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NOVELLE MORALL

NOVELLE MORALI

DI

FRANCESCO SOAVE.

NUOVA EDIZIONE

RIVEDUTA, ED ARRICCHITA DI NOTE TEDESCHE.

VIENNA

TENDLEE & COMPAGNIE.

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NOVELLA L fjJL VEDOVA AlfllEAIiATJL.

LI olce in ogni tempo è il beneficio, ma vie più dolce ^) quand'è accompagnato dalla j*orpresa.

Mentre un altissimo personaggio passava una mat- tina per tempo, incognito e tutto solo, per un sobborgo di Vienna, vide accostarsegli un giovinetto d'intorno a dodici anni, il quale con occhi bassi ^) e lagrimosi, e con voce smarrita si fece a domandargli qualche soc- corso. L' aria gentile ^) del giovinetto , il portamento composto *), il rossore che il volto gli coloriva, in- terrotta , la voce inceri a , fecer sull' animo di questo signore una viva impressione. Voi non avete sem- bianza, gli disse, di esser nato per chiedere la li- mosina. E che mai vi muove a ciò ? Io non son nato certamente , rispose il giovinetto con un sospiro, in cosi misera condizione- le sventure di mio padre e lo stato infelice , in cui trovasi mia madre , mi vi co- stringono. — E chi è vostro padre ? Egli era un nego- ziante che acquistato già avea di molto credito, e in- cominciava a formare la sua fortuna. Il fallimento dun suo corrispondente lo ha rovinato ad un tratto da capo a fondo. Per nostro male maggiore ei non potè soprav- vivere alla sua sciagura, e dopo un mese n'è morto

*) Vie più dolce beflo fù§er. 2) Bassi nicbcrgefc^ta* 8<n. ') L'aria gentile ^aé frcunblic^c 9lu3fe^en. *) Porta- mento composto ber anfìónbige ©ang.

Soave, Novelle. I

3 NOVELLA I.

di rammarico *). Mia madre , un fratello minore ed io siamo rimasti nell' estrema miseria. Io ho trovalo rico- vero presso un amico di mio padre. Mia madre s' è ado- perata finora co' suoi lavori a sostener medesima ed il fratello minore. Ma questa notte ella è stata sorpresa da un male violento , che mi fa temere della sua vita.

10 son privo di tutto, ne so in qual guisa poter soc- correrla. Non assuefatto a mendicare, io non ho pur coraggio di presentarmi a chi mi potrebbe riconoscere. Voi, signore, mi sembrate straniero: dinanzi a voi per la prima volta io mi sono fatto animo ^) a vincere il rossore che sento. Deh! abbiale pietà dell'infelice mia madre fate eh' io possa aver modo ') di sollevarla.

Così dicendo , proruppe in dirotto pianto , da cui l'incognito si sentì tutto commosso. Sta assai lontano di qui vostra madre? Ella è al fine di questa via, neir ultima casa a manca , al terzo piano. Ce egli stato nessuno a visitarla? Io andava appunto cer- cando di un medico , ma non so come ricompensarlo, come provvedere ciò che per essa verrà ordinato.

11 signore trasse di borsa alcuni fiorini, e a lui por- gendoli: Or via, correte subito, disse, a procu- rarle alcun medico e a sovvenirla. Il giovinetto con le più semplici, ma insieme più energiche espressioni di un cuore riconoscente , rendutegli le grazie più vive, partì di volo.

L' incognito personaggio frattanto , allorché que- gli per altra parte si fu allontanato, deliberò d'andare egli stesso a visitare l' inferma vedova. Salite le scale, entrò in unsf cameretta , ove altro non vide che pochi e poveri arnesi*) una tavola mal commessa^), un vecchio

^) N'è morto di rammarico cr #aib barùber oué ®ram. - ~2) ^^ij son fatto animo— i(^ fa^te SWnt^. ») Ch'io possa aver modo ba^ ià) SWtttel imb SfDegc finbe. *) Poveri arnesi atmfelige^ ^au^geròtl^. ^) Mal commessa ft^fedjt giifams mcngefùgt.

l.A VEDOVA AMMALATA. 3

armadio, un letto, ove giaceva rinferma. e un altro letticciuolo accanto. La donna era nel più profondo ab- battimento, e il piccolo figlio appiè del letto struggevasi in pianto. Cercava quella di confortarlo; ma troppo ella medesima di conforto avea mestieri. li personag- gio s' accosta intenerito , e; fattole cuore , incomin- cia, da medico, ad interrogarla del suo male. Essa r espone succintamente ; indi con un sospiro : Ah ! signore , da troppo alta cagione deriva il mio male, e e r arte medica non vi ha rimedio. Io son madre , e ma- dre infelice di troppo miseri figli. Le mie sciagure e quelle de' figli miei hanno trafilto già questo cuore troppo profondamente. La sola morte può metter fine ai miei mali, ma questa istessa mi fa tremare per la desolazione in che i poveri miei figli si rimarranno. E qui si fece ad esporre le sue sventure , che il supposto medico dissimulò di sapere, e che gli trassero nuove lagrime. Alla fine: Or via, disse, non disperale. Com- piango le vostre calamità ; ma il cielo è provvido ; voi non sarete abbandonata. Pensate intanto a conservare una vita , che troppo è preziosa pe' vostri figli. Avre- ste voi qui un po' di carta, ove scrivere una ricetta*? Essa staccò *) un foglietto da un librettino, sopra del quale esercitavasi il fanciullo di circa a sette anni, che era appiè del letto. L'incognito, scritto che ebbe: Questo rimedio, disse, comincerà a confortarvi; ad altro migliore , ove bisogni , procederemo in appresso, e fra poco io vi spero guarita. Lasciò il viglietto sul tavolino e partì.

Trascorsi pochi momenti, ritornò il figlio mag- giore. Cara madre, diss'egli, pigliate animo: il cielo ha pietà di noi. Vedete come un signore m' ha larga- mente sovvenuto questa mattina : questo ci basterà per

^) Staccò rif ani.

1*- .

4 NOVELLA IL

più giorni. Io son purito pel medico , e sarà qui a mo- menti: chetate il vostro dolore e racconsolatevi. Ah! figlio, disse la madre , vieni ch'io t'abbracci: il cielo assiste la tua innocenza: deh! possa egli proteggerla lungamente. Un medico , eh' io non conosco , è partito in questo punto; vedine la ricetta sul tavolino: va e recami ciò che prescrive.

Il figlio prende il viglietto, e, scorrendolo, fa un atto di estremo stupore : il riguarda quindi da capo , il rilegge ; poi alza un grido : Ah madre ! che è questo mai! La madre attonita gliel leva tosto di mano-, e, leggendolo impaziente . . . Cielo ! . . . L' Imperadore! ... In così dire le cade di mano il foglio , e sviene *). Il viglietto era un ordine dell' augusto Giuseppe II, in cui le assegnava della sua cassa privata un generoso sov- venimento. Il medico sopraggiunse *) opportuno per ri- chiamare la madre dallo svenimento in cui la sorpresa l'avea fatta cadere. Gli apprestati rimedi in breve la riebbero dalla malattia, prodotta in gran parte dalle afflizioni dell'animo, e cosi il generoso monarca, ri- colmo di lodi e di benedizioni, ebbe il piacere di ren- derle la sanità e la vita, e di formare la felicità di un' onesta famiglia aspramente perseguitata dalla fortuna.

NOVELLA IL RICCARDO JUAClllIi.

Kiccardo Macwil, figlio di un rÌ€co mercatante di Dublino , all' avvenenza della persona e alla sagaci- tà') dello spirito univa un cuor compassionevole, che ben più pregevoli rendeva in lui gli altri doni della

^) Sviene toirb o^nmàc^tig. —2^ sopraggiunse opportuno fam gclegen. 3) Sagacità dello spirito «Sc^arfiinn.

RICCARDO MACWIL. 5

natura. Trovandosi egli per commerci in Algeri, vide un giorno approdare un naviglio, su cui erano due giovani donne che dirottamente piangevano. Intenerito a tal vista , si avvicinò a domandarne contezza ; e udì che erano due giovani schiave predate recentemente, e condotte a mercato. Spinto da un dolce moto di compassione, ei tosto si presentò a comperarle; e, pa- gato quanto gli avidi corsari da lui pretesero , con pa- role cori esi si fece a confortarle, le accompagnò sulla sua nave , dichiarò ad ambedue eh' esse eran libere , e eh' egli era presto ad ogni cosa che loro abbisognasse. Caddero a si inaspettata generosità le due donne fra lo stupore e la gioia a' suoi piedi, e i gemiti si conver- tirono nelle voci più vive di giubilo e di gratitudine.

Erano queste amendue di aspetto nobile e gentile, e una pur anche di singolare bellezza. Riccardo ne fu colpito *), e i sentimenti di compiacenza che ispirar sogliono ad un uomo benefico un dolce interesse per le persone beneficale , i sentimenti di riconoscenza che nella giovane ravvisava , soprattutto i meriti che venne in lei discoprendo, l'accorgimento, l'ingegno, la sen- satezza, lo spirito, la dolcezza del carattere, la leg- giadria delle maniere, gli aperti indizi infine di una nobile e saggia educazione , fecero in modo eh' egli ne concepì a poco a poco un amore ardentissimo. La don- zella, dal conto suo già a lui stretta coi dolci legami di gratitudine , vedendo crescere in lui ognor più le cortesi premure, trovando in esso congiunti ad un' avvenenza non ordinaria i pregi molto migliori di un animo collo e di un cuore ben fatto, non potè a meno di non sentire per lui un'eguale inclinazione.

Riccardo 1' andò più volle pregando con dolce istanza*) che il suo nome, la sua famiglia, la sua pa-

*) Ne fu colpito »urbe bovon tdxo^tn. ^) Istanza anfuc^en.

NOVELLA. II.

tria volesse manifestargli. Ella fu paga di palesargli che Costanza era il suo nome, che Isabella chiamavasi la sua compagna ; ma il pregò a volerle permettere di tacere il restante. Bastivi, disse, che il cielo non mi fé' nascere indegna delle cortesi attenzioni che voi m' u- sate, e che un giorno ben esser potrebbono ricom- pensate.

Arrivato a Dublino , Riccardo presentò al padre le due donzelle, narrò per qual modo le avesse acqui- state, né seppe tacergli i teneri sentimenti che Costanza aveagli ispirato. Lodò il buon padre la generosa azione da lui fatta nel riscattarla, ma non lodò il maritaggio eh' ei bramava di stringere con questa giovane straniera, non parendogli sulle prime che troppo bene si conve- nisse. Non andò guari ^) però che , vinto egli pure dalle nobili maniere e à&lìe amabili qualità che in lei riconobbe , a' ferventi desìderj e alle ripetute istanze del figlio non seppe più far contrasto. Quando Costanza udì Riccardo scoprirle palesemente l' amore che a lei portava , amore di cui ben datò aveva innanzi già chiari segni, madie non avea mai ardito di palesare aperla- mente, e l'udì insieme offerirle pur la sua mano, ben- ché , giiì accesa per lui del pari, vivissima compiacenza nell'animo ne risenlisse; ciò non pertanlo, dubbiosa, anzi agitata si stette per lungo tempo. Alfine amore la vinse , Riccardo vide coronati i suoi voti ; e , innanzi al finire dell'anno, un figlio il più vago che fosse mai fu il dolce frutto della loro felice unione.

Passati così due anni ancora fra le dolcezze della domestica pace e delfamor più puro, Riccardo fu ob- bligato da' suoi affari ad intraprendere una nuova e più lunga navigazione. Al dipartirsi dalf amata sposa le la- grime furon molte , seppe indurvisi senza portarne

*) Non andò guari-— Jiic^t Irttigc na^btt.

RICCARDO MACWIL.

seco il ritratto , eh' ei fé' legare in un anello. Dopo vari viaggi capitò a Palermo . ove un giorno , mentre egli stava fissamente contemplando la cara immagine , da cui non sapeva tener lungamente lontani gli occhi , av- venne che un uom di corte a lui dappresso trovandosi la riconobbe , e al re prontamente ne die Y avviso. Il re, fattolo tostamente chiamare, e fingendo tutt' altro, e il discorso traendo di una in altra cosa , si fé" atten- tamente ad osservare l'anello. Al primo mirarlo ei sentì nascere in cuore un turbamento grandissimo ; ma pur, vincendosi e dissimulando, gli chiese placida- mente chi queir immagine rappresentasse. Gli è il ritratto di mia moglie, rispose Riccardo. Di tua mo- glie ! e dove si trova ? A Dublino con mio padre. Oual è il suo nome *? Costanza. È naiiva di Dublino, o straniera ? Ella è straniera , ma di qual patria , o sire, io non saprei. E qui si pose a narrargli*), come tratta l'avesse di mano a' corsari, come condotta seco a Dublino , come fatta sua sposa. Il re , tutto udito atten- tamente 5 senz' altro dire , comandò eh' ei fosse arre- stato. Fé' quindi allestire una nave immantinente e la spedi a Dublino, perchè tosto Costanza col figlio e con Isa- bella gli fosse condotta di ritorno. Chi dir saprebbe abba- stanza qual fosse la costernazione del misero sposo allor- ché xide il pericolo a cui l' imprudenza del suo racconto l'avea tratto? Quale l'orrore e lo spavento dell in- felice Costanza, quando per ordine del re suo padre »i vide presa? Qu^lo in Dublino la desolazione' del mi- sero vecchio, che tutto a un tratto spoglialo si vide della nuora , del nipote e del figlio ?

Arrivata Costanza a Palermo , e recata innanzi al re , sul primo affacciarsegli ebbe a cader di terrore *).

*) Si pose a narrargli fìng an i^m ^u erjà^tcìi. 2) Sul primo affacciarseg i ebbe a cader di terrore bei et^en @ca fc^ctnen ful^r er bctnaf;c ani ©c^recfcn jufammen.

S NOVE LLA II.

Pur rincorata e prostesa appiè di lui: Sire, gli disse, io debbo rea apparirvi per mille capi , e con sommis- sione attendo gli effetti dell' ira vostra. Ma questo te- nero figlio, ma l'infelice suo padre sono innocenti, e questi io prego che siano salvi. Sebbene , ove pur vo- lesse lo sdegno in voi dar luogo per un momento all'usa- ta vostra pietà, me stessa forse voi trovereste men rea di quel che or debbo sembrarvi. Nel fatai giorno che a voi mi tolse , io me ne stava a diporto con Isa- bella in quella parte de' reali giardini che stendesi verso al mare. Una truppa di genie ch'era in agguato all'im- provviso ci si avventa, e via ne porta amendue. Lo spa- vento , il dolore , la disperazione ci fece mettere altis- sime grida, ma furon vane. Il Duca di Bari, autore del tradimento , ne fé' recar sulla nave che non lungi avea disposto , e dar subito le vele ai venli. Io con- fesso a' vostri piedi, o sire, che il mio cuore non avea prima saputo schermirsi da lui abbastanza; ma vi giuro eziandio che , ben lontana dal condiscendere ad una fuga rea , da quel momento io lo riguardai come r uomo il più abbominevole della terra. Arrivati in alto, noi fummo sorpresi da un naviglio di pirati. Il combat- timento fu lungo e ostinato. Il Duca pugnò da uom fu- rioso-, ma alfine pagò con la morte la pena del suo de- litto. Noi, fatte schiave , fummo condotte in Algeri per esser vendute. Un giovare ignoto parve spedito dal cielo a nostro scampo 0- Ei , mosso da una generosa compassione, offerse gran prezzo pel nostro riscatto ^), e r ottenne. Rendutaci la libertà, non v'ebbe cortesia che non ci usasse. Ei chiese più volte qual fosse la no- stra patria, e colà promise d'accompagnarci. Ma io, temendo il sospetto che voi giustamente aver dovevate «h' io fossi complice della fuga, temendo gli effetti del

^) Scampo 3lettun0. ^) Riscatto— goéfawfung.

RICCARDO MACWIL. »•

vostro risentimento % mai non ebbi coraggio di pale- sarmi. Ei mi condusse a suo padre; e, dopo avermi mostrate per lungo tempo le cure più rispettose , ben- ché straniera gli fossi , benché ostinata a nascondermi, pure m' offerse generosamente la sua mano. Io v' ho of- feso, 0 sire; io più forse non merito di essere da voi riguardata siccome figlia ; ma abbandonata . com' io credevami da lutto il mondo, agitata da un timore insuperabile del vostro sdegno , disperata di mai più ri- vedervi, vinta pur anche da un sentimento di tenera riconoscenza, vinta, diroltò ancora , da un sentimenta più dolce che m ispiravano le sue maniere adorabili , io cedetti e accettai d' essergli sposa. Punite pure , o sire,, punite la vostra figlia , s' ella ha meritato il vostro ri- gore; io non saprò lamenlarmene. Ma il generoso be- nefattore, cui debbo la libertà e la vita, ma questo te- nero pargoletto innocente , deh ! non vogliate che sof- frir debban la pena di un delitto che lutto è mio.

All' udire questo discorso , che 1' espressione degli occhi, del volto e della voce rendea più energico e più efficace^), il re, che irato e severo mostrai^ erasi da principio , sentì calmarsi a poco a poco , e finì per esserne infenerito. L'atto umile e dimesso') in cui era Costanza, i suoi singhiozzi e le sue lagrime, il pianto con cui il tenero fanciullino vie più avvalorava quel della madre, ebbero pure sul cuor di lui un vi- gore grandissimo. Egli stese alla figlia , tuttor prostesa a' suoi piedi*) amorevolmente la mano; e, sollevan- dola: Tu m'hai offeso, le disse, slringendoti senza mio assenso a nodo si disuguale ; più m' hai offeso du- bitando della mia clemenza ,. se la tua fuga era stata in-

^) Risentimento Uniciflc. 2) Efficace irirffam. ^) L' atto umile e dimesso bic bcmiitéige unb untcrtoùrfìgc ^aU lunq. *; Tuttor prostesa a' suoi piedi noc^ immer gu feincn

IO NOVELLA H.

nocenfe -, ma poiché io veg^o eh' effetto di debolezza, non di animo reo , sono gli oltraggi che tu m' hai fatto, io mi ricordo tultora che ti son padre , e ti perdono. Cosi dicendo , amorosamente la strinse , e ordinò che Riccardo gli fosse condotto innanzi. Un torrente di la- grime versò Costanza a questo atto , lagrime di tene- rezza, di gioia, di gratitudine; e il re, maggior- mente commosso, pur colle sue le venne accompag- nando.

Riccardo intanto, che era stalo lungamente in- cerlo della sua sorte , agitato a questo nuovo ordine da mille terrori , pallido se ne venia e tremante. Allorché vide Costanza, un gelo improvviso gli corse per tutto il «angue. Ma a questo succedendo ben tosto un ardore ^e un trasporto più vivo , senza riguardare a circostanti, .si lancia tra le sue braccia, e lei stringendo ed il figlio alternamente , avvinto ad amendue si stette per lungo tempo senza potere articolar parola ^). Da loro alfine spiccatosi*), e cadendo a' piedi del re: Accetto, disse, accetto, 0 sire, oggimai di buon grado qualunque sia il vostro decreto. Poiché m'é dato di rivedere i due oggetti a cui tutti miravano i miei voti , altro più non desidero. Solo vi prego che essi , che il padre mio . . . No , figlio , il re l' interruppe , no , non prenderti af- fanno, non temere. Al tuo racconto ed a quello di mia figlia (accennando Costanza) conosco la tua inno- cenza ed ammiro il tuo animo generoso. Il cielo ha vo- luto ricompensartene, e adoro i suoi consìgli. Vivete felici amendue, e siano i vostri figli il conforto della mia vecchiezza. Crebbero qui le tenerezze , gli abbrac- ciamenti ed il pianto.' Il re al tempo stesso spedì una nave a Dublino , invitando il padre di Riccardo a venir .seco alla corte , il quale con dolce trasporto di giubilo

*) Articolar parola ®ort nu^fpred^en. 2) Spiccatosi

NOVELLA UL 11

immantinente vi corse. Benedetti dal cielo qui vissero tutti insieme i di più lieti e più giocondi- e Riccardo ebbe pure il piacere di poter quivi più largamente eser- citare quella beneficenza che era stata il principio della sua fortuna.

NOVELLA III. Ili QUADRO.

J^on è ancora gran tempo che, èssendo governatore di Roma monsignore Enea Silvio Piccolomini, un onest' uomo, a cui l'età avanzala, e la salute, già fattasi cagionevole *), non permetlea di più occuparsi in quel- l'arli con cui e la vecchia sua moglie avea sostenuto fino a queir ora , costretto videsi dal bisogno a dover vendere di mano in mano le poche suppellettili che pur avea per mantenersi. Era tra queste un piccol quadro di RafTaelo, lasciatogli già da' suoi avi, ma di cui egli non sapea conoscere il prezzo. Il fummo che l' avea of- fuscato e la polve onderà lordo pur concorrevano a farglielo riputare di minor conto. Per trarne alcun da- naro egli raccomandossi ad un pittore , il quale era più abile a trafficare di quadri altrui che a farne di propri. Costui non si tosto ^) veduta ebbe la tela , che ne ri- conobbe il pennello ed il pregio. Ma abusare volendo dell' imperizia^ e della necessità der buon vecchio , in- cominciò a beffarsene') come di. cosa vile*, e, offerti- gli pochi paoli, cui finse pure di dargli per alto più di limosina che di compenso *) al valore del quadro, esultando in suo cuore del ricco acquisto e ridendosi della dabbenaggine^) del povero uomo, sei portò via.

*) Cagionevole— Qfhvt(S)lià). ^) Non tosto ~fo 6a(b ale. 3) Beffarsene barùber gu fpotten. *) Compenso ©ts fa^. 5) Dabbenaggine (Sinfàltigfeit.

18 NOVELLA III.

Avvenne dopo alcuni giorni che a casa di questo capitò un vecchio amico, il quale, non vedendo più il quadro che avea veduto altre volte , gli domandò che ne fosse. Ei rispose di averlo venduto , e disse a chi e per quanto. Fremè d'indegnazione *) l' onesto amico al veder tradita la semplicità del buon vecchio ; e , as- sicuratolo che l'opera era di mano maestra e di gran valore , gli fé' coraggio a richiamarsene innanzi ^) al governatore , al quale per animarlo vie più si offerse egli stesso d'accompagnarlo.

Il saggio Prelato, udito il fatto attentamente, si fé' lasciare le misure del quadro, e, presa notizia di ciò che questo rappresentava, i congedò amendue.

Erano nella sua galleria fortunatamente due qua- dri corrispondenti a un di presso nella grandezza a quello di cui trattavasi. A un di questi ei fé' levare la telale, chiamato a se il pittore : Sapreste, disse, per avventura trovarmi una tela da empiere quella cornice e da accompagnare quest'altro quadro? Io l'ho ap- punto , rispose , ed è pittura insigne di Raffaello : essa par fatta a bello studio per esser posta dentro. Or bene , fate dunque eh' io la vegga , replicò Mon- signore: e il pittore, partendo, ritornò tosto col quadro.

Figurava ®) questo una sacra Famiglia toccata con la maggior maestria. Ripuliti dal fumo e dalla polve , i colori n'erano usciti a perfezione: vi si vedeva tutta r esattezza de' contorni, la morbidezza delle carna- gioni *), la vaghezza dei panneggiamenti ^), l' eleganza delle figure , la verità dell' espressione che caratteriz- zano Raffaello. Messa a luogo la tela, ove quadrava as-

*) Fremè d'indegnazione gitteru i?or Uiiwiden. 2) Ri- chiamarsene innanzi iì)n rufeu obn yorforDern. ^) Figurava fltUtc bar. *) Morbidezza delle carnagioni —bie SQBeidj^eit ter ^autfflrbe. ^) Panneggiamento ìDrapirung.

IL QUADRO. IS

sai bene 5 e consideratala per alcun tempo, il Prelato ne chiese il prezzo. Io n' ho 2:ià pronti , disse il pittore, dugento zecchini : ieri un amico me gli ha offerti per un Inglese eh' è impaziente di farne acquisto. Io gli ho rifiutati , tenendomi fermo *) sopra i dugento cinquanta, che r opera ben li vale : pur quando a Vostra Eccel- lenza ella piaccia, di qualunque accrescimento alla prima esibizione mi terrò pago.

Inorridì il Prelato alla malvagità del ribaldo : ma, tuttavia dissimulando, venne dicendogli tranquillamente eh' ei già non voleva contendere che il quadro non fosse di molto pregio; e che molto non meritasse: ma che non sapea con tuttociò persuadersi eh' egli avesse avuto cuore di ricusare una esibizione fatta. Uscì il pittore nelle proteste più gravi e più solenni , che punto non aggiungeva alla verità, e che, quando a Monsignore fosse piaciuto, l'amico stesso gli avrebbe condotto in- nanzi per confermarla.

Voi n avete dunque di certo, replicò quegli, 1' e- sibizione di dugento zecchini?— Io l'ho, Monsignore, e assai più ancora posso sperarne. Or bene : non più. Aprasi tosto quella portiera, disse, rivolto ad uno de' camerieri. Fu aperta : ed ecco apparire il buon vecchio che egli aveva fatto a venire e tenere frat- tanto colà nascosto. E facile a concepire qual colpo orribile fosse al pittore questa veduta improvvisa. Egli impallidì e incominciò a tremar tutto quanto. Il Prelato, lasciatolo alcun tempo alla sua confusione, quindi con aria ^) di severa autorità : Così , scellerato, s' a- busa, disse, dell'ignoranza e della necessità di un infelice? Nell'atto che tu il tradivi iniquamente, non hai tu allora, sciagurato, sentito fremere la natura? Il pane che tu frodavi ad un vecchio cadente non ha

*) Tenendomi fermo sopra bej^anb ouf. ^) Con aria ec trai i^m mit ®rn|ì cntgcgen.

14 NOVELLA IV.

saputo niun rimorso destarti in cuore*? Anima esecra- bile! ben sai la pena che alla tua malvagità si dov- rebbe. Troppa clemenza è il darti sol la condanna che hai tu medesimo pronunziata : ma il ciel ti guardi da nuovo delitto , che il fio ben pagherai aspramente del- l'uno e dell'altro ad un tempo solo. Or i dugento zecchini che per tua confessione quella tela si merita e che protesti d' aver già pronti , darai tu incontanente a quest' uomo: una nuova frode che di te giungami al- l' orecchio sarà la tua perdita.

Atterrito , interdetto partì il pittore ; con lagrime di tenerezza e di riconoscenza il buon vecchio benedisse mille volte il suo saggio benefattore: questi gustò con pienezza il piacere di aver sollevato un miserabile oppresso, e colto nella propria rete un truifatore ribaldo *).

NOVELLA IV. DAlflOJVi: E PITIilL.

Ij'emea Siracusa sotto alla tirannia di Dionigi. Quest' uomo feroce, usurpato con le frodi e con le violenze il trono, col terrore e con la crudeltà cercava soste- nerlo. I sudditi infelici nell' atto che tutto il peso sen- tivano dello sue oppressioni , eran coslretfi a soffocare loro malgrado anche i più giusti lamenti: ogni do- glianza^) che avessero osato, era delitto di morte.

In mezzo allo spavento universale Pitia, giovane fervido e risolulo *), non seppe frenare i trasporti della sua indegnazione. Ad un esempio eh' ei vide della barbarie del tiranno osò levare la voce e deplorare al-

^) Truffatore ribaldo flciiber atelier, ©auner. ^) Do- glianza — ^rage. ^) Fervido e risoluto glu^enb unb tnU fc^loffen.

DAflONE E PITIA. 16

tamente le calamità della sua patria ; ma troppo caro ebbe a costargli il suo sfogo ') e la sua imprudenza. Le spie che Dionigi teneva per ogni parte assoldate ne recarono prontamente l' annunzio. Il tiranno , acceso d' ira , ne giurò fiera vendetta e il giovane infelice si vide tosto da una squadra d' iniqui satelliti *) circon- dato e tratto prigione.

In queir istante s' avviene in lui Damone , giovane d esimia virtù, e che amava Pitia quanto stesso. Colpito a tal vista dal più vivo dolore, a lui s'accosta affannoso. Mio caro Pitia, deh eh' è mai questo*? Che hai tu fatto? Forse la tua inavvedutezza, il tuo ardore soverchio *? . . . , amato Damone , quello che tu hai predetto più volte è alla fine avvenuto. Io non ho sa- puto imitarti , non ho saputo abbastanza seguire i tuoi consigli: ho detestata lungamente in segreto la cru- deltà del tiranno, facendo forza a me medesimo per obbedirti, ma alla fine il mio sdegno ha voluto mani- festarsi ; a tanti esempi di barbarie non ha saputo più star nascosto. Veggo che io ne morrò, ma ad una schiavitù si obbrobriosa la morte è da preferire- Solo m' incresce del vecchio mio padre, della mia tenera sposa, de' figli miei. A te, amico, li raccomando: tu li consola per me \ tu gli assisti : io non avrò più a lagnarmi del mio destino. I rei ministri non consenti- rono che i due dolenti amici s' intertenessero più a lungo : strappati a forza l' uno dall' altro , rimasero crudelmente divisi: Pitia fu strascinato alle carceri, e a Damone non fu pur concesso di seguitarlo.

Oppresso dal più intenso dolore andò questi per r animo ravvolgendo mille diversi pensieri , cercando pure se alcuna via trovar potesse a scamparlo^) ma niuna se gli offeriva. Dopo molto riflettere e molto on-

*) Sfo^o @rgie^unfl feineé .^et^en^. ^) Satelliti •Óàfe^er. ^ ) Sraraparlo iì}n gii relten.

16 NOVELLA IV.

deggiare *), or l' una cosa scegliendo , ora V altra , e tutte poi rigettando siccome inutili o inopportune , ri- solvette alla fine di presentarsi a Dionigi medesimo. In mezzo a guardie numerose, da cui il tiranno, agitato da mille interni timori, non era mai abbandonato un momento , egli venne alla presenza di lui introdotto. Prosteso ^) a lui dinanzi : Signore , gli disse , un gio- vane infelice è stato per tuo comando testé condotto in catene. Io non vengo a far difese per lui, a chie- der perdono : sebbene il suo delitto sia stato effetto soltanto d'impeto giovanile, egli è reo a' tuoi occhi, e ciò basta. La sola grazia eh' io ti domando è che la pena che gli destini sia differita di qualche giorno. Egli ha lontano di qui il padre languente , la sposa , e due teneri figli che troppo hanno mestieri della sua presenza. Permetti, signore, ch'io m'offra ostaggio per lui , che io prenda per pochi giorni le sue catene, che a lui sia libero intanto di rivedere per l' ultima volta la sua famiglia, comporne gli affari, riceverne gli estremi abbracciamenti. Ei tornerà senza dubbio al fissato termine; e, dove pur mancasse, la morte mia pagherà il suo ritardo.

Stupì Dionigi all' udir nuova profferta ; e, mosso a curiosità di vederne l' effetto : Ebbene , disse , due giorni io gli concedo: tu intanto sarai prigione per lui; ma pon mente che se l' aurora del terzo giorno non lo rivede in Siracusa tu sarai il primo a portarne la pena- Lieto Damone della risposta, corre immantinente alla carcere dell'amico, Ivi di propria mano disciolti a lui i ferri, e cintone medesimo'), con affettuosa premura: Va, dice, tu stesso, va a confortare tatua infelice famiglia: due giorni interi t'accorda Dionigi, de' quali potrai usare senza sospetto. Questi bastano a

*) Ondeggiare fdjtoanfcit, 2) Prosteso niebergefatten. ^) cintone medesimo M f»l&l^ bamit umgùrtenb.

D AMONE E PITU.

procurarti una nave e salvarti; sollecitudine soprattutto fa di mestieri : vanne . non perder tempo.

Attonito Pitia a queste parole : Io fuggire ì io, la- sciarti al furore dello spietato tiranno? Deh cosi dun- que or mi conosce Damone? Rendimi tosto, rendimi quelle catene , se è tuo avviso *) che in animo ca- der mi possa viltà e perfidia esecrabile. No, rispose Damone , viltà e perfìdia non sanno aver luogo in un animo qual è il tuo ; se io potessi in te sospettar senti- menti siffatti, già non saresti mio amico. Ma viltà, perfidia farà eseguire quel ch'io t'impongo. Tu hai un padre, una moglie, due figli, a cui devi la tua vita , e che mal potrebbero senza te sostenersi. Io non ho più nessuno per cui importi di vivere: e il morire per un amico, qual tu mi sei, il più dolce per me sarà di tutti i piaceri. Ah! d'un piacere fatto tu non godrai certamente , replicò Pitia : andrò a compiere, io medesimo, poiché t' aggrada '), gli estremi uffici di natura; ^ andrò a dar l'ultimo addio a mio pa- dre , alla mia sposa , a' miei figli : ma domani al pri- mo romper dell'alba mi rivedrai. Te ad essi lasciando in mia vece , farò loro un dono più grande : e con questo bene io spero di consolarli. Cosi dicendo , ab- bracciò caramente il generoso amico, che seco confuse i baci ed il pianto , e frettoloso s' fncamminò alle sue terre.

Ma cade il secondo giorno e forse il terzo , e Pitia non si vede comparire, Damone, persuaso nell' a- nimo che , cedendo alle lagrime della desolala famiglia, procurato ei si fosse Io scampo, era pieno di giubilo. Dionigi , all' incontro , credendosi da lor beff'ato , salì nell'estreme furie: e nel bollore dell'ira sua ordinò

*) Se è tuo avviso tìjenr. 2>u ì>n SJieinung tifi. T' aggrada 2)ic bdieU.

Soave, yovclle. O

18 NOVELLA IV.

che Damone fosse tratto immantinente al supplizio che aveva a Pitia destinato.

Sparsesi per la città il tristo annunzio, e folto s'aduna il popolo sulla piazza a vedere il miserando spettacolo. Quale compiange quivi il tradito amico, quale detesta la perfidia del traditore, ognuno con- danna fra se medesimo la crudeltà del tiranno. Questi in mezzo a mille armati sedendo su d'alto trono gira d'intorno terribile gli occhi infiammati di sdegno, e tutta mostra l' impazienza della vendetta. Damone inca- tenato si avanza col carnefice a fianco. Ognun s' arre- tra 0 alla vista compassionevole : un fremito di pietà insieme e di raccapriccio commove ogni cuore ; su gli occhi di tutti si veggono tremolare le lagrime , che più non sanno celarsi. Nel comune dolore Damone sereno si mostra; ei benedice in suo cuore gli Dei che riu- scite sieno a buon termine le sue brame , che il caro amico sia salvo.

Arrivato in mezzo alla piazza , tranquillamente sta egli attendendo il fatai colpo : e già bendati son gli oc- chi, già nudo è il collo, *ià il ferro lampeggia in alto, quando all'improvviso: Ferma, s'ode gridar di lon- tano, ferma, crudele; e ansante, e tutto coperto di polvere e di sudore si vede un giovane precipitoso af- frettarsi. A tal voce ognun si volge sospeso, e gli fa largo. Egli, giunto nel mezzo: Sien grazie, esclama raccogliendo affannosamente gli spiriti, sien grazie al cielo, che il dovere di figlio non mi ha tolto ili com- piere a quel d'amico : poi corre impaziente a Damone, e sul collo se gli abbandona. Qui nasce nel popolo un bisbiglio^) confuso di pietà , di maraviglia , di gioia: È Pitia, è desso, l'un dice all'altro: deh chi l'avrebbe mai più aspettato ? Chi 1 crederebbe?

*) S' arretra 6ei)t ^mM. ^) Bisbiglio ©efìùfter.

DAMONE E PITIA. 19

Pitia intanto, staccatosi dall'amico, intrepido presenta a Dionigi, che estatico lo riguarda, e appena crede a se stesso. Qui alfin tu miri, gli dice, la tua vittima; mi s'affretti il supplizio, e l'innocente si sciolga. Troppo dura necessità mi ha costretto a lungo ritardo : il padre mio, misero padre ! all' udire la nuova del mio destino cadde improvvisamente , quasi colpito da fulmine , e indarno io ho usato ogni mezzo per ri- chiamarlo ; a dispetto d' ogni arte questa notte mede- sima io ho avuto il dolore di vederlo spirare sotto a' miei occhi. Qui il pianto per alcuni momenti lo inter- ruppe : e poi ripigliò : A tutta forza io mi rapii tosta- mente alle braccia della sposa desolata e dei figli, e m' aff'rettai al ritorno. Ma cercar volendo la via più breve, nel buio della notte, io mi smarrii, per un bosco, dove errai fino all'alba per intralciali sentieri che mi guidarono più lontano. Rimesso finalmente sul noto cammino, raddoppiai i passi, e troppo godo di es- sere giunto a tempo. Rendimi adunque, rendimi i miei ferri , e l' amico sia libero : altro da te non bramo. A tale racconto ninno v'ebbe che più potesse frenar le lagrime; e il tiranno medesimo sentì in cuore un movimento di nascente pietà che cercò invano di soffocare. Ordinò egli frattanto che Damone fosse di- sciolto '). Ma qui ecco sorgere un nuovo prodigio, che vieppiù accresce negli spettatori la maraviglia ed il pianto. Damone ricasa che più si debbano a Pitia le sue catene. È già trascorso , dice egli, il pre- scritto tempo ; ora a me tocca il morire ; tu alla sposa ritorna ed ai figli. II tempo di renderti la libertà, risponde Pitia piangendo, finché tu vivi, non può mai esser trascorso; e ([uesta per ogni legge e per ogni ragione è a te dovuta. Damone insiste nel ricu-

*) Disciolto befreit,

2*

30 NOVELLA V.

sare ; la nobil gara ') s' accende vie più ; ognun dei due ad alta voce domanda a Dionigi la libertà per Y amico e la morte per medesimo.

A si virtuoso contrasto, quel cuore, benché di ferro , non seppe più lungamente resistere. Vinta la na- tiva crudezza ^) la libertà, la vita si deve, disse, ad amendue, e ad amendue la dono. Ma una si rara amici- zia merita di vantaggio ; ella è degna d'un re, ed io sarò terzo fra voi. Cosi dicendo, scese dal trono , e af- fettuosamente corse ad abbracciarli. In quella guisa che sulle scene si vede talvolta a un batter d' occhio can- giarsi un dirupo ^) in un ridente giardino , così in un subito cangiò allora nel popolo ogni cosa d' aspetto. Alla tristezza ed al pianto succedette la festa ed il giubilo 5 ognuno affrettavasi a mirar da vicino i due amici incomparabili 5 ognuno di liete viva e d' applau- si faceva 1' aria echeggiar da ogni parte ; quasi in trionfo vennero essi a' fianchi del re da tutto il popolo, accompagnati al reale palagio.

NOVELLA V. KTfiliREDO.

ttimasto in età giovanile , padrone di medesimo e del trono d'Inghilterra, Etelredo per tempo si abban- donò all' imprudenze e agli errori , in cui è troppo fa- cile a cadere un giovane , il quale nel primo bollore *) non sa ascoltare che V impeto delle sue passioni. Es- sendo un giorno alla caccia , gli venne veduta una gio- vane contadinella , che lietamente cantando si stava

*) Nobil gara cblcr SBettei fer. —2^ Crudezza— ©raufam-- feit.— 3) Dirupo Stliflur^ —*) "Bollore aufioatten.

ETELREDO. Si

alla guardia di una sua piccola greggia: e come bella e graziosa gli parve , cosi incontanente se ne accese. Persuaso egli che ad un 're nulla avesse a far con- trasto '), credette al primo assalto di dover vìncerla fa- cilmente ; ma trovò la virtù di Etelwige , che tal chia- mavasi la pastorella , assai più forte che non aveva im- maginato. Ogni arte di vezzi, e di bei doni e di larghe promesse ei mise in opera per sedarla; ma ogni arte riuscì vana. Lungi però dal temperare r ardore della sua passione , la resistenza non fece che accenderla maggiormente. L' immagine di Etelwige aveva egli mai sempre dinanzi agli occhi : o vegliasse, o dormisse, altro più non vedeva se non lei sola: a mano a mano egli giunse a termine, che senza lei più non parvegli di poter vivere. Non v' era però altro mezzo ad espugnare l'invitta costanza di lei, che of- frirle la propria mano. Ma come degradarsi a questo segno? Come osare di porre sul trono una misera vil- lanella? In tanta tempesta di pensieri egli ondeggiò lungamente; alfine la passione lo vinse: ed Etelwige, che a tutte le altre lusinghe avea resistito invincibil- mente , non seppe resistere a quelle della nuova gran- dezza che inaspettatamente si vide offerta.

Troppo « raro però che una subita e straordina- ria elevazione apporti una vera felicità. Etelwige ben tosto ebbe a pentirsi del suo cangiamento, e a deside- rare nuovamente le liete campagne e la conlenta sem- plicità in cui era nata. Le nozze di Etelredo vennero biasimate altamente da tutto il regno ; contumeliose dicerie*) ne corsero tosto. per ogni parte; e l'infelice regina , sprezzata da ognuno e abbandonata , si vide in mezzo alla corte ridotta alfa solitudine più umiliante e più disgustosa.

^) Far contrasto SBibettìanb leifìtn. ^) Contumeliose (licerle f<^ni5l^li(^cé ©ef^toà^.

,St NOVELLA V.

A poco a poco, ciò nondimeno, la saviezza di lei, la dolcezza delle 8ue maniere seppe vincere l'al- terigia*) de' grandi; e, nel loro animo insinuandosi, ella giunse a vedersi in fine qual loro sovrana pubblica- mente per essi riconosciuta e corteggiata. Ma questa nuova fortuna non servì che a renderle più tormento;^ que' mali che a lei già stavansi preparando. Etelredo, abbandonandosi alla incostanza del suo cuore , in breve tempo dimenticò quell'ardore che avea per lei conce- puto ; e , più di lei non curando , in nuovi amori inco- minciò a dissiparsi. Soffocò Etelwige per alcun tempo il suo dolore; ma, vedendo ognor crescere l'avver- sione del re, tentate inutilmente diverse vie per richia- marlo all' antico affetto , osò per ultimo di provare se le sue lagrime almeno potessero avere sopra di lui qualche forza. Misera! pur non l'avesse osato mai! Non fecer queste che inasprir V animo d' Etelredo più fieramente. Il crudele nel!' impeto del suo furore or- dinò che, tolta di corte, ella fosse racchiusa in un castello, per sempre. I sospiri ed il pianto furono quivi la sola compagnia e il solo sfogo della sciagu- rata regina , finché , consumata a poco a poco dall' in- terno cordoglio, alla sua disavventura più non potè sopravvivere. Lungi contuttociò daU' osar mai di farne al re alcun rimprovero o alcun lamen'.o, nell' atto stesso che avvicinare si vide il termine degli affannosi suoi giorni , a lui scrivendo , usar non seppe che le più tenere espressioni ; e , datogli con queste 1' estremo addio , miseramente perì nell'eia di vent' anni.

Il re udì la morte dell', infelice con sentimenti più di barbara compiacenza , che non di pietà o di ramma- rico ; e , gettata in disparte la lettera senza neppur cu- curarsi d' aprirla , tutti rivolse i pensieri a stringere un

*) Alterigia— '§0(^ttiutr;.

ETELREDO. * t9

nuovo legame con la principessa Emma , sorella di Ric- cardo duca di Normandia , di cui un ritratto avealo in- namorata.

Non andò però lungo tempo che incominciò con essa a pagare per tristo modo la pena della sua passa- ta infedeltà e barbarie. Nel carattere fiero e riso- luto della nuova regina già non trovò la dolcezza di quella, che prima avea iniquamente sacrificata. Lo spirito incostante di Etelredo incominciò a disgutarsene, la regina se ne risenti altamente , la discordia dome- stica si fé' palese alla città ed al regno: la nazione si divise in due partiti: tutto si mise in tumulto e in iscompiglio '), tutto fu pieno di turbolenze e di rivolu- zioni. Quante volte non andò egli allora chiamando la tradita Etelwige! quante volte non pianse la crudeltà che avea contro di lei usata ! Ma troppo tardi.

Un giorno che solitario nelle sue stanze iva scor- rendo alcune carte, la lettera di Etelwige, l'ultima let- tera, che gettato egli avea trascuratamente senza de- gnarsi pure d'aprirla, gli venne improvvisamente sot- t' occhio. Al primo vederla ne riconosce ejìì tosto il ca- rattere ; un fremito di rimorso e d' orrore incontanente r assale ; stende ad essa la mano tremante , V apre , e legge queste parole :

„Ricevete, osire, rultimo addio della moribonda Etelwige. Degnatevi almeno di non odiare la sua me- moria quand' ella non vivrà più. Ah! chi mai, chi mai potrà amarvi com' ella vha amato I Infelice! ella non vivea che per voi solo , non respirava se non per voi ^ per voi erano tutte le sue occupazioni e i suoi pen- sieri. Voi la abbandonate . . . voi la tradite , crudele .. . ella muore."

Questa lettera fu ad Etelredo come uno scoppio di

^) Scompiglio— S3«toirrung.

34 NOVELLA VI.

folgore : parvegli di vedere 1' estreme agonie della tra- dita sua sposa , parvegli di udirne l' estremo sospiro : gettò un altissimo grido : Tu ; barbaro , disse , (u 1' hai uccisa : e immerso restò in un mare di pianto.

Dopo quel momento ei non seppe trovar più pace o conforto. Pensoso e dolente andavasi qua e aggi- rando, senza sapere il dove; e da per tutto sembrava- gli di vedere l'ombra di Etelwige che l'inseguisse. Se- polto in una profonda tristezza, lungi dall' occuparsi de- gli antichi piaceri, abbandonava pur anche le cure del regno , e abborriva perfino la stessa luce. Crescevano frattanto i torbidi -e gli scompigli; e i nemici esteri pur s' unirono agi' interni per affrettargli l' estrema rovina.^ Il re di Danimarca 1' assalse con poderoso esercito ; ei .si oppose : la battaglia fu sanguinosa ; ma al fine , co- stretto a cedere ed a fuggire, sorpreso da una febbre violentissima, straziato da mille rimorsi, oppresso dal peso delle sciagure che troppo avea meritato, finìjni- «eramente, terribile esempio alle anime disleali e crudeli.

NOVELLA VI. TERESA BAIinUCCl.

-Cirano due anni che Teresa Balducci, gentildonna di Fireitze , vedova si trovava con due figli. Usciti questi già di lutela ^), possessori d'un ampio patrimonio, non ritenuti più da niun freno, e animati da perniciosi com- pagni , si erano dati in preda a tutte le sregolatezze *) di una gioventù sconsigliata. Invano la madre adopera-

^) Tutela ^ormunbfc^Qft. 2) Sregolatezze 2Cu«5

TERESA BALDDCCI. 3&

vasi con le ragioni, con le preghiere , a richiamarli dal. mal costume; non era più ascoltata. 11 maggior de' fratelli dimorava tuttora in Firenze ; il minore erasi posto a viaggiar per lllalia.

Una sera che 1" afflitta madre si stava sola piangen- do i disordini de' figli suoi , vede repentinamente spa- lancare le porte, ed entrare precipitoso *), uno straniero tutto ansante^), cogli occhi torbidi, col volto scomposto ^), e con una spada insanguinata alle mani. A tal vista improv- visa ella balzò di terrore ma lo straniero, gettandosi a' pie di lei: Deh! abbiate, -le disse, compassione d' un in- felice. Io son Romano, qui giunto da pochi giorni. Com- piuti gli affari che qua mi avevan condotto , io me ne ri- tornava poco fa all'albergo per dispormi a ripartire. Non lungi di qui uno sconosciuto m'incontra, e nel passarmi d' appresso mi urta villanamente *). Io mi lagno del suo modo inurbano ; egli alla scortesia aggiugne gli insulti e gli strapazzi ^) io mi risento ®) ; egli accresce le vil- lanie, e osa pur anche di minacciarmi arrogantemente. Insofferente di questa estrema insolenza, io trassi la spada; egli fece lo stesso, e ferito d'un colpo è cadu- to a terra. Sa il cielo s' io son dolente di questo invo- lontario delitto. Ma voi , signora , abbiate pietà d' uno sciagurato. Confuso e fuor di mi stesso io mi son dato immantinente alla fuga; non sapendo ove aggirarmi, ho ardito di penetrare in questa casa , che la fortuna m'ha fatta trovare aperla. Deh! non vi spiaccia che questa mi sia d' asilo per qualche ora , finché , sottrat- to alle ricerche di chi potesse inseguirmi, possa a notte più oscura assicurarmi lo scampo,

Gelò d'orrore la gentildonna a questo racconta

') Entrare precipitoso fìùrgt ^inein ^) Ansante-— fd^luer at^ment) —3) Scomposto cntf^eKt *) Mi urta villana- mente—jìopt.grob ouf nii(^.— ^) Strapazzi SWip^anbtung. *) Io mi risento i^ to<rbe unici ttig.

9B NOVELLA VI.

da un nero presentimento invasa , ma pure , non ascol- tando in quel momento che le voci dell' umanità e della compassione , il fé' entrare nel suo gabinetto e colà il racchiuse.

Non furon vani i presentimenti della misera madre. Passati pochi istanti ella udi un nuovo rumore , e palli- da nella sala avanzandosi, recar si vide dinanzi il figlio, che da una larga ferita che aveva nel petto versava rivi di sangue. Mise essa un alto grido , e il figlio , che quasi esangue ') già vicino sentivasi al fatai punto, raccogliendo 1' estreme forze ; e rivolto alla madre : Voi mirate in me, disse, un esempio della giusta punizione del cielo: io l'ho meritata: vaglia al- meno la mia morte al mio fratello d' avvertimento. Se il mio uccisore fosse arrestato, voi, madre, pigliatene le difese. Egli è innocente , io sono che l' ho pro- vocato.

Egli spirò a tai voci , e la madre cadde su lui tramortita^). Staccata dal cadavere del figlio, lasciò essa per lungo tempo i circostanti indubbio della sua vita; si riebbe che a g^^an fatica, e per abbando- narsi a dirottissimo pianto. Ella andava ad ogn' istante richiamando suo figlio ; volle rivederlo , e d' estrema forza fu d' uopo per discostarnela ^).

Qual non fu intanto il dolore e lo spavento del giovane straniero , il quale dal gabinetto , dov' era chiuso, sentiva tutto l'orrore di questa tragica scena a cui egli sciaguratamente avea avuta la prima parte ! Da un canto il cordoglio d' aver formata l' infelicità di una madre rispettabile gli facea desiderare d" esser ca- duto in vece egli stesso sotto ai colpi del suo nemico ; dall' altro il timore d" esser sorpreso facevagli ad ogni

') Quasi esangue 6clnaf;e tìcrtlutet. ^) Tramortita ol^nmàrfitig. ^) Discostarnela - |ìe »on i^m ju trennen, cnt* fernen.

TERESA BALDUCCL 89

nuovo movimento, ad ogni nuovo rumore gelare il sangue.

In quest' angustia egli stette lin oltre alla mezza- notte : quando , essendo già tutto tranquillo , e avendo il dolor della madre pur dato luogo alla riflessione, ella andò al gabinetto e Taperse. Prosti'ossi il giovine a pie di lei, e: Il cielo, disse, il cielo io chiamo in testi- monio , se tutto il mio sangue io non darei volontieri . . . Alzatevi, disseta gentildonna: voi m'avete renduta la più infelice madre che mai vivesse , ma so la vostra innocenza. Mio figlio m' ha ordinato pur di difendervi, ed io lo debbo. Un calesse ven'à fra poco a levarvi : uno de' miei domestici vi sarà scorta sino ai confini ; questa borsa vi servirà di sussidio: il cielo vi dia quel- la tranquillità che a me avete rapita.

Il giovane romano si senti struggere *), a questa generosità, di dolore e di tenerezza. Ah! mai, disse, mai non saprò perdonare a me stesso d' aver afflitta una dama adorabile. Fece per lei mille voti, baciò mille volte la sua mano benefica, e parti conte lagrime, risoluto di fare ogni opera per provarle, quando la for- tuna i mezzi gliene offerisse , il suo rammarico e la sua riconoscenza. La fortuna non tardò molto a presentar- gliene l'occasione. Passato appena Viterbo, s'abbatte in un giovine che , assalito da due masnadieri, a grave stento si difendeva. Ei balza subito di calesse , vola a soccorrerlo, gli assalitori prendon la fuga: ma il gio- vine era ferito. Presolo in sua compagnia, a Viterbo cortesemente ei lo riconduce: e come per buona ven- tura la ferita era leggiera, cosi ben presto quegli ne fu sanato. Mille ringraziamenti il salvato giovine ren- dette al suo liberatore ; ma chi può esprimere la con- solazione ed il giubilo che questi ebbe , allorché intese

*) Struggere— jerjìief«;n.

86 NOVELLA VI.

lui essere il fratello di quello stesso che sgraziatamente egli aveva ucciso in Firenze ? Teneramente abbraccian- dolo: Quante grazie, disse, io debbo al cielo che m ab- bia offerto il modo di ricambiare in qualche parte il be- neficio che dalla madre vostra adorabile Iio ricevuto ! Eternamente io F avrò scolpito nell' animo; e mai per ninna cosa la mia gratitudine verrà meno. Voi, af- frettatevi intanto a rivederla : ella ha estremo bisogno di voi , e vi sospira ardentemente. Ditele che quel me- desimo a cui ella ha salvata la vita ha avuto or la for- tuna d' impiegarla per voi , e che tutto il restante desi- dera pur di spendere interamente per amendue.

Sorpresa amarissima fu al giovine Balducci quando arrivò a Firenze l'intendere dalla madre ciò che era av- venuto. Il dover riconoscere in una persona medesima r uccisore di suo fratello e il proprio liberatore gli ec- citava una confusione di affetti 0 che si combattevano stranamente V un 1' altro. Udendo però l' innocenza di luì , scemò r orrore che sulle prime contro di esso avea conceputo; e il sentimento della gratitudine, per la vita che gli dovea, riprese tutta la sua forza. Piangen- do la morte del fratello non potè a meno di non adope- rarsi egli stesso perchè l'uccisore ne rimanesse assolto. -Frattanto i due spaventevoli esempi , che aveva dinanzi agli occhi, gli fecero la più profonda impressione. Vide a quai pericoli espongono gli errori d' una incauta gio- ventù , cambiò interamente costume, e con la sua sag- gia condotta consolò finalmente la madre dell' amara perdita che aveva fatta.

*) Gli eccitava una confusione di affetti ertcecf te in il^m fine ^cvn.nrrung ter ©emut^ékweQnngen.

S9

NOVELLA Vn.

AEiITIlIH O li A FELICITÀ.

Noi^eìla Aruba.

1^ on ci ha uomo , il quale non ami d' esser felice , e che moli' opera non impieghi per divenirlo ; e non ci ha uomo, il quale non si lagni di non poter mai giugnere a quella felicità, che con tanta fatica e tanto affanno va ricercando. Ma donde avviene egli mai che fra tanti, che di continuo e premurosamente ne corrono in traccia '), niuno o quasi ninno mai possa giugnere a rivenirla? Sarebbe mai che il più degli uomini, dietro a false guide ^\ disviassero ^) dal cammino che a lei con- duce , e colà appunto l' andassero ricercando, ov' è più difficile il ritrovarla'? Io ne dubito fortemente , e la se- guente novella potrà offerirci per avventura sopra di questo un' immagine opportuna in cui specchiarci. Ella é favolosa; ma spesso di gran verità sotto al velo delle favole si nascondono.

Un pastore d'Arabia, per nome Alimek, mentre un giorno con la sua greggia vagando andava oziosa- mente dall'uno all' altro pascolo ^), vide sotto ad uu monte una grotla coperta all'intorno di piante e di ce- spugli,, e fu vago *) di entrarvi. Era questa al primo in- gresso tenebrosa, ma si vedeva dal fondo illuminata da un raggio di luce che scendeva dall'alto. Avanza- tosi a quella volta trovò da un canto della caverna una borsa, un anello ed un vecchio papiro. Stese egli tosto alla borsa avidamente la mano; ma affatto vota senten- dola: Deh! mal ti sia, disse, che altro non hai saputo fuorché lusingarmi senza profìtto. Oh ! s' ella era piena (1 oro! . . . Ma che giova il bramarlo? Or vanne, e resta

^) Corrono in traccia fuc^en nac^. *) Disviarsi wxtt rec^tcn, SBegc obtodc^en. —3) Pascolo 5Deibc, *) Vago bc^ 3i«rig.

so NOVELLA VII.

in tua malora ove finora se' stata; e così dicendo, gei- lolla sdegnosamente per terra.

Al battere eh' ella fé' sovra un sasso , Alimeli udì un suono che parve d'oro. Attonito la raccoglie di nuovo, e la trova piena. Cielo! che è questo mai? Per Ma- cone, qui v'ha un incanto. Ma checché sia, di quest'o- ro io mi godrò a buon conto. Ciò detto , piglia l'anel- lo e il papiro, e s'incammina a passi concitati fuor della grotta. All' uscirne : Addio , selve , diss' egli : finché ho quest' oro io vo' trastullarmi : ah ! s' io fossi alla Mecca!... Non ebbe campo a finire, che già alla Mecca si ritrova. Stordito più che mai, apre con man tremante il papiro , e vi legge : La borsa sarà piena d' oro qualor tu vorrai ; colf anello sarai tostamente dovunque ti sarà in grado.

A tale avviso la curiosità di veder nuove terre fu la prima che Alimek sentì nascere in cuore, e che volle subito appagare. La felicità di trasportarsi da un luogo air altro fece che in poco tempo ei potè correre una gran parte di mondo. Trovò egli a principio diletto grandissimo nell' osservare la varietà de' paesi , la dif- ferenza dei climi, i prodotti diversi della natura, i diversi sforzi dell' arte , la diversità de' costumi e degli usi delle varie nazioni. Ma dopo alcun tempo questo diletto incominciò a scemare *) più inoltravasi, e più ve- deva che la varietà, onl' era stato allettato in sulle prime, andavasi diminuendo; che le arti e la natura offerivano pressoché da per tutto gli stessi oggetti o lor somiglianti; che gli usi e i costumi degli uomini tutti, prodotti dalle medesime passioni, non si distin- guevano che per piccole differenze. Cessando il solle- tico ^) della novilà, cessò pur anche la curiosità inte- ramente ; e, sazio di viaggiare, egli pensò di riposarsi.

*) Scemare abncl^mcn. ^) Solletico diii^.

ALIMEK 0 LA FELICITÀ. 31

Scelse a tal fine la città di Costantinopoli, ove gli parve di poter meglio godere di que' piaceri che le sue ricchezze agevolmente potevano procurargli, e dove il concorso di tante genti diverse potea servire a rinno- vargli la memoria di ciò che ne' suoi viaggi aveva in diversi luoghi osservato. Si diede ei quivi pertanto a gustare d' ogni passatempo *), a soddisfare ogni sorta di capriccio, a nuotare nelle delizie e nei sollazzi. Ma non andò guari che anche di questi si trovò stanco. A forza d'uso, le voluttà più squisite gli diventarono in- sipide: più studiavasi di variare, e più incontrava da per tutto la sazietà; Y animo disoccupato era oppresso da una noia insoffribile. Una infermità che gli soprav- venne, e che era effetto de' suoi disordini, fini di con- vincerlo che la felicità non è posta in una vita molle, voluttuosa; e determinossi di ricercarla nell'occupa- zione e negl" impieghi.

La vastità delle sue richezze gli procurò facil- mente de protettori e degli amici: le cognizioni, che avea aquistate ne' suoi viaggi il fecero agevolmente ri- putare abilissimo agli affari più grandi. Ei salì presto di grado in gi-ado alle cariche più sublimi, finché pur giunse alla massima di gian Visir. Qui gli affari inco- minciarono ad assediarlo da ogni parte: ora gli ordini del sovrano , ora i ricorsi de' sudditi non gli lasciavano un momento di libertà e di riposo. I capricci dell" effe- minato monarca, l'inquietudine delle donne del serra^ glio, le cospirazioni e le cabale degl' invidiosi e degli emoli lo tenevano continuamente in agitazione e in timore. Ei cominciò a ijentire per prova che le di- gnità e gli onori non ad altro riescono ') finalmente che ad un' illustre schiavitù. Sazio di questi ancora, pensava già a ritirarsi , quando , arrivala la nuova a

- ^) Passatempo - 3«t0frttf ib, ?) Riescono gcrcit^en.

38 jsovEij.A VII.

Costantinopoli che la Persia disponevasi a muover guerra, incaricato di affrettarsi con forte esercito a fre- nare l'orgoglio de' nemici, si senti pungere dal deside- rio della gloria, e v'ax^corse.

Le prime due battaglie riuscirongli felicissime ^) sbaragliati^) i nemici, gli obbligò a ritirarsi intera- mente dal Turchestan, che già avevano occupato. Ei fu ricolmo perciò d' elogi e d'onori: il nome di Alimek risuonava d'applausi per tutto l'impero: e il gran Sul- tano già preparavasi a riceverlo nella capitale con pom- pa solenne , quando , avanzatosi con troppo ardore nel paese nemico, ei cadde imprudentemente in un ag- guato') non preveduto, e non potè liberarsene se non con grave perdita dell' esercito. La scena cangiò allora ad un tratto: gli elogi mutaronsi in esecrazioni; in luogo del preparato trionfo ei si vide presentare nel cor- don d'oro la morte.

Fortunatamente l' anello il trasse fuor di pericolo : egli scomparve : e dopo avere trascorse varie parti del- l' Indie , seco portando sempre il disgusto e la .inquietu- dine, si fermò da ultimo nella città di Golconda.

Signoreggiava colà una principessa'di tal bellezza, che riputavasi la niaraviglia dell' Asia. Alimek al primo vederla ne fu colpito , e cercò tosto di essere introdotto alla corte. La magnificenza, con cui presentossi, la molta avvenenza, ond' ei pure si distingueva, le sue maniere nobili e leggiadre, i suoi discorsi eleganti, vivi e variati , le notizie dei vari paesi che aveva tra- scorsi, attrassero l'attenzione di Selima, che tal no- mavasi la principessa, e gradita a lei fecero la com- pagnia di Alimek. Ei fu invitato a trattenersi in Gol- conda, invito che ben accettò di buon grado: furono

^) Riuscirongli felicissime fteten fiir i^n fe^r gtucftic^ an^. 2) Sbaragliati jerf^jrengt. 3) Agguato ^olk.

\LIMEK 0 L.\ FELICITÀ. SS

a «uo rig^uardo apprestate 0 feste, cacce, divertimenti: egli lial canto suo , negli abiti , nelle gioie , nel ricco corteggio^), andava ognora manifestando vie più Jia sua ricchezza e il suo gusto. Selima a poco a poco entrò seco in intima confidenza: parve eziandio infiam- marsi per lui d'amore: giunse pur anche a fargli spe- rare la sua mano: ebbro di contentezza, Alimek già credevasi pervenuto a quella felicità che andava da tanto tempo cercando, quando l'invidia de' cortigiani, che troppo mal sofferivano di dover servire ad uno straniero, seppe ordire^) contro di lui una si nera ca- lunnia, e, con tutti i colori della verità e dell! evidenza, agli occhi della regina si ben dipingerla , che ella de- cretò immantinente la di lui morte ; e al valore del suo anello, fu a lui mestieri ricorrere nuovamente per li- berarsi.

Di partito coli" animo pien di rammarico e di dispetto che svanite fossero in un punto le sue spe- ranze, e riuscita al nulla tutta quella felicità che so- gnava d' aver trovata, alla fine, cercate varie altre parti dell'Asia senza sapere ove mai arrestarsi, inquieto sempre e scontento di medesimo, determinò final- mente d' incamminarsi verso alla Cina. Qui , mentre solo e occupato da' suoi tristi pensieri aggiravasi un di fra romite campagne , udì da un lato il rimbombo ài lieti suoni e di canti, e mosso a curiosità di sapere che fosse, colà si volse d'onde partivano. Giunto ad una casa campestre, ci vide una turba di contadini e contadinelle , che suonando e cantando, e fra loro fe- stose danze intrecciando, allegramente si sollazzavano. Maravigliato al mirare la gioia , che si pura e sincera su d' ogni volto appariva , ei s' accostò ad un vecchio di veneranda canizie, ilqual nell'ilare aspetto mostrando

*) Apprestate (tereitct, tìeranfìaUet. 2) Corteggio 53e? ^tcitiing. ') Ordire an^ticU.

Soave ^ Novelle. 3

34 NOVELLA VII.

tuttora la giocondità, e il vigore d'un corpo e d'un animo nulla abbattuto *) dagli anni , Io loro feste si stava con giubilo riguardando; e a lui richiese qual la ca- gione si fosse di quello straordinario tripudio. Ei non è punto straordinario per noi, disse il vecchio, nei consecrati al riposo, prestato il debito culto al Dio tu- telare de' nostri campi, con innocente sollazzo così si passano lietamente fra noi le ore che ne rimangono» Voi compensate ben dolcemente, disse Alimek, il peso delle fatiche che vi convien sostenere , e della vita in- felice che siete astretti a menare negli altri giorni. Il vecchio, a lui sorridendo: Io ho già corsi, rispose, oltre a settant' anni in questa vita medesima , ne saprei dirvi di averla trovata mai infelice. So che a voi grandi non sembra potersi avere felicità ove molto oro e molto argento , e preziose gemme non si veggan risplendere ; ma a noi contadini, allorché, entrando nelle vostre città, veggiamo i tumulti e le inquietudini che vi re- gnano, le vostre ricchezze destano ben più sovente com- passione che invidia. La tranquillità non è fatta per voi ; l' avarizia e l' ambizione ve la rapiscono ad ogni tratto ; e ove non è tranquillità, la felicità non ha luogo. Noi siammen ricchi di voi; l'oro e l'argento appena da noi si conoscono: ma ciò che con questi voi comperate, la nostra greggia e le nostre terre ci forniscono ab- bastanza; e noi Siam contenti e felici.

Sorpreso Alimek alle parole del vecchio, e desi- deroso di pur sapere com' ei potesse tra la povertà e le fatiche godere di quella felicità che in mezzo agli agi e air opulenza ei non aveva potuto trovar ancora , prese deliberazione, d' intertenersi*) alquanto con lui. Ben, disse, è strano per me, che uomini, siccome voi, astretti a vivere di continuo fra le fatiche e gli stenti, ^) Abbattuto niebergeBeugt. '^) Intertenersi jx(3& gu

ALIMEK 0 LA FELICITÀ. 35

possan mai dirsi felici. Il lavoro, rispose il vecchio, a chi è avvezzo da lungo uso ad un ozio perpetuo, può sembrar forse di grave pena, ma a noi non è che un sollievo. Io non ho mai passate ore si Iris' e come quan- do talvolta mi son veduto costretto a cessare da' miei usati esercizi, e a rimanermi senza far nulla. Il tempo m'andava allora d'una lentezza insoffribile, e mille anni pareami ogni momento. AUor eh' io sono occupato a' miei lavori , io mi trovo al fine della giornata senza pur quasi avvedermene , sento mai un istante il peso gravissimo della noia che ho provato si intollerabile ogni qualvolta sono stato forzato a rimanermi ozioso. Ma il peso continuo della fatica, disse Alimek, vi conviene soffrire , che è ben ancora più grave e più intollerabile. Il peso della fatica, rispose il vec- chio, è grave per uno schiavo che è costretto a sof- frirla suo malgrado forzatamente , e senza potere pur riposarsi quando il bisogno lo chiede. Ma tale non è fra noi: ove sia stanco, io mi riposo tranquillamente quant' è mestieri , per quindi riprendere il mio lavoro con maggior lena: io non soffro pur mai che altri fa- tichi oltre al dovere o alle sue forze. La fatica allora non è più un peso, ma un piacevole esercizio: ella ci occupa e ci distoglie ') da ogni tristo e noioso pensiero ; il corpo n'accjuista più sanità e robustezza, e va esente da' mali, a cui gli uomini scioperati^) sono sog- getti cosi sovente : il cibo ed il sonno dopo di quella ci son dolcissimi; e nel tempo medesimo eh' ella dura, il pensiero de' frutti, che hanno a derivarcene, è per noi un diletto continuo, che voi ricchi e grandi non co- noscete. Ogni solcò ') 'ch' io fo nel mio campo mi richia- ma alla mente il lieto giorno della raccolta , e questo pensiero me ne fornisce tutto il piacere innanzi tratto.

') Distoglie kingt un« ab. —2) Scioperato —mfipig. ») Solco ^m(S)c.

36 NOVELLA va.

Ma il frutto che da lunghe fatiche voi raccogliete, di-se Alimek, alla fine è ben piccola cosa, se a quello si paragoni, che i ricchi godono senza fatica, stento alcuno. ^Ouand' io mi traggo pienamente la sete *), ri- spose il vecchio , a questo piccol ruscello che qui ac- canto ci scorre , che importa a me che altri beasi tutto THoango? Il mio campo e la mia greggia mi dan quan- to basta a soddisfare a' miei desiderj e a farmi conten- to : che deggio io chieder di più ? La felicità non è po- sta nell'aver molto, ma nel sapere tranquillamente go- dere di ciò che ne l'industria o la fortuna, e sa- pere appagarcene. Voi, che nuotate nell'abbondanza, voi siete realmente di me più poveri, perchè sempre più lungi si stendono le vostre brame. Pochi bisogni impone a noi la natura, e questi son facili a soddi- sfare. Mille altri , eh' io non conosco e non curo , a voi ne forma continuamente il capriccio , e il poter appagarli vi è poi cagione perpetua di amarezze e d' in- quietudini. Tre cose (e voi potete ben prestar fede ad un vecchio, a cui è stata maestra una lunga esperien- za, e che nel corso de' giorni suoi ha veduto sovente non meno il moto e il bisbiglio della città, che la quiete e il silenzio delle campagne), tre cose alla feli- cità si ricchieggono , e non più , ma queste son tutte e tre indispensabili; io voglio dire tranquillità, occu- pazione e contentezza. Sappiate serbar l'animo tran- quillo , tenendo lungi le nimistà , le discordie , fre- nando le passioni, vincendo o sopportando con fer- mezza i mali indispensabili all' umana condizione ; sap- piate fuggir la noia col fuggire lozio , ed utilmente occuparvi; sappiate goder saggiamente de' beni, o po- chi o molti , che il ciel vi comparle , e accontentate- vene ^) : ^ voi sarete felice.

0 Trarre la sete ben Sutfì fìitten. ^) Accontentate- vene ^egnùgt (§u<ì).

ALIMEK 0 LA FELICITÀ. 99

Stupì Alimek al trovar tanto senno in un uomo di villa, e r ultima parte del suo ragionamento gli si stampò più di tutto profondamente nelF animo. Preso da lui con- gedo , andò fra se ripetendo ciò che avea da lui udito ; e più in suo cuore vi ripensava, più vere pareangli le sue sentenze. Che veramente, dicea fra medesimo, quella felicità , eh' io son ito finora cercando con tanto studio , alberghi fra le campagne , ov' io son nato , e ch'io, da lor partendo, non abbia falto che andar pur sempre da lei più lontano? Ah! ben funesto allora si avrebbe a dire il segreto eh' io ho trovato nella grotta , e di cui tenevami fortunato ! Ma se pur ben vi ripenso , che posso io dirne altrimenti Qual prò finora da un tal segreto m'ho io raccolto V)*? Stanco e annoiato dal vagai' qua e , da cui altro non ho ap- preso fuorché la trista cognizione della malvagità de- gli uomini , da per tutto uniforme, e delle loro strava- ganze pazzamente variate- nauseato da insulsi piaceri, che mai un istante di vera soddisfazione non mhan prodotto, e m'hanno in vece condotto al margine^) della tomba ; oppresso per una vana ambizione da un tumulto (h' brighe , d^ inquietudini , di disgusti , che ho veduto pur finalmente ricompensati con un capestro'); iniquamente tradilo da una donna, che simulava d'a- marmi , e che tanto avea lusingate le mie speranze , io YO ora aggirandomi senza saper il dove, fatto oggimaf odioso e insopportabile a me stesso. Quanto era meglio il restarmi nelle native campagne e nella mia primiera .semplicità! Il cibo, ch'io gustava, era meno arti- ficioso-, ma r appetito , che mai non mancava, quanto rendevalo saporito ! Le vesti eran semplici, ma quanto meglio mi riparavano dalle intemperie delle stagioni, che quelle che m' ha prescritte dappoi qua e il ca- priccio volubile della moda! Era povera la mia ca-

') Raccolto -geerntct. 2) Margine JXan^ ») Cape- stro—©trfcf.

3S NOVELLA VII.

panna 5 ma quanto dolci in essa io dormiva i lunghi sonni 5 lontano da ogni inquietudine , da ogni moleisto pensiero! La guardia del gregge, o la coltura del campo 5 mi occupava fra la giornata-, ma quanto era da preferire siffatta occupazione all' ozio , compagno in- separabile della noia che tante volte m' ha oppresso ! Ah! ben ragione ha il venerabile vecchio, che il ciel" m'ha fatto incontrare, per tonni d'inganno: egli è la voce d' un Dio propizio che mi richiama sul buon sen- tiero ond' io ho traviato , e convien seguitarlo.

Passata tutta la notte fra questi pensieri, al primo spuntar dell' alba ei si leva subitamente , e al buon vecchio tornando, il prega a voler consentire ch'ei seco viva per 1' avvenire , e incominci pur finalmente a gustare con lui di quella felicità che, cercata per ogni parte a quel tempo, l'avea sempre fuggito. Il vecchio con un piacevol sorriso; Io godo, a lui disse, chela semplicità e l'innocenza del viver nostro assai più fe- lice vi paia che forse ieri non vi sembrava ; ma questa vita or sarebbe per voi , la felicità alberga solo fra le campagne. In mezzo ancora al tumulto delle città , in mezzo ancora all' opulenza voi potete trovarla qualor vogliate. Basta che la tranquillità dello spirito serbar sappiate costantemente ; che sappiale esser pago dei voslri beni, frenando i soverchi desiderj , insazia- bili sempre di lor natura, e lungi dall' ozio sappiate in alcuna cosa onestamente e saggiamente occuparvi: altro di più non si chiede.

Tutto potrei, ben lo veggo, rispose Alimek, ma troppa faìica mi costerebbe il cercarmi per me medesimo una via per esser felice, che voi già pronta mi presen- tate. Dall' altro canto il viver campestre non è si nuovo per me, eh' io non possa agevolmente accomodarmivi ^).

*) Accomodarmivi mid^ barati Uqmmtn.

ALIMEK. 0 LA FELICITA. 99

£ qui si fece a narrargli qual fosse l' origin sua , come avesse trovato nella grotta la fatai borsa e l'anello, quah vicende ^) gli fossero poscia accadute. Indi al buon vecchio e l' uno e Y altra porgendo ; A voi, disse, io ne fo dono , sol che vi piaccia eh' io più quind' in- nanzi da voi non abbia a partirmi. Il saggio vecchio,^ ciò udendo: Or bene, rispose, poiché v'aggrada, io accelto il vostro dono, ma non per usarne , che il ciel mi guardi da cosi tristo pensiero ; sol per serbarvelo, quando pure giugnesse un tempo che , stanco della fru- galità e semplicità della vita che qui si mena , amaste di ripigliarlo. Comunque savio sia il consiglio che avete preso, ei parmi tuttavia un po' precipitato, e ad un tardo pentimento potrebbe un giorno condurvi. Voi fa- rete , finché v' é a grado , l' esperimento di ciò che si usa fra noi: ove questo vi piaceli, il restare sarà in poter vostro ; ma quando venga a dispiacervi , io non voglio che per alcuno vi sia disdetto *) il riprendere i vostri doni, e partirne.

Lietissimo fu Alimek dell' amorevole accoglimento e della saggia deliberazione del vecchio; e, deposti incontanente i vani pensieri che in mille guise fino a quel punto l' avevano travagliato , nella tranquillità, nella parsimonia e nella occupazione incominciò a sen- tire quel piacer puro e quella piena soddisfazione del- l' animo che dapprima non conosceva. Trascorso alcun tempo, lungi dal pentirsi della presa risoluzione, tro- vandosi anzi di lei più pago ogni giorno , pensò a co- ronare interamente la sua felicità e fissarla per modo, che più non avesse a fuggirgli. Avea il buon vecchio una figlia , in cui la bellezza era eguale al candor de' costumi. Alimek , quando parvegli di aver dato siffatto saggio di se medesimo, che il padre dubitar non do-

*) Vicende— Stbenteuet.— 2) Disdetto tjetfagt.

40 NOVELLA Vili.

vesse di accordargliela in isposa , a lui ne fece istan- temente l'inchiesta; ma troppo questi per lungo uso conoscendo l'.incostsnza dell' uman cuore, e troppo an- cor diffidando della fermezza di Alimek , volle che assai più a lungo continuasse l' incominciato esperimento. Alla fine certe prove in lui vide d' un animo piena- mento contento del nuovo stato che aveva assunto , e lontano dall' aver più pensiero di dipartirsene, che dif- ferir più non volle ad appagare i suoi voti : e Alimek, giunto pur finalmente a quel colmo di felicità , che le richezze , i piaceri , gli onori non avean saputo mai procacciargli , volle che la borsa e l' anello fossero se- polti in parte, ove, non più trovati da venm altro, più non potessero , siccome a lui , destare il funesto pensiero di rendersi infelice col ricercare la felicità dove meno può ritrovarsi.

l^OVELLA Vili.

J^idney

Bidulph, d'illustre e ricca famiglia dell'Inghil- terra, rinunziato, per obbedire alla madre, il partito di lord Falkland , signore ricchissimo , da cui era ado- rata, e eh' ella amava, si unì in vece a Mr. Arnold, che dopo averla trattata nella maniera più dura, e aver perduti, parte per la sua scostumatezza, e parte per una lite sciagurata, quasi tutti i suoi beni, la lasciò vedova con due figlie. Ebbe poscia il dolore di per- dere anche la madre, ch'era il suo solo sostegno, e interamente abbandonata da un ricco fratello , insultata iniquamente da una cognata orgogliosa ed avara, co- stretta si vide a ricoverarsi entro una povera casa in due piccole camerette ad un ultimo piano, ed ivi pas- sare oscuramente i >8U0i giorni quasi nell'ultima mendi-

SIDNEY. é\

cita. Per colmo di disavventura le due piccole figlie, eh' ella amava teneramente , furono quivi sorprese da un vainolo maligno, che dopo aver tenuta 1" afflitta ma- dre in un" angustia acerbissima per più giorni, prese finalmente una piega migliore, ma la costrinse frattanto a consumare in soccorrerle tutto' quel poco che ancora le rimaneva. Più di un mese le conveniva per anche aspettare innanzi di riscuotere quella terme pensione, frutto di un avanzo della sua dote , che per la crudeltà del fratello era divenuta la sua unica sussistenza. Le figlie intanto incominciavano a risanarsi: ma la debo- lezza, in cui erano, esigeva un nutrimento migliore, ed ella più non poteva oggimai procurarne loro d'al- cuna sorta. A questi estremi la misera non trovò al- tro partito che di spogliarsi interamente de' pochi abbigliamenti che le restavano, e convertirli in danaro. ■Commise ^) pertanto a Patty, suafedel cameriera, (che dopo averla accompagnata costantemente in tutte le sue sciagurate vicende, non volle pure negli ultimi mali da lei staccarsi) di trovarne in qualche modo lo spaccio, per provvedere a medesima e alle sue figlie. La giovane affettuosa, guardandola con aria di compas- sione , che ben mostrava quanta pena nell' animo ne ri- sentisse : Voi non siete , le disse con voce dubbia , non siete per anche , madama , a si dure estremità. Io lo sono, Patty; quel ch'io aveva, e ben sai s'era scarso , è già del tutto consumato. Dall' altra parte io non ho più mestieri di questi vani ornamenti , e patir ncn posso (\i vedere le mie povere liglie man- car di quello che loro è necessario a pienamente ri- stabilirsi. — Non ne mancheranno pure , madama , sol che vogliate permettermi di provvedermi. lo conosco, mia cara Patty, il tuo buon cuore, ma come puoi tu

*j Commise— bfaujìragff.

48 NOVELLA Vili.

essere in grado di sovvenirle ? -^ Voi sapete eh' io ho qualche destrezza *) a' donneschi lavori. La nostra al- bergatrice in siffatte opere è sempre di molto affac- cendata : io le ho offerto i miei servigi , e d' un lavoro che le ho fatto in questi ultimi giorni ho già avuto trenta scellini. Come! trenta scellini! s'io non t'ho quasi vedula mai occupata in altro che a meco divi- dere l'assistenza per le mie figlie! Io suppliva la notte a quello che non poteva fra '1 giorno , e l' assiduità mi ha fatto compiere assai più eh' io medesima non ispe- rava dapprima. Or se v' aggrada , madama, io seguirò a- far lo stesso, e il mio lavoro potrà bastare , io spero, senza che abbiate a spogliarvi pur di quel poco che avete ancora.

Sidney , piangendo di tenerezza e di gratitudine : Mia cara Patty, le mie lagrime, disse, abbastanza ti danno a conoscere quanto io sia sensibile alla bontà del tuo cuore , ma a Dio non piaccia eh' io voglia ritenere il frutto della tua industria e delle tue fatiche. Quello che tu puoi guadagnarti, debbe esser tuo; io mai soffrirò che tu abbia a spenderlo per mio riguardo.

L' amorosa giovane fra la confusione e la pena : Io vi prego , disse , a perdonarmi , se ho forse ardito soverchiamente , ma io ho già impiegata a questo fine una parte del danaro che ho riscosso. Io ho creduto che le vostre bambine, adesso convalescenti, avesser uopo di qualche ristoro per rinforzarsi, e voi stessa, madama, dopo le fatiche e le inquietudini che la lor malattia v'ha cagionato, parmi che avreste pure biso- gno d' un tal soccorso. Io ho dunque comperato alcune piccole bagattelle che ho creduto più convenevoli: deh! non abbiatelo in mala parte.

Ah , mia cara Patty, rispose Sidney , stringendole

*) Destrezza @efc^i(fli(^feit.

SIDNEY. 4S

amorosamente la mano e fortemente piangendo , mia troppo tenera e affettuosa Patty, io non posso già certo averlo a malgrado; io ne sono anzi penetrata profonda- mente: accetto il tuo dono: ma deh! sia T ultimo: io ne sarei troppo vivamente commossa. Or che le figlie mi lascian tempo , m' applicherò io stessa al lavoro, an- ziché spogliarmi di cosa alcuna , giacché pur veggo che ciò ti si gran pena.

Sazia però ancor non era la rea fortuna di tor- mentar r infelice Sidney. Appena le figlie incomincia- rono a rinvigorirsi , ella medesima fu assalita danna crudel malattia prodotta dalle afflizioni che avea sofferto e dai disagi a cui l'infermità delle figlie l'avea costretta*, malattia. che> facendosi di giorno in giorno più grave, la mise in pericolo della vita e la tenne per lunga pezza inchiodata in un letto. In questo ella si vide obbligata pur suo malgrado a dover usare dei soccorsi della fe- dele Patty 5 che troppo avventurata si riputava di poter bene impiegarli. Alla fine il male pur cominciò a ral- lentarsi , ed ella ebbe frattanto eziandio un trimestre della sua tenue pensione, di cui volle tosto che una parte si occupasse a rimborsare Patty di quello che avea speso per lei, serbando al mantenimento di se e di sua famiglia il restante.

Non era per anche del tutto ristabilita , quando un vecchio, poveramente vestito , alla casa di lei presen- tandosi, domandò di parlarle. Fattolo introdurre, ed accoltolo cortesemente, ella chiesegli q lal cagione colà lo guidasse. Il vecchio, attentamente guardandola, in- cominciò a sospirare, e poscia in aria timida e som- messa'): Vi sovverrebbe, disse, egli mai d'aver avuto «n parente nomato Warner, che passò all' Indie Orien- tali, or sono circa a trentanni? Me ne sovviene,

*) Aria timida e sommessa mit fc^euer utrt unterwiiirfìa«r mitnt.

44 NOVELLA Vm.

risposegli dolcemente Sidney. Ah! voi mirate ora qiiest' infelice , soggiunse il vecchio. Io aveva fatto colà qualche tenue fortuna. Il desiderio di rivedere la patria mi trasse a caricare sopra una nave tutt' i miei beni e partire per l'Inghilterra. Noi fummo assaliti presso alla Bretagna da un armatore *) francese che , superiore di forze, dopo un fiero combattimento ci vinse e ci spo- gliò d'ogni cosa. Rilasciato nel porto di Brest, io mi sono strascinato alla meglio perfino a Londra. Qui giunto jer l'altro, ho chiesto subito di lord Bidiilph, vostro padre e mio zio ; perocché ben sapete che mia madre gli era sorella. Udendo eh' ei più non vivea , ho cercato di presentarmi a milord vostro fratello; ma ei m'ha ri- cevuto con isdegno e rimandato senza soccorso. Or ve- niva per supplicarne almen voi ; ma dalle angustie in cui vi miro , ben m'avveggo ch'io non debbo sperarne: più non mi resta che soffrire in pace la mia sciagura e morire.

Sidney più volte avea udito parlare di M. Warner, e attentamente osservandolo , ben riconobbe in esso la somiglianza con un ritratto che già n' avea veduto. Al- l' intendere la sua sciagura , ella ne fu vivamente com- mossa. Mio cugino 5 gli disse , Iddio sa se mi duole di non poter sovvenire alla vostra disgrazia coni' io vorrei; ma avrò almeno il piacere di soccorrervi come posso: noi divideremo insieme la mensa frugale che a me serve e alle mie figlie : la nostra alberga trice ha pur una ca- mera , ch'io farò cedermi, ed ella sarà per voi. Se questo danaro frattanto può bastare alle spese, che avrete dovuto fare in questi giorni, io ve 1' offro; se di più vi bisogna, voi non avete che ad avvisarmene : il cielo è pietoso e provvederà a tutti insieme per qualche modo. In cos) dire gli porse cinque sceliini.

*) Armatore ^alHV.

SIDNEY. 45

Il vecchio neir atto di stender la mano proruppe in un dolce pianto di tenerezza ; e in una viva esclama- zione: Ah, il cielo, disse, il cielo ben dee provve- dere a tanta virtù , e troppo felice io sono che voglia valersi del mezzo mio per compensarla. Mia cara cugi- na! io accetto il vostro presente, e il terrò per eterna memoria del vostro cuore generoso : ma questa carta incominciate voi pure ad accettare in ricambio *) : e, cosi dicendo, le offerse una cedola di banco di due mila lire sterline. Sidney al vederla rimase attonita, e quasi sognasse , più non sapea ne dove fosse, che si dire. Warner, la mano stringendole affettuosamente : Mia cara cugina, ripigliò, perdonate alla sorpresa ch'io ho voluto farvi. Io non son povero, qual mi son finto ; sotto di questi cenci voi mirate uno de' più ric- chi uomini dell'Inghilterra. Partito per l'Indie con tutta l'eredità di mio padre, io mi son dato quivi al commer- cio , e il cielo r ha prosperato in modo che vi ho gua- dagnato di somme immense. Rimasto colà senza moglie già da sei anni , e perduto ultimamente pur Y unico figlio che io avea, io mi sono deliberato di ritornare alla pa- tria, e fra voi e vostro fratello dividere le mie sostanze. Io ho voluto però innanzi discoprir l'animo de' miei ere- di 5 e, travestito qual mi vedete, ho incominciato a pre- sentarmi a lord Bidulph: io non oso più onorarlo col nome di vostro fratello: ei non merita più questo titolo. Con che orgoglio il crudele e con che barbarie m'ha discacciato ! Ben prevedendo che qualora in un arnese si povero io mi fossi all' anticamera dichiarato col mio nome , io non sarei stato ammesso , mi feci annunziar solamente com'uno che era giunto recentemente dal- l' Indie e aveva a parlargli a nome di M. Warner. Per questo mezzo fui introdotto. Egli era sdraiato orgoglio-

*) Ricambio 93ergeltujig.

46 NOVELLA VIIL

semente su diiii sofà, ed aveva a canto Miledi sua moglie 5 che stava per ozio trastullandosi 0 con un sua cane. Al mio entrare incominciarono amendue a misu- rarmi cogli occhi da capo a piedi , e a sogghignare fra loro. Io . chinandomi ossequioso : Avreste mai per av- ventura , dissi a 3Iilord , qualche rimembranza dell' in- felice che osa di presentai*\isi ? Io no certamente, ri- spose egli con un riso amaro e insultante. Io non sa d'avervi veduto mai. Voi avete dunque, soggiunsi io,, dimenticato interamente il misero vo^stro cugino Odoardo Warner? A questo nome egli guardò Miledi con atto fra la sorpresa e lo scherno : mi fissò gli occhi addosso nuovamente, mi venne tutto considerando; poi final- mente : Io so bene , rispose , d" aver avuto un parente di questo nome : ma è si gran tempo eh" egli è partito di qui . eh' io certo più non saprei riconoscerlo. la ben appieno vi riconosco , gli replicai ; voi avevate già dodici anni quand' io partii: quante volte io vho te- nuto fra le mie braccia I Da quel tempo io debbo essere ben cangiato: le fatiche , il clima, F età denno avere alterati i miei lineamenti; pur qualche tratto ne do- vrebbe essere ancor rimasto: il tuon di voce.. . Or ben non giova, disse egli impaziente, il disputare a lungo sulla qualità della vostra persona : che avete voi ora a comandarmi? Ah! il povero- risposi io, ubbidisce e- non comanda. Quindi mi feci ad esporgli la mia supposta disavventura a un dipresso ne' termini che ho usato con voi. Miledi, guardandomi alcuna volta con aria d' insulto , seguiva a trastullarsi col suo cane ; Milord agitavasi inquieto , e allor eh* io giunsi allo spo- glio che di noi fece l'annatore francese, non volle più altro udire. Levandosi con dispetto, si mosse come per uscire di camera: qmndi volgendosi incollerito:

') Trastullandosi fìc^ unter^alt<nb.

SIDNEY. 4 7

Ve' bel garzone! diss'egli, che s'introduce in mia casa sotto pretesto di avere a darmi novelle di un mio pa- rente, e poi si scopre per questo parente medesimo, che viene a chiedermi la limosina. Bella sorpresa, per fede mia ! Io vi chieggo perdono , risposi ,' s' io non mi son a dirittura annunziato per quel che era: con questo arnese ho creduto che non convenisse di farmi conoscere ai vostri domestici. Or bene . comunque sia, replicò dispettoso, io non posso nulla per voi: che pretendereste voi eh' io facessi ? Io non ho pen- siero , gli dissi , di esservi a carico. Io sono stato alle- vato nel commercio, ho buon carattere, ho esperienza di ciò che appartiene alla mercatura ; conto di pormi al servigio di qualche negoziante, da cui spero d'essere accettato ; ma intanto io muoio di fame : qualche piccol soccorso per qualche giorno è quel solo che vi domando. Ei pose la mano in lasca per trarne qualche moneta. Miledi vedendolo: E che volete voi, disse, pigliarvi pensiero di tutti cotesti cenciosi *) ? Datene a uno, ne verran cento : e la porta sarà sempre assediata da sif- fatti importuni: dite che torni alle sue Indie, o vada altrove a provvedersi. Voi ben potete immaginare , mia cara cugina , qual bile mi movesse un discorso cosi aspro e inumano ; pur feci forza a me medesimo, e mi contenni'). Sperava di vedere in vostro fratello, che ben m'avea riconosciuto, una minor crudeltà; ma ei pure, pentito della disposizione, in cui sembrava di darmi qualche sussidio : Gli è vero , disse , io mi la- sciava vincere da una pietà importuna : andate , qui non v'ha nulla per voi: e, in ciò voltandomi bruscamente le spalle 5 mi obbligò a partire. Io fremea di sdegno; pure volli dissimulare, aspettando miglior tempo a farli pentire amendue. Chiesi tosto conto di voi, e qui

*> Cenciosi ^ gerlumvt. 2) Contenersi inne f^alUn.

48 NOVELLA Vin.

entrando, io vi confesso che Tira più fieramente .mi si raccese. Come è egli possibile che un signore , allog- giato superbamente in un sontuoso palazzo , lasci cosi languire una sorella, come voi siete, imprigionata in un vile abituro siccome è questo ch'io veggo? Non avrebbe egli a vergognarsene per medesimo ?

Mio fratello , rispose Sidney , avrebbe voluto ve- dermi unita ad un suo amico, a cui pure m'avea pro- messa ; mia madre s' oppose : io credetti di doverla ub- bidire : da quel tempo ei cominciò a scemar quelf amore che mi portava dapprima. Il marito , che per consiglio di mia madre io scelsi in appresso, era da lui malve- duto , e non gli parve pure conveniente al suo grado, indispettito vie più , ei non volle mai più mirarmi. Mio marito fu sciagurato : un' ingiusta sentenza gli tolse . tutto , e poco dopo morì. Questo però non valse a ri- conciliarmi il fratello : ei dice eh' io ho meritata la mia disgrazia, ch'io l'ho voluta, ch'io deggio soffrirla, e ostinato , ad essa mi abbandona.

Anima vile spietata! esclamò Warner: più non mi fa maraviglia eh' egli abbia scacciato villanamente un cugino , quand' egli giugne a trattare una sorella , e sorella rispettabile qual siete voi , in un modo inde- gno. Ma egli pagherà il fio della sua inumanità ; io vo- glio che senta tutto il prezzo di ciò che questa gli ha fatto perdere ; vo' che si roda e strugga *) d' invidia e di rabbia. Tutte le mie ricchezze fin d'ora sono per voi , e a patto che a lui non debba toccarne nemmeno la minima parte. Sidney , che , comunque trattata dal fratello iniquamente , pur non aveva mai cessato di nu- trire per lui quella tenerezza , che la virtù sa ispirare ad un cuore ben fatto, cercò di rimovere il vecchio cu- gino da questo proponimento; ma egli vi persistette

*) Roda, e strugga jtd^ àrgorn, imb i)crg€(;eti.

SIDNEY. 4*

immutabile. Anzi io voglio ancora di più, le soggiunse ; la pena non vale, se tulio il peso l'iniquo iion ne ri- sente. Io vo tosto a procacciarvi il più superbo palazzo che aver si possa : quanto sarà a lui più vicino , sarò più pago. Gli addobbi più preziosi vo' che ne facciano l'ornamento; una corte numerosissima vo'ehe sia al vostro servigio : in vesti , gioie , carrozze , ed in ogni altra maniera di fasto ninna dama di Londra vo' che non possa uguagliarvi. Vedrà il ribaldo lo sfoggio a cui sa- lirete e che doveva con voi dividere ; vedrà l'orgogliosa sua moglie la magnificenza ed il lustro a cui quel cen- cioso da lei sprezzalo saprà condurvi. Ne fremeran livore*); io riderò ai vedere la loro rabbia e la loro umiliazione. Egli fece esaltamente ciò che avea propo- sto. Non passarono molti giorni, che trovato non lungi dalla casa di lord Bidulph un palagio magnifico, e fatto- lo ornare nella maniera più splendida, Sidney vi con- dusse quasi in trionfo. Non è a dire ') qual mortifica- zione ne risentisse Milord , e più ancora la superba Mi- ledi, e quante volle si rimproverassero scambievolmente la loro durezza e il loro orgoglio. Ma il fatto non era riparabile.

Sidney frattanto, amata universalmente e rispettata, ebbe il piacere di goder alla fine, dopo un cumulo d'af- flizioni e di sciagure , una vita lieta e felice , di prov- vedere agiatamente all'educazione delle sue figlie ch'e- rano la sua più dolce premura , e di ricompensar de- gnamente la sua fedele Patty, che dopò aver passati con lei tuttavia alcuni anni, a maniera di compagna piuttosto che di servente, con ricca dote congiunta si vide a leggiadro e virtuoso giovane, ch'ella scelse, e che formò la felicità de' suoi giorni.

*) Livore ®cof(. —2) iVon è a dire CiJ (àpt jìc^ iiic^t Soave^ Vovelle. 4

60

NOVELLA IX.

Li imiocenza è costretta a sofferire talvolta le più cru- deli persecuzioni , ma con vergogna e con danno della calunnia e della malvagità alla fine pur ne trionfa. Ec- cone un esempio.

Mentre Pisa e Firenze formavano due distinte re- pubbliche, ed amendue erano continuamente agitate dalle guerre intestine de' Guelfi e de' Ghibellini, avvenne in Firenze che Antonio Bandiaelli, il quale era de' Guelfi 5 aggiungendo alle ragioni di partito altre ragioni private , concepì contro .Federico tanucci , eh' era de' Ghibellini, la più feroce inimicizia. Trovatolo im giorno fuori delle mura a passegiar solitario lungo F Arno , ei cominciò a provocarlo da lungi con detti ingiuriosi e villani, e tratta quindi la spada, pieno di maltalento *), corse ad investirlo 0. Lanucci, costretto a difendersi, ricevè di pie fermo il nemico , e dopo un lungo com- battimento, essendo questi, nel ritirarsi, caduto a terra , ei gli fu con la spada alla gola , e intimandogli di non far motto: Or ben tu vedi, gli disse, che la tua vita è in mia mano ; io te la dono contuttociò di buon grado , ma a patto che ogni privata inimicizia da questo punto sia fra noi terminata. Bandiiìelli, trovandosi a queir estremo , tutto promise , ma , appena il generoso avversario si fu ritratto, levandosi furioso, gli vibrò un colpo per trapassarlo. Lanucci ebbe appena tempo' a schermirsi^), poi, trasportato da viva indegnazione: Anima vile ! gli disse , la morte vuoi dunque ad ogni costo? ben, mori; e trafìttolo fieramente, il lasciò in un lago di sangue.

1) Mal taìeiito— ^u(!c. -) Investirlo ifin iiberfaflcu. 3) Schermirsi— ftd^ frfjn^ciL

FEDERICO LAìSUCa. 51

Ricoveratosi in Pisa presso un amico , scrisse egli tosto a Firenze quanto era d'uopo a giustificarsi. Ma ^ per sua disavventura 1' iniquo Bandinelli tuttor vivea. Trovato a tempo da' contadini , che su quella strada s' avvennero , ei fu recato in Firenze , e la ferita . seb- ben cavissima , non fu tuttavia riconosciuta mortale. II ribaldo all'antico sdegno aggiungendo il dispetto e la rabbia di essere stato vinto , immaginò le più nere calunnie per vendicarsi. La mancanza di testimoni, che valessero a smentirlo , gli diede maggior coraggio. Egli disse che a tradimento era stato assalito, colpito a tra- dimento: lutto il partito dei Guelfi si sollevò controLa- nucci; e lo sventurato, malgrado la sua innocenza e le sue proteste, fu dichiarato capitalmente bandito, e confiscati indegnamente si vide tutti i suoi beni.

L' amico Belfiore , che , dopo d' aver usata ogni opera per sua difesa, gli ofi*erse in Pisa generosamente un perpetuo asilo nella sua casa , era il solo conforto che nella sua crudele disavventura gli rimanesse. Ma questa dovea farsi ben tosto ancor più atroce. La ca- mera ove dormiva Lanucci era divisa da quella del ge- neroso amico per una sala ^ eh' era frammezzo , e che ad amendue comunicava: una notte, mentre egli era sopito, destar si sente all' improvviso da un rumore che pargli udir nella sala. Trae il capo fuor delle coltri ^), e tende l'orecchio, non ode più nulla. Credendo ciò essere slata una illusione, si corica nuovamente; ma dopo pochi istanti torna ad udire un basso gemito che vemr sembragli dalla camera dell' amico. Balza incon- tanente sul letto, e raddoppia l'attenzione; il gemito si rinnova , e più languidamente. Inquieto allora egli corre alla camera di Belfiore , e- lo chiama più volle ; niun risponde: s'accosta al letto, cerca l'amico, lo

0 Coltri ^tfttWcf?.

4*

OS KOVcUA IX,

scuote- in non ai deió'Vd. Agiato da miìie spaventi, torna ^alla 6ua camera, accende prestamente lume, si reca di nuovo al letto di Belfiore; spettacolo orribile ! trova l'amico infelice con un coltello fìtto nella gola, che tutto immerso nel proprio sangue trae languidamente l'estremo sospiro. Eg-li alza un grido a questa vista; gli cade di mano il lume: si getta sovra Belfiore, e riman senza senso.

11 rumore frattanto sveglia i domestici e fa ac- correre d' ogni parte. Entrano e veggono la terribile ^jcena , padrone ucciso , Lanucci tutto insanguinato e giacente sovra di lui , cogli occhi inunobili , col volto pallido e contraffatto , e con la candela a' piedi tuttor fumante. Alzano tutl' insieme uno strido d'orrore: La- iRicci si scuote, e levandosi furioso : Ah ! dove, grida, dov' è il ribaldo , il traditore ? questo pugnale , questo medesimo , che non poss' io allo scellerato tutto immer- gere in seno I . . . Misero amico ! Ijifelice Belfiore ! e, rompendo in uno scoppio di pianlo *) senza più, nuo- vamente sovra di lui si abbandona. Confusi, attoniti, inorriditi rimangon tutti . e ninno sa più che dirsi ne che pensare.

Il seguente mattino la nuova del caso atroce si sparse tosto per ogni canto , e tutta Pisa ne fu ripiena. Arrestati vennero subilamente quanti erano nella casa del trucidato Belfiore, e fra gli altri pur anche lo sven- turato L ìuucci. Chi dir potrebbe di qual rammarico a lui fosse il vedersi confuso infra coloro ch'esser pote- vano accagionali dell" esecrando assassinio! Ma pure infelicemente tutti gli indizi cadevano anzi sopra lui solo. Il luogo in cui fu sorpreso, il sangue del quale era lordo, il pallore. e il turbamento che portava dipinìo in viso, il lume spento di fresco che aveva a' piedi, la ^) l\onipciulo ili imo s(?oppio di pianto in Xf^iàncn \ant

FEDEU5C0 L-iNUCCI. 5-»

fama del tradimento commesso dinanzi in Firenze, tutte eran voci che lo gridavan reo. Inteso il sospetto che sovra di lui si fondava, egli uscì nelle smanie più vio- lente. Io, disse, io uccidere il solo amico che aveva al mondo, quello a cui pur doveva questo debole avanzo di vila, che ormai detesto-, quel ch'io amava più (U me stesso, e per cui tutto il sangue infino all' ultima stilla ') avrei mille volte versato: io ucciderlo barbaramente'. io stesso con le mie mani atrocemente assassinarlo! e in qual guisa ? di notte , addormentato , sotto al velo ed alla difesa dell" ospitalità e dell" amicizia '? Vn animo spietato e codardo può dunque in me sospettarsi? A questo ^^ado d'estrema umiliazione sono io dunque ridotto ? Dio o-iiisto! Dìo terribile! non m'hai tu (h\n- que provato ancora abbastanza ?

Cosi dicendo ei rimase nel più profondo abbattimento. Ma tutto questo non dileguava i sospetti , non distrug"- geva gT indizi che troppo apertamente parlar sembra- vano contro di lui. Nell'adunanza dei giudici fa tuttavia chi, mosso dal suo dolore e dall'aria d'ingenuità che in bii discopriva, osò di prenderne^ le difese; ma la più parte a finzione o rimorso a'tribuirono le sue smanie; dissero che troppo manifeste erano le prove th»l suo de- litto , che il Iradimento commesso già in Firenze vie più lo avvalorava *), che il rigor delle leggi dovevasi ri- spettare, che l'atrocità del misfatto chiedeva un esempio, che il popolo l'attendeva, che indugiar non potevasi più a lungo : e il misero quasi a piene voci fu condannato.

La fatai nuova gli fu recata mentre egli , lacerato dal più cnido (hdore, prosteso a terra fra le catene andava pure Ira gridando : Io, accusato del suo as- sassinio! io creduto il traditore! e tu, giusto Dio, il consenti? Quando udì legrg^ersi la sentenza che reo lo

^) f'iììUi 5'tr^iffr. 2) Avvalorare Mràftijjfn.

'51 NOVELLA. IX.

dichiarava , scoppiò nell' ultime furie, a cui succedette una prosti-azione ') totale , che parve simile alla morte. Da questa non si riscosse ^) che per uscire in nuove smanie più feroci , e ricadere poi dopo nel suo abbatti- mento : in fiera vicenda egli passò tutta la notte. Piangevano i circostanti, e invano s'argomentavano di acchetarlo ; 1' orror della morte non era quello che il commovesse: dopo la perdita dell'amico questo mo- mento era da lui riguardato siccome jl termine de' suoi mali; il crudele pensiero di essere egli medesimo di- chiarato autore dell'assassino era il solo che atroce- mente lo straziava^).

Alla fine però , a conforto dell' abbaltxita natura, si mosse la religione. In un momento di calma ei fissò gli occhi attentamente sur un crocifisso che gli fu posto dinanzi. Immobile per alcun tempo si stette egli a con- templarlo. Mentre era assorto ne' suoi pensieri, parvegli che in voce tenera ed amorosa questi all' animo gli di- cesse: Io ben era più innocente che tu non sei: pur vedi a qual termine fui condotto. Colpito da questa voce di- vina , improvvisamente egli s' alza , abbraccia la sagra immagine, e al petto stringendola teneramente : Mio Dio, esclama, mio Dio ! avete vinto : deh ! perdonale a miei folli trasporti *) : la morte, l' infamia più non ricuso, lo non v' ho imitato vivendo ; godrò di potervi almen da lungi seguire in morte. Troppo degno amico e troppo infelice ! il tuo fedele Lanucci a te sen vola : la sorte iniqua non ha voluto che a tempo giugnessi di trarli dalle mani del tuo crudele assassino : or io vengo al- meno contento ad abbracciarti. Deh ! s' afl'retti il fatale momento , s' aftVetti ; io lo sospiro. Cosi dicendo , pro- ruppe in un dolce pianto , che un toiTente di lagrime

^) l*rostrazioiie S'Jiebergefc^rajfit^eit. -) Riscosse n> ^oUt. 3^ Straziare qiiàleii. ~ *) t'olii trasporti Usi-.

FEDERICO LANUCCr. 55

trasse a tutti gli spettatori. Niuno più v' ebbe allora che dubitasse della sua innocenza : ognuno l" avrebbe voluto salvo j ognuno sarebbesi fatto mallevadore, per lui : un bisbiglio crescente destavasi già d'ogni parte , susurra- vasi che era d* uopo sospendere la troppo precipitata sentenza , che nuove informazioni e nuovi esami erano necessari, che il tempo aM'ebbe scoperto il reo, che Lanucci non potea non essere innocente, che dilazione, in somma, e diligenza maggiore si richiedeva: moUi eran già fermi di ricorrere ai giudici solennemente ; la pubblica opinione già era tutta per lui, quando un e r- riero, affretlatosi da Firenze a tutto corso , opportuna- mente pur giunse a confermarla, ed empi tutta Pisa di gaudio e di tripudio.

L' uccisore di Belfiore era stato un sicario *) spe- dito dallo scellerato Bandinelli per trucidare Lanucci. Non contento il fellone ^) d' aver con ree calunnie spo- gliato il suo nemico di tutti i beni . e fattolo esiliare per sempre, volle pur anche vederlo tolto di vita. Ad un ribaldo ei promise larghissima ricompensa, ove l'avesse di ciò appagato. Costui recatosi a Pisa, e spiato quanto era d'uopo , segretamente erasi introdotto nella casa di Belfiore ; e tenutosi quivi nascosto fin olire alla mezza- notte, nella oscurità e nel silenzio maggiore salito era a compiere il suo reo disegno. Ma in vece di ammazzare Lanucci , scambiata nella confusione di queir istante terribile la 'direzione dall' una camera all' altra , uccise Belfiore. Fuggito velocemente di Pisa , ei fu poscia sor- preso presso a Firenze da un altro della sua tempra*), che il reo Bandinelli aveva mandato per torlo dimezzo*), temendo eh" ei non venisse a scoprirsi , e confessasse da chi avea l'ordine ricevuto dell' uccisore di Lanucci. Ma

*) Sicario (jcbuttgencr SWeuc^elmórbcr. 2_) (.-filone tu(^» loi. ^) Tempra felnc^gtfic^eii. *) Torlo di mezzo i^tt lunbringen.

56 NOVELLA X.

la nuova perfìdia del moslro esecrabile fa appunto la sua rovina, e la salute deli' ingiustamente perseguitato nemico. L' iiccisor di Belfiore , ferito a morte, quando si vide lìgli estremi , palesò l' assassinio commesso in Pisa per ordine di Bandinelli* e arrestato questo subita- mente , si spedi a Pisa sollecito un corriere che 1' an- niinzio arrecasse di ciò eh' era avvenuto.

il giubilo di tutto il popolo , che già avea per lin- fe lice Lanucci concepito un vivo interesse, fu infinito- Ma poco mancò che l'annunzio avventurato in vece di camparlo non gli affrettasse la morte. All'udire improv- visamente riconosciuta la sua innocenza, egli cadde senza respiro , e pressoché senza vita. A poco a poco però ili amministrati soccorsi lo richiamarono, e con solenne onore ei fu tratto dalle carceri e restituito alla pristina libertà. Frattanto l' iniquo Bandinelli confessò non pur gli assassinj che aveva ordinato, ma ancora le calunnie , con cui prima aveva oppresso il suo inno- cente avversario, e fu punito di tutte le sue scellerag- gini come si conveniva. Lanucci, all'opposto, con onorevol decreto fu richiamato a Firenze ; e , ricevuto in essa quasi in trionfo , venne rimesso immantinente al possesso di tutti i s;ioi beni , e porzione pur anche di quelli di Bandinelli vi fu aggiunta. Mai però non potè consolarsi della morte del suo amico Belfiore, di cui era stato innocente bensì, ma troppo sventurata ca- gione.

NOVELLA X.

i^ippo E :ME:i\iec€r]0.

i^ali In uno stesso villaggio presso Salerno, e cre- sciuti insieme, avevano Pippo e Menicuccio contratta fin dag/i anni più teneri la più stretta amicizia. Parca

riPPO E MENICUCCIO. 57

che r uno non sapesse star senza 1' altro ; cercavansf prenuirosamente a vicenda; comuni erano le occupa- zioni e i divertimenti , la volontà era una sola in amen- due. Rimasto Pippo senza parenti in età danni undici^ era stato da suo padre raccomandato a quello di Meni- cuccio, che in qualità di tutore l'aveva tolto in sua casa , e allevato come suo figlio. Vissero così i due giovani affezionati sempre più l'uno all' altro fino all'età di ventanni, quando una fortuna inaspettata di Pippo venne a dividerli.

Avea questi uno zio che , partito di casa in età gio- vanile , dopo vari viaggi e varie vicende , stabilitosi in Cadice, e introdottosi presso ad un mercatante , n' avea con la sua abilità acquistata la confidenza per modo che r unica di lui figlia ne ottenne pure in isposa. Alla morte del vecchio suo padre questa non sopravvisse di molto, e lasciò un figlio, che presto pure mori. Lo zio di Pippo si trovò dunque con ciò signore di copiose ricchezze; ed essendo lui pure venuto a morte, l'eredità andò tutta a ricadere su Pippo, siccome il solo che al defunto appartenesse.

La nuova che a Salerno ne giunse , colmò di egual gioja amendue gli amici, e, costretto Pippo a partire per Cadice, non ebbe maggior cordoglio *) che di do- vere abbandonare Menicuccio. Il pregò quindi con fer- vorose ^) istanze a non volerlo dimenticare , a scriver- gli di sovente, a procurargli così il piacere di seco per qualche modo inlertenersi pur di lontano ; promise che egli dal canto suo non avrebbe lasciato partir corriere senza sue lettere; che avrebbe serbato sempre di Ini la più dolce e più tenera ricordanza, che sbrigati gli affari e raccolta l'eredità, si sarebbe affrettato a ri}(M*nare a ^Salerno per seco dividere le sue fortune.

*) Cordoglio ®ram. ') Fervorose istanze infìànM*

58 NOVELLA X.

Egli attenne infatti per alcun tempo la sua parola. Le lettere che scriveva eran piene delle espressioni più amorevoli e più obbliganti, non era mai contento, come quando arrivavangli le risposte e le novelle di Menicuccio : rinunziò pur anche sul primo giugnere in Cadice a favor di lui il tenue patrimonio che aveva in Salerno, disposto a fargli in appresso beneficj assai maggiori. Ma questo ardore e questa premura non seppe durar lungamente.

Innanzi di dar sesto *) a tutti i suoi affari , di rac- cogliere i capitali di suo zio , dispersi in varie piazze, (\i mettersi al possesso di tutta l'eredità, egli dovette in Cadice trattenersi più di tre anni. Sin dalla fine del primo anno V ardor primiero incominciò a raffreddarsi. La lon- tananza, le occupazioni, i nuovi oggetti andavano a poco a poco in lui dileguando la memoria dell' amico. Al secondo anno più non gli scrisse che assai di rado e freddamente. Al terzo anno più non rispose, e ogni car- teggio fu interrotto. Le grandi richezze di cui si vide in possesso, cominciarono a creargli pensieri alti di sfoggio^) e di magnificenza , e l'amicizia di Menicuc- cio più non gli parve esser degna del suo stato. Unafa- migliarilà fanciullesca, diceva egli, sussiste infin che dura la prima età , e che mantengonsi le circostanze che rhan prodotta. La prima età è passata, cambiate sono le circostanze: ora deve cessare.

La prima volta che Menicuccio si vide senza ri- esposta, credendo pur che la lettera fosse smarrita, ne replicò una seconda; e non avendone ancora riscontro'), cominciò dolcemente a lagnarsi con Pippo del suo si- lenzio: vedendolo continuar tuttavia, con amichevole libertà, ma in modi gentili, si fece a rimproverarlo della sua scemata amorevolezza. Pippo , cresciuto già

*) Dar sesto inDrbnimg bringcn. '2) Sfoggio 9tufwanb ^) Riscontro (Sntgcgnitng, 9lntn?ort.

PIPPO E MEMCUCCCO.

troppo d' orgoglio . ne fa irritato : all' in scienza , dis- s' egli, e alle rampogne *) osa arrivare costui? ben gli *la veramente siffatto ardire ; egli ha ragion di lagnarsi della mia poca amorevolezza , dopo eh' io scioccamente gli ho ceduto assai più eh* ei non poteva aspettarsi da tjuo padre. E può ben ringraziar la fortuna che oggetti si piccoli più non meritino i miei pensieri ; se ciò non fosse , io saprei ben punirlo della sua arroganza. Dopo quel tempo la memoria di Menicuccio fu cancellata in- teramente; le nuove lettere che di lui sopravvennero furono gettate al fuoco senza esser lette: ogni imma- gine, ogni pur menoma idea che a Menicuccio e all'in- trinsichezza ^) con lui "avuta si riferisse, era bandita dal- l' animo incontanente come una viltà e un vitupero.

Compiuti gli affari, ei raccolse tutte le sue ric- •chezze , e pomposamente sen venne a Napoli. Qui alla ^ua vanità un titolo romoroso si richiedeva; ei profuse tesori per comperarlo : ed eccoti Pippo divenuto il prin- cipe di Calandrone. Menicuccio, udita appena la sua venuta, non sospettando nell'animo di lui un cangia- mento siffatto, attribuendo a tutt' altra cagione il te- nuto silenzio, ansioso pur, d'altra parte, dimostrar- gli la sua costante affezione e la sua riconoscenza, s'af- frettò d'andare a Napoli per abbracciarlo. Il principe di Calandrone non si degnò di receverlo. Più d'una volta avvenne pure che tratto questi per le vie più. popo- lose in un cocchio magnifico, ove giaceva alteramente «drajato '), vide giù tra la folla pedestre confuso pur Me- nicuccio, e lo riconobbe; ma schifosamente ognor no torse Io sguardo, come da cosa che stomaco gli movesse.

Pieno frattanto di e de' suoi tesori, incomin- ciò a versarli a larga mano. Poco gli era costato

*) Rampogne Sorluurfe. 2) Intrinsichezza 33ertrflus lii^Feir. 3j S(lraj;ito ^ingcjlrcrft.

%0 JiOVEI.LV X.

r averli, poco costavaoli il dissiparli^). Il .suo palazzo fu addobbato deoli arredi più preziosi, ed ivi fu aperto r adito a tutti i parassiti che non mancarono di presta- mente aifollarvisi. 11 numero do servitori fu qual appena potea convenire al più alto principe ; e largamente trat- tati, aveano pur tutto l'agio <li profittare liberamente di ciò che lor capitasse sotto alle mani. Le prime mode e più dispendiose erano tosto seguite negli abiti , nelle carrozze, negli ornamenti d'ogni maniera, e come troppo .sapea ili basso e di triviale ciò che era nato in seno alla .stupida Italia, tutto traevasi a gran prezzo da Lione, da Parigi, da Londra, da Amburgo, da Amsterdam, da Brusselles, e sino da Copena.Q-hen e da Pietroburgo^ I banchetti eran continui, e imbanditi '^) de" cibi più de- licati che cuoco francese condir sapesse. Frequenti erano le feste di ballo, e la squisitezza de' rinfreschi egua- gliava la loro profusione. Le sue ville erano il ridotto^) di tutti i ghiottoni*), che andavano e venivano, e trat- tenevansi liberamente come e quanto loro piacesse. La folla de" cortigiani e degli adulatori è troppo facile a comprendere quanto dovesse crescere per questi mezzi; il nome del principe di Calandrone sonava, per ogni parte : ei solo fornito era d' ogni più raro .talento, solo .sapea vivere come conviene: egli era il solo modello che ogni signore propor si dovesse ad imitare. 11 buon principe ne trionfava e ringalluzzavasi ®), e a larghi .sorsi bevea le lodi e gli applausi lusinghieri, e, gonfio divento, più non capiva in stesso^).

Ma il bel trastullo non durò a lungo. Le spese enormi che questi sfoggi inconsiderati assorbivano, le non minori ('he gli rapivano le malvagie persone, alle

*) ì)issipare iwc^fiiben. ") Im}),inditi angeildjtct ^) Ridotto iCcvfammhuig^Lnt. '*) ('. li i ottono «^rcffer. '') Ringalluzznv.isi cr fcrùftcte ficf). ^) Più non capiv.'« in slesso er fonntc fìd; nid;t ntcf;r fflfen.

PllTO L MENICUCCIO. 61

quali s'abbandonava, le perdite imnieni>e che fece al «:iuoco, in poco tempo il ridussero al nulla. Ag:gravato di debiti da ogni parte, si vide tutto a un tratto asse- dialo da ogni parte danna turba*) di creditori che case e mobili, e quanto avea, tutto g:li tolsero in un momento. A questa tempesta gli adulatori, i parassiti e ogni altra genia fatta, che prima lo circondavano con tanto studio 5 tutti scomparvero immantinente. Isolato e men- dico, ei tuttavia si consolò, sperando di trovar soccorso ne' tanti amici che procacciato gli avea la sua passata opulenza. Vana e folle lusinga! Alcuni appena mostra- rono di riconoscerlo, altri cercarono con ogni cura di evitarlo: v'ebbe chi giunse perfino alla barbarie d'in- sultarlo e deriderlo ; i più discreti finsero di compas- sionarlo , protestando però con dispiacere infinRo di non poterlo soccorrere. Che lezione terribile di disinganno non fu questa per lui! Ridotto all'estrema indigenza, più non sapea che farsi. Gli risovvenne allora di Me- nicuccio: il carattere dolce, affettuoso, compassio- nevole , che aveva sempre sperimentato nel suo amico, ben potea dargli speranza di un pronto soccorso: ma come osare di presentarsegli dopo averlo sprezzato alteramente? Benché la nei^essità lo spingesse, il ros- sore pur lo ritenne, e in vece di recarsi a Salerno, de- liberò d'incamminarsi alla volta di Roma, a cercare colà, dove ignoto sperava di giugnere , e non aver chi guardandolo 1' umiliasse, nii qualche mezzo alla sua ^sussistenza.

Con questo proponimento partito da Napoli, arrivò «ulla sera ad una casa campestre, ove chiese di ter passare la notte. Una giovane contadinella che egli vide 4:o\à sedere, e a cui si diresse, accoltolo cortesemente : Voi siate pure il ben venuto, gli disse- mio marito

*) Turba ^c^oav.

62 jsovella X.

non può tardare che pochi istanti ; egli ha diletto gran- dissimo di offerir quei servigi che gli consente lo stata suo a' passeggieri a cui occorre alcuna volta di qui trattenersi: voi potrete restar a vostro buon grado: entrate frattanto , e riposatevi fmch' io do ordine a queste poche faccende che ancor mi rimangono. Entrò il misero principe, e fu sorpreso al vedere una casa che nella sua semplicità spirava da ogni parte i caratteri di una tranquilla abbondanza. Mentre egli ammiran- dola invidiava, la sorte de' suoi felici abitatori, ecco arrivarne il padrone. ^ Cielo! che veggo mai? (gridò egli osservandolo da lontano). Menicuccio! ah dove ascondermi? dove mai profondarmi? Un rossore im- provviso tutto gì' infiammò il volto, e un tremito lo colse per tutte le membra.

Menicuccio s' avvanzava a eran corso in un cales- setto , ma avea la mestizia dipinta in viso. La moglie si affrettò ad incontrarlo : ei sospirando: Tutte le mie ricerche , le disse , non hanno giovato punto : egli è partito da Napoli disperato, alcuno ha saputo ad- ditarmi qual via abbia preso. Chi sa qual fine egli ha fatto, 0 qual tristo fine l'attende! Qui non potè tratte- nere il pianto, e le lagrime della moglie intenerita l'accompagnarono. Quindi essa gli annunziò il forestiere che era giunto poc' anzi a chieder l'alloggio per quella notte, e che nella sala egli slava attendendo. Menicuc- cio : Il cielo, disse, pur sia lodato: io avrò almeno il piacere di far del bene a qualcuno: questo conforto mi era necessario per sollevarmi dal tristo pensiero di non aver potuto giovare al mio amico. Ah s' io avessi un sol giorno innanzi saputo la sua sciagura! , . . Così dicendo si affrettò nella sala.

Pippo, nascosto in un angolo *), coprendosi conte

') Angolo (Scfe.

PIPPO E MENICUCCIO. 99

mani il volto , che era tutto di fuoco , e tremando da capo a piedi , non osava di levar gli occhi. Menicuccia al veder un uomo in tal atto m sulle prime rimane esta- tico: si appressa quindi, il contempla ^ M'inganno iot r esamina più da vicino. Gli è desso al certo : qui non v'ha dubbio ... Cielo ! l'amico mio! e. corren- dogli al collo con braccia aperte, il copre di baci e di lagrime senza poter altro dire. Pippo^ fralallegrezza e il rossore . trovavasi nell' estrema confusione. Meni- cuccio, levandosi, e sovra lui ricadendo: Io v'ho pur dunque fra le ni: e braccia*? siete dimque pur voi mede- simo? Ah il cielo, il cielo non m'ha voluto infelice: sia egli piu" benedetto. Io non ho inteso che ieri la vo- stra disgrazia. Questa mattina era corso a Napoli per rintracciarvi: dopo mille ricerche, udita la vostra par- tenza senza sapere a qual volta '), più non isperava di ritrovarvi: io era nell'ultima afflizione: ora son l'uomo il più felice del mondo. Qui tornò ad abbracciarlo e ba- ciarlo novellamente.

Pippo , intenerito e confuso più che mai , sforza- vasi pur di dire alcuna cosa, ma non sapeva trovar pa- role : r amico non gli diede pur campo, così ripigliando : Voi non siete più gran signore , gli è vero , ma siete ancor grande abbastanza per poter consolarvi. Il patri- monio che già alle mie cure affidaste era di diecimila du- cati; altrettanti all'incirca io n'ho ereditati da mio padre; con questi due capitali insieme uniti io ho comperato il fondo che qui vedete. Egli era a mal partito^) quanda io ne sono entrato al possesso. Ma coli' assidua diligenza io Iho ridotto gi'd a segno che oltre a mille ducali mi rende annualmente. Continuando le cure ei potrà rendere in avvenire ancor di vantaggio. Ora noi il divideremo, siccome cosa comune, fra di noi due

') A qual volta— nrol^in, in irefc^er Sìic^tung. 2) A mal partito in )^Uà)tan 3wftanbe.

«4 , NOVELLA X.

o r amministreremo di compagnia, .'^e più v'aggrada. Voi avrete da ciò onde poter vivere tuttavia bastantemente.

À questo tratto di generosità inaspettata Pippo non potè più resistere: prorompendo in dirotto pianto, e abbracciando l' amico teneramente : Ali qual amico, qual uomo incomparabile la mia malnata alterigia m'a- vea mai fatto abbandonare! Io sento tutto il prezzo della vostra generosità e della vostra dilicatczza. Quanta differenza ♦* fra voi e tante anime vili che, dopo avermi divorato insino all' ultimo . mi han lasciato crudel- mente ! Non crediate però che, malgradj la mia scia- gura, della vostra generosità io voglia abusare; ione sarei troppo indegno. Il patrimonio , di cui dite ch'io la cura soltanto v'ho affidata, fu in dono libero e per- petuo da me ceduto ; ed ora è vostro , io avervi più debbo alcun diritto. La mia disgrazia, comunque grande, è stata da me meritata ; il solo avervi lasciato si inde- gnamente ne meritava una peggiore , ed io debbo sof- frirla. Ovunque mi guidi il mio destino , mi basterà il piacere di aver aquistato pur nuovamente la vostra amicizia.

Voi non l'avete punto riacquistata, rispose Meni- <;uccio : voi la sdegnate tuttora se da me pensate ad allontanarvi. Qiinì che sia stato allora il vostro pensiero, quel che m'avete lasciato , ora deve esser vostro, e il torto non mi farete di rifiutarlo. Riguardatene la resti- tuzione come atto o di giustizia o dauìicizia, ciò non importa; ma voi dovete accettarla. lo il debbo, il posso, replicò Pippo, piangendo e singhiozzando più fortemente ; ma io non sarò pure ingrato da al- lontanarmi mai più da un amico come voi siete. Io starò eternamente con voi, e porrò quindi innanzi tutta la mia premura e il piacer mio a secondare le vostre cure: troppo felice io mi terrò di poter riparare in qualche parte all' iniqua ingiuria che vi ho fatto. Anima

NOVELLA XI. UGGERO IL DANESE. 65

generosa, anima impareggiabile ! ... Or bene, rispose Menicuccio , voi resterete ; questo è che mi preme : di tutto quello che è qui voi godrete liberamente come di cosa vostra; quest' è ch'io esigo: a qual titolo, ne par- leremo altra volta. Eccoti il mio caro amico , soggiunse quindi rivolto alla moglie , che ad una scena tenera già non poteva frenar le lagrime : dopo il giorno avven- turato che a te m' ha congiunto , questo è il giorno più bello e più felice della mia vita.

Pippo ebbe a durar lungo tempo *) a rinvenire dal suo sbalordimento. Qual anima incomparabile ! egli an- dava ognor ripetendo: Qual diversità da tante anime indegne, la cui amicizia interessata e menzognera m'avea fatto così orgoglioso!

NOVELLA XL DCSGERO Ili DAIVESE.

leggero, figlio di Goffredo, re di Danimarca, fu uno de" gueiTÌeri più valorosi de' tempi di Carlo Magno. Egli apprese il mestier dell' armi sotto al duca Namo di Baviera , e venuto seco in Italia , allorché Carlo Magno con poderoso esercito *) corse a salvar Roma da Sara- ceni 5 fin dalla prima battaglia in cui si trovò fé' tali prodigi di valore, quali appena aspettar polevansi dal cavaliere più prode e più sperimentato. Aveano i Sara- ceni rapila ai Cristiani la grande Orifiamma ') lor sacra e rispettata bandiera : Uggero , pieno di nobile zelo e di fermo coraggio, si scaglia sovra di essi, e lor la ritoglie ; pago di questo solo , s' avanza animoso in

*) Ebbe a durar lungo tempo brandite larice, tte»or a. 2) Poderoso esercito \taxUe ^m. ») Orifìamma Dri» ^amme.

Soave, Novelle. ' 5

66 NOVELLA XL

mezzo air armi , e giugne ad involare pur anche ai nemici medesimi lo stendardo di Maometto. A queste prove sublimi di forza e di valore ei fu dall' impera- dore e da tutto r esercito colmato d'elogi e di onori oltre ogni esempio.

Trovavasi al campo un figlio dell'imperadore mede- simo , che Carlo pur nominavasi. Egli era di età eguale ad Uggero , e a lui compagno nell' armi, ma d' animo quanto vile, altrettanto invidioso e maligno. La gloria d' Uggero , lungi dall' ispirargli una generosa emula- zione *), non fé' che accenderlo contro lui di un odio feroce. Ne questo fu già momentaneo ; che anzi, accre- scendosi ognor maggiormente per nuove illustri azioni la fama di Uggero , tanto che a poco a poco non pur la Francia, ma tutta l'Europa ne fu ripiena, di altret- tanto si venne pur sempre aumentando la malignità e r invidia del suo codardo '^) rivale. Ogni mezzo il cru- dele andò più volte cercando per riuscire ad opprimerlo, ora tramandogli insidie, or facendo nelle battaglie eh' ei fosse esposto a' maggiori pericoli ; ma Uggero , a tutto superiore , ne uscì sempre vittorioso.

Avea questi un figliuolo di somma aspettazione *) il qual chiamavasi Baldovino. Lasciatolo nei primi anni alla corte di Danimarca , allor che tempo gli parve , lo chiamò seco a Parigi per addestrarlo ei medesimo nel= l'arte della guerra. Il giovine valoroso vi fé' in breve tempo maravigliosi progressi, e al coraggio, alla forzi alla destrezza, all' accorgimento ben degno mostrava^ d' un gran padre. Carlo , ognor simile a stesso^ queir odio atroce che da gran tempo nutriva contro d'Ug^ gero, rivolse pure contro del figlio^ e, per isfogare^ ad un tratto contro amendue la sua rabbia , un giorno che Baldovnio, da lui insultato villanamente, ebbe il

*) Emulazione S^ad^eiferung. ^) Codardo feigi^er^ig. ^) Aspettazione (Svtoartung.

UGGERO IL DANESE. 69

coraggio di francamente rispondergli, il brutale, tratta furiosamente la spadai, sen^ lasciargli pur tempo di mettersi ?ulle difese , iniquamente il trafisse.

Allorché al misero padre ne fu recata la nuova, egli al primo colpo rimase stupido e immobile. Quindi allo sbalordimento ^) sottentrandò la furia più terribile, ei corse qual forsennato ') tutta la corte in traccia di Carlo per vendicarsi. Questi erasi ritirato presso all' im- peradore. Uggero informatone , entra furibondo con la spada sguainata*), spirando fiamme dagli occhi, spi- rando morte. Il vigliacco assassino, atterrilo e tremante, dietro all' imperadore medesimo si nasconde. Uggero non sente che l'impeto del suo furore: Pur ti ho giunto, ribaldo, gli grida ; difenditi , se pur sai ; e, in ciò dire, precipitoso ver lui s' avventa. L' imperadore s'oppone in- darno; il traditore già era perduto, se i cavalieri e le guardie che l' imperador circondavano, riusciti non fos- sero a salvarlo.

Era tra quelli il duca JVamo, che Uggero avea ognor rispettato siccome padre. Trattolo fuori della sala, questi gli fé' comprender l'eccesso a cui il suo fu- rore l' avea condotto, e lo costrinse a partire. Frat- tanto egli con tutti i Pari i loro uffici interposero e le loro preghiere per ottenergli dall' imperadore il perdono. Ma questi era troppo irritato per consentire a piegarsi. E certamente l'ingiuria che Uggero avea fatto alla im- periale dignità, assalendo con mano armata un figlio dell' imperadore medesimo nelle sue stanze , e sotto a' suoi occhi, era gravissima. Le circostanze che a questo trasporto l'avcan sospinto potevan sole scusarlo. Ma Carlo Magno più non mirava che ai diritti della sua dignità oltraggiata. Per lungo tempo adunque , esiliato

*) Tratta la spada bae ©c^iuett gcjùcf K 2) Sbalordi- mento — Setóubung. 3) Forsennato rafeiib. *) Con la spada sguainata mit Q^OQtmm Sà}mxk.

eS NOVELLA XI.

^alla corte e dalla Francia , dovette Uggero andar va- gando per varie parti j^qua e frattanto a prò d' altrui impiegando il suo valore , finché per ultimo l' impera- dore medesimo, pur suo malgrado, costretto videsi a richiamarlo.

I Saraceni sotto alla guida di Bruj ero avevano rin- novata la guerra ^ e , fatto uno sbarco ^ in Provenza, vittoriosi già s' erano avanzati fino a Parigi. L' impera- dore, rinchiuso nell'assediata città, aveva colà raccolte le sue schiere; ma, privo in quel tempo de' paladini più valorosi , a grave stento *) potea con queste soste- ner r impeto dei nemici. Avventuratamente Bruj ero, af- fidato nelle sue forze, e premuroso di sollecitar la vit- ,toria, propose di terminare la guerra con un duello. Uggero allora trovavasiin Inghilterra, e tutti ben videro che egli solo poteva reggere al paragone, e far fronte al terribil nemico. La corte e l'esercito già sospira-J vano il suo ritorno; l' imperadore da ogni parte fusti- molato a richiamarlo ; la necessità più di tutto lo co- strinse a consentirvi. Accettò Uggero l'invito , ma volh il patto, che quando ei restasse vittorioso, €arlo gl^ fosse dato per prigioniero. A questo patto si scossi r imperadore , e s' oppose ; ogni altra cosa in vece s'of-i ferse pronto ad accordargli; ma Uggero si tenne fermo: e dal bisogno pressante Carlo Magno alla fine fu obbli- gato ad arrendersi.

Tornato l'invitto guerriero, al terzo giorno fu stabilito il combattimento. Di buon mattino si aprì 1( steccato ^), i due valorosi nemici v' entrarono , e i du< eserciti stettero dall' una e dall'altra parte schierati a ri- guardar la battaglia. Era Brujero di smisurata*) cor-j poratura e di terribili forze. Uggero lo superava nella

*) Sbarco ^Sanbunjj. ^^ A grave stento mit tjiefec ajlùl^e.— 3) Steccato— ^flami)f^(cl^. *) Smisurato umrmpfs \i^, nngo^cuer.

CGGERO IL DANESE. S9

destrezza e nel maneggio *) dell'armi. II primo in- contro *) fu orribile, le lance andarono in mille pezzi, ma i cavalieri non si mossero dall' arcione '). Trassero ' allora amendue le spade, e con fieri colpi cominciarono a tempestarsi *). Brujero, usando della sua forza, non mirava che ad offendere il nemico; Uggero, accorta- mente aggirandosi, rendea vani gli assalti dell' avver- sario, e coglieva opportunamente le occasioni di bat- terlo. Già da più parti infatti Brujero miravasi insan- guinato ; Uggero vedevasi tuttora intatto. Acceso di rabbia il feroce Saraceno, se gli scaglia addosso ^) con impeto, e gli cala un gran fendente ®) , che di terrore empi r esercito de' Cristiani. Il paladino accortamente seppe ritrarsi , ma non potè essere cosi pronto che il colpo orribile non rovinasse addosso al cavallo, che sotto gli cadde morto. Fortunatamente egli si trovò in piedi, e ferito in un fianco il cavallo nemico, egual- mente lo mise a terra. Qui incominciarono a piedi una pugna ancor più crudele. Già l' uno e l' altro da più parti spezzata aveano l'armatura; già da più parti air uno e all' altro sgorgava il sangue. Uggero però fino allora avea avuto maggior vantaggio. Infuriato il re africano, e impaziente di terminar la battaglia, get!a la scudo , investe Uggero con impeto , e raccogliendo tutte le sue forze, cala un gran colpo a due braccia. Tutta l'agilità del Danese fu di mestieri per evitarlo. Ei però prontamente balzò da un lato, e colto quindi il momento propizio, nel fianco scoperto immerse pure a Brujero profondamente la spada. Cadde a quel colpo lo smisurato Africano ; un grido d' orrore e di dispe-

*) Maneggio ^anb^aSung. ^) Il primo incontro ba« etjlc 3ufammentrcffcn. *) Arcione Éatkl. *^ Tempestarsi fìc^ ju ftljfagfn. ') Scagliarsi addosso auf cinen Io«« lìùr^en. ^) Gli cala un gran fendente -- »ccfc$tc if}m cium

aO NOVELLA XI.

razione alzò l' esercito de' Saraceni : un grido di giu- bilo e di festa alzò il campo dei Cristiani. Uggero in trionfo al padiglione dell' imperadore fu accompagnato.

Qui, ricevuti gli applausi e gli elogi di tutto l' eser- cito, ei chiese, che mantenuta gli fosse la data fede. Impallidì Carlo Magno , che troppo temea gli eifettì dell'ira e della vendetta d'Uggero; ma la promessa era troppo solenne, non era più tempo di ritirarsi.

Il crudele assassino del figlio d' Uggero, disarmato, pallido, palpitante gli fu condotto dinanzi. Ei fieramente guardandolo : Or, disse, è tempo che alfìn tu paghi la pena del tuo barbaro tradimento : quindi, presolo con la sinistra pe'capegli, alzò coli' altra furiosamente la spada in atto di trucidarlo. Mise l' imperadore un forte grido 5 tremare n gli astanti e inorridirono : il prigioniero cadde tramortito per lo spavento. Allora Uggero, gettando ai piedi di Carlo Magno la spada, e nell'atto stessa prostrandosi dinanzi a lui: Da questo momento, disse, ^ ben dei apprendere, o sire, quanto costi al cuor d'un, padre la morte di un figlio assassinato. Io tuttavia il tuoi figlio ti rendo; cosi il crudele potesse rendermi il mio.

A quest' atto rimasero tutti sorpresi. Carlo fu tratto in altra parte: l' imperadore passò dallo spavento alla tenerezza, e con le lagrime agli occhi abbracciò stretta- mente Uggero : i cavalieri gli fecer tutti corona , esal- tando del pari la sua generosità e il suo valore. L' in- degno figlio di Carlo Magno però non andò per questo impunito: sepolto nel suo avvilimento, e coperto d' ob- brobrio, ei dovette pur tuttavia finir tra non molto mise- ramente i suoi giorni.

ai

NOVELLA XII.

A]¥T09fI0 liEOlVELIiT.

JLia povertà è sovenle di pretesto ^) a molti per farsi lecite assai cose che le leggi inviolabili dell' onesto per niun modo non debbono consentire. Da un tal pretesto però non lasciò vincersi un savio giovane, per nome Antonio Leonelli, neppure in tempo che dalle angustie più cru- deli trovavasi tormentato , e della sua onestà non ebbe ad essere che più contento.

Dopo aver egli passati moli' anni fra le dolcezze di un' agiata ^) fortuna , per un rovescio ^) inaspettato si vide ad un tratto ridotto quasi all' estrema indigenza. Il padre di lui, che era dapprima ricchissimo mercatante, .ma che, geloso di tutto reggere da solo , ed essere il sol padrone di tutto, mai non l' aveva di nulla voluto mettere a parte, fra per la mala condotta ne' suoi affari, e per impensate sciagure, venne a fallfr d'improvviso, e dai creditori affollati venne spogliato di tutto.

Aveva il giovane Leonelli in isposa una bellissima e soavissima donna, per nome Isabella, che egli amava come stesso, e da cui era amalo teneramente. Due figli , le più vezzose e più care creature del mondo, formavano la lor delizia comune. Mille disegni lusin- ghieri ne' loro dolci trasporti essi andavano fabbricando sull'allevamento *) di questi teneri frutti dell' amor loro, su i fausti presagi ') della lor riuscita, sul lor futuro ingrandimento ; quand' ecco veggonsi in un punto tutto quanto atterralo. Perduta ogni cosa, alJro a' miseri più non rimane che un picciol fondo, il quale era stato da Isabella recato in dote.

Lungi contuttociò che mai osi il savio giovine di

*) Pretesto Sottooiib. ^) Agiata fortuna ]^àu3ti^<« @Iù(f. 3) Rovescio Uiig'iicféfan. *) AlJevamento ©rs jie^ung. ^) Presagio SSorbebeutung.

'93 KOVELLA XII.

farne ali' imprudente suo padre la più leggiera doglianza, adopera anzi ogni mezzo per confortarlo, e per ren- dergli più sopportabile la disgrazia, che erasi in molta parte da medesimo procacciata. Isabella ancora con lui s'unisce a far ogni sforzo, onde trarre il misero vecchio dal suo estremo abbattimento. Il frutto della mia dote, comunque tenue, basterà , ella dice , frattanto a sostentarci ; il cielo provvedere in appresso per qualche modo ; facciamci cuore e consoliamoci.

Ma il cielo parve che far volesse l'ultime prove della sofferenza di questi due sposi infelici. Il picciol fondo, sostanza unica che tuttavia lor rimaneva , trova- vasi alle sponde di un fiume : allo sciogliersi ') delle nevi una piena ^) furiosa l'investe: i miseri, senza potervi oppor argine ^), sono costretti a vederselo sotto agli occhi dall' impeto della corrente rapito per la più parte. La rendita troppo scarsa di ciò che era campato al furore dell' «eque più non bastava per sostenerli. Fu quindi mestieri a poco a poco andar vendendo ciò che avean tuttora di qualche prezzo, finché si videro quasi ridotti all' estrema miseria.

Il cuore dell' infelice Leonelli spezzavasi di dolore al mirare l' amata sposa, che aveva per lui rinunziato a un de' più ricchi partili, ridotta ad angustie tormen- tose. Pur la speranza di un impiego, che ognor parca vicino, nel suo cordoglio 1' andava racconsolando. Ei lusingavasi di poter giugnere pur finalmente a riparare almeno in parte le passate disavventure. Ma l' ostinazione <leir avversa fortuna era troppo più possente di tutti gli sforzi eh' egli faceva per superarla. Di parecchi diversi impieghi, che successivamente il tennero lusingato, ninno gli potè mai venir fatto di conseguire. Dopo mille sol- lecitudini e mille preghiere, dopo aver dovuto arrossir

^) Sciogliersi fc^mer^en. ^) Piena 9{nf(^ttjet^tt beé ^Bflfferé. ~ 3) Argine 2^amni.

ANTONIO LEONELLI. 93

inille volte ora dinanzi a persone superbe , che a gran pena degnavansi di ascoltarlo, or raccomandandosi a freddi amici, che ogni modo cercavano di schermirsi *), ora abbassandosi a supplicar que' medesimi, che suppli- chevoli innanzi a ed a suo padre avea più volte ve- duto in altri tempi; quando, vinti con la costanza e con la attività indefessa tutti gli ostacoli, ogni cosa parea disposta a favor suo, la prepotenza di uno, la vo- lubilità di un altro, le disgrazie d' un terzo , faceano ro- vinar tutto quanto, e svanire tutte le sue speranze.

Un momento v' ebbe alla fine, in cui egli credette di non aver più a dubitare. Il conte di ... , uom di molte aderenze, e che assai credito aveva alla corte, trovan- dosi allor vacante un posto fra i segretari, fece opera che fosse a lui accordato, e n'ottenne promessa. Più non mancavano che pochi giorni all' adempimento ; quando lo scellerato con le sue proprie mani rovesciò 1' edifizio che avea condotto a termine si felice , e di protettore cangiandosi nel più fiero nemico, ad ogni altra speranza gli chiuse pure iniquamente la strada. Le sollecitudini che avea mostrate per Leonelli, e che questi credea prodotte da uno spirito di generosa beneficenza, non <?rano effetto che d'una rea passione che egli aveva concepito per Isabella. Dopo avere fino a quell' ora dissimulato, allora tempo gli parve di dichiararsi, e da' giusti rifiuti della savia e castissima donna indispettito, volgendo in odio implacabile il mal conceputo amore, non solo fece che la promessa carica fosse accordala a tutt' altri, ma ogni passo di Leonelli andò pure ma- lignamente spiando per attraversargli ^) da ogni parte ogni adito a qualunque altra fortuna.

Lo sventurato, abbandonato da ognuno, e per- seguitato da un malvagio potente , era condotto oggi-

*) Schermirsi auéwcic^en. ^) Attraversare bucc^« frcujcn.

94 JJOVELLA XII.

mai alla più crudele disperazione. Venduto già lutto quello che egli e la virtuosa sua moglie avevano di maggior conto, venduta già molta parte di quella stesso che agli usi e ai comodi d'una famiglia è pres- soché indispensabile, più non sapea che farsi per ritro- var sussistenza. Due amici, che soli eran rimasti di tanti che il circondavan dapprima, formavano tutto il suo sostegno. Ma questi erano di troppo scarse fortune per aiutarlo quanto era d'uopo. moglie, più non potendo, si sproveduta com' era, mostrarsi in pubblico, era obbligata a rimanersi nel suo tugurio perpetuamente imprigionata; il padre, oppresso dall'età e dal pesa delle sue disgrazie, consumavasi lentamente in un. letto; i due piccioli figli languivano a poco a poco d'inedia; egli, già fatto macilento, sfinito di forze^ divorato da una febbre, che interamente lo distruggeva, cogli occhi incavali 0 profondamente, col volto ormai cadaverico, ad ogni tratto vicino credeva il termine dell' infelice sua vita.

Un giorno la sua angustia giunse all'estremo» Egli trovasi privo interamente di ogni cosa ; vede il padre languente, i figli che piangendo gli chieggon pane, la moglie che soffoca in silenzio i suoi sospiri per non attristarlo vie più, ma che non può tutto nas- condere il suo dolore : esce coli' anima aggravata d' an- goscia; va in traccia dei due amici, da cui soli potea promettersi qualche soccorso; e non trova l'un ne l'altro : non sapendo a qual parte rivolgersi, vince la naturai ripugnanza, e, appressandosi al primo che in- contra, gli chiede qualche sussidio : non è ascoltato : lo chiede a un secondo ; ei si scusa e trapassa : s'ac- costa ad un terzo; ne é rigettato sdegnosamente. Mio Dio ! grida appassionato, voi pur vedete la sciagurata mia famiglia : che lutti abbiamo quest' oggi a perir *j Occhi incavati eingefaltenc Stugeii.

ANTONIO LEONELLI. 7^

fame! Egli era nel colmo dell' abbattimento ; più non sapeva dove aggirarsi, le gambe più non potevano pur sostenerlo. Mentre con passo tardo , col capo chino a terra, coli" anima straziata da mille tristi pensieri, ab- borrendo oggimai il consorzio degli uomini, abbor- rendo pur quasi la luce stessa del giorno, va avanzan- dosi lentamente in una via remota, gli viene a casa veduto per terra un picciol piego : per macchinai mo- vimento ei si china a raccoglierlo ; l' apre (inaspettato prodigio !) : vi trova chiusa una cedola di cento scudi. Dio immortale ! Dio pietoso ! ben io sapea che voi non mi avreste abbandonato. Gran Dio ! Dio immortale l Per r allegrezza già più non cape in stesso. Ah ! r infelice mia famiglia più non perirà. Dio miseri- cordioso ! Grande Iddio ! La gioja gli rende tutte le forze: a gran passi s'invia a consolare l'afflitto suo padre, la moglie addolorata, i figli affamati: mille dolci pensieri per via lo accompagnano , mille idee lu- singhiere ei va rivolgendo sull'impensata fortuna che il ciel gli ha mandata, sulla nuova serie di lieti giorni, che ancor l'attendono, quando un contrario pensiero l'arresta tutto ad un tratto, e l'agghiaccia. Come poss'io formare questi disegni su quello che non è mio? Questa è cosa smarrita ; il padrone ha ragion di ripe- terla*, io debbo restituirla. Ma io frattanto? ma l'abbandonata, affamata mia famiglia? Dio saprà sostenerla : Dio sa eh' ella esiste , sa le sue angustie ; io per essanon debbo impiegare quel ch'è d'altri. Ma perchè, s' io non dovea valermene , mi ha Iddio fatto trovare questo soccorso in un tempo di così estremo bisogno? a qual fine?... Io non debbo esser giudice de' suoi consigli io devo aspettare i decreti della sua provvidenza : ma ciò eh' è d' altrui io debbo intanto re- stituirlo. Dopo alcuni momenti d' ondeggiamento: Grande Iddio! dice egli, io piego la fronte alle vostre

19B NOVELLA XII.

leggi adorabili ; io v' ubbidisco, e senza più alla casa del paroco s'incammina. Quivi a lui consegna la cedola, ond' ei ne cerchi il padrone , gli addita il luogo ove r ha rinvenuta, confessa i disegni che nel primo tras- porto avea formato sopra di essa; espone le circo- jstanze orribili in cui egli si trova. Il buon pastore a questo racconto ne fu commosso fino alle lagrime. Iddio, gli disse, benedirà certamente la vostra onestà. Questo vaglia intanto a ristorarvi per ora (e con ciò alcune monete gli diede) : il padrone di questa carta non lascerà, io spero, di ricompensarvi più largamente.

Leonelli, contento del ricevuto sussidio e della sua buona azione, corre immantinente a provvedersi di cibo, e di volo si reca alla famiglia abbandonata. Parve il suo arrivo quello d'un angelo consolatore al padre, alla moglie, ai figli, che da più ore già l'attendevano, e già trovavansi nell'estremo languore. Egli abbrac- ciando teneramente or l'uno, or l'altro: Mio padre, xìice, mia cara sposa! il cielo non ne ha peranche del tutto dimenticati; nell'ultima disperazione queslo soc- corso pur s' è degnato di mandarci impensatamente : e qui da capo facendosi , loro narra a parte quant' era occorso. Allorché giunse alla determinazione, che ei prese dopo vari contrasti, di consegnare la cedola alle mani del paroco, Isabella, che era stala sospesa fino a quel punto, con dolci lagrime a stringendolo : Ah ! no, disse, no, Iddio non ci ha peranche dimenticati, giacché egli non ci ha permesso che il bisogno mede- simo avesse forza di farti reo ; le migliori speranze io ■concepisco dalla tua degna azione : ella sarà certamente <lal cielo ricompensata : sì, dolce amico, non dubitarne.

Il paroco intanto , fatte le debite diligenze, trovò ben presto il padrone della carta smarrita. Era questa di un ricco signore, a cui era, di passando, inavve- dutamente caduta. Il buon pastore nell' atto di renderla

NOVELLA xm. GUGLIELMO TELL. 97

non potè a meno di non esaltar l'onestà di Leonelli, e di non fare una patetica descrizione de' suoi casi e dell'estremo bisogno in cui egli si ritrovava. Il Mar- chese di.... a cui essa apparteneva, intenerito a questa narrazione, cinquanta scudi immantinente a lui rimise: E questi, disse , per mia parte consegnerete a questo uomo degno ; indi tutta la sua autorità e il suo favore impegnò, di maniera che Leonelli ben presto fu im- piegato onorevolmente a dispetto del reo Cónte di . . . che fino a quel punto gli s' era iniquamente opposto, e che poco dopo scoperto, qual era, cadde in piena disgrazia della corte, e per sempre ne fu esiliato.

NOVELLA Xin. GCCSIilEIilflO TJBIili.

JTria che l'Elvezia acquistasse coli' armi la libertà, che ha di poi mantenuto costantemente, fu già in Altorfo un governatore per nome Gessler, il quale, abusando del potere affidatogli, si diede ad esercitare iniqua- mente la più crudel tirannia. L' interesse o il capriccio gli era norma di giustizia: vendevansi le sentenze; pu- nivansi ili pene arbitrarie gl'innocenti; i ministri del tiranno commettevano impunemente ogni delitto; tutto era confusione ed orrore.

Alla crudeltà egli aggiunse puranche la strava- ganza *). Fatto in mezzo alla piazza piantare un palo, e 80\Tappo:stovi un cappello , ordinò , sotto pena di morte, che chiunque colà passasse dovesse innanzi ad esso chinarsi, e cosf riverirlo come se fosse la sua per- sona medesima.

*) Strava ganza 2Dunberli(^ffit.

«8 . NOVELLA XIII.

Era in que' contorni un uom di ruvide 0, ma schiette e franche maniere, chiamato Guglielmo Teli. Venuto questi per suoi affari in Altorfo, capitò sulla piazza, osservò il palo; il cappello che eravi soprapposto, il tenne un momento fra il riso e Io stupore; ma non sapendo quel che si fosse, e poco curioso d' informar- sene, trascuratamente, e ridendo , vi passò innanzi. L' irriverenza commessa al palo , e l' infrazione ^) del severo editto fu tosto recata all' orecchio del governa- tore, il quale furioso diede ordine che il reo fosse im- mantinente arrestato. Condotto che gli fu avanti, ei r accolse coli' aspetto d' un uom crudele , che per bassezza di animo estremamente geloso della sua auto- rità, orribilmente inferocisce quando la crede de- risa. Guatandolo fieramente, e fuoco spirando dagli occhi : Così, ribaldo , gli disse , rispettansi i miei de- creti ? tu osar di beffarmi ? tu insultare audacemente al poter mio? Or ben tutto il peso ne sentirai, scelle- rato, e tristo esempio sarai altrui, che la mia dignità impunemente ^) non è vilipesa *). Attonito a questa in- vettiva ^), ma non però sgomentato ^), siccome quegli che di niun delitto era conscio a stesso, Guglielmo Teli domandò francamente di che venisse accusato. Inteso che n' ebbe il motivo , gli parve si strano, che non potè a men si sorriderne. Rispose in prima che ninna notizia egli avea dell'editto; quindi con rustica libertà pur aggiunse eh' ei non avrebbe sognato mai che ad un palo s' avesse a dar il buon giorno , e che il passarvi dinanzi senza far di berretta avesse ad essere un crimenlese. Sali sull'ultime furie a quest'aria d'ir- risione il giudice inviperito; e la ragionevolezza della

*) Ruvido, schietto xauf}, frcimiit^ig. ^) Infrazione Itcbertrctung. ^) Impunemente llngeffraft. *) Vilipesa serad^tct. ^) Invettiva «Strafrebe. ^) Sgomen- tato — bejìùqt.

GUGLIELMO TELL. 99

risposìa umiliandolo vie più, lo rendè più smanioso. Co- mandò che strascinalo egli fosse nella prigione più tetra, e quivi carico di catene attendesse la sua vendetta.

Inquieto e fremente , mille maniere di nuovi sup- plizi egli andava nell' animo ravvolgendo per isfogare con un esempio tanto più strepitoso la sua rabbia. Mentre incerto ondeggiava , uno che mosso a compassione osò pure adoprarsi per ammansarlo '), e ottenere alla ru- stichezza del misero Teli il perdono, gli suggerì, non volendo , una specie tutta nuova e più orribile di ven- detta. Fra Taltre cose che diluì disse, venne pure esaltando la singolare destrezza che questi avea nel ti- rar d' arco ^), e la certezza onde sempre colpia nel se- gno; e aggiunse che troppo mal gli sapea che un uom prode avesse miseramente a perire. Or bene, rispose il giudice dispietato, noi ne vedremo la prova-, fia salvo se accerta il colpo ^J, ma ninno il trarrà dalla morte s'ei va fallito*).

Aveva Guglielmo un figlio unico di circa dieci anni , che amava teneramente. Or parve al tiranno di non poter meglio saziare il suo furore , che esponendo r infelice padre a certo pericolo di averlo a trafiggere di propria mano. Ordinò adunque che fosse tosto a lui condotto il fanciullo , che in mezzo alla piazza un pomo a' avesse a porgli sul capo ; che il padre per esser salvo, alla fissata distanza qu esto pomo avesse a colpire con una freccia. Gelò d'orrore il misero padre a si barbara condizione , mille supplizi s' offerì pronto a patir piut- tosto che avventurarsi al crudele esperimento. Invano fi'adoperaron pur molti, inorriditi air iniquo patto, trarre il giudice a consentire che altrove fosse fissato il bersaglio; troppo il feroce compiaceva della sua

*) Ammansare befànftigen. ^) Tirar d'arco Sogcns fc^icgen. 3) Se accerta il colpo ~n?enn cr fic^et trift. *) Va fallito fe^l fc^làgt.

611 NOVELLA Xiri.

barbara invenzione. Ei pressò il paziente o ad accettare^ senza più il cimento , o a vedersi immantinente strasci- nato al supplizio. In quelle angustie terribili mille pen- sieri s' offersero al mìsero in un momento. Fremea da un canto all'immagine dell' alroce pericolo, e veder già parevagli il tenero pargoletto , trafitto da lui me- desimo, nuotar nel sangue , e agitarsi negli estremi pal- piti della morte; dall'altro l'immagine non men tormen- tosa delle calamità in cui morendo il lasciava, lo riem- piva d' orrore e di ambascia. Combattuto così e con- fuso , quasi una voce improvvisa si sentì in cuore che il trasse dell' incertezza. Tuo figlio è perduto , dicea , se più ricusi; alla tua morte ei non può sopravvivere; ei pure dovrà hen presto morirne o di dolore o di miseria! accettando , tu puoi salvarlo ; il cielo è giusto : ei non vorrà abbandonare la sua innocenza e la tua. A questa pensiero ei si desta , e rivolto al giudice fieramente : Or bene, gli dice, crudele, tu sarai pago; accetta r orribil prova ; qua 1' arco e gli strali.

Discende il giudice nella piazza , da' suoi statelliti accompagnato ; il misero figlio , trattovi in mezzo , al palo iniquo si lega, e il fatai pomo gli è posto in capo : a un canto della piazza è condotto il più misero padre, a cui dipinte si veggon sul volto le più crudeli agita- zioni; una folla immensa di genie empie d'intorno ogni spazio. Il truce Gessler in mezzo all' armi tripudiar già si vede di una gioia maligna : un fremito d' orrore e di sorde imprecazioni si ode in vece nel popolo da ogni parte : il tenero figlio trema e si scioglie in pianto: più trema il padre infelice , e d' un orrendo palpito gli batte il cuore. Pur si riscuote alla fine , e si fa animo : alza gli occhi e le mani al cielo : Tu , Dio pietoso, esclama ; tu, Dio giusto, tu reggi il colpo. Ciò detto: con mano ferma impugna 1' arco ^)5 incocca il dardo ^) : un grida

0 Impugna l' arco nimmt ben SSogen in bic -^ant». *) In- cocca il dardo Icgt ben ^feil auf.

GUGLIELMO TELL. 81

sorge per tutta la piazza, un cupo silenzio subito gli succede. Teli prende* con fermo volto la mira, trae la corda, il dardo parte. Dei circostanti, chi abbassa il guardo inorridito , a chi l' anima coiTe su gli occhi per veder V esito. ..Ei fu qual tutti desideravano: il dardo vola fischiando, colpisce il pomo di netto, e il fan- ciullo appena sentesi lambir *) la chioma. Un grido fe- stoso d' applauso, un battimento fragoroso di mani si leva tosto per ogni canto: il popolo n è tutto ebbro di gioia; il solo giudice, nella sua crudele aspettazione deluso , freme di dispetio e di rabbia.

Quand' ecco nel girar gli occhi sovra di Teli , ei mira cader a questo un altro dardo che seco aveva re- calo. Lieto della scoperta, ei "medita incontanente altro mezzo di vendicarsi. Fattolo a chiamare, e fìngendo, per vie meglio ingannarlo , maniere dolci e cortesi , ei comincia a lodare la maestria di cui avea data bella prova , ad applaudirlo del colpo si bene accertato , a dichiarar medesimo appien soddisfatto , e lui intera- mente assoluto da ogni pena. Quindi gli chiede piace- volmente perchè due dardi avesse recato , non avendo a fare che un solo tratto. Io non soglio, rispose Teli, andar mai fornito di un dardo solo. No, amico, replicò il governatore con artificioso sorriso , tu vuoi celarmi il mo:ivo , ma io lo veggo abbastanza : or che tutto è finito, che giova il nasconderlo? A me serbato era l'altro dardo: confessalo pur francamente: io avrò cara la tua schiettezza , e anticipatamente già ti perdono. Rassicurato per questo modo : Poiché vi piace , rispose Teli , eh' io parli liberamente, già non dirò che espresso animo io avessi di usarne contro di voi; ma se la rea fortuna avesse pure voluto eh io mi vedessi per cagion vostra l'unico figlio cader trafitto dinanzi, io non so

') Lambire fircifcn. Soace^ Novelle. 6

82 NOVELLA Xin.

certamente quello che avreste potuto aspettarvi dalla disperazione d' un padre. Io non mi son dunque ingan- nato, riprese il giudice furibondo, deposta la rea ma- schera che aveva assunto: or bene adunque, io ben «apro, traditore, in un fondo di torre frenar il tuo ar- dimento e dalle tue insidie assicurarmi: sia di nuovo incatenato costui, e ricondotto alle carceri. A questo tratto inaspettato di malignità e di perfida, sdegnati fremono d' ogni intorno i circostanti : più freme il mi- sero Teli , ed implora soccorso , ma ninno ardisce di opporsi alla forza dell' armi; e lo sciagurato è costretto a cedere e ad ubbidire.

Sul lago, che, incominciando presso ad Altorfo, si stende sino a Lucerna, da cui prende il nome, è un antico castello chiamato Kussnacht. In questo il feroce Gessier pensò di confinarlo, siccome in luogo, onde era impossibile trovar lo scampo ; e , fatta perciò alle- stire prontamente una nave , vel fece porre scortalo da guardie; e, per meglio assicurarsi dell' eseguimento della rea sentenza, egli stesso pur volle accompagnarlo. Giunti che furono in mezzo al lago, ecco dietro ad un monte levarsi all'improvviso un g ruppo di dense nubi *), che, spinte da vento furioso, in poco tempo ricoprono tutto il cielo: i tuoni mugghiano orribilmente, scop- piano i fulmini, la furia del vento solleva Tonde a scompiglio, e la barca agitata è vicina al naufragio. Tentano invano i remiganti d' opporsi all'impeto della tempesta: ella cresce, e la' morte già sembra inevita- bile. In terribil frangente ^) uno di essi , rivolto al governatore: Noi siamo tutti perduti, gli dice, se a Teli non date la libertà di soccorrerci; la sua forza è la sola che possa trarci a salvamento. Atterrito dal pe- ricolo, non esitò il governatore a permettere eh' ei fosse

') Dense nubi Htfe SBolfen. 2^ Frangente ©efa^r.

GUGLIELMO TELL. 83

sciolto. L' uom forte, presi due remi, incominciò a con- trastare coir onde a tutta lena '), e aiutato dagli altri, a cui il suo esempio rinnovò il coraggio , dal mezzo del lago gli riuscì a trarre la barca vicino al lido. Era quivi uno scoglio che alquanto sporgeva innanzi, e che i fluiti agitati coprivano alternamente. Allorché a questo si vide presso, Guglielmo Teli, prontamente gettati i remi, d'un salto vi balza sopra, e coir urto del piede la barca in mezzo all' onde ne risospinge.

Non è da dire urlasse terribilmente di rabbia e di spavento il deluso Gessler al vedersi in novello peri- colo, e nuovamente costretto ad errare in balia dei flutti. Guglielmo intanto , corso velocemente a riprendere le sue armi, si fé' a mirare dall' alto il successo dell'agitato naviglio. Dopo essere stato per lungo temp» qua e balzato dall' onde , chetato il vento , arrivò esso pur finalmente a prender terra.

Il governatore fremente di sdegno, e più che mai anelante alla vendetta, uscito appena di barca, si af- frettò a ritornare ad Altorfo per dar ordine che Teli d'ogni parte fosse cercato subitamente. Questi frattanto sopra al sentier montuoso, che egli doveva tenere , s'a- scose in luogo ove potesse vederlo senza essere da lui scoperto. Allorché fu vicino, l'udì gridar furibondo: se negli abissi puranche s' andasse a profondare , io saprò ben cavamelo ; ninno potrà rapirlo alle mie mani ; e una morte la più crudele dee saziare la mia vendetta. Irritato a ciò Guglielmo. Ah barbaro! disse, tu muori primo frattanto; e cosi dicendo, dall' agguato, ove sta- vasi , vibratogli un dardo in mezzo al cuore , il lasciò senza vita. Tal fine ebbe la crudeltà e la ferocia del- l'empio Gessler; e nel luogo ove ei cadde, siccome pur sullo scoglio ove Teli avea trovato lo scampo , due mo-

») A tutta lena mit oUer ihoft.

6*

«4 NOVELLA XIV.

numenti in onor di questo furono innalzati, che a per petua memoria tuttor si conservano.

NOVELLA XIV. 1 DVE FRATElilil.

I; igli di un padre medesimo, ma di madre diversa, Ce- sare ed Everardo aveano pur sortito un carattere affatto oppofito. Quanto il primo era dolce, amorevole, savio, applicato '): altrettanto aspro, intrattabile^ bisbetico, dissipato ^) era il secondo. La madre a tutto questo prin- cipalmente contribuiva. Accecata da un falso amore pel fig'liuol suo , ogni vizio veniva in lui fomentando , e la parzialità eie carezze eran tutte a lui profuse: ei non avea che a desiderare per tutto ottener prontamente- ogni suo capriccio , solo che fatto 'n' avesse cenno, era subito soddisfatto. A Cesare , per lo contrario, ella mo- stravasi la più ingiusta e più crudele matrigna: a hi eran serbati tutti i rimproveri e gli strapazzi; egli non era mai appagato di cosa alcuna ; nelle dissensioni, che per l'umore altero e feroce di Everardo sorgeano fre- quenti fra i due fratelli , il torto sempre era tutto di Cesare. Il buon giovine nondimeno sofferiva paziente- mente ogni cosa; quanto più ruvido e più scortese era il fratello, tanto egli cercava maggiormente di vincerlo con la sua dolcezza; e de' trattamenti iniqui della ma- trigna si consolava sulla giustizia che rendevagli il pa- dre, riguardando con occhio assai più ragionevole la sua condotta.

Appena fu questi venuto a morte, la matrigna volle tosto che il figliuol suo dal fratello si separasse. Divise

*) Applicato —tefìtffeti. 2) Aspro, intrattabile, bisbetico, dissipato xanf}, unlenffam, ivunberlic^, ijerfc^iuenbcrifc^.

I DDE FRATELLI. 8&-

pertanto furono le sostanze ; ed Everardo , presosi quanto gli apparteneva . con la madre ne andò in altra parte. Erano a lui toccate di sua ragione presso a ven- timila lire di rendita. Ma che sono mai queste a un dis- sipatore e ad uno sventato ? Nel corso di pochi anni iti giuochi, in feste, in iscialacquamenti d'ogni maniera egli andò consumando e rendite e capitali , finché si ri- dusse a non aver quasi più nulla. Nel suo impoverimento contuttociò egli punto non si sgomentava : la ricca ere- dità, che attendeva da un vecchio zio, a tutto gli dava maggior coraggio.

La morte dello zio avvenne infatti allora appunta che egli, già consumata ogni cosa, e aggravato puranca di molti debiti, si ritrovava in maggior bisogno. Non erano ancora al defunto compiuti gli estremi uffici , eli" egli con sua madre incominciò a tormentare Jl fratello per avere ciò che credeva dovergli appartenere. Cesare^ che ben sapeva come Everardo trattato era nel testa- mento, dissimulando contuttociò, e mosso al tempo stesso da un sentimento di generosità: Voi avrete, gli disse , più ancora che non vi tocca : ma ora gli estremi doveri si compiano innanzi lutto. A' miei doveri so come e quanto si abbia a soddisfare, rispose l'altero Everardo; ho punto mestieri che altri facciami da precettore: io voglio ora quello eh' è mio , e il vo' senza indugio : qua il testamento , e veggasi ciò che mi viene. Cesare tuttor con dolcezza: Non è ancor tempo, gli disse, d'intertenerci di questi affari; se alcuna cosa ve d'uopo intanto, io vi fornirò tutto quello che vi aggrada: ma non cercate ora più oltre. Che intanto, e che fornirmi* replicò Everardo tulio sdegnoso: perchè deggio essere a voi tenuto di ciò che è mio , o chi vi fa si ardito da voler ritenere a vostro talento ciò ch'i' d'altrui? Io non terrò nulla di ciò eh' è vostro. Il testamento adunque si vegga. E' non conviene peranche: ciò si

86 NOVELLA X[V.

farà a miglior tempo : quanto bramate frattanto ? Eve- rardo infuriato vie più, e aizzato ^) pur dalla madre, incominciò a caricare il fratello di ogni sorta di ingiurie, accusandolo di villano , orgoglioso , prepotente , e per- fin i\i maligno e di truffatore, quasiché per pigliar tempo a gabbarlo ^) ei volesse tenergli il testamento nascosto. Cesare allora: Tu lo vuoi dunque ad ogni patto*? gli disse con aria di giusto risentimento ; or bene, ingrato, mira oggimai la tua confusione. Apresi il testamento: Everardo lo scorre con ansietà , e in leggendo , v' incon- tra queste parole terribili: ,, Essendosi con la sua trista condotta Everardo mio nipote renduto affatto indegno de' miei beneficj , istituisco Cesare suo fratello erede inico e universale di tutti i miei beni."

Rimasero a questo tratto egli e la madre affatto istu- piditi; e già erano per uscir nelle smanie di una estrema disperazione , quando Cesare con raro esempio loro ne tolse il modo, così confortandoli: Io ho già detto pocanzi che assai più avreste avuto che non vi si spetta; e, lungi dal pentirmene, ora pure il confermo. A parte io vi terrò d'ogni cosa ben di buon grado; ma un ricambio pur ne desidero , ed è che voi mi siate veracemente fra- tello e voi madre. Deh! ogni discordia sia oggimai ter- minata fra noi; e in dolce unione pur una volta viviamo fra noi congiunti. Qual frutto ci sia venuto dalle lunghe nostre dissensioni, voi il vedete: a voi prodotta han la perdita di tutto quanto ; a me il rammarico di avervi .sempre lontani.

L'animo altero di Everardo e della madre, avvilito dal primo colpo , si ritrovò dal secondo umiliato insieme 6 compunto. Abbracciandolo amendue teneramente, con mille segni di riconoscenza acceltaron essi il generoso partito; e Cesare più di loro fu lieto di vedere nella

M Aizzato - 01'tei^t. '^^ Gabbare bctrùgcn.

NOVELLA XV. TIOHANG. 87

«ua casa ristabilita pur alla fine quella concordia che so- spirava da ^ran tempo. Ma quanti Everardi si veggono tra i fratelli, e quanto é difficile trovarvi un Cesare !

NOVELLA XV.

T I O H A 1% €:

Novella Cinese.

M. iexin , uno de' letterati della città di Taming , che è delle principali nella provincia di Pekino, aveva un figlio per nome Tiohang, giovine d'ingegno pronto e vivace , e di animo nobile e generoso. Spedito questi a Pekino per istruirsi nella letteratura cinese, in pochi anni vi ottenne il grado di baccelliere '), che colà chia- masi Siou-tsai , e mentre fregiato della vesle azzurra, con cui distinguonsi i Siou-tsai, alla patria faceva ritorno, costretto a dover passare la notte in un borgo discosto da Taming circa mezza giornata, domandò quivi l'albergo presso una buona femmina, in cui s'avvenne, e che, giusta il costume antichissimo de' Cinesi , con tutte le espressioni di ospitale amorevolezza cortesemente l'ac- colse.

Mentre con lei trattenevasi, osservò che ella andava sospirando tratto tratto, e mettea pur qualche lagrima') secretamente. Commosso a tal vista , ei si fece animo a domandarne la cagione- ed ella con' un profondo so- spiro: Ah! troppo temo, rispose, che il mio dolore non abbia a farsi ancor più grande. L'afflizione inconsola- bile di mio figlio, lo stato di abbattimento, in cui egli si trova, lo slato ancora peggiore che ne pavento, mi

*) Baccelliere 59acca(aureu«, ^) Metter lagrime tocinm.

88 NOVELLA XV.

.1

empie l'anima di tristezza. Egli amava ardentemente una giovane di Taming, quanto bella, altrettanto pur saggia e virtuosa; ed era egualmente da lei amato- Chiestala a' genitori in isposa, aveala ottenuta, e il sospirato delle lor nozze già s' appressava , quand' ecco improvvisamente il mandarino primario della città, il barbaro Takuai, per alcuni de' suoi ministri fé' iniqua- mente rapir la donzella, si sa ancora in qual parte ei la tenga racchiusa. Mio figlio all'udire la trista nuova corse a Taming prontamente ; fece ogni sforzo per ria- vere r amata sposa, ma tutto fu invano. Sepolto ora in un profondo abbattimento, oppresso da una angoscia inconsolabile, più non si pasce che di lagrime e di do- lore. Indarno ho cercato più mezzi per confortarlo;^ non hanno fatto che esacerbar maggiormente la sua fe- rita. Una lenta febbre pur da sei giorni lo ha assalito, che a poco a poco lo strugge, e fra non molto io temo, ohimè! di vederlo agli estremi, e di non avere più figlio. Qui tacque, e sottentrò alle parole un dirotto pianto.

Intenerito il giovine Tiohang, e animato da un vivo coraggio: Prendete cuore, le disse, e consolatevi; il male non è peranche senza rimedio : ov' è vostro figlio? mi sarebb' egli permesso di visitarlo? La buona donna il guidò alla camera ove ei giaceva. Abbandonato sovra di un letto ei mira un giovine a cui la prima lanuggine *) spuntava appena. I lineamenti nel suo viso annunziavano ima bellezza non ordinaria; ma scarno e smunto ei vi portava allora impresso il dolore e ilpallor della morte. 1 languid' occhi , ognora gravi di pianto , giravansi a fatica, e richiudendosi pareano fuggire la luce. Un fre- quente singulto interrotto da caldi sospiri batteagli il petto profondamente , e una voce flebile di quando in

*) Lanuggine JBad^oarf,

TIOHAKG.

quando si ascollava, che andava sol ripetendo: Ah Sohepin ! troppo cara e troppo amabile Sohepin !

Accostatosi Tiohang, e la mano stringendogli amo- rosamente: Deh non vogliate, gli disse, abbandonarvi a un disperato dolore : Y amata sposa non è ancor per- duta del tutto: il sublime monarca, che il ciel prepose al nostro impero , spande i raggi della sua giustizia egualme/ite in ogni parte. Non avete, voi fatto ancora a lui penetrare i vostri lamenti ? Ah ! come, rispose il giovine Sahikou, come fino al suo trono inaccessibile far arrivare il mio pianto? Orbene, disse Tiohang, io stesso saprò spianarvi la via. Più volte io ho avuto già modo d" introdurmi presso al gran mandarino : ai mi conosce ; dinanzi a lui saprò io guidarvi , e in lui troverete il protettore e il sostegno alla vostra scia- gura. A questo raggio di nuova speranza balenando d'insolita gioia l'addolorato Sahikou: Deh non sia questa, esclamò, una vana lusinga! la mia morte sa- rebbe inevitabile. No , confortatevi , rispose Tio- hang: domani al sorger dell'alba io m' affretterò di re- carmi a Taming a rivedere i parenti miei , da cui sono assente da alcuni anni. Essi consentiranno ben volen- tieri che per si giusta cagione io impieghi l' opera mia. Ripartirò immantinente, ed alla capitale dell' impero vi sarò guida e compagno.

Al primo albore, di fatto, il sensibile Tiohang s'incammina verso la patria, avvivato da una dolce compiacenza di aver trovato un'occasione si bella di fare un' azione generosa ; e pieno di speranza che la sua virtuosa risoluzione sarebbe dai genitori applaudita. Ma qui al primo entrare in sua casa una scena gli si presenta che Tempie di maraviglia e di terrore. Popo- lala era questa dapprima continuamente di persone, che pe'loro affari a suo padre avean ricorso: or egli la trova affatto deserta. S' inoltra nelle sale ; non altri in-

90 NOVELLA XV.

contra che un vecchio famiglio, a cui chiede di suo padre , e che sol con le lagrime gli risponde. Agitato da mille inquietudini, ei s'affretta di presentarsi alla madre per saper pure che sia avvenuto, e sepolta la trova nella costernazione e nel pianto. Ah ! dunque, egli grida precipitandosi nello braccia di lei, dunque mio padre più non esiste ? La madre , stringendolo e soUevandos i con* ìsforzo : Ei vive, o figlio , sì, vive an- cora, ma nell'obbrobrio e nello squallore. Un vecchio infelice, a cui il barbaro Taknai ha rapita l' unica figlia, è ricorso a tuo padre , perchè egli l' opera sua inter- ponesse, onde giugnere a riaverla. Tuo padre ha osato di prenderne vivamente la difesa. Il crudel mandarino, irritato contro di lui, l'ha fatto indegnamente arrestare, e già da più giorni ora geme ne' ferri. Ah, mostro! gridò Tiohang trasportato di sdegno , io quest' eccesso non m' aspettava di scelleraggine ; ma non andrà lunga- mente superbo, no; tremi alla vendetta che già gli fischia sul capo. Cosi dicendo, ei si divelse dalle brac- cia materne, e precipitoso corre alle carceri.

Procuratosi quivi l'accesso, ei trova il rispetta- bile vecchio, che in un fondo di torre, ove un languido raggio di luce scendeva a stento, giacea sulf umida terra, aggravato dal peso di raddoppiate catene, ma che nel volto tranquillo mostrava tuttavia la serenità d'un animo virtuoso, oppresso dalle sciagure bensì, ma non abbattuto. A questa vista il giovane Tiohang alza un grido, e sul padre si abbandona. Egli placida-^ mente : Un esempio in me tu vedi , o figlio , d' inuJ mana ingiustizia. Ma la virtù è pur un dolce conforti in questi casi terribili. Tra lo squallore di questo orride carcere io son più contento che il reo tiranno che mi opprime non è fra la pompa delle sue sale. Io ho voluto difendere l' innocenza e la miseria oppressa dall' ingiu- stìzìsL e dalla prepotenza : quand' anche avessi a morirne.

TIOHANG. 91

troppo dolce mi sarà sempre il pensiero di aver fatta una buona azione.

Ah! egli è il ribaldo che merita mille morti, gridò Tiohang furibondo ; cfuesta mano, si questa mano medesima farà le vostre vendette. No, figlio, guar- dati dal disonorare te stesso e tuo padre con un tras- porto inconsiderato. La mia innocenza si farà mani- festa , non dubitare. Il cielo è giusto. Or bene, adunque, replicò Tiohang, a me s'aspetta il far mani- festa la vostra innocenza e la vostra virtù. Il cielo, che è giusto, saprà secondarmi. Ditemi ove soggiorna il vecchio infelice, che voi avete cercato in vano di di- fendere ? Al tempo stesso gli spiega il suo disegno, discopre la deliberazione già presa con Sahikou. Il padre l'abbraccia teneramente, e, baciandolo: Or ben, gli dice, in te riconosco mio figlio; vanne; alla tua pietà il cielo sarà propizio.

Pieno di ardore e di speranza il giovane Tiohang corre a trovare il padre della rapita donzella-, e, riscuo- tendolo dal suo dolore , il determinava a venir seco a Pekino. Passa quindi a consolar sua madre , e la sera medesima giunge col vecchio alla casa di Sahikou. Par- liti di buon mattino tutti e tre il seguente , furono in pochi giorni a Pekino. Quivi il giovane accorto e inde- fesso, usando di tutta la sua attività, riusci prestamente a presentarsi co' due compagni al gran mandarino. Spiegò innanzi a lui con tutta la forza della sua elo- quenza r oppressione sotto di cui gemeva la misera Sohepin, il cadente di lei padre, lo sposo afflitto e disperato; e, giunto poi a dipingere lo squallore in cui languiva suo padre medesimo per aver difesa una causa si giusta, egli animò il suo discorso d' un fuoco si vivo, e d'un patetico commovente., che il gran mandarino non potè trattenere le lagrime.

Non tardò egli quindi un momento ad informare di

98 ~ KOVELIA XVI.

tutto quanto Y imperatore, il quale, inorridito alla scel- leraggine di Taknai, commosso all'oppressione di Tiekin, e dolcemente intenerito alla generosità di lui e del figlio 5 ordinò immantinente che il mandarino mal- vagio, spogliato di tutti gli onori e infamato , fosse re- legato nella parte più orrida e più selvaggia della Tar- taria- che Tiekin sottentrasse alla carica, di cui il ribaldo era fatto indegno ; e che il giovane Tio- hang sotto all' imperiale protezione fosse in Pekino alle- vato alle dignità delF impero.

Ebbe il giovane valoroso il piacere di recare egli stesso questi ordini a Taming; e, sollevato dalle car- ceri alla carica più sublime della sua patria il virtuoso suo padre, godette di render quivi di propria mano ad un vecchio cadente la cara figlia, e la sposa ad un te- nero amante. Tornato poscia a Pekino ei salì di mano in mano a' più cospicui gradi , sinché pur giunto col tempo a quello di gran mandarino, si rese il modello de' saggi ministri, e divenne l'amore e 1' ammirazionfr di tutto r impero.

NOVELLA XVI.

Hira Corrado III imperatore acceso di fierissimo sdegno contro di Guelfo , duca di Baviera , e giurato n' aveva atroce vendetta. Assediatolo nella città di Weinsberg, ei già r aveva ridotto agli estremi, quando Guelfo, che modo più non trovava a resistere, e in procinto, vedeva le sue genti di perir dalla fama, incominciò pei suoi messi ad offerirgli la resa ') , quelle condizioni chiedendo che aver potesse migliori. Ma di troppo inasprito ^) era

^) Resa Uebergo^e. ") Inasprito ixhitkxi.

LE DONNE DI WEINSBERG. 93

r animo di Corrado, e non che alcuna accordargli delle condizioni onorevoli ch'ei domandava, nemmeno ad al- cuna si volle arrendere delle più gravose e più umi- lianti, a cui Guelfo apparecchiato si offeriva a sotto- mettersi, sol che la vita di e di quelli che seco erano fosse salva. A ferro e a fuoco volea 1" irato imperatore che tutto andasse senza riserva, e a placarlo pre- ghiere valeano, querele , pianti. Il misero duca, altro più non potendo, a discrezione se gli rimise, questa sola grazia chiedendo, che alle donne almeno volesse aver riguardo, permetter che esposte fossero miseramenle alla licenza e al furor do' soldati; ma con- sentire che con quel tanto che seco recar potessero, venisse lor accordato di uscire della città, e ridursi in «alvo. Corrado, che, contento di sfogare contro degli uomini, e contra il duca singolarmente, lo sdegno suo, niuno stimolo avea a dover infierire contro le donne, a quest' una condizione cede di buon animo , e volen- itieri s' arrese.

Come la nuova ne giunse nella città, si fé' d'ogni parte grandissima fesla, e poco a ciascuno parca di dover perdere, benché la libertà, o la vita fosse lor tolta, quando nelle lor mogli e nelle figlie, e nelle so- relle, e nelle madri libere e salve potessero soprav- vivere. 11 duca sopra ogni altro , che la moglie sua amava del più tenero amore, di questa nuova fu il più consolato e più lieto uomo che mai fosse. Ma non già liete del pari eran le donne, che i mariti loro ed i figli, e i genitori e i fratelli, e quanto aveano di più caro, vedeano dover lasciare senza speranza di più rivederli,' che 0 trafitti barbaramente, o crudelmente straziati fra le catene.

Quindi un misto di grida e di lagrime , di gioia e qui di dolore , e un suon di viva per una parte, e di strida di disperazione per l'altra. E già il più delle

94 NOVELLA XVL

donne fermamente negavano di volere per modo alcuno da lor dipartirsi, e apparecchiate si dichiaravano a vo- ler patire con essi qiial mai si fosse sciagura ^). Quando una di loro, quasi ispirata da celeste consiglio: E perchè, disse, non possiam noi ad un tempo solo e a noi me- desime campar la vita e a coloro che più della vita ci sono cari ? Corrado stesso ce n' offre il mezzo senza av- vedersi, e qualche celeste genio ha chiuso a lui gli occhi, sicché la via non ravvisasse eh' ei ci prestava a salvezza comune. Ei consente che libere noi usciamo con quello che noi siam atte a portare sopra di noi. Or chi ci vieta che ognuna il fratello o il padre o il marito 0 il figlio non ci rechiamo sopra le spalle, e noi por- tiamo a salvamento?

Un grido universale d'applauso e di vivo giubilo- si levò tosto da ogni lato a questi detti, e lodi non v' ebbero che non si dessero all' accorta donna e al suo nobile ritrovato, e a tutti parve in quel momento di sorgere a nuova vita. tardar vollero pur un istante a mettere ad effetto il divisato consiglio. Più tenero spettacolo chi vide mai, che un'infinita moltitudine di donne di ogni età e di ogni condizione, tutte concorde- mente in pietosa opera occupate, scambievolmente ') animandosi, uscire a gara, e le mogli portarsi i mariti loro, e le vecchie madri i teneri nipoti, e le giovani donzelle il vecchio avo, o il genitore, o i fratelli, e il duca innanzi a tutte portato dalla tenera, affettuosa con- sorte , che mai ferma ne robusta non si credette come amore la fé' in quel punto?

A tal vista inaspettata e pietosa Corrado istesso fu vivamente colpito , e ne pianse di tenerezza. Quindi, rivolto al duca: Poiché amorevole e in-

0 Patir sciagura Ungtiitf ettrogen. ^^ Scambievol- mente — gegcnfeitig.

NOVELLA XVII. IBRAIM. " 95

gegnosa hai tu trovato la donna tua, e in tanto pregio io veggo e in tanto affetto che sono tutti costoro alle lor donne, che essi soli antepongano ad ogni altra cosa, ben egli è giusto ch'io pure e voi ed esse onori quanto conviene. La vita adunque, che queste v'hanno no- bilmente salvata, sia pure a tutti illesa, e ognuno pensi oggimai a spenderla per tal modo che degna ricompensa ne abbiano quelle a cui la dovete. La nimistà, che divisi ci ha tenuti finora, abbia, o Guelfo , pur fine da questo punto. Io ti perdono oggimai, e dimentico quanto mi ha finora acceso contro di te, e perpetua e ferma ami- cizia sarà quindi innanzi fra di noi due. E fatte poscia alle donne le più graziose e più cortesi accoglienze, e molto lodatele dell'amor loro e del loro caraggio, con- cesse a ciascuno di ritornare alle sue case tranquilla- mente; ed, entrato egli pure non più nemico, ma intimo e compagno col duca in Weinsberg, tutto quel giorno, e molti altri appresso, la ricomposta pace ^) e la ge- nerosa azione delle amorevoli donne con lieta festa ce- lebrarono.

NOVELLA XVIL

IBRAIJVI.

Noveìla Persiana,

J\ello Schirvan, provincia della Persia, regnava già da molt' anni una pace tranquilla, e i felici abitanti go- deano hetamente tutli que'beni che un saggio principe a' suoi sudditi agevolmente sa procacciare. Era questi Ibraim , che tutto inteso alla felicità de' suoi popoli , e con ottime leggi moderando il suo impero, e attenta- mente vegliando perchè da' ministri suoi incorrotta giu-

*) Ricomposta pace ber toiebfrgcf(^(offeue g^riebe.

»6 NOVELLA XVII.

sHzia fosse a tutti renduta , e animando provvidamente V industria nelU agricoltura e nell' arti, e premj e pene, secondo che conveniva, accortamente distribuendo, avea saputo stabilire fermamente la tranquillità in ogni parte, e introdurvi una lieta e felice abbondanza.

Mentre eran que' popoli nel colmo *) della lor gioia, e con tenera riconoscenza il lor signore concordemente benedicevano, ecco giugnere infausto annunzio, che tutti pose in fierìssima costernazione ^). Il superbo Ta- merlano, divenuto allora il terrore dell' Asia , avido di estendere sempre più i confini del suo impero, alla pro- vincia di Schirvan già appressavasi con esercito nume- roso per soggiogarla ed aggiugnerla alle sue conquiste. Alla trista novella, sollecito Ibraim più de' suoi po- poli, cui vedea minacciati de' mali estremi, che di stesso, chiama immantinente i ministri suoi a consiglio, onde con essi deliberare di quello che avesse a farsi. Osman, il generale dell'armi, uom fiero e valoroso: Guerra, tosto esclamò, guerra fa di mestieri. Pur venga il feroce Tamerlano -, qui troverà chi alla fine sappia fiaccare il suo orgoglio ^). Ninno, o re, è fra noi, che tutto per te, pe' suoi figli, pei campi suoi , per la patria non sia pronto a versare il suo sangue. Vedrà il superbo quanto sia duro il combattere genti determinate a tutto perdere, anziché sottomettersi al crudele suo giogo. Ma d' altra parte levandosi Usbec, eh' era il custode de'j reali tesori : Io , disse , primo di tutti, o sire , offro pei te il mio sangue e la vita mia, se alla guerra ti appigli,5J e se credi che aver da q lesta possiamo alcuno scampo. Ma contro esercito possente, animato da lunghe vittorie,^ come potranno le nostre genti, di numero assai minorici . e al combattere per lunga pace già disusate *) , oppor

^) Colmo ®{}?fel. ^) Costernazione Sefìùrgung. ^) Fiaccare il suo orgoglio feiueit ^oc^mut§ bcCi^en, *) Dis- usate — eiittDó^nt.

IBRAIM. B9

resistenza *) che basti? Pace piuttosto, a parer mio, sarebbe a chiedersi, se dal crudel Tamerlaiio altra pace sperar si potesse che una schiavitù intollerabile e ver- go^osa. Altro scampo io non trovo che nella fuga ; i tuoi tesori e te slesso tu dei ricovrare sollecitamente in altre terre; fedeli noi seguiremo i tuoi passi, ovun- que a te piaccia di ripararti: Tamerlano non resterà lungamente in un vóto regno; l'ambizion sua lo por- terà immantinente a più tonfane conquiste ; e '1 cielo forse, passato il turbine , una nuova via ci aprirà onde tornar nuovamente alle nostre sedi, e rientrare- agli antichi soggiorni.

Divisi erano i pareri de' circostanti fra i due opposti partiti ; e chi voleva che alle forze di Tamerlano la forza e l'intrepidezza ^) si opponesse, chi giudicava più saggio consiglio evitarne l' impeto con la fuga. Ibraimo udite d' ambe le parti le opposte sentenze : Io lodo, disse, il coraggio ed il valore di chi è pronto ad esporre animosamente per me a certo risico ') la vita sua, e a queste prove ben più vivamente ancora in me l'a- more s' accenderebbe per voi. se più amar vi potessi; ma il mio amore appunto non soffre ch'io vegga per me versalo un sangue che m'è si caro. La fuga ben ri- parar mi potrebbe : ma vie più fiero per 1 a mia fuga ficoppierebbe lo sdegno di Tamerlano su 1 miseri che rimanessero preda del suo furore. Lode però al cielo che altro miglior consiglio mi suggerisce, col quale tutti io spero di farvi salvi. Voi lo saprete fra breve : frattanto il cielo per voi si preghi ardentemente ond' ei -secondi i miei voti.

Disciolto *) il consiglio, ei si diede immantinente ad apprestare ricchissimi doni d'ogni maniera, e con

*) Oppor resistenza SSiberfiani) leiflett. ^) Intrepi- dezza — Unerf(^r(3(fen^eif. ~ ») Risico Oefal^r. -— *) Di- sciolto — aufgctófl, auéciuanbcr gegangeu. Soave, Novelle. 7

98 N OVELLA XVn. IBRAIM.

questi si dispose a farsi incontro *) a Tamerlano , . per ottenere al suo popolo la salute. Era uso di Tamerlano e ordine per lui fissato nella sua corte , che i presenti, che a lui si offerivano , tutti fossero nella specie loro al numero di nove. A questo ordine conformandosi Ibrai- mo, a lui fattosi innanzi, nove superbi destrieri^) gli presentò riccamente bardati e d' oro ornati e perle, nove leopardi, ammaestrati alla caccia tutti con vaghe collane d'oro, nove tende di seta a ricami finissimi d'argento e d'oro, nove tappeti dell' Indie, lavorati col più sottil magistero , nove vasi d' oro contornati da preziosissime gemme, e cosi pure degli altri doni, tutti ricchissimi e di singolare lavoro ; per ultimo , gli pre- sentò alcuni schiavi; ma questi non erano che otto soli. Ov'è l'altro schiavo? chiese allor fieramente il re tar- taro. Egli è a' piedi tuoi, disse Ibraimo, prostrandosi a lui dinanzi. Schiavo tu non avrai di me più sommesso più fedele , e troppo dolci a me saranno le mie ca- tene , ove per esse io ottenga ' dall' ira tua salute e scampo al mio popolo desolato. Deh! a questo solo abbi pietà ; ei sia salvo da ogni offesa : di me disponi come t'aggrada; io già son tuo. Commosso a quest'atto queir animo per natura feroce , e tutto cangiato in medesimo, cortesemente rilevandolo : Ben altro, disse, che schiavitù si debbe ad una virtù così bella. Tu il primo sarai fra i miei più intimi amici , tu in conto mi sarai di fratello e di padre. Torna lieto a' tuoi popoli, segui a farli felici, siccome hai fatto sinora. Se me ad imprese più vaste e più romorose»non chiamasse il mio destino , miglior piacere io non saprei ritrovare , che, vivendo in piccol regno , usare ognf opera per imitarti.

*) Farsi incontro— cntgegen gel^en. 2) Destrieri <Shcits tof, eble^ JRofi.

99

NOVELLA XVIU.

I.É GIOIE Ii\VOIiAT£.

i\ella prima delle novelle, che a queste precedono, noi abbiam ricordato uno di quegli atti di beneficenza, che laugusto Giuseppe II sa collocare si acconciamente e condire per dolce modo , che più n accresce il va- lore, e più vivo ne fa sentire il godimento. Quanto egli però è ingegnoso nel compartire i suoi beneficj, altrettanto sagace ^) sa dimostrarsi, e fecondo di accor- tissimi ritrovati '^), ove giustizia il richiede , per isco- prire la verità , e render ragione a chi si conviene.

Non è ancora gran tempo che in Vienna un giovane cavaliere, consumata^) avendo nel giuoco la miglior parte de' suoi averi , trovossi a quelle angustie , a cui questo vizio suol ben sovente condurre i mal accorti *), che vi si abbandonano. Spogliato già. ora mai d' ogni cosa . e impotente a più soddisfare la passione che il dominava, sapendo tuttavia astenersene, perchè ognor vinto dall' ingannevol lusinga ^) di poter giugnere finalmente a riscattarsi delle sue perdile, incominciò a pensar fra slesso qual mezzo trovar potesse a pro- cacciare nuovo danaro , onde nuovamen:e alla fortuna avventurarsi. Ben ei vedeva che per onesti modi gli era impossibile di acquistarne, e che troppo era mala- gevole rincontrare chi fosse poco avveduto^) dal volergliene più affidare ninna parte. Altro mezzo non v' era che ricorrere alle astuzie ed alle frodi ^). Ma 'il ritenea tuttora un avanzo di quei principj di probità, che nella prima' educazione erangli stati inspirati. Se non che troppo deboli sono questi, allorché il vizio co-

^) Sagace fd&rau. 2) Accortissimi ritrovati fc^r lijìigc Clrfìnfcungen. 3j Consumata bur%ebra4)t. *) Mal accorto ùbel htxati)en. ^) Lusinga Stniocfung. ^) Avveduto flug. '') Astuzia, frode SijJ, 93etrug.

7*

lOO NOVELLA XVIIL

mincia a prender potere , e che il cuore n' è già cor- rotto. L' interna pugna fra l'onestà da un canto , che il riteneva , e la passione , che lo spingeva dall' altro , fu breve \ e questa per sua sciagura ne trionfò.

Un giorno adunque , pensati vari artificj, ancor trovato a qual dovesse appigliarsi, sovvennegli del gioiel- liere 5 dal quale pochi anni innanzi comperate aveva le gioie , di cui la sua sposa avea riccamente fornita ; e come uom semplice e di buon cuore lo conosceva , così parvegli che più agevolmente d' ogni altro verrebbegli fatto 0 d'ingannarlo. A lui quindi portatosi, incominciò a domandargli che quanto avesse di più prezioso in dia- raan'i e in rubini , e in ogni altra maniera di gemme, volesse mostrargli -, ed or questa, or quella esaminando, e il prezzo chiedendo or dell' una , or dell' altra , e in lunghi discorsi intertenendosi sulle varie mode e sulle forme migliori onde comporle e legarle, e fattele se- condo vari disegni e in varie ligure da lui ordinare, alla fine: Or cosi, disse, mi pare che alla moglie mia piacer dovrebbono , a cui vo' farne un presente. Fra quanti giorni me le sapreste voi dare belle e legate? eh' io vorrei fargliene una dolce sorpresa. Le pietre son molte 3 rispose il gioielliere , e lungo e penoso esser ne debbe il lavoro. Io vedrò d'affrettarlo con ogni cura; ma innanzi a due mesi io non oserei di promettere che fosse a termine. Ohimè ! (disse il cavaliere) Questa ritardo sconcerta Iroppo i miei disegni^) .... Seb- bene io penso che si vario sovente e strano ®) è delle donne il capriccio , che quella forma che a noi aggrada, a lei potrebbe spiacere. Sarà dunque meglio che a lei ne porti i modelli senza altro indugio , e eh' io compia il dono mio col lasciare eh' ella medesima si scelga a

^) Verrebbegli fatto c3 tìjurbe t^m getiuf^en. *) Scon- certa i miei disegni anbert meineti ?)31an. ^) Strano tuun* berlid^.

LE GIOIE INVOLATE. lOl

SUO talento ciò che più ama. Venite meco. E, ciò detto, prese le gioie , e seguito dal gioielliere s' incamminò verso casa. Ma destramente egli aveva colto il momento in cui sapeva che sua moglie ne era fuori. Qui dopo varie simulate dimostrazioni di dispiacere di non averla trovata : Or bene, disse, a me lasciate le gioie : io gliele mostrerò al suo ritorno , e domani voi ne avrete ris- posta ; ma raccomandovi innanzi tratto che sollecito il più che si può e diligente ne sia poi ii lavoro.

Il gioielliere , che ricco giovane e buon pagatore conosciuto Tavea per l' addietro, e che nulla sapea del suo giuocar rovinoso *), delle perdite che avesse fatte , nulla temendo di frode, e a lui fidandosi buona- mente, se ne partì.

Lieto il reo giovane soprammodo della felice avven- tura, neir ubbriachezza del suo tripudio, quasi non con- tento d' avere ingannalo un solo, pensò col mezzo , che la sua frode aveagli procacciato, di farsi beffe*) ancor della moglie , ed acchetare con ciò i lamenti eh' ella facea continui per le gioie che a lei medesima involate egli avea, e con tutto il resto perduto al giuoco. Fat- tosele adunque innanzi al suo ritorno, e mostrate 4e gemme che avea seco: Or più, disse, non avrai tu a intronarmi*) l'orecchio, e a menar tanto rumore*) pqr le tue gioie: vedi se di migliori io so compensarti. Ben io sapeva che la fortuna non m' avea sempre ad esser nemica. Un buon momento mi ha rifatto a dovizia ^) di tutto ciò che ho perduto in più anni- e l'amor mio vuol prima di tutto eh' io pensi a rendere a te con usura ^ quello che ti ho tolto. Scegli ora fra questi gioielli quei che ti sono più in grado: domani io darò ordine al gioielliere che sien legati in quella guisa che più vor-

') Rovinoso toUtùÌ)n. 2) Farsi beffe «Spott trei6<n. *) Intronare bctaubcn. *) .Alenar rumore £àrm fd^logcn. *) A dovizia— rci(^U<t>.—^) Lsura SBuc^cr.

102 NOVELLA XVm.

rai. Fa intanto di porli ben chiusi in luogo , ove siano pienamente sicuri, e non farne motto a persona*), se pur ti preme di averli ; eh' io non vo' che nessuno ne abbia sentore, prima che te li vegga dattorno. Contenta oltremodo la moglie, promettendogli il segreto, li serrò a chiave nel più riposto luogo e più custodito, ed egli intanto di lei ridendo, andò qua e tacitamente spiando ove trovare potesse occasioni di cambiarli in danaro, senza essere scoperto.

Venuta la notte , il gioielliere .non fu senza tur- bamento ^), pensando fra medesimo alla sua troppa fidanza e alla poca accortezza con C!ji aveva lasciata in mano ad un giovane una somma di gran prezzo. Nondimeno considerando che nobile egli era, e nobil- mente allevato, fatta avrebbe azione che indegna fosse de' suoi natali o di que' sentimenti d' onore che a cavalier si convengono , e persuaso eh' ei fosse pur tuttavia ampiamente fornito dei beni della fortuna, come eralo per l' innanzi , e perciò lontano come da ogni bisogno , così anche da ogni menoma tentazione a voler 'far suo r altrui , andavasi racconsolando , seco però proponendo di voler essere altre volte più avve- duto , più dar luogo a fatte inquietudini.

Giunto il mattino , e crescendo in lui vie più 1' an- gustie , risolvette di andare egli stesso alla casa del ca- valiere a udir la risposta , e riportarne le gioie, senza aspettare più oltre. Questi fé' dirgli in sulle prime ') eh' egli era tuttora a letto , e che più tardi a lui ritor- nasse. Ma il gioielliere, non si volendo partire senza le gioie, gli fé' rispondere che nulla aveva di premuroso che altrove il chiamasse , e che quanto a lui fosse pia- ciuto aspettato l'avrebbe. Dopo alcun tempp, vedendo il cavaliere che quest' incontro o tosto o tardi per niuii

*) Farne motto a persona ja mit 9l(emonb ba»ou tebcn. *) Turbamento Untume. ^) In sulle prime jucrfl.

LE GIOIE INVOLATE. lOS

modo polea schivarsi *), fattosi animo a sostenerlo, e alla frode unendo la sfrontatezza,- ritiratosi in parte, ove <la alcuno non fosse inteso , il fé' introdurre , e come se uomo nuovo gli fosse , e ninno affare avesse con lui avuto giammai, tranquillamente il domandò che volesse. Io ho creduto mio debito , disse il gioielliere, di affret- tarmi a udire ciò che avete ordinato per quei gioielli che jeri mi commetteste, e risparmiare a voi la briga*) di riportarmene la risposta. Gioielli! rispose il cavaliere con fermo viso, e in finto atto di maraviglia: di che gioielli parlate voi? Come! di che gioielli? Tutto tur- bato replicò il gioielliere : Non foste voi jeri in mia casa , e non m' ordinaste voi di mostrarvi quanto io avessi di gemme più preziose , e di comporne vari di- segni; e le gioie cosi disposte, non vi portaste voi qui per udire la scelta di vostra moglie , a cui dicevate vo- lerne fare un presente? e, non avendola qui trovata, non mi diceste voi che gliele avreste mostrate al suo ritorno , e che stamane le gioie avreste a me riportate insiem con l' ordine di ciò che ella s' avesse scelto , e eh' io far mi dovessi per contentarla ? Io non so di gioie, di disegni, di che altro \ andate dicendo, rispose con l'atto stesso xli simulata ammirazione, e con viso egualmente intrepido il cavaliere: o voi mi scambiate , o voi sognate lutt' ora. Il gioielliere a lai delti incominciò a disperarsi, e, cadutogli innanzi, il pregò con le lagrime agli occhi per quanto v' ha di più sacro, o ch'egli potesse aver di più caro, a non voler desolarlo; che se quelle gioie rendute ei non gli avesse, egli era del tutto perduto ; che egli e la moglie sua ei suoi teneri figli più non aveano scampo onde non esser costretti a morir di fame : gli ricordò ciò che debbe ogni uomo , e più un cavaliere, a cui i sentimenti d'in-

*) Schivare toermeiben. 'J Briga SKù^e^

ia4 NOVELLA XVIII.

tegrità e d' onore più altamente esser debbono impressi ; il pregò a non volere mal compensare la fidanzi ch'egli avea in lui posta: il minacciò finalmente pur dei giudizi di Dio 5 a cui tutto è palese , e che severo puni-j tore è dei malvagi. Ma il cavaliere, di tutto befFandosiJ ed or d' abbaglio accusandolo, ed or di sogno, e taJ lor eziandio d' ubbriachezza e di delirio, si tenne ognoi fermo a negare che mai gioie, altro avesse di lui avuto : e ultimamente , incominciando il gioiellier( per disperazione a gridare quegli pur gridando di fintj collera e caricandolo di villanie, il fé' trascinare giù pei le scale , e cacciar di sua casa.

Jl miser' uomo , che , non ave ndo testimoni , scritto alcuno a cui appoggiare 0 le sue ragioni, ben vedeva che inutile sarebbe stato il richiamarsi ai tribu- nali, e perduta credendo ogni cosa, era per uscir di slesso ^) tanto il pungeva ^) la perdita e lo sdegno del tradimento. Quando in buon punto sovvennegli d' aver ricorso all' Imperadore , e , gittandosi a lui dinanzi, luf far suo giudice e suo sostenitore : Egli è troppo saggio,^ diceva, e ben saprà egli discernere chi dica il vero- è troppo giusto , perch' io non abbia a sperare eh' egli mi renda ragione.

Chiestagli adunque udienza , che facile ottenne da quella benignità con cui l'animo di questo augusto Mo- narca é sempre aperto ad udire ed a riparare i malide'' suoi sudditi, gli esptDse minutamente quanto eragli oc- corso^), affermando con giuramento tutto esser vero.

V Imperadore , che dalle lagrime e dal dolore del- l' uom dabbene più che da' suoi giuramenti ben com- prendeva che vero doveva essere quanto egli asseriva^

^) Appoggiare anscrtroucn. ^) Uscire di stesso aué btm èhm fommen. ^) Pungeva la perdita ^einigtc i^n -ber SJcrrufI jc. *) Occorso gugefìof en, gef(^er;fn.

LE GIOIE INVOLATE. 105

fattolo ritirare in disparte *), mandò tosto pel cavaliere, ordinando che ovunque si ritrovasse , immantinente a lui fosse condotto. Si scosse questi al comando in- aspettato, e tutto in sulle prime sentissi da capo a piedi raccapricciare^); ma richiamala ben presto l'usata intre- pidezza, e in ciò fidandosi, che ninna prova poteva il gioielliere contro di lui arrecare , con fermo animo si presentò, e quanto gli fu opposto, tutto negò ardita- mente.

L" Imperadore , vedendo che ninna confessione po- teva da lui aversi, una esatta ricerca deliberato già aveva di ordinare che in casa di lui fosse fatta per ogni parte. Ma come altrove potevan esser le gioie, o poste in luogo dove non fosse facile il rinvenirle , per trarne più prontamente la verità , immaginò di far uso di uno stratagemma'), che ebbe esito felicissimo. Ben egli ar- gomentandosi che alla moglie il segreto non doveva es- sere interamente nascosto , impose al cavaliere di scri- verle incontanente questo viglietto : „Se vi sta a cuore di salvar la mia vita, fate che tosto sian rimesse al pre- sentatore di questo le gioie che voi sapete."

A tal ordine il cavaliere impallidi, tutto egli cadde d'animo*), e prostrato a pie del Monarca, si fé' tre- mante a confessare il suo delitto. Il gioielliere riprese novella vita, attesoché per l'accortezza del jsuo so- vrano era pervenuto a riaquistare felicemente quanto per la sua soverchia fidanza e dabbenaggine avea perduto; ed al malvagio non valse però la tarda e forzata con- fessione a camparlo <lal meritato castigo.

*) Disparto bti Seitc ^) Raccapricciare ficfe tntf fe^en. *) stralagerama Jlun^grlf. *) Tutto egli cadde d'animo er »erlor fcinen SWutfi.

t06

NOVELLA XIX.

Ili TORTO >) RIPARATO.

Vccorre alcune volte che quelli, i quali hanno comando sopra d'altrui, o per mala prevenzione^), o per false accuse , o per impeto di passione verso alcuno de' lor soggetti divengano ingiusti , e li puniscano senza ra- gione. Chi è altrui sottoposto , ove ciò avvenga , dee sapere prudentemente frenare i moti che desta in sulle prime un' ingiusta condanna, e in luogo di rivoltarsi o di mormorarne, aspettar pazientemente che occasioni opportune gli dian campo ^) a scoprire la sua innocenza, o che il tempo , il qual suole alla fine condurre in luce la verità, per medesimo la manifesti; e chi regge, cessato il bolior primo, che lo ha tratto a precipitata sentenza, dee aprir 1' adito liberamente ad ogni giusti- fieazione o discolpa 5 e riconosciuta 1' innocenza di quello che prima reo gli parve , dee f arsi un dovere di riparare il torto fatto. Dell' una e dell' altra cosa un chiarissimo esempio ci han fornito, non ha gran tempo, due di quegli uomini, i quali, percliè troppo da noi disgiunti di costumanze e di clima , troppo inferiori a noi si sogliono riputare dal nostro orgoglio, e disprez- zar come barbari.

Ayder-Alì*), che negli anni ultimamente trascorsa tanto lunga e penosa briga*) seppe dare agli Inglesi sulle coste di Coromandel , stretto era di alleanza e amistà co' Francesi infìn dal tempo che altra ferocissimi guerra fra queste due nazioni rivali s'accese nel ITSSj

*)Torto Unrcc^t. 2) Prevenzione tìorijcfa^te SWetnitnaJ ') Gli dian campo i^m bie @<legcn^eit barbieten. *) Dar briga i?u t^un geben.

*) Così è chiamato dall' autore della sua vita , benché più comunemente sia conosciuto sotto al nome di Hyder-Alì.

IL TORTO RIPARATO. IO 7

la quale, a par dell' ultima , non solo in Europa, ma neir Africa ancora e nell'Asia e nell'America per ogni parte ne diffuse l'incendio e le rovine. Or avendo in que' tempi nell" Indie posto gV Inglesi l' assedio a Pon- dichery, città primaria e la più cospicua che il francese dominio avesse in quelle parti, avvertirono Ayder-Ali, il quale benché si trovasse egli medesimo da Canero, suo crudele nemico, e da' Maratti, bellicosissima gente , nel suo paese di Bengalor fieramenle assalito, spedi nondi- meno sotto agli ordini di Mortum-Saib quanto potè di truppe e di soccorsi per liberar la città assediata. Era Mortimi espertissimo capitano ; e malgrado la vigilanza*) assidua de' nemici, tanto seppe introdurvi e di genti e d'armi e di vittovaglie , che dove per difetto^) di opportuna difesa sarebbe stata dapprima costretta a ce- dere in pochi giorni, pei suoi soccorsi potè lungamente far fronte ^) al feroce impeto degl' Inglesi. Alla fine però, essendo questi troppo di forze superiori, ogni resistenza ed ogni aiuto fu vano, e la città dovette ren- dersi in poter loro.

Ne udì Ayder-Ali la spiacevole nuova nel tempo appunto che , sconfitti in sanguinosa battaglia Canero e i Maratti, aveva egli di questi riportata^ una intera vit- toria. Di ciò orgoglioso, troppo di onore ei riputò che si scemasse alle sue armi *) se in ogni parte non erano egualmente vittoriose : e credendo che a colpa di Mor- lum si dovesse attribuire, se il soccorso spedito all'as- sediala città riuscito era senza alcun frutto , contro di lui fieramente s'accese: e tornato che fu appena, senza lasciargli pur tempo a difendersi, caricatolo di amari rimproveri , ogni grado gli tolse , il dispogliò d' ogni

0 Vigilanza 2Ca4>famf€Ìt. «) Difetto JWan^cI. ') Far fronte Xxc^ hitUn. *) Troppo di onore ei riputo che si scemasse alle sue armi cr (^lanbU, bap bic Qf)xt feincc 2Dafai attju ft^t leiben teiitbe, totnn jc.

108 NOVELLA XIX.

onore , e sprezzalo e avvilito alla condizione il ridusse del più abbialo privato.

Sostenne Mortum con forte animo la trista umilia- zione; e contento di trovar nella propria coscienza un testimonio ed un giudice della sua innocenza, senza resistere , o far lamenti , alla pena non meritata si sot- topose.

Ma troppo altamente doleva a' soldati che sotto di lui avevano militato, e che non meno l'amavano per la sua virtù , di queilo che 1' apprezzassero pel suo va- lore , di vedere mal compensati i meriti di tant' uomo ; e alcuni Francesi , che fra questi erano , tosto che vi- der nel re calmato l'impeto del primo sdegno, inco- minciarono a dimostrargli che Mortum nulla avea trala- sciato di ciò che ad esperto e fedelissimo generale s'ap- partenesse di operare ; e che per lui solo avea la città assediala potuto reggere 0 lungamente agli assalti ne- mici, e che premio ed onore doveasi non punizione ed infamia, alle valorose azioni da lui fatte in difesa di quella.

Ayder-Alì , che quanto ardente e feroce nei primi impeti, altrettanto era giusto e generoso, quando, ces- sato il turbamento dell'animo, la ragione in lui ripi- gliava il suo impero , chiamati a pieno consiglio i capi dell' esercito, che erano stati a quella spedizione , volle da tutti udire parlitamente ^) ciò che ivi fosse avvenuto,^ e quali fossero slate le cure usate dal comandante, e quali gli ordini dati, e le imprese tentate , e quali i fatti, e come condotti , e con qual esito , e quali gli ostacoli incontrati ad imprese più grandi e più gloriose. Nulla di questo esame ei non raccolse , che da ogni sospetto di colpa non assolvesse Mortum, e che a lode di lui gran- dissima non ritornasse. Pentito quindi del suo ingiusto

^) Reggere— Stonb ^alien. ^) Parlitamente «injeln.

IL TORTO RIPARATO. 109

e inconsiderato trasporto , ei pensò tosto a ripararlo ; e come pubblico era stalo lo scorno *) a lui fatto, cosi pubblico parimente volle che fossene il compenso.

Dato pertanto ordine che nella più splendida pompa, che fosse mai, si allestisse immantinente il fastoso cor- redo *) con cui egli solea mostrarsi in pubblico ne' solenni, accompagnato non pure dalle sue guardie , ma da tutti i grandi della sua corte e da tutti quelli che seco tenuto avea a consiglio, alla casa di Mortum si in- cammina.

Questi, che nulla di ciò sapeva, e a cui la fortuna ben tolto avea lo splendore delle superbe dignità , ma non la virtù e la quiete dell' animo , stavasi tranquilla- mente vagando in abito semplice in un suo giardino, ed occupandosi piacevolmente d' intorno all' erbe ed alle piante che ivi erano.

Ayder-Ah lo scorge dall'alto del maestoso elefante su cui sedeva; e fatto incontanente sostare^) tutto il cor- leggio 5 e sceso a terra , a Morlum corse incontro , e gettategli le braccia al collo : Io deggio , disse, arros- sire del torto fatto alla tua virtù , ma godo almeno di aver ben presto incontrato chi mi ha tolto d' inganno, e di potertene or ristorare *). So che la tua condotta è stata cosi degna di lode, come io di biasimo l'avea ri- putata meritevole. Or abbi tu dunque pur di bel nuovo tulli gli onori , che a lei si debbono , e dalla mia ami- cizia e dall' ajiior mio chiedi liberamente ciò che più brami. Nella mia sciagura, rispose sommessamente Mortum , nulla altro mi dolse che di avere perduto un cuor generoso, siccome è il vostro: orii che voi vi degnate di rendermelo , qual altra fortuna poss' io de- siderare?

^) Scorno <B^mcià). ^) Fastoso corredo pruntuoffe 5tu3ftattung. 3) Sostare <&aU tnod^en. *) Ristorare ent« ((^àbigcn.

no NOVELLA XX.

Ayder-Alì, riabbracciatolo, il fé' salire con pompa sul suo elefante, edei, precedendolo a cavallo tra le infinite acclamazioni del popolo , che al meritato onor di Mortum egualmente, e al generoso atto del re ap- plaudiva, a maniera di trionfo nella sua reggia lo ri- condusse ; e quivi , rendutegli tutte le dignità , 1' ebbe poi sempre, infin che visse, come il più riputato e più caro della sua corte , offerendo con ciò ad altrui un solenne esempio del modo con cui un cuore magnanimo dee riparare i torti fatti allorché giugne a discoprirli.

NOVELLA XX. Ili COIVTE D'OREIVCiO O li'EDlJCAZIOMi:.

Il più pericoloso momento per un giovane cavaliere, è che spesso decider suole di tutta la sua vita, gli è quello in cui , sciolto da' vincoli ^) della educazione, ei comincia a divenir padrone di medesimo. Non obbli- gato (come veggiamo essere la più parte) ad alcuna oc- cupazione , e abbandonato ad un ozio perpetuo , s' egli s' abbatte ^), siccome è facile, ad accompagnarsi con altri giovani, al par di lui sfaccendati o viziosi, ei perde ii breve tempo l' intero frutto della educazione ancor pii saggia e più accurata , dimentica tutte le massime, la-1 scia da parte ogni istruzione, e sedotto ^) dalle prave insinuazioni*) di quelli, coi quali usa, animato da* contagiosi esempi, determinato sovente dal tedio ®) me- desimo della vita, per non sapere che farsi , a poco a poco a tutti i vizi si in preda ^).

1) Vincoli S3anb. 2) S' egli s' abbatte ec. toenn i^m jufàllig Bfgegnet Jc. 3) Sedotto »crfù^rt.— *) Insinuazione ©infd^meidjelung. 5) Tedio Uebcrbiu^. ^) Darsi in preda |ic^ pxeieQtUn.

L'EDUCAZIONE. Ili

In tale stato trovossi appunto il giovane conto d' Orengo al primo uscir di collegio. Egli era unico figlio di un ricchissimo padre, ed abbandonato a stesso senza esperienza e senza guida, entrato nel vor- tice ^) del gran mondo, fu attorniato immantinente da una folla di giovani del bel tempo, di cui tosto apprese tutti i costumi. Disoccupato interamente, or coli' uno or coir altro di questi ei cercava di riempiere il voto ^ della sua vita , dividendo con essi le ore tra le frivo- lezze ') , il libertinaggio ed il giuoco. All' alimento di tali vizi mal poteva bastare il danaro che il padre for- nivagli mensualmente. Ma i compagni delle sue pra- tiche *), e quei che il frutto godevano delle sue profu- sioni, sepper ben presto trovargli degli usurai, che ad inique condizioni , e sotto false scritture il dieci pre- standogli per aver cento, somministravangli tutto quello oh' ei richiedeva. Per questi mezzi egli venne in breve a caricarsi di debiti oltre misura, i quali una gran parte della paterna eredità gli avrebbono assorbito , se il padre in quel tempo fosse venuto a mancargli. Questi frattanto ogni cosa ignorava, e sedotto da apparenti di- mostrazioni di ossequio e di figliai deferenza, che quegli aveva imparato a simulare per vie meglio asso- pirlo,' credeva che tutto secondo i suoi desiderj proce- desse. Una perdita straordinaria, che fece quegli sul giuoco, fu il primo rumore che destò il padre, e che, determinandolo ad esplorare minutamente i passati an- damenti del figlio, venne a scoprirgli tutto l' abisso in cui era precipitato.

Il primo pensiero che l'ira gli suggerì a siiTatta scoperta, la quale tanto più lo colmò di amarezza e di sdegno, quanto era meno aspettata, fu di cacciar da

*) Vortice <StrubeI. 2) vóto Sitcfc , 2ecre. *) Frivolezze S^id^rigfeitcti. *) I compagni delle sue pra- tiche — bic ©ffa^rltn ffincó (ctferen ^ebené.

118 NOVELLA XX.

il figlio immantinente, e fargli in un castello pagar il fio delle passate dissolutezze *). Ma rientrando in stesso, egli vide che ciò ben serviva a punirlo, ma non però a correggerlo , e che la pena già non avrebbegli estirpato ^) dal cuore il vizio , ma solo 1' avrebbe più fieramente contro del punitor esacerbato'). Conobbe egli, dall' altro canto, che a gran parte doveva im- putar della colpa nell' averlo si poco accortamente ab- bandonato a medesimo, e quasi necessitato , col la- sciarlo ozioso, a divenir vizioso e scostumato.

Pensò egli dunque a riparare il mal fatto : e chia- mato a il figlio , che troppo conscio 'della sua reità, appena aveva coraggio di presentarglisi, cosi gli disse : La tua confusione abbastanza dimostra che ben tu sai qual guiderdone dovrebbesi alla tua passai -a condotta. Ma comunque reo tu sii, e indegno della paterna amore- volezza, io non so ancor tuttavia dimenlicarmi che ti son padre. L' amore che più non meriti, ma eh' io non voglio ancor bandir dall'animo, fa che per ora io ti perdoni. La tua condotta in avvenire farà ch'io determini se riguar- dare ancor ti debba ed amar come figlio, o esecrare per sempre. Ma i tuoi disordini intanto voglion essere ripa- rati. So i debiti enormi che d' ogni parte hai contratto ; e benché a te dovessi lasciarne il peso, io non vo' tutta- via che mentre ho posta sempre ogni cura a soddisfare sollecitamente ciascuno di ogni cosa ch'io gli dovessi, abbia il nome d' un mio figlio a rimaner presso altrui segnato fra quelli dei debitori. Palesami adunque tutti coloro a cui tu devi, e quanto devi a ciascuno , e per qual modo. La somma o il numero non ti ritenga, che a qualunque eccesso io già son preparato ; e voglio che, almeno in questo, abbia la bontà mia un compenso dalla tua sincerità. Quando pur tu volessi celarne al-

^) Dissolutezze Siebevlid^feit. ^) estirpato au^ge* tottet. 3) Esacerbato crbittert.

L'EODCAZIONE. 113

cuno, io avrei modo di giugnere a discoprirlo, e tu non faresti che divenir mentitore, e demeritarti interamente e per sempre quella affezione che per te voglio serbar tuttora.

Percosso a questo parlare, misto d'amore insieme e di giusto sdegno , si senti il giovane al cuore i più acuti rimorsi ; e il dover al padi*e manifestare tutti gli affetti de' suoi passati traviamenti *) il copri di confu- sione e di rossore. Vide ciò non ostante che troppo per ogni conto gli conveniva d' esser sincero , e lo fu senza nulla tacergli.

Il padre , udita ogni cosa : I tuoi debiti, disse con atto serio, saran soddisfatti : altro a^giugnendo, che ben vedeva non esserne mestieri ^) , il licenziò tutto pieno di peniimento insieme e di tenerezza e di ver- gogna.

Citati ') quindi a parte a parte i creditori di lui, con ciascuno convenne di ciò che ragion voleva che a debiti di tal natura si detraesse *); e ciò stabilito, fatte apprestar due gran tavole nella sala, ordinò che su d' una fossero stese in tanti scudi d' argento le somme che a ciascun de' creditori pagar dovevansi , e sull' altra per egual modo le somme che egli aveva fermo con essi che si dovesser detrarre.

Indi chiamati tutti i creditori ad un tempo, e fatto venir il figlio, volle che sotto agli occhi di lui fosse contato a ciascuno quel che a ciascuno apparteneva- e congedati per questa guisa ad uno ad uno, allorché solo con lui rimase, in voce amorevole : Se meglio tu avessi saputo ciò che costar ti dovevano le tue follie, io ben credo che più saggiamente pur ti saresti con- dotto. Or tu r hai veduto cogli occhi propri , e da te

^) Traviamenti SSericrungen. ^) Non esserne mestieri baf (S ùberfìùfflg h?àrf. 3) Citati ju fìc^ flcrufcn. *) Detrarre ot'jie^en.

Soave j Novelle. 8

114 NOVELLA XX.

resta il pigliarne esempio. Il contante , che ancor miri su quella tavola , tutto insieme col resto rapir ti do- vevano le male genti, alle quali ti sei fidato, che a tanto ascendeva l' intera somma onde fatto ti eri lor debitore. Io ho saputo salvartelo ; e alla mia morte ti sarà dato» Ma questo è il solo dono che per me devi aspettarti, ove maggiori non sappia tu meritarne con un novello tenor di vita. Se ciò non veggo, quello che le mie cure mi han procacciato, anziché esser sciupato *) indegna- mente da un dissipatore ^) , verrà assai meglio da me impiegato a prò di altri, che meglio sappiano meri- tarlo e farne un uso più saggio. Io voglio frattanto da un esperimento conoscere quello che posso da te pro- mettermi. Per (lue anni io vo' che la cura di una por- zione dei miei beni a te venga affidata. Il modo con cui saprai regolar quelli, e te stesso, mi servirà di norma per l'avvenire.

La vista della quantità enorme d'argento, che egli conobbe d' aver profuso, e che grande mai non aveva immaginato, ignaro , come sovente assai costi nel fatto ciò che ben presto è pronunziato con le parole, riempì il giovane «conte di uno stordimento grande, che stu- pido ei ne rimase. Più ancor l' atterrì la minaccia del padre , che troppo bene ei però,' conosceva quanto si fosse giusta e ragionevole.

Contuttociò in pochi giorni dileguato forse sareb- besi lo stupore e lo spavento, e a poco a poco, siccome avvenne già di molt'allri, ritornato ei sarebbe al pri- miero costume, se, lasciato nuovamente all'antica scio- peratezza, egli avesse dovuto pur di bel nuovo con le medesime pratiche e cogli stessi compagni, o lor so- miglianti, cercarsi un passatempo. Ma la novella occu- pazione, in cui fu posto, divenne la sua salute.

*) Sciupato »erfd^rt5eRbet. 2) Dissipatore 33ergeuber.

L'EDUCAZIONE. 115

Applicato seriamente a' domestici affari, ei si di- stolse dal circolo degli oziosi e dalle lor tresche *) , e ben fu lieto di trovar modo onde passare più utilmente i suoi giorni, e non meno piacevolmente. Al termine dei due anni suo padre ne fu pago , che 1" ammini- ' strazione a lui rimise ancor degli altri suoi beni , sol riserbandosi d' indirizzarlo ed assisterlo, ove occorresse co' suoi consigli. Una saggia e onestissima dama , a cui si strinse in matrimonio, finì di coinpiere in lui la bra- mata riforma del viver suo, e a farlo in appresso lo specchio de' cavalieri più saggi e più costumati.

Alla morte del padre, che vivamente compianse, rimasto erede di tutto, ei trovossi un dei più ricchi signori. Ma ricordevole di ciò che era a lui avvenuto, pensò a impiegar soprattutto le sue ricchezze a bene allevare il figlio che gli era nato, convinto in piena- mente che quando pure la maggior parte avesse in ciò a consumarne, abbastanza dovizioso verrebbe sempre a lasciarlo, quando il lasciasse ben educato.

Appena cominciò questi a poter reggersi, ed a

mostrare i primi lumi della ragione, di man togliendolo

alle fantesche '), che empir il sogliono di pregiudizi e

. d'errori, e il seme infondervi, o alimentarvi de' primi

* vizi , volle egli che seco fosse mai sempre , o con

la madre; e l'uno e l'altro con la dolcezza continua e

con la ragione temperando il raro, ma inesorabil rigore,

che le occorrenze talor richiedevano, il seppe rendere

docile, e al tempo medesimo gioviale, si aperto e

vivace, che il lor trastullo ei divenne e il lor piacere,

come il piacere e 1' ammirazione d' ognuno che lo vedeva.

Giunto che fu all' età d' anni sette , ei cominciò a

pensare come fornirlo di ottimo precettore , che negli

studi non meno che nei doveri ad uomo onesto, a cilta-

^) Tresche ®cto9e. *) Fantesche S)icnfìmàb(i&fn.

8*

] tft N0VEIX\ XX,

dino, a cavaliere convenevoli l istruisse. Ricerca ei ne fece per varie parti; ma que' che atti sarebbono stati por saviezza e per dottrina a ben allevarlo, mal si sapean ridurre a sacrificare la vita loro con un fanciullo, e quei che presti si oflTerivano a tal impiego, ei non tro- vava ben atti a sostenerlo. Molto pensiero gli dava pure il vedere che più cresceva in età , e meno era possibile di tenerlo ognor lontano dalle fantesche e da' servidori, che spesso o coi mali esempi, o coi discorsi inconside- rati, 0 con le vili adulazioni, o con le insinuazioni per- verse guastano in un sol punto il frutto di molti mesi o di anni! interi. In questa perplessità corsegli allamente il collegio dov'egli era stato allevato; ma il poco utile, che ei ne avea ritratto , da quello interamente 1" allon- tanava.

Pur ripensandovi attentamente, ei si sovvenne che l'indocilità *), la dissipatezza ^), l'avversione agli sludi e i primi germi del mal costume ei non aveva colà sen- tito, se non allor quando, già adulto , egli aveva inco- minciato a scuotere il giogo della disciplina, e che il rigor delle regole più non era ascoltato: ma che ne' primi anni, quando la tenera età costringevalo a dover vivere ubbidiente sotto l'impero e la cura assidua di chi era preposto a governarlo, serbata in lui erasi l'inno- cenza: e che la pietà, la docilità d'amore allo studio a questa andavano pur congiunti. Vìi vantaggio egli vide ancora d' averne tratto in quegli anni , che il con- versare co' suoi eguali, e ognor sotto agli occhi di chi vegliava sopra di loro , e liberato 1' avea da più pre- giudizi d' orgoglio e di presunzione che avea seco por- tato dalla casa paterna, e datogli luogo ad osservare per tempo e vie meglio conoscere i vari caratteri delle persone , e fornitagli V occasione a farsi di molti amici

^) Indocilità Ungete^rigfeìt. ^) Dissipatezza Stu^s gelaffen^eit.

L'EDCCAZIONE. 119

in varie parti, la corrispondenza de' quali tuttor com- piacevasi di mantenere, e offertogli un libero sfogo e innocente a' puerili trastulli, che tanto alla fisica co- stituzione contribuiscono, e che, soppressi forzata- mente in una privata educazione da chi d'un fanciulla vuol far un uomo a dieci anni, scoppiano poi disaccon- ciamente più tardi, e ne fanno un fanciullo a venti. Ciò ben ponderato *), egli avvisò che in que' primi anni migliore allevamento suo figlio potesse avere in un collegio che altrove, e vel pose.

Tosto che questi incominciò a toccare i quattor- dici, e che uscito già il vide di que'principj pedan- teschi, che tanto noiano un uomo di senno che am- maestrar ne debba i fanciulli, toltolo di collegio, si die a cercare un uom probo , prudente , di colte ma- niere e di profonda dottrina, che nelle lettere, nella filosofia e nel diritto lo istruisse, e seco usando più da compagno e da amico, che da pedante, nel viver onesto ^ civile al tempo medesimo lo ammaestrasse, e dagli esempi altrui e dalle attente osservazioni su gli atti loro e su i brodetti cogliesse opportunamente le occasioni per informarlo di ciò che fare o dir conviene, e de' modi con cui è bene di contenersi; e tutta insomma quella cura e quel pensiero ne prendesse che ad esperto e savio educatore s'appartiene. col riguardevole stipendio e con le onorevoli condizioni, che gli prof- ferse, gli fu allora difficile di ritrovarlo.

Intanto di abili maestri pur lo forni , che nelle lingue e nell'arti cavalleresche , in giorni e in ore op- portunamente divise , lo istruissero , sicché uno studia all'altro non arrecasse confusione, e il variar d'appli- cazione e d' ( sercizi di sollevamento gli fosse in vece d'essere di oppressione e di peso. Nella musica ancora

*) Ponderato ertoogen.

118 NOVELLA XX.

e nel disegno volle eh' ei fosse ammaestrato , perchè seco stesso un divertimento avesse sempre e una dolce occupazione nell' ozio e nell' ore noiose.

A vent' anni pur con lo stesso amico e governa- tore, fornito di tutte quelle raccomandazioni che con- venivansi, ei lo spedì a far il giro dell'Italia e dell' Europa, onde conoscere sotto alla scorta *) di lui e la varia posizione de' luoghi , e i prodotti vari della na- tura, e i più pregevoli monumenti dell' arti, e i letterali e gli artisti d' ogni paese più rinomati, e le costituzioni, e le leggi, e gli usi, e i costumi delle varie nazioni.

Due anni egli stette assente, dopo de' quali, pieno d'utili cognizioni alla patria si rese e ai genitori, che pre- murosi non meno di vedere in lui perpetuata la loro stirpe, che di prevenire un pericoloso dissipamento, il loro desiderio gli mostrarono che con la scelta di una sposa degna di lui, e la propria felicità e la loro com- pir volesse.

Celebrate con lieta festa le nozze , il padre, pre- solo in disparte : Or tu , gli disse , ben presto , se il ciel seconda i miei voti, padre sarai di una nuova fa- miglia: e i beni che io posseggo, forse avverrà franon molto eh' io debba a te rimettere, perchè tu ad essa poi li tramandi. Egli è giusto pertanto che tu conosca in- nanzi tratto quello che debbe esser tuo , e che impari per tempo a governarlo. Vedi qual parte de' domestici affari ami che a te s'affidi, o se più ami nel reggimento di tutti divider meco le cure.^ Io ho ferma speranza, rispose il figlio, che i vostri beni per lungo tempo da niun altro avran mestieri di esser retti che da voi stesso ; pur sotto agli ordini vostri e alla vostra guida io farò lutto ciò che a voi piaccia, e eh' esser vi possa d' alleviamento e di conforto.

*) Scorta Seitung.

NOVELLA XXl. LA SPOSA AMOREVOLE. 119

Entrato dunque con ess(f a parte di tutti gli affari ; e tra le cure domestiche e gli studi suoi, e gli onesti trattenimenti le ore sue compartendo , il savio giovine visse contento in stesso , e amato sempre e ammi- rato da tutti ; e il conte d' Orengo , prevenendo per questo modo nel figlio suo ciò che suo padre opportu- namente, quantunque tardi, aveva in lui riparato , ebbe il piacere di godere in stesso, e di lasciare nella sua famiglia quella tranquillità e felicità che tanto è cercata, e che è rara ad incontrarsi fra gli uomini.

NOVELLA XXI. liA SPOSA AlfMOKEVOLK.

J^eir inverno pur or trascorso (*), che per la copia delle nevi e pe'geli ostinati si rigido ') si fé' sentire ancor fra noi, e che nei climi men temperati della Ger- mania e della Francia fu orridissimo fino ad agghiac- ciarne i più vasti e più rapidi fiu^i, e a farne morir le genti, avvenne in Metz, città della Lorena, che in una delle più rigide notti, in cui spirava un crudissimo vento di tramontana'), fu destinato per guardia ad un luogo, che più era esposto al freddo soffio , un soldato , il quale già da alcun giorno mal fermo in salute correa gran rischio di esserne assai peggio ridotto.

Avea questi una giovane a cui promesso era sposo, e che amavalo teneramente, la quale, come intese do- ver lui essere quella notte esposto a si rigido cielo, in- cominciò fortemente a turbarsi, troppo temendo non potesse egli reggere a stagione si cruda nello stato ia cui si trovava cagionevole. Agitata da questo pensiero,

*) Rigido rau^, 2) Vento di tramontana Qlotbtoìnb (*) ÌNcl 1784.

120 NOVELLA XXL

non seppe ella'non che chMder occhio, ma neppur ri- solver a coricarsi; e l'angoscia, crebbe vie più quando» tempo le parve che, montala la sguardia , si stesse egli già esposto al rigore del freddo, da cui nel suo animo già tutto intirizzito *) sei figurava.

Durar non sapendo in siffatta inquietudine, nel più buio *) della notte, malgrado i ghiacci e le nevi e il forte vento, ella esce di casa, che per ventura dal luogo ove quegli era posto in sentinella non era guari ') lontana, e soletta si porta coraggiosamente. Ella trova in fatti l' infelice soldato, che, al rigore del freddo omai più reggere non poteva. Cominciò adunque a pregarlo e a scongiurarlo *) che nella sua casa, ove un buon fuoco ella aveva apprestato, ritirar si volesse per riscaldarsi ; ma il soldato, che ben sapeva che a troppo gran fallo ciò gli verrebbe imputato, ringraziandola, si tenne fermo nel ricusarlo. Almeno qualche mo- inento, disse ella, tanto che sciolgasi il gelo, da cui vi veggo compreso. A cui il soldato rispose che ninno potuto avrebbe ^ salvarlo , che condannato non fosse immantinente alla morte, ove questo fosse venuto a risapersi. >— Ma voi qui stando, replicò ella viva- mente , già ne morrete senza alcun fallo , e questa morte, che è certa, prima di tutto dovete ora evitare. Che il fatto giunga ad orrecchio altrui, è certo, a quest' ora è verisimile ; e il cielo, che è pietoso, non vorrà esservi di tanto avverso. Comunque ignoto restar dovesse , disse il soldato , vorrete voi che il posto affidatomi io osi abbandonare senza custodia cosi vilmente? Ne il mio dovere, l'onor mio può com- portarlo. — Ancorché voi partiate, rispose ella con fermo animo, io non ho già pensiero che il luogo si

*) Intirizzito crftarrt , erfroren. *) Buio «^injiernifi. ^) Non era guari lontana gar nic^t ireit entlegftì War. *3 Scongiurarlo il^n kfc^njcren.

LA SPOSA AMOREVOLE. Ì31

resti abbandonato; per brevi istanti io avrò bastante coraggio onde supplire per voi. Su dunque , non più. E tanto qui aggiunse, e tanto rinforzò con le lagrime le preghiere, che il soldato, vinto da quelle , e spinto per una parte dal bisogno, giacché ben vedeva di non poter più resistere lungamente , nello slato in cui era, e confortato per 1' altra dalla speranza che dopo pochi momenti al suo luogo restituendosi, il fatto si rima- nesse celato, alla donna acconsentendo, e date a lei le armi, e con esse il berrettone M e il cappotto ^) , e fidatole il segnale '), se ne parti.

Il piacere d' aver salvato lo sposo faceva si che la tenera giovane, sebbene l'acutezza del freddo già fosse quasi intollerabile, appena il rigore ne risentisse. Quand' ecco , non molto dopo , arrivare improvvisamente la ronda *). Atterrita dall' impensato accidente in luogo di dare il noto segno, la sopraffatta giovane sentissi a un tratto mancar la voce. La ronda che nulla ode , addor- mentato credendo o fuggito il soldato, v'accorre tosto, e trova con maraviglia in luogo di lui, e sotto alle sue spoglie, una' giovane donna ; che, spaventata e confusa, non seppe trovar parole onde dar conto come fosse.

Condotta al corpo di guardia, e ripreso cuore, palesò ella piangendo, e pietà implorando al suo sposo, ciò che era avvenuto. Fu tosto spedita alla casa di lei, e trovossi il soldato, ma si intirizzito, che poco spe- ravasi di riaverlo; incominciando tuttavia a poco a poco a riscaldarlo , e lungamente continuando, e a grado a grado ') accrescendogli il calore, si giunse alla fine a ravvivarlo.

Ma per essere riserbato a una morte più dura, videsi r infelice tornato in vita. Tenutosi il appresso

^) Berrettone grope SWù^e. ^) cappotto Ucbevrocf. ■) Fidatole il segnale bic «ofung if)V an»€rtraut. *) Ronda bif fRmU. *) A grado, a grado nad? unb mà^.

133 JSOVELLAXXI.

consiglio di guerra , fu egli , ciò che aveva ben preve- duto , dal rigor delle leggi condannato a dover essere appiccato ^). Chi dir potrebbe qual fosse V angoscia della misera giovane 5 che, oltre a dover perdere per si fatto modo quello che amava vivamente, aveapure il rimorso di averlo tratto ella medesima a fine lut- tuoso ? 11 dolore però, in vece di abbatterla, maggior coraggio le aggiunse e maggior vigore. Sparsa le chiome ^) e tutta in lagrime, ella corse tosto dovunque potesse sperare assistenza e soccorso. Il caso nuovo e inaudito già troppo per medesimo in ogni cuore de- ntava compassione per amendue, e ammirazione verso alla tenera giovane , che dato avea prove di un amore isì vivo e coraggioso. Ogni ordine di persone , e le più raguardevoli specialmente , non furon tarde a inter- porre i loro uffici perchè , avuto rispetto alle straordi- narie circostanze , il rigor delle leggi si temperasse. Le donne , più di tutt' altri , qual nuovo onore del loro sesso la virtuosa giovane considerando, tanto usar sep- pero di maneggi e d'istanze e di preghiere, che al reo la grazia fu conceduta ; e la donzella non solo ebbe il contento di farlo salvo , ma poco dopo a lui con- giunta con ricca dote (per quanto al suo stato si conveniva), a cui tutti si fecer premura di contri- buir qualche parte , coronati pur vide i suoi voti compiutamente.

*) Appiccato gel^enft. ^) Sparsa le chiome mit auf« gclóflen «i^aarcn.

183

NOVELLA XXn. li» A V I 1> I T À 1).

Lj avidità può guidare talvolta anclie l' anime giova- nili agli estremi eccessi. Un esempio n'abbiam noi avuto recentemente non molto lungi di qui, che deve istruire ciascuno a saperne sollecitamente frenare i moti ^) infm da' primi principj.

Una dama , rimasta essendo vedova e sola , nojata del tumulto e delle frivolezze del mondo, pensò a chiudere tranquillamente in un ritiro il restante de' suoi giorni. Entrata in un monastero , godea quivi di divider le ore , parte agli usati esercizi di pietà e parte al la- voro , alcune pur riserbandone alla letlura di utili libri, e il resto del tempo occupando nell' intertenersi con le fanciulle che quivi erano per educazione, con l'opera sua assistendo e co" suoi consigli le religiose che lor pre- sedevano.

Una giovane era fra l'altre, che per prontezza d'in- gegno su tutte si distingueva, e che' non meno prege- vole pur appariva per docilità d'indole e per candor') di coslumi. A questa ella pose affetto grandissimo; e parendole che essa pure corrispondesse del pari, seco stessa deliberò di averla in luogo di figlia. Con essa adunque ella godeva di starsi più spesso ; e nell istruirla di tutto ciò che a savia ed onesta giovane si conviene, quella stessa cura prendeva che fatto avrebbe una madre. di ciò pur contenta, ella pensò a stender più oltre i suoi beneficj.; e come ninno aveva che a lei stretta- mente congiunto fosse di sangue, e sapea che pocofor-

*) Avidità ©icri^feit. ^) I moti 2(ntrif6. 3) caudorc

184 NOVELLA X\n.

niti de' beni della fortuna i parenti della donzella di poco potevano provvederla , determinò di supplire co' propri , e di tutte le sue sostanze lasciarla erede.

Posta ad effetto la sua deliberazione , e già assi- curatale per testamento V eredità , pensò un giorno di manifestarle quanto aveva fatto a prò di lei, per vie più animarla a secondar le sue cure e a meritarsi, l'af- fetto che a lei portava. Per allettarla a ciò maggior- mente, una casseltina Ji gioie, che ella tenea rinchiuse, isi fé' a mostrarle, e: Queste, disse, con tutto il resto eh' io posseggo , già ho fermo nel mio testamento che voi abbiate, se tale pur sarà sempre, siccome io spero, la saggia vostra condotta 0, eh' io non abbia mai a pen- tirmi di ciò che ho stabilito.

Ma assai contrario effetto al suo pensiero ebbe questa imprudente manifestazione. L'avidità delle pompe e de' vaghi abbigliamenti ^) , naturali in cuor di fem- mina, che nel cuor della giovane era stala fino a quel- l'ora sopita^), a larghe promesse incominciò a risve- gliarsi; l'abbagliante splendore*) di quelle gioie sempre ella aveva negli occhi , e mille anni pareale di poter adornarsene : il ricco stato che 1' attendeva, e la libertà e i piaceri che questo avrebbele procacciato, e che ella già preveniva col desiderio, vie più acerbo e penoso rendeale il chiuso luogo e la vita frugale e sommessa all' altrui volere , e he era quivi astretta a condurre. Di- venne a poco a poco agitata nell'animo, inquieta, im- paziente, e non sapendo alle sue brame, già troppa vive e impe,tuose, più tener freno®), e temendo, dal- l'altro canto, che il cangiamento del suo spirito non si venisse a scoprire e non le togliesse que' beni che

*) Condotta Wuffùr;run9. -- ^) Vaghi ab])igliameiili teigcnbir ©c^murf. ^^ ;^'opjt^^._jìngj|-^jj^jjj <tj Abbagliante splendore. Henbenber C*)lang. ^) Tener freno Bfgòfjtnen.

l'avidità. It5

l infiammavaRO, accecata dalla violenta passione, pensò col più nero misfatto M ad assicurarsene il possesso.

Frequentemente la buona dama , come seco l'avea il più del tempo fra la giornata, cosi compagna pur la voleva nelle sue camere al pranzo ed alla cena. Una sera la trista giovane , avuto , non so per qual mezzo, un veleno , segi*etamente a' cibi lo mescolò , e a lei, che nulla di somigliante avrebbe mai sospettato , lo fé' inghiottire '). Sperava ella che avesser le tenebre della notte a coprire il suo delitto ; ma non andò guari che la tradita dama incominciò a sentirsi straziare da dolori acutissimi : ella usci in alte grida ; queste s' udirono : la trista nuova si sparse tosto pel monastero ; tutto fu in turbamento e in iscompiglio; e fatto immantinente chiamar il medico, ei gninse per buona ventura a tempo di raA-visare il male e di ripararlo.

L'orrore, allor che seppesi del veleno, fu uni~ versale ; e la giovane infelice, lacerata da suoi rimorsi^ col suo turbamento medesimo non tardò molto a sco- prirsi rea. Pena ninna e niun supplizio bastante non credeva punirne l' eccesso atroce. Ma la virtuosa dama, volendo pur salvarla, pregò che in arbitrio di lei la col- pevole fosse rimessa: e fattala a chiamare, con voce tenera ed amorosa cosi le disse : Io veggo ciò che v'ha tratta si di repente ad essere cosi dissimile da ciò che foste dapprima. Fu error mio il non prevedere ciò che può sovra d' un animo giovenile il desiderio di cosa che fortemente l'alletti, e che siagli rilardata. Que' gioielli, da quali foste si presa, io doveva o per sempre occul- tarvi , 0 rinunziarveli al tempo stesso che vaghezza ^ ini venne di porveli innanzi. Ma ciò che allora non av- vertii posso or riparare, che ancor n' è tempo. Io non voglio che abbiate a desiderare più a lungo ciò che a

M Misfatto aWiffet^at. —2) Ingtiioltire ec. »etf(^h'n» gen.— 3) Vaghezza Su jì.

126 NOVELLA XXIII.

me più non giova , e che veggo che a voi si piace. Io fin d'ora ve gli abbandono adunque, e voi quell'uso potrete farne che più v' aggrada. Al più pronto e più onorevole vostro collocamento io porrò anche ogni pen- siero 5 e da me non sarà certamente che voi non siate la più felice donna che far vi possa. Or sol vi prego a non volermi più invidiare que' pochi giorni che tanto mi saran cari, quanto potrò impiegarli per vostro bene.

'Uno scoppio di dirottissimo pianto fu la sola ri- sposta che la giovane annichilita^) potè dare a quest'atto di grandezza d'animo e di generosità senza pari. Ma quanto piacque a Dio , che certo non può dubitarsi , la rara virtù dell'incomparabile dama, altrettanto volle la sua giustizia che il delitto della mal consigliata gio- vane non andasse impunito. I crudeli rimorsi che il suo misfatto ebbe tosto compagni, il timore che subito l'as- sali di non essere scoperta, la confusione e l'obbrobrio che senti all' animo allorché il vide palese , lo spavento della pena terribile che ben sapeva d' aver meritata, l'op- pressero per si fatta maniera, che all'orrore, in cui aveva medesima , più non potè sopravvivere , e una febbre violentissima se la rapì in pochi giorni.

NOVELLA XXIIL li A BKIVKFICKNZii. IlVCiEO^^OSA-).

Gorgon talora degli uomini che pel bene dell'umanità sarebbe a desiderare che fossero immortali. Ma pochi sono per nostra disavventura ; e per maggiore eziandio par che la morte , qualor si mostrano, goda involarceli

^) Annichilita i)erni(^tet. ^) Beneficenza ingegnosa finnr:eic^c SBo^tt^at.

I

LA BENEFICENZA INGEGNOSO. 1Z7

prima degli altri. Ebbe nel passato giugno *) la Francia a piangere innanzi tempo la perdita di uno appunto di questi uomini singolari che più meriterebbon di vivere eternamente. Monsignore di Apchon, arcivescovo d'Auch, metropoli della Guasct)gna5 l'immagine ci ridiiamava di quegli antichi pastori che altro bene non conosce- vano fuor che il far bene ad altrui. Assiduo nelle pa- storali sue cure, ei non perdeva occasione o momento di giovare per ogni modo a chiunque gli si offerisse. Egli era il consolator degli afflitti, il sostegno degl'in- felici, come itile proprie ei riguardava le indigenze d'ognuno, e delle ricchissime rendite, che possedeva, mai per sè^istesso non impiegò pur la decima parte: il rimanenle era altrui dispensato. Mille atti raccontansi del suo cuor generoso: noi due soli ne sceglieremo, r uno de' quali dimostra con qual artificio sapesse egli velare i suoi beneficj, onde togliere anche ogni peso di obbligazione a chi era da lui sovvenuto : e l' altro a qual eroico coraggio la sua carità sapesse animarlo.

Chi è nato di onorevole condizione . e per colpa della fortuna ridotto trovasi a basso stato , ben più de- gli altri è meritevole di compassione , siccome quegli che , dal rossor ritenuto , meno degli altri osa scoprire le sue indigenze e domandarne il soccorso. basta pur con essi l'aver generoso animo nel sovvenirli; la vera pietà vuole ancora che abbiasi attenzione di farlo per tal maniera, che del beneficio non abbian eglino ad arrossire. Dacché l'opinione degli uomini ha dato il sommo pregio alle ricchezze, e fatto che a vile si ten- gano que' che ne sono sforniti ^), la povertà, che quando è congiunta con la virtù dovrebbe avere i primi onori, è diventata un obbrobrio; e il disprezzo, che da lei

*) Sforniti— etitMópt. *) Del 1783.

188 NOVELLA XXm.

viene , da quelli è più temuto che per la nascita loro hanno altronde maggior diritto ad essere rispettati. Quindi è che sovente scelgono essi piuttosto di languire occultamente nella miseria, che di cercarne il soccorso manifestandola; e il sovvenirli per modo che vengasi loro a rimproverare il bisogno in cui sono , è sovente luv ingiuria piuttosto che un beneficio. Convien soccor- rerli con tal arte , che non si mostri pur di conoscere o di sospettare ch'essi ne abbian mestieri 0; e un pre- claro esempio di ciò appunto monsignor di Apchon ha saputo fornirci infin dai primi momenti che alla sede ar- civescovile di Auch egli fu destinato.

Giunto colà , egli intese che due sorelle ivi erano di chiara e illustre famiglia, le quali rimaste sole e mal provvedute di beni, per povertà eran costrette a viversi ritirate 5 ma che savie persone esse erano e vir- tuose, e con animo paziente e rassegnato portavan la loro disavventura. Sentì ©gli compassion del loro stato, ■e ingegnoso com' era nella sua beneficenza, pensò hen tosto come poter ristoramele destramente ^). A dimo- strazione del molto pregio in cui le aveva, ad esse in- cominciò egli a far visita prima che a tutt' altri, dando con questo a conoscere di onorarle e rispettarle sopra d' ognuno. Dopo le prime accoglienze ®), con esse in- tertenendosi in ragionamenti, i quali per accorta e non affettata maniera valessero a confermarle del conto clV egli faceva di loro, come per caso mostra, che r occhio cadessegli sopra d' un quadro che avevano, e incominciò fortemente a lodarlo, e a dire eh' ei dato avrebbe di buona voglia duemila scudi ad esserne il possessore, e che di niuna altra pittura era mai stato così invaghito , e che se temuto non avesse che troppo

*) Abbian mestieri nótlfiQ f)aUn. ^) Destramente auf eìnc gefd^icftc 2Dftfe. 3) Accoglienze framblic^c STuf* itof/me.

LA BENEFICENZA INGEGNOSA. 189

fosse a lor cara , avrebbe osato pregarle a volergliela cedere a qualunque prezzo. Risposer le dame che troppo eran contente che in casa loro egli avesse trovato cosa la quale fessegli di piacimento, e che senza alcun prezzo troppo onorate credevansi quand' ei volesse accettarla. Rendette loro il prelato le grazie più vive, come di compiacenza che sommamente il toccasse; e tornato appena al suo palazzo, mandò incontanente pel quadro, e fé' loro presentare i duemila scudi; e per togliere ogni sospetto che ciò fosse un dono che di far loro in- tendesse , tanti ringraziamenti fé' rinnovare , che cre- der anzi dovessero lui riputare un dono grandissimo quel che da lor riceveva.

Dalla ingegnosa generosità del piissimo uomo fu- ron le dame in tal modo soccorse , senza che avessero luogo di vergognarsi, quasi pur d'avvedersene; ed egli amò piuttosto d'incontrar presso altrui la taccia di poco esperto conoscitore (che di non molto prezzo era in veramente quella pittura), che di lasciarle senza sostegno, o mancare, giovando loro , a quella delicatezza che al loro grado si richiedeva. Ma un tratto di virtù ancor più grande di quest' uomo insigne noi ben vedremo nella seguente novella.

NOVELLA XXIV. li' INCEIVDIO 1).

Hirasi una notte ad una casa di poveri abitanti appreso violentissimo fuoco ^). Da una stanza a pian terra, ov'era stato male spento e mal ricoperto, cominciò questo ad appigliarsi ad alcune vicine legne, quindi al-

*) L'incendio bie gfcucréSrunft. 2) Appreso violentis- simo fuoco feftr Fieftigcé ^i\xtx auégebroc^cn.

Soave, Rotelle. 9

130 NOVELLA XXIV.

r aride masserizie che eran d' intorno, e giunto all'uscio e abbruciatolo , si propagò alla scala , eh' era di legno essa ancora, e per questa salendo portò la vampa ^) su fino al tetto.

Gli abitatori , eh' emno tutti nel primo sonno , de- stati dal fumò, e dal crepitar^) delle fiamme, corsero, per salvarsi , alia scala ; e trovandola incendiata , in- cominciarono da ogni parte a mettere altissime strida. Atterriti i vicini dallo schiamazzo , si alzano , e accor- rendo si veggono innanzi la scena più spaventevole che fosse mai : il pian terreno già tutto a fuoco , che co- municato si era alle contigue stanze, e per le soffitte ') già propagatasi ai piani superiori : il tetto sormontato da altissima fiamma desta dal fuoco , che asceso eravi per la scala , e le finestre tutte ripiene di gente, che chiusa tra due fuochi , e privo dell' unico scampo, che la scala avrt bbe potuto somministrarle , gridava dispe- ratamente, chiedendo aiuto.

Non furon lenti a recare subitamente chi da una e chi d'altra parte più scale a mano, che applicate alle finestre , diedero campo a quegli infelici d' uscirne e di salvarsi. Alcuni de' più coraggiosi pur si salvarono per le funi*), que' che trovavansi alle finestre più basse, per esse d' un saltò balzarono a terra ^ tutti in fine, chi per un modo e chi per un altr ) avventuratamente, camparono ^).

Sol rimanevano due fanciulli, che in una piccola, stanza irovavansi al più alto pijano. Il loro padre as- sente allor col padrone a cui serviva, aveali per loro disavventura lasciati soli. Non potendo essi per alcun modo aiutarsi, col pianto e con le strida chiedevano l'altrui soccorso; ma benché ognuno de' circostanti

1) Vampa aBtm)?eI, g^lammc. 2 ) Crepitare ^rac^cn. 3) Soffitta Dbcrboben. *) Fune (Seit, «Stricf. s) Campa- rono — retlcten fictl.

L'INCENDIO. 131

sentisse per compassione strapparsi il ^uore , niun sa- peva come camparli. Altra uscita non aveva la camera dove essi erano , che sopra una loggia di legno *), che tutta già era preda del fuoco ; alla camera per altra via poteasi penetrare , se non entrando per la finestra di una stanza vicina , che ad essa comunicava. Ma oltre che questa era altissima . già le fiamme, vi si erano in- trodotte, e manifesto sembrava il pericolo di perder stesso a chi avesse voluto per questa via cercar la loro salvezza.

Sopravvenne in questo punto monsignor d'Apchon, e al vedere in terribile sciagura i due miseri fan- ciullini, si senti tutto commover l'animo di pietà in- sieme e di raccapriccio^). Non gli parendo' tuttavia evidente il pericolo di chi affrettato si fosse a liberarli, incominciò a proporre ad alta voce , per animare qual- cuno all' impresa , il premio di cento luigi d' oro. Non vedendo niuno moversi a tal profferta'), dubitando non si credesse proporzionata al rischio la ricompensa, ne promise tosto dugento. Ma questo pure non valse , che troppo ognuno s'aveva cara la vita, a qualunque costo sapea indursi con tanto pericolo ad avventurarla *).

Scorgendo inutile ogni promessa , il piissimo e va- lorosissimo prelato : A Dio però non piaccia, esclamò, che noi abbiamo a starci qui tutti neghittosi a mirare quelle due vittime sventurate perir colà tra le fiamme. Ciò che altri non osa , saprò osarlo io stesso e fatte presto con corde unir due scale , che una sola fin colà giugnère non poteva, applicoUe alla finestra della stanza, che era contigua, e su ascesovi animosamente, per essa in mezzo alle fiamme sen corse al luogo dove essi erano . e un di loro recandosi sulle spalle , e 1* altro

*) Loggia di legno ^ólgemer Slltan. ^) Raccapriccio (Sntf^^en. ') Profferta 9lnefbicten. *) Avventurarla ed gu ioageii.

9*

133 , NOVELLA XXV.

sotto al braccio,* giù per la scala medesima, fra Io stu- pore e le acclamazioni del popolo attonito e intenerito, amendue portossegli a salvamento.

Uomini così fatti perchè son eglino rari al mondo! e perchè, appena ci nascono, soso essi al bene ed all' esempio degli altri prestamente involati *).

NOVELLA XXV. Ili iHATRIllOlVIO.

In una piccola città della Romagna un uomo assai fa- coltoso ^) trovavasi con figlia la qual unica, di tutto doveva esser erede. Toccava (juesta l' età di anni se- dici; e come, oltre ad essere molto ricca, era pur bella della persona, e fornita di quelle grazie che a savia e ben costumata giovane si convengono, fu a gara da tutti i primari del paese ben presto ricercata in matrimonio. Il padre s' avvide che la sperata eredità movea più che tutt' altro i concorrenti ; e ninno fra questi ei non trovava che pe'suoi costumi e pel suo carattere il contentasse. Era uno d' illustre famiglia, e decaduto per colpa de' suoi maggiori dall' antica opu- lenza, che bramava con queste nozze di ritornarvi , ma dalla sua nascita non altro aveva appreso che un vano orgoglio e r abborrimento ^) a qualunque occupazione, quasi avesse pur l' ozio a chiamarsi il pregio più lumi- noso d' un uom ben nato. Aveva un altro passato più anni nello studio delle leggi: ma, lontano dagli occhi de' genitori, e corrotto da viziosi compagni, nella dissi- pazione e nella dissolutezza, avea fatti di maggiori pro- gressi, che negli studi a cui si era appigliato. L'uno,

0 Involati haanU, cntriffen. 2^ Facoltoso »er« mógeni». ^) abborrimento Stbfc^eu.

IL^ MATRIMONIO. 133

perduto nel giuco, in quello consumava gran parte pur delle notti, non che l' intere giornate. V altro , inva- ghilo *) di medesimo , il più del giorno impiegava neir acconciarsi ^) ; e primo a tener dietro ^) a tutte le nuove mode, co' vezzi affettati *) e con le effeminate ®) maniere alla conquista aspirava ^) di tutte le vanerelle '), cui somigliava. Chi troppo dava sospetto ®) di me- desimo pe' suoi trasporti ^) di animo feroce ed iracondo ; chi si rendeva fastidioso *°) per una insopportabile stu- pidità e melensaggine ^^). In tutti il saggio padre trovava difetti, che troppo male si componevano col desiderio che egli aveva di procacciare a sua figlia una vera e ferma felicità.

Presala adunque un giorno a maturo e serio ra- gionamento: Ben sai, le disse, mia figlia, che il sol conforto della mia vecchiezza è in te riposto , e sai di guai tenero e vivo amore io t' ami. Ma il tempo viene avvicinandosi che tu un compagno dei sceglierti, e eh' io dovrò forse soffrire di vederti , da me staccata, entrare in tutt" altra casa di questa, e far parte di tutt' altra famiglia. In un affare da cui dee dipendere la buona o ria condizione di tutta la tua vita , tolga il cielo che io voglia imitare que' padri inumani che osan por legge agli affetti de' loro figli. La scelta dello sposo che dovrà essere a te unito per sempre, da te mede- sima dee esser fatta. Ma come ben vedi di quale im- portanza sia questa scelta , io questo solo domando in ricambio dell' amor che ti porto , che tu consenta che l'esperienza, in me nata dagli anni, supplisca a quella

*) Invaghito di medesimo oon fìd^ fclèfl eingcnom;

nien. ^) Acconciarsi fii) f^mùcfen. 3) Tener dietro

na4>gc^eit. *) Vezzi affettati gtffunjìelte SieMofungen. ^) Effeminate - weibift^c. ^) Aspirava tìrebte nacj ic. ') Vanerella ciUl. ^) Dava sospetto ^ex^ai)t crregte.

9) Trasporti ^cftigc ©cmùt^Sbetocgung. *") Fastidioso

langtpeiltg. **) Melensaggine J^ói^cl^aftigfcit.

134 NOVELLA XXV.

che la troppo tenera età tua non può averti per anche fornita, e che di lume ti siano i miei consigli. La cura eh' io ho avuto di le finora, e la lontananza in cui sei vissuta dalle pratiche e da' rumori del mondo , mi fa credere che '1 tuo cuore non sia per alcuno ancor preve- nuto. Pur questo medesimo io amo da te sapere prima di tutto, e tu dei confessarlo senza riserbo ; eh' io già non sono per contrastare agli affetti tuoi , ove già per alcuno ti fosser nati, ma per dirigerli solamente.

Avendo la figlia affermato che il suo cuore era libero tuttavia, e che dai consigli suo padre ella mai non sarebbesi dipartita *), così egli continuò: Tu dei adunque sapere che molti sono i quali desiderosi sa- rebbero della tua mano ; ma di quanti me 1' hanno chiesta finora alcun non veggo cui io creda essere a te giove- vole l'accordarla. Gl'insegnamenti ch'io t'ho dato non faranno, che tu aspiri a persona che sia di te più no- bile e più illustre. Privata e semplice cittadina , come -tu sei, per le ricchezze ch'io son disposto a lasciarti, non verrai punto a crescere l'origin tua; e quando ad alcun cavaliere tu fossi congiunta, ciò solo guadagne- resti, che con le tue pari più viver potresti a tuo agio ^) , perchè non vorrebbelo consentire il marito, con le dame, che nate sono di te maggiori, perchè o ne saresti rigettata, o sofferta con isdegno e con disprezzo. L'eguaglianza cercar si vuol tra gli sposi, o la vici- nanza almeno, così nell'età, come nella condizione, onde sian felici. Ma ciò non basta. I costumi è d' uopo esaminar soprattutto nella persona con cui tu devi le- ganti in un vincolo cosi solenne , e a cui fidare per sempre la tua fortuna e te stessa. Un giuocatore , un libertino., un brutale, un avaro, un effeminato, uno

^) Dipartita a&gcirìd^en. ^) A tuo agio nati) bei* «ce iWufe, ^equemlid^feii.

IL MATRIMONIO. 135

sventato *) , un dissipatore non potrebbono farti pas- sare che giorni tristi ed amari. Or di quanti io qui co- no^^co. che aspirar possano alle tue nozze , pur uno io non veggo che d'alcuno di tali vizi non sia macchiato ^). Odi dunque un mio pensiero. A città assai più grande di questa , io credo che torni meglio ') di trasferirci *). Ivi fra una maggior moltidudine più agevole ti pwtrà esser la scelta, e il cielo più facilmente potrà scoprirti quello che abbia a formar la serenità ^) e la dolcezza della tua vita. E se il cielo volesse ancora che la tua mano dovesse esser premio alla virtù di qualunque in- giustamente perseguitato dalla fortuna, quanto , o mia figlia, io mi terrei consolato! Già tu curare non dei che il tuo sposo sia molto o poco dovizioso ^): i molti beni che il ciel mi ha dato, e che tuoi debbon esser ben presto, assai bastano perchè tu, come cittadina , possa viver con essi e col tuo sposo , qualunque siasi, agia- tamente.

La figlia con dolce e tenera commozione : S' io molto vi debbo, o padre, per questa vita, che da voi ;engo, assai più vi debbo per l'amor vostro e perla cura onde voi sostenuta avete finora l'età mia debole ed inesperta. E a chi meglio fidar poss'io me stessa che a voi? Io tutta, o padre, alla vostra cura e all' amor vostro mi abbandono. E se al cielo piacesse pure che i vostri beni esser dovessero la ricompensa di un' oppressa virtù, che altro per me si potrebbe desiderare se non che quello, a cui ciò toccasse, mai non avesse a pentirsi d'aver me pure -acquistato sopra di essi? Ma io tanto più spero eh' ei non avrebbe a pentirsene, in quanto potendosi allora più facilmente ottenere ch'ei

*) Uno sventato ein Unbcfonncncr. 2) Macchiato

bejlecft. •) Cile torni meglio baf l'effcr tuàrc.

*) Agevole ~ ltiti)t , bcqucm. ^) Serenità ^eitcrfeit. ^) Dovizioso tc{(^.

136 NOVELLA XXV.

venga a starsi con voi e a divenir vostro figlio, io non sarei mai disgiunta dalla vostra compagnia e da' vostri consigli.

II padre, compreso *) da un dolce trasporto di viva gioia, abbracciata la figlia e baciatala teneramente : virtuosi, disse, e bei sentimenti il cielo sempre ti serbi, o figlia, che la delizia or formi, e ognor forme- rai la felicità di tuo padre : e tutto lieto , apprestata ogni cosa, si dispose con essa a partire per Roma. giunto, ei si diede con ogni cura a ricercare chi meglio alla figlia sua potesse scegliersi per marito. Dopo lunghe e accurate ricerche: Io credo alfine, le disse un giorno, d'aver trovato chi potrà farti felice. Il figlio d'un uom di legge, assai ripulato pel suo valore, non meno che per la sua integrità *) , savio giovine egli stesso, e che, nella paterna professione addestran- dosi^), col suo studio e col suo ingegno promette d' u- guagliarne la fama, amerebbe di aver la tua mano. Resta soltanto che a te piaccia; ed io troverò modo onde tu possa vederlo, e parlandogli, non men 1' esterno della persona , che l' interno dell' animo esaminare. Ma un sacrificio io debbo chiederti, o figlia, che dalla tua virtù oso pur di promettermi. Io già ti dissi che tuoi sarebbero slati tutti i miei beni, certo persona è al mondo, a cui abbia pensato mai che meglio si potesser lasciare. Ma un accidente occorsomi quesla mattina fa ch'io desideri che una parte altrui ne sia data. Essendo da un banchiere mio amico, io vidi un giovane di circa vent' anni, avvenente della ptirsona e gentile nelle ma- niere, che mi colpì dolcemente, e eh' io chiesi al ban- chiere se a lui fosse figlio. Ei mi rispose che no, ma ch'era figlio di uno ch'io già conobbi altre volte qui

*) Compreso burc^brungen. ^) Integrità llnbc* ^à)olUìif)dt. 3) Addestrarsi fi^ fà^ig mac^en.

IL MATRIMONIO. 13»

in Roma, e che era onestissimo negoziante, ma per vari sciagurati accidenti perde tutto quanto , e mori fra l'angustie e fra 'l dolore. Egli ha lasciata la moglie 'con questo figlio, soggiunse il banchiere, ed io 1" ho tolto a scrittore nel mio banco, onde abbia modo, con quello che ne ritrae *), a sostener e la madre. Ei tutto infatti per essa impiega, e come più abile, più attento, più costumato giovine io ebbi mai, così non ha molto ^) eh' io gli ho pur cresciuto il suo ordi- nario stipendio : ma i suoi costumi e la sua virtù meri- terebbono cerlamente miglior fortuna. Io, mosso a questo racconto , vergognai di me stesso , che sovve- nuto mai non mi fosse di visitare la madre , che pur conobbi in altri tempi, e che sapea essere savissima ed onestissima donna; tardar volli più lungamente a compiere questo dovere. Io la trovai tutta sola, e datomi a conoscere , e messala sul discorso de" suoi passati avvenimenti, più volte ebbi a piangere per te- nerezza all' udire con qual animo rassegnato ella soffriva la' sua sciagura, e con quai sentimenti di gratitudine il cielo benediceva che , tolto avendole e marito e fortune, un figlio si amoroso e si caro lasciato le avesse in compenso di tutti i suoi mali. Or io ben so che se a pari angustie di fortuna noi fossimo pur ri- dotti, troppo, o figlia, ti piacerebbe che per alcuno noi fossimo sollevati: e senza questo pensiero , io ho pur ferma speranza che il tuo cuore affettuoso già non vorrebbe che due persone di tal virtù si restassero ab- bandonate. Io penso adunque d'impiegare una parte de' miei beni ad aiutarle. A te nondimeno ne rimarranno abbastanza : e quando al giovane, eh' io t' ho proposto, ti piaccia pur di congiungerti, essendo egli assai ricco, maggior dovizia tu non avrai a desiderare.

*) Ne ritrae bacon UiUf)t. «) Non ha molto ifl ni^t lange ^cr.

138 NOVELLA XXV.

La figlia intenerita per una parte a questo discorso, e alquanto in turbala per l'altra: Dei beni vostri, rispose,' a voi sta 0 ordinare come v' aggrada ; cer- tamente altra occasione io sapr'ei mai conoscere, ove meglio pot este voi impiegarli. Ma ben dolente io debbo essere che sedi tanta virtù è cotesto giovane, come voi dite, n on a lui piuttosto che ad altri e tutti i vostri beni e me stessa destiniate. Pur sembrami che tal fosse una volta il vostro disegno. Ma troppo tristo voi forse credete ora il dono che gli fareste, se me pur anche ...

Ah , figlia ammirabile e incomparabile ! disse il padre. Quante grazie io debbo rendere al cielo, che una figlia mi abbia dato come tu sei, e fornita d'un animo si virtuoso ! Anziché credere che le tue nozze gli abbian ad esser di rincrescimento , tu sei il dono più grande che a qual si fosse più raro giovane io mai credessi di poter fare : ma ad un eh' è sfornito di ogni cosa, come poss' io proporti se tu noi scegli per te me- desima ? Tu vedrai dunque e l'uno e l'altro, e fra i due tu eleggerai quale abbia ad esserti sposo ; che sebben questo secondo non ti abbia veduta ancora, io già non dubito che sopra ogni uomo non debba cre- dersi fortunatissimo , ove egli giunga a conseguirti. Ma perchè tu non abbia a pentirti mai della scelta, io vo' che l'altro pur vegga, al quale io sarò contento I del pari che sii congiunta, quand'egli da te ottenga laj preferenza.

Esegui il saggio padre il suo disegno , e per :^c-j concia maniera^) fé' che la figlia, e l' uno e l'altro veggendo, e con loro intertenendosi, 1' animo ne cono- scesse. Ma benché degno per molti capi il primo pur ritrovasse, la virtù del secondo fu preferita, e con in-

^) A voi sta fcmmt ettc^ gu. -) Acconcia maniera '— gefd^icftc 9lrt.

NOVELLA XXVL L'AMOR DELLA PATRIA. 139

tera gioia d'ambe le parti si fer le nozze, di cui più' liete si vider mai. più durevolmente felici.

NOVELLA XXVL . li'AlflOR UEl.Ii.% PATRIA.

v/elebrati vergiamo altamente presso gli antichi scrit- tori alcuni che a deliberata ') morte si esposero per la patria, siccome Codro fra i Greci, e Marco Curzio, e i due Decj fra' Roma ni. E certo che azione più generosa e più commendevole ^) non può farsi che offerir corag- giosamf nte stesso per la salute d' altrui. Ma da una vana superstizione e da un cieco errore furon condotti quegli antichi, credendo Marco Curzio che col gittarsi nella voragine ') , apertasi nel Foro romano, egli avesse a placar V ira degli Dei, e allontanare da Roma la minacciata rovina: e" Codro, e i Decj che, coli' esporsi senza armi a farsi uccidere dai nemici, aves- sero a procurar la vittoria a'ior cittadini; dimodoché*) in essi l'intenzione fu da lodare piuttosto che l'azione per medesima. Ma lina morte egualmente nobile per coraggio, e assai più utile pei suoi effetti, fu quella a cui spontaneamente andò incontro sul cominciare di questo secolo un uomo appena noto fra noi, chiamato Pietro Micca, della terra d'Andorno, il quale di cele- brità potrebbe vincere quegli antichi, se egual numero di eccellenti scrittori ei trovasse, i quali prendessero a commendarlo *).

*) Deliberata oorfà^li*. 2) Commendevole iobenii tCdiff. ^) Voragini Stbgrunb. *) Dimodoché ,— - io ba^.

*) Ln meritalo elogio è stato poi pubblicato di quesf uomo, non ha gran tempo.

140 NOVELLA XXVI.

Era la città di Torino nel 1706 «assediata con po- deroso 0 esercito da' Francesi -, e benché gli assediati op- ponessero la più vigorosa difesa, rendendo inutili o disturbando gli attacchi ^) de' nemici, e nuocendo loro col fuoco continuo che faceano dalle mura, e con le uscite frequenti e improvvise , si erano però questi dopo tre mesi di ostinato assedio già, avanzati di tanto , che le molte fortificazioni esteriori già erano quasi tutte ca- dute in lor potere, e una sola ne rimaneva, tolta la quale , percossa la cittadella, e dominata da vicino , più non avrebbe potuto far resistenza.

Il governatore, che era il conte di Daun, vedendo che pur quest' ultimo riparo accingevansi*) i nemici ad at- taccar fortemente, e già disposte avevano contro fli esso le lor terribili batterie , ordinò a' suoi minatori che per sotterranee vie cercassero di condursi, e con uno scoppio *) improvviso tentassero di distruggere le loro opere , e vani rendere i loro sforzi. Capo di questi era Pietro Micca, il quale con viva sollecitudine e con in- defesso lavoro, ubbidendo agli ordini del comandante, seppe di tanto colà sotto innoltrarsi, che già disposta e perfezionata la mina , più non mancava che apporvi r usata traccia di polvere , e uscendone darvi il fuoco. Quand' ecco dal crollar del terreno e dal rumore ei s'av- vede Che i nemici tentan di rompere il suo lavoro e di sventarlo. Già eran essi vicini , e pochi momenti eh' ei ritardasse la sua fatica era tutta a vóto ^). Che far però, s' egli aveva appena tempo di ritirarsi , per non cadere nelle lor jnani non che di apprestare le necessarie guide, con cui potere da lungi alla mina aprir lo Scoppio? Altro mezzo non gli rimaneva, onde questa avesse effetto, che darvi fuoco di propria mano incontanente e dap-

1) Poderoso— mac^tig, fiaxl—^) Disturbando gli attacchi bic Slngtip fìórcnb.— 3) Accingersi ~ftc^anf^t(fen.— *) Scop- pio — @d)lag. ^) A voto oemtelt.

NOVELLA XXVII. I FANTASMI NOTTyRNI. 141

presso, esponendo se medesimo al pericolo di una morte inevitabile. Pietro Micca . infiammato da un vivo amor per la patria e pel suo re, a questo mezzo appunta s'appiglia *); ed anziché permettere che i nemici, ren- dendo vana l'opera sua, togliessero alla città quel solo riparo che ancor le restava^ delibera di perire con essi. Ordina immantinente a' compagni di ritirarsi: Ricor- divi , dice loro pietosamente , di raccomandare al pa- terno cuore del re i miei teneri figli: sia egli loro so- stegno e loro padre ; io lieto muoio per lui. Quindi con animo coraggioso s'accosta *) ove chiuse eran le pol- veri incendiarie, e con la miccia') che aveva in mano, intrepido v' appicca il fuoco. Scoppiano queste in un momento con tutto il lor impeto: s'apre la terra, l'opere de' nemici van tutte a soqquadro *), molti di loro peri- scono • ed ei con essi riman sepolto fra le ruine.

Al generoso atto di Micca dovette allora Torino in gran parte la sua salvezza. Questo sconcertò in modo gli attacchi degli avversari, e di tanto ritardò le loro imprese, che, sopraggiunto con forte esercito il prin- cipe Eugenio in soccorso della città, con la memorabil vittoria, che poco dopo sovra di lor riportò, li co- strinse a sciorre V assedio ed a fuggire precipitosi.

NOVELLA XXVII. I FA^T.4.S]fil ]VOTTIJR]V15).

Jr u già un tempo che in ogni parte antiche case disabitate, e soprattutto i vecchi castelli, assediati cre- devansi dagli spiriti, e mille cose si raccontavano delle

*) A questo s'appiglia er crgretft biefe« SKittcl, —2) S'ac- costa—nó^ert fì(!&. *) Miccia Sunte. *) Vanno a soq- quadro — tDcrbctt gerjlórt. 5) Fantasmi ®ef^cn<ìcr.

148 NOVELLA XXVII.

loro apparizioni , e de' terrori o dei mali che produce- vano a chi ardisse di soggiornarvi. A poco a poco si è discoperto che tali apparizioni e tali spaventi o erano un giuoco d' immaginazione riscaldata , o effetto di na- turali cagioni non avvertite dapprima , o espressa opera di malvage persone che usavano di questo mezzo per tener lontano da que' luoghi , ove nascondevano le loro malvagità, chiunque avesse potuto scoprirle. Oggimai non v'ha persona di senno ^) che presti più alcuna fede a terrori siffatti. Dal popolo tuttavia 1' antico pregiu- dizio non è ancor tolto del tutto, e di tali novelle si odono raccontar qualche volta anche a' di nostri. Un uom prudente, ove ciò avvenga, si appaga ^) di riderne, senza più: alcuni, che aman far mostra^) del lor co- raggio , vanno anche arditamente ad affrontare il pe- ricolo che disprezzano ; ma l' esempio del duca di Vil- lars dee rendere ognuno accorto a non avventurarvisi innanzi di aver ben presa ogni sicurezza per ripararsi da" mali che , da cagion naturale o dalla malvagità di persone colà nascoste , possono facilmente soprav- venire.

Mentre questi era giovane tuttavia, spedito dal r^j suo signore per affari importanti in Alemagna, al rU torno fu. sopraggiunto dalla notte e da una pioggia di- rotta in un tristo villaggio , ove, fuori di poche e me- schine *) capanne di contadini, altro biogo non v' era al ricoverarsi. Vedeasi però non lunge un antico castello d e come a lui parea di poter ivi passar la notte più agia-| tamente, così domandò chi fosse, e se quivi sareb-j basi potuto avere albergo ^), La buona gente risposa che ninno ardiva di alloggiare dentro , perchè daglfj strepili spaventevoli che si iidivan fra notte, e da' fan-

*) Persona di senno— oerfìSnbigei' 5()ìcttfcl^. ^) Si appaga bcgtiùgt fì{^. 3) Par mostra §ur Scèau tragcn. *) Me- schino— clcnt». ^) Alljergo «i^erbcvge.

I FANTASMI NOTTURNI. 143 '

tasmi che si vedevano , tutti erano atterriti. Rise il gio- vane Villars della loro semplicità ; e , Io avrò ben piacere , lor disse , di mirare anch' io questi fantasmi e di udir questi strepiti spaventosi. Quindi , dato ordine ai suoi di rimaner nel villaggio , per dichiarar vie me- glio quanto ei si beffasse *) di tali fole ^) , prese le sue armi, e fatto recar del vino, e accender buon fuoco per ristorarsi, tutto solo s'incamminò al castello.

Passata la mezzanotte, ecco incomincia a farsi udir di lontano un confuso gettar d" urli ') , e uno strepito orribile di catene. Villars senza punto atterrirsi pon mano air armi, e si mette in sulle guardie *). Lo chiamazzo ^) e lo strascico ^) delle catene si fa ognor più forte e più vicino. Villars con animo sempre fermo coraggiosa- mente ne sta attendendo la riuscita. Quand" ecco con un fracasso, come se tutto ne rovinasse il castello, spa- lancare ei si vede le porte , ed entrare un mostruoso fantasma di enorme grandezza, tutto coperto di bianco, e seguito da quattro furie con faci funeree nelle mani. Arrestatosi il fantasma a pochi passi, e volto a Villars : Temerario ! gli grida in tuon cupo e tremendo : tu, che osasti di penetrare in questi luoghi terribili , sgombra di qua immantinente '), e salvati, o trema per la tua vita. Io tremare? risponde il giovane coraggioso: or tu vedrai, scellerato, se sa tremare Villars: e senza più con impeto furioso gli corre incontro. Fugge pre- <npitoso il fantasma : Villars gli tien dietro ; trapassate appena due camere, ecco profondasi il pavimento®), scompare la visione ed egli trovasi tutto solo in luogo ignoto, e in una oscurità spavejitevole. Qual fosse il

*) Beffarsi n<^ (uftlg ma4)en ùber jc. ^) Fole ^^Joffen. ^) Confuso gettar d'urli etn »ernjirrtc« @e^cul ausifìo^en. r— *j Si mette in sulle guardie— fìcUtfìc^ jur fficfjre. - S) Loschia- * TDazzo taé ©cfc^rcx. ^) Strascico f(^l/t)pen, fc^tcifen. ''') Sgombra immantinente— jiel^e auf ber ®r?Ue von l^ier teeg. ^) Profondasi il pavimento ber 53oben fìnft ein.

144 NOVELLA XXVII.

terrore e l'agitazione diVillars in quel orribil momento, è troppo facile a concepire. Ei non avea per sua ven- tura sofferto alcun male nella caduta, ma ben vedeva che racchiuso non dovea aspettarsi più uscita, scampo ^).

Restato cosi lunga pezza fra il tumulto di mille pensieri, scorge alla fine un lieve barlume') attraverso alla fenditura *) di un uscio che mettea nel vicin sotter- raneo, e sente un bisbiglio*) che sembragli di voci umane. Tende V orecchio ^)y e riesce con suo maggiore spavento a distinguere che fra una truppa di male genti si fa ivi consulta sulla maniera di trarlo a morte. Dopo vari dibattimenti che fra l'angustie il tennero lunga- mente 5 ode uno alla fint; , il qual dice : Troppo peri- coloso per noi può essere l'ammazzarlo: egli è persona di troppo conto ^) domani ne sarà fatta ricerca per tutto il castello, e noi saremo scoperti: mio parere è che aprasi e si rimetta in libertà. Villars a ciò rin- corato ^) : , troppo caro , lor grida, il vostro atten- tato vi costerebbe. Io ho lettere importanti, eh' esser > deggiono rimesse al re in propria mano : ho nel vicino! villaggio quattro persone di mio servigio : la morte miaj star potrebbe nascosta, rimarrebbesi invendicata. Aprite: io prometto a tutti il segreto, e una ricom-1 pensa degna di Villars. Dopo breve consiglio fu allori risoluto di liberarlo, obbligandolo però a giurare chef altro detto ei non avrebbe, se non d' avere dentro ve-j duto e udito cose terribili; e ben certamente il potea| dir con ragione.

Passato alcun tempo , mentre in una sua villa si

') Uscita, scampo »ebcr Sluégang , nod^ 9lettung. ^) Barlume cin fdf)tDarf)er (Sd^lmmer. ') Fenditura ?^i^. *) Bisbiglio ©ffìiifìer. ^) Tende l' orecchio f^JÌ^tbie D^reru ^) È persona di troppo conto (Se ijì eine aUjuttJÌ<^tigc$et« fon. ' ') Rincorato aufgf muntert.

NOVELLA XXVlli. ANEDDOTO DEL MAilESClALLO DI TURUENA. 145

stava egli tra' suoi amici , videsi un uomo ignoto venir davanti , il quale due leggiadri destrieri a lui presen- tando: Questo dono, gli disse, preganvi d'accettare coloro, a' quali il segreto già prometteste entro il ca- stello, e che si fedelmente avete finor tenuto. Or li- beran essi la vostra fede, poiché, usciti del regno, e posti in sicuro, più abbisognano di cosa alcuna, cosa alcuna più hanno a temere.

Narrò egli allora ciò eh" entf o al castello gli era avvenuto. I cinque spettri erano cinque fabbricatori di false monete, che con altri si occultavano'): il pavi- mento profondato era uno dei trabocchetti, di cui al tempo delle guerre intestine e de' piccioli tiranni , quasi tutti i castelli erano provveduti. Lieto Villars di aver potuto scamparne, ogni volta che poi il fatto ne rac- contava, mai non lasciava di biasimare il suo sover- chio ardimento , e di proporre stesso in esempio de' pericoli a cui può condurre un coraggio inconsiderato.

NOVELLA XXVin.

ANEDDOTO DEIi JHARES^CIAIìIìO DI TIJRREIVA,

Una troppo piccola cosa noi prendiamo qui a riferire d' un uom grande , come fu il celeberrimo mare- sciallo di Turrena. Ma ella varrà a dimostrare, come uppunto gli uomini grandi sappiano contenersi in que' « asi, per cui sogliono inasprire ^) quelli che sono di mi- nor conto.

Prestissimi in fatti sono costoro ad irritarsi *), ed a mostrare il loro risentimento *) per le più piccole of-

*) Occultarsi ~ fìc^ vctborgcn ^oUcn. ^) Inasprire erbita tern. 3) Irritarsi enuruen. •) Risentimento SSertrug, UntoiUe.

Soavci Notelìe. 10

146 NOVELLA, XXVIIL

fese, ancorché siano involontarie. Poco trovando in se stessi che possa renderli rispettabili, temono ognora di essere disprezzati- ed ogni lieve sospetto, che altri non faccia di lor quella stima ch'essi vorrebbono, è una ferita intollerabile al loro orgoglio, che inconta- nente li porta all' estreme furie. Gli uomini illustri , per lo contrario , sicuri che l' onor loro non viene punto a scemare per bagattelle di simil conto, più agevolmente san pure dissimularle o soffrirle con tranquillità e non curanza. Molti esempi n' abbiam fra gli antichi : noi fa- remo cenno soltanto d' un più recente che il celebre maresciallo di Turrena ci ha offerto.

Egli era in guerra il terror degli eserciti , ed ha formato per lungo tempo il sostegno e la gloria della Francia. Ma nel suo viver domestico egli era semplice affatto e dimesso *), era modesto negli abiti e nel por- tamento; nel conversare era umano ed affabile con chicchessia.

Avvenne una mattina d' estate , che uscendo per tempo della sua camera così com' era , in farsetto ^) e mezzo scalzo'), si mise a passeggiar tutto solo per le anticamere , e fattosi quindi ad una finestra, appoggiato sovr' essa coi gomiti *), e col mento in fra le mani, si stette a riguardar nel giardino. Mentre era in questo atteggiamento^), capita un famiglio, il qual, creden- dolo uno de' suoi compagni, s'accosta bel bello ^), e con servitoresca dimestichezza '^) applicatogli un gran colpo ®) ridendo si tira da canto ^). Il Maresciallo, trai quillamente volgendosi : Amico, disse, la mano vi pesi

^) Dimesso X)itabla^'enì>.—") Farsetto 2Bamm^, ^a^i 3) Scalzo baarfu^. *) Gomiti (Stieubogcn. ^) Atteg- giamento— ©tettuujj. 6) S'accosta bel bello uàl^cct fif leifc '^) Dimestichezza— S3citraun^feit. ^) AppUcatogli uu gran colpo nad&bcm er il^m eineu jìavfen ^^lag mit bcc ^an^ secfe^t f}aU(. ^) Si tira da canto jie^t ft(^ jurùdf.

NOVELLA XXIX. LO SCHIAVO RISCATTATO. 147

forte : uiv altra volta ricordivi di calcar meno. II fami- glio, alla voce ed alla vista riconoscendolo, ebbe a cader tramortito. Gettandosi quindi a* piedi suoi tutto tremante, gli domandò con le lagrime compatimento e perdono . dicendo che preso avealo pel Giannotto suo compagno. Il Maresciallo pur con la stessa serenità: L" error maggiore , rispose , non è degli occhi , ma della mano: anche al Giannotto il saluto potea sem- brare un po' brusco : io vi consiglierei quindi innanzi a dar il buon di con la voce piuttosto che non coi gesti. Poi rilevatolo , e confortatolo, si ritirò chetamente nella sua camera , lasciandolo , non si saprebbe ben dire, se colmo più di confusione o di tenera maraviglia.

NOVELLA XXrX.

ILO SCHIAVO RISCATTATO.

feon molli che, quando pur si conducono a fare alcun bene ad altrui, ne menano gran pompa *), che fanno arrossire il beneficato , e perdono per vanità e per or- goglio tutto il pregio che alla loro liberalità si dovre"bbe. Air incontro diceva Seneca che il beneficio dee chiuder la bocca a chi Io fa , ed aprirla a chi lo riceve : e noi vedremo da un memorabile esempio quanto ben persuaso di questa massima fosse un uom grande dell' età nostra, è (^anto egli abbia saputo ben praticarla.

Trovandosi questi in Marsiglia , e andato una do- menica sera d' estate a rinfrescarsi nel porto , volle sa- lire su d'un battello per far un giro nel molo *). Chiesto d' alcuno che lo guidasse , accorse un giovane di vago

*) Ne menano si gran pompa ^Jrunfen fo fel^r bamit, bap jc. ^) Molo -^afenbamm. , '

IO*

j'48 NOVELLA \X1X.

aspetto e di graziose maniere , che presto si offerse ad ubbidirlo. Attentamente ei riguardandolo, e assai più collo vedendolo della persona , e più civile negli atti, che esser non sogliono quei che «on nati in siffatta con- dizione : Voi non m' avete, gli disse, l' aria di marinaio, e dubito non per sollazzo piuttosto che per mestiere amiate in questo d'esercitarvi. Io non son nato, di fatto, rispose egli, a questa condizione di vita, questa è l'arte ch'io professo*, ma la sciagura di mio padre mi ha condotto ad apprendere questa ancora per trarne qualche profitto ne' festivi. E qual disgrazia, disse il forestiere, a vostro padre è intervenuta ? Egli è schiavo , rispose il giovane con le lagrime agli occhi : io ho modo di riscattarlo, se coli' opera mia e con le m e fatiche noi mi procuro. Schiavo ! e da quanto tempo , e dove ? Già da sei mesi egli è ne' ferri a Tetuan. Fattosi co' suoi risparmi un piccolo capitale, egli lo caricò sur una nave che andava a Smirne, e volle recarvisi egli pure , per ingegnarsi con la sua industria a meglio avvantaggiarlo. Ma la nave fu presa dai Bar- bareschi, ed ei fatto schiavo con tutti gli altri. Due mila scudi pretendonsi pel suo riscatto *)*, ma siccome egli. in partendo quasi tutto avea seco portato, noi siam ben lontani da questa somma. Tuttavolta mia madre e due mie sorelle faticano e notte per veder pure di radunarla : io fo lo stesso, e curo di mettere, per quanto posso , a profitto ^) ancor le feste. Credeva in sulb prime di poter liberarlo col farmi schiavo in sua vece. Ma il seppe mia madre, o il sospettò: assicurommi che il mio disegno era vano ^ e temendo , senza ragione, ch'io pur volessi avventurarmivi ad ogni costo, fece vietare a tutti i capitani dijseco prendermi a bordo.-

1) Riscatto So^faufutig, 2^ Curo di mettere a profitto ià) troc^te gu tenuteti k.

LO SCHIAVO RISCATTATO. 149

Avete di lui mai avuto novella alcuna? Sapete a chi serva . e in qual modo ne sia trattato ? Ei serve al soprastante ^) dei reali giardini , e n" è trattato umana- mente : ma questo è per lui troppo picciol conforto : egli è schiavo a buon conto , e lontano da noi . lontano da una moglie che ama . e da tre figli che ha sempre aniato teneramente. Che nome ha egli? Roberto. ~ Che età? È poco lungi dai cinquantacinque. Voi meri- tate certamente miglior veniura ^) : io ve la desidero ben di cuore : e , riguardando alla vostra virtù , oserei pure di presagir\'ela ').

Giunta la notte , il forestiere ordinogli di andar a terra: «, uscito prestamente dal batello*), non gli diede pur tempo a ringraziarlo della borsa che gli lasciò in ricompensa. Eranvi otto luigi doppi e dieci scudi. Il giovine, sorpreso da tal generosità, n'andò in traccia ^) più giorni per nuovamente incontrarlo ed esprimergli la sua riconoscenza , ma non gli venne mai fatto ^).

Dopo due mesi, mentre q està onesta famiglia in una povera cameretta si stava a povera mensa '), ecco arrivare inaspettatamente Roberto. Un grido ®) di gioia e di stupore mettono tutti a quésta vista improv- visa: e. dubbiosi di medesimi, quasi agli occhi pro- pri non osano di prestar fede. Egli , abbracciando te- neramente or Tuno or 1" altro: Ah, sposa! dice, ah ligli miei, quanto io debbo alla pietà vostra e alle vo- stre tenere cure! Ma come mai avete potuto voi così presto salvarmi, come spedirmi tanto sussidio? La somma pel mio riscatto, i cinquanta luigi di scoria^),

*) Soprastante 9tuff<f;f r. '■^) Miglior ventura befferei iooé. *) Presagirvela— e^ mi) iJoraué gu fageu. *) Battello

©c^iff. 5) >' audò in traccia -— fucate iijn auf. ^) IVoii gli venne mai fatto gclang immote. '^)Sì stava a povera men§a

^iclt i1)t fatgee aWa^l. «*) Mettere un grido ein ®ef<^m qu*^ ftogcn. 9) Scorta ©rfpQtntf.

I

150 NOVELLA XXÌX.

queste vesti, l' imbarco pagatomi imianzi tratto, tutt» mi empie di maraviglia. Sebbene a quale stato, a qu: misero stato io vi veggo per me ridotti!... La moltit dine e l'impeto degli affetti non lascia alla moglie forza pur di rispondere: essa gli corre al collo* e di sciolta in lagrime *), sovra di lui s'abbandona: le figlie accompagnano il pianto della madre : il figlio si resta immobile, e eviene.

Le sparse lagrime rendono finalmente alla moglie la voce e la parola : ella abbraccia nuovamente il ma- rito , riguarda il figlio , ed a lui additandolo : Ecco, disse, ecco il vostro liberatore. Due mila scudi chiede- vansi pel vostro scampo; noi fin ora alla metà non era- vamo ancor giunti, e di quello che abbiam raccolto, la maggior parte si deve pure ali" assiduità indefessa di vostro figlio. Questo figliuolo adorabile dee aver tro- vato de* protettori , che , mossi dalle sue virtù , l' haii soccorso : èi disegnava segretamente a principio di mettersi in luogo vostro : a lui certamente noi dobbiar ora la vostra salvezza, ed egli, in luogo di prevenirci^ ha pur voluto lasciarcene la sorpresa. Mirate com^ ora n' è penetrato.* j\Ia affrettiamoci a soccorrerlo . . , Le sorelle già erano in ciò occupate: i genitori vi si aggiungono : e non senza difficoltà riescono pur final- mente a trarlo dal suo deliquio *). Ma' nell" atto eh' e^ volge al padre i languidi occhi, e non ha forza ancor di parlare, il padre intanto si fa pensoso '), e dalla gioia passa improvvisamente al turbamento*) e alla tri .stezza. A lui quindi volgendosi, in tuon di sdjegno Ah, sciagurato ! dice , che hai tu fatto ? Io certo nont posso esserti debitore di questa libertà, che mi era si^

*) Disciolta in lagrime in Xf)xànen ^ev^ojfen. ''^) De- liquio — Df)nma^t. ^) 8i fa pensoso h^irb tieffìnnig. *) Turbamento Unrul^e.

LO SCHUVO RISCATTATO. 151

cara, senza averne a inorridire 0. Come hai lu potuto osar (li farne un mistero a tua niradre, se non mi hai ricomprato con un delitto ? Figlio d' uno schiavo mise- rabile 5 ed in età così fresca , non è credibile che per oneste vie lu sii giunto a procacciarti soccorsi di tal natura. Tremo, in pensando che lamor filiale abbia potuto condurli ad una scelleratezza *). Toglimi imman- tinente di questo dubbio, sii veritiero , e piuttosto Ah no, tranquillatevi, mio padre, risponde egli allora levandosi con isforzo; abbracciate pur vostro figlio ; io non sono indegno di questo nome ; ma non è pure a me, ad alcun di noi che voi siete tenuto del vostro scampo '). Il nostro benefattore è tutt' altri, ed io ben il conosco. Ah madre , quel forestiero, che già la borsa mi lasciò in dono con un atto si generoso, mi fé' pur anche di molte e replicate domande : da lui certamente ora viene la nostra felicità. Deh, s'io po- tessi mai incontrarlo novellamente ! s'io il potessi! ,.. Ma non lascerò diligenza per trarne almeno qualche notizia. Narra quindi a suo padre quanto coli' in- cognito gli era avvenuto, e d'ogni timore per questo modo Io rassicura.

Dopo due anni d" inutili ricerche ei rincontra una mattina nel porto. Ah mio sommo, mio unico bene- fattore, mio sostegno, mia vita, mio tutto!... Gli é quanto ei potè dire gettandosi a' più di lui , e abbrac- ciandoli con trasporto. Che avete voi *? che fate ? disse r incognito , rilevandolo *). Ah mio signore ! potete voi ignorarlo? Avete voi del tutto dimenticato il figlio dell' infelice Roberto, che avete salvalo si gene- rosamente? — Voi prendete abbaglio ^), amico; io sono

*) Averne ad inorridire o^ne ©(^oubern ^n miifen, 2) Scelleratezza JRuc^Ioftgfn't , SSerbrfdjen. -~ ^) Scampo Slcttun^. *) Rilevandolo i^ii oufrit^tenb. •'») Pj-endere abbaglio fid^ lóuft^en.

15S NOVFXLA XXtX.

im forestiero qui giunto da pochi giorni. Ciò ben sarà : ma sovvengavi che già vi foste, ora sono ventisei mesi; ricordivi il giro che voi faceste nel molo; la borsa che mi donaste, la viva compassione per la scia- gura di mio padre , le premurose domande che mi fa- cesie su tutto quello che dar vi potea lume a liberarli:». Voi avete con ciò formatala felicità d'un' intera famiglia, che altro più non desidera se non la vostra presenza per ricolmarvi di mille benedizioni. Deh ! non negatevi a' nostri voti... Venite. Bel bello 0, amico: gli è troppo facile l'ingannarsi: voi forse... No, io non m' inganno punto. I vostri lineamenti sono troppo alta- mente impressi nell' animo mio per iscambiarli. Venite di grazia ... e cominciò a pigliarlo pel braccio , e a fargli una dolce violenza per trarlo seco.

Al loro contrasto molte persone si fecero d'in- torno ^). L' incognito era nel colmo della sua gloria : ma in luogo d' invanirsene '), ebbe il coraggio di resi- ster pur anche ai movimenti di una giusta compiacenza, e di volere costantemente restar celato. S'andò egli quindi sempre schermendo, infino a tanto che , presa l'occasione opportuna, jsi mischiò tra la folla, e scom- parve.

Nascosto sarebbe egli luttora, se alla morte di

un negoziante di Marsiglia la sua gente, trovata fra

alcune carte una nota di 7500 franchi spediti a Ro

berlo Mayn di Cadice, non gliene avessero chiesto conto.

Questo famoso banchiere inglese rispose d' averne fall

uso per liberare, giusta gli ordini del sig. Carlo d

Secondai, barone di Montesquieu , presidente nel par

lamento di Bordeaux, un di Marsiglia, chiamato Ro

berlo, schiavo a Tetuan. Quell'uomo insigne era uso

di tempo in tempo a visitare sua sorella mad. dEri-

') Bel bello Ìaà)U, fa*te. 2) Si fecero d' intorno fte ircvbcn itm^^ei^cn 'oon k. ') Invanire ftotj tocrben.

i

NOVELLA XXX. BALDASSARE DE LAMA. 153

court, maritata a Marsiglia. L'azione generosa, che quivi fece, che abbiamo or raccontata, non gli merita certamente minor commendazione che l' opere letterarie con cui si è fatto immortale *).

NOVELLA XXX. BAIiDAISSARi: UE liAìflA.

librano .state in Lisbona tra le due illustri famiglie Suarez e Suza lunghissime dissensioni *). Ricomposta la pace ^), stabilirono amendue di vie meglio ') assicurarla con le nozze d" Elvira e di Emanuele , unici eredi delle due famiglie. Tutto era già preparato: i due sposi, che amavansi vivamente, non altro attendevano che il mo mento felice che avea ad unirli ; quando Baldassare de Lama, uom di fortuna, ma altero per le sue ricchezze e pel credito che godeva alla corte , desideroso d' illu- strarsi, stringendosi in parentela con la famiglia Sua- rez, dopo aver prima tentata inutilmente ogni via per riuscirvi, ricorse finalmente alla corte, e oltenne dal re un impiego possente a favor suo col grado di viceré dell' Indie come presente di nozze.

Alle istanze del re i parenti d'Elvira non ebber coraggio d" opporsi: cedettero, benché a mal grado:,

*) bissensioiic ^me^palt. ^^ Hicomposl.i la pace na^bem ber >?riebc gcfrf)Ioffen toar. 3) ^'i^ meglio tt>eit mel^r.

•) Quest'aneddoto del barone di Montesquieu è stato pubblicato dal sig. ]\Iingard, il quale n'ha avuto la notizia da un vecchio amico del medesimo Montesquieu, che dell'ultima parte era slato pur testimonio oculare. In una raccolta di .Novelle IMorali si è creduto che non si avesse ad oramettere. Si sono però moderate parecchie espressioni dell'originale, che troppo uscivano dalla natura, e varie circostanze, certa- mente aggiunte dallo scrittore , che rendevano il fatto men verisimile.

154 NOVELLA XXX.

e il superbo de Lama andò orgoglioso della sua vitto- ria. JVon soffrì però Emanuele che questi impunemente ne trionfasse: trasportato dall'amore e dall'ira, si fé' con aspre parole, a sfogare contro di lui il suo fiero risentimento *); e la cosa procedette oltre., che, traile le armi, si azzuffarono ^) furiosamente ambedue, e de Lama, inferiore di destrezza e di forze , rilevate già due ferite ^j, correa pericolo di soccombere, se da gente, che sopraggiunse , non fosse stato opportu- namente scampato.

R'ecatosi egli tosto alla corte , fece alte doglianze contro de 8uza, aggravando il fatfo malignamente, sicché de Suza fu imprigionato ed era già condannato alla morte, quando Elvira, ferita a tal nuova dal più vìyo dolore, non sapendo a qual altra via appigliarsi onde salvarlo, si volse allo stesso de Lama.

Malgrado l'assenso de' genitori, ella aveva tino a quell'ora tuttor ricusalo di dar la mano ad un uomo che mortalmente abborriva. Il crudele si valse di questa occasione per vincerla ^ esigendo che le pronte nozze di lei esser dovessero il prezzo dello scampo d'Ema- nuele. Indarno gli venne ella rappresentando l'insu- perabile avversione che gli portava, e l'impossibilità in cui era d' amarlo 5 rimproverò indarno la sua ninna delicatezza, la feroce sua ostinazione: egli fu irremo- vibile ; e per salvare la vita all' infelice de Suza , El- vira costretta si vide a sottoscrivere alle inique condì-, zioni, e sacrificarsi.

Le nozze furono celebrate con superba magnifi- cenza, e de Suza ottenne il perdono : ma non fu liberato se non dopo che Elvira con lo sposo furono partiti . per l'Indie.

*) Sfogare il suo risentimento fciuen llni»iU<n au^s laffen. 2) Azzuffarsi ^anbgemein toerbcn. ^) Rilevate due ferite jjrei aPitnbfn fcf;on erl^alten.

X BAUDASSARE DE LAMA. 15^

Giunto colà, il novello viceré cominciò a menare or- goglio ') nel modo più ributtante^); e questo, unito alla crudeltà del suo cuore, fece che gii animi degV Indiani presto si alienarono, e cominciarono a sollevarsi. El- vira, per lo contrario, con la sua umanità e conia dolcezza delle sue maniere fatta si era 1" oggetto dell' amore e dell' ammirazione d' ognuno. Il confronto ren- dea de Lama vie più abborrito, quando una circostanza s" aggiunse ancora per accendere vie maggiormente contro di lui Y odio e V abbominazione comune. Una principessa del Malabar, fuggita pe" suoi disordini, venne ad implorare asilo e soccorso dal viceré di Goa contro alle pretese persecuzioni ^) del re suo fratello. 1 tratti lusinghieri di questa donna, le sue maniere insi- nuanti, e più il titolo di principessa presto sedussero l'animo ambizioso del uperbo de Lama. Ei se n'ac- cese, e a tal segno portò la sua passione , che comin- ciò a trattare Elvira non pur con freddezza, ma con dispregio, e a tenerla duramente imprigionata nelle sue stanze. La cosa si fé' palese, ed eccitò l'universale indignazione; ognuno ne fremeva in suo cuore, ognuno altamente ne mormorava; ma il viceré, occupato inte- ramentedal suo novello amore, punto non curava *) quel eh' altri dicesse della sua rea infedeKà o della sua barbane.

In questo tempo Emanuele de Suzn soffrir non po- tendo di stare più lungamente lontano dalla persona che amava più di stesso , determinossi di partirsi in- cognito con due de suoi, e d'imbarcarsi^) per l'Indie.

Arrivato a Goa, intese i barbari trattamenti^) che

*) Menare orgojgiio ^o(^mut^ig irctbcn. 2) Nel motto più ributtante auf bfe ahfà)e\d\é)^t 9ixt. ■- ^) Pretese per- secuzioni — iJcnncintlit^c Oierfolgungen. *) Punto non curava cr beaà)teU (\ax mà)te. ^) Imbarcarsi ft(^ einfc^iffen, -^ ^) Trattamenti 53e!ianMun9,

15« NOVELLA XXX.

erano fatti alla infelice Elvira , la compassione che tutti per lei sen tivano , Io sdegno onde tutti erano animati contro r iniquo de Lama, e la principessa che l'avea sedotto. Sospirò altamente a queste nuove ^ un impeto di primo sdegno portato T avrebbe a punire il brutale, e a vendicare l' oppressa viceregina , ma vide il pericolo a cui esponevala, i sospetti che formati sarebbonsi contro di lei, l'obbrobrio di cui verrebbe a coprirla in faccia alla corte e a Lisbona, con una vendetta di cui Y avreb- bono creduta complice ; moderò l' ira , e pensò a gio- varle con più cautela o più sicurezza. Impone ad uno de' suoi che trovasse modo d' introdursi alla corte del viceré, e d'esser ammesso al servigio d'Elvira, al- l'altro d'insinuarsi presso alla principessa onde spiare ciò che questa e 1" infedele de Lama contro di lei mac- chinassero.

Non andò mollo eh' ei venne a scoprire 1" infame orditura *) del più orribile tradimento. Acciecato de Lama dalla sua indegna passione acciecato dalla mal- nata ambizione di vedersi unito con real sangue, sti- molato dalle contmue istigazioni ^), della scellerata fem- mina , s" arrese all' esecrabil partito di sbrigarsi d'Elvira con un veleno, per quindi passare a nuove nozze con la principessa che iniquamente adorava.

Il veleno le fu recato di fatto : ma Elvira ne venne a tempo avvertita. Il rumore di questo indegno atten- tato si sparse subito per la corte e per la città: gli animi, già per l'innanzi inaspriti, non sépper reggere a questo nuovo orrore : un fremito d' abbominazione e di sdegno andò serpeggiando ^) per ogni parte ; i più malcontenti e più ardimentosi uscirono a furia aperta; sollevarono il popolo, assediarono la corte, assalirono r appartamento della principessa e la trucidarono. II

*) Orditura -- ^(nfd^lag, ©eluebe. 2) [stigazioue 5ln« Pifhmg. 3) Serpeggiando cinfc^lcic^enb.

BALDASSARE DE LAMA. IS?

viceré infuriato accorse * tosto alla difesa , ma non era più a tempo : ed ei medesimo sarebbe dalla rabbia del popolo rimasto ucciso, se Emanuele, temendone le con- seguenze, coi due suoi fidi combattendo per lui valoro- samente, non si fosse interposto a salvarlo.

Non è da dire la confusione dell' orgoglioso de Lama, quando conobbe di dovere la vita al suo stesso rivale, e in un momento in cui la rea coscienza ben lo convinceva quanto egli avesse meritato la morte. Il dolore di vedersi rapita la principessa che amava, e che tanto avea lusingata la sua vanità, la vergogna di ve- dere scoperta la sua scelleraggine, l' abbattimento nel mirarsi dal popolo generalmente esecrato , il timore che tutto non si risapesse a Lisbona, e non ne fosse acerbamente punito, il rimorso del suo delitto mede- simo, tutto il gittò in una estrema costernazione e as- salito da una febbre violenta, ei si vide ben presto vicino al suo termine e in queir ora suprema, ei vide la serie t\i tutte le sue malvagità, vide tutto l'orrore dell" ultimo tradimento; e, tocco da pentimento, fatti a chiamare Elvira ed Emanuele, con le lagrime agli occhi cosi lor disse: Elvira, che mia sposa non oso più nominare, io conosco tutte le atroci ') offese che vi ho fatto. Quanta virtù nel più barbaro modo ho io per- seguitata ed oppressa, e per quanto tempo! Ah, il cielo, il cielo alfine, ha avuto pietà di voi; esso alfine vi toglie ad un uomo che troppo renduto si era di voi indegno. Se le mie vaste fortune possono compensare in qualche parte i torli che vi ho fatto, io tutte ve le abbandono. Ma a ciò che lor manca, supplirà un dono più prezioso. Emanuele! Lavila, che generosamente voi avete cer- calo di conservarmi, or piace al cielo di togliermi. Io lo ringrazio, che troppo in orrore io sarei stalo a me

^) Atroci Qraufom.

158 NOVELLA XXXI.

medesimo sopravvivendo al mio misfatto. Voi solo era- vate dégno d'Elvira, io ve l'ho iniquamente rapita, or ve la rendo. Fatela voi cosi lieta e felice, com' io l'ho fatta infelice sinora. Una sola grazia oso chiedere ad amendue, ed è che, dimentichi di quanto ho fatto fm qui, serbiate la memoria di questo solo momento, e questa memoria non sia da voi abborrita. Abbraccia- temi in segno del vostro perdono per l' ultima volta : io muojo contento. Cosi spirò tra le loro braccia, bagnato ancora del loro pianto; ma portò seco il rammarico *) d'avere, pel suo orgoglio e la sua crudelià, così indeg- namente disonorata la sua vita.

NOVELLA XXXL Ili FRATBIiliO QEMeROISO.

Wia' un raro esempio di fraterna amorevolezza ^) ab- biamo noi riportato nella novella de' Due. Fratelli. Un secondo ci è avvenuto d' incontrare recentemente ; e benché a quello di molto si rassomigli, non vogliam tuttavia lasciare di riferirlo. L'amor tra' fratelli, che ispi- rato dalla natura medesima esser dovrebbe universale e 6i vivo, si vede spesso illanguidir ^) a poco a poco ed estinguersi; e talvolta ancora con sommo scandalo quei che fra loro son più congiunti di sangue, si veggono di- venii-e lun contro l'altro i più fieri e più arrabbiati ne- mici. Molte son le cagioni che traggono *) gli uomini a rompere, e in si vituperevoli) maniera, i più sacri vincoli della natura ; ma 1' interesse è quello che più sovente a ciò gli spinge ^). Un idolo troppo caro di lui si formano gli

*) Rammarico ®tam. ^) Amorevolezza fiicBe. ^) Illanguidir ermatten. *) Traggono ucrtciten. ^) vituperevole fd^ànUic^. ^) Spinge hmtQt, i\t)iuqt.

IL IR ATELLO GENEROSO. 15#

uomini, e a lui ogni cosa iniquamente corrono a sacri- ficare. Possan gli esempi di generosità, che andiamo narrando, eccilare una nobile emulazione, e fornirci spesso il piacere di ricordare delle azioni egualmente magnanime e gloriose !

Era gi'd lungo tempo che Alberto Gualtieri inutil- mente avea messo in opera ogni mezzo per richiamare *) FeiTante, suo figlio, da' vizi a' quali abbandonavasi, e ridurlo sul buon sentiero dal quale si era SA'iato. Le aff'ettuose ammonizioni più non avevano alcuna forza ; le riprensioni e le minacce *) non erano ascoltate, i castighi Io irritavano; il misero padre, più non sapendo a qual parlilo tenersi, avealo fatto chiudere in una torre, e star dentro più mesi, ma non ne era us- cito che più caparbio e più sfrontato ^).

Stanco di più sofferirlo, un giórno che ebbe questi r ardire di volgersi contro ii padre medesimo, e con arroganti parole oltraggiarlo, deliberò di cacciarlo im- mantinente di casa: e, fornitolo di una piccola por- zione de' suoi beni , privarlo di tutti gli altri, lasciarne intero erede il secondo figlio, chiamato Arrigo, il quale, per indole *) e per costumi, tanto eragli di sod- disfazione e di conforto, quanto di sdegno e di ramma- rico gli era il primo.

Ferrante a si grave punizione non solo per niun modo non si mostrò corretto , sbigottito ^), ma anzi, sconsigliato com' era,- lieto si tenne di potere liberamente, e, senza chi lo rimbrottasse ^) , far paghi lutti i suoi vizi, e soddisfare '^) appieno il suo mal ta- lento. Ma a poco a poco mancandogli que' sussidj che

^) Richiamare abbringen, ^) Riprensioui minacce ^ttmie, 3>ro^urg 3) Caparbio sfrontato ^aléflórrig, fted^. •) Indole @emùt^. S) Sbigottito bc|ìùrjt. 6) Rim- biottasse »oriDcrf€n, au«f(^clten. ''') Soddisfare il suo mal. talento fciwm bókn ■i&ange nac^geben.

160 NOVELLA XXXI.

il padre avevagli accordato, e eli' egli affrettato isi era a dissipare, vedendo la povertà ed il bisogno a gran passi innollrarsi, incominciò ad entrare in stesso e a pentirsi della sua passata condotta. Venneglì allora più volte all' animo di ritornare dal padre , e , giran- dosi ai piedi suoi, implorarne il perdono. Mala ver- gogna da un canto, e dall' altra il timore di essere ri- gettato lo riteneva ; e mentre ei viveva in questa dubbi^età di consigli ^), la morte, che il padre gli ^olse improvvisa- mente, troncò ogni cosa"), e il lasciò nel dolóre di una quasi totale indigenza.

Non avendo allora più altro partito, ei si die di proposito ad un tenore di vita ^) assai diverso : e, la- sciata ogni pratica *) ed ogni vizio, incominciò ad occuparsi seriamente, e con l'industria sua e con le sue fatiche a procacciarsi quel tanto che dalla perduta eredità più non poteva aspettare. Non fu degli ultimi Arrigo ad avvedersi di questo cambiamento felice- » come virtuoso egli era e di cuore ben fatto , e assai più amareggiato lo aveano i disordini del fratello, di quello apprezzasse l' eredità per essi acquistata, del. ravvedimento ®) di lui fu il più lieto uomo del mondo Come però il pentimento prodotto dalla necessità, ove questa venga a cessar troppo presto, suol bene spesso con lei finire e dimenticarsi, cosi egli deliberò di la- sciarlo a quella per alcun tempo , onde il suo nuovo proponimento ^) fosse più- fermo, ed egli avesse pur campo di sperimentare con 1' uso quanto una vita savia e costumata sia per medesima da preferire ad una sregolata e licenziosa. Allorché parvegli di esserne as- sicurato abbastanza, senza dir nulla a chi che fosse,

*) Dubbietà di consigli atat^tojigleit. ^) Troncò ogni cosa J^i^fc^tug ober yercitclte Sltteé. ^) Tenore di vita SeBenétoanbel. *) Pratica - fc^lcd&ter Umgang. ^) Ravvedi- mento — dìtwi, ^) Proponiraento SJorfa^,

IL FRATELLO GENEROSO. 161

prese il testamento paterno, e, compiegatolo *) a un suo viglietto, glielo trasmise, così scrivendogli :

5.MÌ0 caro Ferrante: Io vi rimetto le carte con cui nostro padre mi ha fatto erede di tutti i suoi beni. S' egli vivesse tuttora, io so che adesso ben altrimenti ne disporrebbe. E" gli ha tolti a ciò che voi foste ^) io godo di renderli a ciò che or siete. Gradite un atto di giustizia e di dovere che di buon cuore adempio verso di voi. Vostro fratello Arrigo."

Era il di primo dell' anno quando Ferrante si vide recare questo viglietto accompagnato da un siffato pre- .sente, che certo non avrebbe potuto mai aspettarsi. L' espressioni amorevoli del fratello altamente 1' intene- rirono, la rara generosità lo sorprese : ma non volendo tuttavia essere da meno, abusarne, rimandandogli il testamento, così rispose: Degno e incomparabil fratello : La vostra generosità troppo giustifica le dis- posizioni di nostro padre. Io ve le rimando, che niuno potea meglio di voi merilarle. Quando poco ho apprez- zato i suoi saggi consigli quando ei vivea , altrettanto io debbo onorare la sua memoria e rispettare gli < Mremi di lui voleri. L' aver ricuperato l'amor vostro, e la vostra stima olbliga ^) abbastanza la riconoscenza di vostro fratello Ferrante.

Arrigo, avuta questa risposta, corse da lui imman- tinente, e abbracciandolo : La troppo cara e rispettabii memoria di nostro padre non meglio, disse, può ono- rarsi che. distruggendo, come farebbe egli stesso, un alto, il quale se giusto potè sembrare una volta, ora sarebbe ingiustissimo. Nel sacro nome adunque di lui medesimo io lo abolisco per sempre, e voi rientrate in

*) Compiegatolo c3 bcigefiigt, teigefc^Ioffen. ^) E' gli ha tolti a ciò che voi foste cr Ijat [ie eud^ ivcggenommen iti ^nUtxQ^i bcfjTcn, it>a6 i^r toarb. ^) Obbliga xxrHnbfn, »ers Binblicf) ma^en.

Soave, Novelle. 1 1

162 NOVELLA XXXn.

que' diritti che dato vi ha la natura, e che la virtù vo- stra v' ha racquistati. Ciò detto , senza aspettarne pur replica, da lui staccandosi, e corso al fuoco, diede alle fiamme il testamento e l' incenerì.

Un tenero contrasto d' affetti e di generosi senti- menti qui nacque tra i due fratelli, negando l'uno di ripigliare ciò a cui diceva d' aver perduto ogni diritto, e r altro di ritenere ciò che affermava non essere più a lui dovuto. Alla fine Arrigo la vinse ^), volendo ad ogni patto che almeno egualmente ambedue de' paterni Leni godessero, lasciandoli fra se indivisi; e, ciò da Ferrante accettato , cosi poi vissero sempre fra loro congiunti, che fratelli mai non si videro più amore- voli, né più concordemente contenti.

NOVELLA XXXÌI.

Iti CAmiBIO AVVENTURATO ^h

Jiudossio e Leonzio nati erano amendue di mediocri fortune, ma per virtù e per senno amendue di lunga mano su i loro eguali si distinguevano ^). Aveano in- sieme compiuto il corso de' loro studi; e contratta fin dai primi anni un intima dimestichezza, la qual durò fino air ultimo dei loro giorni; non tolse questa però*) che amendue ad un diverso tenor di vita non s' appi- gliassero, prendendo ognun quella via a cui dal genio e dalla natura sentiasi invitato. Eudossio, d' animo intn prendente , attivo , pronto , avveduto , e qual richiede a grandi affari, si diede agi' impieghi politici; e con sua destrezza e co' meriti suoi avanzandosi di grado

e

1

*) La vinse fe^te e$ bmdi). 2) \[ cambio avventurato bet g(ù(fncl&c^aufi&. i^) Di lunga mano si distinguevano jtc if)aten ftc^ M mìUm ^evijor, ttekn n. *) IVon tolse però Btnberte et5 abn ni^i.

IL CAMBIO AVVENTURATO. 163

grado, giunse col tempo a grandi onori ed a vaste for- tune. Leonzio, di animo più pacato e tranquillo, alieno da' tumulti e dalle brighe , e contento della sua libera mediocrità , tutto intero applicossi alla quieta coltura delle scienze, nelle quali fece si alti progressi, che uno de' più dotti nomini dell' età sua fu riputato.

Amici sempre ed intrinsechi *) al pari, sebbene di occupasùoni fra loro e di grado cosi disgiunti, amendue vissero fin oltre agli anni quaranta senza le- garsi ad alcuna donna. Giunti che furono a quella età, di concerto deliberarono di ammogliarsi; e comeEudos- sio già era stanco de' lunghi affari e degli strepiti della corte, e del tumulto <!elle città pur noiato da lungo tempo era Leonzio , insieme determinarono di ricove- rarsi fra la quiete ed il silenzio delle campagne , e quivi in seno all' amicizia, non più disgiunti da cosa alcuna, passar lietamente ciò che restava del viver loro» Eudossio con le sue ampie dovizie in luogo ameno e ridente si comperò un ricco feudo; e presso a lui un piccol podere pure acquistossi Leonzio, che con le sue cure poi seppe rendere di maggior prezzo, e colà amendue con le lor donne tranquillamente si ritirarono.

Avvenne che queste pressoché al tempo medesimo si trovarono vicine al parto ; e quella di Eudossio diede alla luce un bel maschio , quella di Leonzio una bellis- sima figlia, di che amendue contenti furono oltre ogni credere, e lieta festa ne fecero concordemente. Ma il loro giubilo venne ben presto a turbarsi ; che sorpresa la moglie di Leonzio pochi (fi dopo il parto da male violentissimo, nel più bel fioro degli anni miseramente fu dalla morte rapita. Il dolor di Leonzio a questa per- dita per lungo tempo fu inconsolabile , e senza i con- forti e le tenere cure e le amorose «ollecitudini, onde

^) Intrinseco ttertraut.

II*

164 NOVELLA XXXIL

Eudossio prendeva parte al suo rammarico e seco stu- diavasi di dividerlo, ei non avrebbe potuto si lunga- mente r acerbità comportarne, che non venisse a soc- combere. Sostenuto dalle premure amorevoli dell' amico, ei cominciò poco a poco a temperare il suo cordoglio; ma un molesto pensiero tuttora Io affliggeva , che mal sapeva, essendo egli uomo, e solo , come potere alla figlia sua, allor che fosse cresciuta, dare siffatta edu- cazione, che non pur saggia, ma ancor leggiadra e manierosa giovane divenisse, e ben esperta di tutto ciò che a gentildonna è conveniente.

Un di che stava con Eudossio intertenendosi *) con quella intrinsichezza che un'antica amicizia suol ispi- rare *), ei venne manifestandogli questa spina ^) che il cuor gli pungeva, e si fece a pregarlo che volesse alla donna sua raccomandar la bambina, affinchè, quando venuto ne fosse il tempo, sotto alla sua cura si conten- tasse di prenderla, e seco medesima cortesemente alle- varla. Eudossio promise tosto che fatto avrebbelo vo- lentieri. Ma un compenso, gli disse , da voi pur anchj io bramerei. Questo figlio, che il ciel m'ha dato, iP vorrei pure che degno un giorno si dimostrasse della fortuna in cui debbo lasciarlo, e che buon uso sapesse farne. Ma avvezzo finora al rumor della corte ed al tumulto degli affari, niun pensiero io ho potuto dar mai a ciò che meglio per una saggia educazione conven- gasi, ne abbastanza per me medesimo saprei condurli Oltre a questo, io temo ancora che se il figlio mi giugne per tempo a conoscere il ricco stato in ci debbe trovarsi, fatto di ciò orgoglioso, a tanti ali non si assomigli, i quali credono che ninna cultui d'animo, e ninna sorta di proprio merito sia neces- saria a chi è nato di ampie fortune , e che le richezze

*) Interteuersi fi^ unUxf)(xiUn. ^) Ispirare cin» ftófien. ») Spina S)orn, (Stac^el.

IL CA^fBIO AVVENTURATO. J6ft

suppliscano per tutto quanto. Io vorrei dunque ch'egli ignorasse per lungo tempo la propria condizione; e poiché, d' altra parte, migliore educatore io non potrei sperare , ottenere che voi medesimo , io brame- rei, mentre teneri sono tuttora amendue ed ignoti a «tessiy che un cambio tra noi facessimo de' nostri figli, e voi, il mio prendendovi, la vostra figlia a me lasciaste, e cosi amendue gli allevassimo come se fossero nostri propri.

Con lieto animo accettò Leonzio il partito, e pronto «i offerì ad impiegare ogni cura onde "il figlio di Eu- dossio tal divenisse qual egli il desiderava. Resta sol- tanto, diss' egli, che questo cambio alla vostra donna pur non dispiaccia, e che ella sostenga di vedersi stac- cato ^) il suo figlio. Io prendo, rispose Eudossio, sopra me stesso il carico di far eh' ella pure ne siai contenta. E come ella era savissima donna, cosi non fu punto difficile *) il persuaderla , tanto più eh' ella ben sapea a chi il figlio suo raccom^andavasi, e che stando essi d' abitazione l' un' all' altro vicini , poteva agevol- mente col figlio intertenersi ogni qual volta l'avesse desiderato.

Ciò adunque tra lor fermato , tardar non vollero a metterlo ad effetto: e fatto il cambio, ciascun di loro pel figlio che aveasi adottato prese forte amore e si tenera cura, che ninno avrebbe potuto non che avve- dersi, ma neppur mai sospettare che vero padre ciascun non fosse di quello che allevava. I due bambini pur- anche , a mano a mano che venner crescendo, d' egual amore e di egual tenerezza a" supposti lor genitori si corrisposero, e così bene degli ottimi ammaestramenti approfittarono, ne' quali furono educati, che la gioia divennero e la delizia di tutti insieme.

*) Staccato gctrennt. —*) Punto difificile ^at nic^tfc^\oer.

166 NOVELLA XXXII.

Il giovin Flavio soprattutto , figlio credendosi 'dì Leonzio, e veggendo le tenui sostanze che questi aveva, comprese che nel suo studio soltanto e nella sua in- dustria ogni sua speranza potea riporre ; e desideroso, per altra parte, di presto mettersi in grado di compen- sare coir opera sua e coi suoi acquisti le cure amorose d'un buon padre, si die con tanta applicazione a tutto ciò che questi venne insegnandogli, che in breve tempo in ogni genere di dottrina fu profondissimo , e superando la sua età di gran lunga, fu qual prodigio ammirato da tutti quelli che il conoscevano.

Intanto come frequentemente egli usava in casa di Eudossìo, veggendo quivi la giovane che avea questi adottato, e che ogni più pregevole diveniva per bellezza e per grazie , e per ogni maniera di onesto costume, ei nepres« insensibilmente un amore arden- tissimo. Di non minore eziandio per lui s' accese la giovane; ma non osando 1' uno pur lusingarsi che una donzella, erede unica d' un patrimonio vastissimo , po- tesse mai esser data a lui , che era (ìi così scarse for- tune, 6 non sofferendo all' altra pur V animo di pensar cosa che ai suoi parenti spiacer potesse , ardevano se- gretamente amendue, senza aver cuore di palesarsi r amore che si portavano.

Mentre erano essi in tale stato, Eudossio, il qual vedeva suo figlio già essere divenuto il più savio e va- loroso giovane che mai poi esse bramare, impaziente di richiamarlo a stesso e manifestargli l'origin sua, rendute a Leonzio le grazie più vive, il pregò a voler- glielo ritornare. Questi, che già 1" amava come suo proprio figlio, provò grandissima pena a doversi da lui dividere, e togliere a medesimo una dolce illu- sione. Pur convenend ogli cedere, chiamato il giovane in disparte, gli ordinò che ad Eudossio andar dovesse, che di gravissimo affare avea seco a trattenersi : e non

IL CABIBIO AVVENTURATO. 16»

potendo di più aggiugnere per le lagrime che gli so- pravvennero, baciatolo più volte teneramente , e con isforzo da lui staccatosi, licenziandolo, si ritirò.

Sorpreso il giovane a questo pianto e agli atti di tenerezza insieme e di dolore , di cui non sapea com- prendere la cagione, agitato da mille dubbi e da mille diversi pensieri, ad Eudossio si fece innanzi. Il trasporto di giubilo e di amore, con cui Eudossio corso tosto ad abbracciarlo , incominciò a dargli animo ; ma troppo lungi essendo egli tuttora dal sospettare che questi po- tesse a lui esser padre, allorché inteselo di sua bocca, e udì il cambio che con Leonzio egli avea fatto, rimase estatico e. quasi interamente fuor di stesso. Tornato a medesimo, ei cadde a' piedi di Eudossio, e tene- ramente abbracciandoli. Gli atti di dolce amorevolezza, che voi m'avete cotante volte mostrato, ben, disse, avrebbero potuto indurmi sospetto di quello che or vi degnate di palesarmi : ma chi avrebbe potuto creder giammai che la tenera cura, che di me avea Leonzio, altro esser potesse che effetto d'amor paterno? Qual padre mai altrettanto si vide fare per un suo figlio? Io godo adunque, o signore, di riconoscere in voi quello a cui debbo questa mia vita , che oggimai sarà tutta vostra, ma veri dovete pur comportare ch'io segua, qual altro padre, a riguardare colui, al quale tenuto io sono di tanto. Delle fatiche che egli ha soiferto e delle sollecitudini che ha usato nell' allevarmi io gli debbo aver gratitudine infin che viva : s' io vivessi mill' anni, credo che mai potrei giugnere a compensarlo abbastanza. Un piccol compenso però, o padre, voi gli potreste pur dare, che il colmo porrebbe insieme alla mia felicità. Isabella, che voi avete finor tenuta in luogo di figlia, è gran tempo che con la sua bellezza e più con le dolci maniere, di che a voi e alla madre mia è debitrice, mi ha acceso del più vivo amore che in alcun

168 NOVELLA XXXII.

giovane ardesse mai; ma non osando io aspirare alle sue nozze, che di troppo a me credevala superiore , io mi son contentato di adorarla in mio cuore segreta- mente senza giammai palesarmi. Or quando voi nella figlia voleste il padre ricompensare, io vorrei pregarvi a scoprirle l' affetto mio, e fare che, a me stringendosi, a parte resti tuttora dei vostri beni, e che amendue per questo modo di voi e di Leonzio seguiam tuttora ad esser figli.

Eudossio a queste parole con vie più vivo trasporto di gioia riabbracciandolo : Ah figlio, disse, che la mia dolce speranza fmor sei stato , e che ora sei la mia piena felicità, questi tuoi sentimenti di grato animo quanto maggiormente a me dimostrano la tua virtù, e quanto mi danno a conoscere ciò eh' io debbo a Leonzio d'averti fatto qual ti palesi! Se la virtù di quell'uomo incomparabile altro premio potesse desiderare fuori di quello che suol portare con se medesima, cioè la dolce soddisfazione di aver bene operato, certamente non vi ha cosa che io per lui non facessi; ma oggimai di tutti ì miei beni ei potrà meco disporre a suo talento. Ri- spetto alla figlia sua, che qual mia propria io m'ho fmor riguardata, non tanto a lui, quanto a me medesimo tu fai la più cara e più dolce cosa del mondo chiedendo di essere a lei congiunto. Il più vivo desiderio di me, non meno che di tua madre, hai tu con ciò prevenuto. Ma questa pure è oggimai impaziente di abbracciarti : andiamo^ che tal conforto non è a lei' da tardarsi più lungamente.

La madre , cui mille anni pareva ogni momento, al primo vederlo ebbe a struggersi di tenerezza e di gioia, e saziar non potevasi di abbraciarlo e di baciarlo. Più crebbe ancora la contentezza, quand'ella udi che il figlio suo riacquistando, perduto non avrebbe tutta- via Isabella, cui sotto altro titolo più non sapea ri-

NOVELLA XXXUI. IL FALLIMENTO. 169

guardare che come un'altra sua figlia. Questa da lei istruita di lutto ciò ch'era occorso, benché sorpresa e attonita in sulle prime si rimanesse, lieta poi venne oltremodo all'in'endere che la fortuna, tutto serbandole ciò che si dolce le era stato fino a queir ora , un padre si rispettabile ed uno sposo si caro pur le donava. E chiamato Leonzio, che pieno di tenerezza sen corse ad abbracciar la sua figha, e fatte le nozze col più vivo giubilo di tutti insieme , altro più non formarono che una sola famiglia , in cui Y amicizia , e l' amore scam- bievole non meno sacri legami e men preziosi divennero, che fosser quelli del sangue.

NOVELLA XXXin. Ili FAIilillflEIITO.

Avvien talora che uomini spensierati *) e di mala fede, avviluppandosi in intralciati negozi ') che atti non sono a sostenere, o sfoggiando un lusso ^) superiore alle loro forze, vengonsi caricando di debiti eccessivi, e finiscon per ultimo a tradire i lor creditori con un vitu- perevole fallimento. A costoro ninna compassione è do- vuta, e severamente avrebbesi contro di essi, e per «sempio altrui, ad esercitare tutto il rigore delle leggi. Ma avviene pure talvolta che uomini saggi ed onesti, per a\^'ersi accidenti, che l'umana industria non può riparare , condotti si trovino alla stessa sciagura : e questi d'ogni pietà cer amente son meritevoli. Degni sarebbono essi ancora che anime generose ai ritro- vassero, le quali, accorrendo a tempo in lor soccorso,

*) Spensierati fal^rtàffig. ^) Avviluppandosi in intral- ciati negocj _ ftc^ in »crtt)i(fcUen ®ef(^àftett eintoffen. ') Sfoggiando un lusso 9(uftt)anb matì^en.

190 NOVELLA XXXIII.

ne prevenissero l'infortunio; ma di atti si grandi son troppo rari gli esempi. Uno poro l'Inghillerra ce n'ha offerto, non è gran tempo: e tanto più volentieri noi prendiamo a raccontarlo; quanto più merita (ìi essere commendato.

Era in Londra un negoziante , che , parcamente vivendo *) , e i suoi affari reggendo con cura attenta e indefessa 5 discreto altronde ne' prezzi, onestissimo ne' contratti 5 avea acquistata grandissima ripu! azione, e avvantaggiata di molto ^) la sua fortuna. Estendendo egli il suo commercio a misura che in lui crescevano ì fondi e le sostanze, arrivò ad aver ricco traffico non pure con varie parti dell' Europa, ma coli' America an- cora e coir Indie. Quand'ecco improvvisamente nel più bel fiore di sua fortuna si vide egli in procinto *) di perdere d' un tratto il frutto di tutte le sue passate fa- tiche. Una nave egli attendeva da lungo tempo carica di ricche merci. Un di gli giugne l'avviso che, assalita da furiosa tempesta *) , aveva questa rotto ad un sco- glio ^), e che salvatisi appena alcuni dei marinai, lutto il resto era ito a fondo *^). Avvicinavasi il termine de' pagamenti, e sprovvedulo trovandosi, sapendo in si grave perdita dove avere ricorso, ei credeasi già ro- vinato senza riparo.

Mentre era nel colmo dell'afflizione, il cassiere d'uno de' suoi creditori gli si presenta, e gli porge una lettera. Non dubitando che questa non fosse un' intimazione a dover prontamente soddisfare al suo de- bito, ei riguardava già questo momento come il prin- cipio della sua totale rovina. Apre quindi con man

^) Parcamente vivendo màpig leben. ^) Avvan- taggiata di molto etc. l'ebeutenb feinc Sage gcbefìfect. *) In procinto ~ in ber ^uc^jien ©efal^r. *) Assalita da furiosa tempèsta »om (Sturine angecjriffen. ^) Rotto ad uno sco- glio — an eine Mi)ppe gerfd^tagen. ^>lto a fondo— 311 ©rmibe gegangcn.

IL FALLIMENTO. 171

tremante la lettera, siccome uomo il qual portare si vegga la fatai sentenza di morte, e facendosi sforzo per leggerla, che appena il cuore gli reggeva, vi trova queste espressioni:

„Amico! So la disgrazia che vi è accaduta; ma come so altronde la vostra probità, attività e intelli- genza, ho risoluto di aiutarvi. Fatevi adunque coraggio. Al debito, che voi avete con me, adempirete ad altro tempo- Perchè frattanto possiate soddisfar prontamente a quei che avete con altri, il mio cassiere, che è il por- tatore della presente, vi rimetterà in contanti la somma di cinquemila lire sterline, ed egli ha pur ordine di pagare una lettera di cambio di egual somma, che voi mi addosserete ') quando vi aggrada ^). Gli è quanto ho potuto or fare di fretta, per timor che il soccorso non vi avesse a giugnere troppo tardi. Ma se questo non basta, ihfino a cinquantamila lire sterline voi po- tete sopra di me riposarvi '). Egli è ciò assai meno di quello che a voi si debbe; ed io rischierei questa somma pur di buon grado per salvare un uomo onesto come voi siete. Vostro servidore ed amico Gu- glielmo P."

Non ebbe pur tempo di giugnere al fine, che la sorpresa , il giubilo, la gratitudine , lo fecero uscire di se; e poiché si riebbe *), un dirotto pianto di gioia e di tenerezza fu il primo sfogo in che usci: vi furono benedizioni eh' ei non rendesse al suo magnanimo bene- fattore.

Era questi un ricco banchiere , che conoscendolo da lungo tempo, e avendo la sua onestà e la sua in- dustria ammirato più volle , ebbe compassione che un uom fatto avesse così ad esser giuoco della nemica

*) Addosserete htla^en. *) Quando vi aggrada toonn cuc^ bclicbt. -- ^) Riposarvi ouf mic^ oerlaffen. *j E poiché si riehbe imb ali cr gu fic^ fam.

193 NOVELLA XXX[V.

fortuna; e appena ebbe udita la sua sciagura, mos da generoso animo, deliberò incontanente di farsi egl suo riparo e sostegno *) contro all' imminente rovina

Il contante di fatto lasciatogli dal cassiere valse soddisfar con prontezza a' debiti più pressanti : la lettera di cambio servì a sostenere il suo credito , che ninno più dubitò non dovesse egli avere tuttora di molti fondi e di molte sostanze, se un banchiere così accorto, com' era Guglielmo P , una lettera rilevante ac- cettava da lui senza esitazione e senza contrasto.

Ordinate in tal modo le cose sue , il negoziante potè continuar lietamente il suo commercio, che il cielo felicitare pur volle per molte vie : e in pochi ann i non solamente ei fu in grado di reintegrare ^) appieno del suo credito il generoso banchiere, ma ebbe pure il contento di essergli utile in più incontri, e in più modi mostrargli la sua costante e tenera riconoscenza.

1

NOVELLA XXXIV.

Ma' I]v«ratit VDi^ri:.

J- ratto d' avidità di guadagno *) Tommaso Inkle, figlio di un mercatante di Londra, compiuta appena la fresca età di vent' anni, nulla temendo i pericoli di una lunga navigazione, deliberò d'imbarcarsi per T Indie Occi- dentali, e sull'Achille, che era presto a far vela a quella volla con un capitale affidatogli da suo padre, nel di 16 giugno del 1674 se ne parti. Il vascello, dopo assai lungo e penoso viaggio, scoperto alfin di lontano

*) Riparo, e sostegno èefd^ù^eu. ^) Reintegrare «ntfc^àbigcn, jurùcfbeja^lcn. 3) Tratto d' avidità di guadagno ^on ber ©ierigfcit be8 ©etoinneé fortgeriffen.

L' INGRATITODINE. , « 193

il continente dell' America, venne a dar fondo *) in un piccol seno , ove il capitano , che d' acqua e d' altre provisioni sentiva grave difetto, calato in mare lo schifo *) , ordinò ad alcuni de' suoi che a terra n' an- dassero a procacciarne. Mosso da curiosità di conoscere il paese, Tommaso Inkle n' usci con essi: ma inoltra- tisi tutti insieme entro terra soverchiamente, assaliti si videro d' improvviso da una banda di que' selvaggi, che, fattisi loro sopra, n' uccisero la più parte, e costretti gli altri a fuggire , così li dispersero, che pochi pote- rono sullo schifo al vascello restituirsi.

Il giovin Inkle nella confusione della fuga, cre- dendosi ognora d' aver la morte alle spalle, andò er- rando per lungo tempo ne' boschi, finché, salila un' al- tura ') che più delle altre inospita gli pareva, sfinito di forze, e tutto ansante, sovra alla terra prosteso si ab- bandonò. I più tristi pensieri l'occuparono, che ben ve- deva non poter altro in que' barbari luoghi avvenirgli, che di morir di fame, o fra l'unghie*) delle bestie feroci, 0 fra le mani di quei selvaggi più crudi ancor delle fiere. Menti'c abbattuto da queste immagini spa- ventevoli egli piangeva dirottamente, ode un romor tra le fronde, e di terrore balzando in piedi ^), e volto a fuggire ^), vede una giovine donna che a quella parte tranquillamente se ne veniva, e che dolcemente guar- dandolo gli fé' cenno di arrestarsi. Alquanto a ciò rin- corato, egli si getta a pie di lei supplichevole, e con le lagrime, e co' gesti '), come può meglio, la prega a volergli avere compassione, e trovar modo di salvarlo, lariko, che tal chiamavasi la giovin donna, benché

*) Venne a dar fondo (egte ftc^ t>ox Stnf^r. ^) Schifo

53oot. 3) Salita un' altura auf cine ^nf)ói)t gclìiegen. *) L'unghie Jllauen. ^) Balzando in piedi auffpringen.

6) E volto a fuggire unb im SScgtifc, btc ^tnà)t 311 ìxqxìU fen. ') Gesti ~ ©ehtte.

l»4 NOVELLA XXXIV.

selvaggia , pure sortito dalla natura aveva pietoso ani- mo *), e mossa per una parte dall' avvenenza del gio- vine, e intenerita per 1' altra dalle preghiere di lui, amorosamente rilevandolo ^), il condusse ad una sua grotta, e quivi fattolo trattenere, ella per breve tempo «i dilungò ®), poi tornando, gli recò varie frutta di que' contorni, ond' egli si ristorasse *), e Io scortò ^) ad un vicin fonte, onde potesse trarsi la sete.

Parve all' Inglese giovane di rivivere, e con mille atti le espresse la sua viva riconoscenza, di che la giovin selvaggia sempre più tocca, l'assicurò che ogni timor deponesse, che ella avrebbe presa di lui ogni cura, ne alcun male mai gli sarebbe avvenuto. Ella passava di fatto il più del tempo con lui, e di tutto quello che al vitto gli bisognava il forniva ampiamente, e in sua guardia vegliava mentre ei dormiasi, e tutta quella sollecitudine ne prendeva che avrebbe potuto fare per un fratello o per qual che siasi più stretta- mente congiunto.

Il giovin Inkle, con lei trattenendosi, incominciò a poco a poco a comprenderne il linguaggio, e a farsi da lei intendere ; e or d' una cosa interrogandola, ora d' un' altra, giunse in non molto tempo a pigliar cogni- zioni di quei luoghi , e delle genti che colà erano , e delle cose migliori onde il paese abbondava. Desideroso mostrandosi di pur vedere alcuno di quei prodotti, egli si fece a pregarla di voler alcuno recargliene, di che lariko volonterosa la soddisfece: e come preso forte- mente il mirava da questi doni, e vago d' averne tuttor di nuovi, ella, che compiacevasi di contentarlo, con qualche nuovo presente ogni giorno a lui sen veniva,

*) Sortito avea dalla natura pietoso animo 'oon (Watur ùui mitkìH^oU. 2) Rilevandolo tf;n empoxì)iUn. ») Di- lungò — entfctnte fld^. *) Ristorarsi ftc^ crf^olcrt. 5) Scortò geteitete.

L' INGRATITUDINE. 19 Ò

e quando un pezzo d' argento, e quando uno d'oro, e talor ricche gemme , e spesso vaghissime piume di quegli uccelli, e morbidissime pelli di quegli animali venivagli apportando.

Per questa guisa Tommaso Inkle in poco tempo si vide richissimo, e già in suo cuor cominciava a rin- graziar la fortuna che a si buon fine rivolto avesse la ^ua sciagura medesima. Solo restava di trovar modo onde potere di partirsi: era ciò da sperare se non col mezzo di qualche nave europea che si acco- stasse a quelle spiagge. Ma troppo ei prevedeva che a lariko sarebbe stato discaro *) il lasciarlo da allon- tanare, né facil cosa era il fuggire e imbarcarsi, allor- ché presentatasi fosse 1' occasione, senza che ella se ne avvedesse. Ei prese adunque consiglio d' indurre lei stessa a volerlo seguire, e tante cose le venne di cendo dell' Europa e delle vaghe e magnifiche abi- tazioni in cui avrebbe quivf alloggiato ben assai meglio che in ruvide grotte o a cielo aperto, e delle vesti pom- pose con cui, in luogo di starsene mezza ignuda, avrebbe colà riparato alle ingiurie delle stagioni e alla sua bellezza aggiunto vezzo e decoro ^), e dei cibi e liquori squisiti che vi avrebbe gustato, ben più prege- voli che non fosse l' acqua eh' ella beveva, o le fruita silvestri di cui pascevasi, e dei sollazzi d' ogni maniera che vi avrebbe goduto, or veleggiando sul mare, ora volando sui cocchj, ora passando le notti in liete danze, o fra i suoni , e fra i canti , e fra i deliziosi conviti, che la giovine americana senti destarsi vaghezza di veder tutte si falle cose, e di seguitarlo. Senza di questo, 'puranche ella era già a lui si stretta d' affe- zione, che a qualunque parte del mondo sarebbe stata apparecchiata a correre con esso lui qualunque fortuna.

*) Discaro unlicB. ^) Alla sua bellezza aggiunto vezzo decoro i^re (Sc^ón^eit reijcnbcr unb toùrMger gemac^t.

1^6 NOVELLA XXXlV.

Stavansi dunque amendue ansiosamente aspettando che qualche nave il ciel mandasse in quelle parti, e e notte alternatamente vegliavano spiando in mare. Dopo assai tempo scoperta venne a lariko, che era di acutis- simo sguardo, alcuna cosa da lungi, e datone ad Inkle l'avviso, questi ben presto si avvide dover ciò essere un naviglio che con placido vento veniva solcando ^) queir onda ; e fatti i noti segnali, ottenne eh' ei s' ac- costasse : intantochè venuta la notte , sul palischermo, che gli fu a terra spedito, ei potè con la giovane donna e co' molti doni da lei avuti sicuramente imbarcarsi.

Non è a dire se lieto fosse V inglese giovane; ma lariko al dovere abbandonare la patria, che troppo è cara, qualunque siasi, a chi v' è nato, e i parenti suoi e gli amici per non mai più rivederli, sentissi un vivo dolore, che molte lagrime le trasse e molti sospiri, così presto sarebbesi consolata , se stati non fossero i conforti di Inkle, che luogo ormai le teneva e di pa- parenti e di patria e d' ogni cosa. Lei però infelice! che non sapea a qual tristo giovane ed ingrato si fosse abbandonata.

Il legno, che avealì in raccolti, era inglese, di

che il giovane fu assai contento, e con ricche merci e

con molti Negri comperati sulle coste della Guinea

viaggiava alla volta della Barbada, isola delle Antille,

singolarmente per zuccheri fertilissima, alla coltura de'

quali soglion que' miseri impiegarsi. AH' approdare che

colà fece il naviglio, fu tosto pieno di genti il porto, e

come d' ogni altra derrata ^), così de Negri spezialmente

si aperse tosto mercato; eterno vituperio dell'Europa,

che indegno traffico fa di quegli uomini sciagurati,

come di buoi e di pecore appena oserebbesi di far

altrove ! Vedendo il barbaro Inkle a quel tristo mercato

1) Solcando etc. Me SBfHen burt^f^ndóen. 2) Derrata ffluflici^e SBaore.

L' INGRATITUDINE. UJ

molti essere i compratori, e che a caro prezzo uomini e donne vendevansi, tratto dall' avarizia sua, e dimen- tico d' ogni senso di dovere, di gratitudine, d' umanità, allo stesso mercato come sua schiava espose scellera- tamente la sventurata lariko. Nulla valse alla misera il piangere e il disperarsi e il chiedergli pietà e mer- cede, e lo scongiurarlo che se in luogo di schiava voleva averla, almeno come tale presso di medesimo la te- nesse; nulla il ricordargli ciò che avea fatto per lui, e come campatolo dalle mani de' suoi, che pronti r avrebìjono traito a morte, e come sostenuta per tanto tempo a lui la vita, provvedendolo di ogni cosa con le sue cure, e come arricchito di tanti doni, e come per lui, per lui solo è parenti , e patria , e quanto le era più caro ella avesse abbandonato; nulla il disfogarsi in amare invettive *), e il chiamarlo ingrato e perfido e inumano, e caricarlo di mille esecrazioni, e il cielo chiedere in testimonio e vendicatore di tanta scellera- tezza : egli più crudo di qual mai fosse più cruda fiera, sordo ad ogni di lei più giusto rimprovero, o più amaro lamento o più tenera e affettuosa preghiera; e in ciò contento che lo straniero di lei linguaggio non era per altri inteso, ad altri palese esser poteva la sua mal- vagità, vendutala a un mercatante, ed avutone il prezzo, senza neppur riguardarla, si diparti.

L' infelice lariko assai .'più morta che viva se ne rimase; e dal suo non men barbaro compratore, che nulla al pianto di lei si mosse, condotta a casa , o tratta piuttosto e strascinata, tra pel dolore che la struggeva, e la dura vita che fu costretta a menare, e r enormi fatiche di che veniva aggravata (che dispo- gliati di ogni senso d' umanità colà un tempo solevano

^) Disfogarsi in amare invettive —jl(^ in bittercn SSomurfen crgicpcn.

Soave, Novelle. l '^

jy© NOVELLA XXXIV.

gli Europei, ne l' iniquo costume è del tutto cessato ancora, così trattare que" miseri, come se bestie fossero ed ancor peggio) in breve tempo consunta miseramente finì di vivere.

Frattanto Inkle col prezzo che aveva per lei avuto, e co' ricchi doni che le aveva carpito *), datosi a traf- ficar largamente, n' ebbe di molti vantaggi, e crescendo ognor più di richezze, la sua fortuna lodava, e la sua industria e il suo ingegno ; e se i rimorsi gli si desta- vano del suo delitto, il che avveniva spessissimo, alla sua presente prosperità rivolgendo il pensiero li sof- focava *).

Ma per tardare che faccia *), già non dimentica il cielo la gius (a punizione degli uomini scellerati. Ricco già divenuto oltremodo, ma non mai sazio per questo, anzi sempre più avido di arricchire, l' iniquo risovvenen- dosi del luogo, ove stato già era lungo tempo con r ingannata lariko , e dell' argento e dell' oro e delle gemme che quivi erano in larga copia, deliberò con altri di armare un vascello, e colà portarsi , e prender possesso di quei tesori. Sbarcato su quelle spiagge co suoi, s'inoltrò nel paese, e ben presto i selvaggi gli furono sopra ; ma essendo egli maggior di forze, riusci facilmente a dissiparli. Da ciò animato , andò più in- nanzi, e trovate due ricche miniere, dall' avidità euro- pea non ancor tocche, già cominciava ad eslrarne le preziose materie, quando i selvaggi, cresciuti a più doppi di numero, e d'armi meglio agguerriti, novella- mente^ lo assalirono, e uccisi molti de' suoi, lui vivo ebbero nelle mani. Tutta allor la vendelta del cielo sovra di lui si scoperse, e parve che quei selvaggi sa- pessero che all' ombra della tradila lariko il sangue di

*) Carpito eiiirilfcn. ^) Soifocare ettìirfen. 3) Per lardare che faccia ungeoc^tct ber SSergogerung.

NOVELLA XXXV. GUGLIELMO PENN. 199

lui si cLoveva : tormentosa carnificina ne fecero '), e al crudamente stracciato a brani sei divorarono ! Questa scena di orrore ah perchè spettatori d" intorno e testi- moni non ebbe tutti coloro, a cui la perfidia è un giuoco, e uno scherzo V ingratitudine !

novella xxxv. €ìugIìIk:i<:vio privx.

ir er ben diversa maniera in quelle infelici regioni, ove apersero gli Europei abbominevol teatro di crudeltà e di rapine, seppe condursi un altro Inglese, il cui nome nella memoria dei posteri viverà immortale. Guglielmo Penn, ottenuto da Carlo IL, re d' Inghilterra, il possesso di quella parte dell' America settentrionale, che Pensil- vania dal suo nome e dalle molte se\\c che v' erano fu poi chiamata, in vece di straziare ') que' miseri, com' altri fecero, altra cura non ebbe che di sollevarli, e con la sua umanità e cogli atti frequenti di sua bene- ficenza eterno oggetto divenne della loro aniniirazione e del loro amore.

In sul principio però la diffidenza in cui erano quelle genti e V inimicizia per lor giurata agli Europei furon cagione che molti contro lui pure si sollevassero, e che assalito da essi ferocemente, per sua difesa ci fosse costretto a prender l' armi. Avutane segnalata vittoria ') , e fatti molti prigioni , accadde eh' ei fii ve- desse fra- gli altri una bellissima giovane condurre innanzi. Piangeva quesla a dirotle lagrime *), la

^) Si tormentosa carnifìcina eie. [o quatooH lourbc tv jcrfìeifc^t, unb in Stùrfcn graufam jtrriffcn tìjurbc ev serfpeifet. 2) Straziare mortetn, mipl^anbcln. ^) Segnalata vittoria glòngenbtrr <BifQ. *; Piangeva a dirotte lagrime in ^^xàntn

12*

180 NOVELl.A XX XV.

perduta libertà solamente era a lei di rammarico , ma altra perdita ancor più grave la traffiggeva 0- Amava ella di tenero amore un giovane a lei pari di età e di bellezza, dal quale era amata pur egualmente. Il giorno delle lor nozze già era vicino, allorché i torbidi della guerra venuti erano a distornarle: ed or chiusa nei ferri, speranza alcuna più non aveva non che di unirsi con lui , ma neppure di mai più giugnere a rivederlo. Anzi ancora più acerbamente la tormentava il timore che vittima sotto all' armi nemiche caduto ei fosse, perochè troppo il coraggio di lui e 1" impeto conosceva, e ben sapea che non altrove sarebbe egli stato nella battaglia, che dove ardeva più fiera e più sanguinosa la mischia ^).

Guglielmo Penn , intenerito al suo pianto , con quella umanità e dolcezza, che era suo costume, cer- cava di consolarla : quand' ecco un giovane americano, tutto intriso di sangue ^) e armato d' asta e di frecce, colà venirne precipitoso *). Al primo giugnere accorre questi alla giovane prigioniera, che fra la stupore ^), la gioia e lo spavento, alza un grido , e cade tramor- tita nelle sue braccia. Ei confortandola la richiama a stessa- poi gettando a' piedi del vincitore le armi: Questo sangue, gli dice, e queste armi ben ti dimo- strano che non viltà mi ha qui condotto, fuga de' miei, catene che i tuoi mi abbian saputo imporre ^). Niuna cosa avrebbe potuto mai fare '^) eh' io vivo ca- dessi nelle tue mani, se questa donna Y iniqua fortuna

^) La traffiggeva f(^meqte jìe. ~ ^) Dove ardeva più fiera, e più sanguinosa la mischia \vo ber JTampf am l^ef(i(^fìcn unb groufamfìen entbrannte. ^) Inti-iso di sangue bfuttvie* f cnb. *) Armato d' asta , e di frecce colà venirne precipi toso mit San^e itnb ^feitcn beitjaffnet bort^in fìiiqen. ^) Stu- pore — f^auucn. ^) Impor catene ^itkn aniegen. ') Niuna cosa avrebbe potuto mai fare ec. nid^ti^ f;St(e uiid^ ^itingen fotinett; tu beine 2)^acf;t ju fatten, iyenn ti.

GUGLIELMO PENN. 181

non m' avesse oggi rapito, e mentre da lei lontano e av\'olto nel furore della battaglia *) io Aion potea di- fenderla, data non I' avesse in poter tuo. Or sappi che più delia libertà e della vita ella m' è cara, e che altro da lei non potrà mai disgiungermi fuorché la morte. Io non vengo però qui a chiedere che tu la renda a' voti miei: alta generosità non osiam noi sperare dalle genti feroci, che il ciel nemico a noi manda dal maro per nostra pena* Ma questo almeno la vostra crudeltà non saprà contrastarmi, eh" io divida le sue catene, e che vostro schiavo qui con lei mi rimanga.

Attonito ^) Guglielmo Penn alla intrepidezza ^j e alla magnanima risoluzione del giovane, abbracciandolo con paterna amorevolezza : Mal tu misuri *), o figlio, rispose, da ciò che tu hai udito o veduto forse d' al- cuni, V animo ed il costume di tutti gli Europei. Non a rapire le vostre spose, o i vostri beni, o a cac- ciarvi dai vostri lidi, o a farvi schiavi son io venuto, ma a chieder pace e amizia con voi. L' inimicizia e i vostri oltraggi ^) m'han solo costretto ad impugnare quest' armi *; e da voi stessi dipende il far che tosto io le deponga, solo che pace e alleanza vi piaccia con noi d" avere. Ou<''^la giovane intanto, che la vittoria ha posto in mia mano, ben volentieri io ti rendo, e tu con essa liberamente, quando t' aggrada, alle tue terre puoi ricondurti. Gli altri prigioni io renderò pur non meno, quando cessate io vegga dal canto vostro le scorrerie') e le stragi, e sicure le mie genti da' vostri insulti.

Tu genoroso a questo segno ! (gridò sorpreso il

giovane americano)... Ah, dunque un Dio tu sei, o

_ 0 A\ volto nel furor delia liattaglia mitteu in b^r J&i^e ber ^(S)la<S)t. 2) Attonito erfìount. 3) Intrepidezza Itncr* fc^rocfen^eit. *) Mal misuri ec. bu wergteic^fì f(^(cc^t, mit htm, toaé bu k ») Oltraggio (£(^mól;ung. ^) Impugnare quest' armi bie l^affcn frgrfìf<n. '') Scorrerie ®iv<U fertifn, ^lùnbfrungen.

183 NOVELLA XXXV.

d' altro sangue, che gì' inumani, i quali si sitibondi') si mostrano del nostro. Or bene, mirami ai piedi tuoi dalla tua magnanimità assai più vinto che non potrei essere dalle tue armi. Io volo fra i miei a mostrar loro questo inaspettato testimonio della tua virtù- e ben presto qui con la pace, se il tuo volere è sincoro, tu mi vedrai ritornare.

Guglielmo amorosamente riabbracciandolo : Più caro dono , gli disse , o figlio , tu non puoi farmi di questo. Vanne ; sia teco la sposa tua, e presto, e qwal io lo bramo, sia il tuo ritorno.

Ebbri di gioia ") , slringendo le sue ginocchia ^) teneramente, e bagnandole del lor pianto, partirono i due amanti, e giunti fra i loro compagni, tanto dissero della generosità di quest'uomo ammirabile, e della sua dolcezza, e de' suoi pacifici desiderj, che, persuasi gli animi di tutti quanti , a lui tosto spediti furono am- basciadori, e fra quesli il giovane valoroso, a terminare ogni contesa, e a stringere una perpetua pace, anzi pur fratellanza *) , che tale volle che fosse il magna- nimo vincitore , onde Filadelfia pur ordinò che la sua città si chiamasse ; quasi città di persone d'amor fra- terno tra lor congiun'e.

Ah possano gì' illustri concittadini e successori di queir nomo grande, or che hanno scosso con la loro fermezza e con l'armi il giogo ^) che altri tentavano di lor imporre ^), cosi aver sempre dinanzi agli occhi i sublimi esempi di lui, che la nuova repubblica da lor fondata, non meno per virtuoso costume che per valore e per sagacità d'ingegni, risplenda ognor gloriosa!

^) Sitibondo bitvtlig. ") Ebbri di gioj.» ^^^ceube» tiunfcii ^) Stringendo le sue ginocchia feiue ^nice unu faffen. *) Fratellanza ~ ^rùbertic^feit. ^) Scosso il giogo iiaé 3od^ abgciuorfen. ^) Imporre il giogo ad alcuna Sfiiianbeu imtec'^ ^oè) bfmgeti.

18S NOVELLA XXXVL liA PROBITÀ RI€09IP£!irS JlTA 0

Jttitoriiando un mercadante da una fiera , su la strada incontrò un bracqo di fiume *) , che necessariamente convenivagli attraversare ^). L' acqua non era gran fatto profonda *) , e a cavallo passare poteasi dall'una all' altra sponda, purché giunti alla metà del fiume si avesse l'attenzione di non tenersi troppo alla dritla, poiché trovavasi colà un profondo abisso, ove più di un viag- giatore perduto avea la vita. Avvisato il mercadante di tal periglio, più d'una volta Tavea schivato ^), ma nell'incontro ^), di cui ragiono, mancato avea di pre- cauzione, essendosi troppo avvicinato a quel precipizio ; sente all' improvviso inabissarsi '^) il cavallo, e mandar fuori un acuto nitrito ^). Un coltivatore, di non molto discosto , scorgendo il pericolo in cui trovavasi queir infelice , stacca incontanente un cavallo dall' ara- tro ^), avanzasi coraggiosamente verso quel precipizio, ed ha la buona sorte di afferrar il negoziante pel fer- raiuolo *^), e trarlo feliceniente a terra. Quanto al cavallo di colui al quale salvata si avea la vita , egli andò miseramente perduto, e il peso d' una valigia **), che portava, lo strascinò nell'imo dell'acque ^*).

Il conladino e la di lui famiglia molla fatica dura- rono a richiamare ai sensi l* ospite , quasi morto di

') La probità riconj])eiis.ila bie hdoffnit (S^rli(^feit. 2) Braccio di fiume ber 9lrm eineé gluffcé. ') Attraversare quer bur*fa^rfn. ♦) Gran fatto profonda aiff fcinen ^all fc^r ticf. ^) Schivato au^geiuic^cn. ^) Incontro (Sceignif»

'') Inabissarsi scrftnfni. ^) Mandar fuori un acuto nitrito ^ffliq tvif^ern. ^) Stacca un cavallo dall' aratro l>annf ein ^ferb som ^ffu^e ab. »") Afferrare il negoziante pel ferraiuoio ben jtaufmann bcim élantd anjupacfcn. ") Valigia ^etteifen. -- 12^ j^ strascinò nell'imo dell' aque

ri^ i^n in ben ?t&gcunb mit.

184 .NOVELLA XXXVI.

freddo e di raccapriccio. Ei rientrò finalmente in stesso, ma per abbandonarsi intieramente al dolore. Di tutti i benij che possedeva un quarto d'ora prima, altro più non gli rimaneva fuor della vita; e ciò che più l'affliggeva, erasi la perdita d'una borsa di cuoio '> che attaccata aveasi alla cintola ^j, e che racchiudeva gr^n quantità di diamanti e di perle. Egli era poco ve- risimile che perduta l'avesse nell'acqua, e per conse- guenza lutti i suoi dubbi ^) caddero sopra del suo li- beratore, il quale nel suo smarrimenlo *) poteva avergli levato d' addosso ^) quel prezioso tesoro. Il contadino, all' opposto, dal canto suo protestava di non aver co- gnizione alcuna di quella borsa ; e lo sgraziato nego- ziante , che fondato avea sopra di essa la speranza d'un vantaggioso commercio, vivamente sentiva F infe- licità della sua situazione.

Questi avrebbe potuto far chiamare il contadino in giudizio, e dar a quell' onesto uomo delle brighe assai serie, tanto tutte le apparenze erano a lui svantag- giose -, ma egli avea un' anima troppo generosa per dar peso a cosiffatta idea. Tu, mettendo in rischio la tua, a me salvala hai la vita , diceva egli al contadino ; ma tu mi chiudi l' adito a darti delle prove del grato micv animo. L' unico contrassegno ®) ch'io possa darti della mia gratitudine, si è di non querelarti '^) innanzi al tri- bunale del, furto da te commesso ; e astenendomi dal perseguitarti in giudizio, ti do un largo compenso delle piccole spese che ti ho cagionate. Ma da te richieda che mi dii un po' di danaro per passare alla più vicina città, ove troverò gente di mia conoscenza e soccorsi per vivere. Tu levarmi d'addosso non avresti dovuto

*) Borsa di cuoio (eberner 55eutcf. *') Attaccata alla cintola &n ben ©ùrici gcbunben. ^) Dubbi Sbixia(i)t. *) Smarrimento— £)§nmad^t. s) Levato d'addosso gè» fioì)Un. ^) contrassegno ®cn)ei^. ') Querelarti ce. V\à} onflcjgen.

I,A PROBITÀ RICOMPENSATA. ISS-

la borsa; essa sarebbe stata tua, e ciò che conteneva non avrebbe per avventura bastato per ricompensare il servigio a me reso : io ti debbo assai più di quello che potrò darti in verun tempo, benché mediante l'industria ed il lavoro possa sperare di ristabilire un giorno la mia fortuna.

Il povero contadino era inconsolabile per non po- ter provare la sua innocenza, poiché invant) l'affermava con le proteste e con le lagrime. Finalmente accomia- tossi *) r ospite suo , separandosi l' uno assai malcon- tento dell" altro.

Alcuni mesi dopo la partenza del mercante, il con- tadino volle letamare ^) il suo campo, e nell' evacuare una fossa piena di concime '), pender vide dalla forca*) una lunga borsa di cuoio : si pone tantosto ad esami- narla più d' appresso, e nell' aprirla vi ritrova le gioie, la cui perdita avea cotanto amareggiato il negoziante. Ma come mai trovossi colà quella borsa, mi si chiederà, senza dubbio? Ciò non é malagevole a spiegarsi, giacché, appena ritratto il mercante dal fiume , si avea preso cura di spogliarlo e di coricarlo su della paglia, * in tantoché gli si riscaldava un letto: la borsa, che|in quel momento di confusione restò inosservata , insieme con la paglia fu qualche tempo dopo gettata nel letamaio.

A quale partito doveva allora appigliarsi il conla- dino? Ove rinvenire il proprietario della borsa? Ei non sapeva il luogo in cui facesse soggiorno. Potuto avrebbe senza dubbio deporre quel tesoro nelle mani del magi- strato, o farne annunziare il ritrovamento ne' pubblici fogli. Ma colali mezzi, usati dall'onesta gente quando trovano cose preziose che non han diritto di possedere,

*) Accomiatossi naljm 9tbfc^itb. ^) t.etamare ; bùngen. ^) Evacuare una fossa piena di concime eiue ©rufcecoU Smunger rcinigen, auéUeren. *) Pender dalla forca ec. an b.r -^fUQabel ^óngen.

186 NOVELLA XXXVl.

non vennero in mente al nostro coltivatore. Verso il ritorno del tempo della fiera sovenle meltevasi a pas- seggiare snila strada maestra, e spesso vi mandava pure la moglie e i figli sulla speranza d' incontrare il nego- ziante. Due anni corsero primachè lor fosse fatto di riscontrarlo: ma mentre una sera il contadino con la sua famiglia frugalmente cenava si udi lo strepito d' una vettura che s' arrestava in faccia alla loro casuccia. Guarda dalla finestra il padre di famiglia , e scender vede parecchi uomini dalla carrozza viatoria *). Impalli- discono tosto di raccapriccio i due genitori, persuasi che fra quelli vi fosse il proprietario della borsa che colà giugnesse per loro nuocere : tutti qua e fuggono per nascondersi, ecceltuatone il padre, che con V offe- rire al negoziante.il suo tesoro, sperava di poter disar- mare il suo sdegno. Mentre era agitato da siffatla idea, il negoziante, seguito dai suoi compagni di viaggio, entra nella casa , si getta al collo del suo liberatore, assicurandolo che non gli sarebbe ridomandata la borsa. ,5A1 presente, soggiuns' egli, non conservo alcun dubbio sulla vostra onestà, per altro vengo qui se non per dimostrarvi cogli effetti la gratitudine deir animo mio. Fino ad ora non sono stato in grado di farlo, e quand' anche V avessi potuto , non avrei voluto a ciò discen- dere, fintantoché aveva de" sospetti contro di voi.

Sorpreso da siffatto discorso il contadino, gli chiede perchè avesse di lui [sospettato altre volte, e donde ve- niva ^) che lo giustificasse al presente. In tutti i viaggi da me fatti alla fiera ^) , ripigliò il mercatante , io ho segretamente spiato lo vostra condotta *), mi sono per- fino inoltrato nel vostro villaggio per informarmi sullo .stato de" vostri affari,, e per sapere se aveste per avven-

*) Carrozza viatoria JRctfewagen. *) E donde veniva unb ìDO^er cg fam, fea^ h. *) Fiera— Ttaxtt. *) Spiate la vostra condotta if;ren Sebcnéiwanbel au^gefpà^t.

LA PROBITÀ RICOMPENSATA. 18»

iura dilatato il vostro podere ^), o fatto qualche nuovo acquisto ; ma ullimamente ho saputo che , lungi dal vi- vere con più agiatezza '), la carestia delle due scorse annate ^) vi ha ridotto alla mendicità *), che avete ven- duto il vostro bestiame, e che non potendo pagare un debilo di cinquanta scudi, il vostro podere è sul punto d'esser esposto alla vendita. Io voglio, poiché il cielo m' ha favorito, pagare il debito vostro, e... Il conta- dino a questi delti versò delle lagrime, e senza far pa- rola entrò in un' altra camera, e un momento dopo con grande stupore degli astanti ritornò con la borsa in mano, e la posò sulla tavola. Che vuol ciò dire? es- clamarono essi. Tenete, replicò il contadino: voi vedrete che non vi manca nulla.

U mercadante aperse la borsa, e vi trovò tutto fino alla più piccola perla , fino al più minuto grano d" oro che vi avea riposto.

Il contadino allora gli racconta come erasi sniar- rita ^), e come ritrovata , confessandogli che , atteso il bisogno in cui Irovavasi, era slato sovente tentato di farne uso, ma piuttoslochè commettere una tale ingiu- stizia, avea preferito di soffrir la fame e vendere per- fino r ultima sua giumenta ®). Soggiunse che la Prov- videnza gli aveva sempre somministrato qualche risorsa pel mantenimento della sua famiglia: finalmente non mancò ili manifestare al mercatante quante volte erasi recato sulla strada maestra ') verso il tempo della fiera, sperando sempre d'imbattersi in lui ^). AH* udir

*) DUatato il Nostro podere i^r JBaucrngut tergrupert, auégfb^^nt, ^) J.iingi dal vivere con più agiatezza iccit fntfernt mit tne^r S3t\iuem(ic^fcit ^u Icbcii. 3) i.a carestia delie due scorse annate tnxif) ble Xf)tneviin^ ber jiuei »erfìrif()enen 3a^re. *) \ i ha ridotto alla mendicità fìnb an b»n ^-ììitkU fìab gcratf)cn, ^) Smarrita yerlor.n g^gangcn. ^) Giu- menta — Sajìt^icr. ') Strada maestra ^auptfìvape. **) FmJ»attersi in lui it>m ju bcgegnen.

188 NOVELLA XXXVII.

questi (ietti, le lagrime inondarono le guance al nego- ziante : in pria non volle ripigliarsi neppure la borsa ; poi dopo un momento di riflessione: ^Amico, tu hai ragione, disse al contadino : non conoscendo il valor coleste gioie, appena tu potresti ricavare , vendendole, il terzo della loro valuta : ma il miglior podere , che acquistar si possa in cotesto villaggio sarà per te." Pochi giorni dopo si presentò l'occasione d'un tale acquisto, e pagatolo, ne fece dono al conladino.

Or tutte le volte che quest'uomo riconoscente passa per quella campagna, non lascia di visitare il suo libe- ratore, facendo sempre qualche regaluccio alla di lui famiglia.

NOVELLA XXXVIL liA l§AC2GIA FAiVCIUIiliA.

Avea due fanciulli il signor di Mairan : un pressante afl'are l'obbligava insieme con la consorte ad allonta- narsi dalla sua patria. Prima di partire, l" uno e T altra, intenti al bene dei propri tìgli *), ^ìi affidarono ad una saggia direttrice , pregandola instantemenic che non li lasciasse uscir di casa se non sotto la di lei scorta, o sotto quella di Mad. d'Orvigny, loro zia. Il primo- genito di cotesti fanciulli, chiamato Ferrandino, era dell'età di ott'anni: Enrichetta, di lui sorella, avea un anno di meno, ma in saggezza lo superava d" assai. Quanto mi è molesta, diceva ella, la partenza dei miei genitori ! io non avrò più il piacere di far carezze ^) al padre mio, d' intertenermi con la cara genitrice ; ma nella lor assenza procurerò di far tanti progressi^ che saranno molto contenti in vedermi al loro ritorno.

') Intenti al bene dei propri figli imi- ciuf bné 3Cof;( ber cigencn Mintix hdai^i. ^) Far carezze f(^mci(^«In.

LA SAGGIA FANCIDLI.A. I 99

Per me , diceva il di lei fratello Ferrandino , io pro- curenò di divertirmi coi miei fantocci *) nel tempo che mancano i genitori, e spero che ritornando me ne por- teranno di nuovi, poiché quelli che tengo non mi piac- ciono molto, i>ono tali a servirmi di sollazzo per sempre *).

Madama d" Orvigny dovette per affari recarsi in una vicina città, e poco tempo dopo la direttrice de* fanciulli cadde ammalata. Ecco dunque quei ragazzini obbligati a restare in casa: ciò dispiaceva grandemente a Ferran- dino, il quale- dopo aver fatto molte corse nel giardino '), ritornava nel salone della casa, occupavasi alcuni mo- menti coi suoi giuocolini*): indi, annoiato di giuocare e di correre, sdraiavasi ^) su d'un sofà, sbadigliava, s' addormentava e risvegliavasi di cattivo umore. Ecco r impiego ^) eh' ei faceva della giornata.

Enrichetla faceva un uso tutto diverso del tempo, ed era sempre allegra. ,,Come fai tu per essere sempre contenta, le diceva un giorno il. fratello: io non ti ho mai veduta malinconica, fuorché al momento della par- tenza de' nostri genitori , e nel giorno che la direttrice nostra era angustiata da atrocissime doglie ? E tu, caro fratello, gli rispos" ella, tu sei rare volte di buon umore , e ciò mi pena : ma sai tu perche t' annoj ? Oh! la ragione chiara: io non ho quanti fan- tocci vorrei ^ e poi ti par nulla il non poter andare a passegiar fuori di casa? No, caro amico, la tua noia non deriva da ciò che tu dici, ma bensì dal non amare a leggere, a scrivere, a studiar la geogra- fia : un giorno ho voluto imitare il tuo modo di vivere,

^) Fantoccio— *iJm)pc. 2j S'è sono tali a senirmi di sol- lazzo per sempre ftnb nic^t ber 9trt, ba^ fìe mi(^ auf immer gu unter^alten scrmigen. «) Molte corse nel giardino »ictc ^^aiiergange im ®artcn. *) Giuocolini (SjJtelerei. ^) Sdraiavasi flrecEte ft(^ ^in. ^) Impiego QSccrfd^tung.

190 NOVELLA XXXVII.

non lessi una parola , non imparai nulla , non diedi un punto al mio lavoro ^), e la sera non mi pia-ceva niente affatto il mio fantoccio : non avea voglia ne di cantare, di giuocare, di andar correndo qua e per la casa, e la maestra mi disse che aveva l'aria sgarbata^), e che se mia madre mi avesse veduta, non avrebbe vo- luto nemmeno darmi un bacio. Un tal discorso mi fece molta pena, e all'indomani, svegliandomi, ho fatto il proposito ^) d'impiegar bene il tempo, perchè il con- tinuo divertirsi riesce noioso.'*

Madama d' Orvigny ritornò prima che la direttrice de' fanciulli fosse ristabilita, e con gran premura le dimandò come in sua assenza avevano i suoi nipoti adempiuto a' loro doveri. ,,Ah! madama, le disse, qual differenza fra questi due fanciulli! 8e voi aveste veduto le attenzioni, le inquietudini, che Enrichetta aveva per me, nel tempo eh' io era ammalata ! Ella non voleva uscir di casa affin di potermi prestare alcuni piccoli servigi: ella leggeva a canto del mio letto per solle- varmi, studiava, adempiva tutti i suoi doveri, senzachè alcuno fosse obbligato a farglieli sovvenire. Ferrandino,. air opposto, di rado veniva nella mia camera , e quelle poche volte che vi entrava, il suo principale oggetto si era di battere il tamburo, strascinar intorno il suo car- retto*), ed intronarmi r orecchio ^) a segno, che il mio male si faceva maggiore ; Enrichetta allora procurava di farlo andare a passeggiar nel giardino per lasciarmi tranquilla. „Madama d' Orvigny diede un' occhiata alla scrittura ^) e agli altri lavori di sua nipote, e ne restò

') Non diedi un punto al mio lavoro gar mé)t meine Qlxheit angcritf;rti cber in bie .^anb genommen. 2j L'aria sgar- bata — baf ìc^ io garfiig auéfcfje, ^) Ho fatto il proposito icJ; f}aU ben 33orfa^ g'^faf t. *) Strascinar intorno il suo caretta fein 30àgcl^eu ^crumfd^lep^en. ^) Intronarmi 1' orechio unb fo einen Sàrm anfcf^tagen, bajg ^) Diede un' occhiata alia scrittura tt)arf fincn ^licf aiif bie ©d^rift.

LA SAGGIA FANCIULLA. J91

contentissima. Volendo in seguito esaminare i progressi di Ferrandino, trovò che da tre mesi in poi non ne aveva fatto alcuno. Ei non potea legger due righe senza far due o tre falli -, la di lui scrittura poi non era nem- meno leggibile. .,Io sono, disse allora la zia, altret- tanto contenta della sorella, quanto lo sono poco del fratello : è lungo tempo che non sei uscita di casa, mia cara Enrichetta: tu verrai a pranzar meco, e questa sera ti condurrò al passeggio o alla comedia. Ma voi, signor Ferrandino, avete si male impiegato il vostro tempo, che non meritate eh" io cerchi di procurarvi qualche divertimento." A queste parole il fanciullo si mise a piangere, perchè doveva restare in casa: e tanto se ne crucciava, che la buona sorella, mossa dal di lui dolore, disse alla zia: „Mi sarebbe assai grato il profittare della vostra bontà: avrei molto piacere d' uscir di casa con voi; ma osservate coni* è malinconico « mesto mio fratello! Perdonategli, ve ne prego. Questo non può essere, mia cara fanciulla. Ebbene, affinchè non si affliga tanto, verrò un" altra volta da voi, ed oggi resterò seco lui per consolarlo. Ciò di- pende da te, disse la zia: e la generosa Enrichetta tenne compagnia a suo fratello. Madama d" Orvigny, siccome sapeva che Ferrandino era alquanto ghiotto ^^^ volle vedere se si era almeno corretto da questo difetto. Ella portò un giorno nella camera, in cui si trovava, una focaccia, ben avviluppata in una salvietta ^), perchè non la potesse vedere, e gli disse che aveva qualche cosa di buono da dargli, purché si applicasse a bene scrivere, e non t'iccasse ciò che posto avea sopra la tavola. Ciò detto, la zia si ritirò. Ferrandino, restato solo, si mise a scrivere, ma appena ebbeffatto due

^) Alquanto ghiotto —«in !{eine« ^(fcrmaut iDar, —«^ Fo- caccia bene avviluppata in una salvietta ein ©rotfuci^cn in fine ©ertoiettc el»gett)t(fflt.

198 NOVELLA XXXVII.

righe, che si levò per vedere ciò che recato avea la zia. Ei non ardi a bella prima *) di aprire interamente r inviluppo ^), ma, esaminandolo, conobbe benissimo che racchiudeva una focaccia. Enrichetta entra in quel punto nella camera; egli le raccontò e la promessa e la proibizione di madama d' Orvigny. Malgrado a tut- tociò, diss' egli, ho gran voglia di assaggiare quella focaccia ; cara Enrichetta, prendiamone una briciola ') ciascheduno. No, fratel mio, io non consentirò mai a far questo, e ti consiglio di non appressarvi nemmeno la mano. Ma la zia a te non Y ha già proibito, soggiunse Ferrandino; ed ella: Ciò è vero, ma questa focaccia non mi appartiene , e perciò sarebbe indiscreta cosa il mangiarne. Madama d' Orvigny fece in questo punto chiamar Enrichetta, e Ferrandino restò solo. Allora «gli si mise di nuovo ad esaminare ciò che gli solleti- cava il palato : guarda dall' una e 1' altra parte la fo- caccia, la solleva in alto, e finisce con lasciarla cadere per terra: la caduta la fece andar in pezzi, e Ferran- dino non potè far a meno di mangiarne un tantino. Indi non molto si venne ad avvertirlo di mettersi a tavola, ed all'ultima portata Madama d' Orvigny fece recar la focaccia. Scioltone Y inviluppo : Che vuol ciò dire, con sorpresa esclamò; essa è tutta infranta, e ve ne manca un pezzetto ! Ferrandino, vi avreste mai appressato la mano ? No , cara zia , io vi assicuro . . . rispose il fanciullo, arrossendo. Saresti dunque stala tu, En- richetta? poiché tu pure sei entrata nella camera? Gli è stato per pigliare un libro, ma io non ho toccata la focaccia. A questo passo interruppe la maestra: Voi potete riposare sulla parola di Enrichetta: ma veggo che Ferrmidino è oggi nello slesso tempo disubbidiente, ghiotto e mentitore. Ciò mi spiace, rispose Madama

^) A. bella prima jucvfì. ^) U inviluppo ~ Umfd^fag. 3) Briciola ©tùcfci^en.

SAGGU FANCIULLA. 199

d'Orvigny: di malgrado m'induco a punire, ma vi sono costretta: gli è mio dovere, e questa volta fa d'uopo d'un doppio gastigo. Primieramente voi non mangerete più di cotesta focaccia: io la do tutta ad Enrichetta, che se ne riserberà la metà per domani. Vi avverto poi che vostro padre e vostra madre giungeran qua domani a sera, io monterò per tempo in carrozza per andar loro incontro, e la mia intenzione era di prendervi ancora voi, se foste stato docile ed appli- cato *) : ma non siete stato l' uno l' altro : io non sono soddisfatta della vostra scrittura, della vostra condotta, perciò voi sarete privo di vedere i vostri genitori qualche momento prima. Enrichetta sola mi accompagnerà. Ferrandino proruppe in un dirotits- simo pianto; sperava nondimeno che sua sorella avrebbe ancora tanta bontà per restar secolui , ma s' ingannava. Se non ,si trattase, gli diss' ella quando furono soli, che di andare al passeggio, al ballo o alla commedia, io resterei teco per consolarti; ma si tratta di vedere il padre e la madre, e non posso sacrificarti siffatto pia- cere; ciò é impossibile: spiacemi in vederti cotanto afflitto: prendi, mio caro, tutta la focaccia che mi ri- mane: poiché mia zia me l'ha donata, io posso farne quel che mi aggrada. Io ti ringrazio , cara sorella, veggo che tu sei molto buona, disse Ferrandino un po' consolato.

Il giorno seguente, essendo giunti in sulla sera i di lui genitori, non gli fu fatta alcuna carezza , poiché erano stati fatti consapevoli eh' egli non avea bene im- piegato il suo tempo, e che non si era ravveduto de' suoi difetti. Noi vi abbiamo recalo dei fantocci, disse la madre a Ferrandino, ma non li vedrete se pria non cambierete condotta. Per te^ mia cara Enrich etta, con-

*) Applicato flJfi^ig. Soave, Novelle. 13

]94 NOVELLA XXXVII.

tiniiò ella, eccoti dei libri e delle stampe che ti da- ranno diletto, ed alcuni fantocci che potrai regalare alleine amiche. Enrichetta, tutta contenta, fece mille ringraziamenti alla madre, e Ferrandino nuovamente s'addolorò. Qual differenza si fa fra mia sorella e me diceva egli; ella riceve degli elogi, delle carezze e dei doni, e a me non vengono compartiti che de' rimproveri. Enrichetta, continuamente afflitta pei dispiaceri di suo fratello, gli dava sovente delle stampe perchè potesse divertirsi, e gli raccontava le storiette contenute ne' suoi libri. A poco a poco il buon esempio della sorella corresse il fratello. Enrichetta è sempre contenta, di- ceva egli; le si accorda tutto quello che brama: con- viene dunque che imiti la di lei condotta, perchè possa avere i miei fantocci ; fa d' uopo ch'io faccia il mio do- vere per piacer a' miei genitori. Ei mantenne la parola, e si diede all' applicazione assai più che non faceva per r addietro. A prima giunta egli durò in vero fatica ad avvezzarvisi *), ma in seguito lo studio gli divenne grato , che , lungi dall' affaticare per avere i suoi fan- tocci, trovava nell'applicazione un vero piacere. Quando i suoi genitori lo videro si l)ene disposto , lo amarono egualmente che la sorella, e gli procacciarono ogni sorta di divertimenti. Ferrandino, diventato saggio, non ebbe più bisogno di ricorrere alla menzogna per nascondere i propri difetti , e 1' allegrezza brillava ^) tutto giorno sul di lui volto. Enrichetta divenne più felice ancora che per lo passato, poiché prendeva parte a tutt' i piaceri di suo fratello.

') Avvezzarvisi - M baran ju getoòl^nen. ^) Brillava flcal^lte.

195

NOVELLA XXXVin.

ROSJlIìIA.

«

In un antico castello menava solitaria vita ^) il vecchio cavalier Faramondo; avea secolui Rosalia sua nipote, unica superstite ^) di nove figli, cinque figlie e ventidue nipoti. Ei sopravvivea a tanti cari oggetti che avea veduto trasportare al sepolcro , ed egli stesso sparso avea de "fiori sulle loro tombe, e piantato all'intorno de' funerei cipressi. L' anima sua , fidente in un felice avvenire, non si lasciava punto sopraffar ®) dal dolore. Cosi un detenuto dal fondo dell' oscura carcere travede un raggio di luce ; figurasi in mente le magnifiche scene che l'abitatore dei monti gode al momento in cui l'aurora annunziatrice del giorno rallegra tutta la natura. I tre figli maggiori di Faramondo, a' quali non avea potuto prestare gli eslremi uffizi, erano morti lungi dal padre in un combattimento contro gl'Infedeli.

Sul far della sera mettevasi sovente a sedere sotto un fronzuto *) castagno in compagnia della giovane Rosalia, unica consolazione di tante perdite. egli l'interteneva sulla pietà di sua madre, sulle virtù dell' avo, e sulle gloriose azioni de' figli suoi : la giovanetta allora con cuore agitalo cadeva fra le braccia di quel venerabile vecchio , e versava un torrente di lagrime. Per un sentiero angusto e tortuoso ^) ei la conduceva sino alla sommità d' una montagna, ove le aveva pre- parato un sedile coperto di muschio ^); i fluiti spu-

*) Menava solitaria vita Ubh ganj cinfam ober juriicfge* gtjgen. 2) Unica superstite bie einjigc bic ì>on .... ùbers Ubtt. 3) Sopraffare ùbcrttjàltigcn. *) Fronzuto castagno

belaubter ^afìani'cnbaum. ^) Sentiero angusto tortuoso

fc^maler unb gerc^Iàngclter %\\^\teìQ. ^) Sedile coperto di muschio S)tooiha\\f.

li*

196 NOVELLA XXXVm.

manti spezzavansi a pie dello scoglio *), e con grande- strepito muggivano, allorché il tempestoso turbine scon- volgeva i più profondi abissi del mare. ^ Ma la burrasca facevasi di rado sentire. Sovente in una bella notte d'estate, oppur la sera d'un bel giorno d' autunno , allorché la luna brillava nel cielo azzurro, conducea per mano Rosalia o sulla sommità del monte, o sotto ad una delle vòlte guernite d' edera ^), che coprivano, le caverne di quello scoglio. Ivi con- templava la natura e ne sentiva il suo divino influsso. Se la notte del dolore avea ottenebrata ^) la di luì anima, essa bentost© si dissipava *), il di lui spirito diveniva sereno come un ciel senza nubi , il suo umore era placido come lo splendore della luna ; sembravagli che gli amati suoi figli volgessero dal celeste soggiorno qualche sguardo sopra di lui, e lo chiamassero in quelle beate abitazioni. In mezzo a' suoi santi pensieri veniva sovente interrotto dalle fanciullesche dimande di Ro- salia. La di lei voce era quella dell'innocenza, gli sguardi esprimevano la tenerezza e la bontà , e tutta la fìsonomia annunziava già un' anima grande. „Padre mio (che così poteva ben chiamarlo), diceva ella, impri- mendo de' baci sulla mano di quel rispettabile vecchio, perchè avete un'aria così seria e trista? guardatemi; osservate come la luna mi sorride, e tuttavia sono ben lungi dall' amarla tanto come am^ voi." Il vecchio, allora teneramente l'abbracciava, e con le lagrima bagnava le rosee guance di quella amabile fanciullinj Sovente, dopo averla condotta al luogo ove prendej riposo la notte, appoggiato al suo bastone ei ritornavi sulla spiaggia del mare , e colà restava solingo sin(

^) I flutti spumanti spezzavaiisi a pie dello scoglio t)ie f(5àumcni)cn 5BeHen gerfc^lugen fìd^ an bie Mipìpt. ^) Volle guernite d'edera SBód^ungcn mit (Bpf)ni ufer^ogen. ^) Ottenebrata xm^ìipxi. *) Si dissipava —ierjìmtf e fic^.

ROSALIA. 199

all'apparire dell'aurora; poi ritornava alla casa pa- terna , e un lieve sonno ricreava la sua vecchiezza. Appena risvegliato, ei trova Rosalia occupata nel pre- parare i cibi e la bevanda con cui ristoravasi ^) : ella era molto giovane, ma il più dolce pensiero di lei era quello di servir l'avo, di abbellire i suoi giorni, e di allontanare da esso la malinconia che talora gli pesava .sull'animo. La solitudine, in cui vivea, disponeva il cuore di lei a sentimenti sublimi e teneri ; la natura all'in- torno di essa era maestosa e selvaggia : tutto concorreva a dar alla su-a fantasia delle alte idee , che i discorsi dell' avo aumentavano. I di lei occhi stavano immoti su que' di Faramondo , allorché narrava ad essa le gloriose gesta de' suoi antenati; come un di essi alla testa di pochi guerrieri, avea affrontato , il mare e gli assalti dei nemici per liberare un popolo straniero dalla servirtù ; come un altro avea messo dei villaggi e delle città intere al coperto ^) del furore de' masnadieri; come la saggezza di un di essi riconciliato avea due fratelli nemici, o ricondotto dei figli ingrati all'obbe- dienza del lor genitore. Nel suo ragionare non obbliava Faramondo le gesta della sua giovinezza, la sua schia- vitù in Africa , ove per tre anni vissuto era co' Mori, dai quali erasi liberato su d'una navicella, esponen- dosi agi" insulti del mare. Ricordava pure come avea liberato dalla prigione un giovane di alto rango, rite- nuto in ferri per gelosia d' un prepotente rivale ; come l'avea ricondotto presso l'affettuosa amante, la quale, nel riveder l' oggetto della sua tenerezza, proruppe in pianto di gioja ') a' pie del liberatore.

In certi giorni, come l' anniversario della nascita e della morte de' suoi figU, era principalmente consacrato

*) Ristoravasi fid) cxquidte. ^) Mettere al coperto gefc^ù^t »oc jc. ^) Proruppe in pianto di gioja biat^ in

198 NOVELLA XXX Vili.

alia memoria de' trapassati, Rosalia vestita di bianco^ e cinta il capo d'una ghirlanda di rose '), per mano veniva condotta dal vecchio nel bosco de' cipressi, mentre il sole, vicino già al suo tramonto, vibrava fra i rami degli alberi qualche raggio di luce sulle tombe che racchiudevano le spoglie degli oggetti cari a Fara- mondo : colà sovente si tratteneva fino allo spuntar della luna, magnificava allora il vecchio le bellezze della na- tura e i benefìcj del Creatore ;alzavasi col pensiero verso le celesti regioni di quelli che hanno amato Iddio e la virtù sopra ogni bene t erreno. Rosalia ascoltava in si- lenzio gl'inni del vecchio, ed il suo cuore intenerito riempivasi di gioia celeste.

Con tal tenore di vita ") giunse ella al quattor- dicesimo anno dell'età sua : quando ^) una nuova dis- grazia minacciava il saggio vecchio e la graziosa di lui compagna. Durante una tetra not'e *), in cui la terra esalava de' maligni vapori ^) , Faramondo , stremo di ^ forze ^), si lasciò cadere a pie d'un albero un grave sonno r oppresse, e Y esalazioni sulfuree ') della terra gli copriron d' un fosco velo gli occhi, dimodoché , ris- vegliatosi, non ebbe più la facoltà di rivedere il sole.

Rosalia, sorpresa dall'assenza del vecchio, con inquietudine ne va in traccia nei luoghi ov'era solito di trattenersi, ma le sue ricerche riescono vane. Final- mente ella si disponeva a violare la proibizione fattale dall'avo di salir da sola la rupe, di non molto-i discosta, quando tutto ad un tratto le risuona una vocej all'orecchio: ella precipita i suoi passi verso quel luogo, e riconosce venir quel grido dall' avo suo , ch(

*) Cinta il capo d'una ghirlanda di rose mit einem dioi fenfronjc gcfd^miidt. ^) Con tal teno re di vita Bei folc^enij ìthtnSWanid. ') Quando aU. *) Durante una tetra notte— JDÓl^retib einec bùfìcrcn ^adijt. 5) Maligni vapori Bóéartigc Otuébunjìungcn. «) Stremo di forze— erfc^vH'ft. ^) Sulfuree fc^tpffelortig.

ROSALIA. 1»»

intendeniTo i gemiti *) della fanciulla , avea drizzato i suoi passi verso di lei ^).

Ella finalmente lo trova, e raccapriccia in vederlo immobile e silenzioso ; si prost: a ..' di luì piedi. Cara Rosalia, disse allora il vecchio, con qual piacere ti stringo al mio seno, quanto grate mi sono le lagrime che spargo sulle tue guance. Ah! padre mio, quanto la vostra lontananza mi ha angustiata! io temeva di avervi sempre perduto. Io son cieco ; io non ti vedrò mai più ^) : la luce del sole, la bellezza della natura non potranno più ricreare il mio animo. Rosalia al- lora proruppe in un dirottissimo pianto, e nientemeno conservava ancora qualche speranza che gli fosse re- stituita la vista, persuadendosi che i vapori della notte gliel' avessero solo intorbidita. Abbassando il suo capo sulla raggrinzata fronte *) del vecchio, cercava di dis- sipar ^) coir alito, e col tatto delle sue dilicate dita la nube che ingombrava gli occhi dell' avo , di tratto in tratto ^) chiedendogli se ci vedea. Allora il vecchio .sospirando esclamò: Tu sei e sarai, finché io viva, la delizia dell' anima mia; ma questi occhi non rive- dranno mai più no, non rivedranno più la mia diletta Rosalia. Dopo avere sparso le più amare lagrime, la fanciulla raccoglie tutte le sue forze ') onde alzar da terra il misero vecchio, il quale, appoggiato al di lei brac- cio, tremante giunge nel silenzioso ritiro del suo castello.

In tale stato visse Faramondo due anni , solo go- dendo di quei piaceri che suppliscono al difetto del

*) Gemili 9Dcf;f(agcn. ^) Avea drizzato i suoi passi verso di lei ging il^r «ntgegen. ') lo non ti vedrò mai più id) totthe bi4 nimmer feF;cn. *) Raggrinzata fronte gerungcttc Stime. ^) Dissipar coli' alito, e col tatto la nube, che in gombrava gli occhi gcrt^cilcn mit bcmJ&aii^e imb ber i^ii^tfraft iì)Xtr finger bic SSolfe , njetc^c bic 9(iigen beVccftc h. ^) Di tratto in traUo -- »on 3eit gu 3eit. - ') Raccoglie tutte le sue forze wenbft otte i^re J?ràft« on.

200 NOVELLA XXXVm. «

senso che avea perduto. Tostochè sentiva il calore dei raggi solari, o la deliziosa freschezza dell' aurora, ed i profumi eh' esalano i fiori, oppure all' ora in cui r astro del giorno vibra gli ultimi raggi, ei si facea guidar dalla nipote ne' luoghi, la cui vista tante volte ricreato V avea. Egli ascoltava allora il melodioso canto degli uccelli, e passava dell' intere giornate sulla spiaggia del mare. Era grato al suo orecchio lo stre- pitare dell'onde 0, perchè ^li faceva risovvenire in- teressanti oggetti. Rosalia gli facea pur sovente udire i dolci accenti della sua voce : ella cantava gì' inni che imparato avea da lui.

Un giorno, mentre stavano assisi sulla spiaggia del mare, vede Rosalia alcuni vascelli, i quali si avvi- cinavano sempre più finché presero terra *). Un giovane d' aspetto nobile scende con poco seguito dalla nave : saluta rispettosamente Faramondo e Rosalia. La beltà, incantatrice e modesta di lei sveglia una viva impres- sione sul cuore dello straniero, il quale, dopo breve colloquio, all' udire il nome del cavalier Faramondo, sentissi riempier 1' anima d' inusitato piacere. Il padre di lui era slato pure un nobile cavaliere, il quale cam- biato avea le sue armi con quelle di Faramondo; con lui s' era provato in un combattimento, e le loro forze s' erano trovate eguali. Lo straniero mostra le armi, salutando Faramondo con più rispetto ancora, ed il vecchio cavaliere l'accoglie come se fosse suo figlio. Ecco dunque le armi della mia giovanezza, diceva egli, tentando di alzarle da terra ; voi non servirete più ad acquistarmi un nobile amico , a soggiogare un audace avversario. A questo passo gli caddero delle lagrime Rosalia, sono lucide queste armi? Sì. Esse brillano come il sole nascente. Guidarono al-

*) Lo strepitare delle ondo bo3 9taufci^en ber SBeKen. ^) Prender terra anianben.

R0S.4UA. 20](

lora al castello il giovane forestiere e la di lui comi- tiva ^), e li trattarono con la maggiore ospitalità. L'ospite novello raccontò i suoi viaggi: ei giungeva dalle contrade di Spagna, e proseguir dovea il suo viaggio per eseguire gli ordini di suo padre. Egli avrebbe voluto passar la vita insieme con Rosalia: la preferisce a tutte le donne , e in aria timida e rispet- tosa ardisce di manifestarsi *) a lei. Rosalia amava pure il giovane forestiero, e spiacevale il dover separarsene : tuttavia si fa coraggio a dirgli: Non amarmi, o Ri- naldo (che tal era il suo nome) 5 io non posso, debbo seguirti : a mio padre consacrar devo il mio amore ed i miei giorni: nulla potrà separarmi da lui. Mi porrò io a scorrere dei mari e delle contrade ignote, e la- ncerò solo quello cui debbo la vita , quello eh' ebbe cura de' miei primi anni, e di cui posso consolar la vecchiezza ed alleviarne le infermità? Pronunciando questi detti, Rosalia si copriva d' un velo onde nascon- dere il pianto. No, tu non 1' abbandonerai, replicò vivamente il cavaliere ; il padre seguirà i figli suoi. Guardati bene da ciò pensare, gli rispose ella : io non posso acconsentire ad esporre la sua vecchiezza a' di- sagi del'mare: parti, giovane forestiero, ritorna al padre che ti aspetta, renditi alla patria cui appartieni : tu in questi luoghi restar non puoi. Rinaldo partì, e la sua giovane amante salì sopra di un colle d' onde lo vide imbarcarsi coli' equipaggio, e spiegare al vento le vele. L'immagine di Rosalia gli era sempre presente 5 si die fretta *) di eseguir il paterno comando, sperando di ottener da essolui la licenza di ritornare al felice soggiorno di Faramondo per unirsi a Rosalia, condurla in Ispagna, 0 dimorar nel castello finché vivesse quel rispettabile vecchio.

') Comitiva ®tfo\^t. *) Manifestarsi fl(^ ctffàrm. »J Si die fretta becilte ftd^.

S03 NOVELLA XXXVIII.

Rosalia era occupata di Rinaldo, che credeva di non poter più rivedere: ma benché il vecchio non fosse più r unico oggetto de' suoi pensieri, la tenerezza tut- tavia e le attenzioni per lui non venivano meno.

Un giorno, durante il calore del mezzodì, ella era seduta presso una fonte, cui facevano ombra i rami degli alberi, quando tutto ad un tratto vide comparire una leggiadra figura circondata d' un vivo splendore. I cuori innocenti e puri non van soggetti al timore. Ro- salia non sente che un soave fremito: si alza non già per fuggire , ma eccitata da un sentimento di venera- zione j; e la figura così le prende a favellare: „Rosalia, egli è in tuo potere il restituir la vista a tuo padre, ma ciò ti costerà un sacrifizio. Ah ! qual è questo sacrifizio? rispose Rosalia con vivacità. Dovrò perder la vista, la vita istessa*? tutto farò di buon grado. ^ No, non è la morte o la perdita della vista che ti so- vrasta ; tu vivrai con tutti i sensi illesi : ma puoi tu ac- consentire a perder 1' avvenenza , e, ciò clv è ancora più prezioso, la giovanezza? Mira questo nappo 0; il liquor contenutone è amaro: se tu lo bevi sarai tras- formata, ma dissiperassi 1 velo che copre gli occhi del padre tuo. Rosalia prende quel nappo: specchiasi un istante nel fonte, alza gli occhi al cielo e sospira pen- sando a Rinaldo; indi trangugia ^) Y amaro liquore, mirasi di nuovo nella sorgente, e si fa indietro *) con raccapriccio. La celeste vision disparì. Rosalia versa qualche lagrima sulla perduta bellezza indi affrettasi a raggiugnere il vecchio per essere spettatrice della sua gioia nel riacquistare la vista. Ma giunta al luogo in cui si trovava, s' arresta in distanza per non esser ve- duta dal padre cosi difformata, il quale non 1' avrebbe forse riconosciuta.

*) Nappo S3ed)er. ^) Trangugia t^erfd^lucft. •) Si fa indietro gi»^t fìc^ eniff^t gurùcf."

ROSALIA. S03

Dopo di aver udito le grida d' allegrezza dell' avo^ che tutto ad un tratto uscendo dalle tenebre della notte^ rìvedea la natura intera in tutto il suo splendore, Rosa- lia vede presso di l'ombra celeste cheerale poco innanzi apparuta; questa le presenta un' altra volta il medesimo nappo, sollecitandola a trangugiarlo. Rosalia senza esitare lo prende, e ne sugge il liquore. Ciò- fatto, sparisce la celeste visione. Rosalia presentasi al- l'avo, il quale gode in vederla ornata di tutti i vezzi della giovanezza. Chi descrivere potria questa scena di stu- pore, di gratitudine, d' amor filiale e di tenerezza pa- terna? Raccontatone al vecchio il fatto accaduto, amendue s" avviano alla sorgente ove avea veduto l'om- bra celeste : visitano tutti i luoghi in cui s' erano deli- ziati altre volte : il vecchio rivede le tombe degli og- getti a lui cari, e Rosalia raccoglie dei fiori per ispar- gerveli sopra in quel solenne giorno.

Pochi giorni dopo approda a quella spiaggia Ri- naldo: Faramondo unisce le mani e i cuori de' due amanti, che si giurano perpetua fede : ei li benedice, alzando gli occhi al cielo scintillanti V) di tenerezza e di gioia. In quel castello passarono tutti e tre alcuni" anni senza pene e in perfetta tranquillità. Ma un giorno, preparandosi Rinaldo e Rosalia a celebrare V anniver- sario della nascita di Faramondo , carichi di fiori es- sendo entrati nel bosco dei cipressi, in cui erasi recato il vecchio innanzi all' auròra, con dolore lo rinvennero steso per terra, con le mani giunte sulla tomba della trapassata consorte. Rosalia, a tal vista, getta un affan- noso grido, e cade a' piedi dell' avo, ma i di lei gemiti non hanno forza di risvegliarlo: ella deplora lunga- mente si amara perdita, e Rinaldo prende parte al do- lore di lei. Dopo un anno partono per la Spagna, patria

*) ScinlilJanti funlelnb, fìro^Icnb.

304 NOVELLA XVXIX.

di Rinaldo. Quante lagrime non isparse Rosalia all' istante di abbandonar que' luoghi eh' erana stati testi- moni dei dolci piaceri della sua giovanezza. L" era so- prattutto molto amaro l' allontanarsi dal bosco de" ci- pressi, il quale racchiudeva tante tombe sacre per lei. Andata in Ispagna , sovente si risovveniva de' luoghi che r aveano veduta nascere ; sembravale andar errando tuttora in quei solitari recinti *) in compagnia dell' avo, talor credeva essere con lui sulla sommità del monte, ed or sulla spiaggia del mare. Rinaldo entrava a parte di questi sentimenti: il giorni loro scorrevano a guisa d' un placido ruscello : facean loro corona molti graziosi ed amabili figliuolini : senza amarezza alcuna passarono il restante della vita, finché la morte venne a condurli all'eterno riposo e ad unirli alle anime de' trapassati lor avi.

NOVELLA XXXIX. Ili JflATTIT^O FORTCHrATO.

iVlentre un padre di famiglia era occupato un mattino nel far colezione in compagnia de' suoi figli, vide en- trar nella camera un de' suoi gastaldi, il qual recavagli del danaro. Contatane la somma, fra le monete sulla tavola sparse trovavasi uno scudo nuovo, il cui splen- dore e la graziosa impronta colpirono gli occhi del più giovane de' suoi figli. Ei l' esaminava con una certa non so qual aria, che facea comprendere che gli sarebbe stato grato T averlo. Il padre prese lo scudo, e mostran- doglielo da tutti i canti : È forza convenir^, disse egli al fanciullo, che questa moneta è graziosa: si può di- vertirsi un momento nel considerare il suo splendore V Solitario recinto cinfamt! ©cgenl).

IL MATTINO FORTUNATO. 20»

e le leggiadre figurine che vi si dinstinguono 5 ma tal divertimento poco dura , e quando si conosce una di queste monete, è Io stesso che si fosser vedute tutte le altre ; d' altronde , essa non brillerà lungamente. Esamina" quest' altra: ella ha perduto lo splendore, r impronta n' è pressoché cancellata, più a trae lo sguardo. Cotesta moneta in stessa non ha quasi nulla per procurrarci qualche piacere, e se non la met- tiamo in circolazione, non ci potrà arrecare alcun utile. Veggiamo un poco cosa possiamo farne?... Gettarla per terra e trastullarci nel vederla rotolare *), oppur servircene per giuocare alle piastrelle'^)?... Noi potre- mo pur farne uso applicandola come peso alla bilancia, o coir appendertela al collo.. '.Ecco a un dipresso tutto ciò che ne possiamo fare, e tutto questo é assai poco. Un pezzo di piombo servirebbe cosi bene , e forse an- che meglio a questi diversi usi. Ma se facciamo passar dalle nostre nelle altrui mani questa moneta, essa potrà recarci dei vantaggi senza confronto maggiori. Vo- gliamo noi acquistar qualche cosa che ci ricrei la vi- sta; con questo scudo comprar potremo una stampa, un capo d' opera dell' arte , che se lo mirerem venti volte, ei ci cagionerà un piacer sempre eguale e no- vello. Egli è certo che se impieghiamo a considerar questo scudo tutto quel tempo che avremmo potuto consumare la stampa, il nostro piacere sarà infinita- mente minore...

Noi possiamo pur con questa moneta comperar un giovane albero , il quale, trapiantato nel nostro giardino, ci somminislrerà per più anni un' ombra ricreatrice . . . ') Se vogliamo farla servire in cose più essenziali, dia- mola al panatlfere *) che ci fornirà del pane in quantità

') Rotolare fortroUen , ttJÓljen. 2^ Giuocare alle pia- strelle — <Stfint^en fpiclen. ') Ombra ricreatrice «quirfrns ber <Bà)QÌt(n. *) Panaltiere JBrobfScfcr.

306 NOVELLA XXXIX.

<ia nutrirci per diversi giorni. . . Noi possiamo comperar =con essa delle patate ^) onde sostentar nel rigoroso verno una povera famiglia... Oppure lo scudo servirà per pagar delle medicine , le quali , coli' aiuto celeste, potranno forse restituire in salute un povero padre di famiglia oppresso da tormentosi affanni , ecc. Tu vedi, figlio mio, che possiamo scegliere fra molti usi, o utili, o gradevoli, e cosi pure per indicarti delle maniere ancor migliori d' impiegar questa moneta . . . Noi pos- jsìamo darla ad un mendico, privo di tutti i mezzi onde procacciarsi la sussistenza, e renderlo felice per qualche tempo ; noi vedremo scorrer sulle sue guance sparute ^) delle lagrime di riconoscenza e di gioia: ed alla vista della sua felicità non sentiremo entro di noi una dolce soddisfazione? 0 padre mio, disse allora il fanciullo, prendendo per mano il genitore, io vorrei che ci fosse un poverello a portata ®) ; qual piacere avrei nel vederlo contento?... Ebbene, replicò il padre, usciamo tosto di casa, che non andremo per avventura molto lungi ^enza trovarne uno.

Uscirono, adunque, e a poca distanza incontra- rono una povera donna che dietro si menava un asi- nelio che portava due panieri *), in ciascuno dei quali trovavasì un fanciullo : tutto annunziava in essi l' indi- genza ; erano coricati sulla paglia e coperti di cenci ^) ; nulladimeno graziosamente sorridevano verso i passeg- gieri, non avendo ancora , il sentimento della propria miseria. La madre arresta 1' asinelio, mostra quelle in- felici creaturine a' passeggieri , chiedendo loro qualche soccorso. Neil' istesso punto passarono per colà un vecchio ed una vecchia, infermi amendue e mendici, che tenendosi per le braccia camminavano appoggiati

^) Patata Gtbdpfel. ^) Guance sparute t)aQtxt SOatii Qcn. 3) A portata bei bei* -^anb tt»are , cber lf;lft: ivave. *) Panieri ^oxh. —. ^) Cenci Sum^>cn.

IL MATTINO FORTUNATO. SOV

SU d' un bastone. La vecchia donna guarda quei fan- ciulli infelici con un aria esprimente in un tempo la più viva compassione e '1 dispiacere di non poterli soccor- rere... Poveri fanciuUini! esclamò essa con commo- vente'sospiro. A così tenero spettacolo il buon padre di famiglia diede lo scudo alla madre di quei poveri bambini. La vechia donna allora : Il cielo vi benedica ! disse al benefattore, con viso altrettanto lieto quanto mesto per l' innanzi. È agevole poi il congetturare, ma diificile a descriver, la gioia e la riconoscenza della madre : eccita ella i suoi figliuolini a mandar con le tenere mani dei baci al benefattore, e a balbettare *) qualche parola in segno di ringraziamento.

Il buon padre di famiglia allora, volgendosi verso il figlio: Ebbene, disse, non siam noi fortunati? l' im- piego dello scudo non ci fa egli provare la più para e tenera gioia? Oh! rispose il figlio con tronca voce ^), io non sono mai stato tanto contento ... da non so qual forza mi sento stringere il cuore ... ed eccitare al pianto ... e tuttavia ciò mi riesce più grato che Io scoppiare di risa ... Io non ho per anche provato un tal sentimento. Gioia mia, replicò allora il padre, stringendolo fra le braccia, è 1' emozione della benefi- cenza, il piacere proveniente dalla virtù che tu provi entro di te. Tu ti rallegri in veder sorridere una donna, il cui aspetto annunziava un momento prima che il di lei cuore oppresso era da cruda tristezza; tu godi in sapere che due fanciulli miserabili , incapaci di sentire la lor miseria e di procacciarsi il sostentamento, avran- no con che nutrirsi diversi giorni 5 tu provi un' interna compiacenza per aver fatto una buona azione, e ti sov- vieni ancora di queir altra donna, che mostrava tanta compassione verso que' bamboli *) sfortunati, e che ci

*) Balbettare ialUn. ^) Tronca voce oBgc&rot^cue <Stimme. 3) Bamboli ^inUx.

208 NOVELLA XXXIX.

benedì non altrimenti che s' ella medesima ricevuta avesse il dono che fatto abbiamo alla povera madre. Oh questo sì, interrupe il figlio, la buona vecchia ! ella sembrava povera altresì . . . Avrebbe forse bisogno d'uno scudo? ho da correre in traccia di lei, caro padre *? voi avete con che soccorrerla. Avrei senza dubbio piacere, replicò il padre, di beneficare una per- sona, la quale, benché soffra, oppressa da' propri mali, prova nuUadimeno tanta pietà per gì' infortuni altrui. Ma, figlio mio, siamo noi certi che 1' offerta d'uno scudo fosse per farle piacere ? Un infelice che ha sen- timenti d' onore riducesi agli estremi pria di risolversi a ricever così 1' elemosina. Fintantoché bassi qualche risorsa per viver senza gli altrui soccorsi, convien farlo, e quando tutto manca, è meglio aver ricorso a quelli che distribuiscono le pie offerte destinate a* poveri, piuttostochè andar mendicando per le pubbliche strade. La femmina che abbiamo testé assistito é forse una straniera, la quale altro non fa che atttraversar la città: non conoscendo alcuno, ella non può in questo momento procurarsi del lavoro onde sussistere, saper ove può ottener degli aiuti. Ma la vecchia donna, che passò avanti di noi, non chiedeva nulla ; così saper non possiamo se le sarebbe grato di ricevere il nostro dono in siffatta maniera. Oltre di ciò , se le avessi of- ferta r elemosina , eli' avrebbe potuto trovarsene of- fesa, sembrando eh' io rimunerar volessi con quel re- galo un nobile sentimento di benevolenza, che non può essere pagato adeguatamente ^) con tutto 1' oro del mondo . . . Non conviene tuttavia che la perdiamo di vista ; m' informerò della sua dimora , e se mai ella si trova in circostanza che abbia bisogno dei nostri soc- corsi, non ricuseremo di assistere gente così merite-

^) Adeguatamente atigemeffen.

NOVELLA XL. L'OPPRESSORE PUMTO, 209

Tole ... In questo frattempo pensa, diletto figlio, al piacere che possiam procurarci col nostro danaro, e al gran compenso che ne ritrarremo. Questo e' insegni a non impiegarlo in bagattelle, poiché gli è un chiu- derci la via di farne un uso più importante e più grato, quando l' occasione si presenta. Oual ramma- rico, qual perdita non sarebbe stata per noi se ci avessimo lasciato sfuggir tale incontro , e se ci aves- simo privati d' un vero piacer per avere scialacquato *) il danaro in coso di poco valore, e da cui ritratto non avessimo verun frutto?

Così dicendo, il padre di famiglia si avvia verso la sua abitazione. Colà giunto: Ecco, disse al figlio, questi sono due scudi: passati quindici giorni, saper voglio r impiego che ne avrai fatto. Oh, rispose il figlio, io ne farò un buon uso: ei prese il danaro, e tutto gio- joso*) si accostò alla tavola per mangiar la sua parte della rimasta colezione.

NOVELLA XL.

li*OPPKE».^OKK PUHTIIO.

Nocella OrienUile.

£àuì2l Zarak, così detto perchè portava sempre Io staf- file '), in eredità possedeva una terra di dieci leghe d' estensione: padrone d'infiniti tesori, egli aveva tutto ciò che poteva desiderare il suo cuore. Il castello, in cui fissato avea la sua dimora, era fabbrcato su di un' alta rupe, e la torre fattavi costruire, da' suoi an- tenati perdevasi nelle nubi. Collocato in mezzo alle sue possessioni, ei ne scorgeva in un girar di ciglio la

*) Scialacquato octfc^toenbct. '^) Tutto giojoso frof;» locfcn. 3) staffile ^citfc^f. Soave, Novelle. 14

2 IO NOVELLA XL.

meta *). Non passava giorno in cui non salisse la torre, d' onde compiacevasi nel contemplare, i suoi schiavi e le sue mandre. Egli aveva 1' occhio intento principal- mente su' servi, e quando affaticati dal lavoro riposa- vano un solo istante , ei dava nelle furie ^), ne verun ritegno arrestar poteva il suo furore. Cinquanta basto- nate distribuite da una furiosa mano erano il solito ca- stigo del fallo, ed egli stesso si compiaceva ad inflig- gerlo. Qual mostro! Ma Iddio è giusto, lascia im- punito il delitto. Zuta Zarak, che in mezzo alle richezze passava i suoi giorni, che possedeva dieci leghe di ter- reno, e degli uomini che lo riconoscevano per padrone senza eh' egli li compensasse col mostrarsi loro qual padre, Zuta Zarak tutto ad un tratto perdette per di- vina disposizione la vista. Ciò non ostante egli andava ancora sulla sommità della torre, tormentato per la sua cecità, e più ancora per non poter diverlirsi col fla- gellare ') i suoi schiavi. Per lo spazio di venti anni il suo cuore fu chiuso ad ogni gioja. Le sorgenti d' ogni piacere erano chiuse per lui. In tutto il tempo che \isse, se una simile esistenza merita il nome di vita, ei non conobbe ne la sanità, la pace. Ei beveva in nappo d' oro il frullo de' sudori che grondavano dalla fronte degl' infelici suoi servi, ma si sentiva lacerar le vis- cere*) da cocentissimi dolori. la sua abitazione, la torre sentivano mai rimbombare i sacri canti, che i pietosi ed innocenli suoi schiavi facevano continuamente salir verso te, o Creatore ! Ei non godeva nemmeno le dolcezze del sonno, che veniva ad alleviare dalle fa- tiche lo schiavo. Eterno Dio ! tu sei giusto ; lo mani- festerò a Itutto il creato ; poiché Zuta Zarak, trovan- ^) Ne scorgeva in un girar di ciglio la meta er ù&erfar; fu alte in einem 5(ugenblicfe. ^) Dava nelle furie er gertct^ tn SButl^. *) Flagellare geifeln. *) Si sentiva lacerar le viscere da cocentissimi dolori er Hit on ben ^eftigfìen @(^merjcn.

NOVELLA XLI. IL RICCO INDIANO. SII

dosi solo un giorno nel più alto luogo della torre, fu all'improvviso colpito da un fulmine, e in un pre cipitato a' pie de' suoi schiavi. Questi si ragunano in folla, lo circondano, e compiangendolo, drizzano al cielo questa preghiera: ,,Ah! giusto Dio! possa il tuo fulmine aver colpito in buon punto Zuta Zarak, ed aver resa migliore la ài lui anima!*' Tale fu il loro voto. 0 uomini! quanto è meglio in questo mondo l" essere uno schiavo simile a questi, piuttostochè esser padrone d'immense richezze coir anima d' un Zuta Zarak! 0 uomini! se V anima vostra è ricca in virtù! se gode d'una perfetta salute, non invidiate la sorte di qual si voglia Zuta Zarak, che fu un mostro fra gli uomini.

NOVELLA XLL Ili RICCO IXDIA!VO.

Uopo aver passati trent' anni nell" Indie il signor Billon ritornò in Europa con un' immensa fortuna. Nel ritorno che facea alla città ov' era nato, la prima sua cura fu di andare a trovar un mercante con cui era stato in cor- rispondenza. Recatosi alla casa di lui, dopo vari collo- qui, cosi gli prese a parlare : ,,Io non ho verun figlio, non ho avuto fratelli sorelle , e non devo avere che dei parenti assai lontani : dipende da me l'arricchire chi più mi piacerà, ed ho deciso di divider le mie richezze con quello de' miei parenti che sembrerammi più degno di possederle : soccorretemi, vi prego, a discoprirmelo. Io non ho giammai conosciuto la famiglia vostra, rispose il mercante, ma so bensi che avete due cugine stabilite in questa città; sono esse sorelle; tutte due hanno della fortuna; ma differente poi è il loro carat- tere. La primogenita, eh' è madama Dorvilliers, è quasi

14*

213 NOVELLA XLI.

invisibile, mal alloggiata, servita non è che da un solo domestico , ed altro piacere non ha che d' ammassare e riscontrare i suoi tesori ^). La baronessa di Seranges, all' opposto, non ha piacere più grande che di dispensare il suo; ama il fasto ma i frivoli piaceri di quello punto non la impediscono d' esser caritatevole: tutte le setti- mane, a un giorno destinato, una dozzina di poveri re- cansi alla sua porta , ed ella fa loro dispensare delle limosine. Il ritratto di quest'ultima, disse l' Indiano, benché abbia i suoi difetti, non mi dispiace poi tanto; ma, rapporto a madama di Dorvilliers , non ho alcuna voglia di vederla : tanto a me sono odiosi gli avari."" All' indomani tosto recossi da madama di Seranges, che mille cortesie gli fece, e che amabilissima la trovò.

L'unica serva d^madama Dorvilliers era sorella del domestico che serviva il mercante amico del signor Billon. Era presente questo domestico allorché 1" In- diano dichiarò eh' egli punto non si muoverebbe per vedere questa sua avara cugina. Andò egli tosto a tro- var sua sorella, e tutto ciò che avea inteso le raccontò, ..Ecco la padrona vostra ben punita della sua avarizia, diss'egli alla sirocchia '^); il signor Billon può disporre delle sue immense ricchezze , e certo sono che nulla le dà; imperciocché ella non ne sa far buon uso." Ma- dama Dorvilliers, ognor diffidente, avendo inteso che qualcuno era entrato in sua casa, si era levata al primo rumore, e camminando sulla punta de' piedi, avvici- nossi in modo da non esser veduta, ed in questo collo- quio nulla dissero che da essa inteso non fosse. Grande fu^l suo stupore nell'udir questa strana novella. Quel tesoro che avea ammassato con tanta cura, che si caro le era, nulla sembravale in confronto di quelle immense ricchezze che suo cugino avea seco portate. „Come

^) Ammassare, e riscontrare i suoi tesori {f;ve (Sci^a^e ati^àufen unb mà)iàl)Un. ^) Sirocchia ©c^lDefìer.

IL RICCO INDIANO. 313

potrò io fare, diss' ella, per guadagnar la sua stima? . , . Io lo so bene : fa d' uopo che divenga generosa . im- perciocché non accorda la sua amicizia che a coloro che fanno del bene. Ma potrò discendere a privarmi di quel poco che mi resta ? questa cosa sarebbe ben dura. Nulla ostante io non trovo altro mezzo che questo." Dopo avere alquanto pensato a qual partito dovesse appigliarsi, madama Dorvilliers prende la risoluzione di andare a trovar madama di Seranges con la spe- ranza di riscontrarsi col ricco Indiano. In effetto ella lo trovò dalla sorella : procurò di conciliarsi 1" amicizia di lui con istudiate adulazioni -, e con un tuono il più dolce 5 lo ricercò ^) , perchè non era stato ancora a visitarla. Senza dubbio, signore , soggiunse ella, voi ignoravate che vi restasse ancora una cugina, oltre madama di Seranges. Io sapeva benissimo , rispose r Indiano , che madama Dorvilliers era mia consan- guinea, ma sapeva ancora che altriinenti ella pensa di me. Voi amate, le dice, d'ammassar ricchezze; per me io non le amo che per essere liberale. Egli è vero, replicò madama Dorvilliers, che sono stata avi- dissima dopo la morte di mio marito; vengo tacciata di avarizia ^), ma vedete quanto sono scellerati gli uomini: se ho vissuto con tanta economia; se sono pervenuta a radunare ne' miei scrigni ') una somma con- siderabile, è stato ciò per mettermi in istato di fondare un nuovo ospitale in questa città. Domani maKina andrò da uno de' nostri magistrati a fine di prendere le mi- sure sopra questo soggetto. Io gli deposito cinque- cento ducati; questa è una parte della somma che de- stino alla compra del terreno sopra cui voglio edificare questa casa.'' Il fiig. Billon, mollo sorpreso, riguardò

') Lo ricercò fìe fni(^ iiju. ^) Tacciata d' avarizia i)(é @eijf5 befdjulbigt. 3j"j.(.rjgno M^à)€v.

214 NOVELLA XLI.

fissamente madama Dorvilliers. ,,E ciò vero? diss' egli . . . Quanto sono ingiusti gli uomini. Voi , che vi credeva la più avara delle donne , avete avuta l' anima nobile di privarvi di tutte le dolcezze della vita per acconsentire a comparire avara , e ciò a fine di met- tervi in istato di consolare gli afflitti. In verità io vi rispetto al presente quanto fino ad ora vi dispregiai. Andiamo, mia generosa cugina, voglio esser a parte ancor io d'un' opera cosi generosa: dimani mattina verrò a prendervi, e insieme ci presenteremo al magi- strato." Madama Dorvilliers ritornò a casa piena di gioia, credendosi sicurissima di aver acquistato la stima del ricco Indiano. Egli mantenne la parola, e all' indo- mani si rese da lei ^) con una somma considerabilis- sima, che fu rimessa nelle mani del magistrato , unita- mente ai cinquecento ducali della vedova.

,,Io sono stato ingannato intorno al carattere di questa donna, dicea il signor Billon al suo amico mer- cante. Oual anima generosa! le limosine di madama di Seranges nulla sono a petto ^) di ciò eh' ella fece .. . Sì, io la preferisco a sua sorella, e questa è quella ch'io voglio arricchire. Un vecchio domestico del padre di queste due dame è qui , disse il mercante ; egli è venulo per informarsi ove voi alloggiate, e chiede istan- temente di trattenersi secovoi. Fatelo venire al più presto, disse it signor Billon: senza dubbio egli ha bi- sogno di me. „8i fece entrar il povero Bertrad, che tale è il suo nome." Che posso io fare per voi, mio caro amico, gli disse l' Indiano *? Ahimè ! signore, io sono liu infelice , e voi , si dice , che siete buono : ecco ciò che mi ha condotto a voi. Io sono stato vert' anni continui al servigio di vostro zio ; dopo la sua morte mi sono maritato, feci un piccolo commercio; ma

^) Si rese da lei tvgab fid^ gu i^r, -^ ^) A petto in JBcrgleic^.

IL RICCO INDIANO. 815

un incendio m'ha consumato, tre anni sono, quasi tutte le mie mercanzie. Questa disgrazia mi pose fuori di stato di alimentare e d'allevare la mia famiglia. Io vengo a pregarvi di porgermi i mezzi per fare appren- dere un mestiere a mio figlio *).

,,E perchè non avete fatto voi ricorso a Madama Dorvilliers o a Madama di Seranges ?

„Io lo feci, signore, ma in vano: Madania Dor- villiers mha rifiutato i soccorsi: l'altra, a dir vero, m' ha offerto una leggiera assistenza , ma a condizione però che andassi a prenderla unitamente agli altri po- veri, a' quali ella l' elemosina nel giorno da lei de- stinato. Ma se non ama ella nasconder i suoi benefizi, amo ben io tener nascosta la mia miseria , e ben dura cosa sembrami andare a mendicar il mio pane alla porta d'un casa che vent'anni continui fedelmente servii. A .sì duro passo ho preferito rimanermi nella mia miseria.

,,E cosa è divenuto dei vostri figliuoli ?

..Mia figlia ha la felicità d' essere allevata da una vostra cugina, chiamata Sofia. Questa generosa per- sona 3 povera ella medesima, trova nulla ostante an- cora il mezzo di far del bene.

„Che dite voi? ho io una cugina povera e gene- rosa, ed io non la conosco ! Chi adunque è ella ?

,,Questa è la sorella delle dame Dorvilliers e di iSeranges, la terza figlia del vostro zio.

„Come è ciò possibile? le sorelle giammai non ,me ne hanno parlato? dove dimora ella? e donde viene la sua povertà ?

,,Dopo la morte di suo padre confidò la più gran parte de' suoi beni ad un mercante, il quale persegui- tato dall' avversa fortuna ebbe a fallire. Vedendo ella che non aveva facoltà bastanti per vivere in città, si

*) Far apprendere un mestiere a mio figlio ' um meincm (Hof;ne ein J&anbwerf Icrncn ju laffen.

316 NOVELLA XU.

ritirò in campagna da un' amica, moglie di un ministro di villaggio. ella mena una vita la più rispettabile, impiega una parte del suo tempo a fare degli abiti per i poveri e nell'istruzione di due o tre fanciulle. Co' suoi discorsi, col suo esempio le ammaestra ad esser docili, operose e sofferenti. Se v'è qualche ammalato nel villaggio, va ella tosto a fargli visita, e la sua presenza lo consola e gli fa del bene.

„Ecco la persona ch'io cercava, disse il signor Billon : mio caro Bertrad, domani io monterò in vet- tura, e partirò pel villaggio di Sofia ; voi verrete con me. Non abbiate più inquietudine per i vostri figli; io. m'incarico di farli allevare. Voi siete troppo vecchio per servire; andate a domandar congedo *) al vostro padrone; io voglio che tranquillamente passiate il resto de' giorni vostri.

„Io impiegherolli a benedir voi e Matlamigella Sofia."

Il giorno seguente il signor Billon, giunto al vil- laggio, chiede di parlare al ministro, e gli fa alcune domande sulla condotta di sua cugina. „Ah! ^signore, gli rispose il ministro. Sofia è un angelo. Qualunque altra persona si sarebbe data in braccio alla più cru- dele afflizione perdendo i suoi beni, ma per lei questa disgrazia non ha potuto scemare la sua bontà, e questa bontà è che felice la rende. Io vi prego, signore, disse l'Indiano, annunziarle che un parente, che non ha ancora veduto , è impazientissimo di conoscerla"' Sofia, sbigottita da tanta premura, ricevette il^signor Billon con la sua gentilezza e con le grazie sue ordi- narie. Dopo avere ragionato qua Iche tempo seco lei , le disse l'Indiano: „Io sono incantato di voi, mia cara cugina ; voi mi piacete mille volte più senza ornamenti cogli abiti vostri di tela, che la baronessa di Seranges ^) Domandar congedo fcinc (^ntlajTuiig mà)\nà)m.

IL RICCO INDIANO. 21»^

con tutta la magnificenza sua; e benché povera, mi sembrate all' aria d' esser cento volte più contenta che Madama Dorvilliers con tutte le sue ricchezze. Ma come è ciò che queste dame non mi hanno parlato di voiT siete forse in discordia? Non sanno esse forse dove voi siate ? Ho troppo interesse per le mie sorelle, rispose Sofia , per non aver trascurato di conservare una corrispondenza con esse : egli è tre giorni eh' io scrissi e all'una e all'altra. Oh, cuori malvagi, esclamò il signor Billon, io non posso perdonar ad esse questa indifferenza per una sorella così amabile. Perdonate loro ,• ve ne prego, disse Sofia: questo è un errore eh' esse in seguito ripareranno. No , non è questo un errore, disse l'Indiano: sanno esse be- nissimo nel fondo del loro cuore quanto migliore di essQ voi siate ; e per tal motivo non voleano eh' io vi conoscessi; soprattutto volevano profittar sole delle ricchezze che dall' Indie io avea riporlate. Ma s' ingan- narono nel loro progettò: non voglio lasciar la mia fortuna certamente a madama di Seranges, imperciocché non fa del bene che per vanità, a fine di passar per caritatevole; voglio arricchire Madama Dorvilliers, perché non fa del bene che per interesse. La prova n' è che tutte e due rifiutarono di soccorrere secretamente un vecchio domestico del .padre loro. Dopo che intesi questa circostanza, non sono più grato a Madama Dor- villiers dell'ospitale che voleva far edificare, ed io suppongo che non ha formato questo disegno che per tirare a la mia fortuna. Per voi, mia cara Sofia, voi fate del bene perché é pregevole e grata cosa il farlo; perciò risolsi di dichiararvi mia sola erede, ed al pre- sente potrete disporre di tutto ciò che è in poter mio. Io Io so, voi non avete bisogno d' esser ricca per esser felice, ma molti saranno felici se voi possederete delle ricchezze.

I IK ]) 1 e E.

L.

Novella I. JLia Vedova ammalata pag. 1

II. Riccardo Macwil » 4

III. Il Quadro •. . . » 11

IV. Damone e Pilla » 14

V. Etelredo j, 20

VI. Teresa Balducci » 24

VII. Alimek o la Felicità, Novella Araba . » 29

Vili Sidney » 40

IX. Federico Lanucci >, 50

X. Pippo e Menicuccio » 56

XI. Uggero il Danese » 65

XII. Antonio Leonelli » 71

XIII. Guglielmo Teli » 77

XIV. I due Fratelli » 84

XV. Tiohang, Novella Cinese » 87

XVI. Le Donne di Weinsberg » 92

XVII. Ibraim, Novella Persiana » 95

XVIII. Le Gioje involate » 99

XIX. Il Torto riparato . .' » 106

XX. Il Conte d'Orengo, o l'Educazione . . » 110

XXI. La Sposa amorevole » 119

XXII. L'Avidità » 123

XXIII. La Beneficenza ingegnosa » 126

XXIV. L'Incendio » 129

XXV. Il Matrimonio » 132

XXVI. L' Amor della patria ....... » 139

XXVII . I Fantasmi notturni » 141

XXVIII. Aneddoto del maresciallo di Turrena . » 145 XXIX. Lo Schiavo riscattato » 147

XXX. Baldassare de Lama . » 153

XXXI. 11 Fratello generoso pag. 158

XXXII. Il Cambio avventurato s 162

XXXIII. Il Fallimento » 169

XXXIV. L'Ingratitudine » 172

XXXV. Guglielmo Penn » 179

XXXVI. La Probità ricompensata ^ 1 83

XXXVII. La saggia Fanciulla » 188

XXXMII. Rosalia . » 195

XXXIX 11 Mattino fortunato » 204

XL. L'Oppressore punito, Novella Orientale » 209-

XLI. II ricco Indiano » 211

E r r a t a.

Corrige,

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Soave, Francesco

Novelle morali di Francese Soave

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