuzione delle Cicadee fossili dell'epoca colitica, quale ce la presen- tano nelle varie loro Opere gli autori citati in prin- cipio di questa breve Nota, noi la vedremo limitarsi a tre specie nel Jura dell' Alemagna, a otto in quello della Francia, e a ventidue nelle Ooliti dell'Inghil- terra, mentre le recenti investigazioni fatte in due sole località delle Alpi venete ci hanno svelato un Ge- nere nuovo e venticinque specie affatto diverse dalle conosciute ; e questo fatto stabilisce un nuovo punto di corrispondenza fra i nostri depositi e quelli del- l'Inghilterra, ed arricchisce la Flora jurassica di un ragguardevole numero di Cycadee nuove. 350 Se si coltivi l'aaaloiuia patologica in Italia. — Discorso del professore Corneliani, Socio stra- ordinario. Seconda lettura della tornata 5 Giu- gno 1 853. D alo essere opinione di alcuni l'anatomia patologica non coltivarsi in Italia come presso altre nazioni, l'autore imprende a dimostrare il contrario, illustrando il proprio assunto appoggiato alla storia ; e premet- tendo poche parole suUo scopo e sulla importanza di tale studio, rifiuta accordarsi con quelli che pensano l'anatomia patologica essere acquisto dei tempi mo- derni, anzi del secolo presente. La investigazione sto- rica, che fa l'autore, comincia dal secolo sestodecimo : trova egli che in questo e nel decimosettimo erasi acquistata la massima importanza, e si studiava con metodo assai ragionevole, d'onde le applicazioni pra- tiche utilissime. Nel deciraottavo secolo Morgagni fon- datore sommo dell'anatomia patologica, ridotta per lui a corpo scientifico, e coloro i quali, usciti dalla sua scuola, vissero celebrati. Venendo al secolo decimonono, e pei'correndo i luoghi della penisola, ove uomini illustri lasciarono nei libri e nelle preparazioni, di cui vanno superbi i mu- sei d'Italia, eredità di sapienza, annovera ed offre lungo stuolo di passati e presenti, i quali spinsero la scienza sulla via del perfezionamento, e la ingrandirono. Bi- sognava dire de' musei istituiti, di mano in mano ar- 351 n'ccliiti; e si tratteneva egli su quelli di Firenze, Bo- logna, Pisa, Torino, Pavia principalmente; non om- mettendo accennare le collezioni degli spedali di pro- vincia, meno importanti se vogliasi, ma pur atte a dimostrare di quanto gP Italiani inclinino alle investi- gazioni patologiche, e sappiano apprezzarne i risul- tamenti. Il discorso si chiudeva col desiderare, per le due Università del Regno lombardo -veneto, una cattedra di anatomia patologica, ad estenderne sempre più lo studio, e prepararne successo sempre maggiore. Saggio di una nuova classazione naturale dei Li- cheni, del Membro ordinario cav. prof. Trevi- san. — Memoria II. Sulla tribù delle Lecideìne. Letta nella tornata del 19 Giugno 1853 (i). Jlammenta come i caratteri del tallo escludano dalla tribù delle Lecideine, quale fu originariamente limi- tata da Fries ed ammessa dai recenti, i generi Ste- reocaidon, Cladonia e Baeomyces ; per cui resta limi- tata a' soli generi forniti di tallo crostaceo. Indica le differenze fra la tribù così ristretta e le due nuove tribù proposte dall'autore sotto il nome di Eschatogo- niee e BiUmhiee, ed anche dalle Goccocarpiee di Mon- (1) Vedi la Memoria I. alla pag. 237 della Rivista, fase. 3." 352 taglie. Divide le Lecideine in due sottolribù; la prima delle quali denomina delle Biatorce. la seconda delle Eulecideine. Alle Biatoree, con escipulo proprio giam- mai carbonaceo, riferisce i generi; 1." Biatora, Fries (Psora, De Gand., Duby , Massai. — Lecideola, De Notar. — Loxopora, Massai.)', 2.° Sporohlastia , Trevis. 1851 (Biatorina, Massai. 1853); 3.° Byssolo- ma, Trevis. (Tricholechia, Massai.) ; 4." Bacidia, De Notar. (Bomhyllospora, De Notar. — Trlclioplacia, Massai.); b.^ Brìgantiaea ^ Trevis. (Heterotheciura, Massai.). Alle Eulecideine con escipulo carbonaceo spettano i generi: ì.° Lecidea, Achar. (Biatora, Achar.); 2.'^ 5ue//m^ De Notar. (Diplotomma, Flotow — Catillaria, Catolecliia, Diploicia et Thalloidima, Massai.) ; 4.° Lecotkecium^ Trevis. ( Scliismatomma, Flotow et Kòrher, Massai. — Scoliciosporum et To- uinia Massai.); 4.° i?/«socarpo?i; Ramond (Diplotora- ma, Massai.). D'ogni genere espone e discute i caratteri, partico- larmente soffermandosi a parlare dell'importanza, per la distinzione dei generi, della provenienza degli apo- tecj dal tallo o dall'ipotallo, della forma e del colore delle spore. Termina deponendo sul banco della Pre- sidenza un manoscritto intitolato Prodromus syste- matis naluralis hecideinarum , come ha fatto per la prima Memoria sulle Patellariee, alla quale questa forma seguito. Ma l'eccedente lunghezza della presen- te Memoria determinò l'autore a pubblicarla a parte. 353 Sui procedimenti del Diritto romano nel medio- evo, e più particolarmente sul Codice udinese, come documento illustrativo non solamente la storia del Diritto, ma altresì la storia civile d'Italia sotto la dominazione longobarda (e ciò a confutazione della Memoria letta nel 23 Ot- tobre ì 852 alla Società Reale di Lipsia dal Con- sigliere e professore di Diritto romano Gustavo Hànel). Memoria del Socio corrispondente Giu- seppe BoNTURiNi. — Seconda lettura della tor- nata 19 Giugno 1853. » opo avere storicamente esposto il dibattersi delle varie opinioni degli scrittori italiani e forestieri sulla conservazione ed uso del romano Diritto, e dell'ordi- namento municipale o delle Curie nella nostra peni- sola nel tempo della longobardica dominazione, ac- cenna al codice udinese, siccome a documento dal qua- le il dottissimo Savigny trasse le più splendide prove. Ricordò che Canciani avea pubblicato nella sua col- lezione delle leggi barbariche una sola parte di questo codice, e che l'altra rimaneva 'inedita, ne si sperava poterla conoscere, perchè il codice si credeva perdu- to. Nel 1847 fu dato all'autore di rinvenirlo nell'ar- chivio capitolare di Udine, e di renderlo meno imper- fetto aggiungendovi altri 27 fogli che giacevano nel medesimo archivio, e non prima ne avvertiti, né esa- minati nemmeno dal medesimo Canciani. 354 Di tale ritrovamento diede annunzio alla Sezione di Archeologia del nono Congresso degli Scienziati italiani adunati in Venezia nel Settembre 'J847, ove dichiarò tal codice scritto dalla metà dell' ottavo alla metà del nono secolo; e contenersi nella prima parte, tuttora inedita, il novissimo Diritto, cioè una compi- lazione delle Novelle Giustinianee ; mentre la seconda parte, edita dal Canciani, contenere un estratto del Breviario visigoto, o rifusione della legge romana, e formare entrambe queste leggi un solo codice, e con caratteri del medesimo tempo. Tale opinione fu con- fortata dal concorde voto di que' sapienti, ai quali fu commesso V esame paleografico del codice. Il chiaris- simo professoi'e di Diritto romano nella Regia Univer- sità di Lipsia, Gustavo Hiinel, ordinatore ed illustra- tore della legge romana de' Visigoti, publicata in Li- psia nel 1848, volle esaminare il codice stesso; ed essendosi provveduto presso l'autore degli opportuni indirizzi, portossi in Udine. Colà esaminollo; e ricon- dottosi in patria, dettò sul medesimo una dotta Me- moria, che letta alla Reale Società di Lipsia, venne publicata. L'autore, con tutta la riverenza dovuta al professore Hanel, ch'egli chiama uno degli atleti giu- ridici della moderna Germania, non volle lasciarlo senza risposta, cosi per la gravità dell'argomento, co- me perchè gli pareano non accettabili tutte le opinio- ni da lui esposte. Xe questioni introdotte dall' Hanel si aggirano sul contenuto del codice, sulla età e patria del medesi- mo. Quanto al contenuto, assente che il novissimo Di- 355 ritto formi la prima parte del codice , al quale vanno aggiunte sei appendici , composte la massima parte di Costituzioni imperiali e di leggi canoniche; ma opi- na che quelle Novelle siano, più che altro-, 1' Epitome di Giuliano, quantunque in molte parti le trovi dal Giuliano diverse, ove cangiate, ove spiegate, ove am- pliate , e non vi corrispondano in ogni parte i titoli, le rubriche e le soscrizioni. L' autore, osservando che il numero delle Novelle non corrisponde a quelle date ed abbreviate dal Giu- liano, recandone in maggior numero il codice udinese; osservando che non vi è rispettato né l' ordine né la disposizione delle materie, né il corretto e spesso ve- nusto linguaggio del Giuliano; e riflettendo che delle leggi Giustinianee le Novelle a noi pervennero le piìi alterate e corrotte; e che questo codice colle Novelle Giustinianee reca alcune altre Costituzioni di Giustino e di Tiberio II. : così opina che questa compilazione siasi formata in Italia, e che il suo redattore si è ser- vito del testo completo delle Novelle, alle volte degli Instltuti e del Codice, ma non cosi delle Pandette (1). Il Consigliere Hànel concede (ciò che l'autore affer- mò in una breve illustrazione già publicata nel 1847) che questo codice ci ha serbato vestigi di Diritto che si erano perduti, e fra questi due Novelle di Giustiniano sulla colonizzazione d'Africa del massimo valore. Con- (1) Sulla seconda parte di questo codice non è a muoversi questione, essendo quale fu dal Canciani publicata, e dal Sayi- gny ampiamente illustrata. 356 cede die questo codice appartenga a que' pochi che con- tengono la Sanzione prammatica, come pure la collezio- ne prò diversis Gapitulis Episcoporum, distinta in 35 partizioni; finalmente concede che a mezzo di questo codice si hanno parecchie soscrizioni mancanti nei co- dici e nelle edizioni conosciute. Tutto questo egli con- cede, riserbando tutto II nerbo de' suoi ai-gomenti bat- tagliela per la questione paleografica. Nella celebrata sua opera Lex romana Visigoto- rum^ publicata in Lipsia nel 1 848 , l' Hanel avea so- stenuto che il codice udinese, quale era stato dal Can- ciani scoperto e publicato, (cioè la seconda parte del medesimo , che contiene V estratto del Breviario visi- goto) non fosse che un altro esemplare imperfetto e meno antico del codice di S. Gallo (722), scoperto da esso Hànel nel 1825. Ora partendo da tale principio, e avvisando di mantener viva l'opinione che il codice udinese non sia che una copia di quello di S. Gallo, egli vide, o vedere gli parve, contro quanto aveva di- chiarato lo stesso autore e la Commissione dei Dotti incaricata dell'esame paleografico, che il carattere del- la prima parte del codice fosse diverso da quello della seconda, e collocò la prima parte alla metà del secolo nono, e l'altra tra la fine del nono e il principio del decimo secolo; per cui poteva conchiudere che uno, e non due, fossero que' codici, prima divisi e poscia in- sieme congiunti: unica conclusione che potesse porre in salvo le pretese preminenze del codice di S. Gallo, da lui scoperto, sull'udinese; poiché contenendo quello di S. Gallo il Breviario visigoto, e non le Novelle Giù- 357 slinlauee, non poteva lottare coiradinese, se in qiieslo le due leggi rlnianeano congiunte. E appunto percliè a questo codice non tocchi V immeritato danno di es- sere mutilato o diviso, e a mantenerlo integro, e a procacciargli difesa nel consenlimenlo de' sapienti , r autore ne fece dettagliata e diligente descrizione. E passando dal formato dei fogli ai caratteri, dalla divisione delle pagine iu colonne al numero delle li- nee e delle lettere che le compongono, ne dimostrò dappertutto si chiara, sì evidente la uniformità da non poterne dubitare: e quindi doversi assegnare ad en- trambe le leggi la medesima età, cioè fra l'ottavo e il nono secolo. Sciolto così il nodo della questione pa- leografica, alla quale si annette l'alti-a della età del co- dice, rimaneva l'ai'dua lite sulla patria del medesimo. E qui l'autore dichiara, che inutile torna la sua pe- regrinazione a S. Gallo per cercarvi la patria del co- dice udinese , non essendo simili fra loro che in una sola parte, in quella cioè che contiene il Breviario vi- sigoto; e che l'argomento storico, al quale si affida II prof. Hànel, onde appoggiare il preteso passaggio di questo codice da S. Gallo ad Aquileja, vuol essere ri- fiutato. Imperocché se la storia ci apprende che Ulrico, abbate di S. Gallo nel ') 066, fu Inalzato dall'Impera- tore Arrigo IV. in patrlai'ca di Aquileja, non per que- sto si può dedurre ch'egli portasse in Friuli quel co- dice, onde sottrarlo agi' lucendj e alle rapine. In que' tempi procellosi il Cantone de' Grigioni, munito dalla natura d'incantale fortezze, era meglio protetto e di- feso di quello che la regione subalpina del Friuli, 24 358 aperta sempre a tulli i iiortlici invasori, e dannata a sostenerne la ferità. L'aulore assegna al Friuli il codice udinese, che da Aquileja fu portato all'archivio capitolare di Udine quando quella sede patriarcale tramutavasi in Udine, e perciò fu detto Utinensis. Vuole che in Friuli ricevesse autorità. Osserva che nelle Novelle si menziona il Comes, Dux , IMagistcr ìniliium; dignità inerenti alla primitiva condizione del Frlidi; le quali medesime dignità sono parimente ri- cordate nel Breviario visigoto , che forma la seconda parte del codice stesso: con che si spiega Faccoppia- menlo di entramhe le leggi, e meglio si conferma che formino un codice solo. Nell'una e uell' altra legge s'inconti'a una medesima costituzione politica; quindi nulla si oppone alla loro coesistenza sul medesimo suolo; ed anzi dividendosi gli stessi Romani in Teo- dosiani e Giustinianei, ragion voleva che entrambi avessero le proprie leggi in nn solo corpo comprese. Accenna che le leggi in questo codice raccolte sui confinar], sulle colonie militari, sugli ascrittizj, rice- vono in Friuli pratica applicazione, essendoché in esso furono già dedotte dai Romani colonie militari, e nei tempi del basso Impero divenne paese di frontiera, e tale si mantenne sotto il regno dei Goti e dei Lon- gobardi. Le stesse voci, le stesse frasi strane e barbare no- tate dal Savigny e dall' Hanel, e da essi riputate ele- mento straniero, s'incontrano nell'antico dialetto friu- lano, del quale si hanno esempj negli scrittori delle 359 cose friulane; ed è noto che lo lingue gallica e roma- na concorsero alla formazione di quel dialetto. L' ele- mento gallico o franco, che il Savigny ed altri nota- rono in alcune frasi e in leggi intere del codice udi- nese, non autorizzano perciò ad assegnargli un' epoca meno lontana , e riferirlo ai tempi di Carlo Magno e de' suoi successori , poiché i Franchi dominarono in Friuli anche prima della conquista di Carlo Magno; e si ha dallo storico Px'ocopio, e da altri ancora, che fino dal tempo in cui Narsete venne in Italia per con- durvl la guerra gotica, i Franchi erano in possesso della Venezia mediterranea, che cominciando da Ve- rona tutto il Friuli ahhracciava, e che l'Istria e la Venezia marittima erano sotto il dominio dei Greci. E che le leggi Giustinianee , recate dal codice udine- se, preesistessero in Friuli alla franca dominazione, Io argomenta dagli stessi Capitolari di Carlo Magno, che conservarono alle Venezie le loro leggi e i loro costumi. Finalmente ragionando delle appendici che accre- scono le dovizie di questo codice, avverte che per la massima parte si compongono delle leggi di Teodosio e Giustiniano sulla ecclesiastica giurisdizione, sui pri- vilegi delle chiese, dei vescovi, dei chierici, dei mo- nasteri, e qua e colà vi furono aggiunti alcuni passi tratti da collezioni di Diritto canonico. Ed è in queste appendici soltanto che l'autore nota varietà di caratteri che accenna ad epoche diverse, non però più vicine dell' undecimo o duodecimo se- colo. E qui riflette: « la grande cura e studio, con 360 » clie furono aggiunte e adimate in ([ueslo codice lo )) leggi concernenti i diritti e privilegi ecclesiastici, )) ci pone sul ravviso che il sacerdozio ne fosse depo- » sitarlo e custode. » « E In vero questo manoscritto appartenne ad » Aquileja, clie perita col mondo pagano si rifece crl- n stiana, e fu sede famosa di un sacerdote sovrano. » « Con raro esempio i patriarchi di Aqulleja eserci- » tando la sovranità morale, pervennero alla sovranità » politica. E questa sovranità morale dei patriarchi » (li Aquileia risale ai primi tempi del mondo cri- » stiano. » « Benché queste appendici sleno tratte alle volle » da fonti diverse , e non siano ordinatamente dispo- » ste, e vi s' incontrino alcune dissonanze e contr-a- » dizioni, ciò non ne scema punto la grande autorità. » La legge e il diritto erano allora un sentimento )•) confuso nella coscienza dei popoli , e le esigenze >ì (Iella vita prevalevano sulle inflessibili deduzioni )) della logica. » (( Poco importa che queste appendici sleno di altro » carattere e di epoche diverse; anzi giova che tali es- » se sleno, onde accrescere autorità al codice stesso. » « Se fosse opera di qualche erudito o di qualche )) giurista destinata soltanto ad uso privato, non la si )) avrebbe arricchita di tempo in tempo di nuove leg- )) gì, né ci darebbe la viva immagine del procedente )) Diritto, per lunghi secoli di non facile storia. » <' L'essersi tratto tratto accresciuto di nuove leggi, )) a seconda della opportunità, de' nuovi bisogni e dei o 61 » Itilli (poicliè il Dlrillo picgavasi allora alla sanzio- » ne eli un fatto compiuto), è tal cosa che fa certo il )) suo puLlico uso e la sua autorità In Friuli. I pochi )) fogli della prima parte di questo codice rimasti sen- » za scrittura accennano che nuove leggi si sarebbero » accolte, ove nuovi bisogni fossero surti e nuovi le- 1) oislatori. Ma il Diritto risorto nel duodecimo secolo » richiamava gl'Italiani airordlnameuto delle loro leg- » gi statutarie, sacro deposito dei loro interessi e •I della loro ragione civile. Così al propagarsi degli » statuti il codice udinese andava oscurato, ma non » doveva interamente perire. Il suo spirito animò, » compose lo statuto del Friuli; statuto che ogni altro » della penisola avanza per le savie sue leggi. » « Tale essendo il codice udinese , le vicende del )) Diritto nel medio-evo, e le condizioni d'Italia sotto » la longobardica dominazione ricevono da lui vivis- ») sima luce; e quantunque in rozzo sajo avvolto, non » gli può venir meno la riverenza degli uomini. » -o.33@lgSo- 362 Siiir azione medicamentosa delF oppio. — Memo- ria del dolt. G. B. Mugna, Membro ordinario, letta nella tornata 3 Luglio 1853. Oe osservazione ed esperienza abbiano avanzalo ogni fisica disciplina, e fra queste senza dubbio l'arte di guarire, egli è ben singolare che alla farmacologia, nata pur essa dalla osservazione e dalla sperienza, non sia toccala la bella sorte di progredire e perfezionarsi. Lamentando questa lentezza, l'autore arriva alla metà del secolo decimottavo per trovare uno scrittore di farmacologia, il quale governi questa partita con un qualche lume di critica. Guglielmo Cullen professore di Edimburgo, il quale, occupandosi dell'azione me- dicamentosa sul solido semplice e sul solido vivo, pre- ludeva la distinzione fondamentale (azione meccanica, o fisico - chimica, e dinamica) del Giacomini. Surse un èra nuova, segnata da sperimenti nuovi e numerosi, dai quali, olire alla distinzione su mentovata del po- tere medicamentoso, si trovò il px-imario e costante, il secondario e variabile; si ridusse a semplicità filoso- fica la terapia, cos'i che di sovente un solo rimedio ba- sta alla cura di gravi affezioni dal principio al fine, e hi sbandita per sempre la poli farmacia galenica e bocrhaaviana. Ed accenna quanto operasse il Giacomi- ni, preceduto da Rasori e Borda, all'epoca nostra. A dire le incertezze e le ambagi dei metodi e dei precetti antichi di farmacologia basta la storia del- 363 Topplo; ed è su questo rimedio clic Taulore ama in- IrattcJierc FAccademia a comprovarne l'assiuito. Lo si ammiuistrava iu ogni maialila ; e spesso poteva sor- gere il bisogno di procurare sonno, di sedare convul- sioni, di calmare dolori. Virtù ipnotica, antispasmo- dica, anodina si concedere all'oppio da tempo imme- morabile ; ed accenna al modo di vedere ed ammini- strare l'azione dell'oppio di Paracelso, di Silvio de la Boè, Sydeuham, Cullen, Tralles, Zimmermann, Brovvn, ec. Come l'oppio si abbia azione calefattiva e stimo- lante mostrarlo i Musulmani con l'uso frequente, e l'ef- fetto analogo che ottiensi dal vino. Prospero Alpino ci narra della necessità dell'oppio presso gli Egizj, i quali, se ne sospendevano l'uso, andavano incontro a molestie svariate che guarivano col ritornare all'oppio; aver veduto molti i quali sostituivano all'oppio util- mente larga pozione di vino di Creta, aromatizzato con droghe varie. E seguono altri falli storici. L'aste- nia indiretta dei Browniani aver condotto all'abuso dell'oppio ; e se a quel tempo i Browniani ottenevano guarigioni di malattie che medici d'altra scuola cura- vano con metodo antiflogistico, ciò aversi dovuto in gran parie alla mescolanza di altri farmaci d'azione opposla, ed alla potenza conservatrice del processo vitale, che risponde a quanto intendeva Ippocrate per natura medi cai rie e. Messe innanzi queste ed altre considerazioni, di- rette al come si debba tenere l'azione medicamentosa dell'oppio, veniva a discorrere delle sperienze del dott. 364 F. Lavagna (publicalc nel 1 842), il quale si accinse a luoslrare esser l'oppio uno fra i più polenti controsli- inolanli od antifloolstlci che si conoscano in medicina. Le sperienze del Lavagna furono instituite sui polli, sui piccioni, ed altri uccelli minori ; alFoppIo conlra- pose egli a parte a parte la cliina-cliina, il vino, l'am- moniaca , sostanze ritenute da lui egualmente sli- molanti. Connato quanto riguarda la dose dell'oppio adoperato dal Lavagna, ed al principio suo che gli la ritenere la virtù dell'oppio elisa da quella della chi- na-china (non concessa quale stimolante), Taulore sostiene che sugli sperimenti del Lavagna niente di certo e di positivo puossi stabilire, quando si ponga mente alla tolleranza per l'oppio che i gallinacei han- no grandissima. Mosso da curiosità nello Intendere le dosi tragi^andi d'oppio usale dal Lavagna, ed i pochi effetti ottenuti, ha voluto fare qualche prova. Giunse fino alla dose di 60 grani, ne vide avverarsi quell'assopimento che il Lavagna aveva osservato sui 24-30 grani; ed uno dei galli, assoggettato già due volte allo speri- mento con 40-60, mostrò d'essere più gravemente affetto con 90 grani, ma giammai da vero sopore. Sl)a- lordito, cibavasi in pria, poi non prese altro cibo; fu colto da diarrea j ed in tale stalo, che aggravavasi sempre, dopo tre giorni peri. Ha esaminato ancora le sperienze che il Lavagna instituiva sopra sé medesimo coll'opplo e col vino di Malaga; altre ancora, sui polli, coll'oppio e col gius- (juiamo : e dedusse non avervi risultamculo Icgilllìiio 265 Si riguardo alla dose che alla mescolanza di due so- slaiize, non sapendosi a quale delle due si debba at- tribuire gli effetti che lo sperimentatore avvisa osser- vati. Ciocché dà occasione all'autore d' insistere sulle coudizioni indispensabili allo sperimento ; e sia tale da escludere qualunque dubbiezza, né temere quelle obbieziouì che, per essere strettamente logiche, attac- cano i fondamenti sui quali fu iustituito, ed il fanno cadere. Egli è quindi Tesarae analitico di tutto che fecero gli oppositori dell'azione medicamentosa dell'oppio, che non ismuove l'autore dalla idea, essere quella ipersteuizzante; e gli avvelenamenti da questa droga, curati con metodo ipostenizzante affatto, gliene danno ampia confermazione. Tocca rapidamente ciò che fu fatto da poco tempo nello spedale di Pavia; le infiam- mazioni dei visceri toracici trattate con uno o pochi salassi a principio, e poi con oppio e calomelano, sic- come fatti clinici acconci a dimostrare potentissima l'azione ipostenizzante di questo preparato mercuria- le ; di guisa che, dato a quella forte dose che usò il dott. Morganti, vale non solo ad elidere l'azione con- traria dell'oppio, ma eziandio a surrogare quella del salasso medesimo. Per ultimo, siccome alcuni ammisero nell'oppio, oltre all'azione quantitativa, la qualitativa, dichiara non saper vedere in questa che la maniera di agire tutta propria dell'oppio; azione che si dovrebbe ri- durre in fine alla chimica, o alla chimica molto con- forme, quando non si volesse affogare nel pelago del- 366 le qualità occulte. Ma come accordare, tlic'egli, il fat- to, che, a produrre il supposto effetto qualitativo o elamico dell'oppio, ne basta bene spesso una piccola quantità (un grano, p, e.; anche una frazione di grano, usando i sali di morfina) colle leggi più avverate del- rafliuità chimica? Ed anche concedendo l'azione qua- litativa, può essa mai dissociarsi dalla quantitativa? L'elemento nervoso, lo sconcerto d'Innervazione, co- me dicono, che può avvenire nel corso d'una flogosi, e COSI prevalente da doversi sedare coll'oppio, non può essere che diffusione organico -dinamica, la quale si vince più prontamente e sicuramente combattendo la causa, cioè la infiammazione. Sono queste le linee precipue sulle quali è distesa la Memoria del nostro Membro ordinario; alla quale, quando sarà pubblicata, dovrà ricorrere colui che vo- lesse vedere più addentro. Seconda lettura della tornala 3 Luglio 1853. — Jcipenser Fallisnem. Nuova specie descritta dal doti. Pi. MoLiN, professore di storia naturale nella L R. Università. il professore Molin leggeva cosi : « Un pesce singolare fermava la mia attenzione : era un Acipenser. Ma alla forma del muso, alla forma e alle dimensioni della bocca, agli scudi che compon- 367 sono le due serie laterali, alla mancanza assoluta di scudi fra la pinna dorsale e la caudale, nonché fra l'anale e la caudale stessa, lo riconobbi per una nuova specie. Lo feci tema degli sludj miei, perchè questo essere mi rappresentava una sentinella di più fra le poche le quali ci restano, nella generazione attuale, superstiti a queir immenso esercito de' ganoidei, che unitamente agli squali tiranneggiava i mari sino alla fine dell'epoca jurese; lo feci tema degli sludj miei, perchè gli è dovere di chi rappresenta le scienze na- turali in una Università illustrare, prima d'ogni altra cosa, la fauna patria. » e Fino ad ora si conoscono due specie di acipen- sori proprie al mare Adriatico, vale a dire VAcipen- ser sturio e V Jlcipenser Naccari di Bonaparte, che da Fitziuger veniva denominato Acipenser Hockelit. Il primo data, come suddito della scienza, dal padre della storia naturale; ma il secondo non venne descrit- to né da Bonaparte, uè da Fitzinger primamente, ma sì bene da un nostro connazionale, da un illustre de- funto, la cui memoria viene onorata da pochi. Ed ap- punto pei'chè pochi onorano la memoria di quest'uo- mo, nei manoscritti del quale io trovava la impronta del genio investigatore, mi gode l'animo rivendicargli la scoperta di questa specie. Egli è, o signori, l'abate Chiereghin di Chioggia, che diede una descrizione zoo- logica esattissima ùeW Acipenser Naccari di Bonapar- te, denominandolo Acipenser Ladanus. » « Questa terza specie di Acipenser si distingue pe' seguenti caratteri: il muso ha la forma d'un triangolo 368 colla punta rivolta airiusù, eguale in lunghezza alla testa, ma 1/4 più lungo della base, colla faccia supe- riore concava dall' innanzi all' indietro, convessa da destra a sinistra. La faccia inferiore, convessa dall' in- nanzi all' indietro, mostra una dolce eminenza paral- lela all'asse, ed una linea semicircolare eminente, ove poggia il bordo della mascella superiore, nonché quat- tro cirri distribuiti in semicerchio, che taglia l'asso del muso nel suo punto di mezzo. La cute che lo ri- veste non si modifica in tutta la sua estensione a for- mare quegli scudi ossei che rivestono tutta la testa ; ma soltanto lungo l'asse alle due faccie del muso for- ma due strisele ossee. La superiore di esse sembra la continuazione degli scudi che investono il capo; co- mincia fra le due cavità nasali, ne occupa alla sua ori- gine tutto l'interstizio, e va restringendosi verso l'api- ce del muso. La linea inferiore è interrotta, appena visibile alla sua origine, e, rappresentata da due tu- bercoli ossei, si distingue maggiormente verso l'apice. I margini laterali del muso sono estremamente molli, perchè la cute che veste la cartilagine sottoposta non vi aderisce perfettamente, ma forma da ambedue i lati un'ampia plica. Gli occhi sono collocati alla base del muso lateralmente subito sotto il margine formato dai due scudi anteriori del capo ; il loro centro è nella stessa linea verticale in cui si trova il vertice dell'an- golo formato dalla linea curva della testa e dal mar- gine laterale del muso. La cute che circonda l'orbita si modifica dietro questa in sostanza ossea, e si esten- de ossificata fino all'angolo inferiore del muso. Ante- 3G9 riornienle alle due orbite si trovano i quallro fori na- sali ; i due superiori lianno un diametro appena mi- nore dei due laterali; questi si trovano nel prolunga- mento delFasse dell'orbita, quelli un po' innanzi agli infeinori, e tutti quattro sono pressoché circolari. La pupilla è nera, l'iride gialla, e i due occhi sono di- stanti tre volte il loro diametro. La faccia superiore della testa ha la forma d'un trapezio, il cui margine anteriore è uguale alla metà, ed ognuno dei laterali a 5/4 del posteriore. I quattro scudi principali che coprono la testa sono presso a poco ellittici, e i loro punti culminanti, dai quali partono i raggi, occupano i vertici d'un parallelogrammo rettangolo, del quale il lato perpendicolare all'asse del pesce è uguale alla metà del lato parallelo. Litorno a questi quattro scudi della porzione posteriore di un'orbita fino all'altra si estende una catena di nove scudi formanti tre linee, due delle quali determinano i margini laterali, ed una il posteriore della testa. Il margine posteriore è for- mato da tre scudi, e fra questi si distingue quello di mezzo per la sua forma di stella a tre raggi, nel cui angolo posteriore s' infigge il primo scudo della serie dorsale. Ad ognuno dei due angoli posteriori della testa si concatenano due altri scudi, che vanno a con- giungersi ad angolo con quelli che formano la cintura toracica. Gli opercoli sono formati in parte di piastre ossee, ed in parte di tessuti molli ; il loro margine posteriore non copre perfettamente la fessura bron- chiale, e là dove la catena delle piastre ossee si at- tacca al margine della testa trovasi uno spiraglio. 370 La Locca distingue questo Acipenser da tutti gli altri pesci dello stesso genere. Essa è un'ampia fessura die si estende più In là ancora degli angoli posteriori del mnso. La cute, che veste le due mascelle, forma una plica, la quale, meno 11 terzo di mezzo della mascella inferiore, circonda tutto il resto della bocca. Una du- plicatura molto larga è formata dalla cute al margine inferiore dei due opercoli. Undici scudi a doppia tet- toja formano la serie dorsale; essi aumentano in al- tezza dal primo al decimo, terminano tutti superior- mente in uri uncino che s'innalza verso l'estremità posteriore, e l'undecimo è più lungo di tutti. Ognuna delle due serie laterali che corrono lungo 1 fianchi è formata da 45 scudi, ciascuno dei quali porta nel suo centro un uncino acutissimo, ed ha la forma d'un rombo, colla diagonale minore obbliqua all'asse. Delle due serie ventrali la destra aveva 9 scudi, e la sini- stra 1 \. Fra l'ano e la pinna anale v'erano parimente due scudi; ma nessuno fra la pinna anale e la caudale, nonché fra questa e la dorsale. La cute della coda si- miglia una lima. L'ano si apre a 3/5 della lunghezza dell'asse. La coda è lunga 2/9 dell'asse. I cirri ripie- gati indietro sorpassano la bocca. » « Chi vorrà prendersi la pena di confrontare que- sta descrizione con quella delle altre due specie date dal Bonaparte, troverà ch'essa si distingue: \° per la forma e consistenza del muso ; 2.° per la forma ed ampiezza della bocca (il che dà alla testa intera del pesce un aspetto del tutto differente da quello degli altri due suoi consanguinei); 3." per il numero e forma 37 J degli scudi formanti le serie laterali, paragonati a quelli formanti la sei^e dorsale ; 4." per la mancanza di piastre fra le pinne anale, dorsale, caudale ; 5.° per la lunghezza della coda ; 6.° per la forma e posizione delle narici. Io non duLitei'ò dunque determinare que- sto essere, che abbiamo sott' occhio, come una nuova specie, e lo denominerò Acipenser Vallisnerii. » « Questo tributo ch'io rendo ai mani dell'illustre investigatore, il quale fece fiorire le scienze naturali dalla cattedra di Padova, dimostri ai profani che le vere glorie pati-ie inspirano amore e riconoscenza an- che al di là della tomba; e che l'uomo della scienza^ meditando sugli scritti di coloro che lo precedettero nel difficile arringo, quando scopre un ingegno supe- riore, arde d' impazienza a rendergli omaggio e vene- razione: unico compenso a chi affatica la vita negli stud) severi. » Tornata JO Luglio 1853, ultima dell'anno acca- demico. — Legge il Membro ord. Trettenero. llella mia lettura del 3 Marzo p. p. a quest'Accade- mia, esponendo i risultati delle mie ricerche, tendenti alla determinazione dell'orbita d'Irene, ho accennato all' impegno assuntomi di un lavoro analogo per Eu- nomia. Quest'ultimo forma l'oggetto della presente comunicazione. 372 Einiojiila, 15." degli asteroidi, fu irovala da Ga- sparis il 29 Luglio 1851, e ben tosto osservata nel maggior numero delle Specole d' Europa, e più tardi d'America. Qui abbiamo potuto osservarla al Circolo Meridiano fin verso la fine d'Agosto di quell'anno. Gli ultimi a perderla di vista furono gli Astronomi di Washington nel 14 Gennajo 1852. Fin dalle prime osservazioni molti con me si occuparono della sua or- bita : Enclse, Gasparis, Klinkerfues, Westplial, G. RLiraker. Tutti però, ad eccezione di Riiniker e di me, l'abbandonarono dopo una prima ricerca : noi due per- sistemmo; e i terzi elementi dell'uno e dell'altro com- parvero simultanei nel n.° 816. (ìeWÀstroìi. Nadir.: quelli di RLìniker basavano sopra tre; i miei sopra quattro luoglii normali, comprendenti tutta la prima apparizione. I nostri risultamenti, perchè derivali in gran parte dalle stesse osservazioni, erano quasi co- incidenti : Riiniker applicò a' suoi le perturbazioni di Giove; io a' miei quelle di Giove e di Saturno: ed en- trambi ne deducemmo un'effemeride per la seconda apparizione. La differenza fra le due effemeridi era dì circa 4' d'arco in AR, e quasi nulla in declinazione. Più tardi nel n.° 832 àdWAstr. Nadir, fu pubbli- cato un sistema d'Elementi del danese Schjellerup, i quali si dichiaravano dedotti dal complesso di tutte le osservazioni della prima apparizione ; ma non era detto in qual modo. Questi Elementi, e la relativa ef- femeride che ne fu ricavata, avendo riguardo alle per- turbazioni di Giove, differivano molto dai risultati di Riimker e miei. 373 La nuova apparizione tVEimomia, le cui prime os- servazioni sono di Berlino nel Luglio 'J8o2, mostrò nella mia effemeride un errore che nel suo massimo arrivò lino a quasi 1 0' d'arco nel mese di Ottobre p.p.; poi diminuì. Nell'effemeride di Fiùmker l'errore è di circa 3',5 più grande che nella mia: arriva poi lino a 25' in quella di Schjetterup. In questa seconda apparizio- ne il pianeta molto boreale e molto prossimo alla Terra venne lungamente ed esattamente osservato: qui a Pa- dova si potè averne una lunga serie di osservazioni me- ridiane, che arrivano fin verso la fine di Gennajo p.p. Nel profittare della seconda apparizione d'Euno- miaper la corx'ezione degli Elementi io sono stato pre- venuto da RiJmker, i cui Elementi corretti comparve- ro già nel n.° 852 dell'-^s/r. Nadir, quando il mio lavoro presente era bensì molto inoltrato, ma non an- cora compiuto. Per qualche momento dubitai se do- vessi 0 no condurre a termine una ricerca forse esau- rita ; ma un attento esame del lavoro di Rùmker mi determinò a proseguire. Riimker infatti appoggia la sua nuova orbita sopra quattro soli luoghi noi'mali, due della prima opposizione e due della seconda; men- tre la durata delle due opposizioni mi pareva esibirne vantaggiosamente un numero maggiore. Di più, i quat- tro luoghi mi parvero scelti poco felicemente. Il se- condo dipende dalle ultime osservazioni di Washington del Gennajo 1852, quando il pianeta toccava già i li- miti della visibilità, e non poteva quindi essere bene osservato. Se io pure nel calcolo de' miei terzi Ele- menti ho adoperato quelle osservazioni, lo feci perchè 374 nella prima apparizione le più importanti osservazio- ni sono le più lontane ; ma cessa tale importanza con una seconda compai-sa dell'astro. Cosi pure il terzo luogo di Riimker dipende dalle prime osservazioni della seconda apparizione, quando Tastro, appena svi- luppato dai crepuscoli solari, non permetteva ancora precise determinazioni. Queste sono infatti molto di- scordi; e se io stesso le impiegai per la loro importan- za in quella posizione dell'orbita, ebbi però la pre- cauzione di alti'ibuire al luogo noi-male, che ne di- pende, soltanto la metà del peso dato ad altri luoghi più sicuri. Finalmente Riimker ha tenuto conto sol- tanto delle perturbazioni di Giove, mentre non mi sembravano trascurabili quelle di Saturno , e molto meno quelle della Terra, a cui Eunomia fu sempre molto vicina nella seconda apparizione. Dopo tutto ciò non farà meraviglia se, ad onta che quattro soli fossero i luoghi che Piiimker s'era proposto di unire insieme in un'orbita, uno se ne allontana ancora di 12" in AR; errore non indifferente, quando si pensi che a tutti quattro i luoghi fu attribuito lo stesso peso. Dirò adesso brevemente di quello che ho fatto io. Sono partito da' miei terzi Elementi, ch'erano i seguenti: Epoca 6,0 Agosto i85l T. M. di Greenwich. M = 280°2Ì' 2", 98 291 S»pong;ia. Sui miasmi e sull'ozono » 311 Trcvìsan. Sulla esatta determinazione scientifica del fungo paras- sito dell'uva » 321 Sulla tribù delle Lecideine. (Memoria li. Del Saggio d'una classazione naturale dei Licheni) n 351 De Leva. Saggio d' una Geografia per servire alla filosofia della storia » 323 De Zigiio. Sulle Cicadec fossili dell' Oolite )) 345 Bontnrinl. Sui procedimenti del Diritto romano nel medio -evo; sul Codice udinese come documento illustrativo la storia del Diritto, ec n 353 niagna. Sull'azione medicaiTientosa dell'oppio » 362 ll«»llu. Su VAcipenser Vallisìierii^ nuova specie dell'Adriatico rin- venuta e descritta daìi'avrtore . . . • )> 366 Una nuiTTH specie di Squalus » 381 Tpctteuoro. Nuava dejterminazione dell'orbita di Eunomia, ed effemeride per la oppasizione del 1854 » 371 Elementi parabolici della Cometa scoperta a Gottinga nel dì 10 Giugno 1853 . ; » 380 APPENDICE Libri offerti in dono alP Accademia » 393 Elenco dei Membri ordinar] che avranno obbligo di leggere nel ven- turo anno accademico 1853-54 » 391 Avvertimento relativo alla biblioteca dell'Accademia .... » 396 RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA L R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membii Ordinari della Sezione di Medicina, G. F. Sporgi a. Ocf < 8 5 3 - ó /i. VOLU.IBE II. PADOVA VER F. A. SICCA E FIGLIO TIPOGRAFI DELLA 1. R. ACCADEML4^ RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA l. R. ACCADEMLl DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinar j della Sezione di Medicina, G. F. Spokcia, GUHtcitte ptiuio e becoiiììo Volume II. V Iteltl in forse, o Colleghi, se io dovessi occupare la vostra attenzione colla presente lettura, perchè ne temeva il subbietto di troppo ritagliata municipale mi- nuteria, e quindi non rispondente alla dignità di que- st'Adunanza. Pure pensando fra me che Voi tutti, quali per vincolo di nascimento, quali per abitudine di sog- giorno, appartenete a questa città, stimai potesse di leggieri venirmi comportato l'ai^gomento di che oso trat- tenervi. Imperocché dov'è scienza vera, ivi è pure gen- tilezza di animo, la quale guardando al congregameuto dei cittadini siccome a famiglia, può piacersi talvolta, quasi a parentevole e domestico sollievo dalle usate gra- vi meditazioni, di conoscerne gli antichi usi, attenenze e ricordi. Ma non è solo con l'udito che mi abbiate ad accompagnare mentre io vi parlo; che vi prego a se- guirmi pure con lo sguardo, e a tenere oggi per poco quest'Accademia in conto di Peripato ; perciocché il mio discorso non sia che un passeggio con alternati riposi a quella od a questa contrada della nostra città; in modo per altro che non c'incolgano i rigidi buffi della giornata. 10 E quivi bisogna sapere come un egregio nosLro con- ciltadino, eli' io mi reco a ventura di poter chiamare mio amico, il marchese Galeazzo Dondi dall'Orologio, e quell'accurato e conosciuto bibliofilo eh' è il profes- sore Valsecchi, posseggano due diversi manoscritti ano- nimi, intesi a rendere le storiche etimologie dei nomi, da cui si chiamano le porte, i ponti, i borghi, le piaz- ze, le contrade di Padova. L'anonimo Orologio risale forse ai principj del secolo scorso; l'altro del Valsecchi al 1687. Entrambi si riportano a vecchi scrittori; en- trambi registrando anche le opinioni vaghe e sospette di favola, pongono cura a sceverarle dalle vere, ed a mettere queste In piena luce : spesso si accordano, tal- volta portano diverso giudiclo ; nel quale ultimo caso porrò innanzi il mio avviso di preferenza. Io dunque, profittando della concessami facoltà dai posseditori de' due manoscritti, non feci che spigolare quanto mi parve o più nettamente provato dagli operati confronti, o di più facile conghiettura, lasciando le troppo manifeste etimologie, come a dire le procedenti dai nomi di chie- se, da forme, da mestieri, da mercati, e da cosi fatte altre origini, che nella sola parola hanno signlficanza spiccata. E prendendo tosto le mosse da un ponte, perdonate ad una simpatia di postura la priorità di rimembranza eli' Io do a quello detto della Slua, che sorge da presso alla mia abitazione. Vuole l'anonimo Orologio che lo si addomandasse da prima Scudellario, perchè costrutto da un cittadino che fabbricava scodelle ad uso della milizia. Condotto costui per avidità di guadagno a vi- ìì ziare la propria merce, ne avrebbe avuto in pena la carcere, e la intimazione di non uscirne se non allora che cogl' indebiti profitti congiungesse in quella parte del fiume le due opposte rive ; la quale sentenza recata in atto, sarebbe stata occasione a quel nome che nel mestiere del condannato aveva radice. Venendo poscia il cronista alla presente denominazione, egli narra che essendo stato posto un assedio alla nostra città, da quella parte vi entrassero i vincitori, appiccandovi gli inceudj, e giovandosi a ciò di un forno o stufa ch'era là collocata per la cuocitura del pane a prò delle sol- datesche. Il quale racconto potrebbe riferirsi al ì 390, anno in cui Francesco Novello da Carrara riprese la patria dalle mani del Visconti, mettendovi piede per la porta che aprivasi presso la chiesa di san Matteo, quando Padova restrignevasi alla cerchia delle vecchie mura. Infatti fu allora che Pietro da Grompo, capi- tano carrarese, co' suoi guastatori ne atterrò e ne bru- ciò la saracinesca con danno di tutta la contrada, e segnatamente del nominato forno, stufa o stua, d'onde al ponte il battesimo che tuttavia gli rimane. Non am^ mettendo poi, perchè non provata da verun fatto o do- cumento, l'asserzione di quelli che credono colà altra volta accomodata una stufa pe' i lavori della lana, po- trebbesi più presto dare ascolto all'anonimo del Val- secchi, che dedurrebbe codesto battesimo (ecco le sue parole) daWantica stufa dove si curano gV infermi e franciosati. Fra le diverse etimologie dei due cronisti sono in dubbio a quale attenermi ; ma penderei forse alla seconda, perchè sappiamo dal primo volume degli 12 Statuti di Padova, come nella vecchia abbazia di san Matteo fosse una infermeria ; e sappiamo del pari come 1 forni e le stufe facessero parte dell'antica terapeutica in alcune malattie per promuovere la traspirazione, ed espellere con tal mezzo i mali germi del morbo. Scel- ga ognuno a sua posta quella delle due spiegazioni che più gli talenta, lasciandosi per me il diritto di ma- ternità al nome in discorso così all'arte dlspensatrice della salute, come alla rivale che tronca la vita, alla guerra. E trambusto di armi richiama egualmente al nostro pensiero il nome di Godalunga, assegnato alla porta che fissa il termine settentrionale della nostra città. Non è avvenimento ristretto alle sole pagine della sto- ria municipale, ma sì d'importanza italica l'assedio po- sto a Padova dall' imperadore Massimiliano, e le molte e belle opere di difesa qua inalzate a que' tempi dalla Republica veneziana. Prima che questi guernimenti sorgessero, quanto correva dopo il ponte Molino era lutto sobborgo, con lungo proseguimento anche dove si coltivano ora le messi e crescono gli alberi, succeduti a quegli edifizj che il veneziano Senato atterrò quan- do levossi a ributtare le forze del paventato Monarca. Era questo il lunghissimo fra i nostri borghi ; era quasi il piede di quella croce, di cui Padova dà simiglianza con l'altro capo a san Daniele ; piede continuato da quella lunga coda di case che menzionammo più sopra, e che furono i-agione ad appellar Godalunga quel dl- stesissirao ceppo di abitazioni, ed ora la porta che si schiude in quel tratto. 13 Né vi spiaccia ancora seguirmi tra il fracasso delle battaglie e la ferocità degli assedj, trasportandovi meco nei tempi della più fitta barbarie, quando TUnno fla- gello, il crudelissimo Attila, ruppe a disertare le nostre regioni ; e piombato sopra Padova, con orribile distru- zione le fece mordere il dito della lunga oppostagli re- sistenza. A lui riferiscono quasi tutte le cronache il nome di Ruma, e poi Rovina, dato a quella via che dal ponte della Morte conduce all'altra de' Vignali. Di- cono che colà insieme ad edifizj di conto sorgesse il castello, contro cui l'avversario drizzò principalmente il nerbo dell'assalto con guasto e sperpero d'ogni co- struttura; d'onde a memoria la lugubre appellazione surrogata all'antichissima di Baccanalia, perchè i Gen- tili colà tenevano i liberi giuochi consacrati al nume propiziatore del succo lièo. La vicinanza de' luoghi, la conforme tristezza dei nomi m' invita a soffermarvi ancora là presso. A chi non è nota la ferocia dei tempi mezzani? Mentre noi ci spaziamo per le nostre contrade, ne abbiamo una ricordanza nel ponte della Morte, a' pie del quale (se- coudochè la più probabile tradizione ricorda) era una casa a mo' di fortezza, nido ad uomini di mal affare, che di là uscivano nottetempo ad aggredire i passag- gieri e rubarli, o gittavansi sulle donne a sfogo di li- bidine. Sì fattamente quegli scherani seppero asserra- gliarsi in quel tenebroso propugnacolo, che bisognò al Comiuie dar mano ad arieti e ad altri ordigni di guer- ra per atterrarlo, e per catturarne gl'insidiosi abitanti, che sommavano a 27, e che dannati a morte subirono la debita pena sovra il propinquo ponte, lasciandogli nella melanconica denominazione T impronta della sod- disfatta giustizia. Delitto e pena conformi a quella età, nella quale quanto incrudelivano i costumi, altrettanto ruvida sì, ma pronta distendevasi la mano della legge ad afferrare i colpevoli, a processarli, a punirli ; e pu- nirli di quel castigo che dalla commessa colpa di qual- che guisa informandosi, ne rilevava vie più la gravezza, ne suggellava la tempera, e ne accresceva il ribrezzo. Dalle giuridiche norme che qui toccammo ci è facile il passo a quelle tenute allora nel ministrare la cosa publica. Fra codeste hanno luogo i modi fermati nel- l'ordine monetario ; ed ecco a darvene testimonianza, sia pure a guisa di eccezione, la contrada di Mezzo- cono, che, giusta l'anonimo Orologio, fu così detta da una zecca posta colà, nella quale si batterono monete coniate da sola una parte ad uso della milizia e non più, colle seguenti parole; Moneta con mezzo conio; epigrafe che nella successione degli anni diede nome alla via dove sorgeva la officina metallica. Non ci narra il cronista quando corresse codesta pecunia : sappiamo bensì che nel 1049 Enrico III. concesse facoltà al Ve- scovo di Padova di battere moneta ; ed inoltre sappia- mo dalle storie, che molte città in tempo di assedio sopperivano alla urgenza del bisogno con monete da ciò dette ohsidionales , per la maggior parte coniate da una sola banda, ed accettate in commercio dalle mili- zie e dagli abitanti come segno di un valore intrinse- co specificato. Ed abbiamo pure nel medio-evo le Bra- cteatae. composte ad inganno di semplici foglie di 15 metallo, grossolanamente effigiate, e quasi tutte da un lato solo, perchè ad incavo. Del resto non è a stupire se i patrj storici e numismatici non facciano menzione di tale nostra moneta, perchè trattandosi di un segno che non avea valore, e che solo doveva durare quan- to richiedevalo la ragione dei tempi, cioè probabil- mente le strettezze di un assedio, è agevole dedurre che cessato il bisogno, sarà pure cessato il corso di quel denaro, il quale, siccome a tempo, non meritò l'onore di storica ricordanza. Onore per contrario giustamente meritato dal Fon- ie Gorho, uno dei quattro che vantano origine tiberi- na, ed il solo tra questi, il cui nome abbisogni forse di spiegazione. È così detto corrottamente in cambio di Corvo o Curvo o Curvus dalla maggiore curvità dell'arco principale, posta a confronto del ponte an- tecedente, che basso essendo, veniva facilmente in tempo di piena soverchiato dalle aque. A proposito del qual ponte non istimo fuori di luogo ripetere quanto ne dettava il chiarissimo ab. prof. Furlanetto nell'ultima Guida di Padova: « È però da osservarsi » (egli scrive) che il ponte Corbo è talmente confor- » mato, che il suo arco maggiore tiene alla sua sini- » stra, rivolta alla città, due altri archi gradatamente » minori, e alla destra è sostenuto da una grossissima » costruzione di mattoni, che fa le veci delli due ar- » chi minori, che dovrebbero corrispondere a quelli » che trovansi alla sinistra. Quale sia stato il motivo » di questa singolarità è cosa assai malagevole a sla- » bihrsi, e perciò lasceremo che ognuno formi quella 46 » conghiettura che la ispezioue del luogo e le cogni- » zionì sue architettoniche possono somministrargli. » Tuttavolta può supporsi che l'arco maggiore, uni- » taraente ai due minori, sia stato in tempo antico n distrutto per qualche incursione nemica ; poiché » chiaramente si vede che fu poi rifatto con pietre di » diversa e d' inferiore qualità, cosicché i cunei po- » steriormente impiegati, che sono di un colore gial- » lognolo e d'impasto più tenero, cedendo al peso, » restarono compressi , e quindi si abbassarono di » molto a confronto degli altri di colore ferrigno, e » assai più duri, che appartengono alla primiera co- )) struzione, e che simigliano quelli dei superstiti ar- )) chi minori, n Così il Furlanetto, la cui giusta indu- zione del rinovato arco maggiore, quale che la ragio- ne si fosse, conferma il racconto del cronista Orologio, e l'operato innalzamento del ponte. Né vuoisi pretex'- mettere, che da questo ponte gitlossi nel fiume la fa- mosa nostra giovinetta Isabella Ravagnina, preferen- do l'affogamento alla perdita del proprio onore, quan- do le milizie di Massimiliano, recatasi in mano per breve tempo la città, attentarono alla virtù di quella coraggiosa donzella. Se non opera di romana costruttura, uno certa- mente degli edificj che più onorano l'ardimentoso im- prendimento dell'italico evo mezzano ci rammenta la romita strada di Goncariola, posta in via parallela a quel tratto di fiume che corre tra il ponte di san Gio- vanni e l'altro dei Ta. Dove sorge adesso la gran Sala della Ragione passava un piccolo rivo d'acqua prove- 17 niente dall'alveo presso la chiesa di san Giovanni, il quale per la strada di Concariola, poi dietro il Duo- mo attraversava la piazza. Quando i padri nostri nel- l'anno H72 diedero mano ad ixmalzare quell'ampia e fra le pensili unica mole, cominciarono dall'otturare quel rivo, la cui memoria ci resta nell'appellazione della contrada che ora noi discorriamo ; appellazione che nelle due accoppiate parole significa a un tempo r interrato rigagnolo e la concava forma della via che gli permetteva il passaggio. Altra rimembranza del mentovato palazzo sommi- nistraci Fanzo, che dà nome non solo al ponte rivolto per al Seminario, ma sì pure lo allarga fino alla dilet- tosa villa posseduta dalla famiglia Piazza. Un mona- stero e una chiesa ad uso dei Canonici Regolari di san Giorgio in Alga furono murati con pietre rimaste o avanzate dopo la fabbrica della stessa gran sala ; on- de di Vanzo credesi venissero corrottamente chiamati da quel soverchio, di cui nella conservata parola vor- rebbesi rimasta tuttavia la memoria. Chiesa e monaste- ro che il vescovo cardinale Barbarigo, con quella sa- pienza che tutti sanno, nel ÌQl'l volgeva a scopo di educazione segnatamente ecclesiastica. Del resto il no- me di Vanzo leggesi in una carta di donazione fatta nel 970 da Gauslino Transalgardo vescovo di Padova al monastero di santa Giustina ; onde si convince di male esatta la etimologia sovraddetta, che a bello stu- dio ho qui riferita, perchè da molti essendo tenuta in conto di vera, ne venga notata la falsità. È per al- tro fuor d'ogni dubbio che nella erezione di quella 2 'J8 chiesa si adoperassero gli avanzi del Salone, senza che poi quel nome d' ignota origine conservasse in sé stes- so il ricordo del fatto. Dai publici edifizj discendendo alle modeste abita- zioni private che nei mezzi-tempi cominciarono a sor- gere in pietra, ci abbattiamo in quella via che da Stra-Maggiore guida all'altra di santa Lucia, e che con nostra meraviglia ha nome di Belle Parti. Angu- stia di spazio, bassura di portici, conseguente povertà di hice, contraddicono la indicazione che vi si legge. Ma siccome talvolta la ragion dei confronti levasi a misura del merito, trovarono giustissima quella deno- minazione gli antichi nostri, quando la maggior par- te della città non poteva offerire ai popolani se non miseri ricetti costrutti in legno, mentre là per le pri- me s'innalzarono a comodo loro case di pietra, delle quali si osservavano ancora i vestigi allorché scriveva l'anonimo del Valsecchi. Certamente qiie' domicilj non potevano essere architettati con amore di adoruezza e per la naturale rubesta condizione dei tempi, e per la severità delle leggi che governavano quella maniera di possesso. L'atterramento della casa al borghese reo di qualche misfatto anche non grave, l'incendio posto alle sue masserizie, il vincolo che legava al Comune la dimora del privato , quasi mezzo di sicurtà al- l'adempimento degli obblighi di cittadino, la facilità di ascrivere codeste abitazioni al fisco, erano tutte cause che rattiepidirono la sollecitudine dei posses- sori nel provvederne alle acconcezze ed all'abbelli- mento. Tuttavolta la mutazione della paglia sui tetti, 19 e delle scindule od asslcelli in tegole, delle pareti li- gnee in miu-ate, del solo basso terreno in più palchi, le prescrizioni alla forma dei mattoni e delle stesse tegole, dovevano dare alle nuove case lieta apparenza in paragone degli anteriori squallidissimi tugurj, e porgere quindi argomento al nome di quel sito, dove primiera tra noi quella mutazione comparve. Posto il piede una volta nel cammino del meglio, si manifestano facilmente le occasioni a progredire nel preso avviamento, si svelano nuovi bisogni, nuovi desideri si acuiscono ; e cosi avvenne ai nostri mag- giori quando alle luride case di legno surrogaronsi le murate. La strada di Rialto, che mette a quella di san Luca presso il ponte di Torricelle, viene a dar- cene prova. Avvallavasi lungo quel tratto un fossatel- lo accoglitore delle acque piovane, che stagnando colà in greto fangoso, davano triste frutto di puzzo e di vermini, utili soltanto ai pescatori, perchè abbonde- vole esca a. procurarsi buone tratte di pesce. Pozzan- ghera dicevano quel luogo, fioche il Comune, delibe- rato a cessare quella fetida insalubrità, prescrisse l'in- terramento dell'alveo limoso, e volle verso le mura elevare la nuova strada cosi, che le piogge vi avesse- ro facile china, d'onde rinserrandosi in sotterraneo sentiero, trovassero agevole sbocco nel fiume vicino. Quell'erta, o, come la chiamarono, quell'alta riva die- de nome alla strada, quasi a ristoro della primitiva cupa sozzura. Il quale intendimento al meglio ci viene cronolo- gicamente chiarito da qualche altra denominazione 20 «Ielle nostre contrade. A mo' di esempio, Patriarcato perchè? Tutti che si conoscono della storia nostra mu- nicipale, tutti sanno a quanta rinomanza e potere si fosse innalzata per que' tempi la Repubblica padovana, e come ne venisse desiderata dalle principali città d'Italia l'amicizia, dai grandi la cittadinanza. Fra co- desti fu pure Bertoldo patriarca di Aquileja, che nel- 1220 nominato a cittadino padovano, volle testimo- niare la sua gratitudine del conseguito favore co- struendo dodici vaste case appunto colà dove tuttavia presso a san Pietro per la ricordanza del fatto si man- tiene l'appellazione, che dalla mentovata dignità pre- latizia tragge l'origine. Seguitiamo gli avanzamenti della nascente civiltà. Appunto perchè, siccome avemmo piti sopra a veder- ne la prova, contiime erano le minaccie fatte nel me- dio-evo alla publica salute dagli stagni, dalle alte cerchia raux'ate, dalla immondizia delle popolane ca- sipole, dall'angustia delle vie, e da simiglianti altri sconci, fu contro a codesti che cercossi porre di mano in mano rimedio con utili provvedimenti e con leggi determinate. Altra di queste igieniche sollecitudini mirava a procurare perenne e salubre l'acqua potabile ad uso del popolo mercè alcuni pozzi sparsi per la città, da uno de' quali appellasi del Pozzo dipinto quella via che dicevasi per lo innanzi del Fallaroto, dalla famiglia che così addiraandavasi e che vi aveva abitazione, distrutta poscia da Eccelino. Ma siccome il pozzo che vi vaneggiava per la sua postura faceva disagio ai passeggieri, si fermò di chiuderlo, e se ne 2ì volle nel contiguo muro la dipintura, quasi a memo- ria del diritto che vi aveva il Comune. Se non che, prima di allontanarci da qui , non istimo perduta opera rammentare come questa contrada si chiamasse Bizantina, quando non ancora i Fallaroto vi avevano infissa la propria denominazione. Al quale proposito cade in acconcio rimembrare quanto le storie iterata- mente ci narrano di pericoli incumbenti nelle città agli stranieri, di bizzarrie negli umoin diversi, di rap- presaglie frequenti, non che di accordi, di confedera- zioni, di paci dette publiche, di ganerhinati, e di di- ritti di reciprocità a guarentigia de' forestieri. Fra tali modi noveravasi pure Tassegnamento loro di speciale e quasi direi fratellevole dimora, come adoperò Pa- dova con Bisanzio; prova forse del costumare che fa- cevano anche i nostri colà per vincolo di commercio. E fuor di dubbio il commercio, quella terza molla che dopo Tagrieoltura e le arti vigorisce gli Stati, spandeva su Padova i suoi beneficj. Permutavasi il ribocco delle derrate padovane con altre di bisogno e di piacere principalmente a Venezia, con cui lega- vasi la città nostra per nuovi canali sgombri d'ogni impedimento, mondi dagl' interri, serrati di argini, qua e là traversati da ponti, fra i quali (date venia alla schifosa corruzione) il Pidocchioso ci rammenta questa vicenda di traffichi. Sa troppo di favola la narrazione di qualche cronista a renderci il perchè del brutto nome che rimane ancora a quel ponte git- tato presso il presente Spedale. Vorrebbesi che un pidocchioso popolano annegasse per vendetta in quei- 22 le acque la propria moglie, che sempre gli rimprove- rava la ributtante sua sporcizia ; ma sembra più ve- ramente il sordido appellamento derivare dal facile guasto di ponderoso che così dicevasi il ponte stesso fino dal secolo imdecimo, forse a significare il peso delle acque che vi sottocorrevauo, o meglio delle mer- ci che colà scaricavansi dai molti legni mercantili pro- cedenti per il canale ora detto di Roncajette. E come il commercio, cosi Padova favoriva con utili accorgimenti l'industria, e segnatamente il lani- ficio, giovandosi delle famigerate sue lane. Provvi- denza di leggi, attuosità di lavoro, concessione di privilegi, larghezza di esenzioni levavano in onore quell'arte, potente allora in tutta l'Italia per la copia delle braccia a trattarla. Il ponte della Boeta presso ai Carmini vuol essere posto fra le testimonianze di questa comune allora sollecitudine nelle opere dell'in- dustria, alla quale dev'esso il proprio nome, cioè alla piccola Bova o canale emissario, il quale, mercè una chiavica collocata poco sotto al ponte di san Leonar- do, esce dal fiume, ed impartisce la cosi fatta appella- zione al mentovato ponte. Certo Alberto da Caligine padovano, ed amico di Eccelino, scavava quel fiumi- cello nel J246, ed agevolava ai mercatanti della lana il purgamento dei panni. Fu questa protezione alle arti che ne levò in gri- do i ministri, che li divise in corporazioni, che ne ri- conobbe l'esercizio siccome titolo al conseguimento delle magistrature, che il bisogno loro di publico or- dine a mantenere i commercj pose di fronte alla si- 23 curtà prediale, offerta dai proprietarj delle terre, dai maggiorenti. Dei quali ultimi i nomi più non sareb- bero in gran parte, se altri non ne avesse registrati la storia, altri non ci restassero nelle denominazioni delle nostre contrade. Verrei troppo scipitamente no- jandovi, se di questi il magro novero volessi ora esporvi; end' è ch'io mi soprattengo da questa lunga infilzata, e solo mi limito a farvi parola dei borghi Bogati e Livello per chiarire due abbagli in cui cad- dero alcuni cronisti. Questi vorrebbero tratta la eti- mologia del borgo Rogati dalla riunione di cittadini rogati, o chiamati colà per mettere ordine, quando che fosse, alle cose del Comune gravemente scapitate. E invece da sapere come vi avesse soggiorno l'antica famiglia dei Rogati, di cui Obizzo capitano di Desi- derio, ultimo re longobardo, ottenne da quel principe insegna di Cavaliere poco prima che Carlo Magno lo spodestasse dell' italico regno ; ed è quindi da quella famiglia che redo il nome quel borgo. Simile al cosi fatto è l'errore di chi al borgo Li- vello dà per origine etimologica la proprietà che ave- va di quelle case il Comune, dallo stesso accordate in enfiteusi con istromento di notajo; mentre per con- trario campeggia fra le antiche padovane la famiglia Livello che vi abitava, e che si spense in Ottavio, pu- llico lettore di leggi l'anno ^ 62 K Anche l'autore di questa Memoria era caduto nell'accennato errore, da cui lo trasse dappoi un più accurato esame della Cro- , naca Valsecchi, di cui altra copia è posseduta dalla fa- miglia Piazza j questa del 1671, quella del 1687. 24 Eccoci al termine del passeggio variamente con- dotto, quando tra il fremito delle armi e la severità della oltraggiata giustizia ; quando fra provvidenze di norme publiche, clie simili a sorriso di aurora pro- mettevano la crescente futura civiltà ; e fra le testi- monianze dell'amor coraggioso, posto dagli avi nostri alla sicurezza, agli ornamenti, al comodo della patria ; ora iu mezzo ai ricordi delle vecchie industrie nostra- li ; ora da canto ai resti che ci rammentano il fervore dei traffichi ; sempre tra memorie che, parlandoci de' nostri progenitori, dilettano l'animo, ed incarnano, quasi dissi, negli sterili nomi delle nostre contrade gran parte della civile e politica storia tramandata dall'antica Padova a noi. Che se Voi senza noja com- piste l'urbana peregrinazione alla quale io v'invitava, sappiatene grado a que' due cortesi che ve ne porsero la occasione, affidandomi gli anonimi loro manoscrit- ti ; ma se per contrario ve ne provenne stucchevolez- za, ascrivetene tutta la colpa alla rudità del cicerone inesperto. Ridottosi a Sessione privata il Consiglio accademico, ha deliberato di pubblicare il concorso ai posti vacanti di Membro ordinario nelle Sezioni diverse, per giorni quindi- ci, a datare dal giorno 8 Gennajo 1854, e di passare quindi alle pratiche relative insegnate dallo Statuto vigente. o^3®@&o Di due piante insettifughe, Pyrethrum roseum Bieb. e Pfrethnim cinerariaefolium Trevir. — Memo- ria del Membro ordinario prof. R. de Visiani, letta nella Tornata 8 Gennajo 1854. ilei Giornale di Orticoltura pratica del Belgio, che r illustre viaggiatore botauico sig. Galeotti scrive e stampa a Bruxelles (l), uscì nel fascicolo di Maggio dell'anno testé passato un Articolo sopra una pianta del Caucaso, denominata colà Camomilla di Persia ed Erba delle pulci, che l'autore di quell'Articolo chia- mò Camomilla rossa per il colore de' suoi fiori, e che non è altro che il Pyrethrum roseum descritto dal Bie- berstein fino dal J 808 nella sua Flora Tauro-caucasi- ca. Quest'erba, preziosa per l'uso estesissimo che se ne fa in Persia, nelle regioni conterminanti al Caucaso e nella Russia meridionale, ove coltivasi in grande al solo fine di uccidere con essa gì' insetti più molesti al- l'uomo ed agli animali domestici, dicesi ora soltanto, per opera del Barone di Folkersham di Pahenhof in Curlandia, introdotta nel Giardino botanico di Bruxel- les, d'onde potrà essere agevolmente diffusa, per libe- rare l'umanità da uno dei più tristi fastidj che la tra- vagliano. Ma molto prima d'adesso questa pianta si col- tivava negli Orti botanici, e già fino dal 184j educa- (1) Journal ffHorticulture pratique de la Belgique par M. Galeotti, li." annce, N.° 3. Mai. Bruxelles 1853, pag. 88. 26 vasi nel Giardino de' Semplici di Firenze, se prestisi fede al Catalogo delle sue piante piiblicato in quell'an- no j e da oltre dieci anni si coltiva in questo di Pa- dova, d'onde annualmente se ne mandano i semi agli Orti botanici che col medesimo scambiano le proprie piante. Non è essa un piccolo arbusto, come certamente per abbaglio dicesi in quel Giornale, ma un'erba alta dai tre ai quattro piedi, a foglie assai frastagliate in brandelli lineari divergenti ed acuti, a stelo ramoso rit- to, portante in ogni cima un solo fiore, eh' è composto nel centro di fiorellini gialli e regolari, nella circon- ferenza rosei o più raramente bianchi, e foggiati a lin- guella. Prova benissimo nel nostro clima, e può soste- nere senza danno fino a 20 centigradi di freddo, e ancor più, essendo originaria degli altipiani del Cau- caso dai 4500 ai 6500 piedi sopra il livello del ma- re. Si moltiplica per divisione e separazione delle ra- dici, 0 per seme. Se ne disseccano e polverizzano i fiori, che si raccolgono sid finire della state ; e tanto è lo spaccio che se ne fa per combattere quegl' im- mondi parassiti, che, a detta del sig. di Folkershamj la sola provincia russa della Transcaucasia ne amma- nisce e dispensa ogni anno pe' bisogni dell' Impero me- glio che quarantamila chilogrammi ! (1). Con questa specie di Camomilla, o più esattamente di Crisantemo, ne venne talora confusa un'altra a lei simile nel colore e nel nome, che cresce nella regione stessa del Caucaso, e fu descritta nella stessa Flora (1) Journal d'Hort. 1. C. pag. 88. 27 Tauro -caucasica Jel Bieberstein colla denominazione tli Fyreihrum carneum. Questa pure, come in altri Orti botanici, così ancora nel nostro coltivasi da più anni. La grande analogia dei caratteri botanici delle due piante potrebbe far sospettare anche in quest'ul- tima Tefficacia benefica della prima. La lettura di quell'Articolo del Giornale ortense del Belgio, e per l'argomento che tratta, e per un tocco datovi d'altra pianta insettifuga adoperata a tal fine dai Dalmati e dai Bosnesi, mi richiamò alla memoria quest'ultima, intorno alla quale credo opportuno di trattare qui brevemente, sì per chiarirne meglio la specie e le proprietà, che per rettificare un errore die intorno alla stessa trovo ripetuto nel Giornale suddet- to. Si è questa una specie di Crisantemo descritta dal prof Treviranus col nome di Pyrethriim cinerariaefo- liatn fino dal J 820, ed indigena finora esclusivamente della Dalmazia. Questa pianta io descrissi poscia e figurai nel 1 826 col nome di Chrysanthemum Tur- reanum, volendo con esso ricordare il nome di Giorgio Dalla Torre, professore di Botanica in questa Univer- sità, come quello che pria d'ognuno avea conosciuta e nominata tal pianta nel Catalogo dell' Orto nostro per l'an. 1660; nel qual Orto, a detta del Boccone (Museo di piante rare, pag. 23), la si coltivava fin dal 1654. Ora questa pianta era adoperata dai Dalmati da tem- po immemorabile contro gl'insetti, cioè molto prima che i Botanici la descrivessero ; ed anche quando fu nota a questi s'ignorava che fosse dessa quella che somministrava la polvere contro i medesimi. La stessa 28 cosa era pure avvenuta della pianta del Caucaso ', sic- ché e Tana e l'altra erano già note e descritte prima che si sapesse che il Pyrethrum roseum fosse l' erba delle pidci del Caucaso, e il Pyrelhrum cinerariaefo' lium l'erba insettifuga della Dalmazia. Fu solo nel ] 842, che leggendo io negli Atti dell'Accademia delle Scien- ze di Bruxelles come il professore Cantraine, reduce da un viaggio fatto nella Dalmazia, comunicava a quel Corpo scientifico una sua Nota, in cui affermava usare i Dalmati ed i Bosnesi di mescolare allo strame che sottopongono agli animali domestici i fiori della gran- de Margherita de' prati, o Chrysanthenmm Leucan- themum L., per allontanarne gl'insetti (l), mi venne dubbio, non della grande Margherita de' prati, che in Dalmazia è scarsa tanto da mancare affatto nella mag- gior parte del regno, s\ invece del Pyrethrum cinera- riaefolium^ o Crisantemo Turreano, ivi comune nei luo- ghi aprici e sassosi, si servissero i Dalmati a tale sco- po. E ripensando alloi-a a quella polvere che colà ado- prasi contro le zanzare, e da qualche anno spacciasi comunemente a tal fine in tutti i paesi finitimi al- l'Adriatico, sospettai che la pianta di cui parlava il Cantraiue, e questa da cui traeasi tal polvere, fossero la stessa cosa, vale a dire il Crisantemo Turreano sud- detto. A chiarire tale sospetto estesi tosto le indagini più accurate, e mi fu dato di assicurarmi ben presto, che i fiori del Cristantemo della Dalmazia aveauo vir- (1) Buìhlin de VAcadémie de Bruxelles 1841, Voi. Vili. pag. 234. 29 lù di uccidere o almeno di tramortire od allontanare ogni fatta d'insetti nocivi airuomo ed agli animali; e che polverizzati e sparsi sopra altri oggetti, che tali insetti rodono o guastano, ne li liberano interamente. Di ciò diedi un tocco nel tomo II. pag. 88 della Flora Dalmata, publicata nel 1847, non consentendo T in- dole di quell'opera ch'io mi vi allargassi di più; né sarei forse ritornato a parlarne, se in quel Giornale orticolo, clie ho indicato da prima, non iscorgessi ri- badito ancora l'abbaglio preso dodici anni fa dal prof. Cantraine, e da me avvertito sei anni or sono. Piglio dunque argomento da ciò, per dire alcun che di più sul Crisantemo Turreano, e sugli usi cui può servire. Questa pianta, nominata primamente dal Trevira- nus Pyrethrum cineraria e folium, poi da me Ghrysan- ihemum Turreanutn, e che nella Flora Dalmata, per obbedire alle leggi della nomenclatura botanica, chia- mai Chrysanihemum cinerariaefolium , non ricono- scendo nel genere Pyrethrum caratteri sufficienti a di- stinguerlo dai Crisantemi, è pianticella erbacea, d'un colore grigio-argentino, originato da corti peli distesi e sericei che ricoprono ogni sua parte specialmente nei luoghi secchi e solatìi ; ha una radice fibrosa, ramo- sa, bruna, perenne, da cui si alzano uno o pochi steli annui, ramosi, flessuosi, angolati. Delle foglie, altre sor- gono accestite dalla radice, e queste sono ripetuta- mente pennatofesse, e i loro brani o frastagli sono al- terni, bifidi, ristretti a conio verso la base, allargati ed intagliali alla cima ; altre si spiccano da tutto il tronco, e sono meno frastagliale delle altre, e come più 30 accostansi al fiore si fanno più strette, più intere, più piccole, noncliè più corte di gambo. In vetta al tronco od al ramo sta un fiore retto da un piediccluolo rigido e solcato, che presso al fiore è guarnito d'alcuna fo- glioL'na abortita a foggia di squama. Il fiore composto che vi soprasta è cinto alla base da squame bislunghe, disposte ad embrice l'una sull'altra, di cui le estreme finiscono nel dintorno in raembranella sottile, secca e diafana. De' fioretti che lo compongono, quelli del con- torno sono ritratti a linguetta bianca, larga, segnata di due solchi per lo suo lungo, divisa in tre punte alla sommità, e sono feminei ; quelli del centro sono fog- giati ad imbuto, spartiti in cinque punte nell'orlo, ed ermafroditi. I suoi frutti od achenj sono lunghetti, a cinque canti, con altrettante faccie aspreggiate da mi- nutissime ghiandolette trasparenti e giallognole, turgi- de d'un olio essenziale loro proprio, nel quale certa- mente è riposta ogni loro virtù, e coronati in vetta da una membrauella o pappo, dentellato irregolarmente. Di questa pianta assai comune lungo le coste della Dalmazia, dopo il Dalla Torre, che nel Catalogo del- l' Orto di Padova per l'anno 1 660 la nominò Matri- caria Bellidis ampio flore, Jacoheae cinerariae foliis, ne scrisse Paolo Boccone nel 1697 sotto il nome di Chrysanlhcmum exoiicum incano Cinerariae folio {Museo di piante rare, pag. 23. tab. 4. e 1 31 .), e nel 1772 Gaetano Monti neWHistoria rariorum stirpiiim (pag. 77-78, tab. 51.) dello Zanoni ne publicò altra descrizione e figura, eh' ei trasse e tradusse dai ma- noscritti inediti dello Zanoni medesimo, i quali risali- 31 vano al 1675. Malgrado ciò, la pianta dalmata sfuggì al Linneo, al Willdenow, al Persoonj e a quanti loro succedettero fino al 1 820, in cui essendo nata nel- r Orto botanico di Breslavia da semi recativi di Dal- mazia, il prof, Treviranus la descrisse nell' Indice de' semi di quel Giardino (1), chiamandola Pyrethrum ci' nerariaefolium dal nome antico datole dal Dalla Torre, che aveva il primo notata la simiglianza delle foglie di questa con quelle della Cineraria mariiima. Più tardi la descrissi io stesso col nome di Ghrysanthemum Tur- reanum, ignorando l'anteriore nome impostole dal Treviranus, e ne diedi buona figura nello Specimen stir- pium dalmaticarum, Pat. j 826. Ma riconosciuta poscia la priorità del sinonimo, ne volendo conservare nella mia Flora il genere Pyrethrum, ritenni lo specifico da- tole dal Treviranus, chiamandola Ghrysanthemum ci- nerariaefolium (2) ; il qual nome satisfacendo a tutte le leggi della nomenclatura botanica, parrebbe ormai dover restare immutabile nella scienza (3). E indigena della costa della Dalmazia ne' luoghi aprici e sassosi da Zaravecchia in poi, e si conosce col nome illirico di Mali Pellin, e Pellin divji. Ora venendo alle facoltà ed agli usi di questa pian- ta, è noto da tempo remotissimo ai Dalmati essere i (1) Treviranus. Index seminum Horti Vratislaviae 1820, et in Ad. natur. curios. Voi. XIII. pag. 204. (2) Visianì, Fior. Dalm. 1847. Voi. II. pag. 88. (3) Un altro nome fu posto ancora a tal pianta, e la si chia- mò Tanacetum cinerariaefolium Ch. H. Schultz hip. (Ucb. die Tanacet. 1844, pag. 58). 32 fiori della medesima nocivi agl'insetti; ma gli è solo da dieci anui^ o poco più, che s' è reso comunissimo l'uso della sua polvere per farne fumigazioni utili a liberare le abitazioni dalle zanzare. Questa polvere si prepara co' fiori del Crisantemo suddetto, còlti in estate allorché sieno appassiti, ben disseccati all'ombra, pol- verizzati, e passati per istaccio finissimo; e se ne fabbrica a Zara, a Zaravecchia, e specialmente a Sebenico e Ra- gusa, d'onde si spaccia nell'iìlirìo, nell'Italia, nella Ger- mania, nella Grecia, nell' Egitto, nella Francia, nell'In- ghilterra, alla Nuova Yorck, alla Nuova Orleans. Trie- ste, Vienna e Londra sono le tre piazze che più ne con- sumano 0 vendono; e nel 1853 da Ragusa ne furono po- sti in commercio ì 6,000 funti, da Sebenico 25,000 : talché sommandovi le altre partite minori che n'esco- no annualmente da Zaravecchia e Zara, si può calco- larne lo smercio a piìi di 45,000 funti viennesi al- l'anno. Il prezzo all' ingrosso varia secondo la qualità, che spesso é adulterata con altre piante. La più legit- tima però, che si vende a Ragusa presso i fratelli Drobacz, si paga fiorini venti per ogni cento scatole del peso d'un quarto di funto di Vienna per ciasche- duna, o fiorini cinquanta per ogni cento funti viennesi di polvere sciolta. Ma qui è d'uopo far noto che il Cri- santemo stesso non essendo ivi in tale abbondanza da sopperire alle ricerche e al bisogno, ned essendosi an- cora pensato colà a coltivarlo, come pur gioverebbe, e potrebbe formare ben presto non ispregevole ramo d industria, e come per la Camomilla rossa fu detto farsi nella Russia meridionale ed in Persia; alcuni 33 fabbricatori o venditori di esso, sia per ignoranza, sia per malizia, usano mescolarvi la polvere di altre pian- te, in cìii la virtù insettifuga o non è dimostrata, o non trovasi. Per che vi tramestano quella fatta co' fiori della Camomilla comune, e più spesso ancora dell'-^n- themis Gotula e iìeWAnthemis arvemis, come quelle che sono più agevoli a rinvenirsi. Vi mescono pure i fiori polverizzati della Spartium junceum per darle un colore citrino; lo che deve torre efficacia alla pol- vere ; onde avviene sovente che la stessa non coglie l'effetto che se ne spera. La polvere più legittima vie- ne apprestata a Sebenico, e particolarmente a Ragusa da quegli abili farmacisti, che sono i fratelli Drobacz. Vuoisi però avvertire che bisogna adoperarla recente, mentre passato l'anno scema assai di efficacia. Tal polvere, sparsa sopra ferro arroventato o su brage accese, mette denso fumo grigio e odore alquanto spiacevole, slmile a quello della paglia bruciata, con cui profumando ripetutamente le stanze chiuse dopo il tramonto del sole, le zanzare (Culex pipiens Latr.) e i Papataci (Simuliiim reptans Latr,), soffocati o almeno inebbriati cascano a terra morti o assopiti, secondo la bontà della polvere, e la quantità del pro- fumo adoperato per liberarsene. Né alle zanzare sole è micidiale tal polvere, che riesce pure mortifera ad al- tri insetti ; o almeno basta ad allontanarli. Ciò ed io ed altri provammo contro il tarlo de' legni (Anobium pertinax Fabr., ed altre specie congeneri), il quale cessa dal roderli sì tosto s'insinui nel bucolino del tarlo un poco di detta polvere. Giova pure contro al- 3 34 Ire maniere d'inselli sì nocive agli erbarj, che sciupa- no e a lungo andare distruggono, attaccandosi special- mente ad alcune famiglie di piante che prediligono. Tali sono le Crocifere, guaste comunemente dalle lar- ve del Glerus alvearius Lalr. e Clerus apiarius Latr. ; le Ombrellifere^ di cui rodono specialmente la base delle ombrelle e delle ombrellette, la quale abbondando più di midollo, offre gradito pascolo ed esca più ghiot- ta a costoro; le Composte, di cui s'annidano ne' capo- lini de' fiori, pascendosi della sostanza più o meno car- nosa del ricettacolo; le radici tuberose, le parti tutte carnose di vegetabili, ed i fusti di alcune piante erba- cee più abbondevoli di midollo. Tali insetti, i più vo- raci e più infesti de' quali sono il Ptinus fur, il Le- pisma saccharinum Fabr., ed altri, possono essere al- lontanati da tali piante secche, come l'esperienza mi rivelò, cospergendone gli esemplari colla polvere del Crisantemo, e lasciandovela dentro a' fogli che li con- tengono. Anche la tarma roditrice de'pannilani (Te- nebrio molitor L.) viene fugata con questo mezzo. Alla qual cosa considerando, e fatto il debito conto delFana- logia della pianta nostra colla Camomilla rossa del Caucaso, la cui polvere, a ciò che vien detto, sembra far parte della famosa polvere di Erivan, usitatissima nella Persia e nella Russia per preservare dai tarli le pelliccie preziose, sarei tratto a sperare che il Crisan- temo della Dalmazia godesse di simile proprietà; e pe'l maggior calore del clima, che accresce sempre la virtù dei naturali prodotti, potesse per lo meno ri- valeggiare anche in ciò col Crisantemo del Caucaso. 35 Difatti il maggior consumo di questa polvere si fa dai negozianti di panni e pelllccierle, che con essa asper- gendole, già ne sperimentarono e riconobbero l'effica- cia contro que' guasti rovinosi che produce il Derme- stes pelilo L. , e contro a cui poco o nulla bastano il pepe, la canfora, il cuojo bulgaro, ed altri tali mezzi che a ciò s'adoperano, e sono sempre o insufficienti, o almeno per l'odor loro molesti. E potrebbe pur anco spe- rimentarsi allo scopo di preservare con essa gli oggetti naturali de' Musei ed i libri stessi, così spesso mal- conci e non di rado distrutti dal Dermesfes vulpinus Fabr., dalle varie specie di Ttinus, dal Gihbium sco- iias Fabr., dal Gheiletus eruditus Latr., ed altri. Che se a tutti questi usi, in cui per ragione di ana- logia potrebbesi con probabilità di successo raccoman- dare la polvere del Crisantemo di Dalmazia, si aggiun- gano quelli che la generale sperienza ha ormai posto fuor d'ogni dubbio a fugare od uccidere quegli schifosi ed incomodi parassiti che punzecchiano e forano e smungono la cute dell'uomo e degli animali domestici, ninno vi sarà certamente che non trovi utile di molti- plicare gli sperimenti sopra una pianta, che indigena d'un paese vicino, e stretto per relazioni continue con noi, può recarci con poca spesa grandissima utilità j e che fatta segno di estesa coltura, potrebbe creare an- che fra noi un nuovo ramo di lucro, come per la Ca- momilla del Caucaso è già avvenuto in diversi gover- ni della Russia meridionale, e segnatamente a Tifflis, a Schums ed a Charkoff. 36 A maggiore illustrazione dell'argomento, crediamo accon- cio di aggiungere a questo scritto un'Analisi qualitativa del- la polvere del Crisantemo di Dalmazia, istituita e gentilmente comunicataci dal eh. Professore di Chimica in questa Univer- sità dott. Francesco Ragazzini sopra quella poca quantità di polvere genuina, su cui gli fu dato di far sue prove. iiLlcune onde di codesta polvere, distillate a B. M., somministrano un liquido trasparente, senza colore, di odore grato, che sentiva alcun poco di quello della flemma; di sapore dolciastro assai permanente, non combustibile, non congelabile ad alcuni gradi sotto lo zero del termometro di R. Evaporato a secco, lasciò un leggiero resto bianco, clie a forte temperatura si carbonizzò, emanando l'odore dello zucchero bruciato. Terminata la distillazione a B. M, , si distillarono a B. di S., e con questa si ottenne da prima un liqui- do giallo, poscia uno di colore rosso-bruno, di densi- tà oleosa, ed una sostanza solida quasi come cera. Il liquido giallo aveva sapore acre pungente, non alcali- no e non acido ; come quello che danno i fiori di ca- momilla romana, eh' è fortemente acido. Il liquore rosso - bruno bruciò con fiamma al pari di un olio, si sciolse nell'alcool, e la soluzione di colore rosso - ranciato si fece assai torbida coll'aggiunta dell'aqua. La sostanza solida poi si mostrò combustibile come la cera. L'odore di questi tre prodotti sentiva assai di quello che emanano le foglie secche di tabacco di- stillate, ed alcun poco di quello dei prodotti dati dai fiori di camomilla medesimamente distillati a B. di S. 37 Il carbone rimasto nella storta quale residuo del- la distillazione, aveva precisamente Todore di quello delle foglie di tabacco : bollito nelFaqua, questa ac- quistò caratteri alcalini ; la cenere di esso risultò un misto di carbonato potassico, solfato calcico, ossido di manganese, di ferro e silice. La polvere in discorso, infusa nell'alcool, porse una tintura di color giallo né più né meno di quella che danno i fiori di camomilla; colla differenza, die la prima leggermente s'intorbida coll'aggiunta del- l'aqua, mentre la seconda abbondevolmente intorbida, e dà col tempo un sedimento giallo di sapore amaro. Esame dei prodotti volatili che si formano colla diretta combustione della polvere sui carboni accesi. I prodotti aeriformi e vaporosi che si producono durante la sua combustione, e che hanno la facoltà di narcotizzare le zanzare ed altri piccoli insetti, costi- tuiscono un fumo bianco che ha l'odore del pane ab- brustolito, ma più irritante, e che sente alcun poco di quello del tabacco in combustione ; solubile in par- te nell'alcool e nell'aqua, a cui dà l'ingrato odore del- l'olio empireumatico, sapore acre non acido, né al- calino. La parte insolubile rimane nuotante nell'aria per gran tempo a foggia di nube bianca; poscia si conden- sa in minime goccioline trasparenti di color pagliari- no, di sapore acre: l'odore suo ricord leggermente quello della polvere naturale. Il liquido giallo ed il rosso -bruno oleoso ottenuti colla distillazione a B. 38 di S. mostrarono di avere debole facoltà di narcotiz- zare i piccoli insetti, a differenza di quelli che si producono col bruciare direttamente sui carboni ac- cesi la polvere in discorso, i quali assai bene e con prontezza li narcotizzano. Codesta facoltà riposa dun- que nel complesso e non nei singoli prodotti della de- composizione sua operata dal calorico, come replicate prove hanno pienamente confermato. Dalle sopra descritte sperlenze, e da altre insli- tuite sull'infuso tanto aquoso che alcoolico, sono por- tato a coiichiudere : ì ° Che la polvere in questione contiene assai po- co di principio amaro esistente nei fiori di camomilla. 2." Che il suo olio volatile ha un odore meno grato dell'olio di camomilla, dal quale poi differisce fortemente per il colore, essendo bluastro quello di camomilla, e giallo-paglia quello della polvere. 3.° Che la camomilla contiene un acido molto ana- logo a quello della valeriana, mentre n' è affatto spo- glia la polvere. Alcuni vogliono che i prodotti della combustione dei fiori di camomilla narcotizzino le zanzare al pari di quelli della nostra polvere; ma esperienze di con- fronto hanno provato che quelli della camomilla nar- cotizzano quegl' insetti per brevissimo tempo, e fa mestieri bruciarne alcune dramme ; mentre una dram- ma sola della nostra polvere vale a narcotizzarli per sette ore e più. 39 Deir azione dell' arsenico siilForganismo vivente. — Memoria farmacologica del DoU. F. Coletti, Socio corrispondente. — Seconda lettura della Tornata 8 Gennajo 1854. Ilisorcliva l'autore dicendo come un lavoro di lun^a lena, cui erano necessarie cifre statistiche, citazioni, enumerazione di esperienze, ec, non fosse troppo atto a prestarsi per una lettura accademica ; e perciò in- tendeva leggerne quella parte soltanto, la quale rac- cogliesse più sinteticamente il pensiero di tutto il la- voro. E premetteva le conchiusioni alle quali lo con- dussero gli studi suoi su questo argomento, come al- trettanle tesi ch'egli assumevasi dimostrare: ì."" L'azione dinamica dell'arsenico sull'organismo vivente è ipostenizzante cardiaco -vascolare podero- sissima. 2.° L'azione meccanica, benché essa pure notevo- le, è minore d'assai di quella temuta dai tossicologi, e SI esercita sulle parti morte e inorganiche, a pre- ferenza che sulle vive ed organiche. 3.° Nei venefici l'arsenico conduce a morte per la sua azione dinamica, come per la meccanica. 4.° Le lesioni cadaveriche, sulle quali si sono basati finora i gludizj medico-legali, non sono quelle che conducono a morte j e quelle che veramente la cagionano furono o sconosciute, o preterite, o erro- neamente interpretate. 40 5. Il periodo dì tempo più o meno lungo, che corre fra la morte per veneficio arsenicale e l'autossiaj modifica grandemente e crea talora le lesioni cadave- riche ; e dovrebbe di necessità modificare il giudizio medico -legale. 6.'^ Com'è a rifarsi nel veneficio arsenicale l'ana- tomia patologica, così è da interpretarsi tutta diversa la sintomologia. 7° I soli antidoti dell'arsenico sono gli iperste- nizzanti. 8.° Le malattie, nelle quali in tutt'i tempi venne l'arsenico con successo adoperato, i sintomi e le le- sioni cadaveriche mostrano a chiare note la sua azio- ne esercitarsi sull'albero circolatorio e sul cuore de- stro a preferenza che sul sinistro, sulle vene a prefe- renza che sulle arterie. 9.° L'arsenico, perciò stesso eh' è un formidabile veleno, è anche un farmaco poderosissimo; e la scien- za dovrebbe toglierlo alle mani del delitto, per vol- gerlo più di sovente a vantaggio della umanità sof- ferente. Detto questo, prese a parlare dell'azione dinami- ca, dei sintomi e delle lesioni che vi si riferiscono. L'autore ha già publicato colle stampe il suo lavoro, il quale va oltre i limiti della lettura fatta, e compie la trattazione dell'argomento. 4) LIBRI PERVENUTI IN DONO ALL'ACCADEMIA ( Continuazione ) Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt. Wien. Aprii, Mai, June 1853. Mémoires de la Soclété des sciences naturelles de Cherbourg (l.e livraison). Gloria. Leggi sul pensionatico emanate per le Provincie ve- nete dal 1200 a' dì nostri, raccolte e corredate di documen- ti. Padova 1851. — Lucrezia degli Obizzi ed il suo secolo. Narrazione stori- ca documentata. Padova 1853. — La pietra del vitupero nel Salone di Padova. Lettera. Padova 1851. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia dei Georgollli di Firenze. Ottobre, Novembre, Dicembre 1853. W Hontlircs-Firnias. Mémoire sur le Drainage. — Mémoire sur la maladie des feuilles de Murier. — Observations sur les feuilles perforées, et particulier- ment sur celles des Citronniers. Alais 1853. Sitzungsberichte der philosophisch - historischen classe. Vili. Band. Jahrgang 1852. Heft. 3. 4. 5 , IX. Band. 1. 2. 3. 4. 5. o€@@^&o 42 Sopra un nuovo metodo di mondare le risaje, pro- posto ed applicato dal sig. Antonio Tgrtella, agronomo veronese. Relazione fatta nella Tor- nata 29 Gennajo 1854. ilvvenne che, nel ì 2 dicembre dello scorso anno, la Presidenza ricevesse da Verona nna lettera con in- dirizzo : Air Accademia arti e commercio di Padova. Non era questa la prima volta che si vedesse errata la intitolazione nelle lettere, di privati specialmente. Aperta quella, la si vide sottoscritta Antonio Tortella del fu Giovanni; letta, si trovò che l'argomento era la coltivazione del riso: quindi si dedusse a ragione non forse l'autore avesse intenzione dirigersi alla So- cietà d'incoraggiamento, e gli si scrisse per una di- chiarazione. La quale pervenne, colla risposta ] 0 cor- rente, ed assoluta ; aver egli cioè inteso raccomandare gli studj suoi alla I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti: con che la Presidenza decise di occuparsene. (Si legge la lettera del Tortella) Il Tortella mette innanzi tre articoli del Collet- tore deir Adige, destinati a pubblicare le investigazio- ni proprie; ed ecco il sunto di questi. L'articolo 25 agosto 1852 xùguarda la mondatura delle risaje: operazione, fin qui, la più dispendiosa fra quelle che si addicono a questa partita di agricol- tura ; meno costosa però nelle risaje a vicenda^ le 43 quaiij rimanendo asciutte per due anni di seguito, oifrono quantità minore di erbe palustri nell'anno in cui il terreno ritorna attivo per il riso. Si richiedono nonpertanto due o tre mondature a braccia di donna, cóme d'uso; ogni mondatura conduce la spesa di 6-7 lire austriache per campo veronese, corrispondente a metri quadrati 3047. La mondatura consiste nel to- gliere, a tempo, le piante nocive alla risaja. Princi- pali sono gli scirpi (Scirpus triqueter, Se. mucrona- tus. Se. maritimus), volgarmente Porì^ T'aera, 'Mo- sca, Sparaella; la panicastrella (Echiuochloa crus galli), volgarmente Giavone; i ciperi (Cyperus fu- scus, C. difformis, C. flavescens). Il metodo del Tor- tella insegna attendere che queste piante giungano a superare l'altezza del riso, ed entrino in fioritura; togliere l'acqua alla risaja, ciocché rende il riso un po' depresso, e lascia crescere gli scirpi, le panica- slrelle, i ciperi. Passati alcuni giorni, si rimanda l'acqua alia risaja fino all'altezza del riso ; entrano uomini esperti, i quali, armati di falce, tagliano a fior d'acqua tutte le erbe sormontanti, lasciandole ca- dere al fondo. Il riso cresce allora rapidamente, su- pera l'altezza del culmo delle erbe già tagliato, e cessa il bisogno di mondatura ulteriore. Sarebbe obbjezione, che colla falciatura gli scirpi non muojono, e prontamente ripullulano; la panica- strella moltiplicarsi e crescere con rapidezza mirabi- le : quindi, mancando la estirpazione delle radici, la mondatura rimanere incompiuta. Premesso che, anche nella mondatura a mano, non si estirpano sempre le 44 radici, perchè 5 al tempo del mondare, la risaja è asciutta, il terreno rassodato ; la natura delle piante nocive poter convincere sulla utilità del falciare. Que- ste piante sono monocotiledoni, il cui culmo non si ra- mifica mal ; sicché, a guisa del frumento e del secale, troncato il culmo dopo fioritura, periscono. Se la pian- ta non sia annuale (che allora perisce interamente) il culmo può innalzarsi; ma esser d'uopo che spunti nuovo dal collo della radice ; ned avervi il tempo, perchè frattanto il riso avvantaggiasi sopra, ed il soffoca. Le radici perenni rimanere, e farsi concime al terreno che nell'anno successivo servirà alla cul- tura del frumentone. Così è usanza nel territorio ve- ronese. Altra obbiezione. Le radici delle piante nocive de- pauperare il terreno a danno del riso. Facile però il vedere che la mondatura a mano non toglie di mezzo lo Inconveniente, dacché la non è da tanto da svel- lere tutte le radici. Ultima obbjezione. Il camminare sopra a risaja inondata essere più dannoso che non ad asciutta. Ma 4, 6 e più falciatori da non compararsi a 50 ed an- che i 00 mondatrici, le quali non lasciano integro un palmo di terreno, ed il pestano tutto. Sciolte le obbjezioui, vengono le conchiusioni pra- tiche. Il nuovo metodo aver corrisposto alle vedute del Tortella nelle proprie e nelle risaje altrui. I cul- mi delle piante tagliale perirono ; di nuovi non sur- sero; la risaja restò, fino alla mietitura, nettissima: per il minore acciaccamento del terreuoj il riso aver 45 (lato innumerevoli getti, da superare d'assai le risaje finitime, condotte col metodo anteriore. La spesa non essere andata' sopra i centesimi 60 per campo, mentre, colla mondatura a mano, per una superficie uguale di terreno ammontava alle 6-700 lire. Allo sparmio notevole devesi aggiungere il vantaggio nel tempo. Due, tre falciature necessarie tal fiata ; ma sempre la spesa minore: dieci falciature portare spesa equiva- lente a quella d'una mondatura sola. Se si trattasse di piante dicotiledoni, le quali ra- mificano per isviluppo di bottoni ascellari, siccome la salcerella e qualche altra, la falciatura non dareb- be pieno l'effetto. La eccezione però non valere, per- chè tali piante non infestano interamente una risajaj come fanno le monocotiledoni ; e lo svellere quelle che surgessero qua e là fra mezzo al riso, sarebbe facilissimo. Il secondo articolo, eh' è del 15 Gennajo 1853, concerne la preservazione delle risaje da varie malat- tie, e probabilmente ancora dal carolo. Tutto si ri- duce però ad osservazioni fatte sulla raccolta e con- servazione del risone da semina, maniera precipua a prevenirne la malattia ; e noi ci accontenteremo dei tre corollarj finali: 1.° Il risone da semina dev'essere bene stagiona- to e custodito nei grana], smuovendolo spesso e dan- dogli aria, ad impedire la cosi detta fermentazione. 2° Prima di darlo alla semina devesi lasciare im- merso nell'acqua poche ore e non giorni; evitare così il riscaldamento e la germinazione precoce. 46 3.° Neir operare gli asciugamenti delle risaje^ specialmente nell'alta estate, quelli non si prolun- ghino di soverchio; ma sia soltanto il tempo baste- vole a riscaldare il terreno, a rinvigorire la vegeta- zione delle piccole pianticelle del riso. Il terzo articolo, 28 settembre ì 853, non è che menzione, o, a meglio dire, ricapitolazione dei due precedenti ; con un di piìi, che 6 proprietarj di risaje attestano soddisfazione dal metodo di mondatura Tor- lelliano. Il giornalista poi insiste perchè gli agricol- tori compiano la disseccazione del grano da semina (invece di tenerla incompiuta, nella falsa credenza che cosi si presti meglio alla vegetazione) , onde non av- vengano danni nell'anno seguente; e ciò sulle norme date dal Tortella, e descritte nell'articolo 1 5 gen- najo ^853. La prima lettera del Tortella, del Ì2 dicembre, dimostra esplicito lo scopo di comunicare a varie Ac- cademie il suo trovato, la mondatura precipuamente ; e venendo a dire della nostra, spera, egli dice, che le sue osservazioni saranno accolte e valutate come potranno meritare. Nella seconda, del 10 gennajo, insta affinchè degli studj suoi venga fatto quel calcolo che si crederà opportuno. E forza confessare che, In leggendo i tre articoli suddetti, sentesi dominare un'idea ben diversa da quella che diresse l'autore del nuovo metodo; che questo metodo, cioè, avesse gran peso in senso sani- tario, ben più importante che se offrisse solo il lato economico. 47 Fin qui la mondatura venne affidata alle donne, a risaja asciutta, eh' è peste pe' I lavoranti. L' Hildeu- brand nel suo Discorso analitico De nativis et adven- iitìis coeli Ticinensis qiialitatihus, earumque in pO' pulì saliitem imperio, ci descrive a vivi colori la terra destinata a risaja. Non sarà male ricordare le sue parole : « Omissis pasciiis, pullulai in agro, cis Ticinura, » aeque ac in finitima Laumellìna, ab aquis longe » lateque diffusis virenti calamo Oryza, pedali ag- )> gere circumsepta, quae uno sane tempore innatat, » lente percurreutibus lymphis , terraque coalescit. )) Quousque suis rivis continuo instaurantur aquae » limpidae ac temperatae, vix conspicuum detrimen- )) tum circumfluo aeri afferrunt oryzae segetes ; quod- » si vero, maturescente grano, demittantur, rasus a )) messoribus campus in coenosam convertitur palu- » dera, quae, contabescentibus stipulis, innumerisque » animalculorum generibiis putrore dissolutis, pesti- » fera mepbite auras replet. Hinc multifaria illa atque » sontica mala, quae in oryzariorum viciniis debac- >) chantur, miseris colonis maxime communia et infen- » sa, liti febres inlermittentes pessimi raoris, diar- n rhoeae et dysenteriae colliquativae, viscerum em- )) phraxes, hydrops, scorbutus et pellagra. Qua de re, » probandae omnino suut quaerimoniae Cirilli, Mor- » gagni et Zanetti mediolanensis circa oryzae cultu- » ram nimis divulgatam, qui viri eximii salutem po- » puli magis quam conductorum praedialiura lucra cor- » di habuere. » ' 48 Delle due individualità sessuali costituenti l'uomo, la maschile, nella nostra zona, si ebbe dalla natura quella potenza di reazione contro gli agenti fisici, che non fu concessa alla femminile se non se per poche eccezioni; arroge la patologia esclusiva a questa, ed a segno che all'altra, per ragione organica, è resa im- possibile. Basterebbe questa considerazione, generale d'assai, per sottrarre le donne alle fatiche dei campì, specialmente quando gli estremi di caldo e di freddo attaccano il potere vitale, che nelle stagioni medie si avviva e rinforza. Vogliamo un esempio del tutto pratico di questo vero ? La pellagra, desolazione del- la valle del Po, sì feconda in prodotti alimentari, mie- te vite di donna in proporzione tragrande di confronto a quella dell'uomo. E si è tanto parlato della pella- gra, e si parla tuttora, incolpandone alimenti innocui, senza badare alla sferza del sole; ai miasmi; agli sforzi incessanti della potenza motrice ; alle rapide transizioni dal caldo al freddo, dal secco all'umido; al carattere endemico dei terreni, che non si toglierà giammai fino a tanto che il terreno rimarrà qual è, non sarà corretto dall'arte, e rinsanilo. Dunque colui il quale, meditando la produzione maggiore delle risaje colla spesa minore di mon- datura a) sostituisce uomini a donne ; 6) impiega pochi uomini di confronto a molte donne, come si usava in avanti ; e) addita il lavoro a risaja inondata, escludendo- lo a risaja asciutta ; 49 d) promette e dimostra un breve tempo per la- voro che in avanti ne occupava molto ; ha preparato (e senza saperlo, perchè altrimenti lo avrebbe detto) un bene ai coloni, che avrà a sentirsi e diffondersi, e serberà molte vite alla cultura dei campi, sagri Beate per lo addietro alla particolare del riso. Né si dirà in contrario, e sidle ingannevoli ap- parenze d'immunità, che la mondatura delle risaje non mostra danno alla salute delle mondatrici ; biso- gna osservare avvedutamente il progredire dell'età nella vita di quegli sventurati, per giungere a quel punto critico in cui si svolgeranno i malori preparati da lunge ; non già serbare il giudizio all'epoca del morbo già adulto, trascurando una lenta predisposi- zione, per incolparne cagioni assai vicine, occasionali affatto, quasi non fossero che l'idtima spinta allo svol- gimento. Se sia vero, come le attestazioni di più proprietarj ce 1 dicono, che la nuova maniera di mondatura ab- bia dato effetto pienissimo; se altre analoghe il con- fermassero ; avrebbesi a dichiarare il Tortella bene- merito della economia rurale non solo dal lato del- l'interesse pecuniario, ma da quello ancora della sa- lute pubblica, eh' è legge suprema nell'amministrazio- ne dello Stato, come fu e sarà sempre un sintoma di maturo incivilimento. (E l'Accademia scrisse al Tortella in analogia a tali consi- derazioni ; colla riserva però dì esperimentare il nuovo metodo di mondatura, profittando della offerta di due suoi Membri proprietarj di risaje, i quali proposero di occuparsene nel cor- rente anno, e riferire a suo tempo.) 4 50 Della influenza perniciosa dello Spinosismo sulla società odierna. Scritto del signor Angelo Ghi- BONDi di Padova. — Seconda lettura della Tor- nata 29 Gennajo J854. Jura da qualche tempo che il giovane Ghirondi, al- lievo distinto del Collegio israelitico di Padova, chie- deva leggere, in una Seduta ordinaria, alcuni suoi pensamenti; ed avvenne che lo si potesse ammettere nella Tornata suddetta. Egli si mostra studioso della filosofia antica e moderna, ed in giornata di quanto si va pubblicando nelle scienze morali ; ed ha voluto dar saggio di sé medesimo con uno scritto che l'Ac- cademia, professando il principio d' incoraggiare gli studj, accolse di buona voglia. Il Ghirondi, persuaso che « le dottrine della scuola di Hegel, le teoiie del » socialismo, la tendenza del secolo al materialismo >ì ed all'egoismo; il freddo calcolo nelle cose morali, )) che uccide i moti più santi del cuore, e riduce le » stesse instituzioni filantropiche a sistema puramente » economico; lo smodato orgoglio, che vuol far del- » l'uomo un dio, santificandone tutte le passioni : tutti n questi tarli, egli dice, che corrodono la società odier- » uà. trassero origine dal sistema filosofico di Bene- )) detto Spinosa. » Si fa forte a principio di quanto scrisse Leibnitz sull'epicureismo e sullo spinosismo, per vedere come una profezia del grande filosofo quanto avvenne in 5J Francia sul finire del secolo decimottavo. Le teorie eli Spinosa sull'origine dello stato e sul patto sociale, messe sotto aspetto svariato dai filosofi allora viventi, accesero, secondo egli pensa, la rivoluzione massima, innalzarono il vessillo della libertà ed eguaglianza ; e convalida il pensamento suo adducendo le parole stes- se dello Spinosa, che stanno nel suo Trattato teolo- gico-politico, ed esprimono le ragioni dell'utile vin- colate al patto sociale che sussiste con quelle, e cessa col cessare delle medesime. Cosi l'autore s'è impegnato a svolgere i principi di tale dottrina, premettendo che le assurdità e le con- traddizioni dovevano derivare dalle definizioni stesse. La definizione della sostanza senza confini ; il pensie- ro, l'estensione, lo spirito, la materia, il finito, l' in- finito, il moto, la quiete, la causa, l'effetto, il bene ed il male, attributi della sostanza unica ; Dio, anima, natura, negazione delle cause finali, necessità, affetti, passioni : queste ed altre cose trattate dal filosofo, ed atte a far conoscere il suo sistema, sono prese a disa- mina dall'autore, onde aprir via a rilevare quali sa- ranno gli effetti degli applicati principj. Quelli egli trova principalmente nelle scuole di Hegel, Saint- Si- mon, Fourier, nella fede del socialismo ; sul quale id- timo diffondesi più a lungo, perchè figlio delle dot- trine ridette, delle quali si è tentata in questi ultimi tempi una pratica applicazione. La teoria dell'utile e dell'interesse, derivata pure dalle idee di Spinosa, ingrandita dagli enciclopedisti, è quella che il nostro autore considera quale regna- 52 trice attuale, mascbexala da filantropia. La bancocra- zia, pochi anni fa, si era alzata ad una specie di si- stema politico-niorale-religioso. Dall'utile maggiore, la morale, eh' è idea spinoslana. La Memoria si chiude con osservazioni su delitti una volta rari, sui suicidj, avvelenamenti, ec. ; il che fa presupporre indebolito in certe classi sociali il prin- cipio religioso ; mostra la tendenza al materialismo ; illanguidite le affezioni eie amicizie, ec. ec. : indizj tutti che conducono l'autore a confermare la sua pri- ma idea, lo Spinosismo aver avuto perniciosa influen- za sulla società odierna, come da principio esponeva. Fa voto in fine perchè vi sottentrl la vera e sana filo- sofia a neutralizzare que' tristi effetti, profittando non solo della intelligenza e della ragione, ma del senti- mento ancora, al vero benessere dell'umana famiglia. LIBM PERVENUTI IN DONO ALL'ACCADEMIA (Continuazione) Oesterrelchische Geschichts-Quellen. Zvveite abthellung. Di- plomatarla et Acta. V. Band. Codex Wangianus. Archiv fùr kunde oesterreicliischer Geschichts-Quellen. Vili. Band. Erste und Zweite Hàlfte. Notizenblatt. Beilage zum Archiv fiir kunde oesterr. Geschichts- Quellen. N.i 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Die Feierliche Sitzung der K. K. Akad. der Wissenschaften am 29 Mai 1852. Verzeichniss der im buchandel befindlichen Druckschriften der K. K. Akad. der Wissenschaften in Wien. Ende Mai 1852. 53 Erinnerung an die erste saecularfeier der K. K. orientalischen Akademie am 3 Jànner 1854. Wien. Zur ersten saecularfeier der K. K. Akad. der orientalischen sprachen im Janner 1854. Wien. Poetische blumenspende zur saecularfeier der K. K. orientali- schen Akad. von den zòglingen. Wien 1854. Quattro composizioni poetiche allusive alla solennità secolare della I. R. Accademia orientale di Vienna. Una epigrafe latina relativa all'argomento medesimo. Annali ed Atti della Società di agricoltura di Jesi {continua' zione, foglio 17). Relazione compilata per cura di una Commissione stata eletta dalla Società d'incoraggiamento di Milano intorno alla Casa degli esposti, ai Ricoveri dei lattanti, agli Asili di carità per l'infanzia, ed ai Conservatorj per la puerizia. Mila- no 1853. Ricordi d'un viaggio in Oriente. — Scritto del Membro ordinario prof. ab. Nardi, letto nella Tornata 5 Febbrajo ^854. T ' Li autorcj abituato da molto tempo a viaggiare e descri- vere tutto che importa alla osservazione, prende le mosse da Vienna nel settembre 4852, scende il Danubio, e va verso la bassa Ungheria, nella intenzione di progredire più oltre. Noi lo lasceremo avanzare ed anche staccarsi dal Da- nubio fino al punto in cui, dopo avere risalita la Theiss fino a Tiltel, riprenda il Danubio stesso per avviarsi a Belgra- do ; e narra così : Il Sole piegava al tramonto, ma prima ancora cli'eì scendesse affatto, vedemmo loutan lontano i suoi raggi 54 illuminare gli agili minareti, e le dorate mezzelune dì Belgrado. Le possenti ruote e la fortissima corrente presto ci condussero alla riva di Semlino, di fronte all'antica fortezza, dove licenziai il vapore preso a Pest, volendo sostare alcun tempo in quei luoghi fa- mosi. Semlino è nulla, e di lui non parlerò se non per accennare al vastissimo lazzaretto, in cui s' incar- ceravano, or sono ancora pochi anni, i viaggiatori procedenti dalla Turchia. Mi si mostrarono stanze, cortili, pale, e molle, e graticole da profumi, ora for- tunatamente senza uso; la contumacia può dirsi colà affatto abolita. Molto si scrisse prò e contro i contagi, uomini sommi stettero per l'una e per l'altra parte, ma quelli che decisero la questione praticamente fu- rono Whatt_, e Fulton col battello a vapore, e Stephen- son colla locomotiva ; e noi non dubitiamo che gli Stati anche più restii dovranno piegarsi all' imperiosa necessità di far presto. Il mattino seguente tragit- tava con un vapore a Belgrado. Per via chiesi il no- me d'una grand' isola nel mezzo del fiume : mi dissero chiamarsi Isola della guerra; e veramente nessun no- me potea meglio convenirle. Belgrado, posto fra Co- stantinopoli e Vienna, al confluir della Sava nel Danu- bio, chiave d'Ungheria e di Servia, anello fra l' Olien- te e l'Occidente, vide assedj crudeli e atroci pugne forse più che ogni altra città della terra. Il re unghe- rese Salomone la tolse nel 1073 ai decaduti Bizan- tini ; poi Bulgari, Bosniaci e Serviani se ne contesero il dominio. Due volte in 14 anni (1442-1456) i Turchi l'assalirono, ma un eroe ed un santo, Uniadc 55 e Capistrano, la difesero. Tali uomini non erano più nel ^ 52 j, quando riuscì a Solimano II. ti' impadro- nirsene. Per un secolo e mezzo nessuno potè rito- glierla ai Turchi. Nel 1 688 fu presa da Massimiliano elettor di Baviera, ma due anni dopo fu dai Turchi riconquistata. La gloria di restituire Belgrado ai Cri- stiani fu riserbata a colui che sarebbe il più gran ca- pitano del secolo XVIII., se sul finire di esso non ne fosse sorto un maggiore. Eugenio di Savoja nel 1717, sconfitti 1 50,000 Turchi, vi entrò vittorioso. Ridata ai Turchi nel 1739, riconquistata da Laudon 50 anni dopo, poi turca ancora nel 91, vide al principio del nostro secolo elevarsi la bandiera dell' indipendenza serbiana dal prode Giorgio il Nero. Per dodici anni la misera città fu or della croce, or della mezzaluna, finché rimase, direi quasi, fra loro divisa. E in vero la fortezza che più sporge nel fiume, e domina Y in- fluir della Sava, è turca, e vi risiede un Bassa con 3,000 soldati ottomani ; serbiana è quella parte che sta ad occidente lungo la Sava, e vi soggiorna il Prin- cipe di Servia; turca di nuovo quella porzione che volge ad oriente. Visitai prima la cittadella. Alte mu- ra, solidissime torri, triplici fosse, casematte a prova di bomba, spianata larga 400 passi, dicevano i miei libri ; mura crollanti, torri fesse, cannoni di tutti i calibri senza carrette giacenti alla rinfusa sul suolo, palle grandi e piccole sepolte sotto l'erba, è ciò ch'io vidi. E la scuderia del Bassa chi potrebbe descriver- la? Era una compassione il vedere cavalli arabi di forme stupende sotto un misero tetto, attraverso il 56 quale liberamente poteasl contemplai'e l'azzurro del cielo. Uscito (la quella caverna, osservai con profonda commozione il cortile in cui il Tirteo della Grecia no- vella, il prode Bigas, espiava il suo immaturo amore per la patria. Il feroce Bassa, degno del sangue dei Gengiskani, lo fece segare a mezzo. Men rovinosa è la parte inferiore della fortezza lambita dal fiume; colà è una buona caserma, una porta con saracinesca, su cui vedi ancora intatte le armi di Savoja, con una iscrizione che certo ricordava il trionfo di Eugenio, ma divenne illeggibile. Poscia visitai la città serbiana, e chiesto di vedere la chiesa che ha fama d'essere tra le belle d'Oriente, tosto discese a mostrarmela un prete greco, che, oltre al tedesco, parlava corrente- mente il latino, e parea versatissimo nelle scienze sa- cre, di cui era maestro. Notai questo fatto, perchè ben diversa, e pur troppo generalmente non ingiusta, è la opinione che in Europa si ha della cultura dei preti greci. Ma il clero e il popolo serbiano fecero in po- chi anni di governo proprio un maraviglioso progres- so, superando per avventura ogn' altra gente slava di quella contrada. Del resto, la chiesa di S. Salvatore di Belgrado, che in Oxùente è riguardata come un edi- fizio bellissimo, avrebbe in Occidente una fama assai modesta, che di poco la distinguerebbe dalle nostre chiese ordinarie ad una sola navata. Osservai però con piacere che i Serbiani seppero svincolarsi da quel- l'antica e bruttissima tradizionale pittura bizantina, nò colà vedi la solita Madonna greca a fattezze e co- lori di mummia, col bambino rachitico e nero. Nel 57 soffitto e sulla gran parete che, giusta il rito greco, divide il santuario dalla nave, le figure vi campeggia- no libere, fors'anche un po' troppo; onde non tardai a sospettare il pennello d'uno scolaro di Cornelius, e il sospetto era giusto. In faccia alla chiesa sta la di- mora dell'Arcivescovo e il Seminario; poco lungi quel- la del Principe, che ora è Alessandro Georgewich, nipote di quel Giorgio il Nero, a cui la Servia deve le più illustri pagine della sua storia, e le più nobili ispirazioni della sua poesia. Poi visitai la città turca. Era la prima volta ch'io vedeva la Turchia; onde quale mi rimanessi alla vista di quelle viuzze mi- sere e sporche, di quelle botteguccie con in fondo accosciato il neghittoso padrone, di quelle bettole a cielo scoperto, dove scorgi i discepoli di Maometto pigliare il pillao o la carne cotta colla mano, e lace- rarsela fra le dita, lascio al lettore l'immaginarselo. La curiosità mi spinse ad osservare la raditura di una testa turca, che, come tutti sanno, è completa, salva la sacra ciocca, per cui Maometto fia che sos- tenga il credente quando passerà il ponte a filo di rasojo per andare in paradiso. Ma uno sguardo iroso del barbiere, e un pajo di parole. Ira cui mi parve d intendere il famoso ghiaur, mi consigliarono a ri- prender la via. Però quella cerimonia del radersi la lesta non si osserva più che dai vecchi e dagli Ulema; la milizia turca e gli stessi Bassa, anzi l'ombra stessa di Aliali sulla terra, il Sultano, con grandissimo scan- dalo dei vecchi Muftì, lasciano crescere i loro capelli. Chiesi di una moschea, e senza difficoltà il sagrestano 58 m'aperse e introcliisse. Era una povera stanza, co- perta di stuoje, colla solita nicchia vuota verso la Mecca, due o tre Corani, e la cattedra del lettore. Unico ornamento alcune sentenze arabe tratte dal li- bro santo, e scritte assai graziosamente in caratteri d'oro su fondo azzurro. Tra esse pi'imeggiavano quelle famose: Eia elahon uala allahu uà mahmudu ra^ suluhu (non v'ha altro Dio che Allah, e Maometto è il suo profeta) ; Allah ipèr, Allah ipèr (Dio è solo. Dio è solo); Aalem peennà (il mondo è un inganno), le quali avendo io lette ad alta voce, m'ebbi dal sa- grestano un gran salamelecche, che però divenne più profondo quando gli posi in mano l'inevitabile hakcis. A Semlino mi avean detto che in quel lunedì vi sa- rebbe slata la danza dei Dervis nella loro moschea ; onde mi vi recai col mio dragomanno ; senonchè en- trati nel cortile trovammo un di quel poveri diavoli cui tocca ballar per vivere, che ci disse essere amma- lati due de' suoi colleghi, e la funzione sospesa. Sog- giunse che se andavamo a Stambul, avremmo veduto più e meglio; bensì poterci mostrare i sepolcri di due gran santoni in somma venerazione presso i Mos- lemiui. E in vero ci aperse un'ampia stanza, in cui stavano due grandi casse da morto, di forma simile alle nostre, ma coperte di tappeti e scialli preziosis- simi, e sormontate dal turbante. Dal lato del capo, sovra un ampio leggio v'era un Corano fra due grossi ceri, che i Turchi usano nelle moschee e nei sepolcri, ma non accendono mai. Simile a questo sepolcro, ma senza confronto assai più magnifico, è quello che poi 59 vidi a Costantinopoli presso l'Ippodromo, e che con- tiene le spoglie del padre e d'alcun altro congiunto del presente Sultano. Uscito di là, entrai per riposarmi in un caffè turco, in cui non erano che povere panche coperte di stuoje tutto all'intorno, e in fondo la cre- denza cogli apparecchi. Assiso appena, ti mettono in hocca il cibuli o il narghilè, onde tu possa fumare o dal- l'aria, o dall'acqua ; poi ti presentano una chiccheretta turca con piccola sotto-coppa, in cui hanno mesciuto il caffè co' suoi fondi. Lasciandolo posare, si può berlo senza fastidio, perchè la torbidezza della bevanda è compensata dalla eccellenza dell'aroma. Mentre cosi sorseggiava e fumava, osservai certi circoli scritti col carbone sulle non bianche pareti, contenenti certi se- gni simili a virgole. Non potendo indovinare che fos- sero, m'ebbi dal dragomanno essere i conteggi del caffettiere ; ogni avventore avere il suo circolo, ogni caffè o cibuk la sua virgola. Finito il mese, si paga, e si cancella la vecchia partita per aprirne un'altra. Ammirai questo genere semplicissimo di tenere in evidenza i registri commerciali. E poiché siamo sul commercio, ognun sa e vede che Belgrado è un punto importantissimo. Diffatti il commercio è attivo ; ma sapete come? Inglesi e Lega doganale germanica vi mandano le loro derrate, delle quali alcune poche prendono la via di Costantinopoli, e si spandono nella Bulgaria e Romelia ; ma le più ripassano il Danubio sopra agili barchette, ed entrano nell'Impero a di- spetto dei doganieri austriaci. Mi assicurarono a Sem- lino non esservi contrabbandiere al mondo più intre- 60 pido del Bosniaco e del Serbo. Onde impedire il dis- ordine s'era ideato di fare Setnlino porto -franco; ma il progetto fu abbandonato, né probabilmente avrebbe giovato a nulla. Però ancbe da questo Impero molte cose vanno a Belgrado., e nel bazar ne vidi non po- ebe viennesi e boeme. Parlavasi allora del famoso di- segno di una strada -ferrala cbe per Belgrado, Sofia, Filippopoli e Adrianopoli unirebbe Costantinopoli col Danubio e la Germania : ora il famoso disegno dor- mirà lunghi sonni, cbè Dio sa qual sorte è riservata a quelle povere terre. A ricordare più ancora quella leltura, la riprendiamo al finix'e della valle danubiana superiore, ove comincia, come Tautore accenna, la famosa chiusa, attraverso la quale il Danubio quasi penosamente si svolge, sino a che, per le cataratte di Orsova, riesca nella gran valle inferioi'e ed ultima del suo corso. La corrente traeva II naviglio, vincendo quasi il mi- nistero delle ruote ; pure così volando osservammo la famosa fortezza di Golubatz, che sfidò in quella stretta vittoriosamente la furia degli Ottomani. Alcuna torre si regge pur sempre ; il resto è una rovina. Più basso scorgi molte caverne, di cui corrono ti-adizioni o vere o false. In una il generale Veterani con 50 eroi avrebbe sfidato gli attacchi di 5000 Turchi, lasciandovi il san- gue e il suo nome ; in un'altra s'anniderebbe a millioni quella specie di culice che noi diciamo pappataci (si- mulium reptans)^ fatale agli animali, e agli uomini che imprevidenti vi si accostano. Ma ecco Drankova. Que- sto nome, or sono 20anni,valea pericolo e terrore; ora 61 nessuno più teme. Qui i monti si accostano cosi, che la distanza fra Tuna e l'altra sponda non deve supe- rare gli 800 piedi ; il Danubio è ridotto ad un sesto del suo letto, la corrente è rapida, e abbastanza tran- quilla nel mezzo, ma furente ai due fianclii, dove lotta assidua co' monti. Avea letto, e tutti mi confermarono, un fatto stranissimo, clie qui il fiume è notevolmente più alto presso le rive, che non nel mezzo. Tutto con- corre alla grandezza della scena: gli alti monti selvosi, il gran fiume, lo strepito delle acque, e perchè nulla vi mancasse, anche le memorie del più grande Impero del mondo, e del più grande uomo che l'abbia governa- lo. Poiché qua e là sulle rupi a destra scorgi chiarissi- mi gli avanzi d'una strada romana spesso tagliata nello scoglio, e più basso, quasi a livello del fiume, vedi una gran tavola marmorea coU'aquila romana e il delfino, e una lunga iscrizione che ricorda la famosa spedizione di Trajano. Non trovando in veruna delle mie Guide l'iscrizione, mi sforzai di rilevarne almeno qualche paro- la nell'atto che vi passavamo dappresso. Le parole iVer- va Trajanus germanicus le scorsi chiaramente, ma di più non mi concesse il volo del legno, il giorno caden- te, e l'annerimento della pietra, il cui stipite serve da focolare ai pescatori serbiani (1). Qui passava nel ì 03 dell'era nostra il grande Imperatore, nella sua prima campagna contro i Daci, ma qui non costruiva il suo (1) L'intera iscrizione, secondo le più recenti relazioni, sa- rebbe: Imperatoris Caesaris divi, Nervae felicis, Nerva Traja- nus pontifex maximus germanicus. 62 ponte, di cui Procopio narra le meraviglie. Esso era più sotto, dopo le cateratte presso Klad'ova, o Torre di Severino. Dalla tavola di Trajano, fra mille rivolgimenti, e viste sempre varie e stupende, giungemmo all'ultimo limite dell'Impero, Orsova vecchia, ove lasciammo il vapore, qui terminando la navigazione danubiana superiore, interrotta dalle rìpide della Porta ferrea. Codesta interruzione è un gran danno: costringe ad un alleggio dispendioso e difficile, ritarda, ed anche guasta le merci, e qualche volta tronca affatto il traf- fico. A vincere quella chiusa si tentarono molte vie; queir illustre e generoso amico del suo paese il Co. Sè- chèayi vi profuse non lievi somme, la Società danubiana continuò nella nobile impresa, e qualche cosa si fece. Gli scogli più pericolosi furono fatti saltare colle mi- ne, altri convenne tagliarli a scalpello e a piccone, ma la navigazione pe' grossi legni è pur sempre impedita. Se l'acqua è alta, i vapori che pescano poco tentano il passaggio, e lo superano, onde leggemmo non ha guari nei fogli, che la Sava ingrossata avea portato al Danu- bio un tributo d'acque così generoso da consentire ai vapori di rimorchiare sino ad Orsova enormi carichi di grano, i quali stagnavano nei porti valacchi, ne, attesa la guerra, potevano avere altra uscita. Ma se le acque sono basse, il tentativo riuscirebbe o inutile o pernicio- so. L'Austria propose spesso alla Porta di unirsi a lei, onde vincere questo ostacolo ; ma la proposta non fu accettata, né l'Austria potea compiere a proprie spese un lavoro che sta quasi tutto sul territorio turco. 63 Pernottammo ad Orsova^ ed era tutto quello die far si poteva in quel nidoj clie pure fu così spesso e san- guinosamente contrastato fra l'Austria e la Turchia. Al mattino venimmo al fiume, e in luogo dell'ampio vapo- re vi trovammo delle barche piatte assai volgari, ma opportunissime al non facile tragitto. Io mi vi affidai senza tema ; altri preferirono la via di terra, che co- steggia le cateratte. Dato di remi un quarto d'ora, ve- demmo a sinistra la Nera o Czerna mescolare le tor- bide sue acque a quelle del Danubio, segnando il con- fine dei due Imperi. Si è poco lungi dalle rive di quel fiume, alle falde d'un monte, che prima di lasciare la patria i profughi ungheresi nel ì 849 aveano sepolta la sacra corona del regno, che venne quattro anni dopo scoperta. Il primo paesello che si affaccia è l'altra Orsova, la turca, che sorge sovra un largo scoglio in mezzo al- l'acqua. E una fortezza non grande, ma importantissi- ma, perchè stando a cavaliere del fiume domina tutta la gola. Le muraglie bianchissime davano aspetto di recente ristauro ; ma qual ristauro ? Ben mi sovvenne allora del racconto udito a Semlino dal comandante di quel luogo, tenente maresciallo Kreuthner, da cui mi ebbi il permesso di visitare quel lazzaretto. Saputosi, narrava il Generale, in Costantinopoli che l'Imperatore d'Austria nel suo viaggio d' Ungheria visitato avrebbe la fortezza d' Orsova turca, mandossi al Bassa di Bel- grado, da cui quella rocca dipende, l'ordine di rifarla con 500,000 piastre. Il Bassa intonacò i muri di un bianco sfavillante, e lasciò il resto, per cui il Monarca 64 venuto colà col Principe di Valacchia, ebbe a vedere non una fortezza, ma un quadro fiammingo simile per avventura a quello da me veduto a Belgrado. La cosa fece rumore, se ne scrisse al Divano, e fu scelta una Commissione che indagasse il fatto. La Commissione, anziché ad Orsova, venne a Belgrado, fu ospitalmente accolta e lautamente banchettata dal Bassa, fece per la forma una visita alla fortezza, e riferì che le piastre erano state spese così bene da meritare al Bassa im fir- mano di lode. Accennai questo fatto, perchè svela qual sia il vero tarlo corroditore di quello Stato. Non sono le cattive leggi, che il Corano ha in generale principi uma- ni e giusti, se ne togli la poligamia e la schiavitù; non la scarsa coltura, che il Turco non è così rozzo come vol- garmente lo s' immagina, e la luce europea ha già d'ogni parte penetrato ; non la durezza del governo, che Abdul- Megid è principe ottimo e generoso, buona pure la mag- gior parte dei governanti, e la libertà è tanta da potersi più presto credere soverchia ; ancor meno il poco amo- re che il Turco senta per le sue istituzioni e la sua patria, che anzi n'è entusiasta e disperato difensore. Quel tarlo è la cattiva amministrazione, che spoglia e non governa. 11 Bey saccheggia i Rayà, il Bassa i Bey, il Muscir i Bassa, e il Divano tutti, così però ch'ei non incassa il quarto di ciò che pagarono i sudditi. On- de erario sempre povero; piastre che dal valore del colonnato discesero gradatamente a quello del nostro quarto di lira ; le moschee, che possedono 3/4 dei beni immobili, e han bisogno di tre millioni di franchi dal- l'erario; non opere pubbliche, non strade, non ponti, 65 infine nulla, fuorché esercito e flotta, qualche moschea, e qualche bel palazzo al Sultano. Questo ben si cono- sce dai più intelligenti, ma il fatale haccalum (vedre- mo) e quelFeterna indolenza impediscono il rimedio. Se la Turchia dee vivere, la sua prima necessità si è questa riforma. Ma torniamo alle cateratte. Passata V Orsova turca, il fiume sempre più si rinserra, e l'onda si fa rapida e vorticosa ', il rombazzo cresce, gli scogli discendono nel fiume, e mostrano qua e là sopra le acque le loro nude teste. Bisogna passare fra loro ; i rematori posano 1 remi; il pilota alla poppa governa il timone ; l'acqua trae sola la navicella, che scivolando agilmente tra vor- tici e scogli, trapassa quel luogo che non ingiustamente fu detto dagli Orientali nelle loro varie lingue Porta di ferro. Non consiglierei quel passo ai timorosi; ma d'altronde non ne vidi alcun altro di si terribile e grande aspetto. Poscia il fiume a poco a poco si ricom- pone, la chiusa è finita, i monti spariscono; il Danubio, tornato alla sua prima ampiezza e maestà, discende nella gran valle bulgara e valacca, che lo condurrà al mare. A termine delle cateratte è Rladova, o Torre di Severino (Turnu Severinul) ; colà sporgono ancora dal fiume le rovine del famoso ponte di Trajano, e colà af- ferrammo alla sponda valacca. Io scesi a terra impa- ziente di osservare quel ponte, quel paese, e quella gente. Si mossero delle controversie sul sito del ponte di Trajano. V'è chi lo pone più abbasso al principio del gran Delta, ed attribuisce a Severino, generale di Costantino, quello presso Rladova. La tradizione delno- 5 m me starebbe invero per Severino, ma la descrizione che fa Procopio del ponte di Trajano quadra appuntino con quel di Rladova. La strada stessa, che indubbiamente è di Trajano, mette a quel ponte. Forse Severino non fu che il ristauratore dell'antico lavox'o. Numerava 20 archi, ora vedi le due spalle, due pile intatte alla spon- da bulgara, e le reliquie d'altre undici. Le due intatte misurano ì 8 piedi di largo ; sono di grossi conci di pietra da taglio, rivestiti di mattoni. La testata a de- sti'a è il famoso Caput hovis, presso cui stavano Ege- ias e il ben munito Zanes; all'opposta sponda doveano sorgere Daubetis e Amulrium. Trajano lo costruì per combattere i Daci, Adriano lo distrusse per non essere combattuto dai Geti ; questi due fatti compendiano la storia dei due monarchi. Il paese mi parve piano e ubertosissimoj la gente è, come tutti sanno, un ramo del gran ceppo latino, ma staccato da tanti secoli, e quasi inaridito fra nazioni straniere. 11 Valacco ha tinta olivastra, occhi vivacissimi, e porta chiaro il marchio delle forme latine ; anzi in quelle popolane trovi mara- vigliosa rassomiglianza colle transteverine. Il linguag- gio è anch'osso quasi tutto latino, e le radici slave non sommano a un quinto. Ma qui finisce la rassomi- glianza ; la lunga e dura schiavitù e la povertà cancel- larono nel Valacco gran parte di quei nobili istinti dei legionari di Trajano. E quale schifosa e miserabilissima povertà! I signori hanno case tollerabili, ma i conta- dini o abitano capanne di fango e paglia, o vivono sot- terra come i conigli. Veduto uscir del fumo dal ter- reno, sospettai qualche solfatara, ma accostatomi, vidi 67 un foro, che porta non potea dirsi, per cui entrato, o piuttosto disceso, trovai una larga stanza schiarata da qualche buco, e tutta nera dal fumo, che partendo dal focolare posto nel mezzo, non sempre trovava la sua legittima uscita. Era l'ora del pranzo, e sopra un am- pio tagliere fumava la mamaliga, ossia la nostra polen- ta, in cui di nuovo il Valacco ci ricorda. Quella stan- za sotterranea era cucina, canile, granajo, e stanza di riposo. Così, o poco diversamente, vidi in tutti i luoghi di Valacchia, ove approdammo. Verso l'annottare la campana del vapore chiamava a bordo i suoi dispersi ospiti. Navigammo tutta la notte; all'alba ci apparve alla destra Viddino, a sinistra Calafat. Viddino discen- de dall'alta sponda bulgara al fiume, e co' suoi lauri e cipressi, tra cui si slanciano i graziosi minareti delle meschite, dà bellissima vista. Pensava che in fatto di architettura noi Europei abbiamo ben poco ad im- parare dagli Orientali ; però se confronto queste no- stre altissime torri quadrate (tranne le gotiche e il miracolo di S. Marco) con quegli svelti, rotondi e leg- gieri minareti, ricinti da due o tre gallerie circolari come d'anelli, e terminanti nell'acuta guglia rivestita di piombo, che riflette sì bene i raggi del sole d'Orien- te, trovo quello stile assai più leggiadro del nostro. Calafat è un grosso borgo, in cui tutti piantarono le case dove loro talentò, onde ti presenta una massa scompigliata e confusa di edifizj, senza piazze, uè con- trade. Vasti magazzini corrono lungo la riva, e ad essi fa seguito il lazzaretto. Però il commercio è attivissi- mo, perchè di là per Crajova e Slatina vanno le merci 68 a Bucarest ', ma il porto vero di Bucarest è Giurgevo, e il porto di tutta Valacchia è Ibraila. A Calafat il fiume si torce in senso contrario al suo corso, cioè ver- so sud-ovest, formando una svolta che Omer bassa oi-a seppe abilmente scegliere, onde piantarvi il suo campo trincerato. Pi'otetto i fianchi dal fiume che quasi l'ac- cerchia, protetto la fronte da alcuni lievi ondeggia- menti di terreno, egli può dietro la sua trincea sfidare lungamente il nemico. Passati Viddiuo e Calafat, il fiume non ha più quasi sponde; l'acqua si raccoglie or qua or là in quel vastissimo letto, e a primavera lo em- pie tutto, e s'allarga a impaludare gran tratto della sponda valacca, eh' è sempre più bassa. Torna a strin- gersi alquanto presso Islas e sotto Nicopoli, là dove riceve l'Aiuta procedente da Slatina. Verso sera del dì seguente rademmo le mura di Rustciuk, che ci apparve assai ben munita da doppio giro di bastioni con for- midabili artiglierie. Salutarono la bandiera, e noi ri- spondemmo ; poi girata un' isola che sta fra Ruslciuk e Giurgevo, afferrammo a quest'ultimo. Volle sventura che nell'entrarvi dessimo di cozzo ad un trabaccolo greco, poiché a Giurgevo già comincia la navigazione con grossi legni da mare. L'urto fé' perdere a quel le- gno un ormeggio, per cui il padrone furioso, seguilo da'^suoi marina], saltò a bordo del vapore, chieden- do ad alte grida del nostro capitano. Altri Greci e Valacchi lo secondavano, e stava per nascere un pa- rapiglia, se la fiamma russa, e il nome della Princi- pessa che avevamo a bordo, non avesse incusso ri-> spetto e silenzio. Sostammo a Giurgevo due ore. E 69 un povero paese distrutto, e rifatto almeno sei volte in un secolo, perchè anch'esso assiduamente conteso fra i due padroni dell' Oriente. Ha una larga via su- dicia, case basse, ma però di muro, ed una povera chiesa d'architettura mongola; infine commercio, e nient' altro. Proseguimmo passando per Turtukai a destra, ed 01- tenizza a sinistra, punto ancor più vicino a Bucarest: qui la distanza deve stare sulle dieci miglia nostrali. Oltenizza non ha che una casa di quarantena, e la va- sta campagna che la circonda è frequentemente inon- data dal fiume, che vi lascia, a gran danno dei vicini paesi, acque stagnanti e corrotte, onde fu saggio ed anzi necessario consiglio quello d' Omer, che dopo la famosa battaglia, sostenuta nel Novembre con valore e fortuna, l'abbandonò. Il Danubio qui riceve l'Argis, e sempre più s'allarga, sinché presso la vicina Silistria corrono quattro miglia nostrali da una sponda all'al- l'altra. Colà è ancora tutto raccolto ; ed ecco perchè i Turchi costruirono quella loro fortissima città a difen- dere il passo. A Silistria non sostammo, che la sponda turca è interdetta a chi discende il Danubio, sotto pena di scontare una lunga quarantena al confine russo, ma la città si vede tutta dal liurae, perchè vi si prospetta ad anfiteatro. In generale tutte queste città bulgare o turche sul Danubio hanno lo stesso aspetto, e scendo- no quasi a scaglioni dal colle al fiume, facendo co' loro giardini e meschite bella mostra di sé. In tutto il bas- so Danubio la sponda bulgara è più alta, e munita da frequenti difese ; la valacca, su cui ora stanno i Russi, è 70 bassa, spesso allagata, e non ha verim punto fortifica- to, poiché le mura dì Giurgevo e d'Ibraila (1) più non istauno che nel vecchi libri di Geografia^ dai quali co- piano le gazzette. Solo oltre il Pruth, in Bessarabia, sorge il forte Reni. Dopo Silistria torna il Danubio a spartirsi in mille rami, che parte muojono senza usci- ta, e diconsi Balte, parte ritornano al fiume. A mez- zanotte eravamo a Rassova ; colà il fiume muta il suo corso da Est a Nord, quasi tornar volesse verso la sua foce. Dove seguisse diritto, raggiungerebbe il mare a Rustandjè dopo 10 o 12 ore di cammino, invece ne fa oltre 50. Onde risparmiare a' viaggiatori quell'enor- me sviamento, la Società danubiana avea istituita una diligenza da Rassova a Kùstendjè, ma poi fu soppres- sa. Assai meglio che una diligenza fruttato avrebbe un canale, a cui le presenti vicende, e il sempre crescente interrimento delle foci, fecero di nuovo pensare. Il ca- nale dal gomito di Rassova al mare misurerebbe un 40 miglia : per buon tratto si gioverebbe d'una serie di la- ghetti che i Turchi dicono Gara-sii, i Bulgari Czerna- Voda, e noi traducendo Acqua-Negra, poi costeggie- rebbe il famoso vallo di Trajano, correndo sopra un terreno poco elevato, poiché alcune alture, ultimo on- deggiamento del Balkan, o meglio del Baba-Dagh, la- sciano fra sé ampie vallate. Di tal guisa si eviterebbe- ro le sempre cattive foci, e il cammino da Vienna a Costantinopoli si accorcierebbe di due buone giornale. (1) Ora Giurgevo e Ibraila vennero fortificate dai Russi, ma solo con trincee, ed altre opere di terra. 71 Ma il progetto rimarrà lungamente una speranza, poi- ché nessun Governo, e ancor meno un privato, avven- tureranno un lavoro pur sempre costosissimo presso quel tanto combattuto confine. Dopo Rassova, ed ancor più dopo Hirsova clie la segue, il fiume si fa quasi stagnante, e partendosi in gran copia di rami, fra' quali stanno grosse isole coper- te d'alghe e di giunchi, dà l'immagine di una sconfi- nata palude. Quella vasta e triste solitudine è rotta soltanto da gran truppe di gabbiani che dal vicino ma- re qui vengono a nidificare e a nutrirsi. L'aria è pes- sima, e cagiona febbri intermittenti, e non di rado fa- tali ; onde affrettammo il corso senza sostare mai fin- ché a mezzodì giungemmo davanti Ibraila. Sulla riva stava schierata la bella truppa valacca, e la banda mu- sicale suonava l'inno russo; quindi gli ufficiali venne- ro a bordo a salutare la Principessa. Erano vestiti alla francese, e portavano a stemma la croce valacca colla mezzaluna e stella turca ; singolare e strano accoppia- mento dei segni di due tanto diverse religioni. Io vo- lendo pur visitare alcun poco l' interno di Valacchia, presi commiato dal mio vapore, onde raggiungere per terra a Galatz l'altro e più grosso, che di là dovea tragittarmi a Costantinopoli. E qui finisce, promettendo ripigliare il filo del discoi.so in altra Tornata. 72 Sull'abolizione del Pensionatico, e sulla pastorizia delle Provincie venete. Scritto del Membro stra- ordinario dott. Ferdinando Cavalli. — Seconda lettura della Tornata 5 Febbrajo 1854. ile' miei Siudj economici sulle condizioni naturali e civili della Provincia di Padova io misi Innanzi fran- camente l'avviso, che ove una provìdenza particolare non apra la strada ai proprietarj de' poderi obbligati a Pensionatico di potersi giuridicamente liberare da un tale aggravio, è impossibile all'agricoltura di far qui progressi di rilevante conseguenza. Il mio voto ardentissimo per questo svincolamento della gleba trovava però contradizione in taluno che, sebbene non negasse, anzi confessasse i danni e guasti infiniti ch'escono del Pensionatico, temeva che la sua abolizione potesse recare a nulla la pastorizia. Io tengo salda persuasione che simile timore man- chi affatto di qualunque ragionevole fondamento, e mi venne in animo di esporre oggi alla vostra presenza, illustri Accademici, di quali prove io armi la mia opi- nione, sperando con ciò di non fare cosa al tutto dis- utile, e che l'argomento non sia indegno della vostra attenzione, rammentando i versi del Poeta ; Ceres Prima dedit fniges, alimentaque mitia terris. Prima dedit leges. Cereria sumus omnia muntis. La parola Pensionatico viene usata a denotare il pa- scolo non già d'ogni bestia, ma delie pecore soltanto. 73 Queste sono di due specie : quelle che, scorsa la state sui monti, calano a fare il verno al piano ; e quel- le che sempre stanziano al basso.^ onde sono dette ter- riere, od anche gentili. Le anzidette pecore si distinguono fra loro per par- ticolari caratteri specifici. Io non metterò tempo ad ac- cennarli. Chi volesse conoscerli li troverà nella pregevo- le Memoria che sulla coltivazione delle pecore padovane publicava colle stampe il dott. Agostino Fappani. Le pecore terriere rendono maggiore guadagno, po- tendosi talvolta avere da una di esse sin otto o nove delle nostre libre di tonditura, e da qualche ariete sin anche le dieci ; e poi di più ricca valuta è il bol- drone loro, perchè finissimo, morbido, bianco, ricciu- to e lungo. Questo è il vello lodato da Giovenale, da Marziale, da Strabene; di questa lana parlava il prof. Wolstelu, aggiudicandola la seconda specie dopo le spagnuole. Le persone che il Pensionatico interessa sono quat- tro : i proprietarj dei campi tenuti a tale soggezione, i quali devono senza guiderdone tollerare che vi pa- scano le pecore altrui ; il padrone della posta, a cui appartiene il diritto di pascolo in quella data località; i proprietarj delle pecore terriere, le quali hanno pre- ferenza nella posta ; i pastori montani, ammessi a sup- plemento delle pecore terriere. I pastori montani ed i terrieri anche in presen- te per usufruttare il Pensionatico corrispondono una mercede ; ma al padrone della posta, non al proprieta- rio dei poderi entro a' quali cacciano le pecore alla 74 pastura ; ed è il diritto di questa persona intermedia, che sarebbe estinto coll'abolizione. Non è già il pascolo quello che vorrebbesi tolto, sì bene la facoltà di parare le pecore ai pascoli nei terreni altrui senza permissione, e senza ristoro al pro- prietario dei terreni medesimi. Premesse queste avvertenze, che reputai necessarie a chiarire l'importante argomento, io non esito ad as- serire che la soppressione del Pensionatico, ben lun- gi dal recare dicrescimento o pregiudizio alla pasto- rizia, non farebbe invece che avvantaggiarne la con- dizione. Infatti questo partito farebbe svanire il privilegio che attualmente godono le pecore di escludere dal pa- scolo dei campi soggetti alla gravezza in discorso tutti gli altri animali j ciò che in ora pregiudica quel ramo della pastorizia che riguarda la propagazione ed alle- vamento del bestiame d'aratro e da macello, ed è cau- sa dell'attuale sua scarsezza. Liberandosi gli agricoltori dai danni del Pensiona- tico, e dal pericolo di vedere senza rimunerazione le proprie fatiche sfruttate dalle greggio altrui, la pasto- rizia sarebbe avvantaggiata, si perchè avrebbesi mag- gior amore ai prati, i quali, procurali con buona col- tivazione, metterebbero a gran pezza più fieno di quan- to ora portano; e s\ perchè allora i contadini sarebbero dal medesimo loro profitto condotti ad aumentare il numero dei campi posti a prato, mentre all' invece ora sono troppo correnti a dissodare anche i pochissimi che hanno, piuttostochè lasciarvi spargere a preda i 75 branclii altriii. Quindi maggiore quantità di foraggi, e per conseguenza quantità maggiore di bestiame. Più grasso conto ancora avrebbesi dai prati, perchè dalla segatura fatta a suo tempo essi non iscapitano di erba; mentre al contrario foraggiandovi le pecore, molto patiscono per lo scalpicciamento e pe'l trafìttivo loro dentecchiare. Un'altra osservazione dimostra come il Pensionalico riesca dannoso alla pastorizia, e per converso l'utilità della sua cessazione ; e questa osservazione riguarda la qualità delle erbe, mentre quelle che le pecore la- sciano addietro restano talmente comprese ed ammor- bate dell'odore ovino, che gli altri animali le schifano, e rifiutano di mangiarle. Tolto il Pensionatico, la pastorizia, anziché essere, com' è ora, ristretta e limitata a luoghi posti, potreb- be esercitarsi da per tutto : lo che amplierebbe il cam- po della sua azione, senza che ne venisse scapito al- l'agricoltura; mentre allora (per usare le parole della Proposta '13 Agosto 1794 del Magistrato a' beni in- culti) sostìtmrebbesi alle indiscipline montane i melodi tutti del suo avvantaggio, perfettamente conciliabili coir alimento delle pecore gentili. Finalmente il riscatto del Pensionatico tornerebbe a gran prò di quel ramo della pastorizia, la quale si occupa della coltivazione delle pecore ; attesoché au- menterebbe il numero delle pecore gentili, di quelle cioè che più largamente rispondono. Abbisognando queste d'un governo diverso delle montane, e guar- dandole lo stesso proprietario o conduttore dei campi, 76 la pastorìzia andrebbe incrementando, senza clie le possessioni risentissero alcuno dei danni inerenti al Pensionatico ; ed anzi sarebbero consolate dagli ottimi concimi che si traggono dalle stalle, in cui le pecore dovrebbero restare buona parte dell'anno. Il Pensio- natico air incontro è causa che scemi il numero delle pecore terriere ; e già sino dal 1 9 Gennajo ì 764 il Collegio del Pensionatico riconobbe questa verità, scri- vendo nella sua Consulta : La discesa scandalosa ed ■infesta dei Sette-Comuni ad occupare le poste tutte del territorio padovano, e la soggezione e terrore che cagionano a' territoriali, sono causa che questi abban- donano le proprie pecore di lana gentile, tanto utile alle fabbriche delle pannine sopraflne, con danno gra- vissimo dello Stato. Ond'è che il fatto medesimo, il quale parla assai più chiaro delle parole, rese aperto come l'annullazione del Pensionatico profitti alla pasto- rizia, facendo crescere il numero delle pecore gentili. A Montagnana sino all'anno 1772 eravi Pensionatico, ed allora mantenevansi in quel Distretto fra montane e teri'iere 1 1,400 pecore. Nell'anno 1772, in forza di un accordo conchiuso co'fratelli Dotto de' Dauli, padro- ni della posta, il Pensionatico fu tolto; e due anni dopo si annoverarono in quel Distretto medesimo 17,307 pecore, e queste tutte gentili. Parimente i Comuni di Mouselice erano tutti soggetti ad una posta, spettante ad Alda Bizzi Polentoni e Paolo Gabrieli. Nell'anno 1780 fu rilevato che quella posta non poteva sofferi- re tra montane e terriere che numero 222 pecore. Pri- ma dell'anno 1 800 quel Distretto fu redento dal Pen- 77 sionatico, e nel ì 850 il bestiame pecorino di quel con- tado pervenne all' ingente cifra di 4,1 04. Né per l'abolizione del Pensionatico può temersi clie manchi la pastorizia dei Sette-Comuni. In mezzo a quelle montagne si distendono praterie erbosissime, le quali durante la state servono di pastura non solo ai bestiami dei Sette-Comuni, ma alle mandre eziandio dei forestieri, che prendono a fitto l'uso del pascolo per tale stagione. Tolto il Pensionatico, que'monta- gnuoli, in cambio di cedere ad altri i prati loro, s' in- dustrierebbero a raccoglierne i foraggi e tenerli per sé, e con questi avrebbero di che pascere a lungo le loro pecore dimorando sul proprio suolo, e senz'aver uopo di andare mutando paesi. Senonchè, anche persistendo a volere scendere al piano, la loro condizione sarebbe migliorata. Pe'l si- stema attuale le pecore montane sonò assolutamente escluse da tutti i luoghi dove non vi fosse posta; do- vendo il pascolo restare a solo comodo delle pecore terriere dei proprietarj de* luoghi e siti suddetti (co- si l'articolo 5. della tuttora vigente Terminazione 8 Giugno 1765). E questi luoghi nella nostra Provincia non sono pochi ; anzi Comuni e Distretti interi non hanno posta. Riguardo poi a'siti assoggettati a posta, i pastori montani non possono entrare là dove non evvi consuetudiue di dar loro ricetto (Terminazione 26 Set- tembre 1765); e di 69 poste che sono in questa Pro- vincia, 27 non hanno tale usanza. Ai pastori montani così non rimangono che sole 42 poste solite a rice- verli ; ma anche in queste essi non possono condurre 78 senoucliè il di più che manca a compierne la soffrihi- lità, dibattuto pi'ima il numero delle pecore terriere a cui la legge riserva la prelazione (art. 4. 6. 7. della Terminazione 8 Giugno 1765). Inoltre gli agricoltori possono a loro talento diminuire la portata della posta, accrescendo con nuove rotazioni agrarie la quantità dei campi che, quantunque soggetti al Pensionatico, sono per disposizione di legge esenti dal pascolo (ar- ticolo 1 0. della Terminazione 8 Giugno 1765, e art. 2. della Terminazione 23 Settembre 1772). — Possono ancora i campagnuoli, educando tante pecore terriere quante fanno mestieri a riempiere la capacità della po- sta, a loro grado far s\ che non resti luogo per li pasto- ri montani. Ecco la precarietà in cui il Pensionatico pose i pastori montani. Essi calano dai loro monti alla ventura, senza sapere se avranno o no dove allogarsi ; essi non possono mai acquistare diritto o possesso di pasturare sui fondi della pianura ; non sono ammessi ad usufruttare le poste che eventualmente, limitata- mente, ed in forza di concessioni annuali ; per loro la possibilità, la sussistenza del pascolo dipende soltanto dal fatto, dalla volontà dei proprietarj e de' coltivatori dei terreni soggetti al Pensionatico: dipende cioè dal fatto e dalla volontà di quelli che hanno interesse, on- de il pascolo non possa aver luogo, perchè da esso hanno guasti senza rimunerazione di sorta. Se fino ad ora i pastori montani s'introdussero a pascolare le campagne di questa Provincia ; ciò, a mio avviso, dipende dall'essersi trascurato di fare accon- ciamente determinare la contenenza delle poste, e dal 79 nou adempiersi o malameute dagli Ageuli comunali lo incarico, che loro affida la legge, di dovere ogni an- no numerare con precisione le pecore terriere delle singole Comuni (arlic. 8. della Terminazione 8 Giu- gno 1765) ; altrimenti dubito forte che i pastori mon- tani potessero giuridicamente venire colle loro pecore in questa Provincia : ed un tale sospetto io lo espongo appoggiandomi al seguente calcolo. I campi della Pro- vincia sommano a 526,610. Ammettendo che ne resti a pascolo la metà, (ed ove si ponga mente ai luoghi esenti dal Pensionatico, a' siti non pascolabili, alle po- ste che non usano ricettare montani, sarà aperto come nel porre questa ipotesi non cerchi di favorire la mia opinione) sarebbero campi 263,305. I pratici tengo- no occorrere 5 campi, perchè una pecora abbia quanta erba gli basti al pasto pe'sei mesi d'inverno. Dunque la soffrihilità di campi 263,305 sarebbe di 52,661 pecore ; ma nella Provincia abbiamo invece 67,1 38 pecore : dunque 1 4,477 più di quante fanno d'uopo per chiudere Tadito ai pastori montani in queste campagne. Tolto invece il Pensionatico, i pastori montani po- trebbero assicurarsi d'aver sempre il pascolo, e po- trebbero averlo anche dove ora sono esclusi, accordan- dosi co' possidenti, e pagando loro (e i pastori mon- tani pagano pure anche adesso) il rimerito convenuto. Cessando gl'impedimenti e le limitazioni del Pensio- natico, i proprietarj non mancherebbero, pe' loro van- taggi, di acconsentire in affitto i pascoli soverchiantl il loro bisogno, a modo di quanto si pratica nel Ve- ronese e nella Lombardia, dove non vi sono poste di 80 Pensionatico ; ma le condizioni poi sarebbero tali, che guarentirebbero l'agricoltura e le proprietà contro gli attentati, le violenze e i danni dei pastori. E in ogni caso poi nelle venete Provincie liavvi ancora grandis- sima estensione di terre, le quali trovansi nella condi- zione medesima in cui trovavasi il contado padovano quando vi s'introdusse il Pensionatico; e questa esten- sione potrebb'essere utilmente fruttata col pascolo, an- cora non essendolo colla cultura. Il nuovo censimento dimostra come i terreni bassi e paludosi che contor- nano il mare Adriatico e le lagune (e vi sono molti fondi della stessa specie sparsi nell' interno delle sin- gole Provincie) sono: Nella Provincia di Venezia peri. cens. N.° -lj rassiti vegetabili, i quali, sebbene locati nel più basso gradino della scala degli esseri organici, si verificò abbisognare della presenza dei germi e delle favore voli occasioni, perchè abbiano nascimento. Oltre a ciò, noi vedremo piìi avanti, parlando delle metamorfosi (1) Insiit. Sect. I. 22 Ottobre 1851. 94 dei vermi, come gli ecliinococclii, egualmente che 1 ci- sticerchi, non altro sembrino essere che tenie in istato di evoluzione, larve incomplete abortite, che attendono il favore di circostanze, le quali concorrano a perfezio- narle. Che se risulterà evidente cotesta osservazione, allora sparirà del tutto quell'apparenza di analogia, cui si volle dare appoggio per sostenere la generazio- ne spontanea dei vermi; e sarà dimostrato il perchè alcune di queste specie sieno sprovviste degli organi riproduttori. Ma non occorrono di cosi fatte acute investigazioni per combattere la teoria esposta dai due medici di Lio- ne, quando si rifletta ch'essi attribuiscono la genera- zione spontanea anche a quei vermi che occupano il tubo intestinale: agli ossliiri, agli ascaridi lombrlcoidi; basterà con argomentazione diretta accennare quanto gli anatomici ed i naturalisti dimostrarono dell'intima loro organizzazione. Dietro le illustrazioni ed i lavori del Bojanus, di J. Cloquet, Dujardin, Mehlis, Nordmanu, Mira, Die- sing, Blanchard, Dubini, Siebold, ed altri, senza dire dell'apparato della digestione, del sistema vascolare dei filamenti nervosi, si rilevarono gli organi della ge- nerazione, gli ovarj che occupano gran parte del cor- po, le uova ivi esistenti a milliaja, ed anche l'evoluzio- ne di alcuni embrioni entozoi (1). A quale scopo tanto (1) Duiardin, y4n. selene, nal. tom. 18. Embrione degli ento- zoi.— Blanchard, id. tom. 7. Filamenti nervei. De Vorganis. des vers, id. p. 87, 1847.— Dubini, p. 39, tenne dietro alla formazione dell'embrione nelle uova dell'ascorts nigro-venosa nei succhi poi- 95 apparato eli riproduzione, se gli elminti dovessero na- scere primitivamente en ioutes pièces, e non dalle uova fecondate, unico scopo cui deve la natura averle de- stinate? Con quale vantaggio poi della scienza dipar- tirsi dalla via retta e lucida del sapere, per ritornarse- ne air intricato labirinto delle ipotesi antiquate, dalla evidenza dei fatti condannate all'obblio ? Sarà meno male il confessare, non essere ancora Telmintogenesi in tutti gl'individui ed in alcuna delle sue fasi bene conosciuta, piuttostocbè disconoscere quel tutto che a tanto merito d' instancabili scopritori venne evidente- mente constatato, e che coll'ampliazione dei mezzi d'in- dagine potrà un giorno essere condotto a compimento. A fine di rendere evidente come la operosità scien- tifica progredisca nell'argomento, e i dotti acquistino lena allo studio, anziché intiepidirsi a fronte delle tan- te difficoltà che si presentano, passerò a parlarvi della emigrazione degli elminti e delle loro metamorfosi; con che 10 spero apparirà più manifesta l'elraintogenesi ovipara. monari della rana e della tenia solium. — Slebold distinse nelle vescicole proligere dei trematodi la vescichetta del Purliinje e e le macchie di Wagner. — Ercolani e Velia lessero alla So- cietà biologica di Torino, nella tornata 18 Febbrajo 1854, una Nota sulla embriogenesi dei vermi neraatoidei, insistendo sulle precedenti osservazioni riguardo alla formazione delVuovo e della membrana vitellina; ed accennarono alla tenacità della vita degli embrioni di questi animali, che sono capaci di rivi- vere anche dopo 20 giorni d' un completo essiccamento. Pre- sentarono alcune tavole ed alcune preparazioni microscopiche. Gazz. piemontese, n. 48. del 1854. 96 Quando, per le molte ragioni addotte, si abbracciò l'opinione che gli elminti traessero nascimento da ger- mi organizzati venuti in circostanze favorevoli al loro sviluppo, corse facile al pensiero l' idea che questi germi penetrassero nell'animale cogli alimenti, e forse coll'arla stessa atmosferica (Pallas), ivi maturassero, e così traessero origine i nuovi individui parassiti. Co- desta spiegazione però non si mostra del tutto sod- disfacente, quando si tratti di quegli eutozoi che, lun- gi dall'occupare il tubo alimentare o le parti contigue, si trovano intanati nella sostanza parencliiraatosa di alcuni organi, e nei profondi strati di altre regioni ; riuscendo allora inconcepibile il modo con cui abbia- no ivi potuto introdursi le uova o le larve da cui eb- bero origine quegli animaletti, e dove trovarono ali- mento opportuno alla loro esistenza. Si pensò alla possibilità che i germi fossero assor- biti e portati lunge dal cavo intestinale, ov'eransi pri- ma depositati cogli alimenti. Di questo pensamento si fu r illustre prof. Valeriane Brera, il quale nella Memoria II. in appendice alle Lezioni medico-prati- che sui vermi del corpo umano, fino dal 1812 accen- na come la sorprendente picciolezza dei germi vermi- nosi permetta loro l'accesso nel lume dei vasi, e per essi spandansi nelle parti le più recondite dell'uma- no organismo, penetrando persino (egli dice) nei feti rinchiusi nell'utero materno. Dello stesso avviso si mo- strò Guglielmo Hamilton nella sua Theory of Worms (inserita negli Annales de liitérature medicale étran- gère paf Kluyskens. Gand. an. Vili. 1815), guidato 97 dalla osservazione dei frequenti casi di elmintozoi tro- vati nello spessore degli organi ; e sosteneva che que- sti germi, giunti cogli alimenti nello stomaco, potes- sero mettersi in circolazione per le diverse parti della macchina animale, atteso il volume delle uova scor- renti col chilo così tenue da eguagliare le particelle dei fluidi assorbiti. Non è a dirsi quanta opposizione trovasse e trovi tuttora in molti elmintologi una tale dottrina della cir- colazione dei germi, e specialmente quella dalla ma- dre al feto. Lo stesso dott. DuLini nella sua entozoo- grafia, pag. 54, la contrasta, e richiama ad osservare che il Brera, per errore di esame della composizione delle uova, possa aver trovate queste piccolissime, mentre il Rudolphi le trovò al contrario assai grosse, e tali da non poter passare pe' vasi capillai-i, essendo (egli dice) almeno ì 0 diametri più grosse dei globetti del sangue e di questi vasellini. Peraltro Longet, il quale crederebbe possibile questo fatto, ci assicura che noi siamo assai lontani dal conoscere le dimensioni delle uova di buon numero di entozoi. Lasciando da un lato la questione sulla presenza dei vermi nel feto e nel neonato, soggetto assai agitato e forse per difetto di esempj non ancora definito, e limi- tandomi al fatto comune degli elminti viventi in molti tessuti ed in diversi organi, vi sono potenti ed autore- voli attestazioni ed osservazioni di distinti micrografi, i quali concordano con l'opinione del nostro Brera ; e tra questi v'ha l'Ehrenberg, il quale sostiene che le uova dei vermi possono colla circolazione disperdersi 7 98 in ogni parte del corpo animale (l). E l' Herbst nelle sue Memorie sulla naturale trasmigrazione delle tri- chine esterna l'opinione, che specialmente le capsulari vengano là dove s' inconti-ano depositate dal sangue circolante nei vasi (2). Né apparirà così strano che il sangue circolante possa essere un mezzo di trasmis- sione di germi verminosi ad altri organi, quando si ricordi esistere alcune specie di vermi che vivono in quell'elemento. Sono veramente interessanti alla scienza le scoperte degli ematozoi, che primo lo Schenetz osservò nei ret- tili nel ì 826, e che, a quanto asserisce il FoUin (3), si appalesarono fino adesso in quattro classi degli ani- mali vertebrati, ed in settantasette dei molluschi. I signori Gruby e Delafond (4), esaminando il san- gue dei cani domestici, vi scoprirono per entro le fila- rie papillose aventi il diametro di 3 a 5 millesimi dì millimetro, trasparenti, scolorate, con movimento ani- mato, e che duravano vive nel sangue estratto tenuto alla temperatura di 1 5 gr. del centigrado per ben die- ci giorni. Posta sotto al microscopio una goccia di quel sangue, apparvero quelle filarie, nuotanti con moto on- dulatorio fra i globuli del sangue, curvarsi e ricurvar- si, torcersi e storcersi. Non verificarono in tutti i cani la loro scoperta ; anzi dalle ripetute osservazioni de- dussero incontrarsi nella proporzione di ì sopra 50 (1) Longet, 1. e. — (2) Ann. medie. Caldcrini V. 141, I8f52, pag. 654. V. 146, 1853, pag. 641. — (3) Gaz. méd. Paris 1850. - (4) Ivi. 99 cani. Questi ematozoi Introdotti in altri animali, e de- positati in altri tessuti ed organi, non si mantennero in vita ; e non venne ai detti elmintologi di osservare questi vermi negli escrementi, nella orina, nella bile, nella saliva, nel chilo e nella linfa di quei cani, ma solo nel loro sangue, e sotto fisiologica normalità. Le filarie s' incontrano anche nel sangue delle rane (Gruby, Delafond, Valentin, Voy t, Gliige); ed in quel- lo dei corvi (Rayer, Gross, Ecker, Follin). Oltre alle filarie, il Gruby scoprì nel sangue delle rane vive un verme che chiamò trypaìiosome. Il Treutler trovò nel- la vena cava del cervo e nelle vene polmonari della foca la fasciola. Klein, Camper, Albers, Rosenthal, Creplin, Raspali, ec, incontrarono degli sirongili nei seni venosi alla base del cranio del cervo e nelle vene cave. Circolante poi nel sangue dell'uomo pare che il Treutler di Dresda vi trovasse Vhexathyridius vena- rum nella vena tibiale anteriore. Il Mongraud di Bi'est descrive un ematozoe, la filaria zebra^ verme cilin- drico e rosso, che vide nella vena safena di un uomo che sezionava, lungo 0,6.1/2 centim., e largo 2 mil- limetri (1). Il dottor Bllharz, medico al Cairo, luogo ove pe'l caldo eccessivo abbondano i vermi, conferma l'osser- vazione degli entozoi nel sangue dell'uomo, non an- cora, secondo lui, da altri autenticamente comprovata ; e narra di aver trovato nella vena porla e nelle sue diramazioni il distoma haemaiohium maschio e fem- (1) Gaz. méd. Paris 1852, pag. 63. JOO mina (1). Seguendo peraltro le autorevoli esperienze dal Gruby e Delafond praticate sul sangue dell'uomo e di 2970 animali per iscoprire gli ematozoi, appari- sce non esservi alcun fatto che appoggi la presenza dei verrai nel sangue dell'uomo sano ; bensì che i vasi dell'uomo e degli animali possono ricevere gli ento- zoi di vario ordine estranei al sangue^ sieno vermi od infusor] ; e che questi ematozoi accidentali vi possono essere introdotti ovunque possono passare i globu- li (2). Ciò nullameno, sieno gli ematozoi l' espressio- ne di una condizione patologica o di uno stato fisiolo- gico, come sembra in alcuni cani domestici, il fatto della loro presenza, e quindi del loro ingresso nella circolazione sanguigna, apparisce bene documentato. A fine di dare un'altra spiegazione alla presenza degli entozoi nell' interno dei tessuti e nel parenchi- ma degli organi (3), parve probabile l'emigrazione di- retta, cioè che questi animaletti appena sbocciati dal- le nova essendo esilissimi, dotati di movimento ener- gico, vivace, potessero portarsi lungi dal sito di loro sviluppo, facendosi strada attraverso i tessuti col se- parare i filamenti della orditura organica. Diffalti osservò il Dujardin (4) i trichosomi del sorcio di cam- pagna (musaraigne) e di altri animali in parte liberi nell' intestino tenue, ed in parte impegnati nella mu- (1) Gaz. viéd. Paris 1850, pag. 553. (2) Idem. Paris 1852, pag. 23. (3) Longet, 1. e. pag. 23. — Forster, Anatom, patolog. Pa- ris 1853, pag. 126. (4) Ann. des sciences natnrdles. II. Ser. tom. XX. p. 333. cosa dello stomaco e dell'esofago, e che questi mini- mi vermi, attraverso i tessuti, in una data epoca si fanno a cercare ricovero nello spessore della milza, per ivi compiere lo sviluppo. Accettando cotesta opinione dello internarsi dei vermi fra i tessuti, appoggiata anche alle osservazio- ni dell'Herbst (1) e del Leuckart (2), mi pare che potrebbesi rendere ragione di alcuni tumori vermi- nosi che alle volte discopro nsi negli strati membra- nacei. Il prof. Bexleben (veterinario in Berlino) ed il Gurlt incontrarono dei tumori situati allo stomaco dei cavalli, tra la membrana mucosa e la fibi-osa, pieni di spiropteri megastomi, o, secondo il Valenciennes (3), di un genere intermedio fra gli ascaridi e gli spiro- pteri. Questi vermi da quelle cisti in alcuni casi si fanno strada attraverso la mucosa del ventricolo, sen- za lasciare la benché minima traccia di offesa, né de- terminare alcun processo flogistico. Egualmente di- remo dei tubercoli verminosi trovati dal Morgagni e dal Rayer sovra la superficie esterna della tonaca mu- scolare dell'esofago ; così di quel tumore verminoso, grosso quanto una noce, che lo stesso Rayer e Chaus- set (4) osservarono tra il cardias ed il piloro dello stomaco di un cocodrillo ; infine dei tubercoli duri dello stomaco di altro cocodrillo veduti dal Tiedmanu nel 'i8')8, e nei quali il Rudolphi ravvisò Vascaris lenuicollis. (1) Loc. cit. — (2) Gaz. méd. Paris 19, 1853. — (3) Idem. Paris 1842, pag. 460. — (4) Idem. Paris 1849, pag. 747. ■102 Io avrei invece Jlfììcoìtà di considerare sotto que- sto aspetto quei casi, che si accennano nella pratica, di lombrici, i quali forarono le pareti delle loro dimo- re, e si trovarono colla sezione cadaverica riversati in altre parti. Non sempre in tali circostanze è pos- sibile determinare se quei vermi effettuassero la loro sortita durante la vita o dopo la morte dell'individuo; e nel primo caso si è ben lungi dal cercare quell'im- percettibile punto, pe'l quale, distraendo le fibre dei tessuti, si aprirono la via ; mentre al contrario si tro- vano delle aperture ulcerose gangrenate, per le quali sbucarono dal naturale ricettacolo, dalle intestina. Quindi la emigrazione dei vermi, cui mi riferiva poc'anzi, contempla il passaggio di quei minimi en- tozoi, che si effettua senza recar danno alcuno, senza turbare le condizioni fisiologiche del soggetto su cui avvengono, e senza che la permanente presenza di quei parassiti fra i tessuti arrechi perturbamento fun- zionale. Un esempio di codesta innocuità sui tessuti lo porge la stessa trichina, avveguacliè individuo di classe più elevata (0. Questo verme capillare, che chiuso spiralmente in una cisti costituisce l'anello in- termedio fra la catena dei vermi cilindrici e quella de'cestoidei, che abita negli strati muscolari profondi tanto dell'uomo che di altri animali mammiferi e vo- latili, vive colà senza che i muscoli, sui quali appog- gia, soffrano punto, quantunque molti di essi trovinsi aggregati. (1) Diibini, pag. 154. 403 iVltretlauto però non sarebbe a dire di questi el- minti quando si depositano numerosi in organi molli, e specialmente nel cervello (1); né di altri vermi più grandi, per esempio la filaria medinensis, che può bensì restarsi per mesi ed anni appiattata negli strati grassosi sottocutanei, nelle masse muscolari ed altro- ve, ora allungata, ora contorta, ma che per lo piìi de- termina attorno di sé un tumore furuncolare che fini- sce a suppurazione, e si apre all'esterno, alle volte ca- gionando febbre, e frequentemente un sensibile depe- rimento dell'individuo. E degno di ricordanza in proposito il caso narrato da Pere (2)^ il quale visitando in S. Domingo alcuni Negri provenienti dalla Guinea, ne vide uno assai magro e sfinito, che acquistò per poche monete. Esa- minandolo bene colle dita, avverti una resistenza sot- tocutanea lungo il ventre ed il petto da rassomigliare un cordone. Egli ebbe sospetto vi si celasse sotto una filaria^ e fatta l'incisione dei tegumenti, cautamente la estrasse senza lacerarla, e quel Negro ricuperò la sua piena salute e nutrizione. Una di quelle fanciulle africane che il padre Geremia di Livorno condusse nello scorso Luglio dall' Egitto fra noi per ricovei'arla presso il benemerito e pio sacerdote il Mazza in Ve- rona, durante il viaggio sofferi appunto un furuncolo flemmonoso alla coscia; e quando si aprì n'ebbe usci- ta un sottilissimo verme, che denominava in lingua araba il fartit^ lungo circa sei metri. Quella moretta (1) Herbst, 1. e. — (2) Dubini, pag. 95. 104 nel suo passaggio per Padova h vidi ristabilita, ed era cessata la suppurazione. Cotesti elminti, come i molti che noi comunemente incontriamo nel cavo intestinale e negli organi atti- gui, appariscono costantemente nelFetà adulta : sono individui, i quali compirono il loro svolgimento, e che occuparono quella sede, cui si direbbe natura li avea destinati. Non vedendosi frammiste ad essi le loro uova, gli embrioni, i giovani individui, conviene ragionevolmente supporre che questi vivano altrove, abbiano altrove nascimento, e che abbandonino il loro nido quando forzati da naturale bisogno cercano quel sito, ove un nesso di circostanze concorra a perfezio- nare il loro sviluppo, e mantenere la loro esistenza. E opinione acci^editata, che generalmente le uova degli entozoi non si sviluppino finché si trovano nel tubo alimentare, nei condotti biliari, nelle branchie, e simili ; cioè là dove vengono deposte. Di queste me- tamorfosi di luogo dei vermi a seconda dello stato loro individuale ne offrono interessante esempio le ri- cerche di Emilio Blanchard (1), precisamente institui- te per verificare se le uova degli elminti si sviluppino in altro sito da quello in cui vennero primitivamente depositate. Egli tenne dietro alla fasciola hepatica, verme che vive adulto nel parenchima del fegato del bue e del montone; ed osservò in data epoca esistere una miriade di ovicini entro ai canali biliari, e questi (1) Complcs rendus des Séances de VJcadémie des sciences. Tom. 26, pag. 355. Mars 1848. 105 sotto l'esame microscopico apparire più grandi nel canale coledoco, e più ancora nelle intestina, ed in- fine sortire misti agli escrementi. Sarebbe stato vera- mente importante che il Blanchard avesse potnto se- guire le fasi ulteriori cui erano destinati quei germi, alla sorte delle larve che ne saranno derivate, per ri- levare come quegli elminti arrivino ancora a centra- lizzarsi in quell'organismo animale, dal quale erano stati allontanati gli ovicini pe'l compimento regolare del loro destino. Concorrono a scemare questa lacuna, e ad illustra- re il modo dello svilupparsi di alcuni entozoi, nonché le metamorfosi cui vanno incontro gli studj di altri el- niintologi ed i loro esperimenti (1). Lo Steenstrup fu il primo che, parlando delle ge- nerazioni alternanti, offerì la maniera di formarsi una idea della costituzione di una tenia: trovò egli esiste- re delle larve particolari, così dette matrici, le quali si riproducono senza il concorso dei sessi, e danno origine ad altre larve suscettibili di giungere alla ma- turità sessuale, e di produrre le uova. Nella tenia la testa è la larva nutrice o madre. La testa, propria- mente parlando, secondo lui è tutto l'animale. La fe- (1) L'Herbst, 1. e, dietro le indagini fatte sovra molti ani- mali volatili, mammiferi, inclina a ritenere che le trichine non sieno che filarie giovani, e che dalle uova di queste trag^no la loro origine; per lo che le trichine sarebbero la larva delle fdarie attenuate. Non decide per altro se la trichina dell'uomo provenga dalla filaria medinensis. Esso cominciò li suoi studj sull'argomento fino dal 1845, e ne comunicò i risultati alla So- cietà delle scienze in Gottinga il 21 Novembre 1851. — Wa- gner. Note sur le développement des vers intestinaux. Anna Ics des scienc. na.'xir. Zoologie. Tom. 19. pag. 179. j06 sta però non genera le uova; bensì dopo qualche tem- po produce il primo articolo ; poi un secondo articolo, che resta fra la testa ed il primo; e così di mano in mano si formano e seguono i successivi articoli della teniaj sempre in maniera che i più vecchi costituisco- no l'estremità caudale, ed il più recente è vicino alla testa. Gli articoli più vecchi sono quelli che genera- no le uova, dalle quali in seguito traggono origine le larve generatrici, e sono quelli che si staccano dal- l'animale quando le uova sono mature. Le larve della tenia, cioè la testa senza gli articoli, seguendo le osservazioni del Van Beneden, quantun- que trovinsi in copia negli animali inferiori, ove trat- tengonsi per qualche tempo, pure ivi non prendono sviluppo, e solo cominciano ad emettere gli articoli quando sieno introdotte negli animali vertebrati. Egli ne trovò nelle intestina di alcuni pesci voraci, i quali precedentemente aveano ingollati altri pesci minori, con entro in alcune cistidi dei botriocefali incomple- ti (1). Se ne incontrano frequenti nel porco, siccome riferiva nello scorso Gennajo il dott. Francois all'x^c- cademia di medicina in Parigi (2), parlando delle ge- nerazioni alternanti, pur egli sostenendo che le tenie debbono trascorrere diverse fasi prima di abitare l'or- ganismo umano, ove questi elminti non mostrano di venire alla luce. Essi però vi penetrano con l'uso degli alimenti. Il Bremser, accennando la frequenza con cui s'incon- trano la tenia ed il botriocefalo nel Belgio e nella (1) Dubnii, pag. 196. - (2) Gaz. méd. Paris, tom. 4., 1854. ^07 Svizzera, in modo che non solo i nativi di quei pae- si, ma ben anche alcuni dimorantivi da pochi mesi trovansi soggetti a questi vermi, ne attribuì la cagio- ne all'uso che colà tengono di letaminare i campi col metodo fiammingo, cioè di versare sul terreno gli escrementi recenti, senza far precedere alcuna prepa- razione. Dal che ne verrebbe, che i vegetali appro- priandosi coU'assorbimento alcuno dei molti germi ver- minosi espulsi colle feci, potrebbero, dati in pasto, facilitarne la introduzione nell'animale economia (1). Ma la maniera più probabile, con cui possono in ge- nerale i vermi penetrare le intestina dell'uomo, si è col cibo animale, e più colle carni degli animali car- nivori, come più soggetti agli elminti, che non con quelle degli erbivori (2). Buon per noi che ci nu- triamo di carni cotte bene apparechiate e condite; e buono che una grande quantità dei germi verminosi e delle larve va perduta, perchè mancante di quelle circostanze che ne determinino l'evoluzione e l' incre- mento. Siane una prova, che a milliaja vengono gene- rati di questi ovicini, ma pure non vediamo crescere in proporzione il numero di essi negli organismi. Lo studio delle metamorfosi elrainticbe, accoppiato alla osservazione sperimentale, specialmente in que- st'ultimo decennio, condusse gli elmintologi nella per- suasione che i vermi vescicolari sieno le larve di al- trettante tenie. Diffatti il Siebold (3) scoprì che quel (1) Longet. 1. e. — Blanchard, 1. e. (2) Leuckart, Gas. mtd. Paris, n." 19, 1853. (3) j4nìi. med. Calderini I8f)2, pag. 211. 108 verme parassita cestoideo, che vive nel fegato dei ratti e dei sorci, il cisticercus fasciolaris^ è una tenia fuor- viata, divenuta vescicolosa, cioè la tenia del gatto, o tenia crassicoUis. Egli comunicava nel Luglio 1852 alla Società nazionale di Breslavia gli esperimenti cominciati già fino dal 1 844, e che aveva eseguiti in proposito presso l' Istituto di quella Università. Die- de in pasto ad un gatto il fegato del ratto contenente il cisticerco ; il gatto digerì il fegato, ed il verme pa- rassito, perduta la sua vescicola caudale piena di un liquido, si mostrò senza coda nel chimo e nelle inte- stina tenui ; ed ivi trovando conveniente il luogo , esso si è sviluppato sotto la forma articolata della te- ìna crassicoUis^ con organi sessuali adulti. Diede egli mangiare a cani giovani il cisticercus pisiformis, il cel- lulosuSy il tenuicollis, il cerebralis, e V echinococcus veterìnorum, e verificò la metamorfosi progressiva di questi vermi vescicolari in tenie. Egualmente avendo introdotto milllaja di ovlclni dell' echinococco nello stomaco di alcuni cagnettl, dopo qualche giorno gli apparvero a milliaja le sottilissime tenie aderenti, con li siicchiatoj e la corona degli uncinetti alla mu- cosa degl' intestini. Queste interessanti sperlenze furono ripetute con esito fortunato nel 1851 dal Kuchenmeister (della Lu- sazia), ottenendo le tenie nei cani e nei gatti, cui avea dato mangiare il cisiicercus pisiformis, parassita fre- quente nelle intestina della lepre e del coniglio. Anche i signori prof. Ercolani e dott. Velia comu- nicavano nel 27 Luglio p. p. alla Società delle scienze 109 biologiche di Torino (0 una Memoria sulla trasmis- sione e metamorfosi degli elminti, narrando i loro spe- rimenti, per comprovare che alcuni entozoi si mutava- no, ossia perfezionavano il loro sviluppo a £3conda che dalla località, in cui aveano avuta origine primitiva- mente, s' introducevano nel canale alimentare di altri animali ; ed ottennero col cisticerco del conigliola tenia serrata del cane ; di che presentarono i risultamenti. Collo scopo di confermare cotali trasformazioni del- le tenie secondo il grado di loro svolgimento, alcuni elmintologi si diedero a battere una via opposta negli esperimenti. Tra questi il Leuchart (2) ottenne meta- morfosi abortive, cioè la degenerazione delle larve del- le tenie quando queste, sviando nelle emigrazioni, si imbattevano in alcuni organi non adatti alla loro ul- teriore formazione. In questo caso quegli entozoi si arrestano nello sviluppo, e gli articoli non toccano la maturità sessuale. Alcune volte invece si osserva so- stituirsi a quegli articoli un'appendice vescicolare, e da quelle larve degenerate avere origine i vermi ve- scicolari 0 cestoidei. Se questi peraltro in progresso di tempo avessero ad incontrarsi avventuratamente in (1) Gazzetta delV Associazione medica degli Stati sardi. To- rino 6 Agosto 1853, n." 32. (2) Loc. cit. — Questo Prof, di Dresda nutriva in due gab- bie dei sorci bianchi, e più volte li assoggettò alla ricerca dei cenuri senza mai ritrovarne. In seguito collocò in una delle due gabbie le uova del Taenia crassicollis miste all'acqua ed agli alimenti; dopo qualche tempo vide che i sorci inquilini di questa gabbia erano infestati dai cenuri, mentre non lo era- no quelli dell'altra che non aveano mangiate di quelle uova. Gaz. mèdie. Paris, n." 8, 1854- iJO circostanze favorevoli per lo sviluppo, si osservò ri- animarsi il processo di vegetazione, avviarsi ancora la metamorfosi progressiva della tenia, da prima sos- pesa; e così verificarsi il risultato delle osservazioni dello Steenstrup, che noi poco sopra accennammo. Si ritiene una metamorfosi della tenia degenerala spontaneamente quell'aggregato di cisticerchi che si incontrano impiantati sovra una sola vescica, cono- sciuto colla denominazione di cenuro (coenurus) ; e così pure le vescicole semplici o complicate, costituenti gli acefalocisti, dei quali già dicemmo a principio. Anche i medici piemontesi prof. Ercolani e dott. Velia cimentarono alcune sperienze per verificare co- teste metamorfosi regredienti od abortive della tenia. Essi introdussero delle tenie cucumerine intere nel- l'addome di un coniglio, ed altre sminuzzate nella ca- rotide e nelle vene jugulari del cane ; ma falliva loro l'effetto ricercato, e non videro formarsi nel coniglio i cisticerchi, né gli echinococchi o cenuri nel cane; per cui non riuscirono ad ottenere le trasformazioni delle tenie in verrai vescicolari, come da questi avea- no ottenuto le tenie. Essi peraltro insistono negli spe- rimenti, e nella tornata del ì 8 Fehbrajo pr. pass, il prof. Ercolani annunciava alla Società biologica di ave- re ottenuto il permesso di ripetere nell'Istituto veteri- nario gli esperimenti tentati alla scuola di Dresda sul- la genesi del ceìiuro cerebrale delle pecore, dietro la ingestione delle uova della tenia serrata del cane (l). (1) Gazzetta piemontese, n." 48, 1854. Coucliiudiamo. La teoria della generazione equivo- ca dei vermi, combattuta e vinta nel campo delle os- servazioni anatomico-fisiologiche, e trincieratasi dietro quegl' intricati dubbj che poteva destare la presen- za dei vermi sotto profondi strati e negli organi pa- renchimatosi, non cessò a quando a quando di avere chi coll'arme di questa incognita tentasse affrontare l'assioma fisiologico, ormai generalizzato e noto, della elmintogenesi ovipara ed anche vivipara. Ma le inda- gini esposte sulla emigrazione e sulla metamorfosi de- gli elminti, appianando in molta parte quei dubbj, ne infirmano maggiormente la sussistenza, e quella dot- trina si va riducendo tra i sogni della immaginazione. Egli è per questo che con un corredo di argomenta- zioni e di fatti sperimentali avendone contrariato il principio, e postolo in evidenza di assurdo, io cre- derei tempo perduto il discutere adesso sulla ipotesi umoristica della diatesi elmintogenica, ammessa dai signori Beauclair e Viguier quale generatrice dei ver- mi. Di questa diatesi fora meglio mutare il signifi- cato, riducendolo alle naturali proporzioni di una pre- disposizione individuale, favorevole allo svolgimento di germi elmintici preesistenti, quale viene dai clinici descritta, e della quale i medici e non medici sanno farsene una giusta idea colla osservazione. Sull'origine dell' O'ìdiam Tuckeri. Riflessioni del dott. Giambattista Ronconi di Padova. — Se- conda lettura della Tornala 5 Marzo 1854. Il Il dott. Ronconi, ammesso a leggere in questa Se- duta, si occupava della genesi della crittogama che nocque tanto alle viti. Sembrare, diceva, clie gli es- seri parassiti abbiano terreno loro proprio, sul quale unicamente vivono, crescono, e possono prosperare. ÌJ'oidium predilige l'uva, anzi fu tenuto esclusivo a questa; ci'ittogame di altre piante si ebbero per va- rietà, altre quasi specie nuove. Osservazioni compa- rative, con esporre i caratteri botanici differenziali, (morfologici, fisiologici) davano ragione al fatto, pel differente materiale nutritivo offerto alla crittogama dalle piante diverse. Confermate queste osservazioni, si avrebbe Vo'idium proprio dell'uva, e su questa sa- rebbe a distruggersi; utilissimo poi sapere clie il se- minio delle varietà àoiV oidium e delle altre specie dannose a tante piante erbacee non avrebbe azione ve- runa sull'uva. it> Ma le note differenziali fislo-morfo- logiche delle varietà dell'oic/mwi potrebbero modificarsi al contatto dell'uva, ritornare alle forme primitive della specie; e se il materiale nutritivo dà caratteri alle varietà, quelli possono scomparire pel materiale nutritivo del- la specie. Egli, l'autore, non sa immaginare opposi- zione, anzi crede le forme differenziali delle varietà far passaggio alle forme esclusive della specie ; più Ì13 ancora, le varie specie di questo genere aver ingenera- to la specie nuova, (od almeno per lo innanzi non os- servata) VoMium TucherL E svolge così il suo ragiona- mento: Dalla fecondazione di due specie differenti di uno stesso genere sorgono varietà a caratteri costanti ; e questo è ammesso come dimostrato. Se l'ibridismo abbia luogo nelle specie d'ordine superiore, può darsi ancora in quelle d'ordine inferiore; né serve ricorrere alla generazione equivoca, quando natura dà esempj d'ibridismo. Nei tepidarj della Prussia e di Margate in Inghilterra tutto è favorevole alla propagazione delle parassite, specialmente mucedinee; in Francia, in Italia, ec, la singolarità delle stagioni, la incostan- za della temperatura, l'umidità, favoriscono quella pro- pagazione; né ripugna il credere in que' tepidarj, ove la cultura della vite è forzata, all'accoppiamento di due mucedini dello stesso genere; quindi alla genesi d una terza specie, a caratteri costanti, e propria del- l'uva cui aderiva in origine, riprodotta sull'uva stessa in que' luoghi, e riprodotta ora fra noi. Non intende l'autore avere svelato un fenomeno, ma sostiene non improbabile quanto espose, senz'allenta- narsi dalle vie naturali ordinarie. Se le spore, egli dice, sieno veri seminuli od embrioni di questa pianti- cella microscopica, quelle saranno arrivate per fasi al- lo stato perfetto di organi riproduttori ; questi avran- no sentito la influenza della fecondazione ; e se anco gU organi della fecondazione non siano a desumersi co' mezzi noti fin qui, la ragione basta a capacitarci della loro esistenza. 8 Ella è dunque questa crittogama ritenuta dal doti. Ronconi siccome prodotto ibrido; e parassita-, come niuno dubita, divenne esclusiva all'uva: ned è mara- viglia ciò sia, sendosi prodotta e riprodotta sull'uva, e per le ragioni più sopra accennate dall'autore. L'averlo osservato sulle rose, sulle cucurbitacee, su di alcune leguminose, (ove prima della invasione dell'o?- dium si sapea vivere alcune mucedini) sarà forse vero per essersi moltiplicato mirabilmente, e poter vivere su d'altre piante in modo precario; ma ciò non to- glie che l'uva sia per esso il terreno suo proprio. Si disse inoltre non essere pianta nuova, nota sotto altro nome in avanti, e si parlò con asseveranza. L'autore però dà sue buone ragioni per non allontanarsi dai ca- ratteri differenziali ammessi dai botanici, e verificati da luì. Relativamente poi all'asserzione, che la malattia attuale delle viti siasi verificata in addietro, egli non trova fondamento plausibile ad affermare ; ed in quan- to a nozioni che avere si possano dai libri, (citando egli qualche passo di autori antichi, ed alludendo ad altri annoverati da scrittori contemporanei) egli non nega che le viti in epoche anteriori alla nostra abbia- no sofferto danno ; non ammette per altro, fino a tanto che gli manchino prove, che quel danno sia provenuto da causa eguale, e crede che VoUium delle viti sia per noi nuovo del tutto, se non nel fatto, nella storia si- curamente della botanica. ÌÌ5 Finite le due letture, il Presidente trattenne i Membri aventi voto per una sessione privata. Sentito il parere della Sezione di medicina, fu aggregato quale Membro ordinario; 4.° il prof. dott. Giuseppe Corneliani. Sentito il parere della Sezione di filosofia e lettere fu- rono aggregati : ' 2.° il nob. dott. Ferdinando Cavalli, quale Membro or- dinario ; 3.° il prof. dott. Giuseppe de Leva (già Socio corrispon- dente) quale Socio straordinario j 4.° il nob. dott. Ferdinando Scopoli, quale Socio cor- rispondente. LIBRI PERVENUTI IN DONO ALL'ACCADEMIA ( C0^TINUAZr0NK } Gli Orfanelli. Strenna bassanese. Compilatori: ab. Giuseppe Jacopo prof. Terrazzi e Pasquale Antonibon. Anno I. Bas- sano 1854. Piippati. Alcuni squarci lirici descrittivi e morali, dedotti dal poema Della vita e della morte. Padova 1847. — DeUa vita e della morte. Canti. Padova 1849-1853. — Il bello considerato nelle varietà della specie umana. Canto. Padova 1849. SJcca. Dizionario delle mitologie, ossia Prospetto ragionato e comparativo di tutte le false credenze e dei riti supersti- ziosi dei popoli, esposto in ordine alfabetico. Padova 1853 — Petrarca sulla lezione del Marsand (2 esempi.). ÌÌ6 Tornata VII. 19 Marzo 1854, iiUima del primo semestre. Il membro ordinario Cittadella -Vigodarzere legge alcu- ne osservazioni critiche sulla introduzione alla storia degli Stati italiani (dalla caduta dell' Impero romano fino al i840) di Enrico Leo, professore alla Università di Halle, prenden- do in esame specialmente quella parte che ha per titolo GVItaliani. L'agronomo sig. Tortella dì Verona (del quale e del suo metodo di mondare le risaie abbiamo parlato in questa Ri- vista dalla pagina 42 alla 49) ha mandato alla Presidenza nel 29 Marzo alcune Osservazioni sopra le cause della ma- lattia del caròla nel riso, le quali, continuando un sogget- to d' importanza agronomica, crediamo utile di aggiugnere all'articolo più sopra riferito, e sieno esaminate, studiate, spejrimentate da chi ne avesse interesse. « I coltivatori del riso al momento del raccolto fanno scelta giudiziosamente del migliore per la se- mina ; ma da qualche tempo in qua molti credono ben fatto di non seccarlo nemmeno al grado dell'altro che devesi brillare per farne smercio, ritenendo che a la- sciarlo un po' scarso di vera stagionatura sia meglio, per essere più pronto a nascere. » M Ma questo grano non bene stagionato vien posto sui granaj, e colà forse da alcuni lasciato senza nep- pure arieggiarlo, né rimescolarlo. Egli è naturalmente più soggetto dell'altro agli effetti delle variazioni M7 atmosferiche di gelo, uinido ed altro, per cui al mo- mento della semina deve avere o poco o molto patito. » '. « Siccome il riso contiene una sostanza farinosa, nella quale esiste l'embrione da cui deve sortire la pianticella, ed essendo questa sostanza quella che do- po seminato il grano nell'acqua si riscalda, e si con- verte in sostanze zuccherine e lattee, che servono principalmente a nutrire l'embrione finché spuntino le radici nella terra a riceverne vitalità e nutrizione j così necessariamente non potrà sortir sana quella pian- ta, l'embrione della quale ebbe nutrimento da una so- stanza che per le cause suddette sofferse dei guasti. » « Prima di seminare il riso costumasi di metterlo in sacchi, e questi gettarli nell'acqua (lo che non sa- rebbe necessario), e lasciarvelo, non per poche ore, ma per giorni e giorni j per cui in quello stato nel- l'acqua si riscalda a segno, che provando a mettere la mano in mezzo al riso nel sacco subito levato dal- l'acqua, devesi ben presto ritirarla per l'eccessivo ca- lore del riso ; e provando a spremere una certa quan- tità di risone disposto a seminarsi con tali erronee preparazioni, n'esce una sostanza lattea che, assag- giandola, dà un sapore di cosa patita e disgustosa. Egli è dunque impossibile che questo grano possa produrre delle piante sane, le cui principali sostanze, in forza di tali disordini, ebbero naturalmente a sof- frire. » « E vero bensì che, seminato con queste disposi- zioni, egli è più pronto a nascere ; e crescono rapida- mente le pianticelle, folte a norma della prudente ge- ** nerosità del seminatore ; ma è vero altresì, che quan- do sono arrivate ad una certa altezza, ne spariscono gran parte di quando in quando, e resta cìiiara la ri- saja, che da prima era pur sì folta. » « Un'altra causa Influisce alla terribile malattia del carolo, ed è quella di lasciar troppo In secca la rlsaja nel colmo dell'estate : polche devesi riflettere che il riso è pianta acquatica, quindi vuol nascere e vivere ordinariamente nell'acqua; e se nei varj suol stadj più volte ha bisogno di stare in secca, lo dimostra coir ingiallirsi ; e rinverdisce poi coll'asclugare la ri- saia, e torna ad Ingiallire quando nuovamente desi- dera l'acqua. Questo succede perchè in certi tempi lia uopo di ricevere più distintamente le influenze che la luce, l'aria ed il sole tramandano a beneficio di tutte le piante In generale. Ma non si dovrà mal lasciare II riso tanto In secca, che per l'eccessivo calore possa essere arrestata la circolazione de' suoi necessari na- turali umori : Il che avviene quando pe' troppo cocenti raggi del sole s' Inaridiscono i condotti capillari, e le radici non possono tramandare al grano, di già fecon- dato, quelle sostanze nutritive che, accompagnate dal- le aeree, lo perfezionino ; quindi resta incompleto, e bene spesso non più suscettibile a ricevere inaffiamen- to colle successive Inondazioni, essendo disorganiz- zata o In tutto od in parte la vegetazione. » « In somma, per evitare alla pianta del riso sì fatti disordini, raccomanderò sempre al coltivatori : » M 1 .° Che nel fare la scelta della semente stieno attenti che sia bene stagionata, onde conservarla sana H9 a fronte di qualunque alterazione atmosferica, e che sui grana] venga spesse volte arieggiata e rimesco- lata. » « 2.*^ Che ponendo il risone in sacchi nell'acqua, ve lo lascino poche ore, per evitare che si fermenti e si riscaldi, a danno delle sostanze che ne' suoi prin- cipi devono nutrire la pianta. » M 3.° Che nel dare le asciutte alla risaja, massi- me nel colmo dell'estate, non ve la lascino troppo, a fine di preservarla da quegli effetti che possono ca- gionare il carolo^ osservando che nelle valli, ove non si può mai avere l'asciutta, non succede il carolo. LIBRI PERVENUTI IN DONO ALL'ACCADEMIA (Contikuaziokb) Padoa. Ricerche e studj su la dottrina vaccinica. Milano 1853. Società d'incoraggiamento di Milano. Programma d'un premio di lire 600 pel 5 Novembre 1855, riferibile al trattamento del lino. Crivelli. Istruzione popolare per allevare ì bachi da seta. Mi- lano 1854. — Modo di preservare i bachi da seta dalle principali ma- lattie, e particolarmente dal calcino. Milano 1854. Mémoires de la Société des sciences naturelles de Cherbourg. Voi. I. Llvraison 3. 4. Jahrbuch der K. K. geologischen Reichsanstalt. WIen ( Juli, August., September 1853). Da Camino. Su le viziosità e complicazioni del miasma vac- cino riprodotto nell'umana specie. Venezia 1853. ISellavitis. Pensieri sulla istruzione pubblica. 120 Brlzi. Sulla piissima fraternità dei laici di Arezzo. Arez- zo 1853. Rizzi. Sul nuovo concorso al Premio Canova proposto dal- l'I.R. Istituto Veneto. Vicenza 1853. Rendiconti delle Adunanze della R. Accademia dei Georgofili. Marzo 1854. Slcca. Compendio della Lessigrafia italiana di G. Gherardini, confrontata col Vocabolario della Crusca. Padova 1851 . — Fatti e detti memorandi sì gravi che piacevoli, offerti al- la studiosa gioventù. Padova 1854. -o^@@g2» i m PERSONALE ACCADEMICO <*> Const^lw aaaìreraùo 1853-54, 1854-55. Presidente Ciitadellaì Vice -Presidente Turazza. De Zigko. (Fisica) Direttori di Sezione ) Spongia. (Medicina) N. N. (Matematiche) Nardi. (Filosofia e Lettere) Menin. (per le Scienze) Segretarj perpetui Agostini, (per le Lettere) Archivista e Bibliotecario Cittadelia-Vigodarzerb. Amministratore e Cassiere onorario Argekti. TTueutCri ozò'iuatl (permanenti nel numera di 28). Sezione di Fisica. i. Catullo. 5. Thevisan. 2. Menin. 6 3. VisiANi (de). 7 4. Zigno (de). Sezione di Medicina. i. Argenti. 5. Mogna. 2. Benvenisti. 6. Spongia. 3. CORiVELIANI. 7 4. Festler. (*) Veggasi Voi. I. Trim. l.» e 2.° del 1851-52, pag. 53. 54. 55. 122 Sezione di Matematica. ■ì. Bellavitis. 5. Trettenkro, 2. MnficH. 6 3. Santini. 7 4. TUHAZZA. Sezione di Filosofia e Lettere. A. Agostini. 5. Cittadella -Vi- 2. bonato. godarzerb. 3. Cavalli. 6. Nardi. 4. Cittadella. 7 N.B. Dunque il numero attuale 22, i posti vacanti 6 a tutto il primo semestre 1853-54. a) Come Socj onorar j: •1. Bianchi, Duca di Casalanza, Tenente -Maresciallo, Consigliere intimo di S. M. I. R. Ap. 2. Farina Monsignor Vescovo di Padova. 3. Fini, Barone, R. Delegato per la Prov. di Padova, b) Come Socj straordinari: 4. Bkrnati. 2. Biaggi. 3'; De Leva. 4. Luzzato. 5. Orsolato. e) Come Socj corrispondenti: i. Basso. 2. Berti. 3. bonturini. 4. Brugnolo. 5. Brusoni. 6. Parolari. 7. Raochetti. 8. Serafini. 9. Trivellato. iO, Zamhelli. 6. Calegari. 7. Coletti. 8. Dalla Torre. 9. Fabeni. IO. Facciq. 123 -11. Fanzago. 42. Fava. •13. FoRMENTISr. 14. foscahim. 15. Galvanf. à6. Globia. 17. Naccart. 18. Podrecca. 19. ScoPOLi. 20. ToLOMBt. 21. Zacco. <5l^uttut affé Je^ioui ^* ^"»c«- Di Medicina. Di Matematiche. i 1. TOSINI. 2. CojfCATO. 3 Di Filosofia e Lettere. 1 2 3 Bidello Smiderie Pietro. Inserviente N. N. IMDICE DE1L.LE IMilTERIE CONTENUTE NEL FASCICOLO PRIMO DEL J 853-54, QUINTO DELLA SERIE (Volume II) cittadella. Discorso di apertura dell'anno accademico nella sua qualità di nuovo Presidente Pag. 6 — Etimologia dei nomi, dai quali si chiamano alcune contrade di Padova » 9 Visiani (de). Di due piante insettifughe : Pyrelhrum roseum e P. ci- nerariaefolium ' » 25 Ragazzini» Analisi qualitativa della polvere del Crisantemo di Dalmazia » 36 Coletti. Dell'azione dell'arsenico sull'organismo vivente. . . » 39 Tortclla. Sopra un nuovo metodo di mondare le risaje ...» 42 — Osservazioni sopra le cause della malattia del carolo nel riso. » 116 Ghirondi. Della influenza perniciosa dello Spinosismo sulla socie- tà odierna » 50 ]\'ardi. Ricordi d' un viaggio in Oriente » 53 Cavalli. Sull'abolizione del Fensionatico e sulla pastorizia delle , Provincie venete » 72 Arsenti. Genesi, emigrazione, metamorfosi degli elminti nell'or- ganismo vivente » 83 Roncoui. Sull'origine deWo'idium Tuclierì )> 112 Cittadella •Yisodai'zcro. Osservazioni criticlie sulla introdu- zione alla storia degli Stati italiani di Enrico Leo, e specialmente sulla parte che ha per titolo Gl'/toliam » 116 APPETIfDICE, Libri offerti in dono all'Accademia. Pag. 4. 41. S2. 82. 115. 119. Rinnovamento delle cariche accad. pel biennio 1853-54, 1854-55. » 3 Avvertenze disciplinali per le sedute e letture » ivi Deliberazione del Consiglio accademico di pubblicare concorso ai posti vacanti di Membro ordinario » 24 Deliberazione dell'Accademia relativamente al nuovo metodo di mon- dare le risaje, comunicato dal veronese Tortella (V. piìi sopra) » 49 Avvertimento della Presidenza a preparare la pubblicazione del Vo- lume VII dei Nuovi Saggi dell'Accademia » 82 Nuove aggregazioni 82.115 Personale accademico in Padova a tutto il primo semestre 1853-54. » 121 VI. RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PADOTA Redattore, uno dei Membri Ordinarj della Sezione di Medicina, G. F. Sp oncia. Griuieitre tetw e o natio aef i8o5-S4. VOLUi>IE II. PADOVA PER F. A. SICCA E FIGLIO TIP0GR.1FI DELLA I. R. ACCADEMIA RIVISTA PERIODICA DEI LAVORI DELLA L R. ACCADEIIA DI SCIEKIZE, LETTERE ED ARTI DI PADOVA Redattore, uno dei Membri Ordinar] della Sezione di Medicina, G. F. Spongia. GriuicAtte tefio e auatio Def 1833 -S4. VOLIIIME II. PADOVA PER F. A. SIGCA E FIGLIO TIPOGRAFI DELLA I. R. ACCADEMIA Rivista periodica dei lavori deiri. a. Accade- mia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova. — Trimestre ferzo e quarto 1 853 - 54. Ricordi d'un viaggio in Oriente. — Scritto del Membro ordinario prof. ab. Nardi, letto nella Tornata 2 Aprile 1854. (Continuazione di al- tra lettura del 5 Febbrajo 1854. (Vedi pag. 53 usque 71). iJasciata la Valacchia, visitata Galacz, il nostro viaggia- tore va sempre accostandosi al Mar Nero • e noi qui dare- mo le ultime pagine del suo viaggio, incominciando dal punto in cui sta per abbandonare il gran fiume che a quel mare porta sue acque. Così diceva : Il fiume stesso, quel superbo Danubio, sì cristalli- no, sì vasto, sì veemente sotto Passavia, Vienna, Presburgo e Pest, qui non è più che un povero ca- nale di venti passi, d'acque giallastre e quasi sta- gnanti, ricinte da giunchi ed alghe infinite. Ad accre- scere la mestizia vedi tratto tratto dei navigli immo- bili per mancanza di vento, che in questi paraggi ora infuria, ora tace affatto. Sono obbligati a starsi sul- 128 ràncora talora uno o due mesi, finché spiri il soffio favorevole, e spirato quello che li porta fuor d'una tavola (si è così che i naviganti di colà chiamano i lunghi tronchi del fiume), non per questo sono sicuri di uscire dalla seguente, che piega ad altro rombo. Qual miseria che non vi sieno dei buoni rimoixhia- tori a vapore? è impossibile che non facessero buoni affari. Il capitano annunziò l'ultima tavola e il vicino mare. Erano le tre pomeridiane, il sole splendeva pu- rissimo, l'aria era tranquilla, e noi tutti sul ponte cercando cogli occhi la temuta foce. Corsi ancora venti minuti, ecco a destra il faro, e la piccola Buli- na, patria di pescatori e piloti ; a sinistra una bassa costruzione militare russa, più presto simile a tettoja che a caserma. Presso a quella, immobile il famoso curaporti di cui si è tanto mormorato, e in fondo l'azzurro e sconfinato orizzonte del mare. Una lancia a bandiera russa s'accosta al vapore, parla al capi- tano, riceve danari e carte, e ci grida nove piedi e mezzo. Noi non pescavamo più di otto e tre quarti, onde il capitano era senza timore. Pure dispone sul davanti del legno due scandagliatori con pertiche, affisa bene il filone della corrente, che colà torna ad essere assai forte, scambia alcune parole col pilota, poi comanda ai macchinisti: tutto vapore. Profondo silenzio di tutti, le sole ruote s'udivano remigare operose, presto fummo sul temuto banco ; gli scanda- gliatori gridano i numeri dei piedi: 14, 12, il, 10, 9...., un urto tremendo segue quasi all'istante. Noi 'J29 avevamo toccato il fondo, ma il legno subito si rileva ; tocca una seconda e una terza volta scivolando o scricchiolando sull'arena, mentre lo scandagliatore grida: 8.1/2- Quei signori della lancia o si erano o ci avevano ingannati, e noi corremmo rischio gravis- simo, il quale quanto fosse ce'l disse quel cimitero di navigli, che si stende per largo tratto su quella riva funesta. Alberi sporgenti dall'acque, chiglie rovescia- te, legni mezzo sepolti, ecco il lido di Sulinà. Ma lo scandagliatore grida di nuovo ì 2, poi va rapidamente crescendo a 20 e 30, e a 32 abbandona lo scandaglio, divenuto inutile. Il capitano corre a noi esultante, gridandoci : siamo fuori, siamo sicuri. E in vero noi già volavamo rapidi e senza tema sull'immensa su- perficie, piana come specchio, sotto un cielo purissi- mo. Io mi volsi a risguardare l'ultima volta il gran fiume compagno del mio viaggio, e vidi ciò che mi si era detto e avea letto, ma pur mi sorprese. Il Danubio ripigliando ad un tratto le antiche sue forze, quasi morir volesse da suo pari, entra in mare con gran possa, cosicché vedi le bionde sue acque correr den- tro il mare come in un letto, e il mare stesso infran- gere ai due lati della corrente le sue onde, come bat- tesse contro ferma parete. Ma la lotta è troppo dis- uguale, perchè abbia a durar troppo a lungo; oltre un miglio il mare riprende i suoi diritti, e cancella ogni traccia del fiume. L'acqua si fa del tutto salsa, azzur- rina e purissima. Il che mi chiamava a riflettere per- chè mai toccasse a questo mare il privilegio di esser chiamato il Nero. Gli antichi lo dissero Ponto Eusi- ^30 no, cioè mare felice. Con falso nome, scriveva il po- vero Ovidio : Dum me terrarum pars paene novissima Pontus EuxinuSj falso nomine, dictus habet. {Trist. Lib. III. Eleg. XIII.) Ma falso mi pareva pure il nome di Mar Nero, col quale lo chiamano i Russi (Czernoje More), i Turchi (Kara-Denis), i Neo-Greci (Wxvpo Qochxaaoc)^ e gli Europei di tutte le nazioni, poiché nulla ha di nero né l'acqua, né il cielo, né le sponde. Ragionandone al buon capitano: Oh ella, disse, non vide e non ve- drà, spero, mai questo mare nei mesi d'inverno o nei vicini. In quei mesi, ne' giorni in cui spira il Grivetz (Nord-Est), convien vedere che avvenga di quest'acqua sì piana, e di questo cielo si puro. Le nubi grigie, pesanti e grosse calano da un cielo di piombo, e avvolgono al mare; il mare furiosamente sommosso confonde le cupe onde con quelle nubi, per cui è tolta ogni vista e quasi ogni luce. E ciò mentre il freddo muta di repente in ghiaccio l'onda che spazza la tol- da, e rende intrattabili le gomene e le vele irrigidite. E ciò in un mare senza isole e quasi senza porti, né baje sicure, e con una sola angusta uscita, e questa resa dubbia da due incavature della costa, che prese in fallo darebbero il naufragio e la morte. No, non è a torto che chiamarono questo mare col nome di quella funebre tinta. Del resto i popoli, nel dare il nome ai mari, ama- rono servirsi dei colori. La Proponlide, detta Mar di Marmara dai posteriori Bizantini e poi da tutta Euro- ^31 pa, è chiamala Mar Bianco (Ak- Denis) dai Turchi e dai marini di Costantinopoli j nome che il resto d'Eu- ropa dà al noto seno del mar glaciale. D'onde il Golfo arabico si avesse il nome di Rosso, se dai coralli o dalle alghe, è dubbioso ; il nome ebreo di Suf accen- nerebbe a queste ultime. I Cinesi dissero lioang-hai, cioè mar giallo, quello che si addentra fra la Corea e la costa del celeste Impero, e riceve il grande hoang - ho, cioè il fiume giallo, il quale a delta de' viaggia- tori merita quel nome. I popoli germanici invece nel chiamare i loro mari, preferirono le regioni del cielo, onde dissero orientale (Ost-see) il Baltica, settentrio- nale (Nord-see) il Germanico, meridionale quel che s'addentra fra l' Olanda, e noi appelliamo Zuydersee. I Greco-latini con migliore diritto nominarono i mari dalle coste che bagnano, o dalle isole che circondano. Al cadere del giorno eravamo in faccia alla bocca di S. Giorgio, o Kedrilè-Boghasi, forse a 4 miglia dalla costa j pur tanta era la chiarezza del cielo e del mare, da scorgerne perfettamente i contorni. Pregai il capitano che si scandagliasse quel punto, e senza più me'l concesse. Fermata la macchina, e gettato il piombo, lo scandaglio misurò j20 passi. Poco stante gli ultimi raggi del sole sparirono dietro il Baba-dagh, e le stelle cominciarono a scintillare nel cielo e uel- 1 onda. Il cielo ed il mare, le due più grandi opere dell' Onnipotente, che sole danno al nostro povero pensiero un idea della sua infinità, stavano dinanzi a noi in tutta la loro immortale bellezza. Navigammo tutta notte tenendoci lontani dalla costa, che si fa 132 bassa ed insidiosa. Al mattino, prima ancora che il sole sorgesse, io era sul ponte avido di contemplare quello spettacolo, di cui la terra non ha il più subli- me. Però le mie speranze fallirono. Durante la notte la nebbia avea accerchiato l'orizzonte, e stava ancora su di esso quando il gran disco uscia dall'immensa superficie dell'acqua; onde mancò la magia dei colori, e quell'argenteo e moltiplicato scintillare del primo raggio sui vasti campi delle acque. Poco dopo invero levossi una brezza che dileguò la nebbia, ma il sole era già alto, e inondava il mondo della sua luce per- fetta. La brezza era a poppa, per cui sebbene -teorru- gasse notevolmente il mare, pur non sapevamo lagnar- cene. Ci riaccostammo alla terra, e le creste del Bal- kan presso il capo Eraineh si fecero sempre piiì spic- cate e precise. Alle ì 0 eravamo dinanzi a Varna ; ci furono con- cesse 4 ore per visitarla, ne veramente avevamo bi- sogno di tanto. Messe in mare le lancie, andammo a terra, non però facilmente, che le onde agitate dal vento, e ripercosse dalla vicina spiaggia, faceano del nostro caicco tale malgoverno, da provocare alte gri- da d'ajuto e miseri guai da due dame sassoni nostre compagne. Sbarcammo, e Varna fu presto visitata. La fortezza apparisce in buono stato ; essa è come l'acro- poli della città che la riciuge da più lati, ma la città è oltre ogni dire meschina. Non parliamo né di sel- ciato, nò di politezza ; di tali cose l' Oriente non vuol saperne, ma a Varna si può dire che manchi tutto, perfino un tollerabile albergo. Visitammo la casa del Ì33 Bassa, e poco lunge dalla porta ci abbattemmo nella sua guardia. A primo aspetto quella gente, colle loro quattro pistole e l'jatagan alla cintura, si sarebber presi per banditi delle Calabrie. Entrammo nel cortile, e una povera scala di legno ci condusse alla sala d'in- gresso, dove altro non c'era che l'impalcatura e II sof- fitto; poi a quella d'udienza, ornata del solito divano turco, e nuli' altro. Tornati nel cortile, ci additarono le carceri, e questa fu veramente la più orrenda cosa che io vedessi mai. Immaginatevi due tane o canili a pian terreno, umidi e bassi, con nessun' altra uscita o foro, tranne la porta a doppie spranghe di ferro, che metteva in un corridojo. Attraverso quella inferriata entrava l'aria ed il cibo, ma non la luce. Mentre guar- davamo per quei fori, ci si affacciò uno spettro con faccia nera, infossata e scarna, ed anelli di ferro ai piedi, alle mani e al collo. Uscimmo esterrefatti. No- tollo il dragomanno, e scusò quell'orrore dicendo che colui era un ribaldo famoso. Sia pure, soggiunsi; io riconosco la necessità di uccidere, ma non di tortu- rare. Quella vista mi tolse ogni desiderio di vedere altra cosa, e affrettai il mio ritorno al vapore, che salpò l'ancora verso le tre con passeggeri in parte cangiati. Proseguimmo, lasciando a destra Burgas e la sua baja, sinché presso al temuto capo, cui i navi- ganti diedero il nome del Diavolo (Saitan), prendem- mo il largo come volea la crescente oscurità, e navi- gammo tutta notte, onde trovarci all'alba alla punta del Bosforo. Al dì seguente il sole era appena uscito dall'onde, 'i34 che già tutti eravamo sulla tolda. « Quella terra che » ci si affaccia a prora qual è ? » — L'Asia, mi si ri- sponde. — Qual parola ! quali memorie ! Era dunque vero, io la vedeva dunque questa terra antica e sacra, questa patria dell'umanità, della civiltà, della religio- ne, in cui visse e morì Colui, le cui celesti origini non tolsero all'umanità il diritto di riguardarlo come il fiore più perfetto che mai uscisse dalla sua nobile pian- ta! — Quest'Oriente, quest'idolo de' miei sogni ca- reggiato sin dalla prima adolescenza, m'era dunque dinanzi! Nulla scorgeasi, tranne l'alta e nuda costa, ma quella costa incatenò lungamente il mio pensiero e il mio sguardo, sinché a distrarmi non suonarono le magiche voci : ecco il Boghaso. Boghaso è parola tur- ca, e vale imboccatui-a, ma principalmente quella del Bosforo, ed anzi il Bosforo stesso prende un tal no- me. Diffatti a destra lontan lontano vidi come una larga bocca di fiume, il quale però questa volta, an- ziché mettere in mare, ne usciva ; e dinanzi ad essa, quasi a segnale, gli scogli Cianci, che trasser nome o dalla moglie d' Eolo, di cui questo è veramente il do- minio, o meglio forse dal colore azzurro di cui li tin- ge l'onda che eternamente li flagella. A manca navi- gavano a varie distanze alcuni legni spieganti alla brezza del mattino le tumide vele, e tutti convergeano verso l'unica uscita. Quando fummo alla bocca, il sole sfolgorava in tutta la sua orientale bellezza. Eccoci in mezzo ai due fanali d' Europa e d'Asia, così sospirali insieme e temuti dai naviganti j ecco il Bosforo, il fa- moso fiume che unisce i due gran mari d'Europa, il J35 suo oriente e il suo occidente. Dissi fiume, perchè tale lo figurano la rapida corrente e la corrispondenza nelle sinuosità delle due rive, delle quali dove l'una s'avanza ad arco, Taltra s'addentra a seno. Forse in tempi anteriori alla storia, Asia ed Europa al Bosforo e ai Dardanelli erano unite, e una di quelle formida- bili rivoluzioni, che mutarono tante volte l'aspetto del nostro pianeta, le distaccò. E qui vi aspetterete la minuta descrizione di questi luoghi, di cui la terra non ha gli eguali, ma questa è impresa da la- sciarsi all'autore del Pellegrinaggio del figliuolo di Araldo, non a chi deve rintuzzare assiduamente e se- veramente la fantasia in istudj severi. Però sia pure ispirata la penna che tenta slmile pittura, essa non raggiungerà mai la verità, essa non produrrà mai nel- l'animo che una pallida immagine del vero. Dalla tol- da del legno il mio sguardo, lo sguardo di lutti, per- fino degl'immobili Orientali, volava da questa a quel- la sponda, dolendosi che il gagliardo Nord-Est, la corrente e le operose ruote ci togliessero così presto a quell'incantesimo. Da principio le due rive sono irte, selvose e deserte, e dubiti ingannata l'aspettazio- ne. Ma là dove il canale comincia a stringersi, presso l'antico castello dei Genovesi, e i due presenti castelli o Kavak di Romelia e di Anatolia, la scena si fa ad un tratto stupenda. Le falde di quei colli si ritirano alquanto e addolciscono, coprendosi di lauri e cipressi infiniti, tra cui sporge quando il kiosko elegante e leggero, quando una piccola meschita co' suoi minare- ti, o case europee co' loro giardini, e tutto questo va- 136 riato assMuaraente, graziosamente da un scendere e salire continuo di bellissimi poggi bagnati dalle onde cristalline d'un mare purissimo, e illuminati da un cielo scintillante. Il centro di questo gran panorama, là dove le più rare bellezze si accentrano, è il seno di Bujukderé e Terapia. Quanto va l'occhio tutta quella divina costiera è un immenso giardino terminato pres- so le sponde da lunga fila di case, ove il Corpo diplo- matico e i ricchi di Pera e Galata passano i mesi estivi e autunnali. Aà accrescere la grandezza, colà e nella opposta baja di Beikos, stavano allora in sul- l'ancore in bell'ordine 1 vascelli e le fregate della flotta ottomana, ad alcune delle quali era quest'anno serbata nel porto di Sinòpe la crudele catastrofe. La costruzione mi parve bellissima e affatto simile all'in- glese, e infatti il costruttore è l' Inglese Slade. Sotto Beikos è a destra l'elegante Jenikòi, cioè novello vil- laggio, poi la piccola baja di S tenia, e il borgo dì Balta-Liman, ove nel 1 849 conchiudeasi tra la Russia e la Porta un trattato riguardo a quei Principati danu- biani, sui quali da un secolo volge un cupido sguardo Pietroburgo. Ma in Balta-Liman lasciavansl pur sem- pre alla Porta il tributo, gli ajuti in guerra, la con- ferma del Principe, e la frontiera al Pruth. — Sotto Balta-Liman il canale si stringe così, che in qualche svolta par chiuso. In quella stretta sorgono alle due opposte falde due altri castelli (Bissar), detti pur essi d'Anatolia e di Romelia. Questi e i primi verso il ca- nale sono in ottimo stato, con batterie a fior d'acqua, protette da fortissime muraglie, torri e bastioni. Ma I 137 non sembrano egualmente sicuri dal lato di terra, e tornato un'altra volta, potei riconoscerlo Io stesso nel castello d'Anatolia, che verso [il monte m'apparve sguernito, e dominato da sovrastanti alture. Questi se- condi castelli sono come le porte proprie dell' Orien- te. Esso finora m'era comparso a tratti e come inter- rotto, or veniva solo e puro. Ecco sulle coste d'Euro- pa il grazioso Bebék, e dirimpetto in Asia il pittore- sco Kandili colle sue case di legno, di stile svelto mo- resco, colle finestre coperte da severe persiane, perchè lo sguardo del passeggiero non penetri i mistein degli aremmi, colle sue rive lunghesso il canale, in cui già scorgi gli uomini e le donne d'Oriente, quelli nei lo- ro ampj paludamenti e faccia maestosa, queste, se tur- che, ravvolte nelle lor tuniche e veli, non sempre del lutto avari, se greche, libere il volto, ornate il busto del corsaletto d'azzurro e d'oro, ornate la testa del pittoresco berretto, quella bellissima testa che porta- no così superbamente eretta, come le cariatidi del- l'Erettéo nell'Acropoli d'Atene. Le acque stesse già cominciano ad avvivarsi da gran truppe di bianchi gabbiani che qui nuotano più spesso che non volino, e dai leggieri caicchi che scivolano per ogni verso ra- pidamente sull'onda. Poi il Bosforo di nuovo si allar- ga, i villaggi si fanno continui, le case coronano tutte le sponde ; vedi a destra Ortakloi col suo convento di Dervis danzanti, poi Ceragan presente reggia del Sultano, poi il magnifico Dolma-Baciè sua reggia fu- tura, e in faccia ad essi il gentil Beglier-Beg, ove il principe si ripara nei calori estivi ; poi un pelago di Ì38 cascj di rainaretij di cupole, di moschee, di lauri, di cipressi in un immenso semicerchio sfolgorante d'ar- monia, di varietà, di bellezza. E la capitale, è Co- stantinopoli. L'undici Maggio del 330 dell'era nostra corapivasi su questo lido un grande avvenimento. La tracica Bi- sanzio, che occupava a un dipresso il sito del moderno serraglio, cioè il vertice ottuso del gran triangolo che sta fra il Corno d'oro e la Propontide, la piccola Bisanzio di Tracia, nota solo pe' commercj, pe' quali questo lido è creato, venia solennemente consacrata co' riti cristiani a capitale del novello Impero, e mu- tava l'antico nome in quello del fondatore. Qual era il disegno di Costantino ? Perchè volle tórre al trono dei Cesari la maestà del nome romano, e piantarlo su questa barbarica riva? I Romani aveano parteggiato pel suo nemico Massenzio, dicono alcuni, e Costantino non era uomo da perdonarla in fatto di politica. Co- stantino volea far cristiano l' Impero, dicono altri, e Roma in gran parte conservava tenacemente le antiche superstizioni. Costantino volea riformare gli ordini dello Stato profondamente corrotti, soggiungono i ter- zi, e il centro della corruzione e della resistenza alle riforme era Roma; a novello Impero, novella capitale. Io sto con quelli che in Costantino vedono sopra tutto il gran capitano. Vinto Licinio, egli non avea più ne- mici in tutto r immenso Impero, ma le frontiere n'era- no assediate, e tra queste più le orientali, alle quali s'affoltavano minacciosi i più formidabili dei barbari, i Goti. Come Pietro figlio d'Alessio 1 4 secoli dopo va 139 a piantare la sua novella città in fondo al golfo di Fin- landia, a pochi passi da quella Svezia da cui allora temeansi 1 maggiori danni, così Costantino va presso al Danubio e all' Eusino a porsi quasi all'avanguardia de' suoi popoli. Ma qualunque fosse la causa di questo gran fatto, esso è un di quelli che segnano un'orma profonda e quasi eterna negli annali del mondo. Diede all'Oriente una capitale che cominciò subito a rivaleggiare con quella d'Occidente, originando il primo seme della grande scissura; tolse a Italia il primato politico, ma forse con ciò stesso le accrebbe il religioso e morale ; uccise il paganesimo, e fece piena la vittoria del Van- gelo; chiuse l'antica storia, e aperse la moderna. Però queste riflessioni si fanno nel silenzio degli studj, non quando la catena dell'ancora si svolge stridendo dal cassero, onde afferrare a quel lido. In que' pri- mi e non dimenticabili istanti l'occhio e il pensiero sono soprafatti e quasi oppressi dall'indicibile bel- lezza, e solo grado grado l'ammirazione si tranquil- la così da lasciar discernere le sìngole parti del gran quadro. Tenterò di darvene un'idea. Imaginate di es- ser meco sulla tolda del legno già fermo colla prora ri- volta a occidente. Dinanzi a voi un po' a manca è la foce di quel gran fiume che sinora percorreste, cioè la vasta apertura per cui il Bosforo mette nella Propon- tide ; un perpetuo incrociar di vapori e di vele ch'en- trano ed escono la solca per ogni verso. A sinistra è l'Asia, sul cui estremo lido stanno Scutari sulle ro- vine di Crisopoli, Kadikòi su quello di Calcedone. 140 Quella Scutari è stupenda ! Dietro le sue case e me- sciute che coronano la spiaggia comincia la famosa fo- resta di pini e cipressi del gran cimitero. Religione ed usanza vogliono che il Musulmano adorni la sua tomba d'un pino, d'un cipresso, o d'un lauro ; ad altri cre- denti altre piante. Onde ogni cimitero turco è una bella selva, che sotto quel beato clima presto cresce ed in- folta; ma fra tutte bellissima è quella di Scutari, per- chè i Maomettani della gran capitale preferiscono che le loro ossa riposino sull'opposto lido di Scutari, te- mendo che sì avveri un giorno l' antica funesta tradi- zione, e il ghiaurro tornato padrone di Stambul, cal- pesti il loro sepolcro. La foresta di Scutari sale ad an- fiteatro su per la china del colle de' Bulgari, cui via vìa s'attaccano quelli dì Anatolia, sinché l'ultimo oc- cidente è chiuso dal monti dì Brussa. Al lato destro eccovi l'immensa Costantinopoli colle sue infinite ca- se, kioski, boschetti, torri, bazzari e moschee sparsi sul dorso dì piìi colli continui^ svariati e bellissimi. Il tutto ha forma d'un gran triangolo, la cui base è verso Europa, i fianchi bagnati l' uno dalla Proponti- de, r altro dal Corno d' oro, il vertice graziosamente rigonfio e ricurvo verso Sud -Est. Tutto quel vertice e parte del centro era l' antica Bisanzio, ed ora è il Serraglio. Quell'ampio ricinto, colle sue rimembranze di voluttà e di sangue, di despotia e ribellione, vi sta tutto dinanzi, e voi ne scorgete le torri, le mura, i palagi, i giardini, e precorrete col desiderio il mo- mento in cui vi sarà dato di penetrarvi. Presso le mu- ra di quella vasta cittadella, ma fuori di essa, vedete 14) due grandi moschee; una è rAchmetjè, che deve no- me ed origine all'infelice sultano Achmet; l'altra, senza paragone più elevata e magnifica, è il più bel fiore dell' Oriente, il primo orgoglio del popolo che la possiede, il primo sospiro d' un altro popolo cui appartenne, ed agogna riprenderla. Il suo nome com- pendia le glorie e le sventure, le virtù e i delitti di Costantinopoli, la fede animosa di Teodosio e Giusti- niano, il superbo scisma di Fozio e Cerulario, e la diuturna e perseverante profanazione del secondo Maometto. Il suo nome è S. Sofia. L'osmanli come il greco, r orientale come il franco, sia che vengano dalla Propontide o dall' Eusino, la prima cosa che cer- cano cogli occhi in quel labirinto è la sua cupola, coronata dai sei minareti; tutto il resto della gran città è come non fosse. Ed io pure era là affascinato, rapito, guardando e meditando su quell' edificio, di cui per avventura nessun altro è più eloquente sulla terra. Poi l'occhio sveltosi a fatica di colà, vide altre moschee, tra cui distingueasi per eleganza di forme la jeni giamì, cioè moschea novella, che si specchia nelle acque del Corno d'oro, per maestà di grandiosa costruzione la Suleimaniè, eretta da Solimano il ma- gnifico sulla più alta vetta de' colli, che coronano la capitale, che tutta è da lei superbamente dominata. Ma queste due e le altre moltissime sono languida iraa- gine di queir unica S. Sofia , cui l' occhio, il pensie- ro e r affetto involontariamente ritornano. AlF ultimo settentrione, presso la base del trilatero, stanno la moschea d'Ejub, ove al novello Monarca è ricinla la 10 142 spada (lì Otmano, poiché giurò sul libro santo di pro- teggere la fede, quindi il lungo e misero Fauàr, tri- ste soggiorno degli spodestati padt-oni di questa terra, che della loro povertà si consolano con le antiche tradi- zioni e le novelle speranze. Colà è la cliiesa patriarca- le ch'eresse la sua croce contro quella di Pioma, onde la vide soverchiata dalla mezzalima a Costantinopoli, e oppressa dalla corona a Pietroburgo. Poco lungi, ma dall'altro lato, cioè sulla Propontlde, è il castello delle sette torri, di luttuose rimembranze. Volgendovi affatto a diritta, eccovi il più bello, il più sicuro, il più vasto porto del mondo, il famoso Corno d^oro, gran bacino che dal Bosforo s'interna lungamente fra terra. La sua forma oblunga e ricurva gli valse il pri- mo nome, la sua mirabile bellezza e utilità il secondo. Colà è una selva di navi d'ogni bandiera e d'ogni for- ma dall'enorme tre-ponti turco all'umile brigantino greco, e a traverso quella selva serpeggiano e guiz- zano graziosi, rapidi e leggieri stormi di caicchi, sen- za urtar mai nel legni, schivando quel continuo e pe- riglioso incrociar di vapori, e schivandosi tra lorOj e pur trasvolando velocissimi, simili a que' gabbiani che pur essi col loro gajo svolazzare e nuotare crescono l' incanto di quell'onda cristallina. Quel lungo braccio è traversato da due lunghi ponti, i quali dalla città mettono ai sobborghi. Di questi il primo e più bas- so presso l'acqua è Calata, l'antica genovese Calata, ove la regina del mar ligure leuea i suoi fondachi, quasi deposito intermedio fra la Crimea e l'Italia. So- pra essa lungo la costa e sulla cima del colle è Pera, U3 la veneta Pera, ove l'altra gloriosa Repubblica avea commerci, ricchezze e autorità, che dalla conquista di Dandolo durarono sino alla sua caduta. Ora Galata non è più genovese, ma greca, armena e turca ; Pera non è più veneta, ma un convegno delle più dispa- rate nazioni d'Oriente e d'Occidente, perchè ai Gre- ci, Armeni e Turchi qui si unirono Italiani, Fran- cesi, Tedeschi, Inglesi e Russi, tutti co' loro costu- mi, religioni, leggi, commercj, consolati, legazioni, i cui palagi si diffondono sulla china di quel colle, anzi di quella catena di colli. — Sulla più alta vetta spor- ge e sovrasta un edificio superbo, adorno la fronte di gran colonnata senza novità di stile, ma non senza gran- dezza. Chiesi di chi fosse ; è la legazione di Russia, mi si rispose, e trovai che l'aquila di Rurik non avea scelto male il suo nido. Poi lauri, cipressi e pini del gran campo di Pera, e costiere di olivi e mirti nei cento giardini, e altri kioski, e palagi e mesciute, che via via si spargono sino a che l'occhio discerne. Ma ecco un nugolo di doganieri, dragomanni, lo- candieri, facchini, battellieri richiamarmi alle cure di questa misera vita. Però i doganieri turchi sono buo- na gente, e intendono ragione ; non sono né esigenti, né inespugnabili, onde presto tutto è spicciato, e la barca mi tragitta dal vapore all'approdo di Top-hanà, da cui si sale a Pera. Impaziente di mettere il piede in quel paradiso, discendo, cammino, guardo; ed ahi vista! ahi conoscenza! com'è diverso dal mondo del- la fantasia quello della realtà! o^Q@g^o 144 Sunto poetico d' Isaia. — Scritto del Membro or- dinario. Presidente, Co. Cittadella, letto nella Tornata 30 Aprile ì 854. a 'gei mi viene doppia guarentigia della vostra be- nevolenza, o Signori, e dallo sperimento che più volte ne feci, e dal preseutarmivi dinanzi adempiendo le parti di chi per assenza non può tenervi lettura. Non è gran tempo che all' I. R. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti in Venezia io proponeva la compila- zione d'una Crestomazia biblica pe' giovani che in- tendono allo studio delle lettere, significando i modi da me stimati acconci a ridurre in atto il divisamen- to. Mi furono dati allora da qualcheduno conforti a recare in mezzo una pi'ova della fatta proposta ; ai quali di buon grado aderendo, tolsi a scegliere dai varj libri dell' inspirato Volume alcuni più notevoli tratti, per voltarli poscia in prosa italiana. Se non che mentre io dava mano allo scernimento, eccomi sotto agli occhi i profeti, dalle cui sovrane bellezze allettato, pensai d' intermettere per poco l' opera co- minciata, e restrlgnere a soli questi la mia attenzio- ne, indirizzandola ad altro fine. Pertanto da ciasche- duno dei quattro profeti maggiori, e da qualche al- tro, mi posi in animo di ritrarre il fiore di que'loro pensieri e di que'loro sentimenti, per modo che ne uscissero altrettanti componimenti, ognuno de' quali U5 per la ragione delle idee e per la differenza del me- tro rispondesse alla impronta letteraria di ciascuno fra i prescelti profeti, e ne porgesse la significanza. Scopo codesto differente da quello cui mirano alcuni, traducendo poeticamente o per intero od in parte i libri biblici. Se il così fatto mio intendimento possa aversi per buono, e se Io valga a porlo degnamente in esecuzione, io no'l so dire di fermo; ed è perciò che a Voi mi rivolgo, leggendovi un saggio della mia fatica innanzi di più procedere, affinchè dal vostro giudizio siami dato argomento a smetterla o a con- tinuarla. Mi limiterò a dirvi alcuni dei versi sciolti che ri- sguardano le profezie d'Isaia. Ma prima di porre le dita profane sulle corde dell' arpa tanto vivacemente toccate dal figliuolo di Amos, permettetemi ch'io vi metta dinanzi qualche breve considerazione in proposito del nominato pro- feta. Dotto egli nelle scienze naturali, nella morale e nella teologica, veemente ne' suoi trasportaraenti, ric- co di figure, ornato, fiorito, vario, adegua sempre il suo dire alla dignità del subbielto. I politici rivolgi- menti di un popolo, invasioni e sconfitte, le calamità di una intera nazione, il flagello del servaggio, i con- forti della sua redenzione civile, rampogne e minac- ele, miserie e pompe, lutti e bagordi, il creato e la eternità, ecco gli spazj sui quali splendidamente gran- deggia il principe dei profeti, lasciando vasta orma di esempio alla parola dell' oratore, alla tromba e alla lira dell' estasiato poeta. U6 In mezzo per altro a questa tanta abbondanza, uti- lissima a chi voglia sparsamente e giusta le occasioni farne suo prò, interviene una qualche malagevolezza a colui che i varj e separati colori d'Isaia si studii di unire insieme e con proporzione impastare, perchè ne spicchi il ritratto del grande autore. Conciossiachè il canto di lui si riferisca ad avvenimenti che succes- sero sotto i tre regni di Joathan, di Achaz e di Eze- chia; onde vi leggi reiterate o invettive contro le colpe degli Ebrei^ e minaccio dei castighi che li do- vevano travagliare, e promesse di tempi migliori; opre- dizioni di calamità ai popoli che contristarono gli Ebrei. Per la qual cosa l'ordine cronologico, a chi volesse seguirlo nel colorar quella tela che oggi in parte vi mostro, indurrebbe facile e troppo ricorrente ripetizione di tinte. Ad evitare la quale guardai dirit- tamente l'oggetto precipuo che si propose Isaia, cioè la cattività degli Ebrei e la loro liberazione; cattività e liberazione figurative della caduta dell' uman gene- re, e della posteriore solenne riscossa. Che poi fosse mestieri di porre diligenza a bene stabilire l' ordine da seguirsi nello sbozzare ed incar- nare questa specie di poetica effigie del grande Veg- gente, lo provano gli errori stessi d' interpretazione, originati dalle false correlazioni, con che per alcuni si vollero unire le molte e disgiunte membra delle sue profezie ; membra che uopo era considerare nelle attenenze loro, perchè anciie nei rispetti letterarj ne dovesse uscire per sunto unità di discorso. Ad agevolare la intelligenza di questo mio saggio M7 presi le mosse di là dove il profeta a filo e per dirit- to accenua a Cristo, e ci parla parole come uscite dalla bocca del Redentore, e significatrici della sua alta missione. Eccole : UditCj isole e terre. Iddio dal grembo Mi chiamò di mia madre. Ei la parola Quasi brando mi die', la man distese. Ed all' ombra ne crebbi ; eletta freccia Nella faretra mi ripose a serbo. Vani stenti io durai: raddurgli indarno Volli Israello; « e, A te scarsa opra, Ei disse, Trarmì la prole di Giacobbe: a tutte Genti io luce ti scelsi, e fino agli orli Ultimi della terra a ognun salvezza. » De' mortali al più abbietto Ei così parla, Dei dominanti al servo, a cui dinanzi Chineran poi la fronte e grandi e regi. E mi arrise d' aita, e pacier femmi Tra r uman ceppo e Lui. E qui comincia Isaia a lamentai'é i trascorsi del popolo ebreo, abbandonatosi alla idolatria ed alla pro- stituzione ancbe per colpa de' suoi sacerdoti, cbe, for- viando dalla santità del proprio ministero, davano gli esempi de' biasimevoli diportamenti. La forza briosa de' concetti e delle similitudini è sempre la principale impronta di che si foggia lo stile del nostro profeta, il quale, mentre guidato dalla piena conoscenza del suo tempo e de' suoi nazionali sa con sottile indagine appuntarne le male tendenze e le prave consuetudini, con altrettanto vigore di fantasia queste tendenze e 148 queste consuetudini rileva cosi, e spesso direi quasi rimonda e deterge, da presentartele innanzi purgate dalla schifosità loro, senza clie perciò ne venga sce- mamente alla loro enormezza. Chiariti i quali disordini, si fa Isaia a dipingere la conseguente collera di Dio e la infelicità di Geru- salemme, sclamando : Folli e audaci che foste ! Ecco il Signore ; Sdegno è il suo labbro, la sua lingua è foco, L' alito suo quasi fiumana irrompe Disdegnosa di sponde. Ei dalla scossa Mano grandinerà ronchiose selci, E inorriditi i rei cercheran schermo ]Vegli antri scuri e nelle atre làtèbre Della trepida terra. Ov' è il superbo, L' inghirlandato del fragile serto, Che sperde un soffio? Non resiste a Dio Cedro o quercia di Basan, ne le vette. Né le torri più alte, e non di Tarso Le navi immani: la giustizia ultrice È a Lui pallio, a Lui vesta, elmo e corazza j Ei colla sanguinente aguzza punta Del ferro suo conta i nemici, e incede Su quadriga di fiamme incoronata, Sonante quasi mar fa per tempesta. Su te romba quel tuon, Solima ingrata; Su te corruscan quelle fiamme. Invano Per le tue vie cerco i tuoi prodi e i saggi; Che i lascivi e gP imbelli a posta loro Reggon tue sorti. Il popolo tracorre Forsennato a rumor; fratelli e amici Si sconoscono a mula ; il giovanetto Minaccia al veglio, e imbaldanzir non teme U9 Contro i grandi la ciurma. Eri la vite Per grappoli festante, ed or sei fatta Lambrusca acerba; ogni tua siepe e guardia Svelse e strusse una marra, e non è mano Che ti mondi e carezzi, e senza bacio Di amica guazza fra le spine e il cardo Sterilisci calpesta. Seguono ora i castighi, la schiavitù, e d'ogni fatta disastri, pennelleggiati con agilità di pensiero, con varietà di figure, con mirabile vicenda di terribilità e di miserie. Vicenda tanto meglio spiccata dall'arte d'Isaia nel segnare nettamen,le i contorni d'ogni con- cetto e d'ogni sua gradazione, non che dalla forma usata nella poesia degli Ebrei, cioè dal parallelismo, eh' è la successione delle idee e del ritmico movimen- to, non di sole sillabe e di parole, ma d'imagiui e di sentimenti in libera simmetria: maniera poetica assai più splendida della rima e del ritmo. Cosi canta il profeta : Terra misera e infetta ì Ove de' sistri E delle cetre l'armonia; de' balli, De' canti il gaudio ? Derelitta e muta, Simiglia olivo vendemmiato, a cui Poche lasciò 1' obblio gracili bacche. Chiusa ogni porta, non è piede eh' entri Quelle lugubri case : ai fuggitivi È ricetto la tomba; e qual ne scampa. Ne' lacci offende, o freme al par dì flutto Che dal commosso pelago alla sponda Fra la melma vi frange, Pe' tremuoti Tentenna la città, sì come d' oste / 150 Mobil tenda notturna; intorno intorno La cinge un vallo, e munimenti e torri D' ogni banda la fasciano : atterriti Ne piangono ì rinchiusi, e danno lai Come uscenti dal fondo imo del suolo, Come suon cupo di bugiarda maga Dalle viscere tratto. Alfin, squassando L' armi temute, il baldanzoso irrompe Nemico stuol, corre le vie, sitisce Sangue giudeo. Dov' è quel tempio augusto Che degli avi la prece un giorno accolse? Lo divoran le fiamme. A terra stesi Giacciono po'* quadrivi e gittan puzzo Gli ammontati cadaveri; per tutto Tabe e sangue discorre, e sangue e tabe Vedrai gemer le stelle, eterea schiera, Qual papiro ravvolversi le sfere, E spiccarsene gli astri: alla campagna Irci ed agnelli, ed unicorni e tauri Sgozzar la spada dell' Eterno ; e pece Trar bollendo i torrenti, e pece e zolfo, Gruppi di fiamme e liquefatti sassi Vomire il suol fra vorticosi globi Di acerbo fumo. Il pellicano e V ibi Possederau quella romita landa, Covo ai mostri, agli spettri, alle paure. Le costernata città mette gemiti di pentimento, che, avvalorati dalla larga misura dei sofferti flagelli, le valgono il perdono di Dio. Rompe allora la indi- gnazione di lui contro i nemici di Solima, i quali, troppo abusando la prospera sorte delle armi e pas- sando ogni termine nel tribolare Israello, si attirano ÌÒÌ la vendetta divina. E qui pure sollevasi spaventosa la voce del sacro poeta, per poi mutarsi in festevole e confortatrice, quando rivolto alla francata Sionne le va dicendo : A larghi fini il volo Correrà del tuo sguardo: avrai d'intorno Vigile cinta di affossate rocche 5 E a te copia di messi, a te fedele De' colligiani rivoli il tributo, E il tributo de' fiumi onusti e alteri Di stranie merci. I pria negletti campi La maestà del Libano, la gloria Vestiran del Carmelo; ov' era il drago Verdeggierà la canna e il giunco, e lunge N'andrà il leone. Di zaffiro i tuoi Ti rifondan le mura, e son diaspro Le tue porte, i tuoi spaldi, e nuove genti Popolan le tue vie; gli ospiti tanti, Quasi pompa di vesti, a te saranno Ornamento e splendor siccome a sposa. Le solitudin tue scarse alla folta Densissima vedrai. i cimonio della religione. La parte oppressa sarà tac- )) ciala di colpa dall'avverso grido, secondo il coslu- )) me; ma la vendetta, che colpirà i malvagi, sarà te- » slimouianza del vero che rende giustizia. Tu lascie- )) rai ogni cosa più diletta ; e questo è il primo degli » strali saettati dall'arco dell'esiglio. Proverai quanto H è asperso di sale il pane altrui, e quanto è duro )) cammino lo scendere ed il salire per le altrui scale. » E ciò che maggiormente verrà ad aggravarti sarà la » malvagia ed insensata compagnia colla quale tu ca- » drai nella valle dell'esiglio, che tutta ingrata, tulta )) demente ed empia si volgerà contro di te ; ma ben » presto ella, non Ir, ne avrà sanguinosa la tempia. Il )> suo procedimento sarà la prova di sua stoltezza, sì » che a te sarà onorevole e bello l'esserti separato da » qualunque partito. Il primo tuo rifugio ed il primo » ricovero sarà la cortesia di quel grande Lombardo, » che porta sopra la scala l'aquila del santo Impero; > il quale avrà verso di te sì benigno riguardo, che " del fare e del chiedere sarà primo fra voi due quello »> «he fra gli altri è più lardo. Con esso vedrai colui » (Can grande ) che al suo nascere fu Improntato sì » forlcmente da qiipsta stella di Marte, che saranno 214 )) notabili le sue imprese. Le genti non se ne accor- » sero ancora per la novella età sua, perocché queste » ruote celesti si aggirarono intorno a lui pe'l corso di )) soli nove anni. Ma prima che il Guascone inganni il )) nobile Arrigo si manifesteranno le prime scintille » della sua virtù nel non curare d'argento, né di tra- » vagli. Le sue magnificenze saranno pure sì note, che » i suoi nemici medesimi non potranno tacerle. A lui » ti riporta ed a' suoi beneficj. Per lui molta gente » sarà trasmutata , cambiando ricchi e mendici di » condizione. E di lui porterai scritte nella tua men- » tele cose ch'io sono per narrarti in secreto; ma » tu non le rivelerai, poiché sono incredibili a chi )) ne sarà spettatore, n Poscia lo stesso Cacciaguida cosi prosegue : M Figlio, sono queste le spiegazioni di quello che n altrove ti fu detto : ecco le insidie che sono celate » dietro a pochi giri di cielo. Non voglio però che tu » porti invidia a' tuoi vicini, posciachè la tua vita si « protrarrà sulla terra pili che la punizione delle » loro perfidie. » Avendo cosi Cacciaguida messo la trama all'ordi- tura della tela che Dante gli porse, questi gli chiede consiglio, come a persona veggente, retta ed amoro- sa, nel timore de' pericoli a cui si espone pe'l divisa- mente di riferire ad istruzione delle genti le cose di se vedute ed udite nella sua mistica peregrinazione » Ben veggo, o mio padre, come il tempo s'affreita » a darmi tal colpo, eh' è più grave a chi oppone ni- » nore fermezza. Per lo che giova ch'io m'armi di 2)5 » provedenza, sicché se m'è tolto il ricetto più caro, » io non perdessi anco gli altri a cagione de' miei ver- » si. Già pel raoìido infernale eternamente amaro, e I) pe'l monte dalla cui cima mi levarono gli occhi della » mia donna (fissi ne' miei), indi pe'l cielo dall'uno al- )) r altro pianeta, ho io appreso tai cose, che s' io le )) ripeto, saranno a molti sapore di forte agrume j e )) d'altra parte, s' io sono timido amico del vero, temo )) di non sopravivere presso coloro che chiameranno » antico il tempo presente. » E Cacciaguida dilegua i timori od i duhb] dello AUighieri con la seguente risposta, altamente signi- ficativa : « Solo una coscienza turbata dalla propria o dal- )) la vergogna altrui troverà acerba la tua parola. Ma » nondimeno, rimossa ogni menzogna, fa manifesta » tutta la tua visione, e lascia che gì' infetti di scab* » bia procurino colle ugne di mitigarne gli stiraoli. » Che se il cibo recato dalla tua voce sax-à pesante nel » primo gusto, lascerà poi nutrimento vitale quando » sarà digerito. Il tuo grido sarà come vento, che più » fortemente percuote le più alte cime; e ciò non sarà » per te poco argomento d'onore. Per questo ti sono » mostrate nelle sfere celesti, nel monte dell'espiazio- » ne e nella valle dolorosa dei dannati le sole anime » più note per fama ; perocché l'animo umano non si )) arrende né presta fede all'ammonizione per mezzo » d'esempio che abbia la sua radice incognita e na- » scosta, nò per altro argomento che non sia appa- )) risccntc. » 216 Tralascio ogni osservazione su questo importante luogo della Divina Commedia, polche vi si accennano così manifestamente i molivi, e sopratutto l' intendi- mento e lo scopo del poema, che tornerebbe superfluo l'insistere su tale argomento con particolari riflessioni. x\llorchè si conoscono le cagioni od i sentimenti che indussero Dante a creare il suo poema, e che gli dettarono il vasto soggetto ; allorché di più si ravvi- sa e convenientemente si apprezza l'indole de' mezzi adoperati dall'autore nella composizione del poema ; ed infine si riconosce l'alto proponimento e lo scopo cui mira la Divina Commedia ; si può dire di com- prenderne la ragione e di abbracciarne la sintesi. Le mie considerazioni tendono a stabilire che le cagioni del poema furono l' ingiusta condanna deirAllighieri, ed il suo desiderio di smentire l'accusa, di elevarsi alla maggiore altezza colla rinomanza, e di sanare le piaghe della sua patria. L' intendimento e lo scopo venne da me definito con una formula che ne riassu- me anco le cagioni ed 11 mezzo, e suona : redinte- GRAZIOUE MORALE DELl'aUTORE, ED INSEGNAMENTO AT- TO A RIGENERARE IL CIVILE CONSORZIO. Per ciò che riguarda i mezzi dell' opera mi basti avvertire e ripetere che sono frequentemente simboli- ci, e molto più che non sembri a primo tratto; cosic- ché anche quest'avvertenza non è mai da dimenticar- si nella lettura del poema, come ne accerta il Convito di Dante medesimo. Mi giova dichiarare a questo luo- go, che parecchie considerazioni da me institulte pos- 2J7 sono forse e di certo essere slate già espresse parti- tamente e disgiuntamente da tanti scrittori che si oc- cuparono della Divina Commedia ; ma non mi è noto che queste diverse idee sieno state finora congiunte in un solo sistema. Se le considerazioni da me esposte a questa illustre Accademia sono fondate sul vero, mi lusingo che po- tranno contribuire alla giusta intelligenza non solo della sintesi del poema, ma in particolare di molti passi che non ebbero ancora una conveniente interpretazio- ne. Per offrirne un saggio mi proposi di dichiarare il senso morale dei due Canti VII. ed Vili, della secon- da Cantica, non mai finora additato, e che pur dev'es- sere agevolmente compreso, secondo l'avviso che ne diede l'Allighieri scrivendo: Aguzza ben, lettor, qui gli occhi al vero; Che 'Z velo è ora ben tanto sottile, Certo che 'Z trapassar dentro è leggero. Cosi almeno opinavano gli antichi commentatori. Ma i moderni, dopo il Velliitello, costrinsero questi versi ad esprimere un avviso opposto, pensando che se il senso occulto fosse agevole a comprendersi, non sa- rebbe rimasto ignoto fino al presente. Ora il significa- to morale di que'due Canti è veramente agevole a di- cifrarsi, solo che si badi alla ragione del poema, de- finita ed intesa nel modo da me proposto. Allora si 2J8 scopre che l'argomento del Canto VII. non è retta- mente indicato dai commentatori nel titolo del Canto medesimo, e si comprende (se non erro) l'intendimen- to del Poeta, cioè la cagione per cui si recita, al tra- montare del giorno, V Inno Te lucis ante, e percliè scendano gli Angeli colle spade infuocate, tronche, e private delle lor punte, a custodia della valle; insie- me alla spiegazione d'altri particolari, che altrimenti rimangono inavvertiti, o non vengono intesi. Mi resterebbe finalmente ad esporre il commento del Canto I. secondo la mia maniera di definire la ra- gione e la sintesi dell' intero poema. Io credo di trar- ne una interpretazione piena, adequata ed uniforme ; e parlerò segnatamente della selva selvaggia, del modo onde l'Allighieri riprende il cammino. Sì cheH pie fermo sempre era il più basso; delle tre fiere che lo impediscono, della significazione di Virgilio, dello stile che l'Allighieri ne tolse, ed in- fine dell'allusione espressa dal veltro allegorico. Ma per non eccedere i limiti d' un' ordinaria lettura m' è d' uopo riservare il rimanente del mio Discorso ad una prossima Tornala. 219 Ridonasi rAccademia a sessione privata, la Classe di filosofia e lettere annunziava, a mezzo del proprio Diret- tore, voto favorevole all'aggregazione del signor Ab. Pietro Canal professore di filologia classica nella I. R. Università. Lo squittino diede pienezza di voti, ed il Professore ab. Canal restò aggregato in qualità di Socio straordinario. Sulle specie diverse dell'asma, e sulla condizione sua patologica nell'uomo, nel fanciullo, nei bru- ii. — Memoria del Membro ord. doti. M. Ben- vENisTi, letta nella Tornata ') 8 Giugno 1 854. i lon è che il dott. Benvenisti avesse letto in tutta estensione il suo lavoro intitolato così ; avi*ebbe man- cato il tempo a svolgere tutte e tre le parli in una lettura accademica, e si limitava ad esporre pi^essochè tutta la prima, a presentare chiaramente quali si fos- sero le idee cardinali. Definì l'asma, lo distinse dalle altre e molte lesio- ni del respiro e dell'arterizzazione, per mancarne la febbre, il dolore ; per la ripetizione, intei missione, su- bitaneità degli accessi ; spenti i quali, l'asmatico ritor- na alle sue condizioni relativamente buone di pi-ima. Non descrisse l'accesso, non ne avvertì i prodromi e la soluzione, per esser ovvio tutto questo nei trattati di medicina ; osservò per altro che i prodromi, quando avvengano, accennano a lentore nel circolo venoso delle tre cavità j che i primi fenomeni si riducono alla 15 contrazioue spaslica del muscoli del laringe 5 della Iracliea, dei lironchi; i successivi airazlone vigorosa dei muscoli, clie in modo ordinarlo o straordinario valgono ad ampliare per ogni verso la cassa toracica ; com'è necessario a superare l'accennato stringimento delle fibre organiche, ravviare 11 circolo ne' vasellinl polmonali, togliere all'aria la massima <-[uaulilà di materia respirabile. E si scorge di fatto il sangue ri- boccare nel polmone, stagnare nelle vene tutte ; scar- seeslare invece nel cuore sinistro e nelle arterie tutte, Do durante il parossismo. Colla guida delle osservazioni proprie, distinse iu seguito due specie di asma, 1' una dall'altra diversa, nou bene separate nei libri di scrittori antichi e mo- derni : cioè Vasnia umido vero, o catarrale : Vasma secco, o spurio, o spasmodico. Nou erano due grada- zioni successive, ma due forme diverse dello slesso morbo apirettico, accesslonale, quelle die l'autore in- dicava con si diverse appellazioni; ne diede i due quadri sintomologici, dai quali facilmente e a prima giunta distinguonsi, nel cui mezzo risalgono i carat- teri pel secco: mancanza di materia gorgogliante, di tosse espettorante, di minacciala asfissia; ])erVumido: esalazione siero-mucosa abbondante, talvolta sanguino- lenta, tosse proporzionala al bisogno di espellere e sollevare il polmone, minaccia di soffocazione 5 di asfissia. Tornando alle generalità dell'asma, ed alle due for- me sotto alle quali, giusta circostanze diverse, suol- si presentare, disse le opinioni che furono e sono, a 221 quando a quando prodotte sulla essenza e natura sua, ridursi a due modi di vedere. L'una scuola considera l'asma come fosse una semplice e primitiva neurosi cerebrale o spinale, centrica od eccenfrica; tiene in conto di effetti più o meno lontani, di complicazioni più o meno facili dello spasmo delle fibre muscolari, laringee, tracheali, bronchiali, quelle alterazioni ma- teriali che si può aver trovato negli organi servienti al circolo ed al respiro. Altra scuola tiene primitive, indispensabili queste alterazioni materiali degli or- gani compresi nella cavità toracica ; secondario lo spasmo delle fibre muscolari oi'ganiche; terziaria, più salutevole che perniciosa, la contrazione dei muscoli che servono ad allargare il torace: si suddivide poi in nn ramo che guarda primamente all'otturamento dei bronchi; in altro ramo che concede esclusivamen- te una importanza al cuore ed ai vasi maggiori san- guigni. Tra le due opposte sentenze disse non poter- si esitare oggidì per iscegliere, dacché i caratteri più generalmente riconosciuti per proprj delle neurosi (instabilità di forma, bizzarria di decorso, poca gra- vità di essenza, non-proporzione delle lesioni cadave- riche co' sintomi osservati in vita) mancano assoluta- mente in ogni specie, in ogni caso di asma, ch'è nella essenza sempre identico, sempre puro, grave, diffi- cile a guarire tanto da sé, quanto in seguito al metodo di cura meglio architettalo, meglio condotto; dacché nell'esame dei cadaveri (dopo che si praticò colla di- ligenza e pienezza consentita dalla notomia fisiologica e patologica) si trovarono in ogni caso sensibili e 222 proporzionale alterazioni di tessuto negli organi del circolo e del respiro. Facendo digressione opportuna, Tantore indagava quanto fondata fosse la opinione di Ferriis e Georget: i materiali impegni di qualche tratto, specialmente del così detto respiratorio, dell'asse cerebro -spinale, es- sere l'ordinario fomite dell'asma idiopatico od essen- ziale ; opinione ben diversa da quella che lo consi- dera quale neurosi, o disordine funzionale dei nervi senza lo scompaginamento della struttura loro. Traeva quindi a disamina tutte le osservazioni che la scienza fino a questo giorno possiede e possono prestarle ap- poggio, le assoggettava ad esame critico ; depurale e condotte alle fonti primitive (lesioni assai diverse di sede, pili ancora diverse d'indole e di effetto), dimi- nuiscono in numero. Ha veduto che l'apparato slnto- mologico, cui corrispondevano nel vivo, non si diceva mai essere quello del vero asma, ma solo di fenomeni rassomiglianti un poco a quelli dell'asma ; e non di questi unicamente, ma di altri ad un tempo stranieri affatto, non soli, ma uniti, per dichiarazione degli au- tori slessi, a lesioni catarrali dell'albero bronchiale ; e tali da essere riferite all'inceppamento che Incon- tra il circolo cerebrale sotto l'accesso dell'asma già svolto, le mille volte descritto dopo che si videro al- tre forme morbose svariate, ad eccezione dell'asmati- ca. Disse non poter accettare per buona quella dot- trina ; dedurre soltanto la preesistenza di un' altera- zione cerebro- spinale, d'una preponderanza organica di questo apparato, che possa rendere più facile, piti oo-i forte lo sviluppo (lell'asma, data la presenza (se an- che di grado inferiore) di quelle ox'ganiclie circostan- ze che-, secondo le innumerevoli ed univoche depo- sizioni dell'anatomia patologica, consuonanti a capello colla interpretazione fisiologica dei fenomeni, devono tenersi qual base dell'asma periodico, afebbrile, su cui versano le sue ricerche. Le quali, com'era neces- sario alla importanza dell'argomento, seguirono 1' or- dine anatomico e fisiologico. Cominciando dagli organi del respiro, l'autore mo- strava come in tult' i casi di sua osservazione trovasse una condizione catarrale lenta più o meno decisa nel- l'asmatico. Sotto quella denominazione egli è ben lon- tano dall' Intendere il solo catarro mucoso cronico e comune, del quale non è difficile conoscere i cai^at- teri anatomici e gl'indizj funzionali; vi comprende ancora la bronchite capillare otturatrice, sia per la gonfiezza parietale de' piccoli tubetti aerei, sia per la condensazione del muco, o pseudomembrane fattesi internamente, che col vocabolo di broncostenosi o ca- tarro secco suol essere specificata dai sintomologisti moderni ; vi comprese in fine l'affezione delle vesci- chette estreme, continue agli ultimi ramoscelli dei bronchi, per cui esse divengono rotonde, volumino- se, chiuse da ogni dove, piene di gas, ingrandiscono G fauno sporgere le porzioni del polmone là ove si svilupparono, comprimono, fanno discendere il dia- framma, sollevano nei punti corrispondenti a loro il costato, ne scostano più o meno il cuore: alterazione bene studiala oggigiorno nel cadavere, differenziala 224 dalle altre, avvertita dalFascoltazioue e dalla percus- sione, ed appellasi enfisema vescicolare dei polmoni. Affermava egli die o V una o l'altra di queste tre for- me, clie cliiameremmo per la sede maggiore, media e minima o terminale di bronchite cronica ed afebbrile, non si lascia desiderare. E se da tutti non n'era sem- pre e non u'è riconosciuta l'esistenza, ciò provenire dal fatto, che lo sputo, la tosse, le sensazioni dolorose vanno, nelle tre specie, mano mano diminuendo, e mancano poi, per dar luogo ad uno sviluppo sempre maggiore dei fenomeni anematosici, di segni sletosto- pici e di percussione, non rivelati che dairirapicgo co- stante ed intelligente dei mezzi fisici più esatti nella persona dell'infermo. Così era che la bronchite ca- pillare otturatrice e l'enfisema vescicolare dei polmoni dovevano sfuggire di spesso, anche se grandiosi, alla osservazione medica; l'esistenza del catarro, limitata al solo mucóso, doveva essere accettata per tutt'altro, che fatto costante generale nell'asma. L'autore non si dichiarò disposto a credere, con Laennec ed altri, che tale affezione bronchiale o ve- scicolare, sebbene ognora ed in qualche grado ricono- sciuta da lui, sia la sola che si discopra a chi ben guarda l'asmatico e vivo e morto, e sia l'unico fonda- mento dell'asma ; anzi assevera, che quando veramente andava scompagnata da ogni altro segno, gì' infei'mi erano stati più o meno abitualmente dispnoici, ma non ricorrentemente asmatici. Il cuore (e le sue di- pendenze) mostra, per suo avviso, qualche grado di alterazione organica ad un tempo ; e dopo lungo bran- mt/ 1^ tJ colare nelle tenebre della incertezza e del dubbio, crede che la notomia, folcita dalla diagnostica più fina, sia giunta a tanto di perfezione da stabilire in generale non solo la realtà di (juesto impegno cardia- co-vascolare, tna sì ancora da fissai'ne, giusta la va- rietà de' casi, le differenze speciali. Espose la lunga serie delle osservazioni apparte- nenti ad ogni dottrina, tanto a quella che vuole la condizione neurotica, quanto all'altra che sostiene la vascolare sola o la sola bronchiale degli accessi asma- tici, nelle quali si annovera quanto offerivano d' iu- uormalità le varie parti ed attenenze del cuore. Mo- stravano alterata or l'iina or l'altra parte del cuore, ed in modi diversi ; andarvi congiunta di spesso una modificazione congenere dei rami più importanti ora del sistema venoso, ora dell'arterioso. Da quella con- gerie di osservazioni risultava dimostrato che, trat- tandosi di asma, prevaleva la coudizione ipertrofica nel cuore destro e nelle vene corrispondenti, la litia- ca nel sinistro e nelle arterie maggioi'i. Dagli studj suoi speciali iustituiti sull'asmatico vi- vente, proseguiti sul cadavere, l'autore trasse il con- vincimento dell'alterazione strumentale contempora- nea (svariatissima nel grado di essenza) nel cuore, con quelle già designate delle tre suddivisioni mag- giore, media e minima dell'albero bronchiale ; dedusse la corrispondenza tra la varia sede e qualità della lesione vascolare e la forma dell'asma, posciachè i sintomi e le risultanze cadaveriche gli hanno appre- so che : 226 — alla forma secca dell'asma corrisponde la dlla- lazione seuz'assoLtigliamento, anzi uu ingrossamento deiroreccliictta e ventricolo destro del cnore, con in- sufficienza delle valvole relative ; talvolta concrezioni al di dentro, injezioni al di fuori nelle pareti; dilata- zione analoga nel tronco o ne' rami dell'arteria pol- monale, con dilatazione talora, friabilità ed ingorgo sanguigno delle vene più cospicue del corpo, degli organi dipendenti da quelle, alle volte con qualche grado di effusione nel pericardio e nel petto. — alla forma pituitosa od umida corrisponde in- vece lo stato litiaco della valvula mitrale, lo strigni- mento dell'orifizio auricolo- ventricolare sinistro, ora congiunto ad ipertrofia, oi-a ad atrofia del ventricolo si- nistro, secondochè vi si associi o meno la litiasi delle valvule aortiche, e, come di spesso, injezione sangui- gna, depositi, vegetazioni globulari, polipi fibrosi, ed altri segni di endocardite cronica; e questa per lo più congiunta a ossificazioni, dilatazioni o strignimenti, ulcerazioni dell'aorta, delle coronarie, e a quelle de- viazioni di nutrizione negli organi da tali arterie ir- rigati, solite accompagnare le croniche affezioni che in essi risiedono. Né l'una né l'altra di queste due diverse serie di alterazioni vascolari (che riassumer si possono col chiamare venoso-iperirofica la prima, lUiaco-arteriosa la seconda) stanno, secondo l'autore, qual unica ca- gione costitutiva dell'asma ricorrente, come alcuni" scrittori preceduti dal Rostan sembrano persuasi ; si bene il formino in associazione fortuita o causale 227 colle alterazioni catarrali dei Lrouchi più sopra de- scritte, le quali furono sempre osservate contempora- nee da Ini nei casi speciali. Quest'associazione importante, la novità del sog- getto, la divergenza della sua dalla più comune ma- niera di vedere, esigevano die il nostro autore vi si intrattenesse davvantaggio. E mostrava come non ri- pugnasse il credere essere alle volte semplice coinci- denza, innesto accidentale d' una di quelle lesioni so- pra individui in avanti ed abitualmente affetti dal- l'altra, la circostanza che le accoppia ; e nella mag- gior parte dei casi il nesso fra l'una e l'altra lesione essere quello dell'effetto alla causa, siccom' è natura- le, ed in due maniere distinte : a) La malattia vascolare precede, e l'affluenza abituale copiosa del sangue dalle vene dal corpo al cuore, ai bronchi ed ai polmoni dal ventricolo destro ingorgato, ipertrofico, come l'abituale difficoltà di regresso opposta al sangue dal tessuto dei bronchi e dei polmoni per lo stringimento dell'orifizio auricolo- ventricolare sinistro , portano qual conseguenza im- mediata una iperemia continua nella mucosa della tra- chea, dei bronchi e delle vescìcole terminali dei pol- moni. Quindi r ingrossamento di quella, l'allargamen- to dei tubi che forma, la espansione delle vescichette che circoscrive ; quindi la più copiosa separazione di muco liquido dalla superficie di essa, muco che vie- ne espettorato e scntesi rantolare, o la secrezione di muco denso che si consolida, ed oppone resistenza al- l'ingresso ed egresso dei gas: in una parola, le le- 228 sioni ed i fenomeni costituenti il catarro semplice, la bronchite otturatrice o broncostenosl, e l'enfisema ve- scicolare dei polmoni. 6) La lenta affezione bronco-vescicolare, di cui ò detto, precede. Lo stento provato dal ventricolo de- stro del cuore, perchè il sangue attraversi la mucosa dei bronchi cronicamente ammalata, porta seco la con- seofuenza di una distensione in pria, poi d'un allar- gamento teraporario delle sue cavila ; quindi un al- largamento slabile ed ingrossamento della ipertrofia eccentrica permanente, che suol essere l'effetto d'ogni lavoro esagerato e protratto in ogni sorta di muscolij sieno organici od animali. Oppure, per vicinanza di parti e continuità di elementi, il pi'ocesso morboso può diffondersi dai bronchi all' endocardio sinistro, alle arterie coronarie persino, ed all'aorta medesima. Detto questo, non nega nel maggior numero dei casi, testimonio la sperienza, precedere l'affezione bronchiale, ove trattisi della bronchite otturatrice e dell'enfisema vescicolare ; essere secondaria la ipertro- fia eccentrica del cuore destro colle associazioni e successioni ordinarie; secondario il catarro mucoso o comune, precedendovi di lunga mano la condizione ateromatoso- litiaca dell'orifizio auricolo- ventricolare sinistro: e ciò ad uno stato analogo delle arterie mag- giori, che suole accordarsi con quella. Fatta la descrizione dei segni generali e partico- lari che spettano alla parte acustica del diagnostico, ignorata da molti, negletta da quelli clic potrebbero emanciparsi con questo mezzo dall'errore, non avervi 229 lesione dei centri del circolo, quando trattisi di asma; passa a dire delle cause occasionali, onde nasce e si determina la ricorrenza minacciosa degli accessi. Disse cosa occorra perchè la doppia lesione materiale, ora più ora meno forte, disponente all'asma secco ed all'umido, subdola ed inavvertita per lunghi periodi di tempo, divenga ad un tratto evidente e minaccio- sa; perchè, nell'uno dei casi, sotto l'azione di queste cause occasionali si produca l'abbondante e pericolosa effusione di siero albuminoso, in altro caso mancante: ed è, a suo avviso, che per l'impedimento nell'orifì- zio auricolo- ventricolare sinistro la stasi prima e più rilevante si foi'ma nelle vene polmonali contenenti sangue rosso, fonte di tutte le secrezioni sierose ed albuminose normali ed anormali ; mentre, per l'aumen- tato impulso del cuor destro, la stasi prima e preci- pua succede nelle arterie polmonali, le quali, come ognuno sa, ad onta del nome di arteria dovuto alla struttura, contengono e portano sangue nero. Impor- tava finalmente notare, nel caso di lesione ipertrofico- venosa, la coincidenza o la successione d' uno stato analogo di pletora, o di predominante sviluppo di flogosi o d'ipertrofia delle altre divisioni vascolari a sangue nero ; e, nel caso di condizione litiaca dell'ori- fìzio auricolo- ventricolare sinistro, di uno stato ana- logo delle arterie maggiori : d'onde quelle forme mor- bose che male a proposito si ebbero in conto di ca- gioni direttamente produttrici della prima o della se- conda specie d'asma. Con questo rilievo, meglio che con qualunque altra considerazione, trovò di spiegare 230 la dlversitìi che i Jiie asmi presentano in relazione alle cause proegumene ed ai morbi preparatori, al pericolo concomitante, al prognostico, alla terapia possibile e conveniente. Continuando, dimostrava come l'asma secco si os- servi in individui non molto vecchi, raelaucolici, di- speptici, emorroidarj , ostruzionarj, albuminurici, slantechè in soggetti tali il sistema che di preferenza si guasta è il venoso, compresovi il sangue e gli or- gani che più direttamente se lo appropriano e ne di- pendono ; r umido o catarrale invece soglia mostrar- si nei più vecchi, nei sanguigni, in quelli che pro- varono esantemi acuti, artriti, sinoche frequenti, flo- gosi viscerali, nei minacciati da angina di petto, apo- plessia, cancrena secca, emorragia attiva, ec. : ed è, che in tutte queste circostanze uno è il predominio del sistema arterioso, e cosi la tendenza alla flogosi, che diffondesi nella totalità organica, o concentrasi nelle diverse provincie ; cosi la facile deposizione ateromato-litiaca, la influenza fibrinigena del sangue circolante nei grossi tronchi, o diffuso nei recessi capillari. Della gravezza differente, del pericolo di vita, sa- nabilità, decorso, durata, influenza atmosferica fredda od umida , secondocliè trattisi della prima o della seconda specie d'asma, l'autore dava ragione, atte- nendosi alle leggi che governano, nelle malattie loro, le due principali divisioni del sistema sanguigno. E trovava più agevole, che pria non fosse, la spiegazio- ne di condotta che tennero i medici più avveduti nel 231 trattamento Jelle due infermità, o continue od acces- sionali; la fissazione delle norme fondamentali alla cura, per iscemare il numero e sminuire la intensità degli accessi, impedirne le successioni, le complica- zioni, allontanare gli esiti più tristi. Di qua venne occasione a dire come i salassi, i vescicatorj, i diu- retici , gl'ipostenizzanti cardiaco - arteriosi fossero i siissidj sui quali si fa maggiore assegnamento negli asmi umidi o catarrali j nei secchi, que' sussidj gio- vino meno: ciocché, in generale, è il caso dei morbi venosi e del cuore destro ; mentre si ha in maggior conto il sanguisugio ai vasi sedali, i senapismi, il calomelano, la trementina (in gran dose), l'uso dei co- lagoghi, e di tutti que' mezzi che sciolgono il siste- ma della porta, quindi le vene tutte, sminuendone il sangue, e togliendo alcuni elementi alla sua massa. D'onde, abbassato il predominio venoso e del cuor de- stilo, corretta la crasi carbonico-globulare del sangue, impedita la prevalenza sulle arterie con maniere di azione rapide o lente, ec. ec. Chiusa la seduta pubblica^ l'Accademia si occupa di af- fari interni. Prende ad esaminare una domanda del signor Giuseppe Casato di Padova, il quale, studiando la malattia che da qualche anno attacca le uve, amerebbe venire sor- retto dalTAccademiaj ed una Commissione apposita di essa assistesse alle sperienze sue, dirette a rimediarvi. Riflellen- do al principio, alle cose scritte dal Casato, agli allegati della istanza sua; maturata una discussione fra' suoi mem- bri, l'Accademia determina doversi soggiugnere : essere già nel seno delPI. R. Islilulo veneto, Corpo scientifico prin- cipale del Regno, permanente una Commissione d'indivi- dui^ per attitudine e lunghi studj impratichitisi del sog- gettOj in modo da poter soddisfare alle ricerche di tal ge- nere : che quindi il signor Casato può approfittarne, volen- do; rivolgersi all'I. R. Istituto, e chiedere quanto credesse opportuno per venire a capo di sue spcrienze. In questi termini la Presidenza avrà a dare risposta, colla restituzio- ne dei documenti prodotti. Discorsi filosofici sulla letteratura medica, dalla sua origine sino al presente. — Discorso primo sull'origine della medicina fino ad Ippocrate, letto dal Membro ordinario prof. Corkeliam nella Tornata 2 Luglio 1854. A, Lvanti lutto, dichiara non voler esporre una nuda serie di fatti né di sistemi, che nell'ordine dei tempi si soppiantarono a vicenda; gettare invece uno sguar- do sulle varie epoche della medicina, sulla connessio- ne de' fatti e loro origine, sulla ragione del succedersi delle dottrine e dei sistemi. E trova la storia avere dimostrato chiaramente, la medicina, presso le nazio- ni tutte, essere stata dominata dalle scuole fdosofiche, le quali la costrinsero seguire di spesso le più strane opinioni ; sicché veniva sottratta alla influenza di qualche ingegno eminente, che surto a quando a quan- do nel progredire de' tempi, poteva prometterle una 233 profittevole emancipazione. E mostra il vincolo colle idee filosofiche di Pitagora, di Empedocle, di Platone, di Aristotele ; e dice il sistema di Hoffmauii occasio- nalo dai pensamenti del Leibnitz, la dottrina cbe- miatrica da quelli di Descartes, e la medicina ale- manna di pochi anni addietro dalle idee di Kant, di Schelling, ec. ec. Prima medicina naturale, coeva alVuomo. Che l'uomo, condotto dal caso e dalla osservazione di casi simili, avesse trovato, anche per ragione d'istinto, la maniera di curare le infermità, ella è induzione de- gli storici dell'arte, che il nostro autore ha svilup- pato più estesamente, considerando quale si fosse il medico prima e dopo il diluvio : prima, semplice os- servatore e raccoglitore di cognizioni utili, empiri- camente raccozzate; dopo, sorretto dalla tradizione, meditativo ed ordinatore di que' pochi elementi che l'empirismo avrà moltiplicato in una primordiale ci- vilizzazione. Medicina sacerdotale. Abbandonata V origine pri- mitiva della medicina, per non ingolfarsi in un pelago d'incertezze, l'autore si trasporta sul suolo italo-gre- co a considerare l'arte quando cominciava ad essere esercitata da caste privilegiate; e cosi raccorre tutto il sapere delle colonie egizie e fenicie, le quali nella terra di Grecia, ancor selvaggia ed incolta, portaro- no i germi della civiltà. Da principio in Grecia la medicina fu egizia ; poscia separatasi, divenne nazio- nale: e qui l'autore si appoggia alla Iliade, e ne ad- duce i cangiamenti avvenuti. La casta sacerdotale, che, 234 deificalo Esculapìo, innalza lenipj al sanalore porten- toso dei mali dell'uomo, divinizza la medicina, e se ne appropria rcsercizio esclnsivo, come mandato del Cielo. Mistero e superstizione non mancarono ; quindi astrologia, magia, amuleti, divinazione, e forse ciò che in tempi d'assai posteriori si appellò magne- lismo animale, co' fenomeni conseguenti, relativi a quella influenza che avrehhe l'uomo sull'uomo. Alla casta sacerdotale non isfnggivano però gli effetti della dieta severa, dei digiuni, dei bagni, dei purgativi, e di quelle sostanze che agiscono potentemente sul si- stema senziente e motore, onde servirsene, e dirigere la cura vestita da ceremonia religiosa. Descrive la po- sizione dei templi, le vicinanze del mare e dei colli ricercate, il vestiario del medico sacerdote, il nume- roso stuolo degli adepti e dei servi ; viene poi a dire / degli Asclepiadi, perpetuatori del segreto e del diritto della famiglia nei discendenti loro, d'onde le scuole di Rodi, di Gnido, di Coo, di Epidauro, di Pergamo; scuole che per quasi otto secoli mantennero nome intemerato. « Per sì lungo spazio di tempo (dice » l'autore) il medico sacerdote della Grecia stette » immobile, attaccato alla sua casta, beato della in- n gloriosa sua vita, de' suoi ozj, della fortuna procac- )) ciata alla sua famiglia, senza che la medicina avan- » zasse d'un sol passo. Né si creda che le tavole vo- » tive, appese ne' tempj, raccogliessero vere storie di )) malattie : non erano che nude indicazioni di rimedj » empiricamente usali, cure mitiche laconicamente H espresse. )> 235 Vero che, prima dei Greci, gli Etruschi avevano una teosofia mistica, una medicina sacerdotale; ma quella dei Gi'eci (prosegue l'autore) era più immagi- nosa, più ipotetica, mentre gli Etruschi l'avevano più osservatrice e positiva. Roma conobbe, prima della greca, la medicina etnisca. Medicina filosofica. Dopo un rozzo e cieco empi- rismo, arcano, religioso esclusivo, venne la ragione e la filosofia ad illuminare le menti. L' iniziativa era riservata a Pitagora. Quest'uomo, che vedeva la coor- dinazione universale, il consenso armonico di tutte cose diretto da mente sovrumana sapientissima, inten- deva l'applicazione delle matematiche alla conoscenza del vero. Una filosofia derivata da quella degli Etru- schi, degli Egizj ; una medicina filosofica avviala al meglio, mercè le nuove vedute del fondatore della scuola italica. Fu d'altronde errore ontologico lo am- mettere la esistenza d'un principio regolatore dell'or- ganismo, conservatore della integrità organica, agen- te dei fenomeni vitali, con che si realizzava una sem- plice astrazione. Da qui la primissima sorgente della dottrina dinamica, della natura conservatrice, medi- catrice, fondamento essenziale della medicina ippocra- tica. A questo luogo incomincia l'autore un esame della filosofia pitagorica, e delle sue conseguenze sul concetto della sanità e della malattia, sugli errori e sulle verità di quella ch'ebbe il merito di debellare la superstizione, lacerare il velo dei miti, svelare al- l'uomo il segreto; quello di cercare nelle forze della sua intelligenza que'beui che per lo innanzi atten- *15 236 (leva (lai portenti. La scuola di Crotone era dunque la sorgente della grande riformazione; e, parlando della medicina in istretto senso, l'autore ritiene che il vero fondatore della dottrina dinamica, applicata anche alla scienza del medico, sia stalo Pitagora ; e che tutti i sistemi dinamici, quali sursero nei secoli posteriori fino a Brown, riconoscono il fondamento loro nella filosofia pitagorica. Avvegnaché i seguaci di Pitagora tentassero illu- minare la medicina mostrando i rapporti fra 1' uomo materiale e psichico, e fra l' uomo ed il mondo ester- no a lui; è persuaso l'autore che la prima luce d'una medicina scritta venisse da Agrigento, da Empedocle, cioè, e dalla scuola sua. Si accorda co' pensamenti dello storico Freschi, che il dichiara maestro di quanti ed Italiani e Greci dettarono mediche discipline. La dottrina dei quattro elementi, quella del caldo, del freddo, del secco, dell' umido, rappresentati dal fuoco, dall'aria, dalla terra, dall'acqua ; l'attrazione e la ri- pulsione di questi principi, ec. ec, deriverebbero, od in tutto od in parte, da tale scuola ; ed Ippocrale stesso avrebbe cólto il frutto da questa. Toccali i principi filosofici di Democrito, di Era- clito, di Acrone, si trova condotto a conchiudere che l'arte salutare debba essere bensì diretta dalla filosofia, non sopraffatta dalle astrazioni ; realizzando le astra- zioni, 0 supponendo un principio che non esiste, od of- frendo una incognita in luogo d' un vero fondamentale dimostrato, la ragione non viene sorretta, ma soggioga- ta : attenendosi ai cardini principali della osserva- 237 /.Ione, della sperlenza, e ragionandovi sopra, il me- dico filosofo non arrisica mai, anzi assicura il pro- dotto delle azioni proprie. Di questo medico filosofo il grande esemplare Ippocrate. L'autore proseguirà nel Discorso secondo, e trat- terà della scuola ippocratica. Lettura fatta, vengono trattenuti i Membri ordinari per dare esecuzione al § 3. Articolo IX. dello Statuto. Si estrag- gono a sorte i lettori per l'anno accademico venturo i854- 1855. Sono essi : ■i. Sonato 8. Bellavitts 2. Trevisan 9. AcosTini 3. MuGN.4 dO. Memn 4. TuRAzzA -11. Oksolato 5. Cavalli -12. Santini ^-^ 6. De ZiGNO -13. Cittadella Giovanni 7. Spongia -14. Catullo Siccome ad ogni Membro dofliiciliato in Padova è do- vuto un esemplare della Rivista, cessa il bisogno di stam- pare r elenco a parte, per consegnarlo a quelli che sono ob- bligati alla lettura. L'ordine delle sedute, colla data del giorno e mese, verrà determinato durante le ferie, e distri- buito agli Accademici poco innanzi all'apertura dell'anno. Cenni slorici relativi ad alcuni monumenti che stanno nello Spedale civile di Padova. — Me- moria del Membro ordinario dott. Giuseppe Or- solato, letta nella Tornata 9 Luglio 1854. JU autorej seguendo il bel costume di quelli che si adoprano nello illustrare i monumenti patrj, volle darci un commento sui pochi ma importanti ciie tro- vansi nello Stabilimento retto da lui. Furono collo- cati di recente nello Spedale, siccome appartenenti a cittadini distinti, benemeriti della religione, della umanità, della scienza ; e comprendono la storia e le vicende delle instituzioni sociali patrie, com' è d'av- viso l'autore stesso (1). Nel grande atrio dello Spedale due statue, opera di Giuseppe PetrellI romano, collocate in nicchia l'an- no 1851. A destra di chi entra. Baldo de'Bouafarli da Piombino. Baldo condusse a moglie Sibilla di Ceto o Zeto, figlia unica di Gualperto e di Benedetta della Campagnola, colla quale divise in vita le cure e le spese per la erezione del vecchio Spedale di S. Fran- cesco coU'annesso convento, e per l'ampHazione del (1) Ommise parlare del monumento consacrato al vescovo Giustiniani, opera del Canova, perchè già illustrato con uno scritto apposito e stampato dall'ab. prof. Mencghelli defunto. y 239 tempio dedicato a quel santo. Disposero amcndue di tutti i beni proprj a profitto de' poveri. Siccome il Capitolo di S. Maria della Carità è pur dovuto alla Sibilla stessa, nella cui abitazione venne eretto, era importante raccogliere più notizie di questi due fon- datori, aggiugnendovi quelle tratte da documenti ori- ginall e contemporanei dell'archivio antico dello Spe- dale intorno a Baldo ed alla famiglia riccliissima Ceto, nonché a quella dei Boniverto di Montagnana, cui ap' parteneva il primo marito di Sibilla. Nelle vicende politiche di Padova del \ 390 e suc- cessivi, nelle conseguenti sciagure avvenute alla fa- miglia -de' Boni veni, que'beni che più tardi formaro- no il patrimonio dello Spedale, furono confiscati e perduti 5 ricuperali poscia per opra di Baldo, come ragionevolmente desumesi. A questi conjugi beneme- riti, i quali fino dal i 41 3, disponendo a favore de- gl'indigenti, ottenevano esonerato lo Spedale da qual- siasi imposta ed angheria, donando persino (come fece Sibilla) gli ornamenti preziosi della persona, monili, pendagli, anelli, noi posteri ammiratori di tanta carità siamo vincolati da gratitudine; e l'autore prosegue, facendo voto perchè venga onorata, siccome lu quella di Baldo, la memoria di Sibilla, eroina della carità, e surga alla donna egregia una statua fra le pareti del povero, come negli atn della scienza la ebbe in Padova la dotta Piscopia, e nella grand'Aula della ragione la Lucrezia virtuosa. Avverte che dalla tomba terragna dei due conjugi, esistente nella chiesa di S. Francesco, venne tolta la 340 soprastaule lapida nel 1852, locata verticalmente sulla parete esterna d'occidente del tempietto dello Spedale ; essere interessanti le due figure scultevi so- pra ; e cosi le due inscrizioni a caratteri gotici, l' una delle qualij e la più importante, venne ommessa dal Salomonio, nò mentovata giammai da' raccoglitoiù, o storici, od autori di Guide patrie. Ricorda altra la- pida da veut'anni circa trasportata dalla Scuola di S. Maria della Carità allo Spedale ; lapida che accenna alla ristorazione ed ornamento della sala capitolare della Scuola stessa l'anno ì 579. Faceva parte ed era applicato al soffitto un grande intaglio poligono, con elegante cornice e dorature, rappresentante hi Ver- gine ; il quale, negletto per anni molti, fu poi ridotto e collocato nell'atrio del tempietto dello Spedale. Non è senza pregio d'arte, e si fa d'interesse maggiore per avere appartenuto ad una instituzione sorella allo Spe- dale ; il cui censo è oggidì nella proprietà di quest'ul- timo, che continua ad applicarne la beneficenza. Apparteneva pure al Capitolo di Santa Maria della Carità, e trovasi attualmente nel tempietto dello Spe- dale, un altare con sopra una tela di pittore, che sarà probabilmente quel Luigi Vivarini, di cui il Lanzi negò la esistenza, perchè non gli fu indicata in Vene- zia che una sola tavola, di cui tenne apocrifo il nome. Altri vollero che avesse esistito ; ed in tal caso sa- rebbe esso il più antico della famiglia dei dipintori Vivarini di Murano; onde il quadro dello Spedale (dell'anno 1 41 9), non cennato da scrittore veruno, toglierebbe di mezzo le differenze, e comproverebbe 241 la esistenza di Luigi ; per tanto pregevole, e degno d'essere ricordato e conosciuto dagl' intelligenti, in onta ad una ristorazione mal eseguita, che guastò in parte II merito originale. Fino a tanto che un Inte- ressamento artistico o municipale non provveda alla conservazione di questo Capitolo della Carità (cele- bre ancora pe'suol affreschi della patria scuola del Varotari), esposto a deperimento e rovina, due volte ridotto, due volte convertito In granajo ; gioverà sie- no almeno conservati I pochi monumenti della splen- dida sua decorazione, figli della pietà e munificenza de' tempi discorsi. Eitorna l'autore al grande atrio dello Spedale. A sinistra di chi entra, altra statua dello scultore Pe- trelll rappresenta il già Vescovo di Padova Nicolò Antonio Giustiniani, del quale la carità Indefessa ci diede lo Spedale nuovo. Registri autografi di quel Tiso da Camposampiero, dirigente la grande fabbrica, ci apprendono la spesa ; di questa poi qual parte ne sostenesse da solo II piissimo Prelato, defunto due anni prima che venisse aperta alla sua destinazione. Ricordando le vicende di questo luogo dal secolo do- dicesimo In poi, e trovando spiegazione delle intito- lazioni sue, vedesi come cambiasse più volte la pro- prietà e lo scopo ; e nelle materiali vicende di questa, al paro di altre instituzioni, inlravedesi, quasi In al- trcltanli monumenli, lo sviluppo morale, politico, re- ligioso della società, dei periodi ]>iii o meno avven- turosi della scienza, non iscompagnata da beneficenza e filantropia. Per ultimo, il monumento eretto alla memoria di Bartolommeo Signoroni, Professore che fu di cliirui'gia nella Università di Padova. Viene dallo scalpello di Luigi Ferrari, e fu allogato a questo scultore da una società di azionisti che il donarono allo Spedale per essere collocato nel vestibolo dell'anfiteatro chirurgi- co, ove stanno gli strumenti ed i bendaggi. Ciò fu nel 1 852. L'amicizia tributava tal onore al Signoro- ni, e lo volle là dov' egli, appassionato per l'arte sua, tutte sue cure profuse alla istruzione publica, alla umanità sofferente, all'ornamento e splendore della cllnica padovana e della chirurgia inventrice. Compie la sua lettura facendo voti perchè si dif- fonda fra noi la consuetudine di eternare con atti so- lenni i nomi dei più benemeriti della causa pia; e contribuendo cos'i alla storia, si abbia nella posterità un nobile eccitamento alla imitazione. ■ ti. -o^3J(g^o- 243 Sulla sintesi della Divina Commedia, e sulla inter- pretazione del primo Canto, secondo la ragione dell' intero poema. — Considerazioni del Mem- bro ordinario prof. Serafino Raffaele Minigh. Seconda Lettura della Tornata 9 Luglio 1854. (Continuazione. — Vedi Parte I. Fase. V. Voi. II. pag. i82.) Parte IL SOLUZIONE DI ALCUNE OBBIEZIONI CHE POSSONO SORGERE INTORNO AI PRINCIPJ STABILITI NELLA PARTE I. ESAME DEL SIGNIFICATO MORALE RACCHIUSO NEI CAN- TI VII. ED Vili. DELLA SECONDA CANTICA. MODO d'interpretare il canto I. DELLA DIVINA COM- MEDIA SECONDO LA RAGIONE DELl'iNTERO POEMA. Giova ricordare e brevemente riassumere nei se- guenti Articoli i principi contenuti nella Parte 1. dei presente Discorso intorno alla sintesi ed alla ragione della Divina Commedia, onde contrapporvi quelle ob- biezioni che mi sembrano del maggiore momento, e eh' io non mancherò di risolvere prima di passare alla spiegazione del senso morale espresso nei Canti VII. ed Vin. del Purgatorio, ed alla completa interpreta- zione del Canto L, che costituisce il prologo o l'in- troduzione del poema. J. Gli antichi commentatori della Divina Comme- dia nei secoli XIV. e XV. seguirono rettamente il si- stema allegorico - morale. La ricordanza desìi avveni- menti spettanti al secolo dell'AUighieri e le tradizioni trasmesse dai contemporanei non richiesero per qual- 16 244 che tempo una più estesa interpretazione del poema. Ma poiché gli antichi espositori tralasciarono d' indi- care r intime relazioni del poema colla storia e colle sventure della vita dell' Allighieri, e poiché la lettera- tura assunse nuove forme, e fu mutato l'aspetto ed al- largato il confine della scienza, divenne insufficiente sin dall'epoca dell'invenzione della stampa il modo antico di commentare la Divina Commedia. 2° Nessuno dei tre sistemi, personale, politico e religioso, co' quali venne posteriormente interpretato il poema dell'Allighierl, può bastare da sé solo a ren- dere ragione dello scopo di quel meraviglioso compo- nimento. Ristretti a' loro giusti confini, ed isolatamen- te adoperati que' sistemi, non si trovano corrisponden- ti al soggetto e proporzionati allo scopo. L' esagerar- li, o peggio ancora il falsarli, ne rende inammissibile l'applicazione. Ma invece di riguardarli inconciliabili fra loro, è d'uopo intraprenderne l'associazione, onde comprendere adequatamente la sintesi e la ragione della Divina Commedia ; e per trovare il principio da cui derivano le idee fondamentali di detti sistemi, è nel quale si congiungono ed hanno una comune radi- ce, conviene cercarlo nei sentimenti che mossero il Poeta a divisare il suo grandioso lavoro, ed a prose- guirlo incessantemente fino alla perfezione per tutto il periodo d^jlla raminga sua vita. Questi sentimenti si manifestano ad evidenza nelle vicende della vita del- l'Alliohieri. o 3.° Nella vita di Dante si distinguono tre diversi periodi : cioè vita nuova o giovanile^ che ha termine 245 colla morte di Beatrice ; vita pubblica, che incomincia dalle fazioni guerresche a cui prese parte il Poeta, e procedendo nel suo sviluppo fino alla promozione di Danle all' ufficio di Priore, si chiude coli' ingiusta sentenza, che non solamente lo priva della patria e delle sostanze, ma lo colpisce nella riputazione d'uo- mo d' onore, il più prezioso de' beni ; finalmente vita deir esigilo, che non ha termine che coli' ultimo istan- te della mortale esistenza dell'Allighieri. E manifesto che i sentimenti, di cui la Divina Commedia offre ad ogni tratto l'espressione, si destarono nell'animo di Dante per l'iniqua condanna da cui egli venne per- cosso. Il sentimento religioso ed anco la rimembranza di Beatrice doveano ridestarsi, e risorsero infatti più vivi nella mente e nel cuore del Poeta allorché dopo la condanna egli ebbe mestieri di tutte le forze dello spirito e del carattere per resistere ai colpi della sventura. 4.° Se il voto supremo di tutta la vita dell'Alli- ghieri, durante l' esiglio, fu quello di conseguire il ritorno nella sua patria, e di redimersi dall' oltraggio recatogli nell'onore coli' elevarsi a tal segno nella pubblica estimazione da smentire la calunnia, e dile- guare ogni dubbio sulla integrità del suo carattere; è d'uopo riconoscere che da sì fatte cagioni ebbe origi- ne la Divina Commedia, e che questi sentimenti die- dero all'intero poema unità di concetto e d'intendi- mento. Siccome poi egli ascriveva le sue sventure ed i mali della sua patria ai dissid] delle fazioni ed al mo- rale pervertimento, e credeva necessario, onde tnfre- 246 Ilare e pacificare i partili, l' ialervento dell'autorità imperiale, mentre per correggere i vizj del secolo e ristabilire i principj morali ricorreva alla fede reli- giosa, ed attendeva il soccorso dal potere spirituale del sommo Pontefice ; introdusse pertanto nel suo poe- ma coir elemento suggeltivo anco il politico ed il re- ligioso, i quali derivano dai sentimenti del Poeta, co- me da un principio comune. Congiunti insieme da questo nodo, possono i tre prefati elementi rendere ragione dell' intero poema, che ha per cagione e quin- di per fine la riabilitazione dell'Autore, e comprende altresì quale scopo finale la sociale ristaurazione. An- co i mezzi adoperati nella composizione del poema corrispondono all'alto scopo cui mirava l'Autore, poi- ché racchiudono l' insegnamento morale sotto il velo dell'allegoria e delle poeticiie descrizioni. 5." L' intento eminentemente morale, che si mani- festa nel sacro poema, esclude il pensiero che Dante siasi proposto con quel mezzo di soddisfare alle sue personali avversioni, od al desiderio di vendicarsi de' suoi nemici; la quale supposizione è pur contraddetta dall'osservare che il Poeta dispensa le pene ed i premj senza distinzione di partito, e colla scorta della giu- stizia e della pubblica opinione. Gli stessi biasimi da lui rivolti a Firenze, e talora alle varie popolazioni d'Italia, comprovano la moralità della riprensione, tendente alla riforma del costume ed alla rigenerazio- ne sociale. Che poi l'Allighieri sperasse di meritare col suo poema l'accesso alla patria e la morale sua redintegrazione, è reso evidente dai primi dodici versi 247 del Canto XXV. della terza Cantica, i quali l'acchiu- dono, come si è già mostrato, una significazione ben più profonda di quella con cui vengono ordinariamen- te interpretati. 6.° L'Allighieri non poteva apertamente ed a pri- ma giunta dichiararsi nel suo poema il promulgatore del vero e quasi l'araldo dell'eterna giustizia, senza pregiudicare il fine ch'egli volea conseguire, e senza arrogarsi quell' autorità e quella fama eh' egli non credeva di possedere prima di avere intrapreso il suo stupendo lavoro. Sembra pertanto nei primordj del poema ch'egli aspiri soltanto alla sua rigenerazione, e che gli sia concessa la grazia di visitare i tre regni della perdizione, della espiazione e della beatitudine per apprendere il vero, e non per divenirne il bandi- tore ed il maestro. Ma prescindendo dai molti indizj che accennano In più luoghi del poema, e sin dal Can- to li., la missione e l'intento di ristaurare il civile consorzio, se ne ha la palese dichiarazione nelle inti- mazioni con cui gli viene repHcatamente commesso un simile ufficio prima da Beatrice nel Paradiso ter- restre, poscia da Cacciaguida nel quinto cielo, ed In- fine nell'ottavo cielo dallo stesso Principe degli Apo- stoli, La sola lettura del Dialogo fra Cacciaguida e rAllighierl nel Canto XVII. della terza Cantica è suf- ficiente a dimostrare i senllraenli Indelebili che det- tarono tutto il poema, e l'altissimo fine che l'Autore s'era proposto uell' ideare e nel condurre a perfezio- ne il suo grande concetto. 248 Riguardo alla proposizione principale, stabilita nel- Tarticolo 4-.°, sulle cagioni da cui ebbe origine la Di- vina Commedia, si potrebbe obbiettare, che per testi- monianza di parecchi scrittori contemporanei, o non molto posteriori all'epoca di Dante, la creazione della Divina Commedia venne intrapresa dall'Autore in Fi- renze, cioè prima dell'eslglio. Così F. Arrivabene ri- ferisce , che quando il Poeta fu sbandito dalla sua patria, era giunto nella composizione del suo poema oltre il decimo Canto, e che quella produzione aveva avuto principio in Firenze. Il Boccaccio nella Vita di Dante riferisce che i primi sette Canti del poema fu- rono preservati nell'occasione del sacco dato alla casa di Dante in Firenze, e che questi furono poscia inviati all'Autore nel tempo del suo rifugio presso il marche- se Moroello Malaspina. Quindi lo stesso Boccaccio credette di trovare la giuntura che annoda il Can- to Vili, della prima Cantica co' precedenti nelle pa- role con cui incomincia il Canto medesimo: Io dico seguitando, ec. Anco Leonardo Aretino asserisce nella sua Vita di Dante, che l'Allighieri intraprese la Divi- na Commedia prima d'essere cacciato in esiglio. L'ab- breviatore quattrocentista della lita di Dante scritta dal Boccaccio adduce questi tre versi d' un poema la- lino, che Dante avea cominciato raentr'era ancora in Firenze, intorno alla punizione dei dannati, ed al- l'eterno premio de' giusti, Ultima regna canam fluido contermina mundo Spiritibus quae lata patcnt, quae premia solvunt Pro merilis cuicumque suis data lege Tonantis. 249 Nel Voliune I. pag. 303 dell'edizione della Divina Commedia tratta dal Codice Bartoliniano si leggono riportati parecchi brani di questo poema latino. Infine uno de' più sagaci scrittori della vita di Dante, l'il- lustre Cesare Balbo, ammette che l'AUighieri prima dell' esiglio avesse già concepito in tre diverse occa- sioni l'idea del grande poema: cioè la prima volta raentr'era ancor vivente Beatrice; la seconda volta dopo la visione ch'egli ebbe di lei morta ; e finalmen- te nell'occasione del Giubileo ch'ebbe luogo nella set- timana santa del 1 300, oppure in seguito alla promo- zione di Dante al Priorato, che avvenne a' d\ i 5 Giu- gno dell'anno medesimo. Simili obbiezioni sarebbero, se non ra' inganno, più speciose che valide. Imperocché per istabilire la mia tesi non ho mestieri di mettere in dubbio l' esistenza d'un abbozzo o d'un saggio di poema intrapreso dal- l'Allighieri intorno ad un soggetto analogo a quello della Divina Commedia antex'iormente all' epoca del 1 302, in cui egli venne cacciato in bando. Lo stesso Dante avea già accennato nella Vita Nuova di voler onorare la memoria di Beatrice con una produzione poetica corrispondente al nobile obbietlo; ed egli può, come credesi, aver rivolto la sua attenzione anco pri- ma del J 302 all'argomento della punizione de' repro- bi e della beatificazione degli eletti, in conformità alle tendenze ed aspirazioni del secolo, espresse nelle pro- duzioni dell'arte e negli scritti contemplativi, fra' quali parve a taluno di ravvisare il tipo dell'originario con- cetto Dantesco nella Visione del monaco Alberico. 250 Nou liavvi motivo di negare che l'Alligliieri abbia com- posto anteriormente al ì 302 un saggio di alcuni Canti d'un poema latino od italiano sull'argomento suddet- to; e gli aneddoti narrati da Franco Sacchetti in al- cuna delle sue Novelle, se hanno verità storica, pos- sono riferirsi a quel primo saggio di poema. Ciò che diviene essenziale per la mia congettura consiste nel dimostrare non ammissibile l' ipotesi, che la Divina Commedia sia la pura e semplice continuazione dei primi Canti scritti a Firenze intorno ad un tema ana- logo ; cosicché l'Autore dopo la sua condanna abbia ripigliato il filo della narrazione sospesa alla fine del Canto VII. della prima Cantica, cominciando il Can- to Vili, colle parole Io dico seguitando, ec. , secondo r asserzione del Boccaccio. Imperocché se si voglia considerare la Divina Commedia come il prosegui- mento del primo saggio d'un poema latino, si ricono- sce da' primi versi dianzi citati di questo poema, ch'es- si non corrispondono al grave e solenne esordio della Divina Commedia. E vero però che alcuni brani di detto saggio, recati nel primo Volume della Lezione Bartoliniaua della Divina Commedia (Udine ì 823), sono affatto conformi a quelli del sacro poema ; senon- chè il giudiziosissimo Cesare Balbo nel farne menzio- ne ( Vita di Dante, Voi. I. pag. 262, nota 28 ) ag- giunge quest'avvertenza, che rende inutile ogni di- scussione: Ma questi sono letteralissima traduzione dalV italiano, ne io mi saprei mai capacitare che tm Dante, rifacendo in italiano i primi Ganti fatti in la- tino, traducesse sé stesso così. » Ed altrove (Voi. II. 251 pag. 469) il medesimo scrittore dichiara esplicitameii- te, che il volgare non fa traduzione del latino, ma nuova, libera, e di gran lunga più bella composizio- ne; e finalmente che gli squarci latini, letteralmente simili alV italiano corrispondente, datici neW edizione del Codice BartoUniano , non poterono essere Vorigi- nale latino di Dante, ma sono traduzione posteriore di chi che sia. Se invece si voglia supporre che i primi sette Can- ti italiani della Divina Commedia fossero compinti dall'Allighieri in Firenze, si trova che questa opinio- ne è smentita dalla predizione di Ciacco nel Can- to VI. , e segnatamente dai versi: Poi appresso convien che questa caggia Infra tre Soli, e che V altra sormonti Con la forza di tal che testé piaggia. co' quali si allude all' ingresso in Firenze di Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo il Bello, che accadde nel Novembre del ISO'I, mentre l'AUighierì era in Roma, e che fu cagione della condanna del Poeta, emanata dapprima il di 27 Gennajo ì 302, colla pena dell' esiglio per due anni fuori de' confini della Toscana, e poscia rinovata a' di 10 Marzo del- l'anno medesimo senza restrizione di tempo, e colla minaccia verso i condannati, che si quis praedicto- rum ullo tempore in foriiam dicti Gommunis perve- nerit, talis perveniens igne comburatur sic quod mo- rialur. Questa contraddizione è stata pure avvertita dallo stesso Boccaccio nel commentare il Canto Vili. dell' Iw/erno; ed il Balbo, dopo di averla riferita. 252 soggiunge : Alla quale sola difficoltà ^^m è ri- sposto per noi, che teniamo questi Ganti trovati es- sere stati i latini, non certo poi tradotti parola per parola, che ciò no'l consente di niun modo la natura, V ingegno e il genio di Dante ; ma liberamente rivolti in volgare, e in tal rivolgerli mutati ed accresciuti. E certo vedremo poi, che non il solo episodio di Ciacco, ma tutta C allegoria del poema nei primi Canti tion pub essere stata scritta prima deW esigilo in Firenze. Adunque è fuor di dubbio che II Poeta mutò e rifuse essenzialmente que' primi Canti, ovvero li riprodusse sotto altro aspetto, e con nuovo intendimento. Le mo- dificazioni per cui i primi sette Canti del poema si differenziano dal primo saggio ed abbozzo italiano o latino, che Dante può averne composto in Firenze, mostrano chiaramente l'epoca in cui egli intraprese la rifusione di quel saggio ossia la creazione dell'at- tuale Divina Commedia, e fanno palesi le cagioni che diedero origine ed unità di concetto e di scopo a quella mirabile produzione. Un altro motivo, che concorre a provare l'inesat- tezza dell'opinione del Boccaccio, si è, che l'Allighieri non avrebbe dato alcun' opera alla composizione del sacro poema, e quindi avrebbe fatto tacere i senti- menti, che vi si trovano espressi fin dai primi Canti, pe'l lungo tratto di tempo che corse dalla sua gita in Roma nel 1 30 ) , e specialmente dall' istante della con- danna fino all' epoca del suo rifugio in Lunigiana presso i marchesi Malaspina, nel 1307. Questa ina- zione dee parere inverisimile, e V opinione del Boc- 253 caccio sarebbe altresì contraddetta dalle molte raelo- ni per cui si può ritenere che la prima Cantica fosse compiuta nel ì 308, senza mestieri di ricorrere al do- cumento della bella lettera di frate Ilario ad Uguccio- ne della Fagglola, la cui autenticità viene impugnala dal chiarissimo sig. Witte e da qualche altro scritto- re. Mi sembra quindi accettabile il parere del dotto ed ingegnoso autore del libro sul veltro allegorico, sig. Carlo Troya, che viene ad avvalorare la mia opi- nione col passo s'eguente: Io lascio aW egregio uomo, il conte Giovanni Marchetti, la cura di mostrare le assurdità della novella di Lunigiana, e che nelle car- ie trovate fossero i primi sette Canti quali oggi si leggono; e non suppongo sì neghittoso il Poeta ne^ cin- que più fervidi anni della sua vita e del suo esilio, che siasi privato del conforto d^un poema d^ondc spe- rava fama, e col quale reso formidabile a' nemici, op- ponevasi ardito a colpi della fortuna. Del resto, anco il modo inesatto con cui il Boccac- cio nel commentare il Canio Vili, della prima Canti- ca accenna le circostanze della espulsione dell'Alli- ghieri dalla sua patria, scema la credenza alla vera- cità delle notizie da lui recale intorno ai primi selle Canti del poema. Questa facilità del Boccaccio di ac- cogliere ne' suoi scritti intorno alla vita ed al poema di Dante alcune tradizioni che si riconoscono eviden- temente inesatte e fallaci, si manifesta anco nel passo della Vita, ove accenna le dediche delle Ire Cantiche (Div. Gom. Padova 1822, Voi. V. pag. 37). Questo libro della Commedia, secondochè ragionano alcuni, 254 intitolò egli a tre solennissimi Italiani. La prima par- te dì quello, cioè V Inferno, a Uguccione della Fag- giuola, il quale allora in Toscana era signor di Pisa. Ita seconda, cioè il Purgatorio, al marchese Moruel- lo Malaspiiia. La terza, cioè il Paradiso, a Federi- go IH. re di Sicilia. Alcuni vogliono dire lui averlo intitolato tutto a messere Cane della Scala ^ ed io il credo piuttosto per la maniera che tenne di mandar prima a lui quello che composto avea, che ad alcun altro. Ora riguardo alla prima di queste opinioni è facile convincersi che la dedica della terza Cantica non poteva essere stata fatta a Federigo III. di Sici- lia, poiché l'Allighieri, dopo di aver riguardato que- sto principe come degenei'e dal padre (Purgatorio, Canto VII.), ne parla con aperto biasimo nei Canti XIX. e XX. del Paradiso, ed anco nel Trattato De vulgari eloquio (Lib. I. Cap. XII.). Forse l'Allighie- ri, mentre dirigeva la prima Cantica ad Uguccione della Faggiola, e divisava di dedicare posteriormente la seconda Cantica a Moroello Malaspina, avea pur pensato d'intitolare la terza Cantica a Federico III., come sarebbe indicato anco dalla lettera di frate Ila- rio. Ma seppure egli ebbe questo pensiero quando la prima Cantica era appena compiuta, lo avea deposto prima di scrivere il Cauto VII. del Purgatorio } e quindi il Boccaccio, nel riferire quella credenza, do- vea mostrarne l'erroneità principalmente colle prove dei due passi relativi nei Canti citati del Paradiso (XIX. V. 130, e XX. v. 6)). L'altra opinione, che l'intero poema sia stato intitolato a Cane Scaligero, 255 si riconosce infondata, osservando che nella lettera indirizzata a questo principe dall'Allighieri gli viene dedicata la sola Cantica del Paradiso, e soltanto a guisa d' introduzione si premette un cenno delle altre due Cantiche, per porgere un'idea dell'intero poema. Né si può credere che della prima Cantica Dante mandasse quello che composto avea prima allo Scali- gero, che ad alcun altro, attesoché questo principe era ancor giovinetto allorché Dante scriveva la pri- ma Cantica. Sembra altresì che questa consuetudine non si possa ammettere relativamente alla seconda Cantica, nella quale (Canto XIX. v. 124) si muove un rimprovero ad Alberto della Scala, padre di Cau grande, dell'aver fatto Abbate nel monastero di S. Zeno in Verona un suo figlio naturale, mal del corpo intero, e della mente peggio, e che mal nacque, in luogo del vero pastore. Quanto all'asserzione di Leonardo Aretino, che questa sua principale opera cominciò Dante avanti la cacciata sua, e di poi in esilio la finì, come per essa Opera si può vedere apertamente, è chiaro che il poema nell'attuale sua forma non si potrebbe riguar- dare intrapreso innanzi all'epoca dell'esilio, se non perchè l'Autore riferisce la sua visione al ì 300. Ora quella data non é che una finzione poetica, richiesta dall unità di tempo, onde riportare convenientemente all'epoca del Giubileo il periodo di quel mistico viag- gio, per cui Dante aspirava alla sua rigenerazione ed al riordinamento sociale. Si riconosce infatti dalle parole di Ciacco nel Canto VI. , e fino dalla quinta 256 terzina del Canto I. dell' Inferno (come verrà pro- vato fra poco nel relativo commento), che la data reale, da cui incomincia il poema, è l'anno ì 302, cioè l'epoca della condanna all'esilio. Per tutte le accennate ragioni credo fondata e pre- feribile l'opinione da me adottata nella Parte I. di r{uesta Dissertazione, cioè che Dante abbia intrapreso il suo poema nella forma presente, con unità di con- cetto e di scopo, soltanto dopo l'esilio, e che nel comporlo egli era mosso dai sentimenti che si desta- rono nel suo animo per l'ingiusta sentenza, che lo spogliava dell'avere, e gli toglieva la patria e l'onore. Vedremo appunto che il Canto I. , ossia la protasi della Divina Commedia, racchiude l'espressione di questi sentimenti, e delle circostanze che li produs- sero ; di maniera che alcuni scrittori hanno pensa- to che il Poeta abbia inteso di accennare nel primo Canto le peregrinazioni del suo esilio. Ma in questa guisa verrebbe oltrepassato il vero, perocché le pe- regrinazioni dell'esilio successero col progresso del tempo, e il primo Canto non può riguardarsi come una descrizione della vita raminga di Dante senza di- venire un fuor d'opera, che non corrisponde esatta- mente all'introduzione od alla protasi del poema. Mi sia concessa una breve digressione, onde pro- porre una congettura sul motivo delle parole colle quali incomincia il Canto Vili, della prima Cantica. Queste, a dir vero, sembrano accennare, secondo il parere del Boccaccio, una sospensione del lavoro, ed 257 una continuazione ripresa dopo qualche intervallo di tempo. Si fatta interruzione, del pari che l'impren- dimento della Divina Commedia nell'attuale sua for- ma, dev'essere posteriore, per le ragioni già addotte, all'epoca in cui l'Autore venne sbandito da Firenze. Mi sembra quindi poter arguire che questa sospen- sione del lavoro sia stata causata dall'arrivo in Fi- renze del Cardinale da Prato, che avea ricevuto dal benigno pontefice Benedetto XI. la missione d'inter- porsl qual mediatore e paciere fra i due partiti dei Bianchi e dei Neri. Fallita quella mediazione del Cardinale, che, rinunciando ad ogni ulteriore ten- tativo di conseguire il suo benefico intento, partiva definitivamente da Firenze, come riferisce Giovan- ni Villani, nel dì 4 Giugno 1 304, l'Allighieri delu- so nella sua lusinga di ottenere il ritorno in patria, avrà ripigliato con fervore il proseguimento del suo poema, cominciando l'ottavo Canto colle parole : Io dico seguitando^ che mostrano la continuazione del lavoro , ripresa nel medesimo fine in seguito al- l'anteriore sospensione. Questa mia congettura sa- rebbe appoggiata dall'osservare che nel Canto Vili, i demonj chiudono in faccia a Dante le porte di Dite, opponendosi a quel mistico viaggio, da cui egli at- tende la sua e l'altrui rigenerazione; di più, che nel Canto IX. le tre Furie infernali tengono le veci delle tre fiere simboliche del Canto I., e tentano di sgo- mentare l'Allighieri, e di petrificarlo colla Gorgone j infine, che nel Canto X. il salvatore di Firenze, Fari- nata degli liberti, allude evidentemente alla inutilità 25S degli sforzi del Cardinale da Prato, onde pacificare le due fazioni, e restituire i fuorusciti nella loro pa- tria, allorché predice airAllighierl con queste parole r impossibilità di rientrarvi in quella occasione: Ma non cinquanta volle fia raccesa La faccia della donna che qui regge, Che tu saprai quanto quell'arte pesa. Imperocché non decorsero appunto cinquanta mesi, dal 6 Aprile 1 300 all'epoca in cui tornarono vane e furono abbandonate quelle trattative di pacificazione, mercé le quali Dante sperava di conseguire il ritorno nella sua patria. Se gli studiosi della Divina Commedia porranno ogni cura nell' indagare per tutto il poema le impres- sioni ed i sentimenti dell'Autore colla guida della sto- ria, e senza la prevenzione di preconcetti e malfermi sistemi, io sono d'avviso che vi scorgeranno associate con ordine direi quasi cronologico le affezioni e le vicende della vita dell'Allighieri durante l'esilio, es- sendo cànone di critica Dantesca, molto conforme alla natura di lui (scrive il lodato sig, Balbo, Vita di Dante, Voi. II. pag. ì j 2), che dalle impressioni accennate in ogni scritto si possano dedurre, quando non s oppongano memorie più certe, il luogo ed il tempo in che egli scrisse via via. Per tal modo il poe- ma, con le Opere minori e la storia della vita di Dante, attese le intime loro relazioni, possono vicen- devolmente comprendersi ed illustrarsi. Lungo sareb- be, ed estraneo al mio presente proposito, addurre le molte prove che potrebbero convalidare questo 259 principio, tratte I r» I /» n j j,' 1- . ;iK^IS OIJ.T Del fiero fiume, e tutti li sgomenta: 'oli ( , . ' • .Vende la carne loro, essendo viva: . , , , Poscia li ancide come antica belva ; . , . , , , ... , . :,-. ;;nl) ij!<.' Molti di vita, e se di pregio priva. , Sanouinoso esce dalla trista selva : . t , . , . , Lasciala tal, che da qui a mille anni , , , , , ■,.,^ ^^ Nello stato primier non si rinselva.,^^^.^ oorjul È verisimile che i primi commentatori abbiano inter- pretato astrattamente la selva oscura come quella dei vizj, per non nominare Firenze. ■ Il modo quasi impersonale : Che la diritta via era smarrita , rende manifesto che nel concetto di Dante pressoché tutta la società era fuorviata dal retto sentiero. 2. E quanto a dir qual era è cosa dura " '•■'■' Questa selva selvaggia e aspra e forte, Che nel pensier rinnova la paura. 277 3. Tanto è amara, che poco è più morte ; Ma per trattar del ben cW io vi trovai b Dirò delV altre cose eli io u' ho scorte. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, è bella variante della lezione Nidobeatina. L'epiteto di sel- vaggia, attribuito alla selva, accenna mirabilmente lo stato di selvatichezza e di abbrutimento a cui era ri- dotta la società, secondo il concetto dell'Allighieri. All'opposto nel Canto XXVIIJ. del Purgatorio la selva del Paradiso terrestre è da lui chiamata La divina foresta spessa e viva, perchè rappresenta lo stato d' innocenza e di felicità dell'uomo sulla terra. Questa selva tempera all'occhio mortale colle miti sue ombre lo splendore del Sole, eh' è il lume del vero e della ragione divina. L'altra non è rischiarata che dalla Luna (^Inferno, Canto XX. V. \ 27), la quale, come si è detto nella Introduzio- ne, è il simbolo della caducità umana, e del predo- minio delle passioni. Non ci arresteremo a discutere se l'aggiunto ama- ra sia da riferirsi alla cosa, alla selva, od alla paura. Nella presente ordinaria lezione io crederei che si riferisca alla selva, per analogia con altri passi del poema: né mi sgomenta l'osservazione, che la selva sia già stata aggravata di altri tre epiteli. Il bene trovato dall' Allighieri non era certamente nella selva, ma gli si offerse al confine della selva, ossia a' piedi del colle della virtù, ove incontra Vir- gilio, ed intraprende, colla guida dell' umana sapien- za, la mistica peregrinazione riparatrice. l> 278 Qualche lezione della Divina Commedia in luogo di altre cose porta alle cose. Questa sarebbe variante speciosa, ma non plausibile ; imperocché la frase altre cose significa cose diverse dal bene eli io vi trovai; e queste sono evidentemente le tre fiere che poscia im- pediscono l'AUighieri nel suo cammino alla perfezione. 4. Io non so ben ridir coni io v entrai ; Tani* era pien di sonno in su quel punto, Che la verace via abbandonai. 5. Ma poi dì io fui a pie d^ un colle giunto, ha ove terminava quella valle Che m avea di paura il cor compunto, 6. Guarda* in alto, e vidi le sue spalle Vestite già t?e' raggi del pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle. Si è già detto altrove nella Introduzione, che il sonno significa allegoricamente ne'varj luoghi del poema la debolezza o l' imperfezione dell' umana na- tura, ed il bisogno della riparazione. Qui è tale da togliere al Poeta la coscienza o la rimembranza degli atti anteriori, e perciò viene spiegato ordinariamente nel senso di confusione ed oscuramento. Colla susseguente terzina 5. Dante accenna d'essere uscito dalla selva, e di trovai'si a' piedi del colle che, per consenso degli antichi e di quasi tutti i moderni commentatori, e per evidente significazione, è quello della virtù. Si scorge quindi che la vera data dell'at- tuale poema è l'anno J 302, cioè l'epoca della con- danna di Dante all' esiglio, attesoché per questa con- 279 (lamia, e non prima, egli usci dal consorzio della Fiorentina repubblica. Bellissime per V eminente significato morale sono le parole Guarda' in alto^ che accennano l' intento del Poeta di risorgere dalla prostrazione morale, e di conseguire la sua riabilitazione. Si può quindi ar- guire eh' è d' uopo guardare in alto per ben compren- dere il concetto della Divina Commedia. Analoga- mente il Sole nel luogo presente, del pari che in tutto il poema, ha la morale significazione più volte indicata, guidando per ogni calle a sicura meta non solo chi non ha traviato, ma chiunque abbia smarrito il retto sentiero. 7. Allor fu la -paura un poco queta. Che nel lago del cor in era durata La notte eh* io passai con tanta pietà. 8. E come quei che con lena affannata, Uscito fuor del pelago alla riva, Si volge alV acqua procellosa, e guata ; 9. Così V animo mio, che ancor fuggiva. Si volse indietro a rimirar lo passo Che non lasciò giammai persona viva. La bellezza poetica di questo brano non ha biso- gno di commenti ond'essere compresa. La notte espri- me r intei'o periodo dello smarrimento e dell'errore ; e qtiiudi non è una notte naturale, ma rappresenta un lungo intervallo di tempo, che si stende fino al- l'epoca della espulsione di Dante da Firenze; ed avrebbe incominciato dall'epoca della morie di Bea- 280 trice, come si scorge dalle parole con cui rAllIgliierl viene rimproverato da Beatrice pe'suoi errori nei Canti XXX. e XXXI. del Purgatorio. Giunto al mezzo della sua vita. Dante si accorse fino dal 1 300. nell'occasione del Giubileo, e della sua promozione al Priorato, d'essere in una selva d'errore e di perdizio- ne. Ma non uscì dalla selva che nel 1 302 ; ed allora col conforto della coltura letteraria o della filosofia, simboleggiata dall'apparizione di Virgilio, e mercè la rimembranza di Beatrice, che risorse più viva dalla sventura. Dante trovò il soccorso nel sentimento reli- gioso, ed intraprese la grande opera della sua e del- l'altrui rigenerazione. Ciò che importa di rilevare, a conferma di questa data del poema, è il pensiero di Dante in quella così ricisa indicazione del passo: Che tion lasciò giammai persona viva. Questo passo non è certamente l' intera selva, atteso- ché l'Allighieri non può riguardare come perdute tut- te le persone che si trovano nella selva, molto più che fa dire a Ciacco nel Canto VI. dell' Jjj/èrno: Giusti son due, ma non vi sono inlesi. Il passo micidiale non può essere che una parte della selva, ed è manifestamente quel confine, per cui l'Al- lighieri n'era uscito. Ora Dante uscì da Firenze, os- sia dalla selva, mediante l'esiglio. E d'uopo adunque conchiudere che il passo mortale, di cui si tratta, si- gnifichi il modo con cui Dante uscì da Firenze a ca- gione della sua condanna, ed ebbe quindi motivo di 281 ritirarsi dall'errore, e di conseguire il suo perfezio- namento morale, Anco il verso precedente : Così V animo mìo, che ancor fuggiva, esprimendo lo stato dell'animo dell'AUighieri nell' al- lontanarsi in questa guisa da Firenze, si attempra alla presente interpretazione, la quale mi sembra la sola possibile, ed atta a rendere ragione d' un luogo del poema che si reputa sommamente difficile ad es- sere inteso e spiegato. Imperocché altrimenti non si saprebbe comprendere come il tentativo di uscire dalla selva era tornato funesto ad ogni altra persona. Ma se Dante, cora'io m'appongo, ha indicato nel passo pericoloso la sua condanna ed il suo esigilo, avea pur motivo di soggiungere che fu micidiale ad ogni altro uomo sottoposto alla medesima condizione. Ed infatti nessuno de' suoi compagni di sventura sep- pe imitarne l' esempio ( Paradiso, Canto XVII. ), ed egli solo ha potuto conoscere qual forza di carattere e quale altezza di mente erano necessarie in simile prova, onde resistere all'avversa fortuna, e risorgere dal fondo della miseria, in cui un'ingiusta sentenza lo avea precipitato. Del resto si direbbe che l'Allighieri siasi studiato di coprire il suo pensiero, o perchè sdegnò di mostra- re la costernazione dell'animo suo per la sofferta con- danna, o più veramente percliè gli parve soverchio il dichiarare ch'egli solo potè redimersi, e non soc- combere nel difficile cimento. Egli compie infatti la descrizione di questo passo nel Canto seguente, scrivendo: 282 Non odi tu la pietà del suo pianto ? Non vedi tu la morie che il combatte Sulla fiumana ove il mar non ha vanto ? cioè sul fiume delle colpe, che non si scarica nel mare, ovvero eh' è più profondo e procelloso del mare. i 0. Poi cìC ebbi riposato il corpo lasso, Ripresi via per la piaggia diserta, Sì che 'Z pie fermo sempr^era il più basso. Questo riposo deirAUighieri corrisponde al sonno che l'oppresse nella selva, e significa simholicamente una prima e momentanea riparazione delle sue forze ^^ — morali. La piaggia ossia la falda inferiore del monte è convenientemente chiamata diserta a cagione dello esiglio, sì perchè gli fu d' uopo lasciare ogni cosa di- letta, come perchè non si vide seguito nel suo cam- mino alla virtù da veruno de' suoi compagni di sventura. Mi rimane ad interpretare quel verso Sì che '/ pie fermo sempr era il più basso, che fu ed è tuttora un fuscello negli occhi a' commen- tatori. Il giusto senso letterale ne fu spiegato la pri- ma volta dal Magalotti, il quale facendo osservare ci) e chi sale o discende dee di tratto in tratto appoggiarsi sul piede più alto, conchiuse a ragione che il Poeta accennava di camminare in un piano sensibilmente orizzontale, cioè, in altri termini, lungo una linea di livello al piede del colle. Ma questa maniera di espri- mere eli' egli costeggiava la falda del monte senza 283 salire uè discendere, sarebbe pedantesca, e ribelle ad ogni poesia, se Dante non vi avesse raccbiuso un con- cetto morale, che mi sembra assai facile a dlcifrarsi. Per procedere nel suo cammino alla vetta del colle della virtù Dante avea mestieri di due facoltà, del cui concorso egli ragiona in molti luoghi del poema, cioè la volontà ed il potere. Farmi che il piede fermo rappresenti acconciamente la possa, e che l'altro si- gnifichi ad evidenza l'intento della volontà. Questa è disposta ad ascendere il colle ; ma la possa rimane dapprima sempre inferiore al volere, e non ne secon- da r intento. U. Ed ecco, quasi al cominciar delV erta, Una lonza leggiera e presta molto, Che di pel maculato era coverta : 1 2. E non mi si parila dinanzi al volto ^ Anzi impediva tanto il mio cammino, GK io fili per ritornar più volte vòlto. Ci sta dinanzi la prima delle tre fiere, che impe- discono Dante nel suo cammino, e rendono malage- vole ai commentatori l'intelligenza della protasi del poema. Per comprendere l'individuale significazione di questa e delle altre due belve, che poscia appajono all'AlIighieri, è d'uopo dapprima determinarne la espressione collettiva. Esse non potrebbero rappre- sentare che tre vizj o peccati, poiché impediscono al Poeta il sentiero della virtù. L'opinione che per lun- go tempo prevalse, e che ci è stata trasmessa dagli 284 antichi commentatori, cioè che le tre fiere simbo- leggino i vizj di Dante, non mi sembra accettabile, attesoché essendosi egli sottoposto come peccatore alla penitenza ed alla espiazione di tutti i peccati mortali nei sette gironi del Purgatorio, egli avrebbe dovuto del pari far comparire tutti i peccati capitali in atto di contendergli il passo alla sua redenzione. Che se si tenti di eludere questa difficoltà col sup- porre che le tre fiere rappresentino i principali vizj del Poeta, si va incontro ad una più grave obbiezio- ne. Imperocché le altre due fiere corrispondono fuor di dubbio alla superbia ed all' avarizia ; e benché si possa, per confessione di Dante medesimo (^Purgato- rio, Canto XIII. V. 1 36), riguardarlo proclive alla superbia, nessuno vorrà mai persuadersi eh' egli sia stato predominato dall' avarizia, sì spesso da lui de- testata nel suo poema. Ancor meno ammissibile è l'altra opinione adottata da parecchi commentatori moderni, che le tre fiere rappresentino tre potestà nemiche al Poeta, ed in particolare Firenze, la Casa di Francia, e la Curia romana. Infatti né Firenze, né Francia, né veruna potenza terrena, potevano impe- dire al Poeta di procedere nella via della virtù e della morale perfezione. Di più, l'Allighieri stesso c'inse- gna che il senso allegorico è diverso dallo storico o letterale, e quindi che non havvi nella Divina Com- media un senso allegorico - storico, ossia che il misti- cismo del poema è puramente morale. Questa è la ragione per cui il sistema politico immaginato dal sig. G. Rossetti nella interpretazione della prima Can- 285 tica manca del principale suo cardine o fondamento. Se poi per legittimare la detta opinione, proposta la prima volta dal Dionisi, e sviluppata dal Rossetti, si suppongano rappresentati nelle tre fiere i vizj carat- teristici di Firenze, della Casa di Francia e della Curia romana in quell'epoca, sarà sempre difficile lo spiegare come questi vizj potessero distogliere l'AUi- gliieri dall'avviarsi al suo perfezionamento morale. Non rimarrebbe pertanto che riguardare simboleg- giati nelle tre fiere i vizj predominanti del secolo; ma non potendosi ammettere die Dante fosse impe- dito nel suo cammino alla virtù dall'altrui corruzio- ne, benché universale, piuttosto che dai peccati di cui egli si confessa colpevole nel Canto XXXL del Purgatorio, è d' uopo conchiudere che i vizj rappre- sentati dalle tre belve allegoriche debbono esser quelli che concorsero a produrre la condanna dell'AUighieri, attesoché nel varcare il passo che non lasciò giammai persona viva, trovandosi privo d'ogni conforto, e vi- tuperato nella fama, egli fu ridotto a disperare della sua salute, ed a tentare il ritorno nella selva, per- dendosi fra i raggiri e le colpe delle fazioni. Stabilito questo modo di spiegazione intorno al collettivo significato delle tre fiere simboliche, divie- ne impossibile ammettere ciò eh' era già difficile con- cepire anco neir antica maniera d' interpretazione, cioè che la lonza corrisponda alla lussuria. Per rico- noscere qual sia la colpa simboleggiata dalla lonza basta osservare che i vizj maggiormente rimproverati dairAllIghleri a Firenze sono l'invidia, la superbia 286 e l'avarizia, come-si rileva da questi passi della prima Cantica. Canto VI. Ed egli a me : La tua città, di è piena Bi* invidia sì che già trabocca il sacco, Seco mi tenne in la vita serena. Superbia, invidia e avarizia sono Le ire faville ch'hanno i cori accesi. Canto XV. Gente avara, invidiosa e superba ; Da' lor costumi fa che tu ti forbi. Ora V invidia, la superbia e l'avarizia concorsero appunto alla condanna di Dante, preparata dall' invi- dia; maturata dalla superbia colla venula in Firenze di Carlo di Valois, che fece prevalere il partito dei Neri; ed aggravata dall'avarizia, die per togliere a Dante gli averi, lo colpì nell'onore con una sentenza infamante. Pertanto se le altre due fiere significano ad evidenza la superbia e l'avarizia, conviene arguire che la lonza rappresenta l' invidia. Non lascierò di notare, che gli attributi della lon- za, leggera e presta molto, - Che di pel maculato era coverta, sono convenienti all' invidia , eh' è mobile, versipelle e fallace. Mi pare inoltre che il verso E non mi si parila dinanzi al volto caratterizzi esattamente l'invidia, la quale tiene sem- pre rivolto lo sguardo indagatore all'oggetto da cui 287 viene provocata. Ma rAlligbieri non pelea dichiarare nemmeno a' suoi famigliari, che la lonza simboleggia- va l'invidia, poiché avrebbe indirettamente esaltato sé slesso ; e forse avendo detto ip generale a chi gli richiese la spiegazione di quel simbolo, eh' egli inten- deva di rappresentar con esso la corruzione del- l'epoca, indusse i più antichi commentatori nella cre- denza che la lonza equivalesse a lussuria. Nel Tesoro di Brunetto Latini, maestro di Dante, si descrive la pelle della lonza come macchiala di ne- ro commisto al bianco. Perciò il Rossetti crede indi- cate nella gajetta o screziata pelle della lonza le due fazioni de' Neri e de' Bianchi. Anco per questo ri- guardo la pelle della lonza ben si addice all'invidia reciproca di que' partiti, che fu cagione delle loro discordie. Ma sembra veramente che l' idea di rap- presentare i tre peccati dell'invidia, della superbia e dell'avarizia colla lonza, col leone e colla lupa sia stata suggerita al Poeta da queste parole di Geremia : Percussit eos Leo de sylva ; Lupus ad vesperam va- slavit eos ; Pardus vigilans super civitates eorum, eie. ; che convengono esattamente alle circostanze dell' esi- glio dell'AUighieri, e quindi confermano i principi della interpretazione da me proposta. Aggiungerò infine una osservazione che può ser- vire di riprova alla opinione, che la lonza rappre- senti l'invidia. Nel Canto XXXII. del Purgatorio il mistico carro, allorché viene percosso dalla coda del drago (che, a mio parere, rappresenterebbe il guelfismo), mette fuori sul timone tre teste bicornute, 288 e negli angoli quattro teste unicorni. Gli antichi com- mentatori ed i più sagaci fra i moderni sono d'av- viso cbe quelle teste raffigurino 1 sette peccati mor- tali, e che le tre teste bicornute simboleggino i pec- cati più maliziosi, e che più offendono l'anima ; ma nessuno riconosce la lussuria in una di queste, ben- ché sembri verisimile che le Ire teste a due corna corrispondano ai vizj rappresentati dalle tre fiere al- legoriche. \j Ottimo vi scorge la superbia, l'invidia e l'ira, riguardando questi peccati come i più gravi, in quanto sono spirituali, e gli altri quattro sono corporali. Mi sembra che per questo riguardo l'ira va collocata insieme all'accidia, alla gola ed alla lus- suria, fra i vizj detti dall'Offmo corporali, e quindi rappresentati dalle quattro teste ad un solo corno. Ed infatti l' intelletto ne rimane ottuso ed inerte, ed il Poeta ha ravvicinato nell' Inferno e nel Purgatorio gli accidiosi ai golosi, paragonando l'accidia al fumo materiale, e circondando nel Purgatorio gl'iracondi colla buja notte d' un denso fumo. Per questa guisa i tre vizj rimproverati dall'Allighieri a Firenze, quel- li che cooperarono alla sua condanna, e quelli ch'ei riguardava come i più gravi, cioè l' invidia, la super-; bia e l'avarizia, si trovano del pari rappresentati dal- le tre fiere allegoriche, e dalle tre teste a doppio corno apparse sul mistico carro percosso dal guelfismo. * 1 3. Temp' era dal principio del mattino, E il Sol saliva in sit con quelle stelle GKeran con lui quando V Amor divino 289 1 4. Mosse dapprima quelle cose belle ; Sì che a bene sperar meran cacciane Di quella fera la gajetta pelle 15. Uora del tempo, e la dolce stagione; Ma non sì che paura non mi desse .•;f, I ( ^^ *^^^^^ ^^^ m'apparve d'un leone: ì 6. Questi parca che contro me venesse Con la testa » 155. 219 Sopra una domanda fatta all'Accademia, relativa alla malattia delle uve r.?» 231 Elenco dei Membri ordinarj che avranno obbligo di leggere nel ven- turo anno accademico 1854-55 , . '»"»237 — o^3@e&<>-