en ih ‘ BATTISTA GRASSI SECONDA EDIZIONE NOTEVOLMENTE ACCRESCIUTA fe. con 21 FIGURE NEL TESTO E 8 TAVOLE DOPPIE (PUBBLICATA IL 5 OTTOBRE 1901) ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 19010 A GIUSTINO FORTUNATO Caro Amico, Tu mi hai permesso di illustrare col tuo hel nome la prima pagina di questa seconda edizione del mio lavoro sulla malaria: ora permettimi di aggiungere che il tuo patrocinio è per me la massima soddisfazione e che io metto sotto il tuo patrocinio so/tazto una gran parte del mio libro. Escludo dalla dedica la parte polemica, una mal’ erba ch'io sperava di strappare da questa seconda edizione, ma che invece ho dovuto lasciar crescere. Escludo anche il paragrafo sull’ esanofele, intorno al quale si è addensata una nebbia che voglio tenere da te lontana e che diraderò da solo. Profitto dell’ occasione solenne per dirti che le esperienze fatte in svariate parti d’Italia nell’ attuale stagione malarica mi confermano sempre più nella convinzione che il tuo eroico sogno di veder debellata la malaria certamente si avvererà in un tempo non lontano. Questo tempo, se noi italiani non fossimo plasmati con certi istinti di cui tu sei stato sommo interprete, sarebbe molto breve. Disperdendo, come noi stiamo facendo, le nostre forze, le cose vanno un po più per le lunghe; ma, come dico in questo mio libro, per fortuna la malaria è un colosso coi piedi di creta e perciò, in un tempo non lontano, lo vedrai abbattuto anche senza l'intervento di un esercito regolare. Il medico è sempre felice quando ha un rimedio sicuro per distruggere un morbo; pensa, caro amico, che noi nel caso attuale ne abbiamo due: la protezione meccanica e la cura. L'esperienza più serupolosa, l’anno scorso mi aveva dimostrato ad Albanella, con tutta sicurezza, che noi possiamo debellare la malaria colla protezione meccanica; una simile esperienza mi ha dimostrato quest'anno ad Ostia che noi possiamo ottenere lo stesso effetto esclusivamente coi noti mezzi medicamentosi. Se noi combiniamo i due metodi, la vittoria diventa estremamente facile, almeno per chi ha fede, virtù che non è ancora spenta nell’ Italia muova. Spera dunque e riama il Roma 1 ottobre 1901 Tuo GRASSI. a agrari patio a pole digli co i fe Fama IDA LUISTANTIAI AO rear nasali dre 10 di'udi d svoistaibbon agio ala te: ctttinonifane E alti codib'otag DE: ntsao sten druido ì A i ufo ruga 16 ata ala tro ‘rr ao Stella CITA id SI vbndasi canna piinzai nigra! Gf darne di tt sari aplcat 333 COVO CO TVIC COVA va IGO. QUIERO 1% UbTarsi ata "Hog RIT i iglos af Aaharib edita atta fio 7 dialoga Giada avpatrogen ok 6/4 pri af astastda gl dado “apne Abate 14 orgine. niofprstaon fue dftalagi dicbrata stai VORO detation ultabai ot “otallodol ta bot 0° Sings ont der dé dlfraet. gag naiate io on mat seri dato noe co. afipit (Addataa dle upigtni conii odate fon it inoale sitridacaa WET ‘BREGIY BE detot a Pra sprani dala ua Ao ario ndo ondil bia Disegni vil Si Ent, Oi; DELIA do MIDO foro ep ai ni 1a] LATISANA io Pia Wi Sigle Ghiames ie ih oO e palotrane al ‘ropb omaldie: sie stato, dat) Sit i E dr detusa ohi asolo sà gemtticon il 919 u E gia ostia oo, Sa sare: tI E hg ù dntvona ri "pe cul dere Li abbia so RE TRREINOTTÀ, ordine iueatavieniazu oftattueeaà! CRT ta IN aflati petipi pi «ipa nia) arpa STILO iurtaiora Lauro ally 4 6 A titola Aldi irritati INDICE LETTERA A GIUSTINO FORTUNATO. RI FAAMIIURENZER,:, e ene De aaa INTRODUZIONE. CAPITOLO T. Cenni storici . Appendice I. x Appendice II: ni dor cenni totti inte Ginaie oh E, oto alla trasmissione della malaria 1. Ricerche di Ross sulla malaria aa pag. 38; A) nel TOR 1896- 97, p. 38; B) nell'anno 1898, p. 38. — 2. Risultati ottenuti da Ross nel 1898 con i parassiti malarici degli uccelli ILL e Halteridium), p. 39. — 3. Induzioni per analogia riguardo alla malaria umana, p. 39. — 4. Ciò che restava da scoprire dopo l'opera di Ross, p. 40. — 5. Risultati delle ricerche fatte o da me solo o in collaborazione con Bignami e Bastianelli, p. 41. — 6. Conclusione, p. 43. Aggiunta durante la correzione delle bozze (luglio 1901). . CAPITOLO II. La malaria e gli animali succhiatori di sangue. Dati empirici riguardanti la malaria . 2. Mosquitos senza malaria e non viceversa. uu SRCONSINO Animali ematofagi . Culieidigmespeciale: e eee, . Anopheles . a) Dati storici, p. 59; 4) Divisione geografica, p. 60; e) rate delle varie specie, p. 60; d) Località in cui si sviluppano, p. 61; e) Quantità nelle varie stagioni, p. 64; 7) Habitat degli alati, p. 67; 9g) Alcuni rapporti tra la loro distribuzione e quella della malaria, p. 67; 4) Distanze a cui si spingono, p. 69; è) Influenza dei venti, p. 74; 2) Ostacoli, p. 75; 2) Con- siderazioni, p. 76. Conclusioni (1899) . Anofeli fuori d'Italia 3 Località con Anofeli e senza malaria . - Altre aggiunte riguardanti osservazioni fatte si 1900 Hugli I pheles. Appendice: osservazioni termometriche PAG. 45 48 48 50 51 59 59 77 78 79 80 84 CAPITOLO III. . Metodi di ricerche . : 1. Cattura e allevamento dei RUDI ; 2. Modo di esperimentare. 3. Esame delle zanzare CAPITOLO IV. Brevi cenni sistematici, anatomici e fisiologici sugli Anofeli . 1. Distinzione dei Culicidi in due sottofamiglie ; « a) Sottofamiglia Anophelinae, p. 95; 3) Sottofamiglia Culicinae, p. 95. 2. Atteggiamento dei Culex e degli Anopheles . 8. Uova degli Anofelini. . 4. Larve degli Anofelini . 5. Ninfe degli Anofelini . 6. Anofelini allo stato di insetti pot A) Caratteri esterni. 200 B) Cenni anatomici e fisiologici. C) Notizie sistematiche sugli Anofelini a Anopheles claviger, p. 113. — Anopheles eci: p. 114. — Anopheles superpictus, p. 115. — Appendice, p. 117. — Anopheles bifurcatus, p. 118. CAPITOLO V. Cenni sui costumi degli Anofeli. 1. Anopheles claviger . 2. Anopheles pseudopictus. 3. Anopheles bifurcatus 4. Anopheles superpictus . 5. Osservazioni varie 6. Conclusione. CAPITOLO VI. Parte sperimentale e decorso dell’ epidemia. ; 1. Esperimenti dimostranti che le varie specie di Anophete propa- gano la malaria dell’ uomo. : 2. Esperimenti dimostranti che i Culex, il Centi i Phlebo- tomus ecc. non propagano la malaria umana. A) Esperimenti col Culex pipiens, p. 137. — B) oa, sa altri Culex, coi Phlebotomus, coi Centrotypus ece., p. 139. 3. Esperimenti dimostranti che gli Anopheles inoculano la malaria all'uomo . 4. Esperimenti e osservazioni dimostranti chie gli Anophels 1 nascono senza germi malarici. 5. Esperimenti e fatti dimostranti che la indebita dell uomo non "ne nulla a che fare con la malaria degli altri animali 6. Esperimenti ed osservazioni riguardanti l'influenza della tempe- ratura sullo sviluppo dei parassiti malarici 100 100 103 104 105 107 112 120 120 127 128 128 180 152 139 153 136 141 146 147 148 AVA 7. Conseguenti considerazioni sull'andamento delle epidemie malariche. SaMalaria; nelWpaestatropicali ae Sa Rursade ab eta Li 9. Conclusioni. CAPITOLO VII. Sviluppo dei parassiti malarici umani nel corpo degli Anofeli. . 1. Premesse riguardanti i parassiti malarici nel corpo dell’ uomo. A) Osservazione di Metschnikoff B) Scoperte italiane ASD BO Bar C) Nucleo dei parassiti malarici nel corpo POT D) Nomenclatura riguardante i vari stadi dei parassiti xialésici anche nel corpo dell’Anopheles. . /./././.... E) Partenogenesi dei gameti? F) Dove e come sviluppano i gameti . G) Come si riconoscono i gameti : 7 a H) Caratteri zoologici delle singole specie dinulo il cielo umano. 1. Plasmodium malariae, p. 169. — 2. Plasmodium vivax, p. 170. — 3. Laverania malariae, p. 170. 2. L'Amfionte nell’Anopheles. A) L’Amfionte nel lume dell’intestino medio. . . . o B) L’Amfionte dentr» la parete dell'intestino medio Hue ala sua maturanza . I. Migrazione dell’Amfionte nella tunica elastico-mu- scolare. Sua sede precisa. Sua forma e massima grandezza II. Amfionti osservati a fresco . III. Amfionte sezionato e colorito . , SLA a) Come si comportano i nuclei fino alla formazione degli sporo- zoitoblasti, p. 180. — 4) Come si comporta il citoplasma prima della formazione degli sporozoitoblasti, p. 183. — c) Formazione degli sporozoitoblasti, loro trasformazione in sporozoiti e matura- zione degli sporozoiti, p. 184. — d) Masse residuali, p. 186. — e) Disposizione degli sporozoiti, p. 187. — f) Vacuoli di due sorta: cioè rivestiti e non rivestiti di sporozoiti, p. 187. — 9g) Riassunto, p. 188. — 4) Rottura della capsula, p. 189. IV. Corpi bruni e corpi giallo-bruni (forme d’involu- zione). si ded Calde ciba) C) Passaggio degli sporozoiti nelle slug salivari. D) Amfionti delle varie specie di parassiti malarici. . E) Altri sporozoi parassiti dei Culicidi. F) Inesistenza di un altro ciclo. 3. Considerazioni generali. CAPITOLO VIII. Obiezioni alla dottrina degli Anofeli. pilab 1. Luoghi malarici senza, 0 quasi senza mosquitos (Anofeli 9). 2. Malaria propagata coll'acqua? ° 3. Acquazzoni malariferi?. PAG. 152 156 156 157 157 157 157 158 161 165 167 169 169 172 172 175 175 177 179 VIII 4. Malaria per mezzo dell’aria? 5. Malaria da sterri? . 6. Malaria in luoghi tas 7. Malaria presa in treno. ; 8. Risanamento colla coltura infenaivin L 9. Risanamento colle costruzioni? . 10. Epidemie malariche tardive . 11. Spontanea attenuazione della malaria . 12. Insetti succhiatori funzionanti da veicolo passivo della rialaia ni 13. Inoculazione artificiale della malaria . 14. Chi infetta l’uomo e la zanzara. 15. Località non malariche e con Anopheles. 16. Casi singolari. 17. Conclusioni. CAPITOLO IX. Profilassi della malaria. 1. Cura obbligatoria della it sotto pure epoca Drecndini l'epidemia . : : Reti (reticelle, tele) Ti e zanzariere. . Distruzione degli Anofeli . . Profilassi individuale (privata) . . Bonifiche 6. Riassunto . CAPITOLO X. Breve relazione dell’ esperimento fatto sui ferrovieri nella Piana di Capaccio in provincia di Salerno nel 1900 sotto ia dire- zione del prof. B. Grassi. : I. Concetti direttivi dell' STRETTI , II. Resoconto dell'esperimento. Aggiunta riguardante l'esanofele . Conclusione . Letteratura . Aggiunte (!). AR dti Le i loi i ou I. (settembre 1901) A proposito del paludismo senza malaria . II. (30 settembre 1901). A proposito delle obiezioni di Koch contro la profilassi meccanica. ; III. (30 settembre 1901). L’arsenico e l'ande tino: la malaria. IV. (8 ottobre 1901). na Mioeiohe epdemiolgiche ‘del Lotta sore A. Dionisi CA È Spiegazione delle tavole . Ut 0 N PAG. 218 221 225 225 224 224 225 225 225 226 226. 226 227 227 229 229 239 257 239 241 244 246 246 249 260 265 265 269 269 276 278 279 281 (') Queste aggiunte mancano nel testo tedesco, come pure le fig. 13, 130, 14a, 148 e 18, inserite nel testo. AVVERTENZE . Le figure vengono richiamate fra parentesi tonde (); servono numeri romani per indicare le tavole, arabi per indicare le figure della tavola ri- spettiva. Quando vengono richiamate parecchie figure in ordine progressivo, tra i due numeri estremi della serie s'intercala una linea invece del punto. Semplici numeri arabi tra parentesi richiamano la bibliografia (Vedi le ultime pagine del presente lavoro). Quando fo uso del plurale, alludo in generale ai miei collaboratori Bi- GNAMI e BASTIANELLI, eccetto là dove parlo delle ricerche da me fatte con Feletti nel 1890 e nei capitoli dove tratto della sistematica, dell’ anatomia e della bionomia delle zanzare, nei quali ebbi per collaboratore il diligen- tissimo laureando in scienze naturali GIovANNI Nos. I luoghi tra parentesi quadre | ] indicano aggiunte fatte dopo il 31 di- cembre 1900. Apuane "SC RIN ea 0 FUMERIA di «II MARIA Muri. dana @ a t dari Der ar, Alida AMI 1 SA Le Lan Bu ata y e n 0 Sr A AU Ù AO ARI TT. Tri, - lina è nu Aia; at Cerda Elan paio MORE: 1 gaazl } si | MI | #® pod "> PILA 2 | 9% Ò PRI | ca 1" cc ao I La i Ù Cn Peg SIRO se stabia Fiaba ITTITTI nu; iavdavia ar) ni paiatdoti Vitvgiane sii: | hrs attivi pa si Lowotfni ug infor: LP UTI nil cr “ otatita th anoniti fut an alnorsial'e ate alli lose ni ibaV): PO Mii Ganimaltait latarmag si cidina finéasra: iii di i) corona! ainsi dat sino . ptc Fidia ibn ta aliene ‘a cbirtto stavo (ob 660 at dg» atil'on de obras etto li Brita Tio ai cost I rt iter” tel n A flourttio dl ife l100* to: MSA iu 9IMINA allob atea AP 3h pina paneion nè ol MID O SAL A, È het, otti ite PI NEO otro Ae # INTRODUZIONE. Non occorre che io premetta considerazioni per dimostrare la somma importanza della questione malarica. Come mi diceva l’amico onorevole Giustino Fortunato fin dalla prima volta che ebbi l'onore di incontrarmi con lui, la malaria costituisce il problema essenziale per l'Italia. Infatti è stato calcolato che essa invade quasi due terzi del territorio italiano, tormenta annualmente qualche milione di abitanti, ne uccide quindicimila e moltissime migliaia rende inette al lavoro, ovvero invecchia innanzi tempo. Il danno economico prodotto annualmente dalla malaria supera certa- mente la terribile cifra d'interessi che l’ Italia sborsa ai suoi creditori. Benchè a noi tra le nazioni civili d' Europa tocchi per la malaria un. tristissimo primato, tuttavia questa piaga non può dirsi retaggio del nostro paese; essa produce infiniti danni in gran parte del mondo e sopra tutto nelle regioni tropicali. Si può asserire che la malaria costituisce un gravissimo ostacolo al progresso nei paesi più fertili di tutto il mondo, come in gran parte d' Italia. Di fronte a una questione di tanta gravità naturalmente gli sforzi per combat- tere la malaria sono stati e sono straordinari. Empiricamente si scoperse che i luoghi malarici potevano essere bonificati prosciu- gandoli, e le opere di bonifica in Italia sono state numerose e molte sono ancora in corso. D'altra parte gli scienziati fecero immani sforzi per tentare di conoscere la na- tura della malaria; soltanto negli ultimi tempi si arrivò a scoprire il parassita che la produce. Questa scoperta devesi a Laveran: essa venne non soltanto completata, ma rinnovata e per così dire moltiplicata da autori italiani, tra i quali cito Marchiafava, Celli e soprattutto Golgi. MERE Scoperto così il parassita, restava da vedere come entrasse nel corpo dell’uomo. Si fecero, come è troppo naturale, le più svariate ipotesi le quali ad una ad una caddero per cedere finalmente il posto alla dottrina definitiva degli Anofeli. La parte da me presa nella risoluzione del problema viene precisata nel capi- tolo: « Cenni storici ». Qui voglio constatare che io mi son dedicato interamente all’ argomento dal 15 luglio del 1898. Fu un lavoro intensissimo e non mai interrotto; in esso fui molto coadiuvato dagli impiegati del mio laboratorio. Si può francamente asserire che per lungo tempo non si prese alcun giorno di riposo, e non si risparmiarono fatiche e disagi per raggiungere la meta. Riguardo alla tanto dibattuta quistione della priorità, era mia intenzione di sop- primere in questa edizione ogni disputa personale; ma gli attacchi poco riguardosi, a cui sono fatto segno, me lo hanno impedito, trattandosi non più di mettere in luce dei meriti de' quali non vado punto superbo, ma di difendere la mia onorabilità scientifica, della quale sono giustamente geloso. Dichiaro fin d'ora che io sono stato ispirato dalle geniali ricerche di Manson sulla trasmissione della filaria e dalla teoria dei mosquztos alla quale Manson stesso e il suo scolaro Ross avevano ten- tato di dare una base positiva; però io ho percorso una via da me aperta. Partendo dall’ osservazione fondamentale che in Italia vi sono molti luoghi infestatissimi dalle zanzare e punto malarici (parlo di malaria umana), conclusi che dovevano incol- parsi specie di zanzare, peculiari dei luoghi malarici e, in seguito ad estesi con- fronti, proclamai come indiziatissimi gli Aropheles, benchè in parecchi luoghi malarici, anche fuori d'Italia, rappresentino appena una esigua parte della falange di insetti succhiatori che vi abitano. Dopo faticosissimi esperimenti, il 22 giugno 1899 giunsi alla conclusione dimostrata che la malaria è dovuta soltanto a tutte le specie di Anopheles: conclusione che dal 22 giugno in poi riconfermai parecchie volte. Percor- rendo la strada mia propria, mi sono imbattuto co' miei collaboratori Bignami e Bastianelli, in molti fatti analoghi a quelli scoperti alcuni mesi prima da Ross per gli uccelli ed ho potuto in parte confutare, in parte considerare come incerti i po- chissimi fatti osservati da Ross per l'uomo, fin dal 1897. Ross e Koch dapprima procedettero sperimentando, a quanto sembra, qualunque mosquzto cadesse loro sot- tomano; e, sia perchè le specie da sperimentare erano molte, sia perchè non basta far pungere un malarico qualunque da un Aropheles per infettarlo, presentando il problema altre incognite inaspettate (gameti capaci di svilupparsi, temperatura opportuna, Aropheles non immuni), sia insomma perchè gli sperimenti coi parassiti malarici umani riescono più difficilmente di quelli col parassita malarico degli uccelli studiato da Ross, nè l’ uno nè l'altro coi loro tentativi fatti nel secondo semestre del 1898 e al principio del 1899 giunsero alla meta, nonostante che tutti e due, conoscendo le pubblicazioni italiane, sperimentassero anche cogli Ax0- pheles. Più tardi, ancora nel 1899, Koch in parte seguì la mia strada consistente nell'esaminare le zanzare raccolte nelle abitazioni dei malarici e giunse a proclamare * — 9 — verosimilissima la colpa degli Azopheles: nel tempo medesimo Ross a Sierra Leone battè quasi esclusivamente la mia strada e prontissimamente confermò ciò che io avevo ammesso parecchi mesi prima: essere, cioè, in tutto il mondo malariferi gli A4r0- pheles. Risulta dunque che /a scoperta degli Anopheles malariferi uscì dal mio cer- vello e che la dimostrazione completa di questa scoperta venne data da ‘me in collaborazione coi dottori Bignami e Bastianelli. Io ho perciò determinato il secondo ospitatore dei parassiti malarici umani. Questa determinazione è notoriamente la parte più difficile in questo genere di studî; infatti, di molti parassiti anche comunissimi quale la B7/harzia, lo Strongylus gigas, ecc., ignorasi il secondo ospitatore, ma di tutti quelli il cui secondo oste è noto, gli zoologi, ogni volta che se ne occuparono, hanno potuto dimostrare tutti gli stadî di sviluppo senza grande difficoltà. In questi miei apprezzamenti mi confortano i giudizi di persone autorevoli. Nuttall, che ha pubblicato uno studio storico molto minuzioso e completo sulla questione, conclude che « a Grassi, accanto a Ross, spetta indubbiamente il merito principale nelle ricerche sperimentali sulla trasmissione della malaria coi mosquzzos ». Si noti che quando uscì questo giudizio (primavera del 1899) non era ancora di- mostrato che anche i pochissimi esperimenti di Ross sull'uomo erano inattendibili (perchè in parte almeno sicuramente erronei: quello da cui deduce che i Culez pipiens possono propagare la malaria umana), e che la malaria viene propagata esclusiva- mente dagli Aropheles. Più recentemente il dott. F. Schaudinn, il ben noto specialista nello studio dei protozoi, e scopritore della generazione alternante dei coccidi, nella Gesellschaft Nat. Freunde zu Berlin, e nel Zoologisches Centralblatt, riassumeva colle seguenti parole il suo giudizio sui miei studî: « Le ricerche cominciate da Ross vennero notevol- mente approfondite e allargate dalla scuola italiana, come capo della quale deve esser considerato il Grassi ». « A Grassi, e alla sua scuola riuscì anche di infettare l’ uomo con zanzare ar- tificialmente infettate, ma in particolare appartiene a quest'osservatore il merito di aver stabilito che soltanto peculiari zanzare, cioè quelle appartenenti al genere A70- pheles, sono capaci di propagare la malaria ». Press' a poco lo stesso giudizio si legge nella relazione di Liihe sui recenti studî intorno agli sporozoi, relazione fatta in base ad una minuziosa bibliografia, compulsata molto accuratamente dal compilatore. Lo stesso Manson, il maestro e la guida di Ross, nella nuova edizione della sua opera Zropical diseases (1900) riconosce a Grassi il merito di aver dimostrato « che certe specie appartenenti al gen. Aropheles sono gli speciali ospitatori dei parassiti malarici dell'uomo ». E dopo di aver citato le ricerche di Grassi e dei suoi collabo- ratori conchiude « l'ipotesi della malaria è ora così passata dalla regione delle con- getture a quella dei fatti ». Questa è la più bella risposta che io possa fare alle pretese avanzate da Ross, al quale mi piace rammentare che immensa è la distanza tra i suoi conati e la dimostrazione positiva fornita in Italia che la malaria umana è dovuta soltanto alle punture degli Aropheles infettatisi pungendo l'uomo. api SE Non posso chiudere questi brevi cenni senza porgere i più vivi ringraziamenti e segnalare alla pubblica riconoscenza coloro che mi fornirono i mezzi necessarî per le mie ricerche. Mezzi relativamente considerevoli e preziosi, perchè giunti nel momento più oppor- tuno, mi vennero forniti dalla Società privata per lo studio della malaria sorta per nobilissima iniziativa dell'on. Fortunato, coadiuvato dagli on. Celli e Franchetti. Ricevetti sussidî dalle Società ferroviarie Mediterranea, Adriatica e Sicula (1899); la Società Mediterranea dietro il valido patrocinio del mio vecchio amico comm. Sco- lari, mise a mia disposizione un numero illimitato di biglietti gratuiti, che permisero a me ed ai miei impiegati di fare moltissime escursioni nei luoghi malarici. Dietro parere del Consiglio Superiore di Sanità ebbi un sussidio (lire mille) dal Ministero dell’ Interno (1899). Poco meno di lire quattrocento mi vennero concesse dal Ministero dell’ Istruzione pubblica (1899). A titolo d’onore faccio qui il nome del comm. Bodio il quale, essendosi trovato con me nel momento, in cui le finanze della Società suddetta per lo studio della malaria erano quasi esauste, ed io non sapevo come trovar modo di continuar le ricerche, sposò la mia causa; e appunto col suo valido patrocinio ottenni i sussidî dalle Società ferroviarie. Esterno i sensi della mia riconoscenza al sig. dott. Mond che generosamente con- corse al pagamento di una parte delle spese per la litografia delle tavole annesse al presente lavoro e all'on. Bertolini, il quale quand'era Sottosegretario di Stato al Ministero dell’ Interno fece comperare da questo Ministero settanta copie della prima edizione di questa Memoria. I conti particolareggiati delle spese si conservano nel Gabinetto d'Anatomia com- parata della R. Università di Roma, dove possono essere verificati da chiunque ne abbia desiderio. Sento infine il dovere di ringraziare in modo speciale la signorina dott. Foà, la quale con molta intelligenza mi ha costantemente coadiuvato durante le mie ricerche. Non debbo tacere che il mio inserviente Mascitti Gesualdo col suo forte talento di osservazione e colla sua mirabile pazienza mi ha reso segnalati servigi in queste ricerche sulla malaria. Roma, 31 decembre 1900. CAPITOLO I. Cenni storici. Nuttall (65 e 66) e Lihe (53 e 57) hanno pubblicato in un giornale diffusissimo tutte le notizie storiche più importanti sulla teoria dei Mosguzzos (*) come agenti pro- pagatori della malaria. Perciò io qui non potrei fare che una ripetizione superflua. Alcuni particolari però vogliono essere ulteriormente svolti, e questo è quanto intendo di fare nel presente capitolo. co 4g La vecchia teoria dei mosquztos era stata rinvigorita e rimessa sul tappeto quando iniziai le mie ricerche. Già negli autori romani, Varrone, Vitruvio e Columella, si sono trovati accenni ai rapporti tra le zanzare e la malaria. Il nostro Lancisi nel secolo passato ammet- teva che le punture delle zanzare fossero uno dei veicoli dell'infezione malarica. Nel 1883 King tornò ad accusare fortemente le zanzare; senonchè nell’anno suc- cessivo Stebbins combatteva l'opinione di King dimostrando che « malaria e Culea sono ampiamente distinti alla spiaggia del mare, dove molti che lasciano le loro case in città per sfuggire alla malaria, vengono perseguitati dai Culez ». Dopo la scoperta fatta da Manson di un moscerino (mosquzto) il quale fa da ospite intermedio della filaria del sangue dell’uomo, l'ipotesi dei rapporti tra i mosce- rini succhiatori di sangue e la malaria, diventò, per così dire, tanto naturale che venne messa innanzi da Laveran nel 1891, da Koch nel 1892, da Manson nel 1894 ecc. Per un momento, io stesso l’accolsi nel 1890, purtroppo però gli sperimenti allora impresi nel mio laboratorio a Catania per dimostrarla, riuscirono negativi. (Oggi so che l'insuccesso si deve attribuire alla specie di zanzara usufruita, che era il Culex pipiens). Questi risultati negativi, insieme ad altre considerazioni (tra le quali primissima la circostanza che vi sono luoghi, i quali dal volgo vengono detti le mamme delle zanzare e che non sono punto malarici), mi allontanarono dall’ ipotesi delle zanzare. Il 1893 va segnalato per una scoperta che, se fosse stata accolta colla fiducia che meritava, avrebbe dovuto confortare fortemente in tutto il mondo scientifico, l'ipotesi delle zanzare. Due autori americani, Smith e Kilborne, scoprirono che la malaria dei (4 Nome molto in nso in Germania, in Inghilterra e in molti paesi tropicali per indicare tutti gl'insetti alati piccoli che ci succhiano sangue: in italiano si tradurrebbe moschinì o moscerini. NBA ge bovini, prodotta da un parassita non molto lontano da quello malarico dell’uomo, viene propagata per mezzo di una sorta di zecca. Fu specialmente questo fatto che fin dal 1893 condusse Bignami all'ipotesi che esistessero rapporti tra le zanzare e la malaria, ipotesi ch'egli e il collega Dionisi cercarono subito di fondare sopra una serie di osservazioni e di esperimenti. Il lavoro di Bignami è uscito però soltanto nel 1896, preceduto di pochi mesì da un secondo scritto di Manson e da appunti di Mendini nella Guida igienica di Roma. I Manson, basandosi su ragioni di analogia colla filaria e sopra osservazioni di Ross, ammise che i parassiti malarici arrivati col sangue nel corpo del mosquito si moltiplicassero e poi, colla morte del mosqguito, passassero nell'ambiente esterno per ritornare all'uomo coll'acqua o coll’ aria. Mendini in seguito ad un ragionamento per induzione, concluse che il germe malarico non può penetrare nè coll’ aria, nè coll’ acqua, e che la sola ipotesi conforme ai fatti è l'‘noculazione fattaci da un insetto notturno, forse il Culex pipiens che ha raccolto i germi malarici dal terreno, o dall'acqua stagnante. Poco differente fu l'ipotesi di Bignami, il quale però credendo che le zanzare depositassero le uova oltre che nell’ acqua anche nei luoghi umidi, non trovò contradi- zione inconciliabile fra la sua ipotesi e quella del terreno. Bignami insistè molto nella sua ipotesi, che non abbandonò, nonostante gli insuccessi costantemente seguiti alle sue prove sperimentali. Nello stesso anno 1896 usciva l'importante opera di Ficalbi sulle zanzare, dalla quale risultava che molte sono le specie pungenti l'uomo. Nell inverno 1896-1897 ebbi ripetutamente occasione di trovarmi con Dionisi e con Bignami, e discutere con loro l'ipotesi delle zanzare. Le loro argomentazioni connesse da me colla pubblicazione di Ficalbi, mi fecero tanta impressione che si com- binò, per l'estate ventura, che Dionisi avrebbe tentato la riprova sperimentale sugli uccelli nel mio laboratorio. Infatti nel luglio 1897 Dionisi venne da me e cominciò una serie di esperimenti, che poi proseguì nel laboratorio di Anatomia Patologica, essendomi io allontanato da Roma, sopratutto a cagione della mia malferma salute. Bisogna qui premettere che, come io ho stabilito fin dal 1890, negli uccelli pos- sono trovarsi due generi di parassiti malarici: Za/lteridium e Haemamoeba (Pro- teosoma). Avendo io scoperto nei piccioni l’Ya//eridium, suggerii a Dionisi di sperimen- tare con questi uccelli domestici e molto resistenti. Purtroppo il mio consiglio gli portò sfortuna, perchè fino ad oggi nessuno è riuscito a dimostrare come si propa- ghi l'Halteridium, mentre con un metodo d'esperimento identico a quello usato da Dionisi, senza difficoltà, come dirò più avanti, Ross dimostrò la propagazione del- l'altro genere di parassiti malarici che non troviamo nei piccioni, cioè l'uemamoebda, per mezzo della zanzara più comune di tutte, il Culex pipiens (grey mosquito di Ross). Spetta però, lo si noti, a Mansonil grandissimo merito diavere suggerito a Ross di rintracciare il parassita malarico e seguirlo dentro il corpo della zanzara. e Nel 1896 Ross fece pungere individui malarici da mosquztos e osservò che i parassiti si comportano nell'intestino del mosquito, come nel sangue fresco e che cioè, essi formano i flagelli destinati a penetrare nei tessuti dei mosquztos per poi ulteriormente svilupparsi. Ricercando quindi nelle larve dei mosquztos, vi trovò certe gregarine, che mise in rapporto probabile coi flagelli suddetti. Le pseudonavicelle di queste gregarine, eliminate cogli escrementi, infetterebbero le altre larve dei mosquztos. Aggiungasi fin d'ora che in un lavoro, che non ho potuto consultare (65), evi- dentemente fatto nel 1897, ma pubblicato soltanto nel 1898, si legge, che Ross trovò simili gregarine e anche parecchi altri protozoi nei mosquitos in Sigur; ognuno di essi, egli soggiunse, potrebbe essere una forma dimorfa del parassita malarico. Nell'ottobre del 1896 Ross pubblicava una serie di esperimenti che si possono riassumere come segue: Acqua contenente tritume di mosquzlos nutriti col sangue di un paziente mala- rico fu somministrata a dieci individui sani. In tre si sviluppò la febbre, in uno di questi forte e accompagnata dai parassiti malarici nel sangue. Acqua contenente le suddette pseudonavicelle fu somministrata a dodici individui; in due si ebbe la feb- bre, in uno di questi con presenza di corpi somiglianti ai parassiti malarici. Quattro individui sani furono fatti pungere da mosquitos; gli sperimenti riuscirono negativi. Anche gli altri protozoi parassiti trovati, come sopra ho detto, in Sigur furono da Ross fatti bere ad un uomo; questi, cinque giorni dopo, fu attaccato dalla febbre (maggio 1897). Le supposizioni e i fatti di Ross fin qui accennati non sono punto serî, ciò che ammette Ross stesso; e perciò non occorre insistervi. Nell'agosto e nel settembre 1897 egli otteneva alcuni altri risultati poco per- suasivi. Siccome essi servirono recentemente a Ross per un infondatissimo reclamo di priorità contro di me, così credo opportuno riferirli qui in esteso. Nell'agosto 1897 Ross s' imbattè in peculiari mosquztos colle ali macchiate (dap- pled-winged Mosquitos: così li denominò senza accennare nè alla famiglia, nè al genere, nè alla specie), dei quali fornì alcune insufficientissime (“) notizie zoologiche, notando anche che queste sue osservazioni « sulle caratteristiche dei suddetti mosguztos non sono state molto accurate », perchè fatte in un'epoca, in cui credeva di poterne trovare molti altri, mentre invece dopo s' accorse ch'erano molto rari. Gli esperimenti con queste specie di zanzare gli diedero un risultato che deve essere qui estesamente riferito. Otto dei mosquitos in discorso punsero un individuo affetto di semilune; quattro vennero uccisi subito dopo che si erano nutriti, per lo studio dei flagelli; altri due (4) L’A. non dà alcuna notizia sulla lunghezza dei palpi, carattere di fondamentale importanza per la classificazione. Dice che le uova, almeno quando non sono completamente sviluppate, sono quasi a barchetta con linee irradiantisi dal margine concavo, per quanto egli ha veduto, una figura unica per le uova di mosquitos. « La specie sembra appartenere ad una famiglia distinta (sic) dalle solite specie (Qrindled and grey insects); ma vi ha qui una specie affine, soltanto molto più snella, più bianca e molto meno vorace ». 22 uccisi rispettivamente dopo 2 e 4 giorni diedero risultato negativo; due altri infine esaminati rispettivamente dopo 4 e 5 giorni mostrarono delle peculiari cellule pigmen- tate che Ross mise in rapporto coi parassiti malarici basandosi specialmente sulla somi- glianza del pigmento (risultato reso pubblico nel dicembre 1897 (70)). « Nonostante molti tentativi fatti non riuscì a procurarsi altri mosquitos della stessa specie ». Avendo Ross antecedentemente, com' egli dice, esperimentato su migliaia di altri mosquitos con risultato negativo, supponeva di essere finalmente riuscito a trovare la vera sorta di mosquito, che è capace di servire da oste intermedio ai parassiti ma- larici. Notisi a questo riguardo che Manson aveva già espresso l'opinione che ogni ematozoo probabilmente ha bisogno di una particolar sorta di mosquito funzionante da oste intermedio come deve accadere anche per le varie specie di filaria. Poco più tardi, cioè nel settembre, Ross si procurava dei mosguitos colle ali mac- chiate, di una varietà piccola e comune (ordinary mosquito). « In una ventina di indi- vidui esaminati prima che si fossero nutriti o dopo che si erano nutriti con sangue di uomini sani, non riscontrò mai le suddette cellule piomentate. Due però alla fine punsero un individuo affetto di semilune: uno, weciso il giorno seguente, non presentò le cellule pigmentate, il secondo invece dopo 48 ore presentò molte cellule pigmentate ovalari lunghe circa 7 w. «...Un centinaio e più di mosquitos grigi (grey mosquitos) non nutriti o nu- triti con sangue di uomini sani o affetti di semilune sono stati dissezionati senza trovarvi le cellule pigmentate, alla fine ne osservai uno che era stato veduto nutrirsi sopra un paziente terzanario ... « Io giudicavo per molte ragioni che occasionalmente si fosse nutrito sul medesimo uomo per parecchi giorni. È stato ucciso tre giorni dopo, quando doveva essere uscito dal periodo di ninfa da una settimana. Il suo stomaco conteneva un gran numero di cellule pigmentate misuranti da 8 a 25 4». (Brano della pubblicazione di Ross del febbraio 1898) (70). Aggiungasi che Ross insiste nel notare che le cellule pigmentate del mosquito grigio corrispondono esattamentea quelle vedute nei m0- squitos colle ali macchiate. Per poter giudicare del vero valore di questi esperimenti è d'uopo aggiungere che dopo aver determinato che l'Amopheles claviger in Italia propaga la malaria, lessi molto attentamente le suddette pubblicazioni di Ross venendo alla supposizione che i suoi mosquitos colle ali macchiate potevano appartenere a questa stessa specie. Per mezzo del sig. dott. Charles mi rivolsi perciò a Ross, per avere degli esemplari dei mosquitos da lui studiati. Egli infatti mi spedì parecchi esemplari di mosquito grigio e un esemplare di m20squ7t0 colle ali macchiate. Ho potuto così stabilire che il mosquzto grigio è nient'altro che il Culez pipiens (°), tutt'al più una varietà, e che il mosquzto (2) Giles (42) pretende che si tratti di una specie completamente distinta e precisamente del Culex fatigans Wied.. Avendo riesaminati gli esemplari speditimi da Ross persisto nel mio avviso primitivo e asserisco che nessuna delle differenze stabilite da Giles ha valore: esse rappresentano variazioni facili a riscontrarsi anche nei nostri C. pipiens, eccetto la differenza nella venatura delle ali, che è un'illusione dovuta a osservazione inesatta. = colle ali macchiate è molto affine all'Aropheles superpictus (*). Feci noto il risultato di questi esami a Ross, il quale il 5 febbraio 1899 per mezzo del dott. Charles mi faceva sapere (un accenno se ne leggeva già nella lettera precedente) (?) che molti esemplari della specie del mosquito colle ali macchiate uguali a quello a me spe- dito avevano dato risultati negativi in due casi di semilune e in un caso di terzana matura. (Contemporaneamente invece io dimostravo con Bignami e Bastianelli che l'Anopheles superpietus propaga la malaria umana). Risultati del pari assolutamente negativi egli aveva conseguito con due altre varietà di mosguztos colle ali macchiate. Posso aggiungere che questi sperimenti negativi coi mosqguztos dalle ali macchiate, come ha più tardi pubblicato Daniels (102), collaboratore di Ross, si estesero a due buoni terzanari e a tre semilunari (in due le semilune erano in numero consi- derevole). Pereiòd tutti gli esperimenti fatti da Ross in India colle zanzare dalle ali macchiate (si trattava sempre di Anopheles?) diedero risultato negativo alla fine del 98 e al principio del 99. A questo riguardo si tenga ben presente che tra gli esperimenti del 97 giudicati facilmente da Ross positivi e quelli negativi del 1898-99 stanno intercalate le sue buonissime ricerche su uno dei parassiti malarici degli uccelli. Ciò vale a dire che nel frattempo Ross aveva acquistata tutta la pratica necessaria per condurre inappuntabilmente quei suoi esperimenti, che diedero ri- sultati negativi e che hanno perciò molto maggior significato di quelli pretesi posttivi. I suoi cenni sul mosquito grigio e sul mosquito colle ali macchiate non pote- vano del resto in alcun modo guidare le ricerche di altri studiosi perchè, mi si perdoni la ripetizione, Ross aveva incolpato un mosquito grigio, cioè colle ali non macchiate e due colle ali macchiate, senza nemmeno indicare che si trattasse di Culicidi. Ne risultava dunque che potevano propagar la malaria i mosguztos colle ali mac- chiate e quelli con le ali non macchiate. Se si riflette che tutti i mosquztos (zanzare, serrapiche, papataci, moschini o moscerini) rientrano necessariamente o nell'una o nell'altra categoria, io non so che cosa di preciso si potesse ricavare dai dati di Ross, che non si curò neppure di conservare quei mosguztos che gli avevano dato risultati positivi! Aggiungasi che vi sono mosquitos colle ali non macchiate, appartenenti al ge- nere Aropheles come vi sono mosquitos colle ali macchiate appartenenti al genere Cules. In Italia vi sono 5 specie di Cu/ez colle ali macchiate, che ritengo incapaci di propagare la malaria. Una di queste specie è così somigliante all’Amopheles su- perpictus che il mio scolaro Noè lo ha denominato Oulex mémeticus (°). In Italia è poi comune un Anopheles colle ali non macchiate che pure propaga la malaria. Dal carattere delle uova indicato dal Ross, almeno per una parte dei suoi m20- squitos colle ali macchiate, non potevasi ricavare alcun profitto, ignorandosi quando (2) Quest’ Aropheles viene descritto da (Giles come specie nuova (A. oss?): egli aggiunge che Austen ha distinto tra gli Aropheles raccolti a Calcutta da Ross, oltre all’A. Rossii due altre specie, sp. a, sp. d (vedi Capitolo IV). (2) Uso di queste lettere perchè anche le mie notizie private servirono a Ross. (°) [Esso è comune anche in India (Giles)]. ES RR uscì la sua Nota, come fossero le uova di Aropheles (*). Aggiungasi che di questo carattere non viene più fatto cenno da Ross finchè dopo i miei studî egli si avvide che gli poteva servire ad appoggiare l’asserzione che i mosquztos, con cui aveva sperimentato, fossero Aropheles. Risulta dunque evidente che i dati di Ross non potevano far pensare agli Anopheles, nè guidare le ulteriori ricerche ancorchè fossero stati inappuntabili. Ma sono veramente tali? Ross non ha detto esplicitamente nelle Note del 97-98 (69) che i mosquitos dalle ali macchiate, che gli hanno dato risultati positivi, fossero stati allevati direttamente dalle larve: il non aver notato la spiccatissima differenza delle larve, che doveva cer- tamente colpirlo, se avesse allevato veramente gli Aropheles, fa pensare che egli sperimentasse con Anofeli che erano stati presi già alati. Il che potrebbe far sospettare che fossero previamente infetti, non essendo ancora dimostrato che soltanto i paras- siti malarici dell’ uomo e non quelli di altri mammiferi possano svilupparsi negli Anofeli. Ma è poi certo che quei Ditteri, che diedero a Ross i supposti risultati posi- tivi, fossero Anopheles? La descrizione delle uova fa pensare veramente che Ross sperimentasse cogli Anofeli, ma chi può dire che non ci siano in India all'infuori degli Anofeli altri Culicidi e altre famiglie di Ditteri emotofagi (mosquztos) che abbiano le uova a barchetta colle linee indicate da Ross? Nessuno ancora sa come siano fatte le uova di Aédes e di Megarhina. Chi può dire che tutti gli esemplari di Ross fossero Ano- feli, piuttosto che in parte Anofeli e in parte altri Culicidi colle ali macchiate, dal momento che Ross, credendo di potersene procurare molti altri, non si occupò di distinguerli esattamente ? Nè si dica che questi dubbi sono eccessivi, perchè purtroppo essi vengono pie- namente giustificati dalla circostanza che, contemporaneamente, un mosquzto grigio, preso mentre si nutriva sopra un terzanario e trovato infetto, venne giudicato (vedi sopra), da Ross nel 1898 indubbiamente propagatore della malaria, come il suddetto mosguzto piccolo colle ali macchiate. Quest’ ultimo era stato ucciso dopo 48 ore e presentava le cellule pigmentate di 7; quel primo era stato ucciso al terzo giorno e presentava anch'esso delle cellule pigmentate misuranti 8-25 w. Molti altri mosquitos grigi, cioè della stessa specie, non nutritisi di sangue malarico si erano dimostrati senza cellule pigmentate. Ciò nonostante, oggi sappiamo che indiscutibil- mente nel caso del m0sguzto grigio Ross commise un grave errore: com’ egli stesso ammette, è stato tratto in inganno dalla circostanza che anticipatamente il mosquzto si era infettato di parassiti malarici degli uccelli. Ciò che non si capisce però è come un simile errore gli sia potuto occorrere perchè appare, dalla citazione surriferita, che Ross sperimentava con mosquztos grigi sviluppati in laboratorio e non presi in vita libera! (4) Questo carattere, da me stabilito, manca ancora nella prima Monografia (1896) di Ficalbi: aggiungasi che questa Monografia tratta di una famiglia sola di mosquitos (Culicidae), che vi manca la specie paragonabile a quella con cui avrebbe sperimentato Ross e che nella descrizione di Ross non si trova alcuna delle caratteristiche assegnate da Ficalbi agli Amopheles, O Valutando seriamente tutte queste circostanze, risulta evidente che Ross nel 1897 non sperimentava ancora scrupolosamente e resta per lo meno incerto che Ross in India abbia veramente allevato i parassiti malarici dell'uomo. La certezza non sì avrà mai perchè Ross non ha conservato i mosquzios con cui sperimentava. In ogni modo, anche ammesso, ma non concesso, che abbia veramente alle- vato î primi stadi del parassita semilunare, ciò non poteva risultare con un certo grado di attendibilità dalle sue pubblicazioni. In una successiva pubblicazione Ross riferisce intorno ad altri 15 mosquitos, oscuri, colle ali verdognole e macchiate che gli diedero risultati negativi in un caso di semilune (vedi nel /eport (70) la lista delle recenti ricerche: serie XI). Questi insetti, dice Ross, erano probabilmente (sic) del medesimo genere ma non della me- desima specie di quelli che diedero risultati positivi. Noto queste circostanze perchè stando a quanto fin ora ho veduto, i mosquztos colle ali macchiate e a riflessi yer- dognoli appartengono al genere Culex e non al genere Aropheles, ciò che starebbe a dimostrare che veramente Ross confondeva i Culex cogli Anopheles. Piu tardi (76) Ross scrisse che tutti gli sperimenti a lui riusciti in Asia erano stati fatti coi mosquitos, che sotto le zanzariere avevano punto in presenza dei maschi: ciò fa credere che sotto la zanzariera si introducessero oltre i #m0sguz/os, che vi metteva Ross, anche altri mosquztos, che si trovavano liberi nei dintorni; ciò spie- gherebbe l'equivoco di Ross coi mosquztos grigi, ma renderebbe dubbî anche gli sperimenti sui mosgquitos dalle ali macchiate, ancorchè fossero stati allevati dalle larve, non potendosi escludere che questi mosguz/os si infettino per es. coi parassiti dei pipistrelli. Riassumendo questo minuzioso esame delle Note di Ross, dirò che i pochissimi risultati di Ross ottenuti in India sull'uomo (quattro mosquitos in tutto, infetti di parassiti nei primi stadi, cioé ancora lontani dalla riproduzione) in parte sono certamente erronei e in parte possono essere o non essere erronei. Non si può dir niente di sicuro perchè manca perfino la prova assoluta che Ross sperimentasse cogli Anopheles. In ogni caso questi dati di Ross non polevano condurre nè me nè altri a pensare che fossero gli Anopheles è propagatori della malaria umana. Come risulta evidente da quanto sopra ho riferito, l’ illustre Manson aveva trasfuso in Ross la fede nei mosquitos come propagatori della malaria umana: Ross aveva fatto tutto il possibile per dimostrare la tesi di Manson, ma purtroppo non aveva raggiunto la meta. Fu allora (1998) che Ross abbandonò la via diretta e si dedicò ai parassiti mala- rici degli uccelli. Fortunatamente, negli uccelli, io aveva scoperto un parassita ma- larico molto affine a quello dell'uomo; questo parassita malarico, ancora fortunata- mente, si sviluppa nella zanzara più comune, cioè, il Culex pipiens, ossia il mosquito grigio di Ross. Ancora più fortunatamente Ross si trovava a lavorare in India ad una temperatura elevata, la quale, come ora sappiamo, è estremamente favorevole agli esperimenti. Ancora assai più fortunatamente gli sperimenti sugli uccelli riescono con molta maggior facilità di quelli sull'uomo, essendo i gameti quasi costantemente presenti e in condizioni opportune, nel sangue dell’uccello e infettandosi quasi tutti i x Culex pipiens. Così è che Ross, seguendo la stessa strada che io avevo inaugurata fin e Le dal 1890 e che Dionisi aveva ripresa nel 1897, trovò, come ripeto, il cielo del pa- rassita malarico degli uccelli dentro il Culex pipiens. Le ricerche di Ross in parte furono pubblicate in un Report (70) portante la data del 21 maggio 1898 e arrivato a Roma nel mese di settembre: in parte furono pubbli- cate in un secondo Report (71) portante la data dell’11 ottobre 1898 e giunto a Roma nel mese di dicembre. Esse erano state precedentemente riassunte da Manson, par- zialmente in una Nota del British Medical Journal del 18 giugno 1898, e in to- talità in una Nota comunicata alla Bri/ish Medical Association nel luglio 1898 e pubblicata nel Brztish Medical Journal del 24 settembre 1898. Questi nuovi lavori di Ross contengono descrizioni e figure non atte certamente ad acquistare la fiducia del lettore. I fatti successivi però, come vedremo, provarono che le osservazioni e gli esperimenti di Ross erano esatti, soltanto le così dette spore nere ci sì dimostrarono forme di involuzione, semplificando così il problema malarico, cioè, riducendo il modo d'infezione a quello solo stato riscontrato da Ross. Si consideri a questo riguardo che se fosse stato possibile un altro ciclo, come supposero Ross stesso e Manson, se per esempio, i germi malarici avessero potuto trasmettersi alla prole (Ross, luglio 1899), gli esperimenti d' infezione degli uccelli colla puntura dei mosquitos fatti da Ross, sarebbero stati inconcludenti, non essendosi escluso prima che questi mosquitos fossero infetti ereditariamente. Sulla stessa scoperta degli sporozoi nelle glandule salivari si potevano sollevare dei dubbi, perchè com'io ho dimostrato, si riscontrano in esse ancorchè non siano infette, i cosidetti pseudosporozoiti, che senza sottili indagini istologiche delle quali Ross non si mostrò di certo capace, non sì possono distinguere dagli sporozoiti veri. Si osservi in proposito che una delle caratteristiche degli pseudosporozoiti è la grandissima difficoltà di conservarli e che Ross appunto scriveva: nous provvons surtout une difficulté particulière à préparer les glandes salivares contenant les filaments germes (sporozoiti) » (31 10.bre 1898) (72). Nel primo dei due eport citati, Ross conchiude che « essendo state ritrovate cel- lule pigmentate, simili a quelle ora trovate nel parassita malarico dell’uccello, in mosquitos di una specie differente, nutrito esclusivamente di sangue contenente se- milune, noi abbiamo ogni ragione di credere che il parassita malarico dell’uomo abbia uno sviluppo nei mosguztos come quello di un parassita malarico degli uccelli ». L'autore richiama l'attenzione sull'importanza delle specie dei m20sguz/os, ma esso però ammette contemporaneamente che uno stesso mosquito, il Culea pipiens, possa propagare il parassita della terzana dell'uomo e un parassita malarico degli uccelli e, avendo potuto ottenere nel Culex pipiens lo sviluppo del Proteosoma, e non quello dell’ /7a//eridium, ritiene evidentemente che ogni specie di parassita abbia un ospitatore differente, così un ospitatore quello della terzana, uno quello della quar- tana ecc., ciò che lo conduce ad apprezzare in modo non conforme al vero ogni risul- tato negativo. Dopo di aver esposto con tutta la serupolosità per me possibile i risultati otte- nuti da Ross, io mi domando qual passo fece fare alla scienza Ross nello studio della malaria umana. Consultiamo Ross stesso. Dei = Ross nel suo Repor/ del maggio 1898 seriveva che dopo le sue scoperte sul paras- sita malarico degli uccelli occorreva cercare il secondo oste appropriato per ogni specie di emosporidi. « A giudicare dalle mie passate esperienze, soggiungeva egli, questa ricerca promette di non esser facile » (70). Questo giudizio, pronunciato dunque dopo i supposti risultamenti positivi del 1897 e dopo la sua brillante scoperta sugli uccelli, fu seguito da un secondo giudizio che si legge nella suddetta lettera del 5 febbraio 1899 di Ross a Charles: cioè dopo i suoi nuovi tentativi sull'uomo colle zanzare dalle ali macchiate, riusciti infruttuosi. « Za questione di trovare la peculiare sorta d' insetto per ogni specie di malaria è cer- tamente complicatissima e difficilissima ». Nel fase. 2-25 febbraio 1899 degli Amnales de Pasteur, in data 31 dicembre 1898 (attenti alla data) Ross pubblicava: « Une oeuvre considerable, capable d’occuper un cu méme plusieurs savants, reste à accomplir ». Una volta che quest'opera fu compiuta in Italia, Ross mutò totalmente di av- viso e in una pubblicazione del 3 agosto (1899) scrisse che i risultati da lui ottenuti «rendevano facile di estendere le osservazioni ad altre specie del gruppo ». Il cor- rispondente della missione Ross nella Sierra Leone poco più tardi aggiunse: « che, nonostante il chiasso fatto, le ricerche degli Italiani non presentavano alcuna seria difficoltà ». Lo stesso Ross, in un'altra pubblicazione del 1900 arriva a dire (75) che « mor vi era più alcuna difficoltà a continuare le osservazioni » e tinalmente alla fine del 1900 asserisce che non restava altro a fare che « ripetere materialmente le mede- stime osservazioni sopra altre specie di emosporidi » un lavoro « sì semplice », da me eseguito, mentre egli si trovava occupato in altri lavori!! (77). V'ha di più: nel sopra citato articolo degli Annales de Pasteur Ross dice soltanto di aver ottenuto i primi stadi di sviluppo delle semilune in « deux mous- tiques d'une nouvelle espèce » senza accennare neppure alle ali macchiate, tanto meno che fossero Aropheles; ammette come probabile la propagazione del parassita malarico da generazione a generazione di mosquitos e conchiude: « je considère comme probable que la malaria est communiquée a l homme uniquement par les morsures des moustiques et peut-étre d'autres insectes ». Invece nella pubblicazione sopra mentovata del 3 agosto, mostrando anche di ignorare che nel giugno io avevo pub- blicato che tutte le quattro specie italiane del gen. Amopheles e soltanto esse pro- pagano la malaria, scrive semplicemente: « che lo sviluppo delle semilune è stato da lui trovato in India in due specie indeterminate di Aropheles, in Italia nell'A70- pheles claviger » (73). In un'altra pubblicazione del luglio (69) era andato più avanti: « Durante parecchi anni io cercai di coltivare i parassiti malarici in molte specie di mosquitos, ‘sperimentai molte specie di Cu/ezx comprese le più comuni; tutti gli esperimenti fallirono; io ho pure sperimentato 5 specie di Amopheles, 3 fallirono ma 2 al contrario diedero risultato positivo. Sfortunatamente questi esperimenti positivi furono i primi fatti e io fui, improvvisamente, portato in un’ altra stazione proprio nel punto che li ottenni e perciò non posso dare i nomi precisi delle due specie (szc). Tuttavia io so per certo (s7e) che tutt'e due appartengono al genere Anopheles e possono EEN trasportare la malaria umana. Una era una grande specie molto bruna, e l’altra, una piccola specie leggermente bruna: amendue avevano le ali macchiate e i caratteri gene- rici dell’Azopheles (sic) ». Siccome Grassi e i suoi collaboratori hanno dimostrato successivamente che anche l'Anopheles claviger propaga la malaria, « così siamo sicuri che tutte tre le specie di 720squitos che propagano la malaria appartengono al genere Aropheles ». « Il mosquito grigio nel quale io ho trovato cellule pigmentate probabilmente si era previamente infetto pungendo un uccello ». Perchè tutte queste preziose notizie non si trovano ancora nell'articolo 31 de- cembre 1898 degli Annales de Pasteur? Nel Report del 1900 sulla spedizione malarica nella Sierra Leone Ross non parla più delle tre specie di Aropheles che gli diedero resultati negativi e tacita- mente ammette con me che tutte le specie di Anopheles propaghino la malaria. Basta leggere quanto ho fin qui riportato per rilevare con certezza che Ross, man mano che si persuade dell'importanza dei lavori fatti in Italia tenta di meno- marli e di attribuirseli; soltanto così si può spiegare come a distanza di pochi mesi egli giudichi il lavoro che restava da compiere una volta « difficilissimo e compli- catissimo » e un'altra « facile, semplice, materiale », e come sostituisca ai « mows- tiques d'une nouvelle espèce » il nome di Aropheles senza più averli sott’ occhio ecc. Queste /endenze di Ross, fanno già capolino nel citato articolo sugli Annales de Pasteur, nel quale egli tenta di attenuare il valore delle ricerche degl' italiani facendo sapere che io prima di trovare i parassiti malarici in via di sviluppo nel corpo del- l'Anopheles avevo avuto sott'occhio i suoi preparati, ciò che non è conforme al vero (). A mettere in maggior luce il modo seguito da Ross, dirò che, mentre nel citato articolo del 31 dicembre 1899 sugli Annales de Pasteur aveva scritto: « Grassi, tra- vaillant tout à fait indépendamment de nous, a récemment fait des patientes en- quétes épidémiologiques qui l’ont conduit à soupeonner une espèce de moustique Anopheles Claviger Yad. d'étre l’agent du paludisme en Italie », nel settembre 1900 (Policlinico) asserisce tutto l'opposto scrivendo: « // puro fatto si è che le ricerche del prof. Grassi sopra la teoria delle sansare della malaria sono completamente fondate sopra le mie ». Quanto poi al nuovissimo giudizio di Ross che dopo i suoi lavori tutto era facile, mi sì permettano alcune considerazioni. Se tutto era facile, non si capisce perchè egli abbandonasse l'uomo per dedi- carsi ai parassiti malarici degli uccelli, infinitamente meno interessanti di quelli dell'uomo. Fu detto che a Ross mancasse il materiale, ma certamente ciò è con- trario al vero, perchè appena fu informato delle nostre ricerche, subito trovò Ano- (2) Del resto, come ho scritto altrove, anche se fosse dimostrato, ciò che non è, che io avessi veduto i preparati di Ross di giovani stadi del proteosoma prima di qualunque scoperta sull’Ano- pheles, non so che cosa se ne potrebbe indurre a vantaggio di Ross, che ne aveva pubblicata una figura abbastanza esatta fin dal dicembre 1897, ne aveva dato la descrizione nonchè il metodo di preparazione, mentre d'altronde si trattava di preparazioni semplicissime e di oggetti facilissimi a vedersi cogli ordinari ingrandimenti. E la priorità per quanto riguarda il proteosoma nessuno l’ha mai negata a Ross. er gie pheles e casi di malaria (fine del 1898) e potè ripetere gli esperimenti fatti nel 97, però senza risultato positivo (°). Neppure Koch, nelle sue due spedizioni in Italia, riuscì ad alcun risultato positivo, nonostante che molto facilmente gli fosse riuscito di confermare la scoperta di Ross sugli uccelli; nè giunse a migliori risultati nella sua successiva lunga spedizione nei paesi tropicali per lo studio della malaria. Lo stesso Ross nella spedizione in Africa dell'agosto 1899 nonostante conoscesse ampia- mente le scoperte fatte in Italia e la conclusione che soltanto gli Amopheles fossero colpevoli, ebbe risultati insufficienti e dovette accontentarsi di cercare gli Anopheles infetti, come io avevo fatto molto tempo prima di lui, nelle case dei malarici e di infettare due Aropheles, dico due di numero, non allevati dalle larve, ciò che ren- deva incerto l'esperimento perchè fatto durante la stagione malarica! Quest'anno a Roma parecchie volte ho visto tentare gli esperimenti sull'uomo e sugli uccelli; quelli sugli uccelli riuscirono costantemente e facilmente, mentre quelli sull'uomo diedero spesso pochi o nessun risultato. Riassumerò brevemente le conclusioni che risultano dalla minuziosa critica da me fatta. Ross man mano che gli pervenivano notizie delle scoperte fatte in Italia, do- lente che altri avesse fatto il passo che a lui non era riuscito, tentò in ogni modo di far credere che questo passo non aveva alcuna importanza e per raggiungere questo scopo in una serie di Note non corredate da osservazioni nuove cercò di far credere che nei suoi lavori precedenti quelli fatti in Italia vi fosse un contenuto molto mag- giore di quello che vi si trova in realtà, ammettendo che fosse erroneo quel che tale si dimostrò dopo le nuove scoperte e reclamando la priorità per ciò che poteva sem- brare od era conforme al vero: Quattro erano i risultati che si potevano ricavare dagli esperimenti di Ross sull'uomo: la malaria può propagarsi per mezzo dell'acqua; la malaria non può propagarsi per mezzo delle punture; la terzana si propaga col Culex pipiens; le semilune si propagano con mosquitos dalle ali macchiate. Dei primi tre risultati dimostrati erronei Ross non si occupa più; del quarto che potrebbe esser giusto, egli pretende la priorità con lo stesso fondamento con cui la pretenderebbe su ciascuno degli altri tre e rinuncerebbe al quarto se quelli, e non questo, fossero apparsi infondati. Se ciò sia serio giudichi il lettore; invece mi preme di fissar bene l’attenzione sul fatto che /a gran parola Anopheles, che segnò una epoca per gli studi della malaria umana, venne da me per il primo pronunsiata e non già in base ai fatti scoperti da Ross, ma per altri motivi che indicherò più avanti. E ciò appartiene alla storia; viene infatti ammesso da tutti coloro che si occuparono dell’ argomento, a cominciare da Manson (°), che l'indicazione dell’Anopheles malarifero per l'uomo non risultava punto dalle pubblicazioni di Ross precedenti le mie. (3) Recentemente Ross scrisse che il lavoro « sì semplice » è stato eseguito da me, « men- tr'egli era occupato in altri lavori ». Quest'è evidentemente una scusa mal trovata. (®) Unica eccezione è Blanchard, il quale evidentemente appoggiandosi alle recenti pubblicazioni 3 D'altra parte risulta non del tutto sicuro che Ross sperimentasse cogli An0- pheles e che ne ottenesse risultati positivi (*). Le aggiunte che egli tardivamente fece con molta accortezza ai suoi lavori pre- cedenti i miei, non possono avere alcun valore retroattivo. I suoi lavori precedenti, per la storia della questione restano quel che sono e dicono quello che dicono, nè più nè meno. di Ross, scrive che la zanzara dalle ali macchiate che diede a Ross risultati positivi era un Ano- pheles fatto conoscere ulteriormente da Giles col nome di Anopheles Rossi; invece Giles scrive che l'A. Rossiù ha dato a Ross risultati negativi e che non ha veduto i mosquitos da cui Ross ottenne risultati positivi! (4) Recentissimamente Ross pretende di poter dimostrare in quattro modi, che egli vera- mente sperimentava cogli Aropheles, cioè oltre che per il fatto delle uova di cui ho già parlato più sopra: « pel fatto che i mosquitos colle ali macchiate furono mostrati a Daniels, membro della spedizione britannica in India per la malaria, nel dicembre del 1898, ed egli ha attestato che erano Aropheles; pel fatto che alcuni campioni spediti allo stesso prof. Grassi sulla fine del 1898 furono da lui dichiarati essere Anopheles e pel fatto che alcuni campioni mandati al Museo brit- tannico furono giudicati Aropheles ». Questi tre ultimi fatti sono indiscutibili, ma per disgrazia di Ross gli Anopheles a cui si riferiscono, come risulta evidente da tutte le sue pubblicazioni, non sono quelli dai quali egli ha ottenuto i pretesi risultati positivi, sibbene quelli di Calcutta dai quali ha ottenuto risultati negativi, quelli che egli nel luglio del 1899 ha giudicato appartenenti a tre specie innocue e differenti dalle due da cui avrebbe ottenuto risultato positivo. È dunque di- mostrato che le zanzare da cui Ross ottenne risultati negativi erano Anopheies, mentre nessuno potrà mai dimostrare che cosa fossero i mosquitos — evidentemente non conservati da Ross — da cui credette di aver ottenuto risultati positivi. Nella stessa recentissima pubblicazione (77) Ross torna sopra un altro punto che riguarda la circostanza se le zanzare con le ali macchiate fossero, o no state allevate dalle larve. Io gli mossi l'appunto che nelle sue Note (1897-98) manca l’asserzione precisa che egli le abbia allevate dalle larve. Non credevo che Ross avesse potuto trovare nel suo lavoro questa asserzione. Invece egli oppone che nella seconda frase della sua pubblicazione del 18 dicembre 1897 viene asserito che tutti i suoi esperimenti fatti allora furono eseguiti sopra mosquitos allevati dalle larve. Purtroppo il « tutti » è un'aggiunta di Ross del 1900. Quando usci la mia prima Nota preliminare insieme a Bignami e Bastianelli, noi in tutta buona fede intendemmo la pubblicazione di Ross nel senso che i mosquitos in discorso non fossero stati allevati dalle larve e perciò avanzammo la possibilità che î suoi mosquitos avessero già punto altri animali. Allora Ross ci fece sapere che, a suo avviso, noi eravamo caduti in errore, soggiun- gendo però che egli ammetteva che il nostro errore era dovuto alla sua propria trascuratezza, avendo egli « dimenticato di menzionare esplicitamente nella sua pubblicazione del 18 dicembre 1897 il fatto importante che i suoi mosquitos dalle ali macchiate erano stati allevati dalle larve n!!! Aggiungeva che uno dei tre mosquitos colle ali macchiate nei quali aveva ottenuto risultati posi- tivi era stato preso con la mano, ciò che però più tardi negava in base a certe sue vecchie Note. Più singolare è l’asserzione di Ross relativa al mosquito grigio, nel quale credeva di aver ottenuto lo sviluppo dei parassiti malarici umani. Egli scrive: « Come ivì (British Medical Journal, 25 ott. 1898) è detto espressamente, non fu da me allevato dalla larva. Si rilegga la citazione a pag. 10 e si vedrà che questa dichiarazione espressa manca mentre è detto che la zanzara in discorso doveva essere uscita dal periodo di ninfa da una settimana, ciò che non poteva certamente venir asserito da Ross se non l'avesse allevata. su E quel che siano e quello che dicono lo ha pubblicato Ross stesso nel dicembre 1898 nei citati Annali di Pasteur: « Mais il restait encore beaucoup à faire. Il était clair que désormais les recherches devaient étre conduites dans deua di- rections. D'abord, il était nécessaîre de fixer pas à pas l’ evolution du Proteosoma dans le moustique, de facon à avoir un développement type pour tous ces parasi- tes, et un guide pour la découverte des lois générales de la diffusion de la Ma- laria. En second lieu, il était indiqué de chercher à connaiître d'une facon précise les hòtes des parasites humains et leur habitat. Ce dernier programme d’études élait particulierèment attirant et promettait des découvertes intéressantes, mais je choisis le premier comme étant, en réalité, le plus important (sic) Poursuivre les deux à la fois était impossible à une seule personne ». Si noti bene che questo scritto di Ross è posteriore a tutte le sue scoperte sul Pro/eosoma e a quelle fatte in Italia sull’Anopheles! Del resto basta leggere le pubblicazioni, seguite immediatamente alla scoperta di Ross e prima di quelle italiane, per persuadersi che anche i più entusiasti ammettevano soltanto la grande probabilità e non la certezza assoluta che i dati di Ross fossero applicabili all'uomo e affacciavano anche la possibilità di nuove scoperte. Così Manson scriveva di non credere che la scoperta di Ross segnassse l'ultima parola nella storia del parassita malarico. « Io penso che la malaria possa prendersi con la puntura, ma che questa sia la sola via non oso asserirlo e infatti non lo penso. ..... Può obbiettarsi che ciò che vale per il parassita degli uccelli, non vale per l’uomo, ma la somiglianza dei parassiti è così grande che non posso resistere alla conclusione che le loro storie siano simili ». Dopo aver citato queste autorità mi sia ora permesso di esporre il mio parere. Come ho detto qui e altrove, io riconosco a Ross la priorità della scoperta (dé cui attribuisco però il merito intellettuale (°) a Manson), che un emosporidio degli uccelli si propaga per mezzo della puntura delle zanzare. Nego invece che questa scoperta fornisca come pretende Ross e ammette anche Koch la soluzione sperimen- tale del problema della malaria umana. In realtà arguire per analogia che nell'uomo si dovesse verificare ciò che si era osservato per gli uccelli era ed è contrario al metodo sperimentale, il quale ci ha dimostrato le tante volte come forme di parassiti molto affini le une alle altre pos- sano avere un ciclo di sviluppo del tutto differente. Esempio classico la tenia mu- rina che, come io e Rovelli abbiamo dimostrato, si sviluppa in un solo oste, a dif- ferenza di tutte le altre tenie che si sviluppano in due. La filaria medinensis ha per ospite intermedio un crostaceo e perciò non si propaga certamente, come altre filarie, per mezzo della puntura di insetti ematofagi. La stessa malaria fornisce esempi evidentissimi. La malaria dei bovini si propaga per mezzo delle zecche in un modo differente di quello della malaria umana. Una sorta di malaria degli uccelli sì propaga per mezzo del grey mosquito, che io ho definito per Culex pipiens, col (4) Nei ripetutamente citati Annales de Pasteur Ross scrive: « Pour eviter tout commentair erroné, qu'il me soit permis de déclarer ici que mes travaur ont été entièrement dirigés par Manson, et que j'ai eu l'assistance de ses conseils et de son influence à toute occasion », SS e ciclo scoperto da Ross. L'altra sorta di malaria degli uccelli, molto più diffusa do- vunque che la prima, non sembra affatto propagarsi per mezzo delle zanzare, ovvero in ogni caso il parassita, che la produce, sembra avere un ciclo di sviluppo molto differente di quello che Ross ha seguito nella prima sorta. In ogni modo le ricerche finora fatte su di esso da Ross, da Koch, da me e da altri hanno dato risultati ne- gativi. Da parte mia posso aggiungere di aver dedicato invano molto tempo a questo argomento. Questi fatti dimostrano ad esuberanza che ogni caso speciale dev'essere 0g- getto di studio speciale, e dall’ uno non è permesso di passare all’ altro quando si vuole acquistare la certezza del fenomeno che si studia. Il caso ha voluto che i parassiti malarici dell’uomo avessero lo stesso cielo del parassita malarico degli uccelli studiato da Ross. Nessuno a priori poteva prevedere che essi, invece, non seguissero quel ciclo dell'altro parassita malarico degli uccelli, che nessuno ancora ha potuto svelare. « Ma, dice Ross, io avevo già seguito nelle zanzare anche i parassiti malarici dell'uomo ». Ho sopra dimostrato che ciò non è ben certo, ma anche ammesso che Ross avesse seguito nelle zanzare i parassiti malarici dell’uomo, egli sì sarebbe limitato soltanto ai primi stadî da lui stesso denominati cellule pigmentate. Se i parassiti, giunti a questo stadio si fossero fermati nello sviluppo per continuare a svilupparsi, come fanno certi coccidi, nell'acqua o nel terreno, alla morte della zanzara, e poi dall’ acqua o dal terreno fossero passati all'uomo, noi avremmo avuto dei fatti che essi pure avrebbero spiegato benissimo l' epidemiologia malarica. Perciò senza seguire l'intero ciclo dei parassiti malarici umani delle zanzare non era possibile arguire che questi si comportassero come il parassita malarico degli uccelli studiato da Ross, molto più che egli poco prima aveva pubblicati dei casi di febbre malarica nell'uomo seguìti al far bere acqua contenente tritume di mosquitos nutriti col sangue di un malarico, non che esperimenti negativi avuti facendo pun- gere uomini dai mosquitos. Nella primavera del 1898 Koch, reduce dai suoi viaggi nei paesi tropicali, si fermava alcuni giorni a Roma ed esponeva, tra gli altri a me, la sua opinione che i mosquitos propagassero la malaria. Io gli opponevo esperimenti contrarî fatti nel mio laboratorio e gli soggiungevo che, siccome le zanzare sono comunissime in molti luoghi nei quali non c'è affatto, o manca quasi del tutto la malaria, così si deve ritenere che le zanzare non siano ospiti dei parassiti malarici, ovvero che nei luoghi malarici si trovino zanzare, o altri insetti succhiatori speciali, che mancano nei luoghi non malarici. Nel mese di luglio uscivano le relazioni dei viaggi di Koch e una sua confe- renza nella quale la questione della malaria viene svolta appunto con argomenti tendenti a sostenere la teoria dei mosqguztos. Koch si basa sull'analogia della malaria ON colla febbre del Texas e con altre malattie tropicali degli animali (malattia dello Tsetsè) e dell’ uomo (Filariasi); secondo Koch non deve essere il m0squzto, che ha succhiato, il trasmissore della malaria, sibbene la sua prole. Koch cita un'isola in- denne da malaria e precisamente l'isola Chole, dove egli non ha trovato mosquitos (°); nella montagna, secondo Koch, la malaria cessa dove non vi sono più mosquitos (°). Nelle stagioni dell'anno, in cui vi sono molti mosquztos, la malaria è anche più intensa ecc. Koch cita anche alcuni fatti tendenti a dimostrare che preservandoci dai mosquitos ci preserviamo anche dalla malaria; sono però fatti di ben poca importanza. Koch ricorda pure che certi negri denominano ugualmente il mosquito e la malaria: essi credono che questa malattia venga loro inoculata dai mosquztos. Si noti qui di passaggio che di una simile credenza si possono trovare le tracce in svariati altri popoli, anche in Italia, in America, ecc. Le mie ricerche, le quali, per quanto ho detto e come risulta da una pubblicazione di Dionisi (12), zon furono punto promosse da Koch (a torto fu asserito il contrario), cominciarono il 15 luglio 1898. Il mio punto di partenza è stato quello stesso che avevo già accennato a Koch come sopra dissi, che, cioè, se la malaria viene propa- gata dai mosquitos, devono essere colpevoli peculiari specie di questi insetti, proprie dei luoghi malarici (°). Avendo già stabilito fin dal 1890 che vi sono luoghi sani per l'uomo e malarici per gli uccelli e che le specie di parassiti malarici degli uccelli sono differenti, per quanto prossime a quelle dell'uomo, e sapendo per lunga espe- rienza che in questi studî gli argomenti per analogia non valgono, lasciai in disparte gli uccelli e mi dedicai interamente all'uomo. Con mia somma sorpresa, fin da prin- cipio trovai nei luoghi malarici delle zanzare, le quali mancavano nei luoghi non malarici. Prontamente intesi la necessità di non restringermi ai culicidi, ma di con- siderare anche tutti gli altri insetti, succhiatori di sangue, 0, come si dice, ematofagi. Venni infine alla conclusione che se regge l’asserzione che là dove c'è malaria, si tro- vano sempre zanzare e altri insetti ematofagi, non regge la proposizione inversa; perchè dove ci sono zanzare e altri insetti ematofagi, può mancare la malaria. Le zan- zare dei luoghi malarici però sono per lo più soltanto in piccola parte uguali, in grandissima parte invece differenti da quelle dei luoghi non malarici. Questo fatto veniva a togliere la più grande obbiezione che si potesse opporre alla teoria delle zanzare. Determinato il fatto generale, mi addentrai nello studio delle specie e cercai di stabilire quali forme dovessero ritenersi essenzialmente sospette. Per questo processo indiziario tenni presenti gl’ insetti ematofagi specifici dei luoghi malarici, poggiandomi anche sulle tre seguenti considerazioni: 1°. Essendo i casi di malaria terribilmente frequenti in molti luoghi malarici, gl' insetti propagatori della malaria in questi luoghi dovevano pur essere molto fre- quenti, e perciò gl'insetti ematofagi più frequenti dovevano essere molto più sospetti. (4) Quest'osservazione è incompleta. (2) Quest’osservazione dev'essere inesatta. (°) Nel Brit. med. Journal del 15 june 1898 Manson richiamava l’attenzione sull'importanza di studiare le molte specie di mosquitos dell'India e altrove nelle regioni malariche. Questa semplice osservazione sopra un giornale medico a me zoologo era sfuggita: in ogni modo il mio ragionamento basato sulla presenza delle zanzare in luogi non malarici rappresentava un passo positivo, non ac- cennato da Manson, verso la soluzione del problema. SMOG 2°. Questi insetti più frequenti, se si trovavano costantemente in tutti i luoghi malarici, diventavano ancora più sospetti. 3°. La frequenza di questi insetti, se coincideva con l'epoca in cui i casi di malaria erano più frequenti, li rendeva non soltanto sospetti, ma addirittura enorme- mente sospetti, elevandoli al grado di vere spie della malaria. Il processo indiziario condotto sotto questi tre punti di vista (esteso poi a tutta l’Italia, compresa la Sicilia e la Sardegna) portò alla conclusione che la specie di tutte la più sospetta è una che il volgo denomina moschino o zanzarone e gli scienziati appellano Anopheles claviger (0). Enormi sospetti colpiscono in settembre anche il Culex penicillaris. A Maccarese, nell’ epoca della malaria grave, è molto comune una zanzara, nel 1898 allo stesso Ficalbi ignota, che io ho denominato per le condizioni del luogo in cui vive €. malariae (sinonimo probabile di Culez verans). Anch'essa deve ritenersi sospetta. Contemporaneamente facevo altre osservazioni sui costumi sopratutto dell’ Ano- pheles claviger, tendenti a dimostrare che essi potevano spiegare benissimo parecchi fatti epidemiologici della malaria. Facevo inoltre un serio tentativo di preservazione di una famiglia, il quale mi conduceva sempre più alla convinzione che basta pre- servarsi dalle zanzare per preservarsi dalla malaria. Per continuare le mie ricerche e sezionare molte zanzare conservate, provenienti da camere dove s' erano sviluppati casi di malaria, tornai a Roma il 25 settembre 1898. Quivi non si parlava d'altri che di Koch il quale si trovava in Italia dal giorno 12 agosto, a capo di una spedizione scientifica per lo studio della malaria; tutti assicu- ravano ch'egli in meno di 50 giorni aveva risolto il problema malarico, trasformando in realtà la teoria delle zanzare. Apro qui una parentesi per dichiarare che se nel caso speciale della malaria io debbo muovere qualche critica a Koch, lo faccio con molto dolore, perchè sono sempre stato e sarò sempre ammiratore di questo immortale benefattore del genere umano. Invece Bignami, colla sua camera delle zanzare, dove faceva dormire individui che venivano punti da zanzare sviluppatesi da acqua presa in luoghi malarici, non aveva ottenuto che risultati negativi! Bignami pur avendo l’ ipotesi buona in mano, s'era fermato sulla porta senza poterla aprire! Davanti ai pretesi risultati di Koch io raccolsi i miei pensieri, e mi decisi di fare una pubblicazione, la quale in ogni modo avrebbe dimostrato che anch’ io m'ero messo sulla buona strada e che con un po' più di tempo sarei riuscito a fare quanto Koch aveva fatto più celeremente, favorito com’ era da mezzi più larghi Così è che il 29 settembre uscì la mia prima Nota, nella quale io per induzione accusavo sopratutto l’ Anopheles elaviger. La inviai subito a Koch. Mentre attendevo alla pubblicazione della Nota, per iniziare il più presto possi- bile le ricerche sperimentali, aveva trovato opportuno di non continuare più a lavorare (3) « Può definirsi vero indice, vera spia della malaria. I rapporti tra l'Anopheles claviger e la malaria sono così sorprendenti che veramente impongono e conducono alla persuasione che tra di loro debba esistere un nesso. Si può aggiungere che l’ambiente palustre è necessario allo svi luppo di questa specie ». Pubblicazione del 29 settembre 1898. PS gna da solo e mi era associato con medici che disponevano di sale dell'ospedale di Santo Spirito, cioè con Bignami e Bastianelli. Mi ero messo perciò d'accordo con Bignami per ritentare insieme la prova finora non riuscita perchè, secondo me, non si erano usate le zanzare da me determinate. Avevo anche proposto a Bastianelli di studiare insieme il destino dei parassiti malarici nel corpo delle zanzare, ecc. Urgeva lavorare, e ci eravamo messi all'opera pieni di entusiasmo. Questo entusiasmo non era però diviso da Koch, il quale facendo il 2 ottobre coi due suoi assistenti professori Pfeiffer e Kossel una visita di congedo ai medici romani, si esprimeva press’ a poco in questi termini: « Nella celebre foresta dei dintorni di Berlino (Grunewald), stata in parte « abbattuta per popolarla di sontuose ville, in questo luogo che è uno dei più sani « del mondo, verso sera quando si sta seduti in giardino, gli Anopheles vengono « spesse volte a pungerci. Nella stessa camera da letto del villino di Koch vi « sono gli Anopheles. Grassi ha perfino sbagliato a classificarli: essi sono denomi- « nati scientificamente A. maculipennis e non A. claviger ». Evidentemente Koch ignorava che A. claviger e A. maculipennis sono sinonimi. Siffatto giudizio, riferitomi dietro espressa preghiera di Koch, doveva naturalmente produrre, come produsse infatti, una sosta che riuscì in parte fatale, perchè la stagione più opportuna era alla fine. Dall'' ambasciata di Koch io dovevo dedurre - e chi avrebbe pensato altrimenti? - che Koch avesse dimostrato che l'A. claviger fosse innocente. Ciò, mi dicevo io, senza dubbio doveva risultare a Koch per esperimenti di- retti, non già in base a confronti, perchè questi confronti non erano leciti. Ap- punto per ciò, pur non ignorando la frequenza registrata da Ficalbi stesso del- l'A. claviger nell’ Europa media, io non avevo trovato in questo fatto un’obbiezione alle mie induzioni soprariferite. E infatti, pur ammessa l’ identità della specie sud- detta italiana e tedesca (fatto oggi da me dimostrato, ma sul quale allora esisteva qualche dubbio), le notevoli differenze di temperatura, trattandosi del passaggio di un parassita da un animale a sangue caldo ad uno a sangue freddo, com'è la zan- zara, bastavano a spiegarci una certa difficoltà di propagarsi della malaria nella Germania settentrionale e quindi la mancanza della malattia nel Grunewald, non- ostante la presenza degli Anopheles. Nè va taciuto che in Germania non accade facilmente, come in Italia, che in- dividui malarici non si curino punto: da ciò un’altra circostanza che tende a impe- dire in Germania la diffusione della malaria. Non è del resto impossibile che da un giorno all’altro scoppi anche in quel lembo di paradiso che è il Grunewald un’ epi- demia di malaria che ne metta in fuga i fortunati abitatori. Purtroppo io ritenevo dunque che Koch con esperimenti diretti avesse esclusa la colpabilità degli A. claviger (*), e, data questa esclusione, il mio processo indiziario do- veva rivolgersi ad altre specie che fors' anche mi erano sfuggite. Fortunatamente dopo pochi giorni mi si affacciò un fatto che riuscì come un lampo in una notte tenebrosa. Il povero mio inserviente, il quale con tanto zelo mi aveva fin’ allora aiutato, fu assa- lito dalle febbri malariche. Era una disgrazia, la quale mi fece però esclamare che tutto (4) In realtà, come si seppe dopo molti mesi, egli aveva fatto sperimenti che gli erano riu- sciti negativi. Sca OM la il male non viene per nuocere, perchè io ero sicurissimo che egli era stato punto soltanto dalle tre specie da me incriminate. Se si legge la seconda edizione della mia prima Nota, uscita sul olzelinico in principio di ottobre (28), vi si trova appunto aggiunto anche questo fatto (vi si legge anche la suddetta osservazione riguardante la temperatura). Pochi giorni dopo, parecchi giornali politici italiani davano come scoperta di Koch un sunto mal fatto della mia Nota, da Koch stesso giudicata nel modo che ho accen- nato poc'anzi. Questo annuncio mi fece credere che in realtà la mia induzione fosse almeno in parte giusta, perciò guardavo pieno di fiducia l’ experimentum crucis che avevo cominciato con Bignami, prima della partenza di Koch (°). Ai tanti risultati negativi di cui precedentemente ho parlato, ora che si adopra- vano le zanzare veramente capaci di produrre la. malaria, doveva finalmente succe- dere un risultato positivo. Ma questo risultato tardava troppo: si cominciava a dubi- tare: Bignami ormai non si occupava più di far portare nuove zanzare nella camera d'esperimento ed io continuavo a torturarmi il cervello per spiegarmi come mai la malaria risparmiasse gli individui che si facevano pungere dalle zanzare malariche. Gli Anopheles a Maccarese sembravano tutti ritirati nelle case ed erano relati- vamente poco numerosi. All'aperto invece si vedevano sempre dei Culex penicillaris e malariae. Questi appunto si raccoglievano a Maccarese e si spedivano a Roma in vasi di vetro, che venivano aperti nella camera abitata dai due individui che dove- vano subire le punture. Io mi domandavo se lo strapazzo del viaggio, e la chiusura nel vaso ecc., non potessero provocare l'uscita della saliva e quindi dei germi malarici. Architettavo anche altre ipotesi più strane e sempre speravo, ma invano. Ero perciò deciso di rifar subito gli esperimenti in luogo più opportuno. Fortunatamente per una inveterata abitudine di completare sempre gli esperimenti, ancorchè riescano negativi, per po- tersene poi a suo tempo valere, circa il 20 ottobre feci liberare nella camera un vasetto che conteneva pochi Amopheles claviger (*) nei quali Koch mi aveva fatto perdere la fiducia, come sopra ho detto. Io volevo soltanto poter stabilire che si erano tentate con risultato negativo tutte e tre le sorta di zanzare da me in- criminate. Ma per fortuna l'esperimento non doveva riuscir negativo, e infatti il giorno primo novembre potemmo vantare il primo caso d’infezione malarica, svilup- patasi colla puntura delle zanzare da me incriminate. Ripeto che esse erano state raccolte in luogo malarico, portate a Roma e liberate in una camera d'un piano su- periore dell'ospedale di S. Spirito, luogo certamente immune da malaria. Un uomo, che non aveva mai sofferto di malaria in vita sua, dormendo in questa camera, per solo effetto delle punture delle zanzare portatevi, cadde malato di malaria (°). (4) Bignami nel pubblicare questo esperimento non ricordò che io gli avevo proposto di farlo senza esserne richiesto e non fece sufficientemente spiccare che in realtà l' esperimento veniva fatto insieme. (®) Questi Anopheles, che erano stati da me stesso raccolti a Maccarese, furono introdotti proprio il 19 o il 20 ottobre, (°) Bignami dimenticò di notare che il malato, il quale s'infettò di malaria soffriva, prima degli sperimenti, di tanto in tanto di qualche leggera febbre, certamente non malarica. Occorreva pure, per fare intiera la storia, aggiungere che erano stati messi, col consenso del mio collaboratore, nella camera del malato alcuni vasi con pianticelle per tenere vive le zanzare. e L'esperimento era unico, ma assoluto (?). Così nella diga che proteggeva ìl gran mistero della malaria si era finalmente formato un crepaccio. Siccome Koch non aveva ancora pubblicato nulla, e le indiscrezioni dei giornali politici (2) si erano nel frattempo dimostrate senza fondamento, così annunziammo subito la buona novella. Svariati furono i commenti fatti dalla stampa di tutto il mondo al nostro an- nunzio. Non li raccoglierò. Di uno di essi, però, che ci tocca troppo dolorosamente, non posso qui tacere. Si disse che noi eravamo inumani, sperimentando sopra un uomo, ancorchè egli si fosse offerto spontaneamente con piena cognizione del pericolo a cui andava incontro, e fosse stato curato e guarito prontamente. Ma dico io: non è forse lecito col man- dare quanti uomini si vogliano in un luogo malarico a raccogliere le messi, infettarne la maggior parte di malaria, per un utile traducibile in poche lire? Se così è, saremo noi colpevoli procurando la malaria per un alto scopo scien- tifico a un individuo, date le condizioni sopra indicate? Pareva anche a taluni che noi procedessimo empiricamente, e che bisognasse seguire il parassita dentro il corpo della zanzara per vedere che cosa ne succedesse ! Veramente non mi sembrava di essere stato un empirico: avevo determinato le specie incriminabili, poi con Bignami avevo determinato che la loro puntura poteva sviluppare la malaria; il resto naturalmente doveva venir dopo. Ci mettemmo difatti all'opera in tre, cioè io, coadiuvato da Bignami e Bastianelli. L'impresa che avevamo assunta era però più difficile di quanto si sarebbe creduto a tutta prima. Fortunatamente dal 20 al 80 ottobre nei dintorni di Roma i Culew penicil- laris e malariae andarono diventando sempre più rari, e, a partire dal 10 novembre non se ne trovò più quasi nessuno, mentre continuavano a manifestarsi infezioni mala- riche indiscutibilmente nuove in individui ivi venuti di recente da luoghi sani. Osser- vai inoltre a Lentini di Sicilia, che la malaria infieriva nei mesi di ottobre e di novembre, senza che fosse possibile di riscontrarvi i C. penzeillaris e malariae (22). Questi fatti indiscutibili, tendenti a farmi credere che i penicillaris e malariae non fossero colpevoli (‘), ripristinarono tutta la mia fede negli A. claviger e mi per- (4) Le mie esperienze precedenti davano la risposta ad una obbiezione che si poteva fare e che io ho accennata in una mia pubblicazione (29). « Altri osserva: nella camera in cui si fece l'esperimento si trovavano molte zanzare morte, disseccate, più o meno polverizzate: perchè non potreb- bero i germi malarici sviluppatisi dentro le zanzare, essersi sollevati nell'aria ed aver propagata la malaria per proprio conto indipendentemente dalle punture? A parte l'inverosimiglianza di una simile obbiezione, sta il fatto che a Rovellasca parecchi individui ebbero occasione di dormire per molti giorni in ambiente dove si trovavano zanzare (Aropheles) morte e polverizzatesi, senza che in alcuno di essi si sviluppasse la malaria ». (2) I giornali politici si sono molto occupati dei lavori di Koch, perciò chi fa la storia deve tenerne conto. Del resto i particolari qui riferiti non mi sembrano inopportuni poichè spiegano l'andamento de' miei lavori e giustificano le numerose Note preliminari. (°) A confortarmi in questa credenza concorreva anche il seguente fatto: I cacciatori che si recarono a Maccarese nella seconda metà di settembre e nelle prima metà di ottobre, ne furono tutti tormentati orribilmente; eppure nessuno per quanto io s0, si ammalò di febbri malariche! 4 LOAD Le suasero interamente che o la malaria era propagata dagli A. claviger, o. la teoria delle zanzare doveva rifiutarsi; perchè questa seconda parte del dilemma non era accet- tabile, doveva esser vera la prima, nonostante l'opinione di Koch. Intanto io conti- nuavo a raccogliere Anopheles claviger, mentre Bignami e Bastianelli seguitavano a far pungere con essi individui malarici, sempre però senza risultato perchè urtavano contro altre incognite, delle quali ragioneremo più avanti. Finalmente, a furia di tentare, trovammo il primo tratto del ciclo evolutivo d'un parassita malarico umano (22) dentro il corpo dell'A. c/aviger, come dimostra la nostra pubblicazione del 4 dicembre (inviato all'Accademia il 28 novembre). Alacremente lavorando, già il 22 dicembre potemmo mandare alla luce un' altra pubblicazione, nella quale io, Bignami e Bastianelli precisavamo tutto il ciclo, che esporrò in questo lavoro. Poco prima i giornali politici avevano pubblicato che Koch stava per rendere di pubblica ragione i risultati della sua spedizione in Italia; ma questa pubblicazione, al contrario, non compariva mai. Si fece aspettare fino al 2 febbraio 1899; portava però la data del 17 novem- bre 1898 (46). Questa data fino ad un certo punto permetteva a Koch di giustificare il suo silenzio sulle nostre scoperte. Le scoperte di Koch si riducevano dunque (tacendo di altre poche osservazioni in parte inesatte) come sopra ho accennato, a una conferma parziale di quanto aveva osservato Ross sugli uccelli, che, cioè, un genere di parassiti malarici degli uccelli sì propaga per mezzo di un peculiare dittero succhiatore. Contemporaneamente si sollevavano dubbî sulla sincerità dei risultati a cui noi eravamo pervenuti. Perciò, in un nuovo resoconto dei nostri studî sulla ma- laria comunicato ai Lincei nella seduta del 5 febbraio, pubblicavamo che «i pre- parati dimostranti i fatti esposti nelle nostre Note preliminari sono visibili, a chi s' interessa, nell’ Ospedale di S. Spirito e nel Laboratorio di Anatomia Comparata del- l' Università di Roma ». Nè Koch, nè alcuno della sua scuola si fece mai vivo. Ciò non toglie che i sospetti contro di noi continuassero. Ancora il 28 maggio 1899, il dott. Libhertz a Francoforte sul Meno, in seno alla Società Senckenbergiana, teneva un discorso solenne sulle grandi scoperte di Koch e soggiungeva, secondo i giornali politici, che gli studiosi italiani hanno già fatto esperimenti sull'uomo e pretendono di essere arrivati a risultati positivi in favore della teoria dei m0squitos, ma natural- mente della giustezza di queste osservazioni è ancora necessaria la conferma. Augu- rava quindi a Koch di togliere l’ultimo mistero che ancora regnava sulla natura di quel terribile flagello che è la malaria (°). Di tutto ciò mi dolgo, molto più che Koch fin dal 25 aprile si trovava a Grosseto (vicino a Roma). (4) Ai primi di novembre del 1899 comparve anche la conferenza di Libhertz del 28 maggio, della quale sopra si è fatto cenno. Essa non contiene nulla di nuovo; soltanto i dubbî sulle nostre ricerche appaiono poco meno gravi di quanto riferivano i giornali politici. Sn Tutto il 1899 venne da me dedicato alla malaria. Lavorai insieme con Bignami e Bastianelli fino al maggio 1899, pubblicando due nuove Note all’ Accademia dei Lincei nel febbraio (24) e nel maggio (25); riunimmo quindi assieme le ricerche fatte in comune nella Memoria pubblicata dalla Società per gli studî della malaria col titolo: Cielo evolutivo delle semilune nell''Anopheles claviger ed Altri studi sulla malaria dall' ottobre 1898 al maggio 1899 di B. Grassi, A. Bignami e G. Bastianelli (21). Da questa nostra Memoria risulta che la malaria umana viene propagata dagli A. claviger, superpictus, bifurcatus var. nigripes. Contemporaneamente Bastianelli e Bignami facevano due pubblicazioni (5) sullo sviluppo dei parassiti della terzana, e sulla struttura dei parassiti malarici (in ispecie dei gameti e dei parassiti estivo-autnnnali). Nel primo di questi lavori vengono riferite in esteso osservazioni ed esperimenti ai quali io presi una parte notevole, come risulta dalle nostre Note preliminari. Purtroppo non posso quasi in alcun punto uniformarmi a quanto gli autori aggiungono di nuovo. Nella pubblicazione sulla struttura dei parassiti malarici modificano ciò che essi avevano precedentemente (1893) pubblicato e riconoscono che io e Feletti (1890) avevamo ben veduto il nucleo dei parassiti malarici. Mi sembra però che ciò dovesse venir posto in miglior luce, molto più che sono parecchi i punti di riscontro tra il loro lavoro e il nostro. Se peraltro mi sia concesso di esporre francamente il mio giudizio, debbo dire che come il nostro metodo del 1890, così quello di Romanowski usato dai suddetti autori, non ci dànno pieno affidamento nelle difficilissime quistioni citologiche riguar- danti il parassita malarico. Nella sopra citata Memoria pubblicata in comune con Bignami e Bastianelli si legge che essa è stata pubblicata per aderire al desiderio della Società che ci ha fornito i mezzi pecuniari di studio e che viene riserbato ad altro lavoro lo studio della fine struttura del parassita. Veramente io avrei voluto metter più in chiaro che il lavoro non aveva alcuna pretesa citologica. Perciò devo qui dire che i metodi di conservazione da noi usati non erano opportuni, perchè specialmente la formalina produceva alterazioni gravis- sime; sicchè le figure da noi allora pubblicate in non piccola parte corrispondono a preparati imperfetti, non ostante che siano scrupolosamente esatte. Perciò appunto io mi sottoposi all'ingrata fatica di rifare tutto il lavoro, come sì vedrà in appresso. Mi è così risultato che le molte differenze notate da Bignami e Bastianelli tra i parassiti della terzana e quelli delle febbri estive-autunnali sono appunto in parte non piccola dovute ai metodi di conservazione, che erano imperfetti, sebbene in parte sieno dovuti anche al non aver avuto materiale sufficiente. In particolare poi mi occorre rilevare come la loro figura che dovrebbe rappresentare una cellula di glandola salivare, rigonfiata, senza nucleo riconoscibile, contenente sporozoiti tozzi e raccorciati, potrebbe ugualmente bene rappresentare una delle tante alterazioni a cui va soggetto il secreto delle glandule salivari, Come si vedrà più avanti, il termine nucleo per i parassiti della terzana nel corpo dell’ Anopheles viene adoperato dagli autori suddetti per indicare il corpuscolo nucleoliforme (Grassi e Feletti), recentemente denominato cariosoma. Per mio conto pubblicai due altre Note preliminari (81 e 32) (22 giugno e 17 settembre). Nella prima venni alla conclusione che la malaria umana viene pro- pagata anche dall'Anopheles pseudopictus e dall’ Anopheles bifurcatus tipico, e perciò da tutte le specie italiane del genere Amopheles. Io escludevo sperimentalmente ogni altro insetto. Infine concludevo: che dalla circostanza che tutte le specie italiane del genere Amnopheles propagano la malaria, è ben lecito indurre che tutte le specie di Anopheles di qualunque paese, possono essere malarifere, date le condizioni opportune di temperatura. Colla seconda Nota colmai una lacuna che esisteva nei precedenti lavori: cioè determinai ciò che succedeva dei parassiti malarici prima che penetrassero nelle pa- reti dell’ intestino: vidi, cioè, formarsi il vermicolo (zigote) e lo seguii fino all'entrata nell’ epitelio intestinale. Con un opuscolo popolare (33) feci note anche una quantità di osservazioni sui co- stumi degli Anofeli, ciò che avevo già in parte accennato nelle Note preliminari. Non posso passare sotto silenzio le esatte ed accurate ricerche fatte per proprio conto da Dionisi sui parassiti malarici dei pipistrelli da lui stesso scoperti (13) e sul- l'andamento della stagione malarica in rapporto colla nuova dottrina. Egli aveva la bontà di tenermi informato dei risultati a cui giungeva, anche prima di pubblicarli. Ne ho così potuto ricavare grande giovamento. Abbiamo pubblicato insieme una Nota sui gameti dei parassiti malarici (26). In questa Nota, Dionisi ed io per i primi, completando ciò che Manson aveva in parte intraveduto, abbiamo compreso il ciclo di sviluppo dei parassiti malarici riducendolo a un fenomeno di generazione alternante o metagenesi o, come io dico più esattamente, citometagenesi. Con altre parole noi per i primi abbiamo riunito tutti i fatti sotto un punto di vista generale che è il seguente: nel ciclo dei parassiti malarici, come di tutti i protozoi a un certo momento interviene necessariamente il fenomeno di fecondazione. Questo fenomeno, per i parassiti malarici, ha luogo esclusivamente dentro il corpo di peculiari zanzare (°). Ho parlato di lavori italiani: non eravamo però noi soli a lavorare. Infatti come ho già accennato di sopra, il 25 aprile ritornò in Italia la spedizione Koch ed io ne fui lietissimo, persuaso che essa avrebbe interamente confermato le conclusioni delle nostre ricerche comunicate all'Accademia dei Lincei e da noi dimostrate anche cogli esperimenti e coi preparati alla mano a chiunque se ne fosse interessato. (4) Schaudinn (79) ha recentemente riunite la nuove ricerche, facendo risaltare che la gene- razione alternante dei parassiti malarici corrisponde a quella degli altri sporozoi da lui precedente- mente scoperta. Egli si meraviglia che ciò non sia stato da nessuno accennato, nonostante che io abbia in parte usati i nomi da lui proposti. Orbene, nella Nota preliminare da me pubblicata con Dionisi (nella quale per la prima volta il ciclo evoluttivo dei parassiti malarici viene interpretato come generazione alternante) vi è un chiaro accenno che deve essere sfuggito a Schaudinn; preci- samente si legge che « noi possiamo definire il ciclo evolutivo degli emosporidi con una formula la quale concorda mirabilmente cogli studî di recente fatti sugli altri sporozoi », Più di questo non si poteva dire in una Nota preliminare, i = I I grandi mezzi di cui disponeva Koch per proprio conto, le facilitazioni procura- tegli dal governo italiano senza riguardo a spesa alcuna, gli appianavano moltissimo quel cammino che per noi era stato sempre seminato di triboli e di spine. Mi aspet- tavo perciò un pronto e/fatum, ma le mie speranze tardarono molto a realizzarsi. Soltanto nella prima metà di settembre il mondo scientifico ha potuto essere infor- mato del terreno conquistato dalla spedizione Koch con due pubblicazioni, una nella Zeitschrift fir Eygiene 32. Bd. 1. H., uscita l'8 settembre 1899 (senza data spe- ciale per il lavoro di Koch) e l'altra nella Deutsche Medicin. Wochenschrift uscita il 14 settembre 1899 (parimenti senza data speciale). Col primo lavoro annichilisce tutte le nostre ricerche dichiarandole incom- plete e non provative. Perchè? Perchè egli non ha trovato nell’Aropheles maculi- pennis (claviger) i vermicoli (oocineti) nelle prime 36 ore dopo che questo aveva succhiato sangue con semilune: le semilune erano ancor riconoscibili ma in via di distruzione. Egli ha inoltre ritrovato nelle ghiandole velenose (salivari) del- l’Anopheles stesso sporozoiti che certamente non appartengono ai parassiti malarici dell’ uomo, perchè le suddette zanzare in parte provenivano da luoghi non malarici e in parte erano state prese in luoghi malarici, ma nella stagione fredda. « Queste ricerche dimostrano che dobbiamo guardarci dal ritenere tutti i parassiti coccidiiformi e gli sporozoiti che per caso s' incontrano nelle zanzare come appartenenti senz’ altro ai parassiti malarici dell'uomo. Noi non saremo autorizzati a ciò, fino a che non ci riescirà di stabilire tutta la serie di sviluppo come nel proteosoma ». Leggendo questo giudizio io mi domandava se è giusto di abbattere tutto un edificio costruito da persone, che nella scienza non pretendono certamente di star alla pari con Koch, ma che tuttavia hanno mostrato di saper lavorare, abbattere questo edificio limitan- dosi per contestarne la solidità a tentativi che non rappreseutano neppur la mille- sima parte delle esperienze da noi fatte. Si badi bene che di fronte ai risultati negativi di Koch noi avevamo ottenuto la seguente serie di risultati positivi: 1°. Parecchi casi d'infezione malarica indiscutibilmente sviluppatisi per effetto della sola puntura degli A. maculipennis. 2°. Infezioni numerosissime degli Anofeli che avevano punto individui malarici. Che i germi di questa infezione preesistessero al succhiamento di sangue umano infetto, veniva escluso con tutta certezza dai seguenti fatti: a) Non s'infettavano gli Anofeli che contemporaneamente pungevano l'uomo sano, benchè si tenessero nelle stesse condizioni. b) S'infettavano anche gli Anofeli neonati che non avevano mai punto indi- vidui malarici. In questi neonati non si trovano mai i parassiti in discorso, nè mai si sviluppano se sì nutrono con sangue di womini sani. c) Gli stadî, che si riscontravano nell'intestino, erano proporzionali per grado di sviluppo al giorno in cui l’Anofele aveva succhiato sangue malarico. Più questo giorno era lontano, più i parassiti erano avanzati nello sviluppo. Se l'Anofele si era nutrito varie volte di sangue malarico, alla distanza di 2 o 3 giorni, gli stadî erano parecchi e proporzionati. d) Il parassita che si sviluppa, in principio è sicuramente alquanto differente a seconda che si tratti del parassita della terzana, o della semiluna. WE e) Nelle case degli individui malarici si trovarono molti Anofeli infetti (fuorchè nei mesi in cui la malaria non si fece sentire, o almeno si fece sentire assai rara- mente, con infezioni nuove). Gli Anofeli, invece, pigliati nelle stalle e nei pollai non vennero che molto eccezionalmente trovati infetti. f) L'infezione degli Anofeli per quantità dei parassiti era proporzionale con quella del sangue umano con cui essi venivano nutriti. g) Si osservarono casi di malaria in località e in epoche in cui soltanto gli Anofeli, fra tutte le zanzare, potevano venire incolpati. Tutti questi fatti, che risultano dalle nostre pubblicazioni, per Koch non valgono nulla, perchè non abbiamo trovato quanto succede dei gameti nel lume dell'intestino medio durante le prime 40 ore circa dopo che gli Anofeli li ha succhiati. Certamente questa è una lacuna, ma una lacuna evidentemente dovuta alla difficoltà della tecnica di fronte alla poca abbondanza del materiale. La stessa lacuna c' era infatti anche nel lavoro di Ross per il Proteosoma degli uccelli e l’averla colmata rappresenta appunto tutto quanto Koch ha fatto per l’ etiologia della malaria degli uccelli. Del resto come ho detto più sopra, proprio mentre Koch pubblicava la sua critica, io comunicavo all’ Accademia dei Lincei di aver trovato anche i vermicoli la cui assenza aveva dato tanto da pensare al suddetto autore e di averli seguiti liberi nel lume dell’ intestino fino alla loro entrata nell'epitelio. Posseggo anzi un preparato in cui questo momento è stato sorpreso. Ma io ero sicuro dei risultati precedenti; si capisce perciò facilmente come nella mia nuova Nota non abbia dato alcuna importanza speciale al riempimento della lacuna, da noi per i primi riconosciuta. In conclusione voler negare la derivazione dei parassiti da noi studiati nell'Anofele perchè mancava la conoscenza del primo stadio di sviluppo, come ha fatto Koch, mi sembrava e mi sembra tanto strano quanto il voler negare che l'embrione umano derivi dalla fecondazione dell'uovo collo spermatozoo perchè i relativi stadî non sono stati osservati. Quanto alle prove negative avute da Koch facendo pungere uomini malarici da Anofeli, non mi fanno alcuna meraviglia perchè molte volte mi è capitata la stessa cosa; ciò che ho attribuito ora agli Anofeli, ora alla condizione delle semilune. Si noti però, perchè non nasca equivoco, che del pari molte volte ho trovato delle per- sone infette di semilune, le quali per parecchi giorni di seguito infettavano il 90 °/ degli Anofeli. I suddetti casi negativi, del resto, sono ben noti anche per le altre malattie parassitarie. Queste critiche erano già state scritte quando, otto giorni più tardi, comparve il secondo lavoro di Koch. In questo, Koch ammette verosimz/issimo che la malaria umana sì propaghi per mezzo degli Aropheles maculipennis, quegli stessi A. macu- lipennis che otto giorni prima non potevano, non dovevano essere le zanzare pro- pagatrici della malaria umana. Il lettore si aspetterebbe di trovare in questo secondo lavoro le ragioni del cam- biamento radicale delle opinioni da parte di Koch. Purtroppo invece egli, che ha fatto la parte di ipercritico pei nostri lavori, per sè stesso è molto indulgente. In tre mesi di lavoro egli è arrivato a trovare soltanto 9 7 Anofeli infetti in posti molto malarici. Questi 7 Anofeli tuttavia sono bastati a modificare totalmente l'opinione di Koch! Lascerò al lettore di mettere d'accordo le seguenti due asserzioni che si leggono nei suoi lavori. Nel primo asserisce di aver trovato gli sporozoiti (germi falciformi) dentro le ghiandole salivari degli A. maculipennis anche nella stagione fredda, mentre nel secondo asserisce di ron «ver mai trovato niente di simile dentro la suddetta sorta di zanzara nella stagione fredda (°). In parecchi punti Koch ci segue senza citarci: così, per esempio, dimentica che noi per i primi abbiamo fissato l’ importanza della temperatura per lo sviluppo dei parassiti malarici nel corpo dell’ Azopheles; dimentica che io prima di lui ho dichia- rato innocenti i flebotomi, ecc. ecc. Nel mio opuscolo popolare notoriamente pubblicato il 1° settembre io definisco l’uomo depositario dei germi dell'infezione per la nuova stagione malarica e ne in- duco la possibilità di liberarne un paese, opportunamente curando i malarici (33). Koch viene presso a poco alla stessa conclusione nel suo secondo lavoro pub- blicato il 14 settembre. Non vedendosi però su quali fatti egli si sia fondato, viene il dubbio ch'egli apprezzi il nostro lavoro più di quanto egli vuol mostrare. Il punto culminante nuovo, nel secondo lavoro di Koch, è la possibilità da lui ammessa che anche il Culex pipiens propaghi la malaria. In una Nota ai Lincei (34 e 35) uscita in ottobre e ripubblicata dal giornale « La muova Etruria » il 22 ottobre, ho dimostrato, con molti argomenti che si troveranno nel seguito del pre- sente lavoro, che quest’ asserzione di Koch riguardo al Culex pipiens deve rifiutarsi. Nella stessa Nota or citata dimostro che Koch non ha portato alcun contributo all'etiologia della malaria umana (”). I lati della questione, riguardanti i definitivi ospitatori specifici dei parassiti malarici dei varî animali e la localizzazione della malaria in certe zone, gli sono sfuggiti. (4) Gosio ha più tardi cercato di togliere la contradizione, in cui è caduto Koch, dicendo che il termine « stagione fredda » nei due differenti lavori, si riferisce a due periodi ben diffe- renti. « Nel primo (Zeitschrift fir Hygiene, 8 settembre) si parla di reperto positivo riscontrato nell'inverno 1898-1899 in der kalten Jahreszeit, nell'altro (Deutsche med. Woch., 15 settembre) si parla di reperto negativo riscontrato nella stagione fresca (in der vorhergehenden kuhlern Zeit) che precedè quella calda (giugno, luglio ecc. 1899), in cui il reperto fu di nuovo positivo ». Eviden- temente questa interpretazione è insostenibile: infatti in altra parte del suddetto lavoro pubblicato nella Deutsche Med. Woch. Koch dice: 1° che restano 8-9 mesi (da settembre o ottobre d'un anno al giugno dell’anno successivo) duranti i quali l’esistenza dei parassiti malarici è affidata soltanto all'uomo; 2° che gli Anofeli nella stagione fresca (in der kwhlen Jahreszeit) pungono senza infet- tare di malaria. Si potrebbe dire che Koch parla in un punto di stagione fredda (Malte Jahreszeit) e in un altro di stagione fresca (AwAle Jahreszeit),, ma certamente Koch non pensava a questa distinzione perchè quando fa freddo le zanzare non pungono. Evidentemente perciò Koch il 15 set- tembre rinnega i suoi reperti positivi precedenti. Tanto è vero che Gosio per evitare la contrad- dizione riduce a sette gli otto-nove mesi in cui il parassita malarico è limitato all'uomo (inter- mittenza epidemica). () Dalle ulteriori ricerche di Koch, fatte nei paesi tropicali, risulta particolarmente interes- sante la constatazione che i parassiti malarici dell'uomo non si riscontrano in alcun altro mammifero. = dee Questo lavoro venne scritto in gran parte alla fine del 1899; durante il 1900 comparvero molte pubblicazioni, di cui, secondo il bisogno, ho parzialmente tenuto conto facendo qua e là piccole aggiunte. Ciò nuoce qualche volta all'ordine, obbli- gandomi anche a ripetizioni, ma per la sostanza riesce certamente utile. In questo capitolo storico mi limito a passare in rapida rassegna le più impor- tanti tra le or dette pubblicazioni. I. Celli (8), Za malaria secondo le nuove teorie (marzo 1900). — In questo lavoro, che tratta molto estesamente della profilassi e dell’ epidemiologia della ma- laria, trovo confermate in molti punti le notizie da me precedentemente pubblicate sui costumi degli Anofeli: di alcune divergenze toccherò man mano che ne avrò l' occa- sione nel presente lavoro. Credo che Celli avrebbe dovuto o tener sempre distinto il frutto delle proprie ricerche da quello delle ricerche altrui, oppure sopprimere qua- lunque citazione. L'uso promiscuo dei due metodi ha creato spiacevoli equivoci. II. Gosio (20), Za malaria di Grosseto nel 1899 (marzo 1900). — (Gosio, benchè meno recisamente, continua a ritenere sospetto il Culex pipiens; egli però non aggiunge alcun nuovo argomento a quelli di Koch, nè confuta alcuno di quelli da me opposti. Seguendo Koch, spesso non tiene conto dei nostri lavori. Qua e là si notano delle inesattezze e delle contraddizioni, che verranno da me man mano rilevate. Nuovissimo è il sospetto che le zanzare possano direttamente trasmettere i germi malarici da uomo a uomo senza che intervenga la generazione sessuata. Infine Gosio attribuisce totalmente a Koch i concetti che « le recidive malariche formerebbero come un anello, come un ponte che allaccia la vera stagione malarica d'un anno con quella dell'anno seguente. Là ove riesce di tagliare questo ponte, di spezzare quest'anello si impedisce il rinnovamento dell'infezione, la nuova carica in- fettiva. E la possibilità a ciò è data dalla fortuna di possedere nel chinino un mezzo efficacissimo per distruggere i parassiti malarici nel corpo umano ». Siccome questi stessi concetti sono stati da me pubblicati prima di Koch, così ritengo opportuno di qui riferire un brano di una mia pubblicazione notoriamente fatta il 1° settembre 1899. « Ora viene il punto più importante. Come ho detto più sopra, risulta dalle ri- cerche da me fatte sugli anofeli che essi nei mesi precedenti la nuova stagione ma- larica, ossia in complesso di primavera, quasi non sono infetti, mentre invece vi sono sempre uomini infetti di malaria, ossia recidivanti come ha dimostrato Dionisi. L'uomo può dunque definirsi depositario dei germi dell'infezione per la nuova sta- gione. Occorrerà quindi, sopratutto nell'epoca or detta, curare con grandissimo seru- polo gli uomini malarici. Questa cura riuscirà però un ottimo mezzo preventivo di nuove infezioni anche in qualunque epoca dell’anno. In molti luoghi occorrerà isolar gli ammalati o anche, se si può, trasportarli in paese non malarico. In ogni modo, poichè contro la malaria possediamo dei rimedi sicuri e mezzi diagnostici infallibili e d'altra parte la malaria non è malattia segreta, è mia ferma convinzione, che per sradicare la malaria dal nostro bel paese sia rimedio eroico la cura fatta rigorosa- mente di tutti gli uomini malarici. Essi finchè restano nei luoghi malarici, sono pe- aa = ricolosi per sè (reinfezione), e per gli altri. Un malarico, punto da venti anofeli al giorno, in poco tempo d'estate può propagar la malaria a centinaia di individui sani. Questa propagazione si può impedire curandolo opportunamente. « L'igiene, che spesso deve mostrarsi spietata verso i colpiti da malattie infettive, fortunatamente questa volta si unisce alla voce dell’ umanità e grida: “ Guariamo i poveri malarici ”' « Le pubbliche istituzioni, la carità privata non sono sufficienti nei quartieri po- veri, nella campagna, dove pullulano a migliaia gli ammalati di malaria i cui la- menti non giungono fino a noî, le cui sofferenze non possiamo lenire. « Questi miseri, deboli, mal nutriti, serbano nel loro sangue per molti mesi il germe fatale che poi, favorito dal calore estivo, si svilupperà, sarà diffuso dagli ano- feli, propagherà la febbre e la morte. Curando i malarici, distruggiamo la malaria. « Sieno le autorità le prime a comprendere l’importanza di quest'opera umanitaria e stanzino nei bilanci le somme necessarie. Nessun sacrificio compiuto a questo scopo, sarà inutile, nessuna spesa superflua, chè da quest'azione benefica deriverà la reden- zione dell’Italia malarica. « La mia opinione è questa: se nel bilancio dello Stato per un decennio si asse- gnassero dieci milioni annuali per la cura obbligatoria dei malarici, la malaria po- trebbe venir quasi sradicata ». III. Ross (76), Report of the Malaria Expedition (marzo 1900). — In questo Report Ross rifà per sommi capi la storia della scoperta secondo il suo modo di vedere. Rilevo tra le altre, in modo speciale, l’'asserzione pura e semplice che « egli nel 1897 ha coltivato uno dei parassiti malarici umani in due specie di Ano- pheles (dappled-winged mosquitos) ». Come ho dimostrato più sopra, Ross non ha mai parlato di Arxopheles malariferi prima di me e dappled-winged mosquito non è affatto sinonimo di Aropheles, contrariamente a quanto egli lascia credere. Sui fatti particolari avrò occasione di accennare nel seguito del mio lavoro. Fin d'ora, però, richiamo l'attenzione del lettore sulla tavola IV, pregandolo di metterla a confronto con la tavola I del lavoro da me pubblicato con Bignami e Bastianelli (7). Le figure 8, 9, 10 e 11 voglionsi paragonare colle nostre figure 7 (doppia nel nostro lavoro), 8 e 9. Le figure pubblicate nel resoconto della spedizione malarica inglese sembrano somiglianti alle nostre; faccio spiccare che queste somiglianze si ripe- tono anche nei difetti: 1° nelle nostre figure 7, e nelle figure 8 e 9 del Report la capsula è rappresentata in modo ugualmente inesatto; 2° parecchie figure sono spro- porzionatamente piccole rispetto agli stadî giovani tanto nelle nostre figure (7) quanto in quelle del Report (8, 9); 3° non essendo stato segnato se le figure nostre dei parassiti osservati a fresco erano copiate a tubo allungato o a tubo accorciato, non si poteva calcolare l'ingrandimento: per una strana coincidenza, nel Report di Ross, sempre preciso nell'indicare gl’ingrandimenti, questa volta essi vengono totalmente dimenticati. Per dimostrare poi come Ross lestamente arrivi alle conclusioni richiamo l' atten- zione del lettore sul capitolo Remarks. Qui egli descrive delle larve di filarza trovate in un Anopheles, ed afferma impossibile il dubitare che non siano derivate dai soldati. Ora io faccio osservare che, come ho pubblicato fin dal settembre 1899, nei dintorni di h) CI: LR Roma sono molto comuni nell’ Anopheles, le stesse larve di /laria descritte da Ross. Mancando a Roma la filaria nell'uomo, è evidente che la menzionata affermazione di Ross non ha serio fondamento (9). Tutto il frutto della missione Ross in Africa si riassume: 1° in una vor sufficiente conferma del fatto che tutte le specie di Amopheles propagano la malaria umana, fatto da me per primo proclamato per ragionamento d' induzione; 2° in studî bionomici sugli Aropheles; questi studî in parte confermano fatti già noti da tempo o da me pubblicati da poco, in parte sono incompleti. IV. Richiamo l'attenzione del lettore sopra una nuova Rivista di Nuttall, nella quale questo igienista che ha tanto contribuito a diffondere esattamente all'estero le nuove conquiste nel campo della malaria, esprime il suo giudizio nella controversia tra me e Ross. Pur non accogliendo che parzialmente le conclusioni di Nuttall (65), mi pregio di qui riferirlo con le sue stesse parole. « Da quanto ho precedentemente scritto il lettore ricorderà che Ross ha osser- vato in India a Secunderabad dei parassiti pigmentati incapsulati in alcuni mosquitos colle ali macchiate, allevati dalle larve. Egli ne trasse la conclusione che finalmente aveva trovato il vero oste per i parassiti dell'uomo. « Siccome egli per i suoi obblighi professionali come medico militare e per lo scoppio della peste non era in condizioni di proseguire queste ricerche, si occupò del- l'infezione del Proteosoma degli uccelli, che gli permise di seguire nel Culex pipiens l'intero ciclo di questi parassiti. Nei nominati insetti egli osservò gli stessi corpi pigmentati che aveva trovato nei mosquztos a Secunderabad e ne indusse che i primi, con tutta sicurezza, dovevano essere stadî di sviluppo dei parassiti estivo-autunnali. Le sue osservazioni a Secunderabad gli servirono anche come filo direttivo per le sue ricerche col Proteosoma. Ne deriva che difficilmente si può negare che Ross sia stato il primo a seguire lo sviluppo dei parassiti malarici umani nel corpo dell’ insetto. « L'intero sviluppo che decorre identico a quello del Prozeosoma è stato osser- vato da Grassi, Bignami e Bastianelli. Il lavoro degli osservatori italiani era anche necessario per confermare e fondare i dati di Ross. « Considerata nel senso strettamente scientifico, l'osservazione di Ross per se stessa non era sufficiente per portare una prova decisiva in tale questione. Essa richie- deva di essere estesa e perfezionata, come è appunto avvenuto per mezzo delle ricer- che italiane. Che lo sviluppo dei parassiti malarici umani, come ora sembra, avvenga esclusivamente negli insetti appartenenti al genere Anopheles è un'osservazione di cui siamo debitori agli osservatori italiani. Che Ross in Secunderabad facesse le sue osser- vazioni su una sorta di mosquzto colle ali macchiate, perciò appartenente verosimil- mente, benchè non con assoluta sicurezza, al genere Amopheles, risulta adesso ancor più sicuramente dopo le ricerche degli italiani. Credo di essermi così espresso im- parzialmente ». (“) [La filaria, che si sviluppa nell’Anopheles a Roma, appartiene al cane al quale viene ino- culata dall’ Anopheles stesso per mezzo delle punture]. POR. ea Aggiungerò alcuni commenti. Come ho ampiamente svolto più sopra, io non ammetto che Ross indiscutibilmente sia giunto a risultati positivi sperimentando sull'uomo, e ciò perchè gli sperimenti di Ross non erano stati accurati. In ogni caso però tra Ross che riduce il lavoro degli italiani a lavoro materiale, molto semplice, da me fatto mentr' egli si trovava occupato in altri lavori e Nuttall, che concede all'Italia il merito della scoperta degli Arophe/es. e che limita il merito di Ross, molta strada vi corre. Fa perciò molto meraviglia il leggere che Ross ancora dopo il giudizio surriferito citi Nuttall come storico @mparziale! In ogni caso Ross dovrebbe almeno vedere la lunghissima strada che corre tra i suoi vani tentativi e la conclusione a cui io sono arrivato in parte da solo e in parte con collaboratori, che la malaria umana è dovuta esclusivamente alle punture di tutti gli Aropheles infettatisi esclu- sivamente pungendo l’uomo. + Rot In breve, dirò che forse anche senza il mio intervento nella questione, qualche fortunato avrebbe potuto determinare come agenti propagatori gli Amopheles. Poteva ben accadere tuttavia che, essendo numerose le specie da sperimentare e parecchie le incognite del problema, come ho detto, passassero molti anni prima che si arri- vasse alla conclusione; molto più che lavorando, come hanno fatto molti fin qui, in luoghi non malarici o mediocremente malarici, non si arrivava a formarsi un concetto esatto delle specie dominanti nei luoghi molto malarici, e d’ altronde lavorando in luoghi molto malarici senza sapere da quali zanzare guardarsi si correva pericolo serio d’infettarsi. Ciò infatti disgraziatamente accadde in Sigur Ghat nel secondo semestre 1897 a Ross, il quale purtroppo non raccolse neppure le varie specie di zanzare che l'avevano punto. Lo studio dello sviluppo dei parassiti malarici fuori del corpo dell'uomo venne da me fatto per una via mia propria, onde Nuttall scrive che « io affrontai l’ argo- mento in una maniera differente di Ross ». Questa maniera differente stata da me pensata è stata l'applicazione di un metodo che fino dal 1892 io ho proposto e ado- perato con gran vantaggio per lo studio del ciclo evolutivo dei parassiti ad oste in- termedio e si riassume nella limitazione delle forme sospette per via di comparazione. Infatti partendo dall'osservazione fondamentale che in Italia vi sono molti luoghi infestatissimi dalle zanzare e punto malarici (parlo di malaria umana) venni alla conclusione che dovevano incolparsi specie di zanzare peculiari dei luoghi malarici e, in seguito ad estesi confronti, proclamai come indiziati due specie di Culez e l' Anopheles claviger. Giunto a questo punto, constatai lo sviluppo della malaria nel mio inser- viente che certamente era stato punto soltanto dalle suddette tre sorta di zanzare; tentai, d'accordo con Bignami, di far sviluppare la malaria in un individuo sotto- posto alla puntura delle stesse tre specie di zanzare. L'esperimento che a Bignami prima non era riuscito, riuscì invece con le zanzare da me dichiarate sospette. Poco più tardi determinavo altri fatti che dimostravano che, se la malaria viene propagata dalle zanzare, dovevano certamente incolparsi gli Anopheles claviger. Quasi contemporaneamente con Bignami e Bastianelli ottenevo un caso di malaria da pun- — 36 — ture di soli Anopheles claviger, trovavo i parassiti in Aropheles claviger presi nelle camere di individui malarici e allevavo artificialmente i parassiti nello stesso Ano- pheles claviger (*). APPENDICE I. Nel luglio del 1899 comparve anche il volume « Sporozoa » par Alphonse Labbé nel Tierreich (49). Purtroppo la letteratura degli emosporidi arriva in questo lavoro quasi soltanto al 31 dicembre 1897. Ciononostante la compilazione di Labbé deve essere qui accen- N nata perchè io pure userò una nomenclatura dei parassiti malarici, fin dove è giusto, conforme alle proposte del suddetto autore. Per i cambiamenti da introdursi a queste proposte, ho consultato anche le più grandi autorità e credo che i medici per evitare confusioni debbano fin d’ora seguire la nuova nomenclatura (°). (2) Il processo scientifico ora esposto e da me seguito nello studio della malaria viene da Ross messo in cattiva luce ne' suoi scritti più recenti. Egli dice che io ero perduto in una massa di errori e che riuscii soltanto seguendo i suoi metodi e le sue osservazioni. Chiunque legga i miei lavori vede chiaramente che io non ho commesso alcun errore, ma ho seguito una strada scientifica mia propria. Con altre parole: ho indicato le forme sospette, ho stabilito in collaborazione con Bignami e Bastianelli quali fossero veramente colpevoli ed ancora in collaborazione con essi ho seguito il pa- rassita dentro l’ospitatore. In questa ultima parte del lavoro ci siamo imbattuti in molti fatti ana- loghi a quelli scoperti alcuni mesi prima da Ross per gli uccelli. Questa è la verità ed egli non può parlare di metodi suoi quando gli stessi metodi, spesso con molto maggior finezza di tecnica, furono sempre seguiti da coloro che si occuparono di ciclo evolutivo di parassiti. (®) Ross ha proposto una nomenclatura differente: essa non si può accogliere, perchè non con forme alle leggi di priorità accettate da tutti i naturalisti. Precisamente, egli distingue i parassiti malarici dell'uomo e degli uccelli in due generi: in un>, Yaemamoeba, Grassi e Feletti, comprende tutti i parassiti malarici suddetti eccetto quello che io denomino Laverania malariae e che egli appella Haemomenas praecow. Così viene eliminato il gen. Plasmodium il che è contrario alle leggi della priorità. La fusione dei generi, proposta da Ross, è infondata, sopratutto perchè la Zaverania Dani- lewskyi, Grassi e Feletti, è molto lontana dagli altri parassiti malarici. Quanto ai parassiti umani, la creazione del nuovo genere Zaemomenas può sembrare autorizzata dalla circostanza che Haemamoeba e Plasmodium furono usati come sinonimi; senonchè, siccome il genere Laverania fondato da me e da Feletti nel 1890, riferivasi, come oggi si sa, alla forma sessuale dell'7aemamoeba praecoa, non veggo perchè si debba creare un nuovo genere Haemomenas. Propongo perciò di non accettarlo. Ove questa mia proposta non venisse ammessa, i generi Laverania e Haemamoeba stabiliti anche per i parassiti malarici degli uccelli da me e da Feletti nel 1890, dovrebbero sempre con- servarsi per ragioni di priorità. A proposito della nomenclatura, Ross mi accusa di aver fatto molta confusione dando due nomi al parassita della bidua: in realtà la mia colpa consiste nell'aver dato distinti nomi alle forme, sessuata e non sessuata, di una specie di parassiti malarici e da me ritenute come specie distinte. Se Ross consulta i libri di zoologia, vedrà che la stessa sorte è toccata alla maggior parte delle specie similmente dimorfe. Lihe con molta competenza è recentemente tornato sulla nomenclatura dei parassiti malarici; sog La riassumo nel seguente quadro: 1°. Plasmodium vivae (Grassi e Feletti 1890): produce la terzaza, detta anche poco propriamente ferzana primaverile. 2°. Plasmodium malariae (Grassi e Feletti 1890): produce la quartana. 8°. Zaverania malariae (Laveran 1881): produce la didua, detta anche più o meno propriamente /erzana maligna, estiva-autunnale, tropica ecc. Anche i parassiti malarici degli uccelli comprendono due generi con parecchie specie, cioè: I. Halteridium Danilewskyi (sinonimo di Zaverania Danilewskyiî) (Grassi e Feletti 1890). II. Haemamoeba relicta (sinonimo di Haemoproteus relictus) (Grassi e Fe- letti 1890). III. Haemamoeba subpraecox (sinonimo di Haemoproteus subpraecox) (Grassi e Feletti 1890). Restano incerte quelle forme che io e Feletti abbiamo denominate Aaemamoeba immaculata nell'uomo e H. subimmaculata negli uccelli. Dopo le ricerche da me fatte nel corrente anno (1900) ritengo l' H. immaculata dell’uomo non sia che una varietà della Zaverania e che l' H. subimmaculata debba riferirsi al genere nuovo Achromatieus di Dionisi insieme ad una forma scoperta da Dionisi stesso e da lui denominata Achromaticus vesperuginis. Non posso finire senza accennare che oggi sono confermati, come risulterà da questo lavoro, i due principali risultati positivi delle ricerche da me fatte con Feletti, e da noi riassunti nel 1890 come segue: « 1°. Abbiamo dimostrato con tutta sicurezza che i parassiti malarici hanno un nucleo. Questo nucleo piglia la parte dovuta nei fenomeni di riproduzione, ed è già evidente nelle cosidette spore, le quali non hanno membrana. « Dopo questa dimostrazione nessuno può più dubitare della vera natura dei pa- rassiti malarici, ed attribuirli a degenerazione dei globuli rossi. « 2°, Abbiamo provato ad evidentiam che può ospitare nell'uomo un certo numero di specie di parassiti malarici, di vere specie, nel senso generalmente accettato dai sistematici, che, cioè, una forma non si tramuta in un’altra ». mentre accetta i nomi da me proposti per quelli dell’uomo, nomi che perciò diventano definitivi, non crede che si possa conservare il gen. Haemamoeba perchè esso da noi veniva fondato per al. cuni parassiti malarici dell'uomo e soltanto successivamente venivano da noi in esso compresi anche certi altri parassiti malarici degli uccelli. Considerando che questi prima di noi erano ignoti e che noi li abbiamo riferiti al gen. Haemamoeda al tempo stesso che li scoprivamo e che il nome /Hae- moproteus è venuto più tardi, noi non crediamo che sia valevole l’obbiezione di Liihe, che non ci sembra autorizzata da una special legge di priorità. PI CAT APPENDICE II. Cenni storici sulle recenti scoperte intorno alla trasmissione della malaria. To credo opportuno chiudere questo capitolo con un esteso riassunto che metta rapidamente il lettore in grado di dare un giudizio. Chi ha avuto la pazienza di seguirmi attentamente nelle pagine precedenti, può passare senz'altro al capitolo seguente. 1. Ricerche di Ross sulla malaria umana. A) nel biennio 1896-97. N. 1. Alcuni casi di febbre, uno anche con reperto di parassiti malarici nel sangue, ottenuti in uomini che avevano bevuto acqua contenente tritume di mosquitos nutritisi con sangue malarico. N. 2. Quattro tentativi non riusciti di produrre le febbri colla puntura dei mosquitos. N. 3. Supposti rapporti di varî parassiti dei mosquitos (gregarine e flagellati) coi parassiti malarici. N. 4. Scoperta di certi corpi rotondi - cellule pigmentate - in tre esem- plari di mosquitos colle ali macchiate, i quali sotto la zanzariera, in presenza dei maschi avevano punto uomini aventi semilune nel sangue. Mon risulta con assoluta certezza che questi mosquitos fossero stati allevati dalle larve e si fossero nur triti soltanto su uomini infetti di semilune. N. 5. Descrizione di cellule pigmentate identiche alle precedenti in un mosquzto grigio raccolto mentre pungeya un terzanario e ucciso « quando doveva essere diven- tato alato da una settimana ». Le cellule pigmentate dei NN. 4 e 5 vengono da Ross riferite ai parassiti ma- larici umani. « Naturalmente queste osservazioni erano assolutamente insufficienti per provare che le cellule pigmentate provenivano veramente dai parassiti succhiati dagli insetti nel sangue dei malarici....» (Ross, Revue sezsentifigue, 11 juin 1900). B) nell’anno 1898. Prima delle nostre pubblicazioni: N. 6. Risultato negativo con 15 mosquztos dalle ali macchiate che avevano punto un individuo semilunare. Dopo pervenute a Ross le nostre pubblicazioni dimostranti che l’Anopheles claviger propaga la malaria umana: N. 7. Risultati negativi ottenuti insieme con Daniels tanto coi mosquétos colle ali macchiate, quanto coi mosquitos grigi, che avevano punto due buoni terzanarî e tre semilunari (in due le semilune erano in numero considerevole). = = Da questo prospetto emerge che Ross sulla malaria umana ha pubblicato: a) gravi errori (NN.1e 5) da lui stesso oggi indiscutibilmente ritonosciuti come tali; b) risultati inconceludenti (NN. 2 e 3); e) risultati non indiscutibilmente positivi nel 1897 (N. 4)con tre mosquitos dalle ali macchiate e risultati negativi nel 1898 (NN. 6 e 7) con altri numerosi mosquzitos dalle ali macchiate, ri- tenuti similissimi (N. 7) ai precedenti (N. 4); d) risultati tendenti a deviare dal vero (NN. 2, 5 e 7). Scientificamentè di fronte ai sei numeri (1, 2,3, 5,6 e 7) nulli o negativi, non può aver serio valore il N. 4, molto più che esso è anche intrinsecamente discutibile. Aggiungasi che esistono Cul/ez colle ali macchiate e Ano- pheles colle ali non macchiate. 2. Risultati ottenuti da Ross nel 1898 con i parassiti malarici degli uocelli (Proteosoma e Halteridium). N. 8. Ross segue l'evoluzione del Proteosoma (scoperto da Grassi e Feletti nel 1890) nel corpo del mosquzto grigio, concludendo che forma due sorta di ele- menti riproduttori: 1° filamenti germi; 2° spore nere. Dimostra il passaggio dei primi nelle ghiandole salivari e sperimentalmente prova che cor grande probabilità essi, passando con la puntura nel corpo degli uccelli, li infettano di Proteosoma. Giudica le spore nere evidenti forme durature, capaci di vivere, fuori del- l'organismo vivente, nel mondo esterno. Le figure e le descrizioni di Ross dal punto di vista zoologico riescono quasi incomprensibili. N. 9. Ross ottiene risultati negativi coll'altro parassita malarico degli uccelli (Halteridium). 3. Induzioni per analogia riguardo alla malaria umana. Ross, partendo dalla somiglianza dei corpi pigmentati da lui trovati in mosquitos, che avevano punto uomini malarici, con quelli del Proteosoma, viene alla conclusione che i parassiti malarici dell’uomo si devono comportare come il Proteosoma anche negli stadî ulteriori da lui non osservati, non essendovi ragione di supporre che essi ne differiscano molto. Resta, però, da scoprire per ogni parassita il secondo ospite appropriato. « Que- st'opera, scrive Ross, giudicando dalla mia passata esperienza, promette di non esser facile ». Scrive Manson: « Che questa di Ross sia l'ultima parola sul soggetto, non lo credo. Io penso che la malaria umana può venire innestata dai mosquitos, ma che questo sia l’unico modo non posso avventurarmi ad asserirlo e infatti non lo penso .... Si può obbiettare che ciò che vale per il Proteosoma può non valere per il parassita della malaria umana, ma la somiglianza dei parassiti è così grande che uno non può resistere alla conclusione che le loro storie siano simili ». ge Evidentemente nè Manson, nè Ross stesso ammettono che le scoperte sul Proteosoma degli uccelli dimostrino in modo assoluto come l’uomo prenda le febbri malariche. Oppongo alle conclusioni tratte per analogia che parassiti molto simili pos- sono avere cicli di sviluppo totalmente differenti. Esempî: La filaria medinensis, a differenza di altre filarie, non si propaga colla puntura dei mosquitos. La malaria dei bovini si propaga per mezzo della prole delle zecche con un ciclo del tutto differente da quello della malaria umana. Di uno dei due parassiti malarici degli uccelli non si è potuto ottenere la propagazione colle zanzare, ecc. Lo stato vero in cui Ross ha lasciato la questione risulta da una sua Nota, datata da Calcutta 31 dicembre 1898, negli Annales de l’Institut Pasteur, n. 2-25 febbraio 1899. Ross in essa accenna alle ricerche degli italiani dimostranti che l'Anopheles elaviger propaga la malaria umana e nomina ancora vagamente i mosquitos da cui anch'egli avrebbe ottenuto risultati positivi (vedi N. 4), dicendoli soltanto « moustiques d'une nouvelle espèce ». Credo opportuno riportarne alcuni brani: « Mais il restait encore beaucoup è faire. Il était claire que désormais les re- cherches devaient étre conduites dans deux directions. D’abord, il était nécessaire de firxer pas è pas l’évolution du Proteosoma dans le moustique, de fagon à avoir un développement type pour tous ces parasites, et un guide pour la découverte des lois générales de la diffusion de la malaria. En second lieu, il était indiqué de chercher à connaître d'une fagon précise les hòtes des parasites humains et leur habitat. Ce dernier programme d'études était particulièrement attirant et promettait des décou- vertes intéressantes, mais je choisis le premier comme étant, en réalité, le plus im- portant (sie). Poursuivre les deux è la fois était impossible à une seule personne... ». « Une ceuvre considérable, capable d'occuper un ou méme plusieurs savants, reste è accomplir....». « Le D." Laveran m'è écrit: “ Je suis de l’avis de Manson; il est bien pro- bable que le parasite du paludisme n'a chez l'homme qu'un hòte accidentel et qu'il doit se réproduire dans le milieu extérieur (probablement à l'état de parasite du moustique) sans que son passage dans le sang humain soit indispensable "’. Je pense que les spores noires remplissent cette fonetion, mais ce problème très-important n'est pas encore résolu....». «Je considère comme probable que la malaria est communiquée è l'homme uni- quement par les morsures des moustiques et peut-étre d'autres insectes ». 4. Ciò che restava da scoprire dopo l’opera di Ross. 1. Se era conforme al vero la supposizione molto probabile che la malaria umana si propagasse per mezzo dei mosquzitos. 2. Quali tra i mosquitos, nome collettivo per tutte le piccole specie di ditteri alati che pungono, fossero capaci di propagare la malaria umana. 3. Se il parassita della malaria umana avesse un ciclo evolu- tivo uguale a quello degli uccelli. 4. Se, come risultava probabile, l’uomo fosse soltanto un oste accidentale dei parassiti malarici riproducentisi indefinitamente nei mosquitos. 5. Se l'uomo si infettasse soltanto con le punture. 6. Se i nuovi dati sperimentali spiegassero le conoscenze empi- riche che si avevano intorno alla malaria umana. 7. Se altri mammiferi ospitassero i parassiti malarici dell'uomo. 8. Come i fatti scoperti da Ross dovessero interpretarsi zoologi- camente per poterli riattaccare a quelli già noti su altri Protozoi. 5. Risultati delle ricerche fatte o da me solo o in collaborazione con Bignami e Bastianelli. 1. Ross ha giustamente osservato (1898) che « Grassi, travaillant tout à fait indépendamment de nous, a récemment fait de patientes enquétes épidémiologiques qui l’ont conduit à supgonner un’espéce de moustique Anopheles claviger Fab., d’ètre l’agent du paludisme en Italie ». Partendo dall'osservazione che vi sono luoghi non malarici con molte zanzare, dopo confronti fatti nelle più svariate parti d’Italia, conchiusi che dovevano ritenersi sospetti l’.Anopheles claviger e due Culex. Nella Nota in cui si riferiscono questi fatti (fine di settembre 1898) per la prima volta viene dichiarato che l' Anopheles claviger può definirsi vero in- dice, vera spia della malaria e che questa e quello sono intimamente connessi. Evidentemente la detta Nota ha aperto una nuova strada maestra che in meno di due mesi condusse a scoprire quanto Ross e altri aveva tentato invano da anni. 2. Ai primi di ottobre 1898 pubblico un caso di malaria sviluppatosi nel mio inserviente punto in luogo malarico, certamente soltanto dalle tre zanzare sospette. 3. D'accordo con Bignami in seguito alla puntura colle suddette tre specie ot- tiensi lo sviluppo delle febbri malariche in un individuo, che precedentemente era stato fatto pungere da Bignami con altre specie di zanzare (Culex pipiens, ecc.), senza alcun risultato. 4. Segue una serie di pubblicazioni fatte in collaborazione con Bignami e Ba- stianelli dalle quali risulta l’'intiera storia dei parassiti malarici umani basata sopra osservazioni ed esperimenti esaurienti. Noi concludiamo: a) La malaria viene propagata da uomo a uomo con le punture degli .4r0- pheles claviger, dell'A. bifurcatus var. nigripes e dell'A. superpictus. 5) Tutti e tre i parassiti malarici umani si sviluppano nelle suddette specie di Anopheles. c) Le così dette spore nere vengono da noi giudicate forme degenerate. d) Probabilmente i parassiti malarici non passano dalla madre alla prole degli Anofeli. i: e) Pochissimi esperimenti coi Cu/ex sono riusciti negativi. f) La condizione principale per lo sviluppo dei parassiti negli Anopheles sta nella temperatura sufficiente, e ciò collima coll'epidemiologia della malaria. A ONES 5. Fin dal principio del dicembre 1898 definisco con Dionisi gli emosporidi (parassiti malarici dell'uomo e degli uccelli) « parassiti con ospitatore intermedio e generazione alternante ». 6. Approfondisco (in parte in collaborazione con Noè) le ricerche sull'organiz- zazione degli Aropheles e sui costumi. Ne faccio per il primo conoscere le uova; descriviamo le differenze specifiche delle larve, ecc. ecc. 7. Nel giugno 1899 dimostro da solo che anche l'.Anopheles bifurcatus tipico e l'A. pseudopictus propagano la malaria umana, restando così provato che sono nocive tutte le specie italiane del genere Amopheles. Con un’altra serie di esperimenti faticosissimi dimostro che sono invece innocui i Culea e gli altri ditteri ematofagi. Vengo pertanto alla conclusione dimostrata che la malaria umana in Italia è dovuta esclusivamente a tutte le specie del gen. Anopheles. 8. Escludo in modo assoluto che l'infezione si trasmetta dalla madre alla prole degli Anopheles. 9. Trovo per il primo il vermicolo dei parassiti malarici umani, stadio sfuggito nelle precedenti ricerche. 10. Riprendo e completo lo studio minuto dei parassiti malarici dentro il corpo dell’Aropheles, consolidando il giudizio già espresso sulle spore nere ed escludendo che il parassita malarico trovi, come credevano Ross e Laveran, nel mammifero un ospitatore accidentale e non necessario. 11. Partendo dalla mia osservazione che presso a poco dal gennaio al giugno gli MAnopheles non sono quasi mai infetti, prima di Koch definisco l'uomo « depo- sitario dei germi deli infezione per la nuova stagione » ; ne induco che per debellare la malaria devesi « sopra tutto nell'epoca premalarica » curare con grandissimo scrupolo gli uomini malarici. 12. Fin dall'inverno 98-99 mi persuado che, essendo gli Anofeli animali essen- zialmente crepuscolari, le retine metalliche applicate alle finestre devono essere ye- ramente preziose per la protezione dalla malaria. ; Dopo averle per primo proposte e messe in opera contro la malaria alla Torre di Maccarese, per primo passo nell'agosto 1899, con una famiglia di sette persone, otto notti impunemente in luogo gravemente malarico, tenendo le finestre aperte e protette soltanto da una reticella metallica piuttosto rada. 13. Nel 1900, nella provincia di Salerno, coadiuvato da varî medici, faccio su 112 individui un esperimento il quale dimostra in modo assoluto cha proteggendosi dalle punture degli Anofeli non si va più incontro alle febbri. Gli esperimenti del prof. Celli, fatti contemporaneamente al mio, per quanto dal punto di vista della profilassi pratica siano provativi, dal punto di vista di escludere qualunque altra via d’'infezione riescono invece insufficienti, sia perchè nella Rela- zione non è detto che durante la stagione malarica siasi evitato l'uso dei chinacei, sia perchè dalla stessa Relazione risulta che gl’'individui in esperimento non veni- vano costantemente sorvegliati, com'è necessario, per escludere qualunque fonte di errore. Wa 6. Conclusione. Ross ha scoperto il ciclo di sviluppo di un parassita malarico degli uccelli, lasciando però sospese importanti questioni. Egli non ha potuto giungere a risultati concludenti per i parassiti malarici dell’ uomo. La conoscenza del modo di trasmissione della malaria umana, conoscenza che oggigiorno, almeno per l'Italia, si può dire completa, si deve alle ricerche preliminari fatte da me solo, continuate a lungo con Bignami e Bastianelli e terminate da me solo. La dimostrazione che i parassiti malarici dei pipistrelli, per quanto simili, sono differenti da quelli dell'uomo, devesi a Dionisi. AGGIUNTA DURANTE LA CORREZIONE DELLE BOZZE (luglio 1901). Nuttall nel The Quarterly Journal of Mieroscopical science, 1901, torna sulla questione della malaria, esprimendo un giudizio molto più favorevole a Ross di quelli che aveva precedentemente pubblicati. Egli dà grande importanza al fatto che si trovano Aropheles anche in luoghi non malarici, fatto che sarebbe stato scoperto da Celli e da lui stesso. Io dimostrerò più oltre (Capitolo II) che Nuttall e Celli non hanno letto interamente i miei lavori. Qui mi limito a notare che la regola ge- nerale « gli Anopheles sono la spia della malaria » è così evidente che basta percorrere qualche parte delle pianure ituliane per trovare mille conferme di essa e che le eccezioni sono così ragionevoli da non turbarla punto. Si può dire con tutta sicurezza che nei luoghi malarici della pianura italiana si trovano facil- mente Anopheles in abbondanza, mentre nei luoghi della stessa pianura ritenuti ma spesso non dimostrati assolutamente non malarici, se ne trova quasi sempre soltanto un numero relativamente molto scarso (sovente appena nelle stalle), ovvero spesso non se ne trova affatto. Nuttall, dando soverchia importanza a queste minime eccezioni, senza occuparsi di verificare se nelle località che mi servirono per il confronto nel 1898 le cose stessero o no come io le ho esposte — quasi che io pretendessi di aver dimostrato in modo assoluto che la malaria si propaga cogli Aropheles esclusivamente col mio pro- cesso indiziario — conchiude sembrargli che io, nelle mie ricerche sia stato guidato in- teramente dalle notizie che Ross aveva pubblicato intorno ai suoi mosquztos dalle ali macchiate. Ho già nel primo Capitolo accennato a queste notizie; trovo tuttavia op- portuno di qui riferirle con le stesse parole di Ross (69): « The latter (mosquitos) are a large brown species, biting well in the daytime, and incidentally found to be capable of harbouring the filaria sanguinis hominis. The back of the thorax and abdomen is a light fawn colour; the lower surface of the same, and the terminal segment of the body a dark chocolate brown. The wings are light brown to white, and have four dark spots on the anterior nervure. The haustellum and tarsi are brindled dark and light brown. The eggs — at least, when not fully developed — Midi 1 are shaped curiously like ancient boats with raised stern and prow; and have lines radiating from the concave border like banks of cars so far as I have seen, a unique shape for mosquito’s eggs. The species appears to belong to a family distinet from the ordinary brindled and grey insects; but there is an allied species here, only more slender, whiter, and much less voracious. My observations on the characteristics of these mosquitos were not very careful, as when I first obtained them I did not anticipate any difficulty în procuring more ». To domando se esiste uno zoologo, il quale possa én duona fede sostenere che io abbia tratto profitto da queste notizie per arrivare agli Aropheles, specialmente con- siderando che Ross lavorava in India ed io in Italia, in paesi cioè aventi una fauna profondissimamente differente. Chi mai avrebbe pensato di servirsi delle uova, non ancora mature per giunta, (si ritenevano uguali in tutti i Cu/iezdi) per determinare i mosquitos con cui Ross aveva sperimentato? Si noti che il grande sistematico dei ditteri (Schiner) (*) dubi- tava che gli Aropheles non succhiassero sangue e Ficalbi si limitava a dire che l'A. claviger non sdegna il sangue umano, ma che per lo più è fitofago. Si consideri che il mosquito di Ross punge bene di giorno, ciò che l'Aropheles elaviger non suol fare. Si aggiunga che questo masquito, come si legge nella sopra riportata citazione, ha quattro macchie sul margine anteriore dell'ala (Tav. V, fig. 4 del presente lavoro), mentre l' Anopheles claviger, il primo Anopheles da me accusato, ha quattro macchie disposte in modo ben diverso (Tav. V, fig. 1 del presente lavoro). Infine l'aver detto Ross che il suo mosquito dalle ali macchiate sembrava appartenere a una fami- glia differente dai soliti mosquzitos (cioè dai Culziceides?) mentre in realtà era della stessa famiglia, doveva tendere sempre più a deviare dagli Amopheles. Il fatto che io ho lavorato dalla metà di luglio fino alla fine di settembre per determinare le zanzare dei luoghi malarici e non malarici e che io ho accusato, come dice Nuttall stesso, oltre all’Anopheles, due Culex, dimostra che Ross non mi ser- viva di guida. Nuttall fa risaltare che la mia prima Nota è uscita sotto due differenti forme, ed è vero; ma nella letteratura annessa alla prima edizione del presente lavoro e nel testo dello stesso pag. 17 e 18 si legge che si tratta di due edizioni e che quella del Policlinico è la seconda. Che sia la seconda edizione lo dimostra l'aggiunta riguardante l'infezione mala- rica del mio inserviente; che le parole « seconda edizione » non siano stampate sul- l'originale si capisce facilmente considerando che i nostri giornali mal volentieri riproducono cose già pubblicate. Quando uscì la prima edizione (27) (’) io non cono- (4) Schiner, Fauna Austriaca, I T., 1862, scrive del gen. Anopheles: « doch ist mir nicht bekannt, dass die Weibchen Blut saugen ». (?) Nel fascicolo dei Rendiconti dei Lincei, in cui questa Nota è pubblicata si legge che fa parte delle comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2 ottobre 1898. Nuttall intende queste ultime parole come volessero dire lette al 2 ottobre e mi accusa(!!) di avere scientemente can- cellato nella seconda Nota la citazione di Ross, come risulta dalle seguenti sue parole: /n the paper scevo ancora i lavori di Ross (°), perciò non li citai: quando uscì la seconda edi- zione ne avevo avuto cognizione e perciò li citai come li tornai a citare estesamente nella Nota successiva (29). Si noti che tra la prima e la seconda edizione c’era stata di mezzo la critica di Koch riferita a pag. 23. L'aver io in questa seconda edizione (28) data in seguito alla critica di Koch molto maggior importanza al Culex penicillaris, cioè ad una zanzara senza macchie, dimostra proprio tutto l'opposto di quanto pretendono Nuttall e Ross. Certamente oggi, ammettendo che la conclusione dell'esperimento di Ross colla zanzara dalle ali non macchiate sia erronea, che gli esperimenti colle zanzare dalle ali macchiate siano esatti e che le uova a barchetta siano caratteristiche degli Anopheles, si può con maggior o minor verosimiglianza sostenere che Ross abbia trovato per il primo lo sviluppo dei parassiti malarici negli Amopheles, ma quando io pubblicai i miei lavori tutti ignoravano le suddette tre circostanze. Si noti bene che il carattere delle uova è accennato soltanto nella prima Nota di Ross del 97, e poi non viene più ripetuto; egli parla semplicemente di zanzare dalle ali mac- chiate. (Rilegga Nuttall, per esempio, l'estratto della lettera di Ross da lui pub- blicato nell'HAygienisehen Rundschau 1898, N. 22). Nuttall dà molta importanza all'aver noi, cioè Bastianelli, Bignami ed io, osser- vato nella Nota del 4 dicembre 1898 (22) che i mosquitos con cui aveva speri- mentato Ross, verosimilmente erano Aropheles claviger (si vide poi che ciò non era); questo sospetto era troppo naturale, soltanto però dopo aver scoperto che gli An0- pheles elaviger erano malariferi, scoperta che appunto si annuncia nella Nota in discorso. Era tuttavia un semplice sospetto, come dimostra l'aggiunta in calce alla Nota in discorso che, cioè, esistono in Europa cinque culicidi colle ali macchiate, mentre per l'India non conosciamo alcun dato. Infine Nuttall vuol trovarmi in contraddizione là dove (vedi la prima edizione del presente lavoro) pretendo di aver accusato sopratutto l’ Aropheles claviger nella prima comunicazione del 29 settembre 1898. Ma ciò, quantunque non vi sia detto espli- citamente, a mio avviso, risulta a chiunque legge du/eramente questa prima edizione della Nota la quale appunto riguarda in gran parte l'A. claviger. In ogni modo si tratta di circostanza (v. pag. 41 del presente lavoro) tutt’ altro che importante, perchè io stesso ho pubblicato che Koch mi aveva fatto perdere la fiducia negli Amopheles. read on the next day (2 ott.) at the Accademia dei Lincei, under the same title as that which appeared in the Policlinico Grassi omits to mention Ross though he refers to what was known regarding Texas fever. The paper, published in the « Transactions of the Accademia », differs in several respects from that which appeared in the « Policlinico ». Questi e tanti altri equivoci sembrano dovuti all’insufficiente cognizione che Nuttall ha della lingua italiana, come dimostra anche, per esempio, l'aver preso le due parole « ventidue serrapiche » per la denominazione volgare delle serrapiche. (Centralblatt f. Bakt. I Abt. 1900, vol. XXVII). (4) Si avverta che essi non mì erano venuti prontamente sottocchio, perchè comparsi in un giornale di medicina (British Med. Journal) e in un Report stampato a parte a Calcutta con la data maggio 1898. Il mio gabinetto non era abbonato al British Med. Journal, il quale manca anehe alla Biblioteca Universitaria. Ciò spiega anche come mi sfuggisse per un certo tempo l'ar- ticolo di Manson (59). Mg = Come la riacquistassi, risulta evidente dalle seguenti citazioni. Nel fascicolo dei Rendiconti dei Lincei in cui è pubblicata con Bignami e Bastianelli la suddetta Nota del 4 dicembre 1898, si legge un'altra Nota col mio solo nome (30) nella quale è scritto: « Dal 20 al 30 ottobre nei dintorni di Roma i Culex penzcillaris e malariae andarono diradandosi e dal 10 novembre in poi quasi non punsero più; non potendosi ammettere che /u// i moltissimi casi di malaria sviluppatisi dopo il 10 novembre fossero già in incubazione, sono inclinato a concedere grande importanza all'Anopheles claviger. « Si trovarono però nei luoghi malarici anche rarissimi Anopheles difurcatus, A. nigripes, Culex spathipalpis e non rari Culex pipiens. Questi due Culex erano però in generale meno rari nei luoghi non malarici. « Notevole è stata, in ottobre e in novembre, l'abbondanza dell’.Anopheles bi- furcatus nei dintorni di Sant’ Eufemia di Calabria e dell’Anopheles pictus in pa- recchi altri luoghi gravemente malarici del Napoletano. Occorre perciò sperimentare anche con queste forme ». Aggiungasi che nell'altra Nota che porta oltre al nome mio, quello di Bignami e Bastianelli pubblicata nello stesso fascicolo (22) si legge: « Si noti infine che a Lentini (Sicilia) nell'ottobre e nel novembre scorso, pur infierendo la malaria non si trovò nè Culea penicillaris, nè Culex malariae; gli Anopheles claviger invece erano straordinariamente abbondanti ». Questa osservazione era stata fatta da me prima che trovassimo il ciclo di svi- luppo negli Aropheles. Insomma è evidente che io dopo le mie ricerche comparative fatte fino al 26 set- tembre 1898 e intorno alle quali posso invocare anche la testimonianza del dott. De- Orchi di Como, dell'ingegner Billitz e del dott. Romanini di Locate Triulzi, dell'in- gegner Clerici di Milano, del dott. Serra di Follonica e del prof. Grocco di Firenze; fissai i miei sospetti in grado molto forte sull’Azopheles claviger: che dietro alle precise asserzioni di Koch, contrarie alla mia conclusione, dubitai di aver sbagliato e modificai alquanto il mio giudizio, invocando sopratutto il Culex perziesllaris, ma che poscia, a poco a poco, proseguendo le mie osservazioni comparative, riacquistai la fede assoluta che l’Aropheles claviger fosse malarifero. Fu questa fede che spinse me e i miei collaboratori Bignami e Bastianelli ad insistere coll’ Anopheles elaviger finchè si raggiunse la meta. A Nuttall e a chiunque altro pretende che dalla Nota di Ross del 18 dicembre 1897 risulti che i mosquztos dalle ali macchiate, coi quali aveva sperimentato Ross, erano stati allevati dalle larve rispondo che questa pretesa è contraria alla verità, ‘ come risulta dalle seguenti parole di Ross stesso scritte in una lettera diretta a Charles della quale è già fatto cenno a pag. 18: « There were three such mosquitos (see B. M. J. of dec. 18. 1897 and also febr. 26 1898) @a/2 « dappled winged ». The first two of these were bred from the larvae. Unfortunately I find on reading my artiete of dec. 18, that I have forgotten eaplicitly to mention this important fact....... And 1 hope Grassi, Bignami and Bastianelli w20 correct their statement; though I admit their error is owing to my own carelessness. La lettera in discorso è ostensibile a chiunque lo desideri, —, lp A Nuttall che mi oppone che anche i nostri esperimenti erano fatti con Ax0- pheles non stati allevati dalle larve, rispondo che egli dimentica, tra le altre cose, che noi annunciavamo perfino di aver infettato un uomo di terzana cogli Amopheles claviger (22)! Ripeto del pari che l'errore di Ross rispetto al mosguzto grigio non appariva affatto possibile dalla Nota di Ross del 26 febbraio 1898 e che non si tratti di una mia interpretazione, risulta evidente dal seguente brano di un articolo di Manson: Readers of the British Medical Journal will recollect that in the issue of December 18", 1897, Surgeon-Major Ronald Ross described certain pigmented cells found imbedded in the stomach wall in two specimens of a peculiar (« dapple- winged n) species of mosquito which had fed on a malarial patient whose blood contained the erescent plasmodium. The characters of the pigment în these cells were such that Dr. Thin, Mr. Bland Sutton, and myself concurred with Ross in regarding it as the product of the malaria parasite; but as to whether it belonged to a living parasite, or whether it was simply malarial pigment taken up by certain gastric cells of the insect as a normal physiological operation, the prepa- rations and other evidence before us did not, we concluded, warrant a positive statement. In a second communication to the Journal of February 26°, 1898, Ross stated that he had subsequently found similar pigmented cells in a third «dapple-winged» mosquito fed on crescent-containing blood; and, also, in a grey or «barred-back» mosquito which had fed on a patient with benign tertian infection. He further pointed out this significant fact — namely, that whereas the pigmented cells were but 7 w in diameter in one of his mosquitos dissected two days after feeding, in another mosquito killed four days after feeding the pigmented cells measured 17 pu; în a third killed five days after feeding they measured 19 pu; and in one killed about a week after feeding they had a diameter of at least 25 pu. In other words, these cells exhibited one of the evidences of life-yrowth. (Brit. med. Journal, June 18, 1898). (Le parole in caratteri staccati sono invece in caratteri comuni nel testo inglese). Chi leggendo queste parole pensava mai che le cellule pigmentate del grey mosquito potessero appartenere invece che ai parassiti della terzana dell'uomo, al Proteosoma degli uccelli, come oggi è stabilito ? In conclusione, a cose fatte tutto sembra facile, ma del senno del poi son piene le fosse. Perchè Nuttall e tanti altri non hanno saputo leggere in Ross quanto 099% pretendono che io vi abbia letto? Se credevano che fosse necessario l'intervento di un entomologo, perchè non l’ hanno invocato essi stessi? In ogni caso è un fatto che io non sono stato guidato dai dati di Ross e questo non può esser smentito perchè è la verità; verità che in Italia è ben nota e che, come tale, col tempo verrà a galla incontrastata. Con queste parole domando scusa al lettore della noiosa polemica con cui l' ho intrattenuto e dichiaro che da parte mia ogni polemica dal punto di vista scienti- fico è finita per sempre. =. 48 = CAPITOLO II. La malaria e gli animali suechiatori di sangue. 1. Dati empirici riguardanti la malaria. È noto che in Italia, come in altri paesi, si distinguono: luoghi in cui la malaria domina gravissima, altri dove essa è meno intensa ed altri infine dove non si riscontra mai o quasi mai. Si sa per esperienza che la riviera di Genova è indenne dal flagello e che nel centro di Roma non si prendono quasi mai le febbri malariche, mentre invece alla periferia di Roma la malaria incomincia a manifestarsi, e alle paludi Pon- tine sono rari gli individui che non ne vengano colpiti. Solo eccezionalmente si hanno paesi ove la malaria si presenta per uno, o più anni, talora in casi isolati, talora in forma epidemica e poi scompare. In breve, la malaria è malattia localizzata tanto che si è potuto indicarne fino ad un certo punto la distribuzione sulla carta geografica d' Italia. Le Società ferroviarie poi, per loro conto, spinte da urgenze amministrative, hanno segnato sulle carte delle strade ferrate le zone malariche, distinguendole in gravissime, gravi, leggere, e leggerissime. Benchè queste designa- zioni siano state fatte in un tempo in cui la malaria in Italia e sopra tutto lungo le strade ferrate infieriva molto più che ai nostri giorni, e nonostante che in qualche località i criterî personali si siano un po’ troppo imposti, tuttavia possiamo dire che principalmente queste carte redatte per cura delle Società ferroviarie dànno una chiara idea della maniera singolare con cui si svolge il fenomeno malarico. Ciò che colpisce sopratutto è il fatto di trovare stazioni ferroviarie, vicinissime tra loro, l'una gravissimamente malarica e l’altra sana. Questi fenomeni, noti da molto tempo, hanno dato luogo a una serie di studî comparativi diretti a determinare quali siano le condizioni indispensabili per lo sviluppo della malaria. Così è che l’esperienza, illuminata specialmente dal forte ingegno di Tommasi-Crudeli, ha permesso di formulare una serie di conclusioni, le quali non possono venire infirmate da nessuna nuova scoperta. Un tempo si credeva che non esistessero località malariche prive di paludi o di acque stagnanti. Contrariamente a questa credenza molto diffusa, Tommasi-Crudeli segnalò parecchi luoghi gravemente malarici i quali presentano solo in minima quan- tità acque palustri. Si è inoltre determinato che la malaria può infierire in località che presentano le più differenti condizioni del suolo. « La produzione della malaria, scrive Tommasi-Ceudeli, avviene in terreni di svariatissima composizione e situati in ogni specie di giaciture: in bassi fondi, ricchi di acqua e di sostanze organiche, come in terreni di collina e di montagna poveri di acqua e poverissimi di sostanze organiche; in terreni di origine vulcanica, e in = = terreni costituiti di sabbie quarzose, come Mac Nally ed altri hanno osservato nelle Indie orientali »(°). Sempre basandosi sui confronti si è arrivati a stabilire che per la malaria occorre una temperatura relativamente alta: se non vi è una temperatura al disopra di 18-20°, la produzione malarica non avviene, e di ciò fanno prova sia la distribuzione geogratica della malaria, sia la coincidenza della stagione calda colla stagione malarica. Ciò non reca tuttavia come necessaria conseguenza che le annate più calde debbano essere sempre più fortemente malariche. Altro fenomeno messo in luce dai confronti opportuni è il seguente: la malaria non viene mai trasportata se non a breve distanza. « A misura che gli studî sulla storia naturale della malaria vanno estendendosi, l'idea che la malaria possa essere trasportata a grande distanza, in tali masse da potervi infettare atmosfere salubri, va dileguandosi ». Tommasi-Crudeli applica quest’ affermazione a Roma e rileva che la brezza marina diurna, che rinfresca ed esilara i Romani, giunge in Roma dopo avere strisciato su tutti gli impaludamenti del littorale, e su tutti i numerosissimi focolai malarici della metà occidentale dell’ Agro. Così la benefica terrestre brezza serale, che i Romani respirano impunemente, viene dalla direzione delle lontane paludi di Strac- ciacappe e Baccano, del lago de’ Tartari e di Pantano. Per spiegare tutte queste osservazioni Tommasi-Crudeli aveva escogitato la teoria dei germi malarici, che si sprigionano nell'aria da suoli differenti. Contro di essa, quand' io cominciai i miei studî, lottava la nuova teoria: che tra i mosquitos e la malaria vi fosse un rapporto causale. La teoria di Tommasi-Crudeli poteva essere erronea, ma le osservazioni su cui si fondava erano ineccepibili. Perciò alla nuova teoria incombeva l'obbligo di spiegare queste osservazioni, che, riunendo assieme quanto ho detto, sì riducevano a quattro, cioè: la localizzazione della malaria, la indipendenza della malaria dalla natura del terreno e fino ad un certo punto dalle acque palustri, la dipendenza in- vece dalla temperatura e infine la limitata diffusione per mezzo dei venti. Quelli, che ho sopra esposti, sono i concetti, i quali mi spinsero a intrapren- dere la mia prima serie di ricerche riguardanti i rapporti tra le varie specie di mosquitos e la malaria; i risultati furono riassunti in parecchie mie pubblicazioni preliminari. Questo studio venne da me molto esteso e continuato fino agli ultimi tempi; recen- temente uscì anche una pubblicazione nuova di Ficalbi (16) nella quale si leggono molti fatti riferentisi al medesimo oggetto. La spedizione inglese a Sierra Leone e quella tedesca diretta da Koch si occuparono pure dell'argomento. Anche Laveran, Sforza, Celli ecce., pubblicarono ricerche dello stesso genere. Quanto passo ad esporre venne perciò già confermato in gran parte da varî Autori. (4) Secondo Grellet (42), l'aggiunta di calce ai terreni avrebbe un’ influenza antimalarica. Anzi egli attribuisce alla natura calcarea del suolo le condizioni di salubrità di alcuni luoghi paludosi. L'osservazione non è ben fondata; del resto ciò che egli scrive era già noto a Salisbury, Lanzi e Terrigi. Questi ultimi nell'occasione degli scavi del Colosseo fecero scomparire la malaria aggiun- gendo al terreno calce; mi fu detto che la buttarono anche nelle pozzanghere uccidendo forse così le larve di Anopheles. el Nello svolgere questo capitolo io per brevità suppongo in qualche punto che al lettore sia già nota la influenza malarifera degli Aropheles. 2. Mosquitos senza malaria e non viceversa. Già fin dal 1890 io avevo notato che si possono trovare dei mosquitos — nome che comprende tutti gli insetti alati piccoli succhiatori di sangue — in grande quantità anche in luoghi non malarici. Ora posso aggiungere che nei luoghi malarici i mo- squitos non mancano mai, benchè qualche volta siano scarsi. Tra le località dove i m0squitos sono abbondanti mentre la malaria manca del tutto o quasi, noto le seguenti: la parte centrale di Venezia, la riviera Ligure da Genova a Nizza, i Bagni di Montecatini, la parte centrale di Orbetello, una gran parte di Messina, una gran parte di Catania, molti villaggi al confine della provincia di Milano con quella di Como, per esempio Rovellasca, Bregnano, Lurago Marinone, ecc. In certi anni alcune località vengono terribilmente invase dai mosquitos senza che vi si sviluppi malaria; ciò accadde, per esempio, a Milano in via Gesù nell’ au- tunno 1898. Non sono rare le località malariche in cui in certi momenti i mosquztos scar- seggiano: in altri momenti però vi si possono riscontrare piuttosto numerosi. Nell'anno 1899 potevano servire, come esempio classico, Magliana e alcuni caselli tra Magliana e San Paolo presso Roma. Quivi, al dire degli impiegati ferroviarî, proprio nel colmo della stagione mala- rica non c'erano m0squitos. Recatomi sul luogo per verificare il fatto in ogni casello ne trovai qualcuno (erano Arzopheles). In altre due visite successive che feci, rispettivamente dopo otto e dopo quindici giorni, riscontrai che il numero dei mosquitos (tutti Aropheles) era notevolmente aumentato. Molte persone mi indicarono luoghi malarici in cui dovevano mancare i m0squztos; bastò però in tutti i casi una semplice esplorazione del luogo per dimostrare quanta poca attendibilità avessero simili asserzioni quando anche provenivano da persone au- torevoli e nella più perfetta buona fede. Parecchie erano le cause che potevano averle tratte in errore. Vi sono individui i quali, non si sa per qual motivo, sono rispettati dai m0sgwz80s, specialmente se questi non abbondano. Tali individui facilmente asseriscono che non vi sono mosquitos anche là dove, in realtà, si trovano in certo numero. Vi sono altri individui i quali da molti anni non sono stati in luoghi malarici: ora, essi ricordano la malaria che li ha tormentati per varî mesi, mentre hanno dimenticato l’ episodio del tutto secondario, cioè, la noia dei mosquitos, che contempo- raneamente dovettero soffrire. Altri individui dopo che furono per molti anni in luoghi dove i mosquitos in- fierivano terribilmente, vennero poi traslocati in luoghi dove sono scarsi. Essi, avvezzi ad essere molestati terribilmente, non prestano più attenzione a qualche puntura che di tanto in tanto possono ricevere nel nuovo soggiorno e perciò asseriscono che quivi mancano i mosquitos. 6h = Per la stessa ragione, gli individui che abitano nei luoghi dove i mosquztos di estate sono molto numerosi, asseriscono che quivi i mosquztos d'inverno non si trovano. Per costoro dunque il dire che non vi sono mosquitos equivale al dire che ve ne sono pochi. Riserbandoci di tornare sull'argomento in un capitolo successivo, posso però fin d'ora concludere che mentre non c'è malaria senza mosquitos, possono esservi mo- squitos sensa malaria. Aggiungasi che non esiste costantemente una proporzione tra la quantità dei mosquitos e la gravità della malaria. Se veramente passa un rapporto tra la malaria e i mosquitos, vi devono essere ragioni che spieghino queste conclusioni, apparentemente contradittorie alla teoria dei mosquitos. Due sono le possibilità. O i mosquztos pigliano dal suolo o dall’ acqua il germe e lo inoculano all'uomo e perciò essi non producono malaria che nei luoghi malarici, ovvero nei luoghi malarici devono esistere peculiari sorta di mosquitos. Sì luna che l’ altra ipotesi, prima che lo studio della malaria entrasse nella nuova fase, era possibile. Io, per argomento di analogia, fornito dalla febbre del Texas, propagata da una zecca, pensavo però che soltanto la seconda ipotesi fosse verosimile. In ogni caso era interessante e poteva riuscire decisivo lo studio delle varie sorta di mosquitos. Questo studio venne perciò da me intrapreso. Tenendo presente che, come ho detto, la temperatura ha una grande influenza sulla stagione malarica e che in complesso la temperatura bassa è sfavorevole alla malaria, trascurai quasi interamente i luoghi alti e feci le mie prime ricerche in pianura o nei luoghi poco elevati e notoriamente caldi nei mesi estivi. Confrontando i risultati, ottenuti nelle più differenti parti d'Italia, ho potuto facilmente rilevare che 7 complesso nei luoghi malarici vi sono dei mosquitos par- ticolari che mancano nei luoghi non malarici. La loro quantità è generalmente în proporzione diretta col numero dei casi di malaria. Non trovai, per quanto io abbia accuratamente cercato, alcun luogo di pia- nura in Italia dove abbondino i mosquitos propriî de’ luoghi malarici e non si dia assolutamente alcun caso di malaria. 8. Animali ematofagi. Prima di venire ai particolari, occorre precisare le specie. Grande è il numero degli animali che in Italia succhiano sangue all'uomo: il loro studio è purtroppo ancora incompleto anche dal punto di vista puramente zoologico. Essi appartengono alle seguenti famiglie e sottofamiglie: Gnathobdellidae (sanguisughe in Phlebotominae (pappataci) senso lato). Ceratopogonidae (serrapiche) Irodinae (zecche) Culicidae (zanzare) Argasinae (zecche) Pulicidae (pulci) Muscinae (mosche) Pediculidae (pidocchi) Tabanidae (tafani) Acanthiadae (cimici) Simulidae (moscerini) Co Delle specie appartenenti a queste famiglie e sottofamiglie un certo numero può supporsi a priori incapace di propagare la malaria. Cito un esempio. Benchè noi sappiamo che esista un certo rapporto tra la ma- laria e le sanguisughe, le quali si sviluppano nelle acque palustri, tuttavia dobbiamo ritenere questi vermi incapaci di propagare la malaria, come ci insegna l'uso un tempo larghissimo, di attaccarli all’ uomo senza provocare mai alcun caso di febbri palustri. È certo d'altronde che vengono infettati di malaria anche moltissimi individui, ai quali non si sono mai applicate sanguisughe. Le Zrodinae sono molto comuni nei luoghi malarici e mancano in complesso nei luoghi sani. Certo è però che un grandissimo numero di individui s' infettano di malaria senza essere mai stati punti da questi animali (). Posso aggiungere che nel corrente anno mi sono molto occupato delle zecche in rapporto colla malaria senza mai trovare alcun fatto che anche solo lontanamente permettesse di sospettare l'in- fluenza di questi animali nella produzione delle febbri malariche. La distribuzione delle Argasinae non ha che fare con quella della malaria e sono d'altronde così poco diffuse, che non possono venir prese in considerazione. Le Muscinae succhiatrici di sangue sono da noi relativamente scarse e non hanno una diffusione corrispondente a quella della malaria. Le 7abanidae sono molto comuni nei luoghi malarici, specialmente in quelli boscosi; si trovano tuttavia anche in qualche posto salubre. Esse pungono l’uomo re- lativamente di raro, tranne in certe località. Moltissimi individui però vanno sog- getti alla malaria senza essere mai stati punti da esse. Le Simulidae italiane vogliono essere ristudiate: io le ho trovate in luoghi ma- larici e in luoghi non malarici, nessuna però ne trovai che pungesse l' uomo. Le Phlebotominae rappresentate da due sole specie (Phlebotomus papatasti Scop. e Ph. minutus Rond.) sono state da me trovate nelle più differenti parti d’Italia (Venezia, Locate Triulzi, Grosseto, Orbetello, Maccarese, Roma, Napoli, Metaponto, Sibari, S. Eufemia - Diramazione ecc.). Esse sitrovano dunque tanto in luoghi malarici quanto in luoghi non malarici. La loro stagione coincide abbastanza bene coll’ epoca della malaria, però esse scompaiono in generale molto prima che la stagione malarica sia finita. Nel 1898 in Lombardia non ne trovai più già ai primi di agosto; a Roma scompaiono al principio di ottobre; lo stesso presso a poco si verifica nell'Italia me- ridionale, dove alla metà di ottobre 1898 e 1899 non ne ho potuto più trovare alcun esemplare. La famiglia delle Ceratopogonidae vuol essere ristudiata sopratutto in Italia. Una specie (°) è comunissima nell'Italia media e meridionale, specialmente nei luoghi bassi. Essa tormenta orribilmente nella seconda metà di giugno e nel luglio; alla (2) La specie incerta che un tempo ho denominato Aaemamoeba immaculata a tutta prima sembra avere un'indiscutibile rassomiglianza col Pyrosoma della febbre del 7'exas, propagato, come è notorio, dal ARipicephalus annulatus Say. Io ho avuto parecchie volte molte larve di questa zecca ma non sono mai riuscito a farle attaccare all'uomo. (*) Si tratta secondo ogni verosimiglianza di una nuova specie, della quale si occupa il sig. Noè, Egli propone di denominarla Centrotypus irritaas, "ha — fine di luglio o ai primi d'agosto scompare totalmente. Il volgo dice che il solleone l'ammazza. Essa punge preferibilmente al mattino, quando il sole è già levato, ma talvolta ci assale in qualunque ora della giornata ed anche di notte, se splende la luna. Se spira vento anche leggero, non punge più. Vi sono località (quali Metaponto, Sibari, dintorni del Casello Ferroviario Km. 30 andando da Roma a Maccarese) dove in certe giornate gli operai devono smettere il lavoro, tanto numerose sono le orde di questi minimi insetti che li assalgono. La specie in discorso compare qualche volta anche in luoghi non malarici (per esempio: Piazza Vittorio Emanuele a Roma). Essa è però essenzialmente legata alle zone malariche, ma come risulta dai dati sopra riferiti, non coincide la sua stagione con quella malarica. Pulci, Pidocchi e Cimici non possono venir presi in considerazione perchè no- toriamente nei luoghi malarici non sono più abbondanti che altrove. 4. Culicidi in speciale. Passiamo ora a considerare i Culicidi, che sono per noi le forme più importanti, In Italia esistono per lo meno ventitre specie appartenenti a questa famiglia; esse si trovano estesamente descritte nella classica Memoria di Ficalbi del 1899 eccetto tre, due delle quali vennero recentemente descritte dal sig. Noè. Una terza specie, da me scoperta, venne recentemente descritta in parte dal Ficalbi: poichè, come vedremo, essa è malarifera, ritengo opportuno di completarne la descrizione in un altro capitolo del presente lavoro. Enumero le 23 specie: 1. Anopheles pseudopietus. 11. Culea albopunetatus. 2. ” superpictus. 12.» annulatus. 3. ” claviger (vel ma- 13.» Ficalbi. culipennis). 14. » glaphyropterus. 4 ’ bifurcatus. 15. » spathipalpis. 5. Culea penicillaris. 16.» Richiardi. 6.» ornatus. dr: n mimeticus. 7 » cantans. 18. » elegans. 8 » malariae (molto probabil- 19 nt» nipepiensi mente sinonimo di C. 20.» modestus. verans). 21. » impudicus. 9.» nemorosus. 22.» hortensis. 10.» pulchritarsis. 23.» pulchripalpis. Nè Ficalbi, nè io abbiamo trovato in Italia il genere Aédes; noi abbiamo perciò registrato due soli generi di Culicidi: Culex e Anopheles (per la distinzione di questi generi vedi il capitolo sulla sistematica degli Aropheles). I —- Comincio a considerare le specie del genere Culew. Il Culex pipiens è specie molto diffusa; non v'è quasi cantuccio, in cui una volta o l’altra esso non trovi un po' d'acqua dolce dove moltiplicarsi. Ficalbi ha notato che si sviluppa perfino nell’ acqua benedetta delle chiese. In alcune parti d'Italia è molto abbondante e produce perciò gravi noie. Esso si estende a tutta l'Europa. Il mosquzto grigio (9rey mosquito) di Ross tanto comune nell'India è niente altro che il Culex pipiens, come mi dimostrano tutti i caratteri e per fino la notazione denticolo-ungueale (Vedi pag. 10). Il Culex pipiens si trova comunissimo in località punto malariche, quali le seguenti: centro di Venezia (*), riviera Ligure, città di Pisa, centro di Orbetello, parte della città di Messina, di Catania, ecc. Nei luoghi non intensamente malarici accade di trovare frequentemente molti Culex pipiens; per esempio città di Terracina, nel cui ospedale sovrabbondano e molestano i poveri malati (°), città di Grosseto, parte periferica della città di Orbetello, ecc. Nei luoghi intensamente malarici (intendendo per intensa malaria il grande numero dei casi, indipendentemente dalla gravità delle forme malariche) spesse volte si può stare delle giornate intere senza trovare un Culex pipiens, per esempio: in Lombardia, a Locate Triulzi e a Villa Maggiore: nel- l'Italia media, alla tenuta Pescia Romana di Chiarone, a Tortreponti, a Ninfa. Anche nelle case di Maccarese (località malaricissima) i Culex pipiens sono in gene- rale molto scarsi e in alcune non ne ho mai trovati; nella villetta del Principe, annessa al casamento di Maccarese, certe giornate non si arriva a pigliare neppure un Culex pipiens; nelle boscaglie e nelle praterie vicino alla pineta di Maccarese durante l'ottobre del 1898 le zanzare erano numerosissime, ma non vi si trovava alcun Cwulew pipiens. Vi sono al contrario località intensamente malariche in cui sovrabbondano i Culea pipiens; così agli scali ferroviarì di Sibari e Metaponto se ne trovano moltissimi, tantochè chi si contenta di raccogliere non molte zanzare senza scegliere, facilmente crede che non vi siano che Culex pipiens. Dalla stazione gravemente malarica di Berchidda in Sardegna, una prima volta mi vennero spediti soli €. pipiers in abbon- danza. Successivamente mi pervennero anche da questa stazione numerosi A. elaviger. Potrei moltiplicare gli esempî ma lo credo superfluo, da quanto ho detto risul- tando già evidente che non c'è alcun rapporto tra la distribuzione della malaria e quella del Cu/ex pipiens. Ciò trova spiegazione nella circostanza che il Culea pi- piens sì sviluppa essenzialmente in piccole raccolte d' acqua temporanee, mentre non si riscontra nelle paludi in condizioni ordinarie, cioè là dove l’ acqua è palustre. Ho osservato, per esempio, che esso non si trova mai nei fossati e negli stagni d’acqua chiara e ricchi di vegetazione, nelle sorgenti del pari ricche per solito di vegeta- (4) Recentemente il dott. Carlo Paluello mi comunica che avendo iniziato osservazioni sulla malaria dell’Estuario Veneto, trovò gli Anopheles claviger abbastanza numerosi sui margini della Laguna Fusina; sempre però vi predominavano i Culex pipiens. Nella città di Venezia trovò sempre soltanto il Culez pipiens. Soggiunge che dentro la città, per quanto gli consta, non si son dati casi di malaria primitiva, da varî anni. (®) Si può calcolare che nell'ospedale di Terracina su tre centinaia di Culez si trova appena un Anopheles claviger, se 8 = zione e in simili luoghi, mentre basta che in vicinanza ad essi, nel fango, si formi una piccola raccolta d'acqua, per esempio, per l'impronta di un piede, perchè questa si riempia di larve di Cu/ex pipiens. Esse prosperano tuttavia nei paludelli in cui sogliono bagnarsi le buffale, facendo morire molte piante acquatiche, le quali successivamente putrefannò; nelle paludi puzzolenti per simili, ed altre ragioni, si moltiplicano pure rigogliosamente. Nei maceratoi di lino e di canape finchè la putrefazione non è molto forte pro- sperano moltissimo, come anche nelle fogne mal tenute in cui qua e là si formano piccole raccolte d'acqua commista a feccia, e nelle latrine delle stazioni ferroviarie in cui si immette molta acqua. In complesso là dove c'è putrefazione ma non intensissima, si sviluppano in enorme numero i Culex pipiens. La città di Catania, dove un tempo non sì sentiva quasi mai una zanzara, si popolò di immense schiere di Culex pipiens dopo l'introduzione dell’acqua potabile Casalotto; ciò si spiega colla circostanza che, essendosi spaccata la tubulatura, qua e là nelle cloache si formarono delle raccolte d'acqua. I canali delle acque solfuree di Tivoli in molti punti dànno luogo a piccole poz- zanghere dove si sviluppa un'enorme quantità di Culex pipiens; essi si sviluppano anche nei canaletti secondarî dove l’acqua ristagna. Riunendo tutto assieme, si può dire che i Culex pipiens sono le zanzare più delle altre in intimo rapporto coll' uomo: è l’uomo che ne favorisce molto lo sviluppo, producendo casualmente piccole raccolte d’acqua più o meno putrescente. Qualche volta riesce perciò facile liberarci dei Cu/ex pipiens, tenendo vuoti i recipienti di acqua, chiudendo ermeticamente certe latrine, versando in esse del petrolio, ecc. I fatti fin qui esposti fanno arguire @ priori che il Culex pipiens non deve aver nulla a che fare colla malaria. Il Culex spathipalpis coabita di frequente col Culex pipiens. Ficalbi ha notato che il Culex spathipalpis si sviluppa per lo più in acque molto sporche e sovente sporchissime e putrescenti. A me risulta che si sviluppa a preferenza in acque poco sporche, sopratutto nelle acque che servono per irrigare gli orti, benchè si trovi anche in acque putride. Questa specie si trova in qualunque parte d' Italia (Ficalbi) (“), ma non è mai abbondante. In conclusione, Culex pipiens e spathipalpis per il loro habitat si rassomigliano molto e si possono dire benissimo indipendenti dall'ambiente malarico. Spesse volte un capo stazione, per esempio, risanando, come si dice, un pezzo di terreno palustre, mettendo, cioè, ad orto, e facendo piccole raccolte d'acqua per l'innaffiamento, involon- tariamente costituisce un focolaio delle nominate due specie, per i sopraesposti motivi. Terzo tra questi Culex indipendenti dall'ambiente malarico vuolsi annoverare il Culea elegans, da me trovato soltanto alla stazione zoologica di Napoli e all'isola Maddalena in esemplari adulti. Risulta però dalle ricerche di Ficalbi che esso ha un habitat molto simile a quello del Culex spathipalpis. (4) To però non l'ho trovata nell’ Italia settentrionale: noto specialmente la sua mancanza in alcuni luoghi in cui i C. mipiens sovrabbondano. 6 — Le tre specie di cui ho fin qui parlato, vengono giustamente da Ficalbi riferite all’ habitat foveale, cioè di fosso o di pozzanghera; le loro larve, cioè, come scrive Ficalbi, vivono in acque comunque ristrette, avventizie, sporche, subputrescenti o anche putrescenti. Gli altri Culex secondo Ficalbi sono in parte subpalustri, in parte palustri, ad eccezione del Culex annulatus che è anche un po’ foveale (“.) A questo riguardo è d' uopo notare come Ficalbi distingua l’ ambiente subpa- lustre da quello palustre. Secondo quest’ autore sono subpalustri « quelle zanzare le cui larve hanno bisoguo per vivere di acque bensì (per quanto maceranti qualche sostanza vegetale morta e per quanto presso che ferme) non putrescenti, e in complesso piuttosto chiare e con un po' di vegetazione viva, ma senza che realmente abbiano carattere di paludi o risaie, ecc., tutto limitandosi a piccole raccolte, come per esempio vasche di giardini, laghetti di boschetti anche signorili, e via dicendo ». Ficalbi denomina poi palustri « le zanzare le cui larve hanno bisogno per vivere di acque palustri e naturalmente non vivono che in esse. Il tipo di tale ambiente ci è dato da acque ferme o quasi ferme, sì maceranti qualche sostanza vegetale morta, ma in complesso chiare e con vegetazione viva (vegetazione palustre, fatta di canne palustri, giunchi, ninfee, crescione, speciali alghe come le conferve, ecc; 0 vegeta- sione di risata); queste acque possono ora essere in grandi estensioni, ora però anche in piccole e piccolissime, senza perdere la natura loro ». Conosco, aggiunge Ficalbi qualche luogo in cui una raccolta d'acqua di pochi metri quadrati di superficie, ma a carattere palustre genuino, può allevare le larve delle zanzare palustri. Orbene, un tempo anch' io credevo di poter stabilire una distinzione simile a questa di Ficalbi, e perciò scrissi che il Culex hortensis si trova comune in zone che se pur sono malariche lo sono molto debolmente, e talora si rinviene alla frontiera delle zone malariche. Ficalbi registra appunto il Culex hortensis tra le zanzare subpalustri. Ma oggi, dopo più estese ricerche, sono molto esitante ad ammettere la distin- zione tra zanzare palustri e subpalustri. Riserbandomi di trattare degli Aropheles più avanti, continuo per ora a par- lare dei Culez. Devo premettere che io non ho trovato alcune specie di Cu/ex registrate da Ficalbi, perciò, relativamente ad esse, mi devo riferire a quanto dice quest’ autore. Passo ad enumerarle. 1. Culea ornatus: stato trovato da Ficalbi in Toscana una sola annata e neppur da lui rivisto. Certamente si tratta di una specie trascurabile per le nostre ricerche. 2. Culex cantans: presso Mantova, Ficalbi ha catturato un esemplare che gli è parso di dover riferire a questa specie. Anch' essa per noi è trascurabile. 3. Culex glaphyropterus: anch’ essa è specie trascurabile, infatti Ficalbi scrive: « La ho descritta in questo lavoro perchè fra certe zanzare di Dalmazia che potei vedere credei riconoscerla ». (4) A Porto in riva al lago ove le foglie cadute dagli alberi sono in putrefazione, abbondano le larve di C. annulatus insieme a quelle di C. pipiens. Co 4. Culex pulchripalpis: è specie accennata da Rondani per l' Italia ; nessuno più l’ha riveduta; anch'essa è dunque specie per noi trascurabile. 5. Culex impudicus: questa specie fu trovata da Ficalbi in Sicilia e in Sar- degna, manca però nel resto d' Italia. Quest'ultima specie è dunque la sola di una certa importanza che sia sfuggita alle mie indagini. Accenno ora ad altre specie relativamente molto rare e le cui larve sono sco- nosciute. Esse sono il C. pulchritarsis (*) e il C. Hicalbii. Il C. pulchritarsis fa da me trovato soltanto poche volte nei boschi e nelle macchie (Villetta del Principe a Maccarese, bosco annesso all'orto Botanico, boschi di Tortreponti). Anche Ficalbi ne ha potuto raccogliere solo pochi esemplari (boschi della Maremma Toscana, pineta di Viareggio). La sua grande rarità dimostra che non può avere importanza per la diffusione della malaria. Il C. Ficalbii (Noè) è stato trovato dai miei impiegati in un piccolo numero di esemplari a Maccarese (boschi) e a Porto, vicino a Roma nella primavera del 1899. In quest'anno si rinvenne in numero considerevole, nei mesi di aprile e di maggio a Maccarese, a Porto ed a Tortreponti. Nessun individuo di questa specie ha mai presentato l'intestino contenente sangue. Durante la stagione malarica, per quanto si cercasse, non si vide più, eccezione fatta di un unico esemplare preso nel boschetto del giardino del Barizzo (vicino alla stazione di Albanella). Certamente anche la specie in discorso è trascurabile. Ficalbi non ha trovato un’altra bella specie scoperta da Noè (Culex mimeticus) : essa convive come larva e ninfa con la forma tipica subpalustre di Ficalbi, cioè col- l'Anopheles bifurcatus. Venne finora trovata soltanto a Grassano (Basilicata) e a Sezze, allo stato di larva e ninfa in pochissimi esemplari e compì lo sviluppo in labo- ratorio. Anche questa specie, per la sua somma rarità non merita di esser presa in considerazione speciale. Abbiamo accennato fin qui a undici specie di 0w/ex; restano a considerarsi ancora otto specie, cioè: C. pericillaris, C. malariae, C. Richiardii, C. modestus, C. annu- latus, C. nemorosus, C. albopunetatus, C. hortensis. Queste otto specie vengono ripartite da Ficalbi, come ho già accennato, in pa- lustri e subpalustri. Secondo Ficalbi sono palustri il €. penicillaris, il C. malariae, il C. Richiardii e il €. modestus; sono subpalustri il C. annulatus, il C. nemorosus, il C. albopun- etatus e il C. hortensis. Egli mette anche il C. impudicus tra le forme subpalustri. Ad esse, per quanto sopra ho detto, si dovrebbe riferire anche il C. mimetieus. Certamente io ho trovato nei boschi di Rovellasca, dove non ci sono paludi, i Culex da Ficalbi riferiti alle forme subpalustri, però ivi abbonda anche il C. peri cillaris che egli cita per primo tra le forme palustri. Aggiungasi che tutte le forme subpalustri di Ficalbi si trovano non meno ab- bondanti nei luoghi palustri, s' intende quando le condizioni sono opportune, così (4) [Ho trovato a Maccarese le ninfe di questa specie in acqua che si era raccolta nelle ca- vità di vecchi alberi di un bosco]. 8 Sho quando vi sono i boschi necessarî per le forme silvicole (C. nemorosus, e C. albo- punctatus). Osservo inoltre che, come spiegherò meglio più avanti, gli Aropheles non si prestano più dei C/ex per la distinzione in subpalustre e palustre. Noto infine che la definizione data da Ficalbi di forme subpalustri e palustri è evidentemente un po' artificiosa. Per tutte queste ragioni non posso accogliere che con riserva la distinzione pro- posta da Ficalbi. Mi sembra di avvicinarmi meglio al vero sopprimendo la categoria delle forme subpalustri e ascrivendo tutti i Clex subpalustri di Ficalbi alla categoria delle forme palustri, coll’ osservazione che i Culex da me denominati palustri (sinonimo di palustre e subpalustre di Ficalbi) si sviluppano molto in acque di durata effimera in luoghi palustri, perciò il loro sviluppo viene singolarmente favorito dalle irriga- zioni temporanee dei prati, come si usa p. es. a Maccarese. Parrebbe perciò che la denominazione di Cwlex palustri non convenisse, senonchè frequentemente essi si rin- vengono anche nelle acque palustri, specialmente se scarse di vegetazione. Mi sono molto dilungato in queste distinzioni perchè esse permettono di for- marsi una chiara idea della loro possibile importanza dal punto di vista malarico. Mentre le forme schiettamente foveali, 4 priori debbonsi ritenere innocue, tutte le forme palustri sono sospette, e solo l'esperimento può decidere con sicurezza se siano o no temibili per la diffusione della malaria. Tuttavia non tutte sono so- spette in ugual grado ed è appunto questo l'argomento che ora voglio toccare. Ri- peto che trascuro le forme rare e quelle da me non trovate (quattro molto rare e una mancante sul continente italiano (pag. 56)). I Culex nemorosus e albopunctatus sono frequenti nei boschi dei dintorni di Rovellasca, dove a memoria d'uomo non si è mai dato alcun caso di malaria: non sono più abbondanti nei luoghi gravemente malarici, come Maccarese, Tortreponti, Policoro, ecc. Questi confronti dànno ragione di ritenere che essi siano innocui. V'ha di più: il Culex mnemorosus nei mesi estivi del 1899 diventò raro nell’ Italia media. Ciò costituisce un'altra circostanza che allontana sempre più i sospetti dal Culea nemorosus. In ogni modo le circostanze qui esposte dimostrano che le specie in discorso non possono avere importanza seria nella diffusione della malaria. I Culex Richiardii e modestus non si trovano che in luoghi malarici per quanto finora ho avuto occasione di osservare; però essi in molti luoghi malarici o mancano o sono molto scarsi (Locate Triulzi, Metaponto, Maccarese, Tortreponti, ecc.). Da questa circostanza si può arguire, come io ho fatto già nella mia prima Nota, che le due specie in discorso non possono ritenersi necessarie per la propagazione della malaria. Ho già indicato la distribuzione del €. hortensis (pag. 56). Ho trovato il €. anzu- latus soltanto in luoghi malarici, ma quasi mai in abbondanza e non dovunque (manca p. es. a Locate Triulzi). Queste ultime due specie, come anche il C. spathipalpis, ci pungono di raro e a torto Ficalbi le ritenne esclusivamente fitofaghe; anch'io ne ho raccolte centinaia di individui che non vollero pungere l’uomo; forse pungono a preferenza altri animali. Tutto considerato non sembra che i C. hortensis e annulatus possano aver rapporto diretto colla malaria. POR js LOSS Restano da considerare due specie: cioè i C. penieiWaris e malariae. Il trovarli in generale molto comuni nei luoghi malarici e la loro assenza per solito nei luoghi non malarici ad essi circostanti (parlo sempre delle pianure italiane) farebbe molto sospettare ch' essi avessero colla malaria un intimo rapporto, se non vi fossero cir- costanze che fanno pensare diversamente. Esse sono le seguenti: 1°. Il Culex malariae punge molto di giorno, mentre è notorio che di giorno la malaria si prende difficilmente. 2°. Dopo la prima metà di novembre nell'Agro Romano e nelle Paludi Pon- tine non si trovano più i C%/ex in discorso, mentre invece si dànno casi primi- tivi di malaria ancora in dicembre. 3°. In Lombardia, in settembre, la malaria è già in gran diminuzione mentre i Culex penicillaris pungono ancora terribilmente. 4°. I Culex penicillaris non sono rari nei boschi di Rovellasca, nei quali non si è constatato nessun caso di malaria. 5°. Il Culex malariae manca in molti luoghi malarici (Locate Triulzi, Len- tini, ecc.) (vedi anche pag. 25). Tutte queste circostanze però non bastano per ricavarne una conclusione defini- tiva che, ripeto, può derivare soltanto da prove sperimentali. 5. Anopheles. a) DATI STORICI. Veniamo ora agli Anopheles. Ficalbi nella sua monografia del 1896 ne distingue per l'Italia quattro specie: difurcatus, claviger, pictus e nigripes. Le due prime specie vengono designate come frequenti, e estese in tutta l' Italia e nelle sue isole. La terza specie era stata catturata da Ficalbi in Toscana nella foresta di Tom- bolo presso Pisa, in estate ed in soli esemplari femminei. Riguardo alla quarta specie scrive Ficalbi: « Io mi sono sempre dimandato se invece che specie a sè, l’Anopheles nigripes in altro non consista che in individui piccoli e molto scuri di Aropheles difurcatus, che in molte occasioni io ho avuto agio di osservare, sia del sesso maschile come del femminile. Mi sento molto incli- nato per opinare in questo senso ». Avendo io avuto maggiori mezzi a disposizione ho potuto completare questo studio degli Aropheles, come si vedrà in un capitolo successivo. Nella nuova edizione dell'opera di Ficalbi le mie proposte sono state accettate, perciò distinguo qui quattro specie di Aropheles non corrispondenti però che in parte alle quattro di Ficalbi (1896): TI. Anopheles pseudopictus Grassi (1899). II. Anopheles superpietus Grassi (1899). III. Anopheles claviger Fabr. (1805). IV. Anopheles bifurcatus L. (1758). Sin: Anopheles villosus (1827); A. plumbeus (1828); A. nigripes (1839). A Riguardo al genere di vita degli Aropheles possediamo importanti notizie di Meinert: « La larva d’Anofele abita le acque dormenti o a debole corrente con una ricca vegetazione, tanto nelle regioni boscose che nelle lande; tuttavia non ama l'ombra dei grandi boschi, ma cerca il sole e la luce; ciò che indica di già il suo colore verde d'erba ». Ficalbi (1896) a proposito dell’Anopheles difurcatus si limita a dire che la fem- mina spesso succhia sangue. Quanto all'Anopheles claviger scrive: « In tutta Italia, è molto numeroso ovunque, ma più che tutto nei luoghi di piano, ricchi di acque. Tra gli Anopheles italiani il più comune è il el/aviger. Le larve, che vivono alla super- ficie delle acque ferme, non vogliono acque così sporche, come spesso prediligono le specie del genere Cu/ez; spesso anzi vivono in acque assai limpide. L'Amopheles claviger è specie per lo più fitofaga, che si nutre di succhi vegetali. Ma le fem- mine non sdegnano affatto aggredire l’ uomo e i mammiferi e succhiare sangue. Il bestiame domestico può esserne infastidito nelle stalle. E all'uomo le femmine di questo Aropheles possono arrecare molestie, nei luoghi di piano ove abbondano, producendo punture e pomfi cutanei molto più cocenti e persistenti di quelli delle zanzare comuni. Fui punto spesse volte da femmine, mai da maschi ». Quanto all’ Aropheles pseudopictus Ficalbi scrive semplicemente: « La femmina è succhiatrice di sangue ». Questi dati preziosi per quanto incompleti di Meinert e di Ficalbi guidarono le mie ulteriori ricerche, che si possono leggere nelle pubblicazioni preliminari e sopra tutto nell'opuscolo popolare. Nella nuova Memoria di Ficalbi, già più volte citata, i dati sono molto più estesi e più numerosi, avendo l'autore aggiunto alle mie, altre ricerche per proprio conto. b) DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. Riguardo alla distribuzione geografica delle specie, due, A. claviger e difurcatus, sono comuni a tutta l’Italia, comprese le isole. Una terza, A. pseudopictus, si trova in tutta Italia, ma nelle isole non è stata ancor trovata. La quarta, A. superpietus, era stata da me rinvenuta soltanto nella Basilicata, nelle Calabrie e nella provincia di Salerno. Recentemente Noè me l'ha segnalata anche nell'Italia settentrionale (Sala Baganza in provincia di Parma). Tutto sommato, finora l’ ho incontrata soltanto su colline poco elevate, ovvero ai piedi di esse, non mai lontano da esse. e) FREQUENZA DELLE VARIE SPECIE. Riguardo alla frequenza, l’Anopheles elaviger è la forma di gran lunga più comune delle altre; segue quindi il di/urcatus. Vien dopo l’Aropheles pseudopietus che è stato da me trovato in tutta l'Italia settentrionale e media, di solito non raro, ma neppure frequente. Nell' Italia meridio- nale finora non è stato da me riscontrato, ma ve lo raccolse Ficalbi. Vi sono località dove esso è abbondante, per esempio Chiarone sulla linea Roma-Grosseto. Ficalbi l’ ha trovato molto comune nelle valli Cervesi e nel prossimo CI — territorio del Savio. In particolare noto la sua presenza non frequente, tra Milano e Pavia e nelle Paludi Pontine, piuttosto frequente alla Cervelletta (vicino a Roma) e a Maccarese. L'Anopheles superpictus è abbondante fino a predominare sull’Anopheles claviger in certe località dell’ Italia meridionale (Stazione di Castelnuovo Vallo sulla linea Battipaglia-S. Eufemia-Reggio Calabria, Marenelle presso Agropoli). Non è raro nella valle dell'Ofanto e del Basento: è abbastanza comune in una fattoria vicino alla stazione di Policoro (Linea Metaponto-Sibari). Per valutare però convenientemente la frequenza degli Anofeli occorre far notare che l'Aropheles claviger pare relativamente ancora più numeroso di quel che sia in realtà perchè si ferma facilmente nelle nostre case, nelle stalle, nei pollai e nelle capanne. Quivi benchè ne abbia meno accentuata l'abitudine, si può fermare anche l'Anopheles superpicetus, ma questa forma si vede con maggiore difficoltà per le sue dimensioni più piccole. Le altre due specie ben raramente si trovano nelle case, nelle capanne, nelle stalle ecc. Chi perciò non adotta metodi speciali di caccia (vedi Capitolo III) può cre- dere che manchino queste specie in regioni, dove invece sono piuttosto frequenti. d) LOCALITÀ IN CUI SI SVILUPPANO. Riguardo alle località dove gli Anopheles si sviluppano, i dati dei precedenti autori vogliono essere alquanto completati e meglio precisati. Come quasi senza eccezione tutti gli altri Culicidi, anche gli Azopheles si svi- luppano soltanto nelle acque scoperte, cioè patenti. Essi sono in generale proprî delle acque chiare e ricche di vegetazione, superficiale, che io denomino per brevità acque palustri (°). Queste acque per più non lo sono direttamente piovane, ma derivanti dal sottosuolo e venute alla superficie. Si rinnovano in genere con lentezza, ma costan- temente. Nei mesi estivi possono scomparire, ma riappariscono di solito alle prime pioggie. Le acque palustri possono anche provenire da straripamenti di fiumi, o di torrenti. Specialmente durante la magra estiva possono diventare palustri anche le acque dei fiumiciattoli a lento corso e dei canali di bonificamento non aventi suffi- ciente pendenza ecc.; diventano pure palustri le acque dei laghi nelle insenature, dove la sponda declina lentamente (°). (4) Nel Report della spedizione Ross (1900) leggesi (pag. 17) che « le larve degli Anopheles costalis e funestus vivono in piccole raccolte d’acqua permanenti non soggette a movimenti (sal? permanent pools not liable to scouring)... Sembrerebbe che esse richiedessero certe condizioni, cioè sicurezza dal disseccamento, dal movimento e fors'anche da piccoli pesci ». Più oltre (pag. 19) si aggiunge che « le larve si nutrono di filamenti di erbe d’acqua ... Spesso sono state prese in poz- zanghere in cui non sì trova vegetazione verde ». Io osservo che un fatto simile a quest’ultimo era stato già da me rilevato a Grosseto (34), e che le raccolte d'acqua in cui si sviluppano i nostri Anopheles possono essere ampissime e non sicure dal disseccamento, dal movimento nè sfornite di piccoli pesci. (?) Pagliani (68) ha mirabilmente preveduto questo fatto da me constatato soltanto quest'anno. Attorno ai laghi, scrive Pagliani « si può verificare che si abbia immunità completa dalla malaria per grande estensione del loro circuito, dove le loro sponde sono regolari e quasi normali allo specchio dell’acqua, mentre così non è dove queste si protendono molto innanzi a lieve pendio entro == "ag Nel piano lombardo non irriguo, vi sono grandi vasche artificiali dalle pareti impermeabili, che si riempiono di acqua piovana opportunamente incanalata, e non asciugano talvolta anche per decenni. Quest'acqua si adopera per lavare, o per abbeve- rare il bestiame. Essa si mantiene più o meno chiara, ma quasi sprovvista di vege- tazione. Orbene, in queste vasche per quanto ho veduto, non si sviluppano gli A4no- pheles (°). Consideriamo particolarmente le singole specie cominciando dall'A. claviger. Esso si sviluppa in stagni o bacini d’acqua ferma, o dormiente, in canali, o fiumetti in cui l’acqua scorra con molta lentezza (specialmente presso le rive dove abbonda la vegetazione) (?) (confermato da Celli). L'acqua può essere anche leggermente salmastra (°), perchè commista ad acqua di mare, come ho verificato a Metaponto, ovvero anche salina per la sorgente da cui pro- viene, come ho verificato nella piana di Capaccio (provincia di Salerno) ovvero anche sulfurea, come ho verificato nelle Paludi Pontine. L'acqua adatta per questa specie è ricca di vegetazione: sopratutto è favorevole al suo sviluppo il così detto panno o vellutello galleggiante, formato di confervoidee intrecciate come in un feltro. Le lemne se sono in poca quantità forse favoriscono lo sviluppo dell'A. claviger; lo impediscono invece se ricoprono tutta la superficie del- l'acqua, su cui la larva deve affacciarsi per respirare. In primavera ho trovato le larve soltanto nei luoghi dove l’acqua era piuttosto profonda (stagni piuttosto ampî e laghi), di modo che occorreva per raccoglierle avan- zarsi nell'acqua oltre il ginocchio. Queste acque di giorno si riscaldano poco, ma di notte si raffreddano anche poco, sicchè Ja loro temperatura è relativamente piuttosto costante e non molto bassa. Dalla fine di maggio in poi ho trovato le larve anche nell'acqua profonda soltanto pochi centimetri. l'acqua, che le bagna irregolarmente ed a strato sottile. Così si trovano punti malarici sul lago Maggiore presso Magadino, sul lago di Varese per breve tratto al sud, sul lago di Avigliana verso l’emissario, e sopratutto malarici si mostrano i laghi a sponde pantanose come parecchi dell’Italia centrale e meridionale (laghi di Bolsena, del Trasimeno, un tempo quello del Fucino ecc.) » (Vedi anche l'ultimo $ del presente Capitolo. (®) [Ho trovato le larve di A. claviger in parecchie di queste vasche più, o meno vicine a luoghi palustri]. (%) Così quei bacini d’acqua (fontane), su cui cade uno zampillo, non contengono quasi mai larve di Anofele. (°) [Io per il primo ho notato che gli Anopheles prosperano anche nell'acqua leggermente salmastra (32) ed ho dichiarato di non aver trovato larve nell'acqua salsa (38). Nelle acque sa- line (37) sorgive della piana di Capaccio le larve di Anopheles prosperano; queste acque conten- gono secondo l’analisi di Longobardi (Scafati, Tipografia Pompeiana, 1874) perfino un totale di grammi 18,309 °/0o di combinazioni saline anidre (bicarbonato di soda gr. 9,820, bicarbonato di potassa 1,054, bicarbonato di magnesia 0,473, bicarbonato di calce 1,420, fosfato di soda 1,162, solfato di soda 0,668, cloruro di sodio 1,068). Le mie osservazioni sono state confermate da Celli, da Ficalbi, da Centanni, ecc. (Atti della Società per gli studi della malaria, vol. II, 1901). Que- st'ultimo non ha trovato gli Anopheles in acque aventi più del 9 °/so circa di cloruro di sodio (quantità inferiore a quella dei sali nelle acque saline della piana di Capaccio). Simili fatti vennero constatati fuori d’Italia (Christophers e Stephens 1900, Nuttall 1901, ecc.)], DR — In conclusione l’Anopheles claviger è una specie eminentemente palustre. Basta però anche un bacino contenente soltanto qualche metro cubo di acqua palustre, quale si può trovare, per esempio, in un giardino signorile, perchè esso vi prosperi. L'ambiente palustre (paludi, impaludamenti, paludelli) è la regola: si danno tuttavia eccezioni, come risulta dalle seguenti osservazioni fatte nel 1899. A Maccarese nel mese di maggio trovai vicino a una casa in una botte abban- donata contenente acqua verdognola, oltre a molte larve di C. pipiens e annulatus, alcune grosse larve di Anopheles claviger. Il 3 luglio a Prima Porta (dintorni di Roma) ebbi un reperto simile in una piccola vasca contenente acqua piuttosto sporca. Il 6 settembre a Sermoneta in una piccola vasca, che di solito in quest’ epoca è asciutta e per caso quest'anno conteneva ancora acqua sporca, ma non putrescente, trovai una larva di A. elaviger. Larve della stessa specie furono rinvenute in una vasca del quar- tiere Ludovisi di Roma il 10 settembre, e in una botte a Sezze nel mese d' ottobre. Questa abitazione, che dirò col Ficalbi foveale, delle larve di A. claviger già mi aveva colpito, essendo in contraddizione con quanto avevo osservato nella gran maggioranza dei casi. Fui però molto più sorpreso di trovare a Grosseto (nel set- tembre) diffusissima questa abitazione foveale, cioè in acque per lo più chiare senza vegetazione verde, comunque abbandonate; così per esempio in vasi, botti e pile lasciati pieni di acqua di pozzo, o riempitisi direttamente d'acqua piovana, in pozzi non usati di recente e così via. Talvolta le larve di Anofele convivevano con quelle di CuZex e allora erano in piccola quantità; tal'altra, invece, erano sole o quasi e in discreta quantità, o anche abbon- dantissime. Queste osservazioni fatte a Grosseto dimostrano, per così dire, la tendenza degli Anofeli ad adattarsi ad un ambiente nuovo. Si potrebbe tentare la spiegazione di questi fatti singolari, ricordando che il padule fino a non molti anni fa era a poca distanza dalle porte di Grosseto. Tolto il padule e ridotti i focolai degli Aropheles a pochi paludelli artificiali, detti sgrondi delle mura e alle acque del così detto canale di abbeveraggio), molti Ano- feli dovettero adattarsi, come accade quando sono chiusi in una camera del labo- ratorio (vedi più sotto), a depositar le uova in acque insolite; molti saranno andati, o andranno tuttora distrutti, ma altri mediante questo adattamento avranno potuto sopravvivere. Si potrebbe però dare del fenomeno anche un'altra spiegazione. Ogni anno gli Anofeli in quantità migrerebbero, per nutrirsi, dai loro luoghi nativi più o meno deserti nella stagione malarica, fino alla città di Grosseto. Quivi sper- duti depositerebbero le uova in acque insolite (*). La migrazione potrebbe avvenire anche passivamente per mezzo dei venti, ma di ciò più avanti. L'Anopheles bifurcatus si sviluppa a preferenza nelle fontane, o sorgenti molto scarse di acque, nei rigagnoli molto lenti e nei piccoli bacini d'acqua, da esse alimentati: in generale nelle acque fresche, dove prospera molto il crescione. (“) [Ho però verificato che un certo numero di Anopheles sverna nella città di Grosseto]. A Di primavera, se si trovano larve di Aropheles in acque che raggiungono pochi centimetri (15-30) di profondità, si è quasi sicuri che appartengono agli A. difur- catus (*). Talvolta le larve di A. difurcatus convivono con quelle di A. claviger. Gli Anopheles superpictus e pseudopietus si sviluppano negli stessi ambienti pre- feriti dall'Anopheles claviger. Artificialmente in camere chiuse si può ottenere la deposizione delle uova da parte degli Aropheles, tanto in acqua limpida, quanto in acqua torbida e putrida, anche se manchi la vegetazione. È notevole il fatto che in quest’ acqua torbida e putrida essi talvolta si sviluppano bene (25). Già nel 1899 (33) io notavo per il primo che i maceratoi di canape (osservazioni fatte a Cancello col dott. Blessich) mentre favoriscono enormemente la propagazione del C. pipiens, sono la tomba degli Anofeli. S' intende che per giudicare dal punto di vista igienico i maceratoi, occorre tener presenti varie eventualità; così per es. che, prima che venga immersa la canape o il lino possono contenere le larve di Anopheles, se i serbatoi sono stabili e che per dare l’acqua necessaria ai maceratoi talvolta si creano ambienti favorevolissimi allo sviluppo degli Anopheles, ecc. [Le mie osservazioni fin qui riferite sull’ hadztat delle larve degli Amopheles si trovano nella loro parte essenziale già nella prima edizione del presente lavoro e nell’opuscolo popolare (33) del 1899. Nel secondo volume degli Ati della Società per gli studi della malaria vengono per lo più passate sotto silenzio, ma quel che più importa vi si trovano confermate. Celli tuttavia fa notare che l' habitat semifo- veale (Ficalbi) (per errore di stampa, io credo, si legge semifoveale invece di foveale) delle larve di Anopheles è molto più comune che non si crede. A questo riguardo io che fui il primo a rilevare molti casi di habitat foveale mi associo a Celli, ma osservo che bisogna andar guardinghi in questi giudizî, perchè se veramente questo habitat fosse molto propizio dappertutto dovremmo trovare, ciò che in realtà non tro- viamo, più o meno abbondanti Aropheles, dappertutto essendovi raccolte d'acqua suffi- cienti a dar vita a moltissimi Aropheles. Nel suddetto volume l'argomento dei mace- ratoi viene svolto ulteriormente e con molta competenza da Fezzi e da Centanni]. Evidentemente risulta che tutte le specie di Anopheles provengono da quelle acque che furono ritenute per molti secoli fomite essenziale della malaria. Specialmente se gli Anopheles vengono per caso a trovarsi in località dove queste acque man- cano 0 mell’ epoca în cui esse sono disseccate, depositano le loro uova in qualunque sorta di acqua; le larve che ne nascono alle volte muoiono, altre volte arrivano a trasformarsi în ninfe e quindi in insetti perfetti: si formano così dei focolai avventizi di Anopheles. e) QUANTITÀ NELLE VARIE STAGIONI. Veniamo a considerare le stagioni in cui si sviluppano gli Aropheles. Nell'anno 1899 ho trovato depositate le uova di Aropheles elaviger per la prima volta il 15 febbraio. Ho potuto però procurarmi una certa quantità di larve grosse e di (&) L'Anopheles bifurcatus è meno comune dell’A. claviger probabilmente perchè i citati ambienti, in cui si sviluppa a preferenza, sono piuttosto limitati; forse alla sua minor frequenza contribuisce anche il bisogno ch'esso ha, di ripararsi a preferenza allo stato d’insetto perfetto, nei boschi, nelle macchie, ece., che non si trovano dapertutto. Le ninfe di Aropheles claviger e pseudopictus, nelle Paludi Pontine, soltanto alla fine di marzo. Più tardi diventarono sempre più frequenti dovunque fino alla stagione estiva, nella quale diminuirono, man mano che le acque prosciugarono; ne incontrai di nuovo una certa quantità in settembre e in ottobre: ciò anche nel 1900, ma non dappertutto. Del resto, come è naturale, riguardo alla quantità delle larve nei varî mesi si dànno moltissime variazioni locali (°). Verso la metà di novembre 1899 il mio espertissimo inserviente Mascitti nella Campagna Romana arrivò a procurarsi una sola larva di Amopheles elaviger in due giornate di lavoro; vero è che le acque erano cresciute moltissimo, ma in certe località favorevolissime, se veramente ci fussero state, egli, avvezzo a queste ricerche, certamente ne avrebbe rinvenuta una certa quantità. Anche a Grosseto verso il 10 no- vembre non abbiamo più trovato larve di Anopheles claviger. Nelle Calabrie e nelle Paludi Pontine erano rare ai primi di novembre. Può darsi che in alcune località particolarmente calde, anche d'inverno si trovino larve di Anopheles claviger; ciò dev'essere forse una eccezione. Certo è che anche d'inverno si trovano qualche volta Anopheles claviger pronti a depositare le uova. Nel cuore dell'inverno io ho trovato soltanto larve di Amopheles difureatus. Anche Ficalbi ha fatto la stessa osservazione. Nei mesi di gennaio e febbraio non ho potuto trovare A. bdifurcatus e pseudo- pictus alati. Io ho fatto ricerche minuziosissime in proposito, anche nei tronchi degli alberi, dentro gli arboscelli folti; ho perfino fatto costruire una tenda che si collocava sopra gli arboscelli mentre sotto vi si accendevano dei zampironi; sempre invano! Ai primi di marzo però a Chiarone, sotto le volticelle di un fontanile in aperta campagna, ho trovato per la prima volta due femmine di Aropheles bifurcatus: non potei trovarne altre fino verso la metà di marzo, nel qual tempo ne raccolsi alcune nelle case di Maccarese. Poco dopo ne rinvenni un numero abbastanza considere- vole nelle stalle alle Tre Fontane, vicino a Roma. Im principio di marzo ho trovato un maschio di Amopheles bifurcatus in un cespuglio in mezzo all'acqua; altri ne trovai nelle stalle suddette alle Tre Fontane, insieme con le femmine. Queste osservazioni si riferiscono al 1899. Nel gennaio del 1900 ho trovato al- cune femmine di Aropheles bifurcatus ibernanti in una chiesa di Sezze. Certo è però che d'inverno sopravvivono pochi individui alati, mentre invece non sono rare le larve, che si sviluppano lentissimamente a motivo della temperatura bassa. Si può quindi ritenere che nell'Italia Media e Meridionale l'A. bifurcatus sverni a preferenza allo stato di larva. (2) Secondo Meinert le generazioni degli Anofeli sarebbero regolari e precisamente egli scrive: « La larve n’hiverne pas; mais, dans les années où la température est douce, on rencontre déjà des larves demi-adultes è partir de la mi-mars. En juillet ou un peu plus tard dans le courant de l'été, on trouve une seconde génération de larves adultes et enfin, en 1882, année dont le prin- temps avait été très précoce, j'ai, à la fin d’octobre, trouvé de petites larves qui certainement ap- partenaient è une troisibme génération; mais il n’est pas à supposer que ces larves aient pu at- teindre l'àge adulte, car leur existence étant liée ou è peu près liée à la surface de l'eau, la pre- mière gelée a dà les tuer. » (63). Evidentemente le osservazioni di Meinert sono imperfette. 9 223/68) = L'Anopheles superpictus nel cuore dell'inverno è stato da me trovato a Gras- sano (Basilicata) dentro le grotte in vicinanza al Basento; però sempre in piccolis- simo numero. Gli Amopheles claviger d' inverno si riparano molto volentieri nell'abitato, a pre- ferenza nei porcili, nelle stalle, nei pollai, nelle cantine, nelle camere da letto, sopra- tutto nei locali riscaldati. Nell'Italia media e meridionale si rifugiano anche nelle capanne disabitate e nelle grotte, sebbene in questi luoghi non siano mai abbondanti. Nel biennio 1898-99 gli Amopheles pseudopictus, superpictus e bifurcatus mì parvero in complesso più abbondanti nel mese di settembre che in altri mesi. Sapendo che alla Stazione di Castelnuovo-Vallo (pag. 61) abbondano gli Aro- pheles superpictus nel 1900 vi feci speciali ricerche purtroppo limitate agli individui adulti. I primi alati vennero presi alla fine di giugno; il 9 luglio erano già piut- tosto frequenti; diventarono piuttosto numerosi nel resto del mese di luglio e tali si mantennero in agosto e in settembre. In giugno si fecero molte ricerche anche nella suddetta fattoria (pag. 61) vicino alla stazione di Policoro; esse riuscirono negative come quelle fatte a Castelnuovo-Vallo prima della fine del mese in discorso. Nella campagna romana, in marzo, la maggior parte degli Anopheles claviger che avevano superato l'inverno, dopo essersi pasciuti e ripasciuti maturarono ed uscirono fuori a depositare le uova, mentre ben pochi erano i neonati entrati nelle case. Ciò spiega per- chè in queste, nel marzo, gli Amopheles claviger siano stati meno abbondanti che negli altri mesi. Nelle Paludi Pontine però, e precisamente a Tortreponti, il 28 e 29 marzo 1899 ho trovato di giù molti Aropheles claviger maschi e femmine evidentemente neonati, sebbene le femmine fossero già piene di sangue. (Mi mancano dati del tutto sicuri per il mese di aprile). Premettendo che si dànno moltissime differenze locali, in complesso si può dire che il numero degli Amopheles claviger dal maggio in poi andò crescendo fino agli ultimi di agosto. In molti luoghi ho notato una diminuzione nel mese di settembre. Nell'Italia media e meridionale in parecchi luoghi ho notato un nuovo aumento degli Aropheles claviger nella seconda metà di settembre, ciò che probabilmente deve mettersi in rapporto colle pioggie. In complesso tornarono a diminuire in ottobre. Dall'ottobre ai primi di febbraio nell'Italia media e meridionale il loro numero restò quasi costante nelle case e negli altri loro ricoveri invernali. Invece nell’ Italia settentrionale questa costanza si mantenne dal settembre al marzo. Nel- l’Italia media e meridionale nel febbraio cominciarono a uscir fuori in un certo numero per deporre le uova. La maggior parte, come ho già detto, uscì in marzo. Questi fatti osservati nel 1899, si ripeterono con pochissime differenze nel 1900: al 1° aprile nelle case di Maccarese, che è il gran focolare degli Aropheles elaviger, ho potuto raccoglierne soltanto quattro; dal 2 al 15 aprile non se n'è rinvenuto alcun esemplare. Dopo il 15 ricomparvero in piccolo numero. Al mulino di Ninfa, altro gran focolare di A. claviger (nelle Paludi Pontine) al 6 aprile del 1900 erano an- cora abbondanti; al 12 dello stesso mese in una giornata di lavoro il mio inserviente raccolse una sola femmina (probabilmente vecchia) di A. elaviger. Essi si mostra- rono scarsi dovunque (tranne rarissime eccezioni: così a ‘Tortreponti dove in una giornata di lavoro se ne raccolsero 98 alla fine di aprile) fin oltre la metà di maggio. Mg — Alla fine di maggio erano già abbondanti. La loro quantità crebbe in giugno fino a raggiungere, verso la fine di giugno, un massimo che sì mantenne in luglio e fino alla seconda metà d'agosto, alla qual epoca si cominciò a notare una diminuzione, che diventò più evidente in settembre e spiccatissima in ottobre. Nella piana di Capaccio (Provincia di Salerno), quest'anno almeno, l'andamento fu alquanto differente inquantochè gli A. elaviger, che erano copiosissimi in giugno e al principio di luglio, già nel resto di luglio cominciarono a diminuire, benchè lentamente, e andarono suc- cessivamente sempre diminuendo (°). Evidentemente da quanto ho detto si deduce che in complesso gli Anopheles sono più numerosi in quei mesi in cui più infierisce la malaria. f) HABITAT DEGLI ALATI. Dobbiamo ora dire qualche cosa più in particolare sull’ abitazione delle varie specie di Anofeli (?), all'infuori dell’epoca dell'ibernamento, della quale parlo altrove. Due specie di Aropheles (bifurcatus, pseudopictus) vivono quasi sempre in aperta campagna, l’A. difurcatus a preferenza nei boschi, l'A. pseudopietus a preferenza, per quanto ho veduto, nei canneti e tra gli arboscelli vicini alle acque palustri. Re- lativamente di raro si trovano nelle stalle, più raramente ancora nelle case: ciò vale più specialmente per l'A. pseudopictus. L'A. superpictus si riscontra sotto i ponti, in costruzioni (case, capanne o stalle) disabitate: spesso si ritrova anche nelle stalle e nelle case abitate. Gli A. elaviger vivono nelle case abitate, non soltanto nell'inverno, ma anche in qualunque altra stagione. Durante i mesi caldi molti Amopheles elaviger (parlo sempre della pianura Italiana) per altro si fermano assai frequentemente anche al- l'aperto, anzi talvolta si trovano all'aperto e non nelle case, ciò che ho verificato in località dove sono poco frequenti. All'aperto stanno nascosti tra le erbe alte, negli arboscelli, tra i rami degli alberi, ecc. In complesso preferiscono i luoghi dove il vento si fa poco sentire, quindi è che si trovano più spesso sulle piante che stanno in luoghi bassi, addossate alle case, ecc. Si incontrano spesso in coorti innumerevoli sotto i ponticelli bassi e oscuri, tanto comuni nei paesi irrigui. 9) ALCUNI RAPPORTI TRA LA LORO DISTRIBUZIONE E QUELLA DELLA MALARIA. Vi sono dei luoghi dove ogni anno abbondano gli Anophe/es e infierisce la ma- laria: sono appunto quelli prossimi alle paludi, agli acquitrini, ecc., per esempio (4) [Nel 1901 nella prima decade di marzo gli A. claviger nell'Italia media erano ancora abbondanti; apparvero già scarsissimi a Maccarese il 18 marzo, e il 21 marzo nelle Paludi Pon- tine; il 10 aprile a Maccarese non se n'è trovato alcuno; il 30 aprile in una giornata di lavoro se ne raccolsero soli cinque; soli tre 1'8 maggio, soltanto venti ancora il 26 maggio. Al 10 aprile nelle Paludi Pontine gli A. claviger erano scarsi e in discreta quantità gli A. difurcatus]. [Nel 1901 a Locate Triulzi (presso Milano: località dove le risaie abbondano) gli A. Claviger erano già abbondanti alla fine d’aprile e nella prima metà di maggio]. (®) Questo punto è molto importante anche perchè gli Anofeli che vivono in aperta campagna subiscono dei salti di temperatura ben maggiori di quelli a cui vanno soggetti gli Anofeli che con- vivono coll’uomo, nelle stalle, ecc, Spa Maccarese, Porto, Ninfa, Tortreponti, ecc. Vi sono altri luoghi in cui la malaria non riprende ogni anno con eguale intensità: così nella valle del Basento a Grassano nel 1898 vi furono molti casi di malaria e molti Anofeli, nel 1899 invece pochissimi Ano- feli e pochissima malaria. Ciò si spiega colla circostanza che l’acqua palustre vicino a Grassano è scarsa e soggetta a molte variazioni; a seconda delle annate perciò varia molto la produzione degli Aropheles. Percorrendo le ferrovie italiane nella stagione malarica riesce facile persuadersi che là dove infierisce la malaria abbondano gli Anofeli e là dove non si fa molto sentire, essi sono scarsi. Potrei a questo riguardo citare una serie di fatti particolari che certamente s’ impongono a qualunque osservatore imparziale. Il collega Blessich che mi ha accompagnato in molte escursioni, ha controllato una parte di questi fatti. Abbiamo, per esempio, percorso insieme la valle dell'Ofanto il 24 e il 25 luglio; or- bene in quell'epoca la malaria si faceva molto sentire al casello 94.770 (nella regione Terremoto appartenente al paese Rapone), e quivi erano abbondanti gli Anopheles ela- viger e in un laghetto vicino pullulavano enormi quantità di larve della stessa specie, mentre nei caselli precedenti quello in discorso per chi viene da Avellino, gli Aro- pheles erano scarsissimi e nessuno in quest'anno aveva ancor preso la malaria. Allo scalo ferroviario di Rocchetta S. Venere, località ritenuta gravemente malarica, suppo- nevamo che vi fossero moltissimi Aropheles: invece dopo molte ricerche trovammo soltanto tre Aropheles claviger. Dal capo stazione però sapemmo che al detto scalo ferroviario dove si trovano circa cento individui, nel 1899 non s'era ancor dato alcun caso di malaria e l’anno precedente s'erano verificati soltanto due casi. Nel 1900, come in molte altre località, la malaria anche qui infierì e gli Aropheles elaviger sì riscontrarono numerosi. A Battipaglia la malaria è leggerissima, e gli Arophe/es sono scarsissimi: ad Al- banella la malaria è grave e gli Amopheles elaviger abbondanti, ecc. Dalla società delle ferrovie Sarde ebbi una copiosissima raccolta di zanzare prese nelle varie stazioni della Sardegna. Anch'essa conferma la mia tesi. Tuttavia in certe località dell'Italia meridionale la quantità degli Aropheles cla- viger sembra troppo scarsa in rapporto alla gravità della malaria; furono queste località che fin dall'ottobre 1898 richiamarono la mia attenzione sulle altre specie del ge- nere Anopheles. Cito in proposito la Calabria, specialmente la stazione di S. Eufemia-Biforca- zione e un certo numero di stazioni precedenti e seguenti Sibari e dintorni, ecc. (1898 e 1899). Se in queste località teniam conto, oltre che degli Amopheles ela- viger, anche delle altre specie (2i/urcatus e superpictus), la proporzione tra la ma- laria e gli Aropheles quivi pure risulta evidente (9). Debbo citare in particolar modo la stazione di Castelnuovo Vallo, località dove la malaria infierisce a lungo mentre gli Anopheles claviger sono scarsi già in luglio; quivi sono però molto abbondanti gli Aropheles superpictus, come ha dimostrato l’im- piegato ferroviario Marcovecchio. (4) Nel 1900 alla stazione di S. Eufemia-Biforcazione si deplorò una malaria gravissima ac- compagnata da una vera invasione di A. claviger. SR. ps Noterò infine che dove s'incontrano dei piccolisssimi focolai di malaria corri- spondono ad essi dei minuscoli focolai di Aropheles. Già nella mia Nota preliminare dell'ottobre 1898, tra gli altri fatti ho citato il seguente: « Vicino a Saronno, in mezzo a una zona non malarica si trova un piccolo centro malarico (cascina Girola). In questa località trovasi localizzato, dirò addirittura confinato l'A. elaviger; che manca quindi nei dintorni. Un fatto simile sì verifica vicino al laghetto di Ceriano (9). h) DISTANZE A CUI SI SPINGONO. Voglio qui parlare delle distanze a cui gli Anopheles possono arrivare. Ho cer- cato di approfondire l'argomento e posso fornire dei dati, che pur non essendo com- pleti, permettono di formarsi un'idea chiara del fenomeno. Cominciamo a domandarci fino a quale altezza possono sollevarsi col mezzo del volo gli Aropheles. Non posso precisarlo: mi risulta che l'autunno scorso a Pesto gli Amopheles claviger al tramonto venivano dal di fuori in gran numero a pungere alcuni indi- vidui, che stavano affacciati al terzo piano (all'altezza di m. 12/, circa) d'una casa del resto interamente chiusa e disabitata. Anzi opportunamente collocandosi si osservava che gli Aropheles claviger scavalcavano anche il tetto della casa, alto circa 15 metri dal suolo. Bisogna perciò ammettere che essi possano sollevarsi a volo almeno quindici metri dal suolo. Si direbbe che mal volentieri si alzino, giudicando dai seguenti fatti da me osservati: I. Le camere dei secondi e sopratutto dei terzi piani delle fattorie anche in mezzo alle risaie sono poco invase dagli Aropheles, mentre in quelle del piano terreno entrano a migliaia. Questo fatto da me osservato in Lombardia si ripete similmente in alcune case di Grosseto dove gli Anofeli sono più numerosi al piano terreno, al primo piano sono già più scarsi e ai piani superiori si riscontrano piuttosto raramente. II. In vicinanza del laghetto di Montorfano (presso Como) ho trovato molti A. claviger che mancavano affatto a Montorfano, paesello vicinissimo e di pochi metri più alto del laghetto. Qualche cosa di simile si verifica anche nella parte alta del villaggio d'Alserio (Brianza). Nel 1898 ho osservato che già a meno di un chilometro di distanza da focolai di innumerevoli Arzopheles non si veniva più punti, nonostante che si fosse in pia- nura (osservazioni fatte in Lombardia alla periferia della zona di recente irrigata dal canale Villoresi). Ciò induce ad ammettere che gli Aropheles non sogliono volare lontano, spe- cialmente in senso verticale dal luogo ove si sono sviluppati. (4) « La malaria, così scriveva Ross (nel luglio 1899, senza citarmi), non è mai uniformemente distribuita. Piccole zone, fattorie, baracche o villaggi, anche singole case, sono spesso conosciute come molto più malariche dei dintorni. Ciò fa arguire che la malaria non è dovuta ai comuni mosquitos che si trovano quasi da per tutto, ma è causata da mosquitos che hanno una distribu- zione simile a quella della malaria. NO — S'ingannerebbe, però, chi da questi dati volesse indurre leggi assolute. E infatti : 1. con voli successivi a noco a poco possono spingersi lontano sia in senso orizzontale che in senso verticale; 2. passivamente possono venir trasportati in lontananza, per esempio coi carri; 3. passivamente possono venir trascinati dai venti anche ad una certa lon- tananza. Vedi il paragrafo seguente (/). L'allontanarsi con voli successivi sembra facilitato dalla vita all'aperto e dalla temperatura elevata; se invece al tramonto la temperatura si abbassa molto, come spesso accade in Lombardia, gli Aropheles si nascondono ove meglio possono e stanno fermi. Ambrosi e Riva hanno osservato che la malaria nella provincia di Parma eser- cita l'influenza fino a 4 o 5 km. di distanza dalle risaie. Questo dato deve essere però valutato non soltanto alla stregua di quanto ho qui riferito, ma vuol esser messo in rapporto anche coi focolai avventizî di Aropheles che si formano specialmente in vicinanza ai luoghi palustri (pag. 64). To aiutato dal laureando in medicina Ficacci (“) da me opportunamente istruito, ho studiato in particolare Sezze, Sermoneta e Norma che gettano molta luce sopra l'argomento. Norma, Sermoneta e Sezze sorgono su colline prospicienti le Paludi Pontine. A Norma (altezza 343 m. circa) si diceva che non ci fosse malaria; a Sermoneta (altezza 257 m. circa) invece ed anche a Sezze (altezza 319 m. circa) la malaria domina, benchè meno intensa che nelle Paludi Pontine, e di solito l'epidemia, a differenza di quanto avviene nella gran maggioranza dei casi, infierisce ad autunno inoltrato. Notoriamente a Sezze e a Sermoneta la malaria colpisce a preferenza le abitazioni più basse, che sono quelle che guardano le Paludi Pontine, sebbene non risparmi neppure le altre parti. Nel 1899 la malaria che nei mesi precedenti si era fatta poco sentire, diventò violenta verso il 20 ottobre e infierì per tutto il novembre tanto a Sezze che a Ser- moneta, non risparmiando neppure Norma. Orbene a Sezze e a Sermoneta in principio di settembre 1899 gli Aropheles claviger (*), maschi e femmine non erano rari nelle case più malariche, cioè più basse e guardanti le Paludi Pontine; qualcuno se ne trovava anche nelle altre abitazioni di questi paesi, specialmente a Sezze dove qualcuno di più si vedeva nelle capanne vicine alle Fontane, e non mancavano perfino nelle case della parte più alta. Nello stesso tempo a Norma, fabbricata sulla cima di una rupe che sale dalle Paludi Pontine a picco, diritta come una muraglia, gli Anopheles erano scarsissimi tanto che vi ho trovato soltanto due femmine di A. ela- viger in un porcile. Le cose apparvero mutate durante l’imperversare della suddetta epidemia autun- nale. In questo tempo gli Aropheles, quasi tutti elaviger, si riscontrarono molto ab- (®) Mi limito a brevissimi cenni lasciando a Ficacci la cura di fare una pubblicazione estesa che riescirà certamente di molto interesse. [La pubblicazione intestata dall'Istituto d’Igiene della R. Università di Roma è stata fatta nel volume II degli Atti della Società per gli studi della malaria, 1901. Il signor Ficacci ha dimenticato di riferirsi alla prima edizione del presente mio lavoro dove, d'accordo con lui, le suddette notizie intorno a Sezze e Norma erano già apparse]. (?) In un sottoscala di Sermoneta trovai parecchi A. difurcatus. en — bondanti a Sezze, sopratutto nella parte prospiciente le paludi. Verso la metà di dicembre, ad epidemia finita, gli Aropheles erano ancora abbondanti, ma stavano quasi tutti ritirati in luoghi oscuri (sottoscala, sotterranei, stalle: nella sacrestia della Cattedrale si trovavano in numero stragrande). Come precedentemente, nella parte del paese opposta alle paludi, gli Anofeli erano in molto minore quantità che nella parte prospiciente la palude. Faceva eccezione l'Ospedale, che sorge sopra un'altura fuori della città, a mezzogiorno delle capanne suddette: in esso si rinvennero molti Anofeli dentro i locali a pian terreno e alcuni anche nelle corsie. Probabilmente qui s' erano rifugiati per invernare, non convenendo loro le capanne a motivo del fumo, che vi si fa incessantemente. Nello stesso tempo, cioè verso la metà di dicembre, venne da noi visitata anche Norma. Nella parte che guarda i monti, cioè opposta alle Paludi Pontine, si è rin- venuto un solo A. e/aviger, invece nella parte che guarda la palude non scarseg- giavano gli Anofeli in ibernazione, in qualche luogo erano anzi molto abbondanti. Si domanda ora dove abbiano origine gli Aropheles dei suddetti villaggi. Sezze possiede focolai di Anopheles claviger e bifureatus per proprio conto (“); ma questi focolai non sono bastevoli a spiegare la malaria di Sezze, perchè le parti più vicine a questi focolai sono evidentemente molto meno colpite dalla malaria che non le case prospicienti le Paludi Pontine. Ciò obbliga a ritenere che gli Amopheles di Sezze nascano in molta parte in acque paludose della pianura sottostante. Studiando le condizioni locali di Sermoneta, si acquista la convinzione che gli Anofeli nascono tutti o quasi nelle acque paludose immediatamente sottostanti (molte larve si trovano anche nell'acqua sulfurea che si raccoglie all'altezza di circa 16 m. sul livello del mare al piede di Sermoneta). Infatti a Sermoneta non vi sono acque capaci di dar luogo allo sviluppo degli Anofeli: soltanto negli orti si trovano alcune pic- cole vasche in muratura (quattro circa) che di regola asciugano molto presto. (Eccezional- mente quando io le visitai il 6 settembre 1899, contenevano ancora un po' d'acqua e in una trovai, oltre a molte larve di Cu/ex, anche una larva di Aropheles). D'altra parte che gli Anofeli provengano dalle paludi si rileva dalla circostanza che chi monta direttamente dalle acque sulfuree al paese di Sermoneta, cioè seguendo la stradicciuola ripida, trova dappertutto qualche Aropheles elaviger, specialmente se cerca nei ruderi delle due chiesette, che incontra cammin facendo, nelle capanne che stanno poco discoste dalla stradicciuola, ecc. Infine è assolutamente indiscutibile che anche gli Anofeli che si trovano a Norma nascono a Ninfa (altezza 24 m.) che giace ai piedi di Norma. Anche a Norma non si trova acqua adatta allo sviluppo degli Aropheles. È dunque un fatto dimostrato che gli Aropheles possono sollevarsi ad altezze superiori ai 300 m. Si deve ammettere che rimontino a tappe seguendo le numerose carovane che ogni giorno al tramonto ascendono ai suddetti paesi. Per persuadersi di (3) La parte nord e nord-est della campagna Setina è ricca di polle d'acqua, la quale spar- gendosi pei fossi ristagna e forma così parecchi piccoli focolai di Anofeli. Ficacci (al quale debbo qui riferiti particolari riguardanti Sezze) ha trovato anche sorgenti avventizie di Anofeli (p. es. una botte contenente acqua da pozzo nel giardino della Cattedrale), questo fatto, basta interrogare un vetturale qualunque che soglia far la strada dalla stazione al paese di Sezze: egli vi assicura che lungo tutta la strada le zanzare per- seguitano senza posa. Questi spostamenti relativamente enormi si possono spiegare specialmente colla circostanza che gli Anofeli nelle Paludi Pontine, essendo molto abbondanti e tro- vando poco cibo, si adattano a migrazioni straordinarie. Io ho notato che dovunque gli Anofeli sono in quantità, mentre scarseggia il nutrimento, si comportano, dirò così, più audacemente che quando sono pochi e trovano facilmente nutrimento. In una casetta vicina ai laghetti di Calciano (valle del Basento) gli Anofeli, che erano in coorti sterminate e tutti senza sangue, mi assalirono tanto da essere obbligato a ritirarmi, non ostante che io facessi molto fumo. Così quando gli Anofeli sono molto numerosi, nonostante che si brucino i zampironi, se ne trova spesso qualcheduno pronto a pungerci. Singolare resta però sempre la tardiva comparsa in abbondanza degli Anopheles elaviger a Sezze, a Norma e probabilmente anche a Sermoneta (). Sembra che essi non trovando sufficienti locali opportuni per svernare al piano, cerchino rifugio nei centri popolati della collina (*). Sul fenomeno però può influire lo spopolamento che si verifica al piano stesso in ottobre. La sopra accennata abitudine degli Anofeli di seguir l’uomo nelle sue peregri- nazioni è evidente in molti casi. Io ho osservato questo fenomeno per la prima volta nella Campagna Romana; successivamente mi persuasi che senza dulbio esso è generale. Nella Campagna Romana durante l’ epoca della mietitura e dell'aja (ara, come si dice a Roma), i contadini sogliono improvvisare delle capanne che servono loro di abitazione. In queste capanne nei primi giorni non si trovano Anopheles: nei giorni succes- sivi cominciano a comparire e vanno diventando sempre più abbondanti. Questo fatto venne da me ripetutamente verificato e mi fece particolarmente impressione all’ ara di Malegrotte, dove le capanne sono costruite in un posto di qualche metro più alto del- ' l'ara stessa; per i primi quattro giorni non è stato proprio possibile di trovarvi alcun Anofele, tanto che a tutta prima ritenni che gli Aropheles non potessero sollevarsi all'altezza delle capanne; più tardi invece essi vi si riscontravano in quantità con- siderevole. Nel corrente anno ho fatto molte altre osservazioni le quali mentre mi hanno condotto a verificare i fatti sopra riportati per le Paludi Pontine anche in altre parti dell’Italia meridionale, mi hanno dimostrato in modo assoluto la diffusione degli Ano- feli sì in piano, che dal piano alla collina, seguendo le strade battute dall’ uomo. Si dà perfino il caso già intraveduto l’anno scorso con Ficacci che gli Amopheles quasi manchino, e la malaria rispetti quasi interamente (°) la parte di un paese più vicina alla palude, mentre gli Aropheles abbondano e la malaria ne invade gravemente la (4) Coincide naturalmente coll'andamento dell'epidemia malarica. (8) In complesso i posti di Sezze e di Sermoneta, dove gli Anofeli sì riparano per l’ inverna- mento, sono esposti a mezzogiorno. () S'intende che nel giudizio che una data parte di un paese sia o no malarico si fa astra- zione dei casi di malaria che si verificano in individui che frequentano luoghi malarici. ie sr parte più lontana. Se si studia bene il caso, si rileva che la parte quasi rispettata sta, per esempio, sul dorso di una collina nella parte opposta alla palude, mentre non vi è strada battuta che conduca direttamente dalla palude alla collina. Invece la parte del paese non rispettata dalla malaria si trova in piano, quasi allo stesso livello della palude alla quale è congiunta per mezzo di una strada giornalmente molto percorsa dai contadini. È bene aggiungere che gli Aropheles in siffatti luoghi non sono autoctoni, ma provengono tutti dalla palude. Mentre si dànno, come ripeto, casi di diffusione degli Amopheles in piano e dal piano alla collina, non mi è noto alcun caso in cui gli Amopheles sorpassino una collina. Notevole a questo riguardo è sopratutto la città di Agropoli (Provincia di Salerno) che sta in gran parte collocata su una bassa collina in riva al mare. Di questa collina la parte che guarda la piana è infestata dagli Anofeli e dalla malaria: gli uni e l’altra invece mancano nella parte prospiciente il mare. Bisogna tuttavia notare che la pianura di Agropoli non produce una grande quantità di Anofeli. Io credo che se per contrario ne producesse un numero sterminato, la collina di Agropoli non farebbe loro un sufficiente ostacolo. Noto a questo riguardo che certamente la maggiore o minore abbondanza degli Anofeli influisce sulla loro maggiore o minore diffusione. Nel caso or detto di Agropoli (da me osservato nel 1900) qualcuno potrebbe pensare che, la parte rispettata dalla malaria e dagli Anofeli essendo quella prospi- ciente il mare, si dovrebbe trovare la spiegazione del fatto nella circostanza che alla spiaggia del mare non si trovano nè gli Anofeli, nè la malaria. A questo riguardo devo dire che mentre sta la regola generale che gli Anofeli evitano la spiaggia del mare, si dànno però eccezioni, così si trovano in un tratto della stessa Agropoli, non facente parte della suddetta collina, che sta in piano ed è denominata più special mente marina di Agropoli, molto frequentata all’epoca dei bagni. Aggiungasi che la stazione di Ogliastro che sta molto vicino alla spiaggia del mare, mentre a tutta prima si direbbe un paese molto sano, è invece un tremendo focolaio di malaria e gli Anofeli si sviluppano proprio vicino al mare. La diffusione degli Anofeli avviene in svariati modi anche passivamente, come ho verificato specialmente a Capaccio. Il 3 luglio 1900 mi recai colla vettura postale dalla stazione di Capaccio (piana di Capaccio) al paese di Capaccio collocato su una col- lina. Il-viaggio durò circa due ore; nell'interno della vettura eravamo in quattro, di cui due tumavano. Sulla coperta della vettura, ai quattro angoli, stavano raccolti non meno di 200 Anofeli. Nonostante le scosse e il fumo, pochissimi fuggirono, qual- cuno si spostò, ma in grandissima parte arrivarono con me a Capaccio e proseguirono oltre nei varî paesi di collina per cui passa la vettura postale, e certamente si sa- ranno spersi in quelle località in cui la vettura sarà giunta al tramonto. Anche i carri di fieno e di paglia che sostano specialmente ai crepuscoli in luoghi dove ab- bondano gli Anofeli, si caricano di queste zanzare che così migrano passivamente. Ognuno vede l’importanza di queste osservazioni anche per spiegare i ben noti casi sporadici di malaria in luoghi sani. In conclusione, per eccezione gli Anofeli possono arrivare attivamente 0 pas- sivamente a parecchi chilometri di distanza dal luogo ove sono natt. 10 î) INFLUENZA DEI VENTI. Un'altra questione molto importante riguarda la diffusione degli Anofeli e della malaria per mezzo dei venti. Ficalbi nella sua nuova monografia sulle zanzare scrive che talvolta il vento rapisce le zanzare e luoghi liberi da questi insetti possono esserne invasi per cagione del vento che è una delle cause della diffusione delle zanzare. Egli mi ha raccontato che ripetutamente ha trovato a Cervia, dopo una giornata di di vento, i Culex penicillaris, mentre prima non era possibile rinvenirveli. To ho fatto in proposito una serie di ricerche e ne riassumo qui brevemente i risultati. È un fatto che gli Aropheles, come in genere tutti gli animali alati, sono molto disturbati dal vento e basta un leggero movimento dell’aria perchè essi non si fac- ciano vedere e non pungano più. Sta pure il fatto che gli Aropheles hanno l’ abitu- dine di raccogliersi in luoghi riparati, sfuggendo persino le piante esposte ai mo- vimenti dell’aria. Forse per questo motivo non li ho trovati mai sugli Zwcalyptus che circondano i caselli e le stazioni ferroviarie, mentre li ho trovati sulle stesse piante agglomerate in luoghi riparati. Ho sopra accennato che gli Anofeli in generale evitano la spiaggia del mare: ciò accade molto probabilmente, perchè quivi l’aria spesso è mossa. Questa circo- stanza vuolsi mettere in rapporto colla opinione popolare che la spiaggia del mare anche nei luoghi molto malarici sia relativamente salubre e che il dormire su barche in mare anche a piccola distanza dalla spiaggia, riesca quasi sufficiente per preser- varsi dalla malaria. Se di giorno vediamo un Anopheles elaviger o superpictus poggiato sopra una ragnatela in una stalla, od altro ambiente chiuso, possiamo facilmente sperimentare che un piccolo movimento d'aria prodotto, per esempio, agitando leggermente il cap- pello, fa dondolare la ragnatela senza che l’ Anofele si sposti. Se si agita il cappello un po più fortemente, esso prende il volo, fermandosi subito appena trova un luogo opportuno, che può essere a pochi decimetri di distanza, dove il movimento dell’aria non si faccia sentire. Supponiamo di trovarci in una stalla piccola, infestata di Anofeli, con una porta e una finestra, chiuse l'una e l’altra. Apriamole; si può così formare una corrente d'aria piuttosto forte in direzione dalla porta alla finestra. Questa corrente può avere per effetto l'uscita degli Anofeli dalla finestra anche di pieno giorno. A Porto vi è una sorta di tettoia, sotto la quale si rifugiano a migliaia gli Ano- pheles claviger neonati; se tira vento, in parte si nascondono nel fieno, ma in gran- dissima parte si allontanano dalla tettoia stessa. Questi fatti osservati l’anno scorso mi avevano già indotto a ritenere che il vento, spirando in una determinata direzione, potesse spostare a poco a poco gli A70- pheles. Quest'anno una serie di fatti mi hanno convinto che se un vento un po' forte arriva a colpirli li disperde come farebbe di una manciata di piume. In certi luoghi poco riparati dove erano numerosissimi dopo qualche giornata di vento non se ne trovarono più, mentre apparvero in buona quantità in luoghi Er vicini, ma ben riparati. In settembre mi accadde di osservare ripetutamente qualche Anofele sulle reticelle di padiglioni di rete metallica costruiti davanti ai caselli fer- roviari, evidentemente trasportatovi dal vento che soffiava con una certa violenza. Alla stazione di Capaccio, in una notte ventosa, entrarono nella stanza del Capo Stazione, un poco alla volta, moltissimi Anofeli. È importante notare che gli Anopheles trasportati dal vento non pungono se prima non si siano raccolti in luoghi riparati. Forse così si spiega perchè, per esempio, a Sezze lo studente Ficacci al tramonto ripetutamente si fermò sulla terrazza prospi- ciente le Paludi Pontine senza che gli Anofeli venissero mai a pungerlo, ancorchè il vento spirasse dalla direzione di queste. Non bisogna però credere a tutti i fatti che il volgo racconta per provare la influenza del vento sul trasporto delle zanzare. Questi fatti possono essere in se stessi indiscutibili, ma il loro apprezzamento non è facile. Citerò un caso speciale. Tutti quelli che abitano in luoghi infestati dalle zanzare assicurano che, quando spira scirocco, esse sono molto più numerose; questa notizia così riferita farebbe credere che lo scirocco le trasportasse veramente. Ma se andiamo a fondo della cosa, apprendiamo, da quelli stessi che ci hanno fornita l'informazione, come, quando parlano di scirocco che spira e rende più tormentose le zanzare, intendano quello scirocco che si fa sentire soltanto per la sua umidità, per il suo calore, per il cielo annuvolato e per gli acquazzoni che si succedono, non già lo scirocco accompagnato da forti movimenti dell’aria (vento). In quest'ultimo caso le zanzare, essi stessi ce lo assicurano, non si fanno vive, se non a chi si chiude in casa. In breve, sta il fatto incontrovertibile che quando l'aria è calma, calda e umida e il cielo è annuvolato, le zanzare pungono di più: le suddette condizioni dell'ambiente sono dunque favorevoli alle zanzare, le quali ne profittano per mettersi in movimento e procurarsi il cibo; tutto ciò non implica affatto che il vento sciroccale trasporti le zanzare, come ritiene il volgo. Riunendo insieme i fatti fin qui riportati possiamo dire che anche il vento può allontanare gli Anofeli dal luogo dove si sono sviluppati. Si tratta però in generale di trasporti a piccole distanze; si deve ammettere tuttavia che eccezio- nalmente possano venir trasportati anche ad una notevole distanza. I) OSTACOLI. Un'ultima questione importante riguarda gli ostacoli che possono frapporsi all’ allon- tanarsi degli Anofeli dal luogo dove si sono sviluppati. La pianura senza alberi, o pochissimo alberata, favorisce le loro migrazioni; le ostacolano invece i boschi, gli abitati, ecc. Anche questi fatti si connettono con quistioni state già a lungo discusse, specialmente a Roma, nel secolo scorso da Lancisi e nel nostro secolo da Tommasi- Crudeli. Ammettevano taluni che i boschi filtrassero i germi malarici in modo che l’aria attraversando un bosco ne uscirebbe purificata; altri invece negavano qualsiasi influenza ai boschi. Basta collegare siffatte quistioni colla storia naturale degli Anofeli per persuadersi facilmente che esse non possono venir risolte in modo assoluto in un senso piuttosto che in un altro, entrando in giuoco molte circostanze, che modificano il giudizio nei singoli casi. IT A Maccarese ho potuto osservare che, mentre gli Aropheles claviger abbondano al Procojo d'inverno delle Buffale, non si trovano invece nelle capanne dei pescatori, molto vicine alla spiaggia del mare; tra queste due località s’ interpone una macchia abbastanza fitta per l'estensione di forse 100 metri. Tale fatto sarebbe molto pro- vativo se non ci fosse nota la circostanza che gli Aropheles in generale, come si è detto, evitano la spiaggia. D'altra parte è certo: 1) che nella parte periferica dei boschi possono ricoverarsi gli A. claviger; 2) che questa parte forma l'abitazione prediletta degli A. difurcatus; 3) che i boschi possono impedire il disseccamento di acque opportunissime per lo sviluppo degli Anofeli; 4) che la trasformazione di un bosco in una campagna coltivata richiede spesse volte di necessità un più igienico regime delle acque; ciò spiega in molti casi la diminuzione della malaria in seguito al diboscamento ecc. ecc. Le case costituiscono una barriera ben più sicura in quanto che gli Aropheles vi trovano nutrimento e quindi vi si fermano. Con ciò si spiega facilmente il caso di un piccolo focolaio malarico presso Sinigallia, illustrato da Marchiafava e Spadoni (« Presso Sinigallia vi è un canale tra il fiume Mesa e il mare; ristagnandovi l’acqua, sino a poco tempo fa era fomite d' infezione malarica. Gli abitanti delle case più vicine e più specialmente delle case con le porte e le finestre che danno su questo canale ammalavano d’ infezione malarica, mentre quelli delle case un po’ più discoste erano immuni ») (5). m) CONSIDERAZIONI. Tutti © fatti, che ho fin qui esposti riguardo alla diffusione degli Anofeli, si accordano mirabilmente con la legge empirica che la malaria in generale non viene mai trasportata a molta distanza; e infatti gli Anofeli attivamente st allontanano poco, passivamente, sopratutto quando sono trasportati dal vento, potrebbero molto allontanarsi, ma ciò non suole accadere perchè facilmente incontrano ostacoli che li trattengono. Anche il dato dell'esperienza che la malaria in generale si attenua già a breve altezza trova la sua spiegazione scientifica nella riluttanza degli Anopheles a sollevarsi dal suolo. I casiì sporadici di infezione malarica vengono giustificati da più o meno eccezionali migrazioni degli Anopheles. Ne risulta che gli Anofeli abitano e quindi possono facilmente pungere in tutti quei posti dove notoriamente si prende la malaria. St può stabilire come regola assoluta che più in un luogo imperversa la ma- laria, maggiore è il numero degli Anofeli che vi si incontrano. Nei luoghi più gra- vemente malarici un uomo all’inizio dell’ epidemia può venir punto in una sola sera da centinaia di Anopheles. In Italia, nelle pianure e sulle colline poco elevate e notoriamente calde d'estate, laddove vi sono Anofeli, regna endemica la malaria. Ho trovato finora per lA. claviger una sola eccezione: un giardino (presso Saronno in Lombardia), dove vi è un paludello che ne produce pochis- simi; sembra tuttavia che un tempo si dassero anche qui dei casi di malaria. Conosco inoltre alcuni minimi focolai non malarici di A. bifurcatus (1899). sro se 6. Conclusioni (1899). Cercando ora di riunire i fatti precedentemente esposti sotto un punto di veduta generale, veniamo alle seguenti conclusioni : I. Nei luoghi malarici vi sono veramente degli animali speciali suechiatori di sangue che non si trovano nei luoghi non malarici. Ciò rende sempre più ve- rosimile la teoria delle zanzare malarifere, distruggendo una delle più gravi obie- sioni che si possano muovere contro di essa e si accorda mirabilmente colla localiz- sazione della malaria, di cui si è parlato nel principio del capitolo. II. Tra questi animali, quelli che per la loro frequenza, per le stagioni in cui sî trovano, per la loro abitazione sono più sospetti, sono senza dubbio gli Ano- pheles, che furono da me definiti nel settembre 1898 vere spie della ma- laria; però non si può eseludere senza speciali sperimenti che altre specie pos- sano essere malarifere. III. Za qualità del suolo non deve avere per se stessa un'importanza assoluta perchè l’acqua opportuna per la propagazione degli Anofeli e delle altre forme a priori sospette, si può trovare nei più differenti terreni. Ciò s' accorda benis- simo con la conclusione di Tommasi-Crudeli che la malaria si sviluppa nei paesi aventi i più differenti terreni. IV. Gli Anofeli si estendono dall acqua paludosa dove si sono sviluppati, ai dintorni, in cerca di nutrimento. Considerando, in mezzo ad un’ uniforme pianura, come centro un bacino d’acqua dove si siano sviluppati, si può determinare la lunghezza di un raggio oltre il quale essi di regola non vanno. Questo raggio specialmente in pianura brulla (senza boschi e senza abitazioni) nei mesi caldi, quando l’aria è carica d'umidità, nell'Italia media e meridionale può essere di qualche chilometro. Ciò si accorda benissimo con un'altra conclusione di Tom- masi-Crudeli che ci può essere malaria in luoghi non paludosi. V. Però in complesso gli Anofeli si allontanano poco dal loro luogo di ori- gine. Ciò è in armonia con un’ altra conelusione di Tommasi-Crudeli: che cioè la malaria si propaga soltanto a breve distanza. Anche le eccezioni di cui è pas- sibile questa legge si spiegano facilmente con i modi eccezionali di comportarsi da parte degli Anofeli. Riassumendo, le stesse osservazioni indiscutibili, sulle quali Tommasi-Crudeli aveva fondata la sua teoria del terreno, danno appoggio anche alla nuova teoria, anzi con questa si spiegano molto meglio (°). Questa ha il grande vantaggio di conciliare la teoria del suolo (Tommasi- Crudeli) colla teoria della palude, a torto definita come pregiudizio palustre (Tommasi-Crudeli, Celli, ecc.). ZZ suolo in quanto è in condizioni opportune per (4) In una recentissima pubblicazione (68) Pagliani molto opportunamente dimostra come pa- recchi punti essenziali della nostra legislazione riguardanti la malaria siano pienamente conformi ai risultati della nostra scoperta sugli Anofeli. Cito due articoli. « Salvo le disposizioni che siano stabilite nei regolamenti locali, saranno considerate nocive alla salute pubblica tutte quelle opere che mettono ostacolo al regolare deflusso delle acque del ri e mantenere le acque palustri, le acque palustri in quanto si prestano allo sviluppo degli Anofeli, diventano cause di malaria; cause, però, indirette. [Questi fatti spiegano e giustificano due apoftegmi di Baccelli: mella etiologia della malaria devono considerarsi tre elementi di calcolo: uno fisso, la palude, e due mobili, l’uomo e la zanzara; non possono essere tenute în non cale la terra e l’acqua. Anche l'apoftegma che la malaria si calpesta con i piedi, come figura rettorica può accogliersi ]. Resterebbe soltanto a spiegare la dipendenza della malaria dalla temperatura alta (pag. 49). Questo argomento viene discusso in altro Capitolo: si può peraltro già fin d'ora notare come « przorz sia presumibile che il parassita malarico passando dall'uomo (a temperatura alta e costante) al wmosquito (a temperatura simile a quella dell'ambiente, e perciò come quella variabile) muoia se la temperatura del- l'ambiente, e quindi del mosquito, è al di sotto di un certo limite (18-20 C.). 7. Anofeli fuori d'Italia. Tutto ciò che riferii per le regioni malariche d'Italia, vale probabilmente per tutte le plaghe malariche del mondo. Purtroppo le ricerche sugli Aropheles fuori d’ Europa sono ancora molto incomplete; tuttavia troviamo registrato un Anopheles minuta Macquart del Sénégal. Ross recentemente ha trovato due specie di Ano- pheles nella Sierra Leone. Lo stesso Ross mi ha spedito dall’ India un Amopheles molto simile al superpictus. Sappiamo che gli Anopheles si trovano anche negli Stati Uniti, nell'America Meridionale, nella Nuova Guinea, ecc. Si può perciò fin d'ora ritenere con fondamento che in tutti i luoghi malarici si trovino specie del gen. Anopheles. Queste notizie comunicate già nella prima edizione della presente Memoria, sono state completate nel breve tempo trascorso dopo la pubblicazione. Si può dire che quotidianamente i giornali medici pubblicano notizie dimostranti che in tutto il mondo dove c'è malaria, vi sono Aropheles, notizie che risultano in piccola parte da inda- gini bibliografiche e in gran parte da osservazioni dirette (Theobald, Giles, Laveran, Guiteras, Blanchard, Koch, ecc.): così si sa che gli Amopheles esistono nell' Africa meridionale, al Madagascar, a Cuba, Giamaica, Hayti, nel Brasile, in China, a Ce- lebes, a Giava, nelle Molucche, nell’ Australia, in Tasmania, ecc. ecc. ecc. sottosuolo, al corso regolare di quelle superficiali, e cagionino ristagni di acqua nel terreno desti- nato a costruzione di abitazioni od impaludamento in qualunque altro terreno ». « Sono vietate le camere cieche nei campi coltivati a riso; perchè questi devono avere una sufficiente pendenza, perchè il deflusso dell’acqua, per apposite e ben regolate bocche, sia costante- mente libero ed attivo e devono essere sistemate per modo che, al momento della messa all'asciutto della risaia, si possano rapidamente prosciugare ». Evidentemente questi due articoli erano stati suggeriti a Pagliani (che, com'è noto, è in Sn il benemerito autore della nostra legislazione sanitaria) dall'empirismo. Ora basta enunciarli per metterci in grado di spiegarne scientificamente l'efficacia. L'uno e l’altro suonano infatti guerra a fondo agli Anofeli, come risulta evidente dalle osservazioni svolte in questo capitolo. = i — 8. Località con Anofeli e senza malaria. Ho parlato finora delle parti d'Italia dove il caldo si fa a lungo sentire nei mesi estivi. confrontando gli animali ematofagi delle regioni malariche con quelli delle regioni non malariche. Or debbo rilevare che soltanto nelle basse pianure e in luoghi di collina relativamente caldi, come per esempio a Sezze (alto 319 m.), a Sermoneta (alto 257 m.), ovvero, con altre parole, soltanto là dove la temperatura presentasi molto opportuna per lo sviluppo della malaria, gli Anofeli possono definirsi veri indici, vere spie della malaria. Invece nei luoghi un poco elevati in Italia (come in molti luoghi dell'Europa media e settentrionale), si possono trovare gli Aropheles anche relativamente molto abbondanti senza che vi sia malaria, o con una malaria relativamente poco intensa. Fra queste località cito specialmente alcune, nelle quali le ricerche furono fatte un po più accuratamente. Il giorno 26 luglio volli visitare le sorgenti vicine a quella che fornisce l’acqua del Serino a Napoli. Mi pareva che vi dovessero prosperare le larve di Aropheles claviger che trovai in verità molto numerose (non marcavano neppure gli A. dbifurea- tus). Naturalmente anche gli Amopheles alati erano numerosi, però soltanto nelle stalle. Nelle case del villaggio S. Lucia di Serino (1500 ab. circa) (°), vicinissimo a queste sorgenti, si trovava soltanto qualche raro Anopheles claviger, così pure nella stazione ferroviaria. In ogni modo il fatto mi sorprese perchè si dice che Serino non sia malarico. Assunsi perciò delle informazioni e seppi che a S. Lucia di Serino le febbri malariche non mancano, benchè siano relativamente rare. Evidentemente esiste in questo caso una forte sproporzione tra la quantità degli Anopheles e la gravità della malaria. Questa sproporzione spicca molto di più, quando si pensa che a Serino i casi di malaria importati sono numerosi. Due spiegazioni erano possibili: o gli Aropheles di Serino costituiscono una razza immune da parassiti malarici, ovvero la temperatura di Serino è già relativamente troppo bassa per una copiosa moltiplicazione dei parassiti malarici. Avendo io esclusa la prima spiegazione per via di opportuni sperimenti, restava soltanto la seconda. Benchè la stagione fosse avanzata feci intraprendere le misure termometriche opportune; grazie ai dottori Monti, Pescatore e al Capo stazione di Serino posso fornire dei dati molto precisi delle temperature dal 16 agosto al 17 set- tembre (vedi l’appendice a questo Capitolo). Se si paragonano questi dati con quelli p. es. di Roma è facile persuadersi che a Serino la temperatura è notevolmente più bassa che a Roma, in rapporto colla circostanza che S. Lucia di Serino sta a 410 m. sul livello del mare, ed è fian- cheggiato da alti monti. A Serino per la prima volta ho poi fissato l’attenzione sopra un fatto molto inte- ressante. Per effetto della temperatura bassa gli Anophe/es si riparano in grandissima (®) Il comune di Serino consta, com' è noto, di parecchi villaggi: uno di essi è appunto S. Lucia di Serino. = AGR parte nelle stalle e perciò pungono con molta preferenza buoi, cavalli e maiali, sol- tanto raramente pungono anche l’ uomo. Nel 1898 ad Alserio in Brianza mi era capi- tato di fare una osservazione simile: al tramonto di una giornata molto calda, la temperatura, come colà suol accadere, si abbassò molto; nei prati adiacenti al paese, nessuno fu punto dagli Aropheles (eccetto un giovane che sì sedette sopra un mucchio di letame in forte fermentazione e perciò emanante molto caldo; questo giovane, in pochi minuti, ricevette un centinaio di punture; appena scesa la notte, esso pure non fu più molestato). Si noti che nel paese di Alserio quasi nessuno vien punto dagli Aropheles non ostante che l'abitato cominci allo stesso livello dei prati, coi quali confina, e sì elevi lentamente soltanto di pochi metri. Nelle stalle adiacenti ai prati si trovano invece numerosi Aropheles per lo più pieni di sangue, che evidentemente perciò si compor- tano come a Serino. D'altra parte aggiungasi che tra gli abitanti di Alserio i casi di malaria sono rarissimi. Contemporaneamente alle mie osservazioni fatte a Serino, il sig. Noè ne compiva altre simili nei dintorni di Sala-Baganza e di Collecchio (prov. di Parma). Questi notava che a Sala-Braganza, e a Maiatico e a Lefèvre, frazioni del Comune di Sala Baganza, vi era un numero discreto di Aropheles elaviger, tutti però nelle stalle, nessuno nelle case (“). Egli soggiornò a Lefèvre proprio nella stagione più opportuna e, per quanto cercasse, non arrivò mai a constatare che un uomo fosse punto da un Anopheles. Egli stesso colà non fu mai punto dagli Aropheles, mentre qui a Roma ne veniva molto tormentato. Le suddette località, benchè poco alte sul livello del mare (250 m. circa), sono però relativamente fresche e molto ventilate. In altre località dei dintorni, un poco più elevate, si verificano gli stessi fatti: gli Aropheles si raccol- gono tutti nelle stalle, soltanto il loro numero è molto minore. Più in basso (Comuni di Collecchio e di Noceto) invece, lungo le rive del Taro, gli Amopheles sono più abbondanti e pungono anche gli uomini, dove il caldo si fa più sentire, specialmente alla riva sinistra del Taro (Comune di Noceto). E la malaria in questi luoghi si uniforma evidentemente agli Amopheles. Nel Co- mune di Sala-Baganza, nelle sue frazioni e più in alto non c' è malaria; qualche raro caso si verifica alla riva destra del Taro, cioè nel Comune di Collecchio; un certo numero di casi si hanno sulla riva sinistra, cioè nel Comune di Noceto. 9. Altre aggiunte riguardanti osservazioni fatte nel 1900 sugli Anopheles. In questo capitolo ho riferito le osservazioni del 1898 e del 1899, intercalan- dovi qua e là alcune notizie riferentisi al 1900. Delle altre notizie raccolte in questo anno darò qui breve cenno cercando di collegarle con quelle raccolte da altri col- leghi. Il 1900 si è acquistata una triste fama per la malaria che ha infierito anche in luoghi dov’ essa suol mantenersi mite (per esempio a Eboli) e ne ha invaso altri nei quali di solito o non si manifesta, o si manifesta soltanto con casi sporadici e (4) Alla metà di 9bre del 1900 ne trovò due nelle stalle: quivi prese pure qualche A. difur- catus e vide non molto rari A. superpictus. = = talvolta con intervallo di parecchi anni (per esempio, Marenelle presso Agropoli in provincia di Salerno). Mi affretto a soggiungere che in tutti i detti luoghi, che sono sempre vicini ad altri di malaria grave, ho trovato molti Amopheles, il cui sviluppo nel corrente anno è stato favorito indirettamente dalle abbondanti pioggie primave- rili e la cui infezione coi parassiti malarici è stata facilitata dai forti e persistenti calori estivi. Quest'anno si sono trovati gli A. elaviger anche in località di pianura dove nel biennio precedente non erano stati rinvenuti, nonostante minuziosissime ricerche fatte da persone competenti, così nei comuni ai limiti della provincia di Como con quella di Milano (Rovellasca, Manera, Rovello, Bregnano, Lomazzo, Saronno) (37). Per quanto ho potuto sapere in nessuno di questi comuni si verificarono casi di malaria, in uno, però, Bregnano, certamente negli anni passati, si ebbe qualche caso. Occorre osservare che gli Aropheles in tutti i suddetti comuni apparvero scarsissimi e li- mitati quasi esclusivamente alle stalle. Io mi spiego la loro presenza colla circostanza che essendo stata l'annata molto piovosa, nei dintorni delle risaie si dovettero for- mare piccole raccolte d'acqua opportune per lo sviluppo degli Arzopheles che ven- nero perciò attratti a deporvi le uova; da questi nuovi focolai (alcuni dei quali ven- nero da me in realtà riscontrati) gli Aropheles si dispersero a parecchi chilometri di distanza, invadendo così anche le località suddette (pag. 64). Ho trovato A. claviger anche in altre località relativamente basse, ma ritenute salubri, dove gli anni scorsi non li avevo cercati, così qua e là lungo le spiagge del lago di Como tra Como e Moltrasio (©) (37): essi si sviluppavano nei punti dove la spiaggia faceva insenatura e invece di scendere a picco declinava leggermente, ossia nei punti dove l'acqua si presta a quella vegetazione palustre che le larve degli Aropheles prediligono, mentre dove l’acqua si manteneva limpida senza vegetazione superficiale queste mancavano del tutto. Ho gia riferito fatti simili a pag. 76. Senza entrare in particolari mi limito a richiamare l’attenzione del lettore sulle seguenti circostanze: 1°. In complesso gli Aropheles amano i luoghi caldi, perciò si raccolgono a preferenza nelle stalle dove vivono spesso a ‘spese degli animali domestici: ciò si verifica sopratutto nei luoghi più o meno elevati, ma anche in quei luoghi piuttosto bassi della regione settentrionale d’Italia in cui le notti sono fresche. 2°. In generale nelle località relativamente distanti dai centri malarici, come le suddette del lago di Como, difficilmente gli Aropheles trovano occasione d’ infettarsi. 3°. Se quivi si manifesta qualche caso di malaria, di solito prontamente si spegne per effetto della chinina senza che ne insorgano altri, essendo gli Aropheles molto scarsi e raramente pungendo l’uomo. 4°. È facilissimo trovare gli Anopheles in una data località anche quando siano molto scarsi, mentre riesce molto difficile escludere che ivi si diano un anno (©) [Simili fatti hanno colpito anche Ficalbi (Atti della Società per gli studi della malaria, vol. II), il quale così conclude: « più faccio ricerche minuziose e più trovo gli Aropheles diffusi in luoghi ove non avrei creduto ». Io non posso che confermare l’asserzione di Ficalbi, insistendo però sulle circostanze che quivi gli Aropheles si trovano quasi sempre scarsissimi e che più si ricerca più aumenta il numero delle località dove di tanto in tanto si trova qualche caso sporadico di malaria]. 11 SR o l'altro casi di malaria; in Italia i luoghi dove non si dànno assolutamente maî casi di malaria restano ancora da determinare (°). In conclusione l’esperienza di quest anno ha estesamente confermato la regola da me stabilita che non c’è località malarica senza Anopheles; non c'è in Italia localiti in cui abbondino gli Anopheles e la temperatura sia opportuna, senza che vi sia malaria; gli Anopheles sono dunque la vera spia della ma- laria ("), là dove la temperatura è opportuna. S'incontrano tuttavia molte loca- lità dove nonostante questa condizione opportuna si trovano più 0 meno scarsi Ano- pheles, mentre si ritiene che la malaria vi manchi, ma se si estendono molto le ricerche, la pretesa mancanza assoluta della malaria diventa discutibile, per lo meno nella grande maggioranza dei casi. In ogni modo, come risulterà dai ca- pitoli successivi, anche ammesso che in queste località non si siano verificati casi di malaria, sì deve ritenere che si possano verificare ogni qual volta vengano a stabilirvisi individui malarici. [Chiunque ha seguito attentamente la letteratura sulla malaria degli ultimi mesi, avrà senza dubbio notato che con molta frequenza vengono esposte come novità fatti che si trovano già nelle mie pubblicazioni e sopratutto nella prima edizione del presente lavoro. Questo non tener calcolo esatto della letteratura va producendo una serie di equivoci e conseguenti discussioni che si sarebbero potuti evitare. Uno di questi casi riguarda appunto la distribuzione degli Amopheles in rapporto colla malaria. In nota (°), (?) ho or ora accennato alle osservazioni su questo argomento di Celli e di Nuttall senza insistere molto perchè credevo che questi autori nei loro lavori in esteso avrebbero tenuto conto delle mie pubblicazioni. Orbene in questi lavori apparsi nel corrente anno essi citano le mie pubblicazioni, ma evidentemente non le hanno lette che in parte, altrimenti, invece di contraddirmi, avrebbero rile- vato che parlando di coincidenza tra la malaria e gli Aropheles e di Anopheles come spie della malaria ho inteso parlare di regole, non stabilire leggi assolute, che si danno invece eccezioni, del resto facilmente esplicabili e che perciò le loro osservazioni sì accordano pienamente colle mie, sotto un certo aspetto più approfon- dite delle loro. Conseguenza dell’avermi Nuttall e Celli contraddetto è stata la comparsa sull’orizzonte di una nuova obiezione alla dottrina degli Amopheles mala- riferi; nerciò trovo opportuno riportare esattamente i concetti di Celli e di Nuttall. Celli a pag. 92 degli Atti della Società per gli studi della malaria, vol. II (1901) scrive: « Mi limito qui ad accennare soltanto alcune mie osservazioni che (4) Nuttall (67) ha notato in Inghilterra la presenza degli Aropheles in località dove la malaria è scomparsa; egli stesso ammette che ivi sia avvenuta una progressiva diminuzione degli Anopheles, mentre suppone però che alla scomparsa della malaria abbiano contribuito altri fattori sconosciuti. Questi fattori a mio parere debbono ricercarsi nell’uso esteso della chinina, coadiuvato dalla tem- peratura relativamente poco favorevole allo sviluppo dei parassiti nel corpo degli Anopheles. In Germania si verifica qualche cosa di simile a quanto ha notato Nuttall in Inghilterra. Nello stesso ordine di idee rientrano molti fatti che si verificano in Italia. (?) Celli (settembre 1900) scrive: « Non si può più ritenere in modo troppo assoluto (Grassi) che gli Aropheles siano sempre senz'altro la spia della malaria ». Certamente la regola generale è passibile di eccezioni, cosa della quale mi ero per il primo accorto e ne avevo fatto cenno nei miei lavori, ma sembra che ciò sia sfuggito a Celli. = = non si accordano perfettamente con quelle del Grassi. Cioè ho visto l'habitat degli Anofeli molto più diffuso di quanto finora si è creduto. Il Perrone, Galli-Valerio ed io ne abbiamo trovati a grandi altezze (900-1300 m.) in località dove la malaria non c'è mai stata. Quindi la distribuzione geografica degli Anofeli non può coinci- dere con la carta geogratica della malaria, e non si può più ritenere in modo troppo assoluto che siano essi sempre e senz'altro la spia della malaria, e che in Italia dovunque siano essi ivi regni endemica la malaria. Questa invece v' ha senza dubbio dovunque ci sono Anofeli e coll’ uomo ci sono o ci capitano i gameti dei parassiti malarici, e questi trovano la temperatura propizia pel loro sviluppo nel corpo delle zan- zare ». Se il lettore vuol persuadersi che eccezioni del genere di quelle citate da Celli erano già a me note legga le mie pubblicazioni (28), (33), (37) e la prima edizione di questo libro uscita il 4 giugno 1900, pag. 50 e seguenti. Nuttall nel lavoro in esteso (he Journal of Hygiene, vol. I, n. 1, January 1901), svolge le conclusioni accennate precedentemente. Egli cita tra i fattori probabili che fecero scomparire la malaria la riduzione di numero degli Anofeli per effetto delle bonifiche, la riduzione della popolazione in luoghi infetti come risultato di emigra- zione verso l'epoca in cui la malaria scomparve; ritiene anche possibile che l'uso del chinino abbia diminuito la probabilità agli Amopheles d'infettarsi; accenna anche alla possibilità che vi sia, oltre all'uomo, un altro ospitatore intermedio dei paras- siti malarici umani e che questo si sia spento contribuendo così indirettamente a far scomparire la malaria. Nuttall combatte quindi la coincidenza da me ammessa tra la malaria e gli Aropheles per quanto si riferisce all’ Inghilterra, segnalando anche in questo paese la presenza di Aropheles in località dove una volta non esisteva la malaria. Fatti simili a quelli di Nuttall, che trovano del resto piena conferma anche in Germania, erano a me già ben noti, come risulta per esempio dalle pag. 18 e 51 della prima edizione del presente lavoro. Le spiegazioni date da Nuttall coin- cidono colle mie eccetto una, cioè quella di un presunto spento ospitatore intermedio dei parassiti malarici all'infuori dell’uomo. Io debbo soggiungere che questa sua supposizione viene contraddetta da tutto quello che noi conosciamo sull’ argomento, mentre per sè stessa non ha alcun fondamento. In breve: l’uso del chinino, la gran- dissima diminuzione di numero degli Anopheles in seguito alle opere di bonifica e le temperature basse spiegano in modo plausibilissimo la scomparsa 0 quasi della malaria nell'Europa media senza che si siano estinte le specie degli Anopheles]. [In seguito ad altre ricerche fatte per mio conto recentissimamente (Luglio 1901) il numero delle località dove i casi di malaria sono scarsissimi e gli Aropheles piuttosto abbondanti è andato sempre più crescendo: cito per es. le case di cam- pagna della pianura di Bevagna in Umbria (200-250 mt. sul 1. m.) (Dott. Silvestri). Quivi sembra che un tempo la malaria fosse intensa e clie si riducesse molto in se- guito ad opere di bonifica. Anche la spiegazione di queste eccezioni risulta da quanto ho detto precedentemente. IL lettore, confrontando quanto ho detto a pag. 76 con quanto ho riferito- nelle aggiunte riguardanti il 1900 e il 1901 vedrà come io stesso, prima d'ogni altro, stia andato man mano trovando eccezioni alla regola generale che gli Anopheles sono la spia della malaria. Queste eccezioni, però, sono tutte facilmente espli- cabili ). SN APPENDICE. Osservazioni termometriche fatte alla stazione di Serino dal 16 agosto al 17 settembre 1899. Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi 16/8 21 19 20 16 20 24° 16,80 19,3 pito) 22 mA23 18 (Tita KS) 20 » 18,50 18,3 MC ES) 19 17 1 17,5 » 20 19,5 » 21 14 » 20 15,5 ” 3 16,4 n 22,80 18 »itai23 13,5 mu j22 12 ” 5 16,7 21 0,45 17 25 130, 11,5 » 24 11 » 1090) 82185 ” 2 16,3 ” Oglio 29 2 11 D) 9,30. 24 »” 4 15,5 ” b20002 ”» 4 11 » 11,30 27,5 ”» 6 16,3 » ALONMM55, ” 6 16 pil i55 25, ” 8 17,5 ” 9,80 20 » 8 19 ni 12:30 *27 n°110 24 n 11,80 21,3 ». 10 21 » 14 29, mi dle 23,5 » 13,30 22 nb a2 24 pio; 80027 » 14 23,5 ». 15,30 22,5 En 7.1 23,5 » 17,30 24 » 16 18,5 pel 20,5 n 6 23,5 » 1980 22 9% gM18 15,5 NANNA 17,5 n 18 20,5 a Dal 21 Pe? 0) 15 ni 21090438: » 20 14,5 » 24 20 LI 7) 15 PROLUAIZD) 12,5 MUSO 16 18 2 20 » 24 15 26 1 12,5 » 24 14,5 ” 4 20 22 2 15 ” 3 11 30 2 11,5 » 6 18 ” 4 15 E) 5 10,4 D) 4 11,5 ” 8 922 ” 6 15 » 7 16,5 » 6 15,5 » 10 24,5 ” 8 16,9 ” 9 20 È) 8 18,5 dle) 27 » 10 17 MI RINATAI 23 n LO 20,5 » 14 27 » (012 18,3 n 113 25 5% 12) 23,5 » 16 25,3 De id 19 si dI15 24 navigli 23,5 n 18 24 ” 16 19 ” 18 23,5 ” 16 25 ME:20) 20 ”» 18 17 no 020 18,5 DI #18 23,5 n» 22 19 DI M020. 15 mn i22, 18 » 20 20 n» 24 17 n 022 14,5 n 24 16 n | 22 18 19 2 17 » 24 14 27 2 14 nf 494 16 ”» 4 17 23 2 13,9 ” 3 14 sl 2 16 ” 6 16,5 » 4 13 ” 5 13,5 ” 4 16 POR 29 » 6,80 14,3 ATI dro ae 18 GALO 26 »” 8,30. 15,5 ” 9 20,5 » 8 22 MiO 25,5 » 10,45 158 n.12 23 n ELETTO 23,5 » 14 27,5 n ‘(12/89 15 » 14 24 » (12 25,5 Addo 27,5 n 14,30 17,3 » 16,30 24 » 14 26 » 18 22 n 16,45 17 TABOR 1) 28 » 16 25,5 » 20 22 n 19 17 ma 020 18 ni a il8 21 DI22 21,5 ZA 12,5 n.22 16 80) 19,5 » 24 20 due 13 ip 16 n "92 19 20 2 18,5 24 1 14 28 2 13 n 24 17 ” 4 17,3 » 3 14,5 ” 4 10,5 1/9 2 15,5 ”» 6 17,5 ” 6 11,5 ”» 6 11 ”» 4 15,5 ” 8 20,5 ” 7,90 15,5 ”» 8 16 ” 6 16.5 » 10 25,5 » 9 18 » 10 19 ” 8 19 NILO, 28,5 oper sohii 20 geo 24 3 enili0 25 n 14° 25 n 14,15 20,5 n 14° 24 » 12 26 — 85 Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi Giorno Ora Gradi LIA 26,5 5 20 16 9° 22,45 192 13 24 10,8 n 616 24 » 22 14 » 24 19 14 2 10,5 DI 18 20 » 24 11,7 10 2 19 ” 4 10,5 naTE20 19 6 2 11,7 ” 4 19 ” 6 12 » 22 15 ” 4 11,7 È) 6 19,8 ” 8 18,2 n» 24 14,5 ” 6 11 n 8 20,4 2EeNrT0) 20,2 3,30. 14,5 ” 8 12,8 TARALO 23 n 12 22,8 » 5,30. 14,5 » 10 22,6 pig 12 20,4 na 14 21,2 ”» 7,30 16 n “12 26,2 bhe Poi le 18 » 16 19,8 ” 9,30 20,5 n 14 27,2 n il6 16 MEET 17 n 11390 25,9 » 16 24,6 ». 18 16,8 » 20 15,9 n_ 13,30 26 » 18 22,4 LAI) 16 DZ 12,1 n 15,80 26,9 DIR2O 20,8 n.022 16 » 24 10,2 .n 17,30 26 » 22 18 ». 24 15,2 15 2 10,2 n 20 24 » 24 16 11 2 15,2 ” 4 10,2 »n 22 16 7 2,30 16 ” 4 15,2 ” 6 ll » 24 14,5 ”» 4 16 ” 6 16,8 » 8 14,8 3 2 14,5 ”» 6 17,4 ” 8 17,5 n 10 18,2 ”» 4 14,5 ” 8 21,5 » 10 16 nur 12 22 E) 6 14 » 10 25,5 ” 12 14 ”» 14 21,9 ”» 8 18 DIRI 27,3 » 14 14,2 ”» 16 21,5 ca (0) 23,8 » 14 29 DIN 8,2 DIMETTE 18,7 si 12 25,9 o _UI6 28,30 mi eC18 8 pih) 20 16,5 » 14 27 » 18 19 » 20 7,8 » 22 17 n. 16,30 26 ». 20 17,5 DA 22 6 ». 24 17,5 ne 18 21 mn 22 16,8 » 24 5,5 16 2 18 »n 20,30 19 n 24 15 12 2 5,5 ” 4 18 sb 22 15 8 2 15 ” 4 5,5 ” 6 18,8 n ‘24 15 ” 4 15 ” 6 9,2 ” 8 20,3 2 15 ” 6 15 » 8 9,8 » 10 20,8 ”» 4 15 ”» 8 19 NEO 10,4 Fingd2 22,2 ” 6 16 » 10 24 FIST 17,2 » 14 22,5 ” 8 18,8 NINNI 26,2 DIETA: 17,5 He 616: 20,5 nie 10 19,8 » 14 26,8 » 16 17 » 18 19,8 pi 412 28 » 16 27,2 » 18 15 n A20) 198 » 14 27 » 18 24,8 n 20 14,8 mil 422 18 ” 16 26 » 20 20,3 n} ei22: 14,2 » 24 18 » 18 25 n 82 20 » 24 14 17 2 18 ge 20) 20 n 24 15 13 2 12,8 ” 4 17 Me 022 17 9 2 15 ” 4 10,2 ” 6 14,9 n° 24 16,8 ” 4 15 ” 6 10,8 ”» 8 14,6 5 2 16,8 ” 6 16,4 » 8 11,5 n 0240 15,8 ”» 4 16,8 ” 8 20,2 nat al0 16,4 SEA 12 16,8 ” 6 16 » 10 23,8 n RST2 18,5 DOT 17 ” 8 19 n 12 26,2 » 14 18,2 ST RRIATO. 17,8 mago 22,2 n 14 26 e E 18 DATATE 17 n) pia2 24,8 » 16 24,8 » 18 16,5 »n 20 15,6 » 14 27,7 » 18 22,2 n 20 16,5 n |.:22 15 n 16 24,6 » 20,10. 20,1 MIRO MIDI ». 24 14,8 » 18 20 NB. — Questi sono i dati del Capo Stazione nel locale della Stazione; con essi concordano suf- ficientemente quelli del D,r Pescatore e del D.F Monti, raccolti in località poco distanti dalla Stazione ia CAPITOLO III Metodi di ricerche. 1. Cattura e allevamento dei mosquitos. Serve per questo scopo una provetta comune, detta anche tubo d'assaggio, di vetro: è bene che la provetta sia lunga soltanto da 10-20 cm. e che il diametro sia di 30 mm. o poco meno (20 mm. circa se il raccoglitore è un ragazzo). Se il dia- metro del tubo supera i 30 mm., il pollice non ne chiude bene l'apertura. Il vetro deve essere preferibilmente più robusto di quello usato comunemente per le provette per coltura di microbi. Le zanzare ferme si coprono con la provetta, chiudendo subito l'apertura appunto col pollice. Con un po' di pratica si arriva a pigliarne 3, 4 e pertino 10 in una provetta, quando le zanzare sono ferme sulle pareti, sui soffitti, sugli animali dome- stici, sull'uomo ecc. Ciò riesce un po' più difficile se esse poggiano sulle ragnatele (posto prediletto degli Anopheles claviger e anche degli Aropheles superpictus). Più difficilmente si arriva a pigliarne parecchie, se poggiano sopra le foglie. Se le provette contenenti le zanzare si devono tenere in tasca occorre chiu- derle con un po’ di bambagia che si deve approfondare oltre la bocca, affinchè non accada che venga facilmente strappata fuori. Dalle provette le zanzare si fanno passare in un vaso di vetro, a bocca larga e coperta di garza. Nel centro di questa garza è praticato un foro, che si chiude con un po’ di bambagia. Sarà bene collocare dentro il vaso alcuni fuscellini, possibilmente strappati da una scopa ordinaria, che non sia stata ancora adoperata; essi servono per appoggio alle zanzare. Un tempo invece dei fuscellini di scopa usavo erbe, sopratutto graminacee ancora verdi, ovvero ramoscelli di piante a foglioline molto piccole; ho osservato però che dopo parecchi giorni, d'estate, facilmente si alteravano e facevano morire le zanzare. Specialmente d' estate, ovvero se la temperatura a cui si tengono le zanzare è superiore ai 20°, occorre mettere sul fondo del vaso un batuffolo di bambagia impregnata d’acqua. Se si vogliono tener vive le zanzare, occorre metterne poche in ogni recipiente. I recipienti, che di solito ado- periamo, sono vasi di vetro a bocca larga, dell'altezza di 12 cm. e del diametro di 6 0 7 cm.; invece del tappo si mette garza o tela col foro nel mezzo. Per togliere le zanzare dai vasi di vetro, si usa una provetta piegata ad angolo retto, o quasi, verso la sua metà. Nei vasi preparati come sopra si è detto, gli Anofeli vivono bene per il tempo che corre fra un pasto e l’ altro, 2 giorni circa a 27°-30° C. Nei Culer la digestione è più lenta, e alla or detta temperatura, quasi sempre muoiono tutti, prima d'aver perdo” compiuta la digestione, forse per l’aria viziata, se non si ha cura di cambiare il vaso al secondo giorno. Per catturare le zanzare, Ficalbi ha raccomandato una bottiglia a nassa nella cui bocca larga è adattato un turacciolo forato, nel foro del turacciolo un imbutino di vetro. Qualche volta noi abbiamo adoperato una storta di vetro segata nel mezzo della parte rigonfia; le due metà si riuniscono assieme l'una all'altra con chiusura mobile fatta di latta in modo da potersi aprire e chiudere con facilità. In generale però la raccolta colle provette è più semplice e più comoda, specialmente perchè la bottiglia e la storta di vetro facilmente si rompono (°). Se non importa che le zanzare siano vive e ci basta di aver dei campioni per poter determinare a che specie appartengano (s'intende in Italia, dove le specie sono ben note), si possono prendere anche con un fazzoletto piegato che si pone rapidamente sulla zanzara ferma: si schiaccia leggermente girando un po’ il fazzoletto e così, di solito, troviamo attaccata al fazzoletto la zanzara, in discrete condizioni. Applicando opportunamente il fazzoletto a una canna possiamo raccogliere le zanzare da un luogo alto, p.es. da un soffitto. Se le zanzare sono molto numerose potremo anche adoperare un retino, e poi colla solita provetta catturarle dentro il retino stesso. Il retino, però, ne guasta molte, ed io sconsiglio di usarlo quando si voglian tener vive. Se si vogliono conservare a secco le zanzare dopo che sono morte, si potrà met- terle in scatolette di cartone sul cui fondo si posano delle squamette di naftalina e un po di bambagia. Meglio si terranno in provette di vetro, dove di regola si trovano già morte prima di 24 ore. Si possono anche preparare a secco sopra un portoggetto i pezzi principali del corpo della zanzara; si ricoprono con un coproggetti, che si suggella, ecc. ecc. Per prendere in vita libera le larve e le ninfe di Cx/ex serve bene un retino o anche, come ha proposto Ficalbi, una specie di colabrodo con fondo di tela metallica fitta; per prendere le larve e le ninfe di Arofeli, che come io ho dimostrato, vivono per lo più isolate, ci serviamo a preferenza di un tubo di vetro alto circa 8 cm. e del diametro di 3!/, o 4 cm. Si possono così raccogliere le larve e le ninfe per farle sviluppare ulteriormente. Si possono anche liberare in una camera delle zanzare colle uova mature per seguire tutto intero il ciclo evolutivo. In questi casi occorre aver nelle camere dei recipienti con acqua, degli acquari ecc. È facilissimo di allevare le larve di Culex pipiens, annulatus, spathipalpis, peni- cillaris, vexans ecc. ; ciò riesce invece un po'difficilmente per quelle degli Aropheles. In qualche caso peraltro, con un po' d'acqua dentro la quale si era messo soltanto un po di ghiaia e un pochino di terra (25), si sono allevati benissimo gli Aropheles claviger, dalle uova sino all'insetto perfetto; qualche volta ciò è riuscito anche con acqua di pioggia stata a lungo in un vaso. Ma la maggior parte delle volte l'alle- vamento in questi modi non riesce molto bene. Io ho ottenuto buoni risultati adope- (*) Recentemente în Germania furono costruite provette speciali, che raggiungono perfetta mente lo. scopo. rando acquari, sul cui fondo collocavo dei pezzi di fango indurito e poi uno strato alto di acqua al quale a preferenza aggiungevo un po' di vellutello (confervoidee); così gli Aropheles non di rado sì sviluppavano; sebbene ne morissero sempre molti. In complesso ho osservato che in un acquario preparato di recente le larve vivono meglio che in un acquario nel quale gli Anofeli siano già stati allevati altre volte. Poca lemna negli acquari sarebbe favorevole agli Anofeli; se non che facilmente diventa abbondante e quindi sfavorevole. A questo proposito occorrerebbe osservare più precisamente che cosa mangino le larve: io ho trovato nel loro intestino piccoli crostacei, piccoli insetti (persino larve di Culex e di Anopheles), protozoi, alghe unicellulari, e detriti organici. Forse rego- lando il nutrimento, l'allevamento riuscirebbe più facile. Certo è che in un acquario si arriva ad allevar meglio le larve se sono in piccol numero. Parecchie osservazioni dimostrano che l'A. difurcatus vive negli acquari, anche sprovvisti di vegetazione verde, più facilmente dell'A. claviger; gli altri Ano- pheles si comportano come quest'ultimo. L'A. elaviger, come ho già detto nel Capitolo precedente, è specie molto do- mestica: convive coll'uomo e cogli animali domestici. Si cerca perciò nelle case, nelle stalle, nei pollai ecc., tenendo presente che ama molto il caldo. D'inverno nell'Italia settentrionale si trova facilmente nelle cantine. Di primavera le larve degli A. elaviger si trovano alle rive degli stagni un po' grandi e non troppo bassi nel mezzo; d'estate invece sono comunissime anche nelle acque basse e ristrette. Devo ancora accennare in particolare alla raccolta degli Aropheles difurcatus, pseudopictus, superpictus. Gli alati di queste specie si trovano piuttosto difficilmente ; occorre prenderli al momento in cui vengono a pungerci. Trovar le larve di Aropheles bifurcatus è invece facile, perchè vivono a gran preferenza nelle acque sorgive ricche di crescione. Di primavera, le larve che si tro- vano in acque basse (rigagnoli, piccole sorgenti ecc.), sono di A. difureatus. Le larve di A. pseudopietus e superpietus si devono cercare nelle stesse località in cui si trovano gl'insetti perfetti: esse sogliono convivere colle larve di A. claviger. Cercando in capanne, o tra la paglia o nel fieno vicino a luoghi donde nascono gli A. claviger, è facile incontrarne molti neonati. Essi si riconoscono, come le api neonate, perchè hanno ancora il saio intatto. Specialmente all’ apice dell'ala ie squa- mette marginali di color giallognolo lionato cadono facilmente; perciò mentre negli in- dividui neonati, ad occhio nudo, l'apice dell'ala si mostra contornato di giallognolo lionato, ciò spesso non si vede o si vede imperfettamente negli individui vecchi. Nelle camere del laboratorio per quante cure si usassero, cercando di riprodurre l’ambiente naturale con piante, canne ecc., d'estate non arrivai mai a tenere in vita gli Anofeli oltre un mese; di solito morirono molto più presto (vedi $ 2). 2. Modo di sperimentare. Gli Anopheles presentano in confronto ai Culex, un grandissimo vantaggio: in quanto che, se sono digiuni, pungono applicandoli semplicemente alla pelle con una PRON provetta (*). Ciò si verifica per tutte le specie del genere Anopheles. Si incontrano tuttavia certi invididui che non s'adattano a nutrirsi in questo modo; talora essi si rassegnano a morir di fame, piuttosto che pungere chiusi in provetta. Raramente pun- gono prima di aver digerito tutto il sangue che hanno succhiato: qualche volta suc- chiano tanto da non potersi più allontanare dalla loro vittima; qualche altra volta, dopo che si sono rimpinzati continuano a succhiare, evacuando dall’ ano sangue pretto ; tal rara volta infine succhiano tanto che non possono più muoversi. I Culex invece non s'adattano quasi mai a pungere nelle provette, tranne quando sono stati presi sugli individui dove si erano posati per pungere. Raccolti allora rapidamente nelle provette e applicati sull'istante all'uomo o agli uccelli, di solito pungono facilmente. È notevole il fatto che gli Anopheles sviluppati in una camera del laboratorio, e perciò liberi in essa, vengono facilmente a pungere, mentre ciò si verifica molto difficilmente per le varie sorta di Culex. Quando però la temperatura è elevata (verso i 30° C.), qualche volta alcuni e qualche altra molti ci assalgono. La qual cosa, peraltro, non ho mai ottenuto nelle camere scaldate artificialmente. Questi fatti sono singolari e difficili a spiegarsi. Si deve forse ritenere con Ficalbi che i Culex di regola non pungono prima di essersi copulati e che la copula succeda difficilmente nelle nostre camere (6). Le esposte circostanze rendono difficile sperimentare coi Culewx. Le medesime difficoltà esistono presso a poco anche per i Ph/edotomus, per i Ceratopogon e per il Centrotypus. Gli esperimenti cogli Aropheles vennero fatti durante le stagioni non calde (21) nel seguente modo. Appena l’Aropheles aveva punto, si poneva nel termostato a 30° C. circa, in un piccolo vaso di vetro coperto di garza, avendo cura di aggiungere qualche filo d'erba e di far cadere sul fondo per mezzo di un cannello di vetro, in modo da non bagnare le zanzare, qualche po’ d’acqua. Successivamente ho trovato che è meglio adoprare, invece dell'erba e dell’acqua, i fili di scopa e i batuffoli impregnati d'acqua (pag. 86). La difficoltà maggiore sta nel far ripungere gli Aropheles ogni quarantotto ore. Molti se ne perdono, ma qualcuno sopravvive. Muoiono specialmente quelli che hanno le uova molto sviluppate, perciò nelle esperienze possibilmente escludo gli individui che presentano l'addome rigonfio dal quale traspaiono le uova. In una camera a temperatura variabile da 15°-20°-24°, nel novembre 1899 tenni in vita circa 12 giorni gli Aropheles senza nutrirli; i parassiti malarici continuarono a svilupparsi e maturarono ma restando molto più piccoli del solito: passarono però anche nelle glandule salivari in notevole quantità. Nei mesi estivi gli esperimenti in generale riescono più facilmente: basta lasciar liberi gli Anofeli che abbiano punto un individuo malarico, in una cameretta di tavole di legno avente almeno una parete di tela metallica. La cameretta deve essere costruita in un posto caldo, ma non deve ricevere i raggi diretti del sole: avrà circa 2 metri in ogni dimensione, dovrà essere costruita accuratamente in modo che (4) Questo modo d’esperimentare è stato da noi reso di pubblica ragione molto prima che uscisse nel Report di Ross (1900). 12 RI o: NRE non rimangano fenditure aperte. Vi si collocherà dentro un recipiente con acqua. La porta d'entrata sarà raddoppiata all'interno da una portiera di tela bianca disposta in modo da lasciare una sorta di minuscola anticamera: di guisa che, con un po’ di cura, entrando e uscendo si potrà evitare di lasciar sfuggire le zanzare. In questa cameretta per un'ora o due ogni giorno entrerà lo stesso individuo che è stato punto dagli Anofeli la prima volta, come sopra si è detto. Ma spe- cialmente per ovviare a qualunque pericolo di reinfezione dell’ammalato, dopo 8, 10 o 12 giorni gioverà nutrire gli Anofeli introducendo nella cameretta qualche coniglio. Per sperimentare invece coi Culex conviene portare l'ammalato in una località in cui abbondino e là attendere il momento opportuno in cui essi vengono a pun- gere. Mentre stanno pungendo, si coprono con una provetta e così si prendono. Se la temperatura dell'ambiente è al disotto di 25°, i vasetti in cui vengono posti devono mantenersi caldi col calore naturale del corpo, finchè non si possano trasportare nel termostato. Per esperimentare in particolare coi Culea pipiens si possono raccogliere molti di questi all'apertura di qualche cloaca sulla quale si pone un grande vaso. Questi CuZex vengono poi liberati in una camera da letto dove l’ammalato dorme e sono raccolti man mano che pungono, da persone incaricate. Quando si sperimenta con Aropheles non sviluppati in laboratorio, è utile pei prin- cipianti, far pungere contemporaneamente individui malarici e individui non malarici, 0 animali domestici. È facile però imparare a conoscere a occhio quale grandezza assumano di solito i parassiti dopo 48 ore, a temperatura dell'ambiente di estate, ovvero da 26° a 30° nel termostato d'inverno: e una volta che si conosce bene quanto è grande il paras- sita in questo stadio, ogni fonte d'errore derivabile da precedente infezione degli Anofeli viene eliminata. Qualche raro parassita può bensì restare eccezionalmente piccolo, e perciò quando se ne trova uno solo bisogna andar guardinghi nel giudicare. Sarà bene di non sperimentare cogli Aropheles presi all’ aperto se contengono ancora tracce di sangue digerito; ciò potrebbe trarci in inganno nel giudicare l'età del parassita. Quando si esperimenta sull'uomo coi Cu/ex occorre far sempre contemporanea- mente esperimenti di confronto cogli Aropheles, per assicurarsi che l'ammalato sia in buone condizioni, tenendo presente che l’ammalato buono al mattino può diven- tare inservibile già alla sera dello stesso giorno. Siccome gli Anopheles digeriscono prima dei Culex e finita la digestione, a tempera- tura elevata, già dopo poche ore muoiono, così quando si fanno esperimenti di confronto occorrerà o esaminare gli Aropheles prima dei Culex, ovvero portare gli Aropheles in un ambiente fresco dove sopravvivono facilmente per un giorno anche senza nutrirsi. Per far pungere gli uccelli dagli Azopheles di regola bisogna ricorrere alla pro- vetta che si applica sopra una regione previamente spennata (Dionisi). Ricordo a questo proposito che gli Arophe/es pungono mal volentieri gli uccelli. Per far pungere gli uccelli dai Culex, d'estate possono servire le camerette sopra descritte. In un modo simile a questo hanno sperimentato Ross e Koch. A questi metodi da me suggeriti nella prima edizione debbo aggiungerne un altro molto pratico, da me usato nel corrente anno. Bancroft insegnò ad allevare i Cu/ewc con frutto di banana. Cio mi indusse a sperimentare nell’anno corrente con varî frutti, quali ciliege, albicocche, cocomeri, 229] poponi ecc. e vidi che essi si prestano ottimamente per tener vivi gli Aropheles, come tutti gli altri Culicidi, permettendo di semplificare molto il modo di esperimentare. Gli Aropheles dopo che hanno punto l'uomo malarico vengono messi in cassette ret- tangolari fatte di telai di garza, con una parete aperta: con questa parete la cassetta poggia sopra un tavolo: se tra il tavolo e la cassetta restano fenditure si otturano con un po di bambagia: sulla parte del tavolo, su cui poggia la cassetta, si pone un recipiente con acqua e una fetta di cocomero, o di popone (cibo prediletto), una mela, un fico d'India, ecc., che si ricambiano sovente e giornalmente. Così gli Ano- pheles vivono per settimane e settimane. È importante aggiungere che, mentre i Cu/ez neonati in laboratorio e certi Culea presi in campagna (Cl. penicillaris) e portati in laboratorio, ancorchè vengano lasciati liberi in ampie stanze, non pungono e finiscono a morire tutti di inanizione, sì gli uni che gli altri una volta che siano stati sottomessi per un po’ di giorni al regime delle frutta, quasi fossero stati domati, si prestano facilmente a pungere permettendo così di semplificare i nostri sperimenti. 3. Esame delle zanzare. I parassiti malarici si cercano o nella parte dilatata dell'intestino medio (stomaco), o nelle ghiandole salivali. Rarissimamente si dà il caso fortunato di trovar degli spo- rozoiti sparsi nel lacunoma dell’ Aropheles. Per esaminare i suddetti organi, l' Anofele viene cloroformizzato o ucciso colla benzina, gli si strappano colle dita delicatamente zampe e ali, e poi si mette sopra un vetrino portoggetto. Con due aghi si isola l'intestino: l'uno infilzato tra il torace e l'addome tiene fermo l' Anopheles, l’altro poggiato sull’ estremità dell'addome tira all'indietro, sicchè l'intestino medio e posteriore vengono strappati via insieme, presso a poco, cogli anelli posteriori (Ross). Per isolare le ghiandole salivali la zanzara viene adagiata sopra un fianco: con un ago tenuto orizzontale si preme sul mezzo del torace, mentre con un altro ago poggiato sul collo (protorace) e premente contro la nuca si stacca la testa, a poco a poco e con molta leggerezza, di modo che le ghiandole salivali restino attaccate alla testa: da questa con l'ago si possono facilmente separare. Se per caso le ghiandole sali- vari non si staccano insieme colla testa, si può riparare a questo inconveniente premendo con un ago sulla paîte antero-laterale del torace e così le ghiandole salivari schiz- zano fuori dal collo. In questa operazione è utile servirsi di un microscopio semplice. Quando non si ha bisogno dei primi stadî di sviluppo, è preferibile esaminare gl intestini, vuoti di sangue; si adopera una soluzione di cloruro di sodio o forma- lina (formalina del commercio gr. 2, acqua distillata gr. 100). L'esame in formalina riesce più facile. Trattandosi di constatare semplicemente se una zanzara è infetta consiglio senza esitazione l'uso della formalina nella suddetta diluzione. Gli intestini contenenti ancora sangue, si svuotano spontaneamente se si lasciano per qualche tempo in vetri d'orologio contenenti i suddetti liquidi. 199 I preparati in formalina, se riguardano giovani stadî di sviluppo degli amfionti o amfionti maturi o se riguardano ghiandole salivali infette, si conservano abbastanza bene mettendoli in camera umida e aggiungendo da un lato un po' di picro-carminio, che dopo 24 ore si sostituisce lentamente con glicerina. Il pigmento dei parassiti in questo modo si conserva benissimo. Purtroppo però la formalina nella diluzione suddetta altera molto i parassiti malarici, producendo dei vacuoli anche molto ampî e rendendo in un istante irricono- scibili gli sporozoiti non maturi (°). È veramente doloroso il constatare quanto dannosa riesca la formalina; essa mi ha fatto perdere un tempo prezioso, e mi ha costretto a rifare molte delle figure del precedente lavoro (21), che rappresentano preparati alterati dalla formalina. Invece gli sporozoiti interamente maturi, per quanto ho veduto, non vengono quasi affatto guastati. Bisogna ancora notare che la suddetta formalina ha sulle ghiandole salivali un effetto singolarmente dannoso trasformando il secreto delle ghiandole salivali in cor- puscoli fusati o in filamenti, che a fresco possono facilmente a primo aspetto scam- biarsi con sporozoiti alterati; basta però un po’ di pratica per distinguerli. Questo inconveniente del resto si può evitare esaminando le ghiandole salivali in cloruro di sodio (0,75 °/,) ovvero nella seguente soluzione: acqua distillata gr. 100, formalina del commercio gr. 2, cloruro di sodio gr. 0,75. Anche i parassiti in via di sviluppo nell'intestino, esaminati in quest'ultima soluzione si alterano meno. Migliori risultati si ottengono usando la seguente soluzione: un albume d'uovo, cloruro di sodio gr. 1,50, acqua distillata gr. 250: sbatti e filtra. I preparati si possono conservare sot- tponendoli ai vapori d’acido osmico e poi passandoli in glicerina. Se si vuol studiare il parassita malarico dal punto di vista citologico, riesce utile di isolare l'intestino in una soluzione di sublimato, nella quale poi si lascia per circa 2 ore; mi ha reso buoni servigi sopratutto la soluzione concentrata di sublimato coll'aggiunta di cloruro di sodio al !/» °/. Il sublimato alcoolico acetico, il liquido di Flemming mi hanno dato risultati meno soddisfacenti, tranne che per lo studio particolare dei nuclei. Dopo il sublimato si usano gli alcool nel solito modo. Si ottengono buoni preparati trasportando gl'intestini dall'alcool in glicerina senza usare colorazione di sorta; il pigmento spicca benissimo. Per ulteriormente studiare il parassita malarico nella zanzara occorre sezionarlo, dopo averlo incluso in paraffina e far delle sezioni molto fine (da */, diu a 3-4 ui). Si ottengono complete serie; la difficoltà maggiore sta nel non lasciar piegare le se- zioni più sottili, giacchè pur troppo molte si piegano. La colorazione si fa sul vetrino portoggetto coll’ ematossilina ferrica di Heiden- hain o coll’ emallume. I preparati d'intestino 72 foto 0 spaccato con una forbice molto delicata, riescono bene quando l'intestino è stato conservato in formalina. Accuratamente procedendo coll’ematos- silina ferrica suddetta, si arriva a colorire il parassita, lasciando l' epitelio dell’ intestino incoloro o quasi; si ottengono bei preparati, purtroppo però alterati dalla formalina. (4) Probabilmente appunto perciò Ross, tratto in inganno, ha creduto che «n several insects many full-sized aygotes appeared not to have ripened — that is, did not contain blast ». Qualche volta però nel Culex pipiens ho verificato anche senza formaliua il fatto ammesso da Ross. So Col metodo delle sezioni si possono anche studiare i parassiti mentre sono ancora nel lume dell'intestino in mezzo al sangue, in digestione più o meno avan- zata. Si isola perciò nel sublimato l'intestino medio, avendo cura di lasciar attac- cata una porzione relativamente grande dell'intestino posteriore. Si ottengono buoni preparati anche colle sezioni dell'Anofele intiero: si cloro- formizza senza ucciderlo, gli si strappano ali e zampe e gli si versa sopra la solita soluzione di sublimato alcoolico-acetico bollente; prima che il liquido si raffreddi, il corpo dell'Anofele viene tagliato in 2 o 3 pezzi; si fanno i soliti passaggi e l’in- clusione in paraffina. Questo metodo è ottimo per determinar la posizione dei parassiti e sopra tutto per lo studio delle ghiandole salivali infettate. Quest'anno mi ha dato buoni risultati anche per studiare la fina struttura dei parassiti malarici sì nel Culex che nell’Anopheles. Gli sporozoiti (21) si studiano bene anche col metodo di Romanowsky: si estrae l'intestino nella soluzione di cloruro di sodio 0,75 °/,, e con una leggera pressione si fanno uscire dalle capsule gli sporozoiti maturi; allora si diffonde pel liquido della preparazione un’ enorme quantità di sporozoiti liberi. Si raccoglie una goccia di questo liquido su un vetrino portoggetti, si fa disseccare e sì fissa in alcool assoluto per 25 minuti, infine si lascia disseccare per 24 ore. La colorazione si fa nel modo solito adoperando le soluzioni dei colori nelle stesse proporzioni che per il sangue (soluzione acquosa di azzurro di metilene medicinale all0 °/, cm? 2, soluzione acquosa di eosina cristallizzata B all'1°/, cm? 5): dopo un tempo variabile da mezz'ora a tre ore si hanno i preparati perfettamente colorati : la cromatina nucleare di solito prende il colore rosso-carminio, o porpora, il protoplasma un colore azzurro o azzurro-roseo. Lo stesso metodo si usa per istudiare gli sporozoiti nelle ghiandole salivali, e ì parassiti, quando stanno ancora liberi in mezzo al sangue, più o meno digerito, contenuto nell'intestino. * x x Basta un po’ di pratica per riconoscere i parassiti nelle zanzare e non è possibile alcuna illusione, tranne nel caso degli sporozoiti, sui quali perciò richiamo l’attenzione. Dopo che ebbi incominciato ad isolare le ghiandole salivari, invece che nella so- luzione di formalina, nella soluzione di formalina e cloruro di sodio, la mia attenzione fu attratta in modo speciale su certi corpi particolari che si trovano a grandissima pre- ferenza nel tubolo intermedio delle ghiandole salivali, subito dietro il collo, nel lume del tubolo stesso o dentro le cellule che lo tappezzano. Qualche volta si trovano sparsi per tutta la parte dilatata del lume del tubolo intermedio, qualche volta raccolti in poche cellule di questa parte. Raramente si riscontrano in singole cellule degli altri due tuboli. Questi corpi (IV. 144 e V 18) hanno una indiscutibile somiglianza cogli sporo- zoiti; distesi possono essere di differente lunghezza, di raro più lunghi di essi, in gene- rale più corti (lunghi cioè da 5 a 10 w). Alle volte sono bastoncelliformi, alle volte fu- siformi, perfino con tale aspetto alla parte centrale da far credere alla presenza di un nucleo. Talora si presentano isolati, talora in fascetti, come gli sporozoiti; non sono mai molto abbondanti. = Slo — Ciò che sembra caratterizzare questi corpi è che sostituendo lentamente picro- carminio e glicerina alla miscela di formalina e cloruro di sodio, non si riesce quasi mai a conservarli perchè rapidamente si dissolvono. Eccezionalmente si conser- vano bene. Aggiungasi che nel lume del tubolo intermedio delle ghiandole salivali si tro- vano non di raro piccoli mucchietti di granuli, e sì riscontrano anche altre forme, che sembrano di passaggio tra i granuli e i corpi in discussione. Perciò supposi che questi corpi fossero sporozoiti, i quali andassero distruggen- dosi per essere rimasti nelle ghiandole salivali troppo a lungo, come faceva pensare l’averli trovati una volta in un Amopheles claviger ibernante raccolto alla metà di gennaio a Locate Triulzi (Lombardia), e press' a poco nel dieci per cento degli Ar0- pheles egualmente ibernanti o appena usciti dall’ ibernazione, raccolti durante ì mesi di febbraio e marzo, nei dintorni di Roma. Un esperimento riuscito negativo su me, sullo studente Noè e sopra una donna (°) mi persuase che tali corpi non fossero capaci di produrre all'uomo la malaria, e ciò è in accordo col fatto, omai ammesso da tutti, che in realtà (fatta eccezione di al- cuni casì sporadici) non si verifica quella epidemia malarica primaverile, che una volta si credeva esistesse. Successivamente è entrato nel mio animo il sospetto che i corpi in questione, invece di essere sporozoiti, rappresentino una peculiare forma del secreto delle ghian- dole salivali, forma che probabilmente si produce quando il secreto rimane a lungo dentro di esse. Mi ha confermato in quest’ultima opinione la circostanza che alla fine di aprile ho riscontrato i corpi, benchè molto scarsi, in 3 sopra 98 A. claviger raccolti a Tortreponti, che dovevano essere nati nello stesso mese di aprile, per quanto già forniti di uova mature o quasi. Si intende che nessuno di questi 98 Aropheles presen- tava parassiti malarici in via di sviluppo, o sporozoiti sicuri nelle ghiandole salivali. Più tardi mi sono persuaso in modo assoluto che i corpi in discussione non sono sporozoiti, avendoli riscontrati negli Anopheles, nati da qualche tempo in laboratorio e certamente non infetti, specialmente dopo un digiuno prolungato e avendo stabilito che non hanno movimenti proprî come gli sporozoiti. Suppongo che i pretesi sporozoiti riscontrati da Koch in Amopheles provenienti da luoghi non malarici, non siano altro che i corpi di cui ho parlato fin qui, i quali facilmente possono venir confusi cogli sporozoiti, anche da un occhio esperto. Recentemente Christophers e Stephens (10) hanno pubblicato una Nota sopra cer- tain Bodies found in the Glands of two species of Culex. Quei corpi la cui natura rimane per ora, secondo gli A., indeterminata corrispondono a quelli di cui sopra mi sono occupato: inclino a ritener tali anche quei corpi, che essi denominano spo- rozoiti di natura sconosciuta. Propongo infine per meglio intenderci di denominare psendosporozoiti quei corpi fin qui accennati che si possono confondere cogli sporozoiti, ma che con essi non hanno nulla che fare. (4) Ci facemmo pungere da un gruppo di Anopheles, il quale presentava, secondo un saggio preliminare, nella proporzione di due su tre individui i corpi in discussione. LI CAPITOLO IV. Brevi cenni sistematici, anatomici e fisiologici sugli Anofeli. Questo capitolo è stato da me redatto in collaborazione col candidato in scienze naturali Noè, il quale sta lavorando intorno ai Ditteri ematofagi. Le descrizioni degli Anopheles elaviger, bifurcatus, e pseudopictus sono som- marie; per ulteriori particolari rimandiamo il lettore all'opera fondamentale di Ficalbi. Noi crediamo che sia giunto il momento di dividere la famiglia Culze:dae in due sotto-famiglie: Anophelinae e Culicinae, lasciando per ora in disparte i generi Megarhina (*) e Aédes intorno ai quali le nostre cognizioni sono troppo imperfette. 1. Distinzione dei Culicidi in due sottofamiglie. Sottofamiglia Anophelinae. Palpi della femmina lunghi (") circa come la proboscide. Numero degli articoli dei palpi femminili eguale a quello dei palpi maschili. Una sola spermateca. Zampe molto esili e notevolmente lunghe (quasi il doppio del corpo). Addome senza squamette. Larve orizzontali, affioranti (essendo le larve prive di tubetto respi- ratorio, gli stigmi si aprono sulla superficie dorsale del corpo, perciò l’ animale respira tenendosi in tutta la sua lunghezza a fior d'acqua). Uova provviste di spe- ciale apparato idrostatico, che le tiene orizzontali. (°) Gen. Anopheles. Sottofamiglia Culicinae. Palpi della femmina molto più corti della proboscide (°). Numero degli arti- coli dei palpi femminili inferiore a quello dei palpi maschili. Tre spermateche. (4) Questo genere sembra molto affine all’ Anopheles. (2) È stato notato che nella femmina dell’ Aropheles i palpi in riposo stanno paralleli alla proboscide costituendo con essa un fascio di tre pezzi (eccetto alla punta, dove restano alquanto scostati). Ciò è in rapporto colla circostanza che i palpi concorrono come il labbro inferiore, a pro- teggere il mazzetto dei sei pezzi chitinici pungenti. Nei Culez il labbro inferiore è ingrossato nella metà distale e i palpi sono corti. Negli Aropheles questo ingrossamento manca e i palpi sono lunghi, quasi supplendo alla minore protezione fornita al mazzetto dei sei pezzi chitinici dal labbro infe- riore. I lunghi palpi servono però anche (come ha notato Noè) all’ Aropheles per aiutare qualche volta l'estrazione della proboscide dalla ferita ; in questo caso l'estremità libera dei palpi fa leva contro la cute. (Si ricordi di passaggio che nei maschi dei Culicidi i palpi in riposo stanno alla parte distale molto discosti dalla proboscide). () [Questo apparato manca nell’ Anopheies superpictus (sempre ?)] (4) Praticamente si può dire che in Italia ogni zanzara che ci punge, se ha i palpi lunghi circa come la proboscide, appartiene alle Anofeline, a meno che non sia un maschio della rara specie detta Culex elegans (questo Culer è nero, molto ornato di bianco ; risaltano particolarmente le sue zampe anellate di bianco). — 496 — Zampe robuste e relativamente corte (circa come il corpo). Addome con squamette. Larve oblique, non affioranti. (Le larve, essendo provviste di un tubetto respiratorio all'estremità del quale si aprono gli stigmi, possono respirare approfondando il corpo sotto il livello dell’acqua, tenendosi più 0 meno oblique e spesso quasi verticali). Uova provviste di speciale apparato idrostatico che le tiene verticali, e formanti la notissima barchetta. Gen. Culea. 2. Atteggiamento dei Culex e degli Anopheles. Praticamente anche ad una certa distanza sì possono distinguere in generale i Culex dagli Aropheles dal modo con cui si posano sulle pareti, sui vetri, ecc. Tanto gli uni, Fic. 1. — Culex poggiato colle tre paia di zampe ad un sostegno verticale. La di- rezione del corpo è indicata con linee interrotte, in que- sta e nelle figure seguenti. Fic. 2. — Amopheles claviger poggiato colle tre paia di zampe ad un sostegno ver- ticale. quanto gli altri hanno due modi di star posati. Un modo consiste nell'appoggiare tutte le tre paia di zampe sul sostegno. (Figg. 1 e 2 intercalate nel testo). Però per ambedue i generi la posizione prediletta è quella di appoggiarsi colle prime due paia di zampe tenendo l'altro paio scostato: gli Aropheles lo lasciano penzolare, sì che i tarsi continuano quasi la direzione delle tibie; i Cu/ez invece incur- vano i tarsi dorsalmente tanto che gli ultimi articoli sopravvanzano la parte dorsale del corpo (Figg. 3, 4 e 5 nel testo). Facendo un confronto grossolano per rendere più chiara la cosa, dirò che l’'Anopheles tiene le due zampe posteriori penzolanti, ricordando il cane quando porta la coda abbassata: il Culez, invece, tiene le due zampe posteriori curve all'insù, ricordando il cane quando porta la coda alzata. In amendue le posizioni i Cu/ez si distinguono facilmente dagli Aropheles per altre circostanze: = 97 — 1° i Culex stanno molto avvicinati al sostegno perchè hanno le zampe corte (Fig. 1 nel testo); gli Amopheles invece ne stanno allontanati perchè hanno le zampe lunghe (Fig. 2 nel testo); Fig. 3. — Amopheles claviger poggiato con due paia di zampe ad un, sostegno verticale e coll’ estremità posteriore più scostata che nella figura precedente. Alle volte essa presentasi ancora più spostata che nella presente figura. 2° specialmente nella seconda posizione, l'estremità posteriore del corpo sta molto discosta dal sostegno negli Anopheles. Per questi si può dire che l' estremità posteriore è in ogni caso la parte più allontanata dal sostegno, mentre nei Culex Fia. 4. — Culex poggiato con due paia di zampe ad Fic. 5. — Anopheles claviger poggiato con due paia un sostegno orizzontale (soffitto). (Terzo paio di zampe ad un sostegno orizzontale (soffitto). di zampe ricurvo dorsalmente). (Terzo paio di zampe penzolanti) (9). resta più o meno inclinata verso di esso, fin quasi a toccarlo (eccezionalmente il Culex si tiene parallelo al sostegno, ovvero anche si comporta quasi come l'Anopheles nella fig. 2 nel testo); 3° i Culex si presentano gibbosi; la gibbosità è in corrispondenza del torace. Precisamente, la testa e il torace fino all’ inserzione delle ali formano col resto del (4) Come rilevasi dalle figure la proboscide del Culer viene ad avere in complesso una posi- zione differente che nell’ Anopheles rispetto all'asse del corpo. 15 Mood corpo un angolo che, come si rileva osservando l’animale di fianco supera di poco l'angolo retto (fig. 6ade nel testo). Gli Aropheles sono molto meno gibbosi, anzi M Va a M Ie e k N N Fic. 6. — Corpo del Culez; Fi. 7. — Corpo dell'A. c/aviger; abe=angolo (v. testo). abe = angolo (v. testo). MN= piano su cui pog- MN= piano su cui pog- gia il corpo. Le zampe gia il corpo. Le zampe sono state tralasciate. sono state tralasciate. talvolta la gibbosità sembra mancare (vedi le figure nel testo), e precisamente la cessecenzazioni B seit sa N Fi. 8. — Anopheles pseudopietus sopra Fic. 9. — Anopheles pseudopictus pen- Fic. 10. — Anopheles pseudo- un sostegno verticale. Si confrontino dente da una volta. Si confrontino pictus. Si confrontino le le figg. 1-3. le figg. 4 e 5. figg. 6 e 7. testa ed il torace fino all'inserzione delle ali formano col resto del corpo un an- golo che, osservato di fianco, è evidentemente molto ottuso (figg. 74de, 10 e 12 nel testo) e che può approssimarsi molto a 180°. Perciò si può dire che negli Ano- CI PS pheles testa e proboscide sono diretti in avanti quasi sull'asse del corpo, mentre nel Culex sono molto chinati (figg. 6 e 7 nel testo) (°). Ho detto che il grado di gibbosità negli Aropheles è soggetto a variazioni: ora soggiungo che a queste variazioni corrispondono piccole differenze anche nel modo di poggiare: meno spiccata è la gibbosità, più l'estremità posteriore sta discosta dal sostegno, ossia maggiore è l'angolo che il corpo dell’ Anopheles fa colla super- ficie su cui poggia, angolo che può raggiungere circa 80° (°). d ! N Fic. 11. — Anopheles bifurcatus var. nigripes Fic. 12. — Anopheles bifurcatus var. nigripes. sopra un sostegno verticale. Si confrontino le figg. 6, 7 e 10. Gli Anopheles e ì Culex poggiano di frequente sulle volte. Dalle volte gli Ar0- pheles si lasciano penzolare; ciò che non fanno, se non piuttosto di rado e imperfet- tamente, i Culex. È frequentissimo trovare Aropheles penzolanti dalle ragnatele: di rado i Culex poggiano sulle ragnatele. I maschi dei Cu/icini in generale si distinguono perchè tengono i palpi curvati all'insù, ciò che non si verifica negli Anofelini. (4) Nel suo Report (1900) Ross accenna anche alle posizioni dei Culez e degli Anopheles; negli Anopheles, egli dice, l’asse del corpo è quasi perpendicolare alla parete e nei Culez, in- vece, esso è parallelo. Più esattamente si erano espressi Strachan (15 dicembre 1899) e Austen (1900). [Giles mi comunica verbalmente che vi è in India un Aropheles che assume esattamente l'atteggiamento del Culez]. [Quando fa molto freddo la superficie inferiore del torace e dell’ ad- dome restano avvicinate alle pareti, mentre le zampe stanno distese sì nell’ Aropheles che nel Culez. Così le attitudini caratteristiche dei due generi non si rilevano più (Annett e Dutton). Ciò posso confermare ancor io. Talvolta per il freddo gli Anofeli cadono al fondo del vaso senza muoversi; poi riscaldandoli lentamente escono dal letargo]. (2) Delle quattro specie di Aropheles che distinguo in Italia, due hanno la gibbosità spic- cata (A. claviger e superpictus); una terza specie quasi non ne presenta traccia (A. pseudopictus), come hanno osservato per i primi Sambon e Low, in guisa da richiamare alla memoria una freccia; la quarta talora si comporta a guisa delle due prime specie (A. difurcatus tipico) e tal’altra (A. #i- furcatus var. nigripes) tiene una gibbosità intermedia tra le prime due specie e la terza. Talvolta l'A. pseudopictus e l'A. bifurcatus var. nigripes poggiano come l'A. claviger. — 100 — 3. Uova degli Anofelini. Le uova, lunghe da circa #/, di mm. a un mm. [più piccole nell'A. superpietus] appena depositate sono di color bianco, dopo qualche ora diventano d'un colore plumbeo chiaro (“) con macchioline più scure, poscia d'un plumbeo più intenso e perfino quasi nero in modo che scompaiono le macchioline. Le uova depositate sull'acqua sembrano barchette, come si rileva facilmente osservandole di fianco (?). L'uovo è circondato a ciascun lato secondo il piano di affioramento da una membranella striata, che corre da un estremo all'altro dell’ uovo stesso (IV, 5): esiste dunque una membranella destra e una sinistra. Queste due membranelle nel tratto di mezzo della loro lunghezza (ossia, continuando il confronto colla barchetta, dove presso a poco corrisponderebbero i due remi) sono molto più sviluppate, ondulate in modo da presentare quasi delle costole e ricurve all'insù, deli- mitando così tanto a destra quanto a sinistra una cavità piena d’aria (Grassi, Noè, Nut- tall, ecc.) aprentesi superiormente con una strettissima fenditura. Queste camere d'aria nelle uova appena depositate sporgono pochissimo e sono piccole: vanno a mano a mano ingrandendo dietro graduale sviluppo del tratto delle membranelle che le limi- tano. Questi apparati hanno certamente molta importanza per il galleggiamento delle uova. Eccezionalmente le membranelle non si incurvano e le camere d'aria mancano. Ciononostante le uova galleggiano e continuano a svilupparsi almeno in laboratorio. Gli Amopheles claviger e pseudopictus depongono le uova (IV. 4) a nastrini pa- ralleli di 3, 4, 10 e perfino 20 uova nei quali esse sono avvicinate coi lati mag- giori; tutti insieme danno luogo come ad una macchia di varia forma, e talvolta appena deposte, in qualche punto della macchia le uova formano un mucchietto. Le uova di Aropheles bifurcatus invece vengono depositate più o meno spicca- tamente a stella, cioè in modo che si accostino cogli estremi (IV. 3); eccezional- mente ciò si verifica anche nell'A. claviger. Le uova di Aropheles superpictus furono da me trovate una volta sola, isolate l'uno dall’ altro. [Sono disposte sull'acqua come quelle di A. claviger]. Si può calcolare che un Aropheles depositi da 100 a 150 uova [più di 170 l'A. superpictus]. A tutta prima sì crederebbe che le uova di A. claviger e pseudopictus fossero agglutinate da una sostanza mucillaginosa, ma in realtà essa non si riscontra; ciò nonostante le uova tornano facilmente quasi alla disposizione primitiva quando ven- gono di poco separate da una leggera brezza; se però il vento soffia forte o l'acqua vien mossa bruscamente, allora le uova si isolano o si staccano a gruppetti di 2-3-5 e si sparpagliano. 4. Larve degli Anofelini. Dal secondo al terzo giorno, dopo la deposizione (il tempo varia secondo la temperatura), le uova si schiudono e ne escono le piccole larve di colore oscuro. (4) In questo stadio la superficie dell'uovo mostrasi cosparsa di punti splendenti (bollicine d'aria). () Le uova di Aropheles vennero da me per il primo fatte conoscere. Vedi del resto la nota a pag. 9. — 101 — La larva presenta caratteri poco differenti a seconda delle varie età. La sola differenza un po notevole si trova nel capo che non cresce in proporzione col proto- race per cui nella larva piccola è quasi largo come il protorace, mentre invece va diventando in proporzione sempre più ristretto a mano a mano che la larva ingrandisce. Descriviamo perciò soltanto la larva adulta. Essa è stata fatta conoscere molto bene da Meinert (63) e noi non possiamo far altro che aggiungervi i caratteri specifici sfuggiti al suddetto autore e completarne la descrizione in qualche punto (IV. 6,7 e 78). Il capo è pressochè conico ed un po’ depresso; le antenne sono provviste di due grosse setole, spiniformi, all' estremità distale e di due setole, plumiformi, una all'estremità distale, l’altra collocata prima della metà della lunghezza dell'antenna. Gli occhi sono bene sviluppati. Al terzo anteriore del capo dal lato dorsale sporgono sei setole pennate disposte sopra una linea incurvata; ciò non sì riscontra mai nei Cu/ex i quali hanno pure delle setole alla parte dorsale del capo, ma differenti e disposte diversamente. L'apparato boccale è masticatorio; si distinguono facilmente mandibole e mascelle. Alla parte anteriore inferiore del capo si notano due ciuffi di peli molto fitti, che prendono il nome di organi rotatorî, e sono molto più sviluppati che nei Cu/ex; questi, insieme con tutta la parte anteriore inferiore del capo, si muovono in un modo speciale che qui non è il caso di descrivere, producendo nell'acqua una corrente che va verso la bocca e porta dentro di questa ogni sorta di corpi minuti sospesi nell'acqua. Come ha notato benissimo Meinert, nel fare questi movimenti che si osservano per una gran parte della giornata, le larve stanno a galla, cioè affiorano l’acqua, tenendosi ordinariamente prone, ma con la parte inferiore del capo rivolta super- riormente (dorsalmente), ossia rotata in su. Questa rotazione del capo, che è di 180°, si compie colla massima agilità e, per quanto ho veduto, solamente a fior d’acqua. Qualche volta però i movimenti suddetti si verificano anche in larve, che tengano il capo nella posizione normale, ma allora durano per poco tempo. Veduto dal dorso il capo appare smussato; dai due angoli formati dalla smus- satura sorgono due setole che hanno importanza per la determinazione della specie e alle quali perciò diamo il nome di sezole angolari; dal margine anteriore del capo sporgono due altre setole molto lunghe che pure hanno valore specifico e che deno- miniamo mediali (IV. 16-18). La metà anteriore del corpo e l'estremità posteriore sono sparse di setole molto lunghe, visibili ad occhio nudo e più o meno ramificate, che rendono più stabile l'equilibrio delle larve. Il penultimo anello sì prolunga in forma di lamina quadrangolare (scudo) sul lato dorsale dell'ultimo, che è molto mobile. Rasente alla base dello scudo si aprono due stigmi (IV. 7 sf). Lateralmente rispetto agli stigmi si trovano queste appendici 1° una papilla fornita di due (?) peluzzi probabilmente sensitivi; 2° un pettine (IV. 7 pet.) con spine grosse e piccole che servono molto probabilmente alla larva per afferrarsi. L'ano è corrispondente all'ultimo segmento e circondato da quattro lunghe papille anali (Meinert) (IV. 6 pup. an.) — 102 — Raschke, credo per il primo, ha definite (nei Cu/ex) le papille anali come bran- chio-trachee, ossia trachee branchiali; ma io non credo giustificata una simile opi- nione. Osservando le larve in un vaso di vetro, si rileva spesso che le papille pog- giano sulla parete quasi servissero ad aderirvi. All'estremità posteriore del corpo notansi anche tre gruppi di setole, due ciuffi doppî dorsali, pari (IV. 6 e 7 set. an.) e uno mediano ventrale a mo' di ventaglio in direzione dorso- ventrale (ventaglio natatorio) (IV. 6 verz.). I ciuffi dorsali di setole aiutano semplicemente le larve a disporsi e a riposare tra i vegetali galleggianti. Il ventaglio natatorio quasi certamente ha lo scopo di contribuire ai movimenti delle larve e fors' anche di dirigerli (esso è molto più sviluppato che nei Culez). Togliamo dal Meinert le seguenti osservazioni: « La larva si tiene alla superficie dell'acqua dove galleggia coll’'estremità del- l'addome rivolta verso il margine dell'acqua, o verso le piante che ne coprono la superficie; la larva è del tutto distesa nell'acqua toccando il margine o le piante coll’estremità dell'addome, e tenendo gli stigmi alla superficie. La maggior parte dell’ad- dome e la parte posteriore del torace sono immerse(°); emerge soltanto un piccolo tratto del suo torace, non tanto però da non essere inumidito; la testa infine è sott'acqua. La larva resta molto tempo immobile e si sposta soltanto di tempo in tempo... Lascian- dola in riposo la si vede restare tranquilla o dolcemente scivolare rinculando. Se si fa un movimento brusco, essa s'agita molto vivamente e si precipita al fondo del- l'acqua, poco dopo rimonta obliquamente alla superficie, colla punta della coda al- l'avanti. Ma se non ha preso abbastanza slancio per elevarsi alla superficie dell'acqua, siccome il suo peso specifico è maggicre di quello dell’acqua, ricade al fondo, dove può restare per parecchio tempo immobile. .... Di tanto in tanto discende 2 o 3 pol- lici sott'acqua e la si vede fissarsi colla punta della coda alla parete del vaso. Può restare parecchi minuti in questa posizione colla testa in basso ». Noi possiamo in complesso confermare queste osservazioni dell'egregio Autore danese. Abbiamo notato che le larve sono dotate di due sorta di movimenti a seconda che stanno a galla o nuotano sott'acqua. Nel primo caso compiono un mo- vimento di fianco, rapidissimo, tanto che non si può quasi distinguere lo scattare della parte posteriore del corpo che lo produce; questo movimento è tale che invece di spingere l'animale in avanti, lo fa arretrare obliquamente. L'altra sorta di mo- vimento è più lenta e si verifica quando la larva s' innalza; anche in questo caso è l'estremità caudale che imprime il movimento, ma per il maggior sforzo che esso richiede, riesce più lento; la larva sferza l'acqua coll'estremità caudale alternativa- mente a destra e a sinistra; il movimento sì può definire a modo di frusta, e di fianco. Noi non abbiamo notato che la larva scivoli dolcemente alla superficie, come asserisce Meinert; e neppure l'osservazione che l'insufficienza dello slancio preso per elevarsi alla superficie dell'acqua faccia ricadere le larve al fondo, rendendole anche per parecchio tempo immobili, ci pare molto esatta. Noi invece abbiamo notato (4) [Non tanto però quanto apparisce dalle figure pubblicate da Howard (45) e da Christy (Mosquitos and Malaria London. 1900) ecc.). — 103 — che la larva nel salire può successivamente prendere diversi slanci, e che quando la larva voglia abbassarsi, o toccare il fondo, vi si lascia cadere. Riassumendo: la posizione e i movimenti della larva di Aropheles sono singo- lari; essa ruota il capo a destra o a sinistra di 180°; di solito si vede alla super- ficie dell’acqua, prona, colla parte ventrale del capo rivolta all'insù; movendosi a fior d'acqua, rincula obliquamente; per portarsi in giù, si lascia cadere; per portarsi in su, fa dei movimenti a frusta e di fianco; quando si innalza, o sosta in seno all'acqua, tiene la parte posteriore del corpo diretta in alto; quando si ferma sul fondo, sta supina. } Questi particolari vengono qui rilevati perchè possono servire di guida a chi vuol raccogliere le larve di Aropheles; le quali, specialmente quando sono piccole, si pos- sono a tutta prima confondere con quelle di altri ditteri appartenenti a tutt’ altra fa- miglia, e precisamente al genere Dix (63). La distinzione è, al contrario, facile, qualora sì osservino i movimenti; le larve di 2774 si muovono anch'esse a frusta, ma essendo relativamente non soltanto molto più lunghe ma anche più esili delle larve di Aro- pheles, il moto loro è molto lento e visibilissimo; vi prende parte anche la porzione anteriore del corpo. Aggiungasi che le larve di Diza presentano dimensioni pressochè uniformi in tutta la loro lunghezza, e che mancano di quelle setole lunghe sparse per il corpo, cui abbiamo accennato per le larve di Aropheles. E un' ultima caratte- ristica delle larve del genere Diza è di non fermarsi libere sulle acque come invece fanno talora quelle degli Amopheles; esse stanno costantemente vicine ai vegetali, alle rive, od alle pareti dei vasi, assumendo una curiosissima disposizione ad ansa colla concavità rivolta verso la superficie dell'acqua; spesso anzi abbandonano l’ acqua ritirandosi sui margini dove si trovano appunto nella disposizione ad ansa a loro prediletta. Il colore delle larve di Anophe/es non è costantemente verde erba, come asse- risce Meinert, ma varia moltissimo anche nella stessa specie e nello stesso luogo; i colori più comuni sono il verde chiaro, il verde cupo, il caffè, il rossiccio cupo; spesso si osservano lungo il dorso degli ornamenti triangolari bianco-argentei o bianco- grigio (non si osservano forse mai nell'A. difurcatus). Rare volte le larve sono comple tamente o parzialmente incolore; esse allora provengono qualche volta da acque leg- germente salmastre. La lunghezza delle larve è al massimo di circa 8 mm. 5. Ninfe degli Anofelini. Le larve dopo circa 20, o 22 giorni d'estate (lo spazio di tempo varia con la temperatura), entrano in muta e ne escono in abito di ninfa, alquanto più piccole delle rispettive larve. Le ninfe di Aropheles si distinguono facilmente da quelle dei Cu/ez perchè, vedute di lato, presentano il margine dorsale dell'addome formante una curva sem- plice (IV. 8), mentre nelle ninfe di Cw/ez questa curva presenta tante sporgenze spiccate, indicanti i confini dei singoli anelli (Noè). Talvolta le ninfe di Anopheles — 104 — sì riconoscono perchè hanno conservato le ornamentazioni triangolari che avevano allo stato di larva (°). La ninfa, che è stata paragonata ad una virgola, presenta una parte anteriore molto grossa e compressa, l’altra posteriore sottile, depressa, che ha l'aspetto di una coda ed è in realtà l'addome; dalla parte anteriore sporgono dorsalmente le trom- bette che si riempiono d'aria ed hanno funzione idrostatica; al confine poi tra il torace e l'addome si riscontra una setola molto ramificata che affiora l'acqua e pro- babilmente rende più stabile l'equilibrio della ninfa (IV. 8). Le ninfe di Aropheles come quelle di Cu/ex, non si nutrono, ma si muovono; i loro movimenti sono prodotti dalla coda (addome) che per meglio rispondere allo scopo termina con due larghe lamine chitinose. Le ninfe si muovono non già retrocedendo come le larve, ma progredendo con ripetuti colpi di coda; a ogni colpo di coda la parte anteriore ingrossata viene spinta in basso, e la ninfa si capovolgerebbe se non ricurvasse tosto la coda sotto la parte anteriore; perciò il movimento è difficilmente orizzontale. Di solito la ninfa sta acco- stata alla superficie dell'acqua e s'approfonda al sopraggiungere di qualche pericolo, o ad ogni movimento impresso all'acqua. Nell’approfondarsi le trombette trascinano ciascuna una bolla d'aria; perciò, e anche perchè presenta già (Noè), quei sacchi (succhiatoi pieni di gas), di cui parlo più avanti (pag. 108 e 109), la ninfa non può fermarsi libera in seno all'acqua, ma se vuol rimanere approfondata deve fissarsi ai vegetali o a qualunque altro punto d'appoggio. A questo proposito servono le lamine caudali, ed anche più efficacemente, un filamento che sporge dall'estremo posteriore di ciascuna lamella. Quando la ninfa desidera tornare a galla si stacca dagli oggetti a cui aderisce, ciò che basta per farla risalire; qualche volta però affretta il movi- mento ascendente con qualche colpo di coda. 6. Anofelini allo stato di insetti perfetti. Dopo circa 3 giorni la ninfa si ferma alla superficie dell’acqua, e rialza lenta- mente la coda, diventando così distesa; dopo breve tempo il carapace della metà anteriore del corpo si fende longitudinalmente dalla parte del dorso ed esce 1’ insetto alato, con replicati colpetti. L' insetto sta adagiato sull’ acqua, ciò che può fare in virtù di una speciale disposizione dell'apparecchio ungueale. In pochi minuti è capace di battere con forza le ali e spiccare il volo. In complesso dalla deposizione dell’ uovo allo sviluppo dell'insetto alato richieg- gonsi da 25 a 27 giorni a temperatura da 25 a 28°. A temperatura più bassa la durata dello sviluppo può essere molto più lunga e minore, invece, a temperatura più alta. (4) Non posso associarmi all'opinione di Ross che le ninfe di Aropheles siano più piccole di quelle dei più ordinari Culer. La sua osservazione vale fino ad un certo punto soltanto per l'A. superpictus. Non possiamo neppure ammettere la differenza tra le ninfe di Culex e di Anopheles basata sulla loro disposizione rispetto alla superficie dell’acqua, quale viene indicata da Howard, — 105 — A). Caratteri esterni. L'insetto alato presenta il capo fornito di occhi composti grossissimi, di un paio d'antenne, di un paio di palpi e di una proboscide. Le antenne sono costituite da quattordici articoli nella femmina, da quindici articoli nel maschio; il primo (toru/0) è grosso ed incavato distintamente; gli altri sono forniti di setole disposte in verticilli. Queste, nelle femmine, sono brevi. Nei maschi oltrechè più abbondanti, sono molto più lunghe; vanno però diminuendo di lunghezza dalla base alla sommità dell'antenna; esse rendono l'antenna del maschio piumosa, come già rilevasi ad occhio nudo. Gli ultimi due articoli delle antenne maschili sono molto più lunghi e un po' più sottili. (Questi caratteri gli Amopheles hanno comuni coi Culez). I palpi tanto maschili quanto femminili sono costituiti di cinque articoli (Fi- calbi); il 1° articolo è brevissimo, il 2° è lungo, il 3° è ancor più lungo del 2°, il 4° è molto più breve del 3°, il 5° è subeguale al 4°, ovvero più piccolo, gli ultimi due articoli presi insieme danno una somma pressochè uguale a tutto il 8° articolo. I palpi maschili hauno gli ultimi articoli rigonfiati, tantochè i palpi appaiono evidentemente clavati nel terzo terminale; inoltre posseggono un ciuffo di setole alla parte distale; esso ne lascia libero l'apice. Riassumendo, i maschi sono distinguibili ad occhio nudo, o tutt'al più con una semplice lente d'ingrandimento: essi hanno le antenne piumose e i palpi clavati e pressochè penicillari, cioè quasi a pennello (IV. 23 e 27). La proboscide, detta più esattamente ar//7a (parliamo della femmina) è presso a poco come negli altri Culicidi (IV, 11 e 12). Il labbro inferiore, detto anche /400um, o guaina, termina colla o/;va fatta dalla linguetta (mediana, impari) e da due semiolive (laterali, pari) e dorsalmente presenta un solco che racchiude il mazzo dei sei stiletti lungo circa quanto la guaina. I sei stiletti penetrano nella cute dell’ animale, che viene punto, mentre il labbro inferiore, non partecipa alla puntura. Dei sei stiletti, due impari, il /abrum, detto anche labbro superiore e l’ipofa- ringe (Qypopharyna) formano il sifone, che è doppio, cioè risulta di due canali, e precisamente di un canale ampio, costituito dalla sovrapposizione del /a0rum all’ hypo- pharynxe e di un canale molto ristretto, scavato lungo l'hypophargnx stessa nel suo spessore. Il canale ampio serve verosimilmente al principio della puntura per l'emis- sione dei gas rinchiusi nei tre succhiatoj (succh.) annessi all'intestino anteriore (v. più avanti), poscia serve per il passaggio del sangue; il canale stretto serre per l'immissione della saliva nella ferita. Il labbro superiore e l’ipofaringe penetrano pungendo: gli altri quattro stiletti (mandibole e mascelle) tagliano quasi con un movimento a sega, essendo anche for- niti all'estremità libera di dentelli, i quali sono però più sviluppati nelle mascelle, (IV, 11, mand. e mas.), mentre i palpi durante la puntura stanno rilevati. Il labbro inferiore che pure non partecipa, come si disse, alla puntura, si piega dapprima verso 14 — 106 — la base ad angolo ottuso, angolo il quale, a mano a mano che penetrano gli stiletti nella cute, si sposta verso la metà diventando estremamente acuto, sicchè alla fine Fig. 13 a. — Anofele che incomincia a pungere perpendico- FiG. 13%. — Anofele che ha approfondato gli stiletti perpen- larmente. dicolarmente. Fic. 144. — Anofele che comincia a pungere obliquamente. Fic. 14%. — Anofele che ha approfondato gli stiletti obli- quamente. Fic. 13 a, 132. 14a, 140. — Qb.=labiumy; st.= stiletti. fil. mand. fil FiG. 15. — Sezione trasversa dell'apparato boccale: lr. = /a0rum ; pl.= palpi; mand.= mandibole; masc.= mascelle ; ip.= ipofaringe; Ib.=labium; fil.= filarie (parassiti). il labbro inferiore appare piegato sopra sè stesso, formando una sorta d'ansa stretta e può così venire a limitare, per la conformazione a doccia delle parti che comba- ciano, un nuovo canale. — 107 — Le due semiolive e la linguetta, appoggiate alla cute dell'animale, che viene punto, abbracciano i sei pezzi suddetti penetrati dentro di essa. La nuca è coperta di setoline fitte ed è circondata posteriormente e lateralmente da una corona di squamette a spatola. Al punto di congiungimento del capo col to- race, questo è ristretto (collo): e dal lato dorsale del torace si distingue uno scu- detto (processo dorsale del mesotorace). Ii torace è dorsalmente ricoperto da fitte setole alla cui presenza sono dovute le colorazioni e le ornamentazioni speciali di esso; il margine posteriore è circondato da setole lunghe e sottili; mancano quasi sempre le squame o sono poche e piliformi. Le ali sono percorse da dieci nervature longitudinali (Ficalbi) (oltre due altre appena accennate): un'altra nervatura (nervatura marginale) segna il margine ante- riore dell'ala. Esistono anche alcune nervature brevissime trasversali. È bene ricordare che le nervature 3* e 4 derivano dalla biforcazione di una nervatura primaria, e del pari la 6* e la 7®. Queste biforcazioni costituiscono le co- sidette piccole forche, o forchette: in ogni forchetta si distinguono due ramuli e un manico, detto scapo (per scapo precisamente si intende il tratto della nervatura prima di biforcarsi, cioè il tratto che va dalla nervatura trasversa più prossima all’inizio della biforcazione). Ugualmente le nervature 8* e 9* derivano da biforcazione e co- stituiscono la forca o grande forca. Le nervature sono coperte da squamette, le quali accumulandosi in determinati punti formano le macchie. Le squamette sono bruniccie o giallognole. Una triplice serie di squamette che circonda il margine interno (o posteriore) e l'apice dell'ala forma la così detta frangia. Le clave o bilancieri (Ra//eres), non presentano nulla di notevole. Nelle zampe l’anca, il trocantere, il femore, la tibia e i cinque articoli tarsali sono facilmente di- stinguibili. Interessante è l'apparato ungueale, del quale si è tanto proficuamente occupato Ficalbi. Esso negli Amopheles è così costituito: Nel maschio gli arti del primo paio terminano con una sola unghia tridentata; quelli del secondo e del terzo paio possiedono due unghie uguali e sdentate; nella femmina tutti gli arti posseggono un paio d’' unghie uguali e sdentate. L'addome degli Aropheles, come negli altri Culicidi, mostra otto anelli evidenti. Esso è sprovvisto di squame; è però assai ricco di peli, specialmente quello dei maschi. All'ultimo anello addominale fa seguito l'armatura o apparecchio sessuale esteriore. Esso consta: 1° di due grossi lodi, sporgenti al di là dell'ultimo segmento, gran- demente irsuti di setole, i quali fanno apparire forcuto il termine dell'addome; 2° di altre parti più piccole disposte in vario modo. Quest’ armatura sessuale è peculiarmente sviluppata nel maschio (Ficalbi ne ha fatto conoscere esattamente l’ importanza sistematica). B). Cenni anatomici e fisiologici. L'anatomia interna degli Amopheles non presenta molto interesse ad eccezione del tubo digerente, che è in rapporto collo sviluppo dei parassiti. Meritano tuttavia — 108 — speciale considerazione anche gli organi di senso di questi animali, da cui importa molto di guardarci. {Christophers nei Aeports to the Malaria Commitee: Fourther Series. Marz 30. 1901 (Royal Society) rifà l'anatomia degli Anopheles senza tener conto della bibliografia ]. Non ho nulla da notare in particolare sul sistema nervoso; dirò soltanto che il cervello è molto sviluppato. Quanto agli organi di senso, gli occhi composti sono molto ampî, e si avvicinano molto alla linea mediana dorsale, mentre dal lato ven- trale sono quasi a contatto l’ uno con l’altro; giudicando per analogia, si deve am- mettere con verosimiglianza che essi non possano funzionare ad una distanza maggiore di circa 70 cm., che anche gli Anopheles non distinguano la forma dei corpi, ma avvertano soltanto i movimenti dei corpi e le differenze d' intensità della luce. Che riconoscano i colori, è da dimostrarsi. La sede dell'organo dell’ olfatto deve essere l’ antenna. Negli Anopheles l'organo dell'olfatto dev'essere di gran lunga più fino di quello dell'uomo, sia per la distanza a cui può funzionare, sia per la delicatezza della funzione; e ciò induciamo dai fatti che gli Aropheles avvertono la preda anche se lontana di non pochi metri, pungono a preferenza certe persone ece., sanno distinguere ad una certa distanza l’acqua semplice dall'acqua zuccherata senza averla assaggiata, come dimostrano andando a succhiar questa e di quella non curandosi ecc. La circostanza che preferiscono l'acqua zuccherata all'acqua semplice dimostra come probabilmente gli Aropheles abbiano il senso del gusto. Dove si trovino gli organi di questo senso, lo ignoro. Nella proboscide trovansi altri organi di senso che si giudicano tattili. Organi di senso di significato discusso debbonsi trovare in corrispondenza agli halteres. Parecchi autori sono dell’ avviso che le setole delle antenne abbiano funzione uditiva. Nel torulo (che probabilmente deve considerarsi come 2° articolo) trovasi l'organo di Johnston, il quale a parere di Child (che lo ha studiato nei Cu/e4), ha fun- zione tattile e uditiva: esso è più sviluppato nel maschio, nel quale insieme col resto dell'antenna dovrebbe servire anche a percepire il suono prodotto dalla femmina. In varie parti d' Italia, esiste la ferma convinzione che le zanzare abbiano un udito finissimo, sicchè pungano specialmente quando si parla. Concludendo, sugli organi di senso dell’Aropheles le nostre conoscenze sono piuttosto incomplete; possiamo tuttavia ritenere con probabilità che esso goda degli stessi nostri cinque sensi, ma che quello olfattorio sia predominante. Nel tubo digerente (IV. 9 e 10) distinguiamo un intestino anteriore, uno medio e uno posteriore. L' intestino anteriore è diviso in faringe (/ar.) ed esofago (es.); dall’esofago si diparte un sacco (succhiatoio, o stomaco succhiatore o ingluvie) (sue. prine.), principale, ventrale e due sacchi simili (sue. acc.) laterali (succhiatoi acces- sorî); quello ventrale è molto sviluppato; pochissimo quelli laterali. L' intestino medio, detto anche stomaco chilifero o ventricolo, comincia con un piccolo tratto fornito di numerosi cechi (cech.); si presenta diviso nettamente in due parti: una anteriore ristretta (collo dello stomaco) (col. st.), una posteriore allargata (stomaco propriamente detto o parte dilatata dello stomaco) (p. dé/. st.). Una valvola evidente riscontrasi al confine dell’intestino anteriore con quello medio. — 109 — Nell' intestino posteriore possiamo distinguere un ileo (z/.), un colon (col.) e un retto (re/.); quest’ ultimo anteriormente dilatato ad ampolla e quivi fornito di sei ghiandole rettali. La posizione delle parti principali risulta dalla figura schematica. Noto in particolare il confine dell'intestino anteriore coll’intestino medio circa a livello del primo paio di zampe; il confine dell'intestino medio coll’ intestino posteriore circa nell’intersegmento tra il quinto e il sesto anello addominale. La parte dilatata dello stomaco comincia circa alla fine del secondo anello addominale. L' intestino decorre in gran parte quasi diritto; sono notevoli però una curva dorsale in corrispondenza al collo dello stomaco e un'ansa ad esse (Basili), più o meno spiccata in corrispondenza al colon (IV. 9). Il succhiatojo principale arriva ad occupare la parte anteriore dell'addome. Non è qui il luogo di precisare la minuta struttura del tubo digerente; mi limi- terò a dire che la parete dell'intestino medio è dappertutto eguale. Essa consta an- dando dall’ interno all'esterno: dell'epitelio intestinale sprovvisto di cripte e di una tunica elastico-muscolare (vedi Capitolo VII). La parete dei succhiatoi è molto sottile e consta di un epitelio molto piatto ri- vestito all’ interno di cuticola chitinosa tenuissima. Esternamente rispetto all’epitelio si trovano fibre musculari. Il brevissimo ileo è caratterizzato da un epitelio basso, rivestito di cuticola, ispessitasi, per quanto ho veduto, secondo linee ondulate trasversali in guisa da for- mare tante creste minime longitudinali e parallele (°). L'epitelio del colon si presenta in genere un po' più alto e più granuloso; e mancano le creste della cuticola. Queste si riscontrano anche nella porzione dilatata del retto, dove però sono rare (Basili). Nei succhiatoi si trova aria commista a pochissimo liquido incoloro; quando l' Ar0- pheles ha appena succhiato, vi si riscontra sangue. Quando l'animale si è nutrito da poco, si vede che il siero del sangue occupa un tratto anteriore della parte dilatata dello stomaco, mentre i corpuscoli sanguigni ne occupano il resto, ossia circa i tre quarti posteriori. Sono annessi all’intestino le ghiandole salivari e cinque tubi malpighiani. Le ghiandole salivari (*) sono relativamente molto sviluppate. Seguiamole comin- ciando dallo sbocco. La saliva esce dall'estremo distale della ipofaringe, passando per il canaletto che la percorre. Alla base di essa notasi un ispessimento chitinoso a forma di coppa che segna la continuazione del canaletto stesso dell’ ipofaringe dentro (4) Quando l’ileo è dilatato si vede che queste creste, molto avvicinate l'una all'altra, rap- presentano ispessimenti della cuticola a livello delle linee che segnano i confini anteriore e poste- riore delle cellule. Le creste non sono peraltro limitate a queste linee, ma invadono anche per un certo tratto le cellule contigue. (°) Macloskie le ha fatte brevemente conoscere nel Culex. Egli interpreta il tubo intermedio come ghiandola velenosa (perchè?). Egli descrive un serbatoio alla base dell’ ipofaringe che, almeno nell’Azopheles, manca. — Dopo stampata la prima edizione di questo lavoro, distinsi talvolta nelle dilacerazioni dell'Aropheles due tuboli molto più sottili di quelli delle ghiandole salivari, alquanto allargati posteriormente dove terminano a fondo cieco. Essi sembrano a tutta prima serbatoi della saliva: invece non hanno alcun rapporto coll’ apparato delle ghiandole salivari. — 110 — il capo ossia ii principio di un dotto escretore impari: a livello del collo esso si è già diviso in due brevissimi canali (dotti escretori secondari, pari), ad ognuno dei quali corrispondono tre tuboli ghiandolari (IV. 14). Questi tre tuboli, più o meno serpentini, avvicinati l'uno all'altro, per la rispet- tiva loro posizione possono denominarsi uno dorsale, uno ventrale e il terzo inter- medio, hanno origine circa alla parte posteriore del collo, e arrivano fino al livello, circa, dell'inserzione del primo paio di zampe. Quello dorsale e quello ventrale sono lunghi circa un mm. Quello intermedio (£. 77.) è molto meno lungo e in generale appare alquanto più largo, tranne al punto da cui si diparte, dove presenta un assottigliamento che denomino collo: questo collo è di lunghezza non del tutto costante. Qualche volta i tuboli presentano alcuni brevissimi rami; talvolta uno, o più tuboli mandano un ramo piuttosto lungo. I dotti escretori, sia quelli pari che quello impari, sono tappezzati di cuticola chi- tinosa a filo spirale, come nelle trachee: esternamente alla cuticola notasi la solita matrice. I tuboli hanno differente struttura nelle varie loro parti. Non è qui il caso di farne una minuta descrizione; mi limito ad accennare ai punti principali. I tuboli constano di uno strato di cellule ghiandolari e di una membrana ba- sale sottile, apparentemente almeno, amorfa. Le cellule sono nettamente distinte in due parti: l'una basale o prossimale che si voglia dire, molto bassa; l'altra distale, più o meno alta. La parte prossimale risulta di protoplasma piuttosto denso e contiene il nucleo ; la parte distale invece è costituita essenzialmente di secreto, circondato da uno straterello di protoplasma ispessito che forma come una membrana paragonabile alla così detta teca delle cellule caliciformi dei vertebrati, quella d'una cellula però, almeno per quanto parmi, non distinta da quella delle cellule contigue. Mentre per il secreto nella parte distale (a fresco) i singoli territori cellulari sono perciò, fino ad un certo punto distinguibili, nella parte prossimale le cellule, per quanto io ho veduto, costituiscono un sincizio. Tuttavia negli Anopheles recentemente usciti dal- l'abito di ninfa anche in questa parte prossimale i territori cellulari sono ben distinti l'uno dall'altro. Il secreto non è affatto eguale nei differenti tuboli e varia anzi nelle differenti parti di uno stesso tubolo. Il tubolo intermedio, nella sua parte allargata è rivestito da cellule piuttosto basse, delimitanti perciò un ampio lume. Il secreto è piuttosto rifrangente e d'aspetto ialino, assume facilmente l’eosina; esso riempie anche il lume; raramente si scorge una separazione tra il secreto ancora contenuto nelle cellule e quello già versatosi nel lume del tubolo. Al confine col collo le cellule ghiandolari diventano man mano più alte, restrin- gendo così il lume, il quale diventa perciò ad imbuto: esso si provvede di un rive- stimento cuticolare sottile. Il collo presenta un lume ristretto e tappezzato di cuticola piuttosto spessa: esternamente rispetto alla cuticola notasi, come nella parte allargata del tubolo, uno strato di cellule, aventi però caratteri speciali. Sono cellule alte, col nucleo circa a metà della loro altezza; tra il nucleo e la cuticola il protoplasma presentasi diffe- renziato come in tanti bastoncelli; tra il nucleo e la superficie esterna del tubulo — ll — presentasi invece ialino. Protoplasma granelloso in sottile strato riveste la cellula in tutta la sua altezza; e a fresco par di osservare traccia più o meno evidente di separazione del protoplasma granelloso di una cellula da quello dell'altra. Le cellule del collo non assumono con predilezione l’eosina sopradetta per il resto del tubulo intermedio; la qual cosa spicca perchè anche in corrispondenza del collo il secreto contenuto nel lume si colora come nel resto del tubolo, sicchè restano soltanto la cellule del collo scolorite. I tuboli dorsale e ventrale sono simili tra loro. Ognuno circa nella metà distale presenta secreto abbastanza rifrangente, e in quella prossimale, secreto meno ri- frangente. Questa differenza spicca molto già a fresco; però sui tagli, molto spesso la metà distale dei tuboli si colora diffusamente coll’ emallume, mentre questa colorazione manca quasi totalmente nella metà prossimale. Facilmente sulle sezioni di pezzi conservati direttamente in alcool assoluto, ovvero nella preparazione a fresco, quando l'osservazione si ritarda, il secreto delle metà distali dei tuboli appare granelloso, o in forma di filamenti talvolta delicatissimi, tal altra grossolani: ma si tratta di pro- dotti artificiali (alterazioni). (Vedi Cap. III). Nei tubuli dorsale e ventrale il secreto non presenta alcuna predilezione per l'eosina; così sui tagli si differenzia facilmente da quello del tubulo intermedio. S' intende che il secreto riempie anche il lume dei tuboli dorsale e ventrale. In questi, nella metà del tubolo a secreto abbastanza rifrangente, il lume è piut- tosto ampio e rivestito di cuticola sottile, eccetto in un piccolissimo tratto confinante, colla metà del tubolo a secreto meno rifrangente. Tanto nel piccolissimo tratto or detto, come in questa seconda metà a secreto meno rifrangente, il rivestimento cuticolare è piuttosto spesso (°). To ritengo che ad ogni puntura venga eliminata appena una piccola quantità di secreto: ciò perchè le glandole salivari dopo la puntura non mi apparvero affatto vuote di secreto; che anzi sui tagli non sono riuscito a distinguerle con sicurezza da quelle degli Aropheles affamati o ibernanti. A fresco però, talvolta per esempio il tubolo intermedio dopo la puntura sembra più ristretto del solito. Un tempo mi venne il dubbio che la parte meno rifrangente dei tuboli dorsale e ventrale e il collo del tubolo intermedio, rappresentassero parti della ghiandola desti- nate a sostituire mano mano le restanti parti dei tuboli che andrebbero distrutte per effetto della secrezione; così i tuboli sarebbero in continuo incremento alla parte prossimale e in continua distruzione alla parte distale. Questo dubbio viene escluso dallo studio delle ghiandole salivari degli Aropheles neonati. Ritornando su quanto ho già detto rispetto alla puntura, si può osservare che i Culicidi, una volta introdotti gli stiletti nella cute, dopo l’ emissione dei gas con- tenuti nei succhiatoj, aspirano il sangue per mezzo dei muscoli dilatatori della fa- (4) Il rivestimento cuticulare dei tuboli dorsale e ventrale (dov'è piuttosto spesso) e del collo del tubolo intermedio presenta un disegno indicante i singoli territori cellulari dai quali proviene. Pro- babilmente dapertutto il rivestimento cuticolare è cosparso di fitti pori, che una volta a fresco ho potuto distinguere con sicurezza. — 112 — ringe: la stessa aspirazione è sufficiente per far fluire la saliva verso la ferita. Il sangue dai succhiatoj passa nell'intestino medio: per questo passaggio occorre che si mantenga liquido, ciò che probabilmente avviene per mezzo della saliva. Altre sostanze, per es. l'emoglobina in una soluzione acquosa di zuccaro, condensandosi nei succhiatoi, non possono più passare nell'intestino medio. * HS Nulla di particolarmente notevole nel vaso dorsale e nell'apparato respiratorio; richiamo l’attenzione sulle così dette cellule pericardiche. Il corpo adiposo è sviluppato, come al solito. Gli organi riproduttori maschili non presentano nulla di particolarmente notevole. In quelli femminili menziono la ghiandola che segrega una sostanza mucilaginosa (questa viene eliminata insieme colle uova); la membrana dell’ uovo (chorion) invece viene for- mata nell’ovario. Esiste anche una spermateca sferica la quale facilmente si riconosce per il color bruno della cuticula che la riveste ed è fornita d'un lungo condotto. C). Notizie sistematiche sugli Anofelini e più specialmente su quelli italiani. a) Classificazione. Crediamo ora necessario dare dei brevi cenni sistematici, che permettano a chiunque di giungere facilmente alle specie italiane del genere Aropheles. Ficalbi nell’ ultimo suo lavoro sui Culicidi dà una nuova tabella sistematica degli Aropheles; egli fonda la divisione primaria sulla forma dei femori, e le divisioni secondarie sui caratteri offerti dai palpi; la sua classificazione è scientificamente inappuntabile ; tuttavia le distinzioni, essendo sottili, potrebbero riuscire poco pratiche per chi non è avvezzo a simili ricerche. Per questo motivo diamo qui una tavola sistematica che a nostro avviso riesce molto più facile. I. ALI MACCHIATE. A) A. claviger. Ala bruniccia con quattro macchioline nere due per il lungo e due per il trasverso (formanti una lettera T, ovvero L, ovvero Y a seconda della posizione in cui si osservano). Frangia all'apice dell'ala, caduca, tenuemente ma evidentemente paglierina (IV. 21 e 34: V. 1). B) A. pseudopietus. Ali con abbondante colorazione nera e gialliccia: quella nera molto prevalente. Sul margine anteriore nero dell'ala tre evidenti macchioline giallo-paglia, di cui due spiccano maggiormente e lo interrompono (IV. 24 e V. 3). C) A. superpictus. Ali in prevalenza gialliccie. Margine anteriore dell'ala su cui spiccano quattro tratti (lineette) neri con intervalli di color giallo paglia (IV. 26 e V. 4). ld = II. ALI NON MACCHIATE. D) A. bdifurcatus (IV. 20 e V. 2). (Più oscuro è in complesso il colore dell'A. bi/urcatus, varietà nigripes). Ordinariamente si distinguono le quattro specie nel seguente modo: Nell'A. claviger le quattro macchie nere su ciascuna ala descrivono una lettera T, ovvero L, ovvero Y a seconda della posizione in cui si osservano. Nell’A. superpictus le quattro macchie nere sono lineari e corrispondono al margine anteriore dell'ala. L'A. pseudopietus ha una certa somiglianza coll'A. superpictus: non si distin- guono bene quattro macchie lineari nere, e l'ala è in complesso molto più oscura. Nell'A. bifurcatus le ali non hanno macchie, si dicono perciò immaculate. è) Descrizione delle specie. Daremo un brevissimo cenno delle specie, soffermandoci però sull’A. superpictus, che non è stato ancora sufficientemente descritto. A. Claviger, Fabr. (1805) (IV. 34 e 21-V. 1). Sin. A. maculipennis, Meig. (1818). Palpi in ambedue i sessi neri. Il dorso del torace presentasi grigio plumbeo con peli giallo ottone, come bipartito per il lungo da una striscia bruno-oscura mediana, e a ciascun lato fornito di una striscia parallela a quella mediana, di color bruno cioccolatte. Ali brunicce con nervature ricche di squamette; queste danno luogo a quattro macchioline nere così distribuite: una prossimale, (ossia all'origine) della nervatura che si continua nel primo scapo; una seconda, talvolta visibilmente biloba, alla venule trasverse, che riuniscono gli scapi delle due forchette e la nerva- tura interposta: una terza e una quarta, rispettivamente al punto di confluenza dei ramuli in ciascuna delle due forchette. Estremo apice dell'ala lionato giallognolo (colore dato dalle squamette marginali). Zampa bruno-nere; ginocchi biondicci; una piccolissima orlatura gialliccia alle giunture delle tibie coi tarsi. Addome molto peloso specialmente nel maschio; il fondo è bruno-nero, i peli hanno un color giallo- bruno. La lunghezza varia secondo le località da 8 a 11 mm. (compresa la probo- scide). Gli individui più voluminosi vennero da me trovati nell'Italia meridionale. È specie molto diffusa in tutta la penisola e nelle isole. Le larve si riconoscono ai seguenti caratteri: setole angolari del capo fatte ad alberetto; setole mediali sfioccate verso la sommità in peluzzi, ossia a pennelletto (IV. 15). 15 — 114 — A. pseudopictus, Grassi (1899) (IV. 24 e V. 3) (9). Sin. A. pictus, Ficalbi (1896) (non Loew). Palpi in ambedue i sessi bruni; in quelli della femmina sono evidenti tre piccole anellature quasi bianche in corrispondenza alle articolazioni 2*, 3* e 4*. Dorso del torace cenerognolo gialliccio, fornito di tre strisce longitudinali, come nell'A. cla- viger. Le ali sono colorate di nero e di chiaro giallognolo; prevale però molto il color nero; sono caratteristiche tre macchioline giallo-paglia sulla parte nera esterna (anteriore) dell'ala. La prima, cioè la prossimale, non giunge fino al margine, mentre le altre due vi arrivano, essendo così più evidenti. Femori del primo paio alquanto rigonfiati nel terzo prossimale. Le tibie, alla loro articolazione col primo articolo tarsale, presentano una minuta anellatura bianchiccia. Tarsi con anellature bian- chicce quasi limitate agli estremi distali dei primi tre articoli; questi anelli sono ad occhio nudo poco evidenti nel primo paio di arti; un po' più nel secondo, bene distinti nel terzo. Nel terzo paio il terzo anello invade anche tutto il quarto (penul- timo) articolo, che è perciò totalmente bianchiccio. Addome dorsalmente bruniccio con fasce trasversali chiare alla parte anteriore dei tergiti, profondamente hicuspidate nel maschio. Dimensione da 9 a 11 mm. (compresa la proboscide). (4) Sapendo che Theobald sta compilando una monografia delle Culicidae, per il Museo Brit- tannico , e che egli dispone di un ricchissimo materiale, conservo provvisoriamente le denomina- zioni A. pseudopictus e superpictus e mi limito ad una osservazione generale, non che ad alcune osservazioni peculiari sulle specie or nominate. A me sembra che nella classificazione delle Cul?- cidae evidentemente occorra fare molto posto alle varietà; sonvi infatti forme, le quali sono tra di loro straordinariamente affini, differenziandosi soltanto per menomi particolari, per lo più costanti nei paesi dove si riscontrano, come sonvi altre forme relativamente molto distinte l’una dall'altra. Se seguendo la maggioranza degli autori, quest’ ultime si elevano soltanto al grado di specie, le prime debbono abbassarsi al grado di varietà, molto più che in certi casi esistono forme che pos- sono, o debbono considerarsi intermedie. Così, per citare un esempio, l’Anopheles pictus Loew e l'A. pseudopictus Grassi sono prossimi assai l'uno all’altro e 1’ A. superpictus Grassi è prossimo assai agli A. minutus Macquart, subpictus Grassi, costalis, Loew, funestus Giles, crucians Wied., albi- tarsis Lynch A.ecc., invece le prime due forme sono relativamente lontane da tutte le altre che ho nominate dopo di esse; credo perciò giusto di stabilire due specie tipiche, l’una per le prime due forme, che si considereranno varietà di questa specie, l’altra per le altre forme nominate, che si considereranno varietà di quest'altra specie. Naturalmente si conserverà la denominazione più antica come specie e il secondo termine delle altre denominazioni passerà ad indicare la varietà ogni qualvolta si voglia assoggettarle a speciale nomenclatura. Per arrivare a questo riordinamento delle specie occorrerebbe un materiale, del quale io non posso disporre: perciò mi limito a dire che l'A. pictus e pseudopictus, per quanto io so, debbono denominarsi varietà dell'A. punctipennis (Say), lA. minutus, subpictus. costalis, funestus, albitarsis varietà dell'A. crucians (Wied). [Lo studio di Anopheles dell’Africa e dell'America meridionale da me ricevuti di recente mi confermano nel mio giudizio. Io finora conosco quattro sole specie di Aropheles, e sono quelle che sì riscontrano anche in Italia. Dei paesi tropicali conosco forme corrispondenti ai nostri A. super- pictus (Africa, Asia) e pseudopictus (America). La distinzione delle varietà, quale io la propongo, è particolarmente raccomandabile nel caso dei Culicidi, essendo necessario di rendere facile al medico pratico di orientarsi]. — 115 — È specie diffusa nella penisola italiana. Le larve hanno anch'esse, come quelle degli A. c/aviger, le due setole angolari fatte ad alberetto; però le mediali o sono affatto semplici, oppure presentano 1-3 corti ramuscoli (IV. 16). A. superpictus, Grassi (1899) (IV. 26 e 27). fHemori del 1° paio non ingrossati nel loro terzo prossimale. Ala in prevalenza di color qiallo-paglierino ; essa presenta particolari lineette nere e precisamente: quattro macchie lineari (lineette), anteriori, sepa- rate da tratti pressochè uguali tra loro di color qiallo-paglia; colla lente si distinguono altre due estlissime lineette nere anteriori vicino alla base dell'ala e molte altre lineette nere più 0 meno evidenti lungo le nervature. Palpi bruno-neri nella femmina, bruno-giallicei nel maschio ; su di essi spiccano anellature bianco-gialle, in numero di tre nelle fem- mine, di due sole nei maschi. Testa. — Proboscide nera con oliva di color aranciato-chiaro. Pa/pi della /em- mina lunghi quanto la proboscide; colorazione fondamentale bruno-nera, resa addi- rittura nera alla base per la presenza di fitte squame di questo colore. Si distin- guono molto bene, anche ad occhio nudo, due larghe anellature bianco-giallognole, corrispondenti alle articolazioni del 2° col 3° articolo e del 3° col 4°; ad esse par- tecipano le estremità distali dei rispettivi articoli e le prossimali dei successivi. L’estre- emità distale del 4° articolo e tutto il 5° articolo sono bianco-giallognoli. In qualche esemplare si può distinguere colla lente un anello nericcio più o meno mal definito nel mezzo del 5° articolo. Palpi del maschio lunghi quanto la proboscide; il colore fondamentale è bruno- gialliccio, sul quale spicca all'estremità distale del 3° articolo una larga fascia di color paglierino-chiaro: l'apice dell'ultimo articolo è dello stesso colore. In qualche esemplare è accennata anche una incompleta anellatura all’ articolazione del 4° col 5° articolo. Il ciuffo dei palpi è poco sviluppato; esso è costituito da poche setole che si staccano dall' estremità distale del 3° articolo, divergendo in dentro verso la proboscide. Rari peluzzi sono sparsi sulla superficie mediale del 4° articolo. Antenne gialliccie; il primo articolo, tondeggiante, bruniccio, alla parte dorsale di color aranciato-chiaro; gli ultimi due articoli, esili ed allungati, bruni. I peli delle antenne sono di color gialliccio-bruno. La nuca, su fondo nero, presenta dorsalmente rari peluzzi giallo-oro chiaro, che formano come una fascia anteroposteriore; da questa partono: anteriormente due ciuffetti di peluzzi giallo-paglierini, che si protendono tra gli occhi, posteriormente una serie di squame spatoliformi nere, coronanti la nuca dalle parti posteriore e laterale. Torace. — Il dorso è coperto di peluzzi di color giallo-paglierino; sono però visibili a forte ingrandimento esili squamette che facilmente si confondono coi peluzzi suddetti. Nel mezzo sono distinguibili due sottili strisce ravvicinate, di color giallo — 116 — più intenso, le quali. partendo dal margine anteriore, si arrestano, nel terzo poste- riore, ad un'areola ovale bruniccia nel mezzo e coi margini giallo-paglia. Lateral- mente il torace presenta delle spolverature cenerognole su fondo isabellino cupo. Scudetto isabellino cupo. Le ali hanno una colorazione fondamentale bianco-gialla, che però, verso il margine esterno (o anteriore) va diventando più intenso. Quivi spiccano elegantemente quattro lineette di un bel nero intenso, separate tra loro da tre tratti pressochè eguali tra di loro di color giallo-paglierino. Le prime due lineette, contando dalla base verso l'apice, si estendono alle nervature marginale, 1e 2; la terza alla marginale e alla 2; la quarta alla marginale, alla 2 e alla 3. Altre due lineette nere si trovano, l'una alla base del- l'ala, l’altra fra questa e la prima delle prime quattro sopra menzionate; dimodochè, in realtà le lineette marginali nere sono in numero di sei, mentre cinque sono i tratti divisori; le prime due sono poco visibili ad occhio nudo, perchè occupano solo la nervatura marginale. Altre squame nere si trovano qua e là accumulate a formare delle lineette raggruppate in guisa da dar luogo a fascie irregolari sfumate. Di tali fascie, una attraversa l'ala in corrispondenza al quarto tratto divisorio ; un'altra, ancor meno distinta, si trova in corrispondenza al quinto tratto divisorio. La frangia è per la maggior parte di un color bianco-giallo, il quale va diventando sempre più debole verso la base dell'ala; nei tratti corrispondenti alle celle VZ, VZZ VIZI ed alla lunula (©) è leggermente nericcia. Come al solito, nei maschi i colori spiccano meno. [Le vene trasverse (°) distali sono disposte a scaletta, essendo più anteriore la più distale; i gradini vengono ad essere quasi eguali con piccole variazioni individuali]. Bilanceri piccoli, chiari. Arti. — Anche e Trocanteri bianchi. Femori bruni superiormente, inferiormente chiari; la loro estremità distale è orlata di giallo, per cui i ginocchi appaiono chiari. Tibie dello stesso colore dei femori con relativa orlatura all'estremo distale. ars? albonotati alle estremità distali e prossimali degli articoli; qualche volta la colo- razione si estende fino a formare minime anellature, per lo più incomplete. La maniera dell'unghzatura è la seguente: nel maschio, il primo paio di zampe pos- siede una sola unghia tridentata; il 2° ed il 3° paio possiedono due unghie uguali e sdentate; nella femmina le unghie sono due per ogni arto, uguali e sdentate. Appome. — L'addome, nel maschio, è molto peloso. In quanto al colore, esso è bruniccio nella femmina; molto più chiaro nel maschio, nei segmenti del quale, tanto dorsalmente, quanto ventralmente, è evidente una fascia anteriore chiara bicuspidata, che occupa almeno i due terzi del segmento stesso. Questa specie raggiunge al più la lunghezza di 7-8 mm. compresa la proboscide. Le larve si distinguono subito da quelle delle specie precedenti, perchè le setole angolari non sono ad alberetto e presentano soltanto corti ramuscoli all'intorno; le setole mediane assomigliano alle angolari (IV. 17). (4) Noè ha definito, nei Culicidi, lunula dell’ala, l'incavatura pressochè semilunare del margine posteriore, che si estende dalla nervatura 8 alla nervatura 9. (?) [Supernumer., Media et Post, (Loew) ovvero Supernumerary transverse Middle transverse, Posterior transverse (Giles). lo per comodità le denomino vene trasverse distali: anteriore, media e posteriore], — 17 — Fino agli ultimi tempi l'A. superpietus era stato trovato unicamente nel mezzo- giorno d' Italia, a Castelnuovo Vallo, ad Ogliastro, presso Agropoli, a Grassano, a Po- licoro ecc. (Grassi, Ficalbi). Recentemente è stata scoperta da Noè nella provincia di Parma. APPENDICE. Questa specie ha un'indiscutibile somiglianza coll’ Anopheles albitarsis F. Lynch A. Si differenzia principalmente per i seguenti caratteri assegnati da Lynch a que- st' ultima specie: 4ibiarum apice albo; tarsorum articulis 1-4 apice albis, ultimo fere toto albo. Però Lynch ha trovato una forma che ha descritto come varziat imma- turus: Pedibus, pleurisque testaceis; muculis albis obsoletis. Perciò è lecito credere che l'Anopheles superpictus Grassi debba essere sinonimo di Aropheles albitarsis Lynch (55). Avendomi il Sig. Sambon favorito parecchi Aropheles dell'Africa occidentale, (costa del Niger) ho rilevato che vi esiste una specie, la quale forse corrisponde all'A. minutus Macquart (1834), all’A. costalis Loew (1866) ed all'A. funestus Giles (1900); essa è molto simile all'A. superpictus Grassi. Se ne distingue tuttavia per i caratteri seguenti: delle sei lineette anteriori descritte nell’ A. superpietus, la quarta, se si osserva un po ingrandita, si mostra di figura pressochè rettangolare, con un angolo (posteriore prossimale) smussato nell’A. superpietus (V. 4); con una intaccatura invece (posteriore, vicina all’ angolo prossimale) come in una chiave, nel- l'Anopheles dell'Africa (V. 5); un intaccatura simile, però meno evidente, vedesi in quest'ultimo alla quinta lineetta, ma nel mezzo. Inoltre la tinta generale delle ali nella forma africana è spiccatamente oscura e il color giallo più intenso tendente all'aranciato, motivi per cui le lineette delle ali sono meglio definite. [L'anteriore e la media delle tre vene trasverse distali trovansi quasi ad ugual livello con piccole variazioni individuali ]. Altre differenze importanti non ho potuto rilevare (neppure nei femori) non po- tendo dar peso alla piccolezza della forma africana, poichè è noto quanto le dimen- sioni variino nei Culicidi. Da altra parte dall'Africa orientale (Tanga) ho ricevuto altri Anopheles in cui le suddette differenze delle ali non si riscontrano [le vene trasverse distali sono abbastanza variabili]; lo stesso dicasi di altri provenienti dall'Africa meridionale i quali sono grossi come il nostro A. superpictus: [come in questo, stanno disposte le vene trasverse distali ]. Avendo ricevuto nell'inverno del 1899 un esemplare di Aropheles da Calcutta, inviatomi da Ross, conclusi, dalla presenza a metà dell'ultimo articolo dei palpi di un anello bruniccio, che si trattasse di una nuova specie affine all'A. superpictus (pic- cola specie dell'India: A. subpictus). In stagione più opportuna ho potuto verificare questo stesso carattere in alcuni esemplari italiani. Recentemente un Anopheles di Giava, favoritomi da Thin, venne da me trovato indistinguibile da quello di Cal- — 1138 — cutta. L'unica differenza rilevabile tra i due esemplari asiatici (2) e l'A. superpietus è nell'ala: delle sei lineette marginali, la terza, se viene un po’ ingrandita, appare, nella forma asiatica, di figura rettangolare con un angolo (prossimale-posteriore) smus- sato; la quarta è quasi intermedia tra quella della nostra forma e quella della forma africana e di più presentasi incompleta nella porzione distale-posteriore. [Giles verbalmente ha richiamato la mia attenzione sulla posizione delle vena- ture trasverse distali per distinguere le varie specie di Culicidi; neppure questo carattere minimo mi sembra che possa aver sufficiente valore specifico, essendo soggetto anche a variazioni individuali: ciò risulta da molte ricerche che il sig. Bordi nel mio laboratorio sta completando ]. A. bifurcatus, Lin. (1758) (IV. 20, V. 2). Sin. A. nigripes, Staeger (1839). Palpi in ambedue i sessì neri. Dorso del torace come nell'A. elaviger. Ali fuligginose; nessuna macchia visibile nè a piccolo, nè a forte ingrandimento (tracce di esse possono comparire in individui colle ali un po' logore). Arti neri; ginocchi con punto bianco; così pure la tibia è lesgermente bianchiccia all’ articola- zione col primo articolo tarsale. Tarsi senza ornamentazioni speciali. Addome nero con peli giallo-bruni. Lunghezza da 7 a 9 mm. compresa la proboscide. La varietà ri97ipes è in generale più piccola e molto più oscura; le sue ali sono quasi completamente nere (°). Esistono delle forme che possono considerarsi intermedie tra la varietà e la specie tipica. L'A. bifurcatus è specie boschiva, diffusa in tutta l'Italia; è molto più nu- merosa nell’ Italia meridionale. Le sue larve si distinguono dalle altre del genere Anopheles per l'assoluta man- canza di ramuscoli sulle setole angolari, le quali sono perciò affatto semplici; setole mediali pure semplici. Anomalamente tanto le une quanto le altre possono essere biforcate; anche in questo caso però le setole sono affatto sprovviste di ramuscoli o peluzzi. c) Quadro sistematico delle larve. Chi ha seguìto attentamente la descrizione delle larve delle singole specie, avrà già rilevato come la distinzione degli Azopheles in quattro specie in Italia venga confermata dallo studio delle larve. Ciò risulta anche più chiaramente dal confronto della seguente tavola di clas- sificazione delle larve (°): (4) [Purtroppo mi andarono perduti prima che osservassi se nelle vene trasverse esistessero differenze]. (?) Per l'atteggiamento della varietà ni9ripes vedi pag. 99. (°) Le larve piccole non vennero però da noi sufficientemente studiate. — 119 — I. SETOLE ANGOLARI DEL CAPO CON RAMI SECONDARI. 1°. Setole angolari fatte ad alberetto. A) Setole mediali a pennellino sottile: A. claviger (IV. 15). B) Setole mediali con 1-3 ramuscoli corti, oppure affatto semplici: A. pseudopietus (IV. 16). 2°. Setole angolari con corti ramuscoli all’intorno: A. superpictus (IV. 17). II. NETOLE ANGOLARI DEL CAPO AFFATTO SEMPLICI OSSIA AFFATTO SPROVVISTE DI RAMUSCOLI 0 PELUZZI (ANOMALAMENTE BIFORCATE). A. bifureatus (IV. 18). — 120 — CAPITOLO V. Cenni sui costumi degli Anofeli. 1. Anopheles claviger. Gli A. elaviger si sviluppano a preferenza dall'acqua palustre, come sopra ho accennato. L'acqua palustre può trovarsi nelle più differenti località; può essere in aperta campagna, brulla e arsa dal sole, può trovarsi in mezzo a un bosco o a una macchia poco alta e poco folta. L'acqua in cui si sviluppano le larve può presen- tare una superficie molto estesa, o più o meno limitata. Specialmente in mancanza di acqua palustre si sviluppano anche in acqua non palustre per es. in un recipiente pieno d'acqua sprovvista di vegetazione, che per caso si trovi in un giardino (pag. 61 e seg.). Gli alati, d'estate, sentono il bisogno di succhiar sangue di solito due o tre giorni dopo la nascita; quando il calore si fa meno sentire, questo bisogno si manifesta più tardi. Nel frattempo, i neonati sogliono cercare un posto, relativamente vicino, dove mettersi al riparo dal sole, dal vento e anche dalla pioggia: si nascondono tra le erbe alte, palustri o no, tra le canne, tra i rami degli arboscelli e degli alberi, sotto i ponti bassi, nelle capanne, specialmente se intessute di rami, nelle case, nelle stalle, tra la paglia, nel fieno ecc.; e, se non trovano questi ripari in vicinanza al- l'acqua, vanno a cercarli anche in luoghi relativamente lontani. Poggiano sulle foglie, sui rami; nelle case, se il locale vien tenuto scuro, stanno di solito sul soffitto, sulle pareti, ma a gran preferenza sulle ragnatele; invece in quelle camere, che facilmente si tengono aperte per molte ore della giornata, si riparano per lo più sotto i tavoli, sotto il letto, perfino nelle scarpe ecc. In complesso l'Aropheles, per quanto ami il soggiorno delle case, non vi sì ri- para quando vi si fa fumo. Nelle latrine non si trovano sovente; in complesso si può ritenere che vi si riparino soltanto quando non trovano località più opportuna; per altro in regioni dove sono molto abbondanti, se ne incontrano sempre anche nelle latrine. Debbo aggiungere come quest'anno abbia potuto convincermi, che preferiscono i luoghi caldi, ma se l'umidità non vi è sufficiente, si adattano a vivere anche in luoghi più fresci, che rimangono sempre meno asciutti. Sono venuto a questa conclu- sione dopo aver osservato il fatto seguente: in una stanzetta di legno isolata in aperta campagna vicino al casello della fermata di Porto (presso Roma) gli A. ela- viger alla mattina presto stavano nella solita posizione, cioè, sulla vòlta e sulle parti alte delle pareti, mentre durante le ore calde quando il soffitto era infocato dal sole, scendevano in basso, tra gli attrezzi, o nelle fenditure delle pareti, o si nascondevano sotto le assicelle per essere più vicini alla terra umida di cui era formato il pa- vimento. — 21 — Cominciano a nutrirsi prima di copularsi (sempre?) (©). Il cibo ordinario delle femmine è il sangue. Ficalbi le aveva vedute sopra le frutte suggere sostanze vegetali e perfino sopra le immondizie nelle latrine. Io e Noè le avevamo sorprese mentre si nutrivano di pannocchie di maiz ancora immature e dei succhi di graminacee verdi, e avevamo notato che assorbono anche acqua allorchè non trovano sangue e che si nutrono volentieri di acqua zuccherata. Con questo nutrimento, in principio del 1900 le avevamo tenute vive perfino un mese in camera riscaldata a 15°-25°; erano andate però deperendo a poco a poco, le Joro uova si erano atrofizzate ecc. Avendo Bancroft comunicato che aveva tenuti vivi i Cu/ex per settanta giorni colle frutta del banana, ho tornato a sperimentare varie sorta di frutta per mante- nere gli Aropheles e vidi che in questo modo essi d'estate non soltanto si potevano tenere in vita, ma si otteneva anche la maturazione e la deposizione delle uova. Gli stessi maschi si nutrivano volentieri di frutta; così abbiamo potuto tenerne vivo uno perfino 25 giorni. Occorre però che l’ambiente, in cui colle frutta si vengono vivi gli Anopheles, e i Culicidi in genere, sia molto ristretto, altrimenti, a quanto sembra, l'olfatto non arrivando ad avvertirli della presenza del nutrimento, muoiono per lo più d’inanizione. Così essi vivono benissimo con piccole fette di cocomero im gab- biette coi lati di cm. 30 X 30 X 40: muoiono invece anche con un cocomero affet- tato in una stanza di m. 4X 3 X 5: soltanto eccezionalmente li ho visti nutrirsene in quest'ultimo caso. Essi pungono, per quanto ho veduto, esclusivamente gli animali a sangue caldo. Il sangue a Joro prediletto è quello dei mammiferi, ma qualche volta s' adattano (sebbene, a quanto sembra, non sempre volentieri) a pungere gli necelli (galline, passeri, uccelli di rapina ecc.). Non credo che tra i mammiferi abbiano predilezioni; sebbene sia certo che pungono di più i mammiferi più voluminosi, sicchè, per esempio, se si trova un uomo vicino a un cavallo, non di raro il cavallo ha già avuto molte punture prima che l'uomo ne abbia ricevuta alcuna; così pure tra l'uomo e un coniglio, luomo è in generale assalito prima. Questi fatti ed altri simili, che taccio per brevità, non dimostrano tuttavia una predilezione, ma vanno messi invece in rapporto colla cir- costanza che l'olfatto indica la sua preda all'Anofele, il quale perciò avverte più facilmente gli animali più voluminosi. Così almeno io mi spiego la circostanza che se l’aria è appena mossa, ciò che certamente basta già a turbare molto la funzione dell'organo dell'olfatto, l’uomo viene rispettato dagli Anofeli, i quali si buttano tutti per es, sulla pancia dei cavalli. Torniamo agli A. claviger neonati, quando sentono la fame e cercano di nu- trirsi. Può darsi che a qualcuno capiti l'opportunità di pungere un mammifero nel luogo stesso dove si è riparato subito dopo la nascita; la maggior parte, però, in generale deve allontanarsi più o meno a seconda della località. Noi li vediamo, perciò, appressarsi alla preda in frotte che provengono da luoghi più o meno lontani, In complesso sta il fatto che entrano nelle case di gran preferenza da quelle porte e da (2) E infondata l'opinione di Celli che «le nuove generazioni degli Anofeli ricominciano a pungere nella seconda metà di giugno e nella prima di luglio ». Esse pungono già molto prima. 16 — 122 — quelle finestre che guardano l'acqua in cui si sono sviluppati; alle altre porte e fine- stre, più o meno diametralmente opposte, si presentano di raro o anche non si pre- sentano punto. Gli Anopheles pungono tanto all'aperto, quanto nelle case e nelle stalle. Nei paesi malarici si ripete per molte giornate all'ora del tramonto lo spettacolo di coorti innumerevoli di A. elaviger, i quali assalgono gl individui che stanno seduti sulla porta della casa chiacchierando o cenando. Dopo aver punto, cercano un riparo simile a quello che hanno abbandonato per procurarsi il nutrimento, anzi, se lo trovano vicino, possono tornare allo stesso posto di prima. Così quelli che pungono nelle case, o nelle stalle, quivi cercano spesso un cantuccio opportuno e si nascondono a digerire. Dopo aver punto, all’ aperto possono ripararsi sulle piante vicine. Questo fatto facilmente si verifica per esempio, a Tortreponti, dove, vicino al casale v è una piccola piazzetta con molte piante di £uca/yptus, alcuni dei quali coi rami molto bassi, e perciò comodamente osservabili. Certi A. claviger dopo di aver punto si rifugiano sotto i porticati, nelle camere, nelle stalle ecc. In complesso, però, sono così carichi di sangue che mal reggono al volo: si poggiano perciò non di raro anche sulla parete esterna dei muri delle case, vi restano delle ore, ma al mattino seguente non vi sì trovano più. Non si può dire che gli A. claviger siano quasi sempre domestici; a noi sembra così perchè nelle abitazioni sono più facilmente visibili che tra i rami delle piante, tra le erbe, ece. Una volta che si sono pasciuti non pungono più finchè non abbiano compiuta la digestione, ciò che d'estate accade già dopo 40, 50 ore (soltanto molto eccezio- nalmente pungono a digestione quasi compiuta). Quando non fa caldo digeriscono più lentamente; alla temperatura costante di 15° un pasto basta loro per dieci e più giorni. ; Ma dobbiamo tener presente che gli Aropheles oltre al bisogno di nutrirsi hanno anche quello di fecondarsi e poi a suo tempo di deporre le uova. Orbene, i maschi seguono, almeno in parte, le femmine; perciò li troviamo facil- mente anche nelle case, eccetto che in inverno. Essi non pungono mai; ne abbiamo visto qualcuno fare veri tentativi, ma l'apparato boccale si piegava senza introdursi nella pelle. Quando e dove avvenga la fecondazione non abbiamo potuto precisare. A questo proposito è d’uopo notare che sulla copula dei Culicidi manchiamo di qualunque notizia. Il 18 dicembre 1898 in una camera calda del mio laboratorio abbiamo tuttavia sorpreso, verso le cinque pomeridiane, due coppie di Culex spathi- palpis. Una fu osservata attentamente; la femmina era ferma sopra un regolo di legno d'una invetriata della finestra: il maschio stava attaccato alla femmina, fermo esso pure, ma muoveva di tanto in tanto una delle zampe anteriori. Raccolte le coppie, si osservò che le femmine e i maschi erano digiuni e che le uova erano molto arretrate nello sviluppo. Probabilmente l’Anopheles si comporterà press' a poco come il Culex suddetto. [Di ciò il mio inserviente ha potuto accertarsi con osservazioni dirette verso le ore 14 di una giornata nuvolosa]. — 123 — Nei nostri allevamenti artificiali abbiamo osservato che dalle uova, in una camera tenuta a una temperatura variabile di 20-25°, in circa 30 giorni (‘) si ottennero gli insetti perfetti e questi dopo altri 20 giorni depositarono le uova. Nel colmo dell’ estate lo sviluppo e la maturazione sessuale avvengono più celeremente. In ogni modo perchè la femmina maturi le uova deve prima nutrirsi ripetutamente. Quando uscì la prima edizione del presente lavoro, io riteneva che gli Aropheles, trovato un luogo opportuno per es. una stalla con qualche grosso mammifero, una ca- mera ecc. ecc. avessero l'abitudine di soffermarvisi a lungo. Ne inducevo perciò che il fermarsi o no nello stesso locale, dove essi avevano punto la prima volta, dipendesse dalle circostanze. Se, per esempio, cosa che accade sovente nelle nostre campagne, una stalla o una camera fosse restata disabitata, gli Aropheles, che vi dimoravano, avrebbero dovuto allontanarsi per cercare il nutrimento; e lo stesso avrebbe dovuto avvenire in aperta campagna quando spirasse forte vento, se piovesse molto, ecc. Quest'anno invece ho dovuto persuadermi che gli Aropheles, durante la stagione calda, abbandonano il luogo dove hanno trovato occasione di nutrirsi anche senza ap- parente necessità, a quanto sembra soltanto per paura di cader vittime degli esseri su cui sì sono nutriti. Esporrò brevemente i fatti da me rilevati quantunque essi presuppongano nel lettore certe cognizioni che fornirò in un capitolo successivo. Mi era occorso spesse volte, esaminando Anofeli presi in locali dove degevano soltanto uomini malarici in condizioni opportune per infettarli, di non trovarne nep- pure uno infetto. Io mi spiegava questo fatto colla circostanza che il volgo usa scacciare le zanzare dalle abitazioni riempiendole di fumo, ovvero ventilandole il più possibile ece. Avevo osservato che ai padiglioni di rete metallica costruiti davanti ai caselli ferroviarî come riparo contro le zanzare, si affacciavano al tramonto, per esempio in luglio, non soltanto Aropheles neonati, ma anche individui più vecchi; precisamente circa uno su tre o quattro aveva le uova piuttosto grosse, qualcuno le aveva ma- ture o quasi, qualcuno doveva averle deposte di recente, qualcuno aveva traccia di sangue digerito e qualcuno anche sangue succhiato di recente. Questi fatti potevano ancora spiegarsi cogli spostamenti degli Arzopheles prodotti dall’ uomo sopratutto colla suddetta fumata. Poco più tardi ebbi però occasione di persuadermi che la spiegazione or detta non era sufficiente, come risulta dai seguenti fatti: Per lo studio della filaria io e Noè abbiamo collocato in una stanzetta di legno a Porto, vicino a Roma, due cani filariosi. Gli Anofeli che vi raccoglievamo, si pre- sentavano sempre tutti infetti di larve di filaria ai primi stadî, mentre non si tro- vavano gli stadî medî e definitivi. Ciò vuol dire che gli Anofeli vi restavano soltanto due o tre giorni e poi si allontanavano. Questa stanzetta però restava chiusa, benchè imperfettamente. Ancora a Porto, in una stalla ampissima, dormivano da una parte un cavallo, dall'altra tre cani filariosi. Il numero degli Anofeli era sterminato. Quelli pieni di sangue succhiato nella nottata precedente, se vicini ai cani filariosi, erano in massima parte infetti di filarie al primo stadio, invece quelli vuoti o mezzo (2) Da ogni deposizione di uova nascono prima i maschi e poi le femmine; ciò abbiamo osser- vato ripetutamente. — 124 — vuoti ancorchè presi vicino ai cani, ne erano privi (*). Si aveva tuttavia sì nella stan- zetta che nella stalla una piccola percentuale di eccezioni, cioè di Amophe/es, nei quali si trovavano filarie in stadio di sviluppo più o meno avanzato: era presso a poco una percentuale uguale a quella che si riscontrava in generale a Porto. Questi fatti dimostrano che gli Anofeli d'estate, se ne hanno opportunità, so- gliono, nel termine di circa 24-48 ore, abbandonare il luogo dove si sono ricoverati dopo di aver punto. Qualche volta vi si fermano di più, non però molto a lungo come dimostra la circostanza che nelle camere dei malarici sono in genere più fre- quenti d'estate gli Anofeli coi parassiti ancora ai primi giorni di sviluppo, che quelli coi parassiti negli stadî più avanzati. La quantità di sangue che le femmine degli Anofeli possono succhiare diventa minore man mano che le uova maturano. Finalmente un bel giorno vanno in cerca dell'acqua per depositare le uova; per questo scopo molte volte sono costrette ad allontanarsi notevolmente. Alcuni ritengono che i Culicidi, dopo aver depositate le uova, debbano morire; ora io ho verificato invece che, sebbene molti in occasione di una sì delicata operazione qual’ è il deporre le uova, per varî accidenti vengono a morire, tuttavia ve ne sono di quelli (se molti o pochi non so) che superano tale momento critico (°). Infatti io ho potuto osservare nel 1399 parecchi Anofeli, i quali qualche ora dopo la deposizione delle uova, prendevano nutrimento, pungendo avidamente: essi sopravvissero parecchi giorni, e poi mo- rirono probabilmente perchè l’ambiente era sfavorevole. Certo è che dopo deposi- tate le uova, gli ovari sono ancora in condizione di poter dar luogo a una seconda pro- duzione di uova e probabilmente non soltanto per due volte, ma per parecchie volte è possibile che l'ovificazione si ripeta. Si capisce che molti individui vanno nel frattempo perduti per diverse ragioni. Sta in ogni modo il fatto che quando al tra- monto ci mettiamo in un posto in direzione di un padule e raccogliamo gli Anofeli che vengono a pungerci, vediamo che la gran maggioranza è costituita da neonati; non mancano peraltro quelli che evidentemente hanno le ali un po’ sciupate per la caduta di squame e che perciò ritengo nati da più tempo e reduci dall'aver deposto le uova. Ritengo inoltre che tutti gli Aropheles che hanno superato l'inverno, muoiano dopo aver depositato le uova; perciò esiste almeno nell’ Italia media un breve periodo primaverile (presso a poco il mese di aprile) in cui non si trovano che rarissimi A. claviger, almeno in certe annate e in certe località. Sta in rapporto con la morte delle vecchie femmine il fatto che in primavera si trovano facilmente A. claviger che rifiutano di nutrirsi e muoiono. Nel 1899 la morte delle femmine vecchie appariva meno evidente che nel 1900 perchè già ai primi di aprile si trovavano maschi e femmine neonate, che mancavano invece nel 1900. (4) È vero che Noè ha osservato che gli Anopheles dopo aver succhiato sangue di cani infetti di Filaria immitis vanno soggetti ad una grande mortalità che si può calcolare nei primi giorni nella proporzione di circa il 50°/. Ciò non basta però a spiegare la enorme scarsezza di Anopheles infetti al di là del primo stadio. (©) Ciò venne già dimostrato per un Culez da Ross. — 125 — [Nel 1901 si ripetè lo stesso fatto del 1900, restando così accertato che tutti gli individui dell'anno precedente muoiono ]. Nel piano lombardo irriguo durante la prima metà di settembre (un po prima o un po’ dopo secondo che i calori estivi cessano più o meno precocemente) gli Ar0- pheles in complesso tendono a mettersi in condizione di poter ibernare. Si può dire che nella scelta del locale essi vengono guidati dal calore. Questo bisogno di calore si manifesta più sensibilmente coll’avanzare dell'autunno: cominciamo infatti col tro- varli difficilmente tra le piante, poi vanno scomparendo da quei ponticelli oscuri dei canali d'irrigazione, i quali sono il loro luogo prediletto; si ritirano nelle case, più specialmente nelle camere meno fredde. In complesso tendono anche sempre più a nascondersi. Intanto mangiano molto di raro. Cito un caso speciale. L'anno scorso nella seconda metà di settembre e nella prima metà di ottobre a Locate Triulzi, vicino a Pavia, gli Anofeli nelle case erano numerosissimi: se ne trovavano dappertutto. Così nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria ne raccolsi in un giorno più di trecento, sotto le panche, sotto il tavolo e dietro gli avvisi. In altri luoghi dov'erano pure in gran numero in posi- zioni simili, senza che io li disturbassi, scomparvero nella seconda metà di ottobre. In principio di novembre si erano così ben nascosti che in molti luoghi non era facile trovarli. A un secondo piano però ne rinvenni molti in uno scaffale a muro, di una camera mezzo oscura; il proprietario mi assicurò che ciò si verifica tutti gli anni e che gli Anofeli vi restano tutto l'inverno. Fatti simili ho verificato anche altrove. Nel 1900 Noè fece a Sala Baganza nella provincia di Parma, dove gli An0- pheles sono scarsi, le seguenti osservazioni: Nel mese di novembre li rinvenne soltanto nelle stalle in numero maggiore di quello che si riscontra nella stagione calda, ciò che dimostra evidentemente che vi sì erano riparati a motivo della bassa temperatura: tuttavia qualche raro Anopheles si trovava in qualche casa. Tutti gli Aropheles da lui osservati durante il novembre erano vuoti di sangue, mentre invece i Cu/ex pipiens continuavano a pungere. Durante l'inverno non si trovano maschi (in nessuna parte d'Italia); le fem- mine sono tutte fecondate, in gran parte colle uova ancora arretrate nello sviluppo e non si nutrono; qualche volta soltanto, se per un caso l’ambiente si riscalda artifi- cialmente, vengono a pungere. Ai primi tepori primaverili ricominciano a nutrirsi e, quando le uova sono mature, escono a depositarle, come ho già detto. Nella campagna romana le cose procedono un po’ differentemente. L' ibernazione ritarda e dura più poco: durante l'ibernazione la temperatura si alza non di raro tanto da permettere agli Anofeli di pungere. Anzi durante l'inverno mite del 1898-99 trovai sempre nelle camere qualche Anofele con sangue. Alla metà di dicembre 1899 a Sezze gli Anofeli erano abbondanti, ma per trovarli occorreva il lume perchè essi stavano nascosti in luoghi oscuri. * Quanto più in un paese l'inverno è mite, tanto più breve e meno intensa è la ibernazione. Vogliamo ora far notare che l'A. elaviger non si può detinire certamente ani- male diurno. È facile rilevare che esso è in moto specialmente durante il crepuscolo — 126 — serale, tempo nel quale ci punge più facilmente. Più precisamente questo tempo, quando non è nuvolo, comincia subito dopo la scomparsa del sole dall’ orizzonte e dura da mezz'ora a quaranta minuti, terminando prima che l'oscurità sia completa, giusta le osservazioni fatte in giugno, luglio e agosto nella piana di Capaccio in provincia di Salerno. Si può dire che quando gli .4. claviger si mettono in movimento, benchè sia cominciato ad imbrunire, si legge ancora benissimo, mentre si legge appena a stento quando il loro movimento è già molto diminuito. A questo riguardo posso aggiungere alcuni particolari rilevati nella or detta località l'estate scorsa stando nei padiglioni di rete metallica costruiti per difendersi dalle zanzare. Al tramonto gli A. claviger vi si affacciavano e vi sì posavano per qualche tempo; in principio venivano in piccola quantità, poi in numero sempre maggiore fino a raggiungere un massimo dopo circa 20 minuti, poi ne giungevano sempre più pochi. La quantità di A. claviger posati sulla rete andava aumentando per circa mezz'ora. Quando l'oscurità era com- pleta, ossia dopo un’altra mezz'ora, circa i due terzi si erano già allontanati; gli altri vi rimanevano più a lungo e spesso fino alla mattina seguente, a differenza di quanto avevo osservato l’anno scorso a Maccarese dove prima che l'oscurità fosse completa, sulla rete metallica delle finestre non ne restava più alcuno. Quando il cielo era annuvolato, anticipando l'oscurità, gli A. elaviger antici- pavano anch'essi la loro venuta; quando invece splendeva la luna, gli A. claviger si comportavano come se l'oscurità fosse stata completa. Anche al mattino, prima che il sole sorga sull'orizzonte si nota un certo movi- mento degli A. claviger, movimento assai meno spiccato di quello che si verifica al crepuscolo serale. Si può dunque dire che i crepuscoli, specie quello serale, sono i tempi predi- letti dagli A. elaviger per nutrirsi. Occorre però notare che se l’aria è mossa essi non si fanno nè vedere nè sen- tire, così che mentre durante un tramonto calmo svolazzano a nuvoli, può darsi che al tramonto successivo non ne appaia alcuno. Gli A. elaviger pungono molto anche durante la notte, se però la temperatura non è troppo bassa. La notte dal 20 al 21 luglio 1899 venne da me passata a Maccarese per sorvegliare l’aia; al tramonto spirava, come al solito, un po’ di vento e gli A. claviger, non sì fecero vedere da noi che sedevamo davanti alle capanne. Verso le 21 e '/s l’aria diventò immobile; faceva caldo, splendeva la luna; noi stavamo sdraiati davanti alle capanne e mal ci potevamo difendere dagli A. claviger. Dentro le capanne essi non tormentavano meno. Continuarono a pungere fino alle 2; dalle 2 alle 4 non se ne sentì alcuno, perchè la temperatura si era abbassata; dalle 4 circa alle 6 ripigliarono a pungere in modo orribile. In Lombardia il numero delle ore della notte in cui gli Anofeli non pungono è in generale molto maggiore che nell'Italia media e meridionale, appunto per la diversità di temperatura. Per questa stessa ragione nell'Italia settentrionale all’ aperto, durante la notte di solito non si è punti, mentre ciò accade spesso nell'Italia media e meridionale. Bisogna tuttavia notare che in queste ultime parti d'Italia mentre ai crepuscoli — 127 — basta fermarsi un istante per esser punti, di notte in generale appena 15 o 20 mi- nuti dopo che si sta fermi, gli Anofeli cominciano a pungere. Neppure durante il giorno gli A. elaviger sono sempre inerti. Se ci mettiamo in un luogo aperto ma sufficientemente ombreggiato, non è raro che vengano a pun- gerci, sopratutto se ci addormentiamo; lo stesso accade alla luce ordinaria delle stanze, quando non sono molto illuminate, ovvero nelle giornate nuvolose. All'aperto di giorno non sì è punti, anche se il cielo è rannuvolato; dove batte il sole non si vedono mai gli A. claviger. Le eccezioni a queste ultime regole sono rarissime. Da quanto ho fin qui detto risulta che l'A. claviger di pieno giorno per solito non si allontana dalla sua dimora: se fosse altrimenti, ci pungerebbe anche all'aperto. Durante la notte può allontanarsi da essa, ma molto meno facilmente che ai crepu- scoli, sopratutto a quello serale, perchè, com'ho detto, prima che l'oscurità sia per- fetta, il numero degli A. elaviger che vengono a pungere è di gran lunga maggiore che a crepuscolo più avanzato o a notte fatta. Io credo di poter riunire i vari fatti esposti e altri, che per brevità passo sotto silenzio, distinguendo due casi. In un primo caso l'A. elaviger trovandosi vicino alla sua vittima può pungere, se la luce non è troppo viva, di giorno, di notte o ai crepuscoli, cioè quando ha appetito. In un secondo caso comunissimo a verificarsi per i neonati, gli A. claviger si trovano lontani dalle loro vittime; allora i momenti di pungere sono per lo più i crepuscoli, a preferenza quello serale, perchè al sorgere del giorno la temperatura è di solito troppo bassa. Ritengo insomma di poter stabilire che, fuori dei crepuscoli serale e mattutino, gli A. elaviger non sogliono fare lunghe migrazioni per pungere. Giacchè ho indirettamente parlato dell'influenza della luce sugli A. claviger, cogliendo l'occasione, aggiungerò alcuni altri fatti. Gli A. claviger non girano attorno ai lumi: tuttavia di notte sono attirati almeno fino a un certo punto nei locali illuminati, ciò che si verifica facilmente nelle stazioni ferroviarie. Essi non vengono trattenuti dal pungere, nè dalla luce elettrica, nè da alcun’ altra luce artificiale. Citerò infine un altro fatto noto a tutti quelli che abitano nei luoghi dove ab- bondano gli Anofeli e altre zanzare. Quivi per dormire sonni tranquilli occorre al far della sera socchiudere le imposte delle finestre lasciando un sol filo di luce; le zanzare abbandonano la stanza, fatta così oscura, per portarsi fuori all'aperto dove la luce va già declinando. Prima del tramonto questa precauzione non avrebbe avuto alcuna efficacia. 2. Anopheles pseudopictus. Quanto ho sopra detto per l’Anopheles claviger vale in complesso anche per l'A. pseudopictus, colla sola differenza che lo pseudopictus per quanto ho veduto, preferisce molto di star riparato nei canneti e tra gli arbusti, vicino alle acque palu- stri. Perciò ben difficilmente trova la sua vittima vicina. Esso punge a preferenza al tramonto, o al far del giorno. Ho trovato soltanto qualche pseudopietus nelle stalle; nelle case non ne ho mai trovati. Accade però, come ha notato Ficalbi, che — 128 — dopo aver succhiato si fermino per una parte o anche forse per tutta la notte sui muri dentro o fuori delle case. Un fatto simile ho sopra accennato per l’ Azopheles claviger. [Celli ha trovato in settembre gli Aropheles pseudopietus abbondanti dentro le case nel Vercellese: io credo che vi si fossero ritirati per lo svernamento]. 3. Anopheles bifurcatus. L'Anopheles bifurcatus si sviluppa, come ho detto, per solito nelle fontane, nelle sorgenti, ecc., in generale perciò in piccole superficie d'acqua. Ho trovato nella cavità piena d'acqua del tronco di un albero le larve di A. bifurcatus, var. nigripes. Quand'è alato, è in generale abitatore dei boschi, delle macchie e delle fratte per quanto minuscole; ciò ho verificato nei boschi del Ticino, nella Maremma Toscana, nella Campagna Romana, nelle Paludi Pontine. nella valle dell'Ofanto e del Basento, nel bosco di Policoro, nei dintorni di Sibari, S. Eufemia, ecc. Raramente abita in stalle, case, ecc, Quando noi siamo punti dagli Anofeli in un bosco, nella gran maggioranza dei casi si tratta di A. bifurcatus. Anche senza prenderli possiamo accertarcene, sia perchè sono in complesso più piccoli (almeno qualcuno si incontra sempre evidente- mente più piccolo di qualunque A. c/aviger); sia perchè, una volta appressatisi, pun- gono molto più rapidamente degli A. claviger, riuscendo così più difficile il guar- darcene. Nei boschi pungono anche di giorno. Durante i crepuscoli abbandonano i luoghi boscosi, che loro servono di rifugio, e vanno in cerca di nutrimento anche nelle abitazioni umane, nelle stalle ecc. Di notte possono talora entrare nelle sta- zioni ferroviarie illuminate e pungere. Anche essi evitano la luce viva del giorno e per non affrontarla, ancorchè digiuni, restano nei loro più o meno oscuri nascon- digli. Siccome abitualmente non si fermano nelle case e nelle stalle, quivi di solito non si è punti lungo il giorno. Nella stazione di S. Eufemia- Biforcazione qualche volta al far del giorno si vede un certo numero di A. bdi/urcatus, che battono contro i vetri delle finestre per uscire fuori; alcuni contengono sangue, altri no. Fu appunto in questa stazione che io ebbi occasione di confermare sull’Anopheles dbifureatus un osservazione del Ficalbi che, cioè, le zanzare qualche volta si poggiano dove c’ è gente, come in aspettativa di pungere. 4. Anopheles superpictus. Quanto all'A. superpietus, un intelligente impiegato ferroviario, il signor Marco- vecchio, da me indirizzato, ha fatto delle osservazioni interessantissime nel 1899 a Castelnuovo-Vallo. In questa stazione molto malarica nel luglio e nell'agosto gli A. claviger erano molto scarsi, mentre senza dubbio gli A. superpictus erano relativa- mente abbondanti. Al tramonto, secondo Marcovecchio, non si facevano vivi: essi pun gevano soltanto verso le 22-23 ore. A_ prova di questo fatto Marcovecchio ripetutamente durante l'estate passò la sera nudo sul letto, con due lumi accesi e colle finestre aperte; soltanto alle 22-23 ore fu assalito dagli A. superpictus. — 129 — Nell'ottobre dello stesso anno noi non abbiamo potuto confermare queste osser- vazioni di Marcovecchio, come risulta dai seguenti fatti. A Grassano il 22 ottobre all'imboccatura di una delle grotte, di cui ho parlato altrove, verso le ore 16 un A. superpietus cercò di pungermi, mentre il sole mi illuminava. Ma forse però questo superpictus era stato messo in moto da due individui, che si trovavano nella grotta. Nell’ estesa fattoria che sorge vicino alla stazione di Policoro il 29 ottobre si verificò con tutta sicurezza che gli A. superpietus venivano a pungere al tramonto insieme ai elaviger; prima che l'oscurità fosse completa scomparvero gli uni e gli altri. Quest'osservazione fu fatta da Noè, che insieme coll’ inserviente stava seduto sulla porta di una stalla, dentro la quale si trovava un certo numero di A. super- pictus. Nel corrente anno ho voluto ripetere io stesso l'osservazione nei mesi estivi, passando la notte dal 14 al 15 Agosto nella stazione di Castelnuovo-Vallo. Precisamente come aveva verificato Marcovecchio, pochi giorni prima, durante il crepuscolo serale vennero per pungerci pochi Aropheles claviger e qualche Culex pipiens; più tardi, oltre a qualche raro Anopheles claviger vennero molti Culex pi- piens. A cominciare dalle ore 21,25 di tratto in tratto entrarono nelle stanze illumi- nate della stazione, dove noi stavamo, piccoli voli di A. superpictus. Ciò durò fino alle 23,30 circa, poi si sollevò un po' di vento e non se ne videro più. Dopo le 2 il vento cessò, ma non comparvero più A. superpictus. Al far del giorno si videro soltanto un discreto numero di A. claviger e qualche €. pipiens. Successivamente (principio di settembre) Marcovecchio, essendosi recato in una stalla, nella quale stavano ricoverati gli A. superpictus, osservò «che alcuni venivano a pungere anche a notte appena fatta. Riunendo insieme le osservazioni fin qui riferite e richiamando quanto si è detto sull'A. elaviger, ritengo di poter distinguere anche per l'A. superpictus il caso in cui si trova vicino alla sua vittima, da quello in cui arriva ad essa migrando più o meno lontano dal proprio nascondiglio. Le migrazioni avvengono evidentemente a notte fatta, e ciò a differenza di quanto ho detto per gli A. elaviger. Quando la vittima è vicina, la puntura può avvenire anche in altre ore (°). La circostanza che gli A. superpictus migrano a notte fatta e l'altra circostanza che la stagione degli A. superpietus comincia al colmo dell'estate voglionsi forse mettere in rapporto col fatto che gli A. superpietus sono varietà di una specie molto diffusa nei paesi tropicali nei quali quasi non vi è crepuscolo. In breve si può dire che l'A. superpietus è una fo:ma essenzialmente propria dei paesi caldi, mentre l'A. claviger è propria dei climi temperati. (2) La spedizione inglese alla Nigeria sostiene che gli A. costalis, forme molto affini agli A. superpictus, pungono anche di giorno a luce viva. 17 — 130 — 5. Osservazioni varie. Le notizie che seguono sì riferiscono ad un tempo a varie specie di Aropheles. Un fatto del quale ho cercato molte volte di rendermi conto è la loro sin- golare localizzazione nei luoghi palustri. Si possono pensare varie spiegazioni. Gli Anofeli non costruiscono la ben nota barchetta dei Culex in cui le uova stanno verticali, ma le loro uova galleggiano orizzontali; molto facilmente, forse sempre, in natura, esse si sparpagliano. E ciò spiega il fatto che le larve di Anopheles si trovano raramente raggruppate in guisa da poterne pigliare molte con un colpo di reticella, come si fa con quelle dei Cu/ex. Lo sparpagliarsi delle uova e quindi delle larve giova, senza dubbio, almeno fino ad un certo punto, a preservarne una parte dai nemici e potrebbe essere il motivo per cui gli Anofeli, a differenza dei Cu/lex, prosperano anche in acque ricche di pesci. Ma ciò non può dar ragione della frequente ordinaria mancanza degli Aropheles nelle acque non palustri. Potrebbe darsi che gli Anofeli e in genere le zanzare palustri allo stato d' in- setto alato avessero bisogno di un grado di umidità quale non trovano facilmente d'estate nei luoghi non palustri. La circostanza che gli Aropheles hanno in generale l'esoscheletro meno spesso e l'addome sfornito di squamette, appoggerebbe il mio modo di vedere. Certo è che noi per tener vivi i Culicidi alati a temperatura da 25-30° e. dob- biamo procurare che l’ambiente sia umido e in complesso sembra che gli Anopheles abbiano bisogno di maggior umidità dei Culex pipiens. Questi tentativi di spiegare l’ /abz/af essenzialmente palustre degli Aropheles non sembrano sufficienti. Credo che la vera causa di questa localizzazione si debba cercare nel genere di vita della larva. È bene fissare che le larve di Anopheles claviger se vengono poste in certa quantità in un vaso riempito coll'acqua nella quale sono state prese, ovvero con acqua piovana senza vegetazione verde, tutte o quasi, dopo qualche tempo, muoiono: se le larve sono invece di Amopheles bifurcatus possono svilupparsi ulteriormente, benchè con molta lentezza; se infine invece che al gen. Aropheles appartengono al gen. Culex in gran parte arrivano dopo poco tempo allo stato di insetto alato. Ciò vuol dire che l'ambiente favorevole per i Culez, è più o meno sfavore- vole per gli Anopheles (°). Chi indaga quali ragioni lo rendono tale ne trova facilmente più d'una nella organizzazione delle larve. In primo luogo sulle acque raccolte nei vasi si forma facil. mente quella ben nota pellicola che è fatta di batteri, protozoi, muffe ecc.: nono- stante la presenza di questa pellicola le larve di Cu/ex possono respirare bene, prov- viste come sono di un tubetto respiratorio robusto e protetto da cinque valvole esterne che rappresenta un notevole perfezionamento mancante alle larve di Aropheles, la cui respirazione viene invece impacciata o impedita dalla suddetta pellicola (°). Le larve (4) Per spiegare l’eccezione presentata dall'A. difurcatus occorrono nuove ricerche. (0) Le larve di Aropheles por lo strapazzo subito nel prenderle e trasportarle in laboratorio facilmente muoiono asfissiate, eiò che non accade a quelle di Culez. — 131 — di Aropheles sono adattate a vivere al pelo dell'acqua, come dimostrano anche le due serie di setole a ventaglio sulla faccia dorsale, mentre quelle di Cu/ez toccano la superficie soltanto per respirare col tubolo, che serve a questa funzione. Ne segue che la suddetta pellicola circonda e probabilmente nuoce alla larva di Aropheles, mentre lascia libera la larva di Cu/ez. Come risulta dai movimenti degli organi rotatori, le larve di Cu/ex si nutrono sempre sott'acqua, mentre quelle di Aropheles (aventi la testa meno sviluppata) si nutrono soltanto mentre affiorano. A quelle, perciò servono come nutrimento tutti i piccoli esseri inferiori e il tritume che si trovano sott'acqua, mentre a queste servono soltanto quegli esseri inferiori e quel tritume che stanno superficiali. Orbene è evidente che così l'alimentazione è resa molto più facile ai Cu/ez che agli Ano- pheles; questi difficilmente trovano alimento sufficiente nell'acqua non palustre, non ricca di vegetazione verde che sia alla superficie o che almeno la tocchi; sono insomma specialmente le alghe superficiali che, trovandosi in abbondanza nelle acque palustri, formano un ambiente adatto alla vita delle larve di Amopheles (*). Resta sempre da spiegare perchè, ad esempio, i (. pipiens animali al periodo larvale molto più robusti degli Aropheles, nelle acque palustri siano spesse volte scarsi fino a mancare totalmente. Io suppongo che la femmina abbia perduto l'istinto di depositare le uova nelle paludi dove vivono molti animali che dànno avidamente la caccia alle larve dei Culicidi, caccia facile perchè esse si trovano piuttosto rag- gruppate. Può darsi anche che il €. pipiens non trovi nell'acqua palustre alimento sufficientemente adatto ai suoi bisogni, prediligendo esso le acque più o meno putride. * Xx x Ciò che ho esposto riguardo ai costumi degli Aropheles può trovare più o meno esatto riscontro nelle varie specie del genere Cu/ex: riguardo a questi mi limiterò a brevi notizie. È importante a notare il fatto che la maggior parte dei Cu/ez non vive quasi mai nelle case: eccezionalmente una volta vi ho trovato una certa quantità di Culex penicillaris (*): anche il Culex malariae vi fu rinvenuto una volta, ma in pic- colo numero. Invece le specie di Cu/ex che si trovano di solito nelle case sono le seguenti: Culex pipiens, Richiardii, spathipalpis, annulatus. Ficalbi vi ha trovato anche il Culex elegans. Koch dice di avervi trovato nei primi mesi della stagione calda piuttosto frequente il Culex nemorosus; probabilmente egli ha classificato come C. nemorosus, il Culex pipiens (°). (4) Studiando la letteratura della malaria si rileva con crescente meraviglia che tutte le vecchie osservazioni vengono spiegate dalle recenti scoperte. Così, per es., quelle alghe supposte febbrigene di cui tanti si occuparono (Salisbury, Balestra e Selmi), costituiscono appunto l’ambiente il più opportuno per la vita degli Anopheles, di cui parlo nel testo; si può dire dunque che se non sono causa diretta della malaria, concorrono però indirettamente a mantenerla. L'argomento meriterebbe uno studio particolare. (è) Eccezionalmente anche Noè li ha trovati numerosissimi nelle stalle di Locate Triulzi. (©) Ritengo che Koch si sia ingaunato nel fare la diagnosi della specie, per due motivi: I. Egli avrebbe trovato a Grosseto il Culex nemorosus molto comune nelle case al principio dell'estate, e ciò è in contrasto con quanto ho osservato io, che l'ho cercato invano per lunghissimo — 182 — Ficalbi: ha notato che il maschio di €. elegans succhia sangue, ma negli altri Culicidi non abbiamo mai riscontrato niente di simile. Riguardo al nutrirsi dei Cu/ex, è d'uopo notare che essi digeriscono più len- tamente degli Anopheles; evidentemente d'estate la digestione dura da 12 a 24 ore di più. Il Culex pipiens (sugli altri non ho potuto fare osservazioni) non è così parco come in generale l’Amophe/es: esso piglia sovente nuovo sangue ancorchè non abbia ancor finito di digerire quello precedentemente succhiato; appunto perciò esso riesce più tormentoso dell’Anopheles. A molti il €. pipiens reca gran noia per il rumore che fa; certamente gli Ano pheles non fanno rumore, però eccezionalmente anch'essi si annunciano con quel suono, che ha fatto dare l'appellativo onomatopeico di pipiens al Culec più comune. 6. Conclusione. Ritornando sui fatti principali esposti în questo capitolo mi preme far notare come molti di essi rendano mirabilmente conto di certe osservazioni empiriche riguardanti la malaria. Così è noto che chi si trattiene nei luoghi malarici soltanto durante il giorno prende le febbri molto più difficilmente di chi vi passa la notte, che chi dorme, prende facilmente le febbri anche durante il giorno e che le ore del erepuscoli sono molto pericolose. È noto in proposito il proverbio dei Sibariti: Se volete vivere in buona salute non vedete giammai nè il sorgere nè il calar del sole (Lenormant: Za Grande Grèce). Basta richiamare le sovra esposte circostanze riguar- danti le ore e le condizioni in cui gli Anofeli pungono per trovare la ragione scien- tifica di questi fatti che l'esperienza ha insegnato al popolo. [Mentre correggo le bozze di stampa ricevo l'interessante libro di Kerschbaumer, Ueber die Malaria (Wien und Leipzig 1901). Non posso qui farne un esame mi- nuto, mi limito soltanto a dire che i fatti da me osservati contraddicono la legge dell'autore austriaco che, cioè, Ze sancare non si sviluppano in alcuna acqua (nep- pure alle sponde basse!), che in complesso sia più profonda di un metro: io ho trovato le larve delle zanzare e più specialmente degli Anofeli in riva a laghi, stagni, paludi o fiumi lenti, anche se la loro profondità superava di molto il metro]. tempo nelle case a Grosseto e altrove e l'ho rinvenuto, soltanto ibernante, due volte, a Maccarese e a Sibari, un esemplare per volta, e con quanto ha visto Ficalbi il quale asserisce di non aver mai constatato che s’introduca nelle case. II. Egli avrebbe fatto sviluppare l'’Yaemamoeba degli uccelli nel settembre del 1898 in un Culex da lui definito nemorosus, ottenuto da larve raccolte in una vasca dell’ Istituto di Sanità dello Stato a S. Eusebio in Roma (notizia comunicatami da Gosio) mentre nei dintorni di S. Eu- sebio nessuno ha mai trovato il Culex nemorosus. Recentemente anche Testi (85) assistente onorario del prof. Gosio, ha espresso il dubbio che Koch abbia confuso il C. remorosus col C. pipiens. — 133 — CAPITOLO VI. Parte sperimentale e decorso dell’ epidemia. 1. Esperimenti dimostranti che le varie specie di Anopheles propagano la malaria dell’uomo. Con Bignami e Bastianelli ho dimostrato sperimentalmente che l'A. elaviger è atto a propagare la malaria umana; gli esperimenti furono fatti e ripetuti le cento volte da ognuno di noi. 4 un fatto degno di nota che essi non riescono tutti positivi; ciò si spiega facilmente quando si tengano presenti due condizioni: 1°. Vi sono individui i quali benchè abbiano i gameti nel sangue, pure non si prestano per infettare gli Aropheles; come dico altrove, alle volte questi gameti sono troppo giovani, più di spesso sembrano invecchiati ovvero forse sono già avviati alla partenogenesi per la recidiva. (Vedi il Capitolo successivo). 2°. Vi sono Amopheles che non s'infettano; sembra che essi godano di un’ immu- nità congenita, come si dimostra adoperando Aropheles neonati e facendoli pungere pa- recchie volte prima di sezionarli. In tal caso si dovrebbero trovare i parassiti in varî stadî di sviluppo corrispondenti ai varî giorni in cui è avvenuta la nutrizione del- l'Anopheles; invece se questo è immune, non si trova traccia di alcun parassita. Nel fare questi esperimenti occorre però approfittare del caso di un malato con molti gameti, che persistono a svilupparsi per tutti gli 8-12 giorni che dura l’ esperimento. Perciò prima di conchiudere che gli Aropheles siano immuni occorrerà essere sicuri che i gameti da loro succhiati fossero attivi; questa sicurezza risulta facilmente quando gli esperimenti non si limitino a un numero troppo piccolo di Amopheles. La convinzione assoluta che certi Aropheles sono, almeno temporaneamente, im- muni io l'ho acquistata soprattutto nel caso di un paziente in cui il numero delle semilune era enorme. Di 5 Aropheles, per citare un esempio, che punsero in una mezz'ora questo paziente, 2 s'infettarono enormemente, 3 non s'infettarono affatto. Sezionando molti altri Aropheles, che avevano punto quest'individuo da 24 ore, ho potuto determinare che parecchi stavano digerendo le semilune le quali perciò appa- rivano in via di disgregazione; tutti gli altri invece presentavano un enorme numero di vermicoli (). (2) Ross, nel suo Report (77) 1900 (pag. 29-30) mi fa dire senz’altro che il non riuscire degli esperimenti quando sono presenti i gameti è dovuto all’immunità. « Questa, dice Ross, non può essere la vera causa, o almeno tutta la causa, perchè alle volte accadde negli esperimenti fatti in — 134 — In conclusione, non ostante le sopraesposte difficoltà, con un po' d' insistenza gli esperimenti colla terzana e colla bidua riescono facilmente. Non si può dire lo stesso per la quartana. Molte circostanze facevano ritenere che anche il parassita della quartana dovesse svilupparsi nell’ A. elaviger. I risultati però erano sempre stati negativi, ciò che si spiegava colla scarsezza dei gameti. Finalmente tra cinque A. claviger nutritisi sopra una quartanaria (donna affetta da quartana da diciotto mesi e presentante nel sangue un enorme numero di parassiti tra cui rarissimi gameti), uno mi ha presentato due amfionti (oocisti) aventi il pigmento caratteristico del parassita quartanario. Questi amfionti erano arretrati nello sviluppo più di quanto si sarebbe aspettato, e infatti essi erano provenienti da sangue succhiato da tre giorni e avevano dimensioni corrispondenti presso a poco a quelle delle oocisti di due giorni provenienti da semilune. Il reperto sopra riportato, benchè unico, venne da me, da Bignami e da Bastia- nelli ritenuto positivo perchè l’ A. claviger suddetto da circa un mese (eravamo nel- India che di una grande quantità di Culex fatigans (pipiens) nutriti su uecelli coll’. relieta, quasi ogni insetto fosse infetto ». Ross, dopo aver riferito un caso di diciotto Anopheles allevati artificialmente, che avendo punto individui semilunari (semilune scarse) e quartanari, diedero tutti resultato negativo, fa osser- vare che il 25 °/0 degli Anopheles della stessa specie presi in libertà, contenevano parassiti, e ritiene perciò poco verosimile che tutti i suddetti diciotto individui fossero immuni. «È più probabile » soggiunge, « che sia stata tralasciata negli esperimenti qualche cosa che è presente nelle condizioni naturali e che è essenziale per la coltivazione dei parassiti. Che cosa sia non possiamo dirlo con certezza, ma è degno di nota che tutti i nostri esperimenti positivi in India, senza eccezione, erano stati fatti con insetti nutriti in zanzariere in presenza dei maschi, mentre gli esperimenti negativi, colle varie specie di Aropheles nutriti di sangue umano, erano stati fatti con femmine isolate e perciò non fecondate. L'importanza della fecondazione si può spiegare colla circostanza che il sangue è necessario per la maturazione delle uova. Se le uova non sono state fecondate, il sangue non può essere molto necessario all’insetto e possi- bilmente viene evacuato senza alcun processo digestivo che è forse necessario per la vitalità degli zigoti. Gli esperimenti in India hanno mostrato considerevoli variazioni nel numero degli zigoti tro- vati nelle zanzare nutrite anche contemporaneamente sullo stesso malato. Questa variazione potrebbe dipendere dalla quantità di sangue succhiata da difterenti individui, e anche probabilmente dalle differenze di qualità dei loro succhi digerenti; ma nel medesimo tempo è stato dimostrato che pochi individui di una specie adatta sfuggono interamente all’infezione se nutriti in modo opportuno ». Leggasi invece quanto ho seritto io nella critica alle conclusioni di Koch (34 e 35) pubbli- cata nell'ottobre 1899: « Quanto alle prove negative avute da Koch facendo pungere da Anofeli un uomo infetto, non mi fanno alcuna meraviglia, perchè molte volte mi è capitata la stessa cosa, e ciò ho attribuito ora agli Anofeli, ora alla condizione delle semilune. Si noti però, perchè non nasca equivoco, che, del pari, molte volte ho trovato dei semilunari che per molti giorni di seguito infettavano il 90 °/ degli Anofeli. I suddetti casi negativi, del resto, sono ben noti anche per le altre malattie parassitarie ». L'opinione di Ross che l’Aropheles non fecondato evacui il sangue senza digerirlo è assoluta- mente infondata. Del pari è infondata l'opinione che i parassiti malarici non si sviluppino nelle zanzare non fecondate, come risulta dalle ricerche fatte nel mio laboratorio dal dott. Basili per il Culex pipiens e come ho confermato io stesso per l’Anopheles claviger. — 135 — l'inverno 1898-99) si trovava hel mio laboratorio e non aveva mai succhiato altro che sangue di individui sani. Aggiungasi che il sangue della donna stato a lungo da me esaminato, una volta anche in presenza del dott. Bastianelli, aveva confermato la diagnosi, già evidente in base al decorso della febbre, di quartana classica e pura. Durante il luglio e l'agosto 1899 ebbi occasione di ripetere la prova sopra un quartanario antico ottenendo risultati positivi, anche con A. claviger nati in labora- torio. Altre prove positive ottennero per proprio conto Bignami e Bastianelli. La scoperta che gli Aropheles propagano anche la quartana venne recentemente confermata da Ross. Una volta dimostrato che l’ A. c/aviger propaga le varie specie di parassiti ma- larici dell'uomo, anche gli altri Aropheles, per ragioni epidemiologiche, dovevano ri- tenersi sospetti. Siccome sapevo procurarmeli, diventava relativamente facile metterli alla prova, adoperando come termine di paragone l'A. elaviger. Nel gennaio 1899 mi recai perciò in Basilicata e precisamente a Grassano dove in una grotta raccolsi un A. superpietus; pur troppo non mi fu dato usufruirlo; ma dopo varî tentativi ho potuto procurarmene altri cinque. Evidentemente da tempo non ave- vano succhiato sangue, tanto che facilmente s'attaccarono (il 27 gennaio nel luogo stesso dove furono trovati) ad un uomo, che qualche giorno prima aveva avuto febbre, supposta malarica. Tre morirono nelle prime 24 ore; un quarto morì il 2 febbraio senza aver voluto altra volta nutrirsi; tutti e quattro all'esame microscopico diedero risultato negativo. Il quinto invece, da cui Bignami e Bastianelli avevano fatto pun- gere il 29 e il 31 gennaio nell’ Ospedale di S. Spirito un individuo infetto di semilune, aveva nelle pareti dell'intestino i soliti amfionti in via di sviluppo e precisamente in numero di tre, uno più piccolo e due più grandi; il primo derivato probabilmente dalla puntura del 31 e gli altri due da quella del 29. Gli A. elaviger, tenuti per controllo nelle stesse condizioni di nutrizione e di temperatura, diedero quasi tutti reperto positivo. In essi il numero degli amfionti era però molto maggiore, il che può attribuirsi al fatto che gli A. claviger, essendo più grandi, possono succhiare una maggior quantità di sangue. Nei mesi di luglio e di agosto 1899, l'impiegato ferroviario Marcovecchio mi portò ripetutamente da Castelnuovo Vallo altri A. superpictus, sui quali sperimentai, con risultato positivo, sia per la terzana, sia per le semilune. I primi esperimenti sugli A. difureatus richiesero molta fatica, per la diffi- coltà di procurarsi il materiale, essendo la stagione inopportuna; anche quei po- chissimi che si potevano avere, morivano per lo più senza voler pungere. Vidi così con dolore andar perduto un materiale raccolto con gran pena, finchè nella stalla dei bovini annessa al Chiostro delle Tre Fontane trovai gli A. difurcatus in una certa quantità; dopo altri vani tentativi finalmente raggiunsi lo scopo. Gl'individui che furono adoperati tendevano alla varietà r797/pes. Bignami e Bastianelli curarono che pungessero un individuo semilunare e parecchi terzanarî; e tanto per l'infezione semilunare, quanto per l'infezione terzanaria, abbiamo ottenuti risultati positivi: i varî stadî di sviluppo, osservati nelle pareti dell'intestino degli A. difureatus, corri- spondevano perfettamente a quelli che si riscontravano negli A. claviger, tenuti nelle stesse condizioni. — 136 — Bisognava sperimentare anche coll'A. di/urcatus tipico; ciò che ho fatto io nella villetta del Principe di Maccarese, sia per la terzana sia per le semilune, (Vedi paragrafo 2° di questo Capitolo) Restava a provare l'A. pseudopictus. Dopo vani tentativi, fatti coi colleghi sud- detti, mi decisi a portare un ammalato in buone condizioni in una località dove c'erano molti Aropheles di questa specie e precisamente a Chiarone, sul confine della Maremma Toscana colla Campagna Romana. L'ammalato, infetto di gameti terzanarî e semilunari, venne punto, alla sera del primo giorno, da un A. pseudopictus, che si infettò. Una ventina degli stessi Amo- pheles pseudopietus vennero portati a Roma: purtroppo circa dieci morirono per istrada e non poterono essere esaminati. I dieci rimanenti, al mattino seguente, si sperimentarono sullo stesso individuo tornato a Roma; di cinque che punsero, quattro s'infettarono e uno no; invece non presentarono traccie d'infezione gli altri cinque, che, ripeto, erano stati presi contemporaneamente nella stessa località e non avevano punto. Successivamente ho potuto sperimentare anche con tre A. pseudopictus nati in laboratorio: due con risultato positivo e uno con risultato negativo. Resta perciò dimostrato che tutte le specie italiane del genere Anopheles pos- sono propagare le varie specie di parassiti malarici umani. È ben lecito indurne da ciò che si verificherà anche per le altre specie di Anopheles che si trovano nei vari continenti (°). Il genere Megarhina, essendo verosimilmente affine al genere Anopheles, resta molto sospetto. 2. Esperimenti dimostranti che i Culez, il Centrotypus, i Phlebotomus ecc. non propagano la malaria umana. Come ci insegna la pratica fatta cogli Anopheles, per determinare se altre specie di zanzare siano atte a propagare la malaria umana, basta far sì che esse pungano un uomo, il cui sangue contenga gameti capaci di svilupparsi. Benchè già nel Capitolo che tratta dei metodi di indagine, siano state riferite le norme principali, non riuscirà qui del tutto inutile l’insistere ancora sopra di esse. Le zanzare, che hanno punto, si tengono a temperatura di 25°-30°, fino a che abbiano completata la digestione (da 40 a 72 ore), cioè fino che non trasparisca più dall'addome alcuna traccia di sangue. Si passa allora all'esame della zanzara stessa per ricercare i parassiti giovani nello spessore della parete intestinale. Basta a questo scopo isolare l'intestino in una soluzione di formalina, distenderlo su un vetrino porta-oggetti ed esaminarlo con un buon obbiettivo a secco (p. es. Kor. 8). Ove sorga qualche dubbio, si fa uso di una lente ad immersione. I parassiti si distin- guono facilmente alla superficie esterna dell'intestino tra le fibre muscolari; il loro pigmento permette di riconoscerli con facilità. (4) [Questa mia conclusione del giugno 1899, venne estesamente confermata: Ross, Ziemann, Daniels ecc.]. — 137 — Questo semplice modo di sperimentare conduce ad una conclusione sicura. È però necessario attenerci alle seguenti cautele: 1°. Non sperimentare con un solo individuo di una specie, ma con un certo numero, potendo accadere per avventura che i primi individui, con cui si esperimenta, siano immuni. 2°. Sperimentare contemporaneamente con alcuni Aropheles, per assicurarsi che il malarico è in buone condizioni per infettare gli insetti. 3°. Accertare che la grandezza dei parassiti, che si riscontrano, è propor- zionale al tempo che hanno vissuto nell'intestino ad una certa temperatura. A). Esperimenti col Culex pipiens. Il giorno 18 giugno un vecchio con gameti terzanari ed estivo-autunnali, fu punto da 2 €. pipiens, 3 A. bifurcatus e 2 A. claviger nella villetta del Principe a Maccarese; gli Aropheles d'ambo le forme s'infettarono tutti, eccetto un di/ur- catus; è 2 C. pipiens invece non s'infettarono. Lo stesso individuo il 20 giugno a Chiarone, fu punto da 20 C. pipiens, da 1 A. pseudopictus e da 5 A. claviger; tutti gli Amopheles s'infettarono eccetto uno degli ultimi cinque; nessun C. pipiens s'infettò. In varie altre occasioni ho sperimentato con risultati negativi su qualche C. pipiens. A Grosseto ho fatto le seguenti altre prove con due malarici presi all'ospedale e con due altri da me portati da Roma, tutti e quattro aventi nel sangue i gameti semilunari. Mi son fatto cedere temporaneamente una camera di un dormitorio delle ferrovie, ove si trovavano €. pipiens. In questa camera dormivano i malarici suddetti e tutti i C. pipiens, che venivano a pungerli, erano catturati da tre miei impiegati, che vegliavano a turno. Siccome di €. pipiens nella camera ve ne era un limitato numero e d’altra parte (essendo bassa la temperatura esterna) non si potevano tenere aperte le finestre per attirarne, così ogni giorno si apriva in essa un vaso di Cl. pi- piens presi a preferenza nelle abitazioni, od in qualche cloaca (in quest ultimo cuso perciò presumibilmente neonati). Contemporaneamente gli ammalati suddetti si face- vano pungere da A. e/aviger presi in una capanna vicina al deposito dei cavalli. Questi Anofeli in gran parte erano colle ovaie molto arretrate nello sviluppo, pro- babilmente neonati, e senza sangue; ne avevo esaminati una quarantina in varie riprese senza trovare i parassiti malarici nel loro intestino. Non ostante che la temperatura «della camera non scendesse al disotto dei 22-23°, Anofeli e C. pipiens, subito dopo la puntura, venivano posti in vasetti, che si tene- vano caldi, aiutandosi col calore naturale del corpo. Al mattino successivo i vasetti venivano portati in una camera dell'ospedale, nella quale la temperatura oscillava fra i 26° e i 81°. Si ricordi (Cap. V) che i C. pipiens, come gli altri Culez, dige- riscono più lentamente che gli Anofeli. Questi infatti eran vuoti dopo 40 ore, mentre i Culex non sì vuotavano che al terzo giorno, e perciò soltanto allora si potevano 18 — 138 — esaminare: per poter esaminare contemporaneamente gli Aropheles dopo 40 ore, si toglievano dalla camera riscaldata e si tenevano a temperatura ordinaria, altrimenti morivano di fame. Occorreva, al secondo giorno, cambiare il vasetto ai Cu/ez, altri- menti morivano tutti. Procedendo in questo modo, il giorno 28 settembre potei esa- minare 9 C. pipiens ed 1 A. claviger. Questo era leggermente infetto, mentre non lo erano i C. pipiens. Il giorno 29 esaminai 7 C. pipiens e 3 A. claviger: dei 7 C. pi- piens nessuno era infetto, dei 3 Anofeles 2 erano infetti leggermente ed 1 no. Il giorno 50 esaminai 16 C. pipiens, nessuno era infetto; 8 A. claviger, 2 molto infetti e 6 no. Il giorno 1 ottobre, 15 C. pipiens non infetti, 8 A. claviger di cui 2 infetti e 6 no. Il giorno 2, 13 C. pipiens non infetti, e 4 A. claviger, 1 infetto e 3 no. Il giorno 4, 39 C. pipiens non infetti di fronte a 7 A. elaviger di cui 2 infetti e 5 no. ll giorno 5 ottobre, 20 €. pipiens non infetti di fronte a 9 A. elaviger di cui 2 infetti e 7 no. Gli A. elaviger infetti erano tutti in quegli stadî di sviluppo che sappiamo corrispondenti al numero delle ore trascorse dopo la loro infezione. Mi occorsero poi due fatti apparentemente opposti a questi riferiti. In un C. pipiens che aveva punto sotto gli alberi della Stazione uno dei nostri malarici, io ho trovato lungo l'intestino un certo numero di parassiti che si potevano riferire al quarto o quinto giorno ed un parassita relativamente piccolo, scambiabile con quelli che ho ritrovato negli Azopheles. Evidentemente, come risulta anche meglio da quanto dirò in appresso, questo €. pipiezs aveva punto dei passeri e si era infettato di Zae- mamoeba: la forma piccola od era arretrata nello sviluppo, ciò che ho verificato anche in altri casi, ovvero sì era sviluppata in seguito ad ulteriore puntura d' uccello. Notisi a questo riguardo che il €. pipiens non è parco come in generale l’Anopheles: esso piglia nuovo sangue ancorchè non abbia ancor finito di digerire il precedente. Anche questa circostanza potrebbe spiegare la presenza del parassita piccolo di cui sopra. Un ragazzino le cui semilune presentavano pigmento sparso e non si flagella- vano mai, non infettò mai alcun A. claviger nè alcun l. pipiens. Perciò non ne tenni calcolo nelle sopra esposte cifre. Soltanto l'ultimo giorno trovai tra i parecchi A. claviger che io avevano punto, uno infetto in stadî corrispondenti al quarto giorno a 30°; evidentemente questo Anofele era già infetto quando punse il ragazzino. Chi non ha pratica di queste ricerche, potrebbe meravigliarsi che io non abbia trovato infetti un certo numero di Anofeli; la cosa però a me è già occorsa molte volte. Nel caso attuale è notevole che gli Anofeli, ancorchè vuoti, (forse perchè era già cominciata l'ibernazione) non volevano succhiare ed alle volte occorrevano delle ore per costringerli a nutrirsi un pochino, applicandoli sulla pelle con una provetta. Comunque sia, i fatti qui riferiti mi persuasero che il €. pipiens non si infetta coi parassiti malarici dell’ uomo. A complemento di quanto sopra ho esposto, debbo aggiungere che anche il nostro Culex pipiens, come il grey mosguito di Ross, s' infetta molto facilmente con una sorta di parassiti malarici degli uccelli (Zaemamoeba relicta, Grassi e Fe- letti 1890), come avevo avuto ripetutamente occasione di dimostrare a Roma (°). (4) Koch s'inganna, asserendo che soltanto il €. nemorosus punge gli uccelli. — 139 — Siccome i passeri con gameti dell’. relieta, quand'io sperimentava, erano a (Grosseto relativamente frequenti, così furono da me usufruiti largamente per ripetere l'esperimento. Messi in una gabbia, sotto una zanzariera, facilmente infet- tavano i C. pipiens che vi si erano lasciati liberi. Siccome occorreva che la tempe- ratura dell'ambiente fosse opportuna, così mi servivo della camera riscaldata della quale ho parlato più sopra. Nel 1900 avendo io e Noè verificato che i Culewx pipiens raramente e poco si infettano di filaria immitis (su circa 50 che punsero un cane infetto, due soli si infettarono e molto leggermente), mentre i Culez perzezllaris si infettano tutti, senza eccezione, e molto, mi tornò il sospetto che in casi eccezionali anche il Culex pi- piens potesse propagare la malaria. :Feci perciò raccogliere molti Culex pipiens in località gravemente malariche (Capaccio, Ogliastro, Castelnuovo-Vallo, Metaponto e Grosseto) quando l’ epidemia era quasi al colmo e li lasciai liberi nella mia camera e in quelle della mia fami- glia. L'esperimento fu fatto e ripetuto; in sei fummo punti molte volte: nessuno ebbe a risentirne alcun dànno. Lo stesso Noè che passò due notti a Metaponto per raccogliere i Culex e fu da essi orribilmente punto, mentre invece evitò qualunque puntura di Aropheles, restò sano. Aggiungasi che nell’esperimento di protezione meccanica fatto nella piana di Capaccio, del quale si parla nell'ultimo Capitolo del presente lavoro i Culew pipiens non si poterono escludere che parzialmente dalle case protette, in alcune penetrarono anzi in gran quantità e arrivarono a riempirsi di sangue, ciò non ostante non si sviluppò alcun caso di malaria negli individui che vennero punti. B). Esperimenti cogli altri Culex, coi Phlebotomus, coi Centrotypus ecc. Dalle molte serie di esperimenti fatti in grandissima parte nella villetta del principe di Maccarese tolgo le seguenti: 7 giugno 1899. — Esame di ditteri, che avevano punto contemporaneamente un terzanario (terzana ordinaria): 13 €. penzcillaris, diedero risultato negativo. — 13 C. albopunetatus, id. — 1 A. claviger, apparve abbastanza infetto. — 1 A. bdi- furcatus, abbastanza infetto. 8 giugno. — Lo stesso terzanario coi gameti abbondanti: 7 €. a/bopunetatus, negativo. — 3 C. penicillaris, id. — 1 €. pulchritarsis, id. — 6 C. verans (seu malariae), id. (2). 9 giugno. — Lo stesso terzanario: 1 £. penicillaris, negativo. — 2 C. albo- punctatus, id. — 3 C. vexwans, id. — 1 C. pulchritarsis, id. — 1 C. Richiardii, id. — 3 A. claviger, 1 negativo e 2 mediocremente infetti. 12 giugno. — Un vecchio coi gameti terzanari e semilunari: 3 €. penicillaris, negativo. — 4 A. elaviger, 3 negativi e 1 mediocremente infetto. (*) La dicitura è abbreviata, ma essendo conforme a quella dell'esperimento del 7 giugno, il senso risulta chiaro. — 140 — 13 giugno. — Individuo precedente: 1 C. pericillaris, negativo. — 8 0. albo- punctatus, id. — 1 C. Richiardii, id. — 1 A. bifurcatus, molto infetto. 13 giugno. — Il suddetto terzanario col sangue non presentante che rarissimi gameti: 6 C. albopunetatus, negativo. — 1 C. pipiens, id. — 2 C. peniciliaris, id. — 3 C. verans, id. — 2 A. bifurcatus, id. — 1 A. claviger, id. 14 giugno. — Il terzanario dei giorni 7, 8 e 9 nel quale erano ricomparsi abbondanti gameti: 13 A. claviger, 4 negativi, 9 molto infetti. 15 giugno. — Il vecchio suddetto: 21 serrapiche (Centrotypus irritans, Noè), negativo. — Parecchi A. claviger, positivi. 16 giugno. — Il vecchio suddetto: 6 C. a/bopunetatus, negativo. — 2 (. ve- vans, id. — 1 A. bifurcatus, positivo. — 1 A. claviger, negativo. 16 giugno. — Il vecchio suddetto: 1 C. albopunctatus, negativo. — 3 Cl. ve- xans, id. — 3 A. bifurcatus, positivo. — 2 A. claviger, id. 18 giugno. — Il vecchio suddetto: 9 C. verazs, negativo. — 4 C. albopun- ctatus, id. — 1 C. penicillaris, id. — 2 C. pipiens, id. — 1 C. nemorosus, id. — 1 C. annulatus, id. — 3 A. bifureatus, 1 negativo e 2 positivi. — 2 A. claviger, positivi. 19 giugno. — Il solito vecchio: 3 C. al/bopunctatus, negativo. — 1 (€. ve- rans, id. — 7 A. bifurcatus, positivo. — 3 A. elaviger, id. — 2 Phlebotomus, negativo. 20 giugno. — Il solito vecchio: 1 C. Richiardii, negativo. — 20 C. pipiens, id. — 1 A. pseudopictus, positivo. — 5 A. elaviger, 4 positivi e 1 negativo. 27 giugno. — Il solito vecchio: 2 (. al/bopunctatus, negativo. — 1 €. ve- sans, id. — 1 A. claviger, positivo. 29 giugno. — Un quartanario: 7 Cl. penzcillaris, negativo. — 1 C. albopun- ctatus, id. — 1 C. pipîiens, id. — 5 A. claviger, 4 negativi e 1 positivo. 31 luglio. — Un semilunare: 36 Cl. vezans, negativo. — 12 €. penicillaris, id. — 3 A. claviger, 1 negativo e 2 positivi. — 1 A. difurcatus, positivo. 1 agosto. — Un semilunare: 50 €. vezans, negativo. — 1 C. penicillaris, id. — 1 A. claviger, positivo. 4 agosto. — Un semilunare con molti gameti: 1 (€. «lbopunctatus, nega- tivo. — 1 €. Richiardii, id. — 1 ©. pipiens, id. — 5 Centrotypus irritans, id. — 7 Phlebotomus, id. — N. B. Gli Aropheles che punsero il giorno prima e il giorno . dopo lo stesso individuo s'infettarono molto. 5 agosto. — Un semilunare: 39 C. penicillaris, negativo. — 1 C. Richiardii, id. — 4 C. vexans, id. — 2 Centrotypus irritans, id. — 6 A. elaviger, 2 negativi, 4 positivi. — 16 Phlebotomus, negativi. 8 agosto. — Un semilunare: 25 C. vezans, negativo. — 1 €. pipiens, id. — 1 C. albopunetatus, id. — 7 A. claviger, 4 positivi e 3 negativi. In varie occasioni ebbi a sperimentare con risultato indiscutibilmente negativo una ventina di Culex che allora non seppi determinare e che per conseguenza non furono da me registrati. Oggi so che si trattava molto probabilmente della specie C. modestus. Tacendo di altre serie di esperimenti, già i dati esposti sono sufficienti per di- mostrare in modo incontrovertibile che anche i Cul/ex molto comuni e quasi carat- x 2 teristici dei luoghi malarici, cioè i Culew penzicillaris e verans, o malariae, non propagano la malaria dell’uomo. ll C. albopunetatus e il Richiardii vengono pure esclusi; gli esperimenti benchè non siano stati numerosi, possono però ritenersi sufficienti. Di altre specie pochissimi individui vennero sperimentati perchè sono relativa- mente rari. Ciò non ostante chi tien presente tutto il complesso de’ miei esperi- menti sui Cx/ex, non che la distribuzione geografica delle specie poco sperimentate e riflette inoltre che tutte le specie di Anopheles si mostrarono capaci di propagar la malaria, mentre nessuna specie di Cu/ex si mostrò tale, troverà giustificata la mia induzione che i Cu/ez non hanno nulla a che fare con la malaria umana. Aggiungasi inoltre: 1°. Che delle specie denominate Culex annulatus e spathipalpis esaminai molti individui presi nelle camere dei malarici senza mai trovarli infetti (°). 2°. Ross sperimentò sull'uomo con risultato negativo il greenish dappled-win- ged mosquito, che a mio avviso, dev'essere il C. annulatus, ovvero una forma affine. Dal momento che i Cu/ex non sono atti a propagare i parassiti malarici del- l'uomo e una specie propaga invece una sorta di quelli degli uccelli, riusciva inte- ressante vedere se le altre specie del medesimo genere Cu/ex servono del pari per gli stessi o per altri parassiti degli uccelli, o dei pipistrelli. Si fecero perciò molti esperimenti che riuscirono negativi a Dionisi per i pipistrelli e a me per gli uccelli. Mi preme far rilevare che io sperimentai invano per l'Ya/teridium degli uccelli, molti Cl. pipiens, C. verans, C. penicillaris, C. albopunetatus, parecchi Phlebotomus e infine alcuni 0. annulatus e C. pulchritarsis. Le stesse specie, eccettuato, come ben s'intende, il Culex pipiens, diedero risul- tato negativo per l'Yuemamoeba; ma, essendomi mancate le prove di confronto e gli individui sperimentati per le varie specie essendo stati pochi di numero, non oso conchiudere definitivamente. Anche gli esperimenti sui Ph/ebotomus e sui Centrotypus diedero risultati suf- ficienti per poter dimostrare che tali insetti non possono propagare la malaria umana. Colle pulci e coi pidocchi ho creduto inutile di tentare. Colle sanguisughe già in altri tempi avevo fatto sperimenti negativi; con esse anche altri hanno sperimentato senza risultato. Coi tafani ho fatto pochi sperimenti negativi. Negativi risultarono anche alcuni esperimenti colle zecche; noto a questo riguardo che le larve del Rh:- picephalus annulatus provenienti da madri infette di Pyzosoma non vollero attac- carsi all'uomo nonostante che venissero sperimentate abbondantemente in tre casi. 3. Esperimenti dimostranti che gli Anopheles inoculano la malaria all'uomo. Nei primi tempi in cui io mi occupai di malaria credetti necessario di fare una prova sull'uomo; ma non seppi vincere la ripugnanza che m' ispirava qualunque prova eventualmente dannosa ad una persona, la quale, per quanto informata pre- (4) In un caso trovai nelle ghiandole salivari certe forme che supposi sporozoiti e che più tardi riconobbi come pseudosporozoiti. — 142 — ventivamente, non può forse avere un giusto concetto del pericolo a cui si espone. Sperimentai perciò dapprima sopra me stesso. A Rovellasca nel mese di settembre 1898 tentai di farmi pungere dagli A. claviger, che avevo raccolti nelle camere degli ammalati di malaria a Locate-Triulzi. L’ingegner Billitz per questo scopo mi fece costruire una cassetta di legno con un foro quadrato chiudibile da un coperchio a guaina. Coi tubi di vetro i ragazzi da me istruiti raccolsero gli Aropheles, che mettemmo nella cassetta e portammo a Rovellasca, dove li liberai nella mia camera; moltissimi morirono già nelle prime 24 ore; i pochi sopravvissuti non mi punsero, sia perchè la temperatura si era abbassata (eravamo nella seconda decina di set- tembre), sia perchè erano strapazzati per il trasporto, sia infine perchè in generale gli Anopheles claviger non vengono a pungermi. Alcuni, nonostante le mie cure, pas- sarono nella stanza da letto di mia mamma e di mia sorella e uno punse la mia mamma senza conseguenza alcuna. Dopo qualche giorno nelle nostre camere non si trovò più alcun Amopheles vivo; frattanto la donna di servizio, che nulla sapeva del mio esperimento, notava con meraviglia che specialmente nella mia camera si trovavano sui muri zanzare morte. Passo ora agli esperimenti che hanno dato risultato positivo. Primo esperimento. Tornato a Roma il 25 sett. trovai che la temperatura era ancora alta e gli Anopheles pungevano ancora; pensai quindi di ripetere l'esperimento non più su me stesso, anche perchè se mi fossi infettato di malaria non avrei potuto continuare il mio studio, bensì sopra un individuo che si fosse prestato per il mio esperimento. Altre ragioni, che ho esposte nella parte storica, mi obbligarono a sollecitare e dopo di essermi messo d'accordo con Bignami, si fece quell’ esperimento che per primo diede risultato positivo sull'uomo. Di questo io ho reso conto all'Accademia dei Lincei e il Bignami all'Accademia di Medicina. Qui lo riassumerò brevemente. Avendomi Koch fatto sapere che egli non credeva fondati i miei sospetti sul- l'A. claviger e perciò ritenendo io che egli li avesse dimostrati innocenti, si usarono per l'esperimento molti C. verans (malariac) e penicillaris, e soltanto pochissimi Anopheles. L'esperimento consisteva nel liberare in una camera d'un piano superiore del- l'Ospedale di S. Carlo presso Santo Spirito, le zanzare che venivano prese a Macca- rese. Un velo alle finestre impediva che fuggissero. In questa camera, quando, al 26 settembre, si cominciò l’ esperimento il paziente, che veniva ad esso assoggettato, aveva già dormito impunemente non ostante le zanzare (©) dal 24 agosto sino al 19 settembre. Si noti che anche un primo paziente aveva già dormito del pari impu- nemente dall'8 al 22 agosto nella stessa camera. L'esperimento si era giudicato ne- gativo in ambo i casi e appunto il 19 settembre era stato interrotto anche col se- (“) Nate nella camera stessa e appartenenti al Culex pipiens in grandissima parte e in pic- cola parte anche al Culea hortensis: giudizio da me fondato sui campioni fornitimi da Bignami e sopra molti individui da me raccolti morti nella camera in discorso. — 143 — condo paziente. In tutti e due c'era stato un lievissimo aumento di temperatura (37,4 il giorno 22 agosto nel primo paziente: 37,2 il 10 settembre, 37,3 il 17 settembre nel secondo. A questi lievissimi aumenti di temperatura, facili a verificarsi in molti individui, che anzi nel paziente, il quale li presentò due volte durante l’espe- rimento, si erano già osservati anche prima, nessuno dava la menoma importanza, essendo riuscita anche vana la ricerca dei parassiti nel sangue. Sicurissimo perciò che il secondo paziente col quale imprendevo l'esperimento non fosse stato infettato dalle zanzare colle quali Bignami da solo aveva sperimentato, non feci la menoma difficoltà a che esso venisse assoggettato alle punture delle tre specie da me precisate, per determinare se fossero atte a produrre la malaria (°). Come ha rilevato benissimo Bignami, la scelta del soggetto del nostro espe- rimento non poteva essere migliore. Esso era infatti un vecchio, il quale non aveva mai avuto febbri malariche e si trovava da oltre 6 anni nell’ Ospedale, nella sezione S. Maria diretta dal dott. Ba- stianelli Giuseppe. « L'essere il Sola rimasto per un tempo così lungo sotto la con- tinua osservazione di un medico, il quale, già da molti anni, è addentro agli studî della malaria, è un dato così prezioso per la nettezza dell'esperimento, che io non posso non insistervi sopra » (Bignami). Dal 26 settembre al 23 ottobre si liberarono nella camera numerosissime coorti di 0. vezans e di C. penicillaris che venivano raccolte a Maccarese; soltanto una volta, verso il 20 ottobre, vennero introdotti nella camera anche pochissimi Aropheles (una diecina?) raccolti da me stesso alla così detta Mo- letta di Maccarese, dove abitavano parecchi malarici. Non si può escludere che siansi insinuati nella camera cogli altri Culex suddetti alcuni C. annulatus e alcuni A. di- furcatus, ma certamente devono essere stati in molto piccol numero, altrimenti non sarebbero sfuggiti tanto a me quanto alla vista acuta del mio inserviente. Il 1° no- vembre nel paziente si manifestò la febbre malarica che continuò fino al giorno 4; il 3, Bignami riscontrò i parassiti della bidua (febbri estivo-autunnali), che osservai io pure, e cominciò a chinizzare l’ammalato. Il resto della storia non ha nessun interesse particolare. Il caso qui riferito dimostra ad evidenza che le zanzare propagano la malaria. E infatti senza la malaria, con la sola puntura dei culicidi palustri, in un luogo non malarico, si ottenne lo sviluppo delle febbri malariche (infezione estivo-autun- nale), in un uomo mai stato affetto di malaria (*). Nella stessa camera durante la nostra esperienza dormirono due altri individui. uno però per due sole notti. Questi due non s' infettarono perchè, come oggi sappiamo quasi con certezza, non furono punti dagli Aropheles infetti. (4) Oggi si sa con certezza che i suddetti esperimenti fatti da Bignami da solo nel 1898, non potevano riuscire per doppia ragione: 1° perchè le zanzare adoperate non appartenevano al genere Anopheles; 2° perchè se fossero stati anche Aropheles non avrebbero potuto essere infetti, essendo nati nella camera stessa, dove degevano soltanto pazienti non malarici. (Nello st sso anno 1898 Bignami precedentemente aveva fatto pungere due altri individui da zanzare raccolte a Porto [quali specie ?], senza ottenere effetto alcuno). (è) Io ricercai gli Anopheles che avevo lasciati liberi nella camera per vedere se avessero succhiato sangue. Per caso li trovai vuoti e, fuorviato com’ero da Koch, ritenni che forse non avessero punto, ? — 144 — Questo esperimento se fosse restato solo, benchè a torto, non avrebbe resistito alla critica: 1° perchè si poteva opporre che durante l'esperimento le finestre della camera riparate soltanto dal velo lasciavano libera l’entrata dell'aria, ciò che a Roma si ritiene molto pericoloso per le febbri; 2° perchè si poteva contrapporre che nella camera durante l'esperimento per tener vive le zanzare si erano messi dei vasi con pianti- celle, cioè contenenti terra umida (vedi Cap. I). Fortunatamente senza molto ritardo abbiamo potuto fornire ulteriori prove. Secondo esperimento. Il secondo esperimento è stato fatto da Bignami e da Bastianelli con gli A. claviger da me forniti. L'esperimento è stato da noi tre combinato e pubblicato sommariamente. Bignami e Bastianelli successivamente ne diedero una storia partico- lareggiata, dalla quale tolgo i seguenti dati: « N. N. giovane robusto, che non ha mai avuto febbri malariche e si trova per una malattia nervosa nell'ospedale di Santo Spirito da circa tre anni, acconsente a dormire in una camera con zanzare dalla notte fra il 13 e il 14 novembre in poi. Il giorno prima erano stati liberati in questa camera circa un centinaio di A. ela- viger presi a Maccarese. Lo stesso soggetto seguita a dormire regolarmente in questa stanza fino al giorno 2 dicembre: vi entra sull’imbrunire e ne esce il mattino per passare la giornata nella corsìa comune. « Assicura di esser punto tutte le notti: d'altra parte si trovano sempre nella stanza varî Aropheles coll'addome pieno di sangue. Un certo numero di Aropheles muoiono nel frattempo; peraltro alla fine dell'esperienza se ne trovano ancora molti in buone condizioni ». Sui primi di dicembre il paziente è indisposto ed ha leggiere eleva- zioni di temperatura; il 3 dicembre cade in preda ad una febbre malarica che si svolge come terzana doppia confermata dall'esame del sangue. Terzo esperimento. Esso venne riassunto da me, da Bignami e da Bastianelli nei seguenti termini: « Nel dicembre 1898 si nutrirono molti Anofeli col sangue, assai ricco di semi- lune, di un malato recidivo di febbri estivo-autunnali. Questi Anofeli, che così s'in- fettarono di semilune, furono tenuti per varî giorni ad una temperatura di 18°-22° C., e poi si portarono nella stufa alla temperatura di 30° C., per accelerare lo sviluppo dei parassiti. L'esame metodico di parecchi, sezionati di giorno in giorno, dimostrò che contenevano costantemente sporozoi semilunari in via di regolare sviluppo, finchè si osservò la comparsa di capsule mature e anche di sporozoiti nelle ghiandole salivali. Essendo allora logico ritenere che, secondo ogni probabilità, anche gli Anofeli non esaminati presentassero un identico reperto, ne furono presi tre, e con questi il 2 gennaio sì fece pungere un soggetto che non aveva mai avuto febbre; poi il 5 gen- naio si fece punger di nuovo lo stesso individuo da due dei tre Anofeli suddetti. « In tutto, dunque, questo individuo ebbe cinque punture da tre Anofeli. « Dopo le punture i tre Anofeli vennero esaminati: si trovò che tutti tre avevano — 145 — sporozoi maturi nell'intestino e capsule vuote; due soltanto avevano anche sporozoiti nelle ghiandole salivali. « L'individuo punto dagli Anofeli, dopo aver avuto leggeri sintomi prodromici, il 14 gennaio fu preso da febbre alta, la quale si svolse col decorso tipico di una febbre estivo-autunnale di prima invasione: nel sangue si trovarono i parassiti cor- rispondenti. « L'infezione fu subito curata e vinta con iniezioni di chinino ». Quarto esperimento (fatto da Bignami e da Bastianelli). Ottenuto lo sviluppo degli A. claviger da larve nate da uova deposte in labo- ratorio, questi furono infettati di terzana, e tenuti a temperatura di 25°-26° (all' in- circa) dal 14 al 25 luglio. L'infezione di questi Arophel:s dovette avvenire in giorni non ben precisati, in quanto che non si fecero pungere appositamente gli Aropheles, ma si lasciarono liberi nella stanza dov'era l'ammalato infetto da terzana. Il 25 luglio sei di questi Azopheles furono posti in stufa a 30°, e di essi, soli due punsero nelle ore pomeridiane del 28 un individuo che si prestò volontariamente, e che mai era stato malarico. Il 30 luglio alle 12 m., gli stessi due Aropheles (rimessi in stufa dal 28 sera) punsero di nuovo lo stesso individuo: il 2 agosto non vollero più pungere e furono sezionati. Si trovarono nell'intestino dell'uno corpi maturi con sporozoiti ; nell’ intestino dell'altro poche cisti avvizzite. « Il soggetto ebbe il 16 agosto un attacco febbrile che cominciò con brivido dopo mezzogiorno; la temperatura salì a 39° e cadde con sudore. Nel suo sangue si nota- rono scarsissime forme terzanarie ». Il 17 agosto mattina si ebbe apiressia. Alla sera nel sangue si trovarono paras- siti terzanarî. Quinto esperimento. La donna, che nel gennaio aveva servito per l'esperimento sulla quartana, dopo essere stata a lungo in carcere, dove fu molto curata col chinino, si presentò a me guarita l'estate scorsa; io tenevo vivo un Aropheles claviger nato in laboratorio e da me infettato di terzana pura; questa infezione era cominciata dodici giorni prima, sicchè doveva supporsi che le ghiandole salivari fossero infette. Per un errore dell’ inser- viente la donna venne punta da questo Anofele, invece che da altro nato in labora- torio e infettato di semilune da quattro giorni. Essendomi il giorno dopo accorto dell'errore esaminai l’Anofele che aveva punto la donna e trovai le ghiandole sali- vali senza parassiti: sulle pareti intestinali si trovarono alcune capsulevuote. Bisogna dunque dire che le ghiandole salivali con una puntura si erano liberate di tutti gli sporozoiti: ma questi non dovevano essere stati numerosi, a giudicare dal numero delle suddette capsule vuote, nonchè dalla quantità degli amfionti trovati in altri Anofeli, che s'erano infettati pungendo contemporaneamente lo stesso malato terzanario. Dopo 15 giorni la donna ritornò da me affetta da terzana secondo ogni verosimiglianza prodotta dell'unico Anofele che la punse. Venne immediatamente curata e guarita. 19 — 146 — I sopra riferiti esperimenti, che omai non dovrebbero più oltre venir ripetuti (°), dimostrano, non soltanto che gli Aropheles propagano la malaria all'uomo; ma anche che le tre specie di parassiti malarici dell'uomo sono buone, cioè l'una non trasformabile nell’ altra. Questa diversità delle specie era stata sostenuta da me e da Feletti per i primi, ma fino agli ultimi tempi aveva sempre trovato contraddittori. 4. Esperimenti e osservazioni dimostranti che gli Anopheles nascono senza germi malarici. Un esperimento venne fatto a Santo Spirito dal 30 marzo al 29 aprile da Bignami e Bastianelli, un altro molto più esteso e completo venne fatto nel mio la- boratorio dal 10 aprile al 10 agosto. Sia il primo che una parte del secondo si leg- gono già nella nostra Nota del 7 maggio 1899 (21). Qui riferisco per esteso que- sto secondo. Dopo essermi persuaso che le zanzare neonate non potevano essere infette non avendo trovato mai parassiti, riferibili a parassiti malarici, in tutte quelle moltissime che avevo esaminato, più per convincere gli altri che per accertarmene io stesso, parecchi individui che non erano mai stati malarici e che mostravano buona voglia, furono da me pregati di sottoporsi, insieme con me, alle punture degli Aropheles neonati, claviger e bifurcatus. Io stesso davo il buon esempio. Precisiamo le condizioni dell'esperimento. In una stanza che, finchè la tempe- ratura minima di Roma discese al disotto dei 20°, veniva riscaldata a 25°-26°, sta- vano collocati tre acquarî e quattro bacili di terra. Per dar ricetto gradito agli Azopheles si erano posti qua e là dei vasi con piante; agli angoli si erano appese delle stuoie e una tenda, sotto alle quali essi potevano nascondersi. Negli acquari e nei bacili parecchie volte per settimana e talora tutti i giorni si portavano numerose larve, preferibilmente grosse, e ninfe di A. claviger e bifurcatus, insieme con acqua, vegetali (a preferenza vellutello) e talvolta fango, il tutto preso negli stessi posti donde provenivano le larve e le ninfe. Questi luoghi erano scelti con gran cura tra i più malarici che si conoscano in Italia (Maccarese. Porto, Tor- treponti, Ninfa, Frasso, Tenuta Berardi nelle Paludi Pontine, Metaponto, Policoro, Castelnuovo-Vallo, ecc.). Ogni tanto dagli acquari e dai bacili si toglieva l'acqua soverchia e talvolta anche si mutava del tutto. Avevamo dunque nella suddetta stanza le stesse condizioni che troviamo in natura, cioè non soltanto gli Anofeli, ma anche l'ambiente palustre. In questa stanza coloro che prendevano parte all’ esperimento si esponevano a: lungo, specialmente verso il tramonto, colle braccia e qualche volta anche colle gambe nude alle punture degli Anofeli che andavano sviluppandosi. Nei quattro mesi che durò l’ esperimento gli individui che si fecero pungere furono i seguenti: (©) [Queste parole si leggono nella prima edizione del presente lavoro uscita il 4 giugno 1900; dopo quest'epoca i nostri esperimenti vennero ripetuti in varie parti coi risultati che prevedevamo con sicurezza]. de i G. B. — Veniva punto poco e di raro: quasi soltanto quando non e' erano altri nella camera; non gli si manifestavano pomfi al luogo della puntura. N. — Venne punto moltissime volte, quasi tutti i giorni; certi giorni ricevette 40 punture; gli si manifestavano subito grossi pomfi, talvolta anche serpiginosi, che duravano circa 48 ore. I. — Venne punta poche volte al giorno (4, o 5 volte in media) per circa due mesi: i pomfi le si manifestavano dopo 24 ore circa piuttosto piccoli, ma duravano a lungo. G. D. — Venne punto moltissime volte per circa 2 mesi; i pomfi gli si manifesta- vano come a N., ma erano sempre rotondi. G. E. — Venne punto discretamente a intervalli, in tutto per circa 10 giorni. M. — Venne punto molto, a intervalli, in tutto per circa 20 giorni. J. — Venne punto per un mese (dal 10 luglio al 10 agosto) molte volte al giorno. Nessuno di noi sette ebbe a risentire alcuna conseguenza dalle punture. Soggiungo un breve commento. Quando dopo circa un mese da che l'esperimento era stato iniziato, vidi confer- mata la mia tesi, che, cioè, gli Anofeli nascono senza germi malarici, cominciai a farmi delle obbiezioni che mi indussero a rendere l’ esperimento più perfetto. Sta bene, mi dicevo io, l'esperimento non poteva riuscire altrimenti, anche perchè di primavera nei luoghi malarici (io aveva fatto queste osservazioni sopratutto a Tor- treponti) si erano sviluppati molti Arophe/es e i casi di malaria se pur c'erano stati, erano stati in numero minimo (“): ciò vuol dire che gli Aropheles non trasmettono diret- tamente la malaria alla prole, nella stagione tepida. Ma chi ci assicura che ciò non possa accadere nella stagione calda? Chi ci assicura che gli Anofeli, morendo nell'acqua, non vi lascino dei germi che poscia nei mesi estivi infettino le larve di altri Anofeli? Appunto per togliere ogni dubbio, si prolungò l'esperimento per quattro mesi, e dopo il primo mese, si ebbe cura di raccogliere le larve, che servivano per l'esperimento, in vicinanza ai luoghi dove abitavano individui malarici; si ebbe anche l'attenzione di sminuzzare molti Anofeli presi in abitazioni di malarici, dentro l' acqua degli acquari e dei bacili. Nonostante queste modificazioni, l’ esperimento non riuscì mai positivo. Il mio esperimento dunque nel miglior modo esclude la possibilità che i germi malarici passino da Anofele a Anofele. 5. Espsrimenti e fatti dimostranti che la malaria dell'uomo non ha nulla a che fare con la malaria degli altri animali. Già fin dal 1890 con Feletti avevo dimostrato che i parassiti malarici degli uccelli non hanno nulla a che fare con quelli dell'uomo. In questi ultimi anni ebbi campo di riconfermare le nostre osservazioni. (4) Che non esista un'epidemia primaverile vera, cioè da infezioni malariche primitive è stato dimostrato l’anno scorso da Dionisi, dal quale appresi per la prima volta questo importante fatto, da Celli, da Koch, ecc. — 148 — Negli uccelli un genere di parassiti malarici (a//eridium Danilewskyi) è piut- tosto lontano dai parassiti malarici dell'uomo. L'altro genere (Huemamoeba) contiene due specie: 77. relicta (Grassi e Feletti) e Z. subpraecoe (Grassi e Feletti). Sono queste le forme simili ai para siti malarici dell'uomo, dai quali si distinguono tuttavia bene, sopratutto perchè i movimenti ameboidi non sono riscontrabili neppure quando le forme sono giovani. Celli e Sanfelice fino dal 1891 avevano trovato i gameti di queste forme che descrivono però come « fasi di vita libera nel plasma sanguigno » destinate a dege- nerare e morire. Questi gameti che sono più o meno differenti da quelli dell’ uomo confermano sempre più la distinzione specifica tra i parassiti malarici dell'uomo e degli uccelli da me ammessa. Quest'anno il dott. Dionisi ebbe occasione di iniettare ad un uomo sangue di civetta presentante un enorme numero di 7. subpraecox senza provocare alcuna conseguenza. Un parassita malarico dei passeri (7. relieta) non si sviluppò in più di trenta Anopheles. La prova deve ritenersi decisiva perchè contemporaneamente s'infettavano quasi tutti i €. pipiens che pungevano gli stessi passeri. Ebbi ripetutamente occasione di far pungere giovani passeri da Aropheles, infetti nelle ghiandole salivali di sporozoiti di Zaverania malariae, senza ottenerne alcun effetto. Ebbi pure occasione di ripetutamente constatare che, come era presumibile, i C. pipiens colle ghiandole salivali infette pungono l’uomo senza produrgli la malaria. Resta dunque confermato in modo indiscutibile che i parassiti malarici del- l'uomo non hanno nulla a che fare con quelli degli uccelli. Koch, si è pronunciato sulla non identità di tutti i parassiti malarici degli ani- mali con quelli dell'uomo e ne ha fornito prove molto interessanti. Da noi in Italia le ricerche fin ora fatte condussero a scoprire certi parassiti che si potrebbero a tutta prima confondere con quelli dell’uomo. Sono parassiti che si riscontrano in peculiari specie di pipistrelli. Dionisi, che li ha scoperti, ha avuto la pazienza di studiarli lunghissimo tempo venendo alla conclusione non supposta soltanto, ma anche dimostrata ampiamente, che appartengono a specie differenti da quelle dell’ uomo. 6. Esperimenti ed osservazioni riguardanti l'influenza della temperatura sullo sviluppo dei parassiti malarici. Fin dal principio delle mie ricerche pensai che la temperatura dovesse avere una grande influenza; difatti nella seconda edizione (23) della mia prima Nota ai Lincei si legge che occorrono altre ricerche riguardanti anche la temperatura per precisare ulteriormente i rapporti della malaria coll'Aropheles nell’ Europa media. Nella nostra Nota pubblicata il 23 dicembre 1898 (23) sta scritto: « Gli allevamenti venivano fatti mettendo immediatamente dopo la puntura l'A. elaviger in stufa alla temperatura di 30°. Una serie di osservazioni datanti dai primi di novembre ci fa sospettare che alla temperatura di 14-15° (temperatura dell'ambiente) nelle prime ore dopo la pun- tura, non si possa avere lo sviluppo dell'emosporidio. Uno sviluppo si ha certamente — 149 — tenendo gli A. claviger a temperatura di 20-22°, ma procede più lentamente che non a 30° ». Poco più tardi Ross ci comunicava osservazioni simili, fatte sui parassiti malavici degli uccelli dentro il corpo del C. pipiers. Nel nostro lavoro pubblicato dalla Società per gli studî della malaria (21) sta scritto: « Alla temperatura di 14-15° C., lo sporozoo delle febbri estivo-autunnali non sì sviluppa nel corpo dell'Anofele; a 20-22° C. circa subisce uno sviluppo regolare ma lento; alla temperatura costante di 30° C. in circa sette giorni compie lo sviluppo completo fino alla formazione degli sporozoiti. . .... Così a noi accadeva di riscon- trare costantemente lo sviluppo dello sporozoo malarico negli Anofeli tenuti in stufa, mentre tale sviluppo non avveniva in quelli tenuti nell'ambiente del laboratorio, che raggiungeva di rado e solo per alcune ore i 14-16° C. ..... « La necessità di una temperatura adatta è sopratutto evidente per le prime modi- ficazioni che subisce la semiluna nel lume dell'intestino dell’Aropheles. Infatti è noto da molto tempo (“) che in inverno si vede di rado la formazione dei corpi flagellati dalle semilune, ma se appena fatto il preparato, lo si pone in un termo- stato, allora si può osservare la formazione dei flagelli in qualunque stagione. ..... « Ognuno vede l’importanza epidemiologica delle suddette condizioni ». Per questa ragione ritenni necessario di estendere molto le ricerche sull’ influenza della temperatura; purtroppo non avendo avuto tempo sufficiente, e mancandomi ora gli ammalati in condizioni opportune, ho dovuto limitarmi alle seguenti prove: 1°. Esperimenti fatti con 3 A. elaviger messi, subito dopo la puntura di uomini malarici, in un refrigeratore ad acqua circolante, dentro il quale la temperatura non discendeva al disotto di 15°,5 C. e non saliva al di sopra dei 17°,5 C. nei giorni dell'esperimento (16-25 giugno). Non vi si svilupparono nè i parassiti della bidua nè quelli della terzana. Altri 12 A. elaviger messi contemporaneamente nel ter- mostato dopo la puntura degli stessi uomini malarici si infettarono tutti. Questo esperimento che venne da me ripetuto due altre volte in condizioni simili, fa credere che non avvenga lo sviluppo della terzana e delle semilune ad una temperatura variante da 15°,5 a 179,5 O. 2°. Esperimenti fatti cogli A. elaviger, esposti a temperatura inferiore di 15° C., dopo iniziato lo sviluppo dei parassiti malarici nelle pareti intestinali. Due A. cla- viger che hanno punto un fornaio infetto di semilune il 21 e l'hanno ripunto il 23 e il 26 ottobre, furono tenuti a 24-28° eccetto la notte dal 26 al 27, durante la quale stettero sulla terrazza del laboratorio. Vennero uccisi il giorno 30 ottobre. I parassiti si trovarono bene sviluppati, normali, soltanto un po’ arretrati nello svi- luppo: corrispondevano evidentemente alle punture dei giorni 21 e 23. Siccome la notte del 26-27 ottobre la temperatura discese a 11° C. circa, così si può conchiudere che, dopo iniziato lo sviluppo del parassita nelle pareti dell'inte- (4) Il fatto venne osservato per la prima volta da me e da Feletti. Schaudinn fa derivare l’eccitamento che induce i parassiti malarici alla copula, dal raffredda- mento che essi subiscono, abbandonando l’animale a sangue caldo. Ciò non può essere perchè fuori di noi la fecondazione dei parassiti malarici avviene anche a temperatura elevata come la nostra. — 150 — stino, la temperatura può abbassarsi senza pericolo, almeno fino ad un certo punto. Recentemente ho avuto occasione di confermare questo sperimento: la temperatura discese senza alcun inconveniente a 9° C. cirea per due notti (“); si trattava proba- bilmente di parassiti terzanari. 3°. Esperimento tendente a dimostrare che i parassiti terzanari nell’ Anopheles si svi- luppano ancora ad una temperatura in cui non si sviluppano più i parassiti semilunari. Quando avevo a mia disposizione il vecchio, infetto ad un tempo di gameti ter- zanari e semilunari, mi è accaduto un fatto molto singolare che suggerisce delle considerazioni importanti dal punto di vista epidemiologico. Sperimentai sul suddetto individuo un primo gruppo di 6 A. claviger verso il meriggio del giorno 17 giugno; un secondo gruppo di 6 altri dalle 13 alle 16 del giorno 17 stesso; un terzo gruppo di 6 altri dalle 9 alle 12 del giorno 18. I primi due gruppi vennero tenuti a temperatura ordinaria; il terzo fu subito messo nel termostato a 28° C, circa. Gli Anopheles del primo gruppo si infettarono di parassiti terzanari e semilu- nari; gli Aropheles del terzo gruppo si infettarono ugualmente; invece quelli del secondo gruppo diedero risultato positivo soltanto per la terzana. Riflettendo su questo risultato mi venne alla memoria che nel pomeriggio del 17 era avvenuto un abbas- samento di temperatura abbastanza notevole. Mi procurai perciò le temperature di Roma dal 12 al 18 giugno; esse sono le seguenti: GILONRENDI eee “— —————_—_ 12 | 13 |14 | 15 16 | 17 | 18 ORE o o o o o o 20,2 | 19,7 | 18,5 | 19,2| 18,1|16,0| 18,3 7 22,7 | 23,1 | 21,5 | 19,7 | 21,8| 20,5 | 21,0 9 25,6 | 26,7 | 28,3 | 25,4 | 24,0] 23,3| 16,6 | 12 26,7 26,0! 23,71 23,5 | 24,01 22,81 18,0 | 13 25,9 | 25,2 | 23,4 | 24,0 | 24,4| 22,8] 17,9 | 15 24,0 | 23,4 | 21,8 | 22,6|2/5|2/,/| 18,0] 18 21,2 | 21,9 | 20,0] 20,7| 20,0| 18,5] 17,3 | 21 Io non conosco precisamente la temperatura della camera a nord del mio labo- ratorio, in cui io sperimentavo: ma studiando il precedente prospetto e confron- tandolo coi dati sopra esposti, è lecito domandarsi se non fu l'abbassamento di temperatura che impedì lo sviluppo dei parassiti semilunari nelle ore pomeridiane del giorno 17. Si può obbiettare che alla mattina del 18 la temperatura era ancora più bassa che nel pomeriggio del 17 e ciononostante i parassiti semilunari si svilup- parono. L'obbiezione tuttavia non regge perchè, avendo osservato l'abbassamento notevole (“) D'inverno nella parete dell'intestino di Amopheles presi in libertà, trovai ripetutamente dei parassiti malarici, i quali erano in via di degenerazione, secondo ogni verosimiglianza perchè la temperatura si era troppo abbassata (vedi anche il Cap. seguente). — 151 — della temperatura, avevo posto gli Anopheles che avevano punto la mattina del 18 uno per uno immediatamente nel termostato, mentre quelli che avevano punto nel pomeriggio del 17, erano stati a temperatura ordinaria, come sopra ho detto. 4°. Bignami e Bastianelli fino al maggio del 1899 sperimentarono ripetuta- mente la quartana cogli Amopheles a 30° C. circa, senza mai ottenere alcuno stadio di sviluppo; io invece ottenni gli amfionti in una donna (pag. 184), tenendo gli Anopheles a 23-25° C. Durante il luglio ottenni amtionti quartanari nel corpo degli Azopheles alla temperatura di 16°,5 C. circa, mentre non ne ottenni alcuno in Ano- pheles che avevano punto contemporaneamente lo stesso individuo, ma che venivano tenuti a 30° C. circa. |Purtroppo gli Aropheles non erano nati in laboratorio e di 12 sperimentati a circa 16°,5 C. soltanto 2 diedero risultato positivo (alcuni parassiti in ciascuno dei due)}. Questi esperimenti potrebbero far supporre che manchi lo svi- luppo dei parassiti della quartana a temperature elevate e che essi si sviluppino in- vece anche a temperature, alle quali non resistono i parassiti terzanari e semilunari. Probabilmente, come fu già sopra accennato, il momento in cui la temperatura può arrestare lo sviluppo è quello corrispondente alla formazione dei flagelli, forse alla fecondazione e forse anche allo stadio di vermicolo. Gli esperimenti riferiti sotto i nn. 3° e 4° tendono a spiegare perchè la quar- tana sia molto rara nei paesi tropicali (©) e arrivi ad una latitudine settentrionale, per quanto io so, non raggiunta dalle altre forme, perchè i parassiti semilunari man- chino forse totalmente nell’ Europa media e ‘siano più comuni nell'Italia media che nell'Italia settentrionale, perchè in novembre e in dicembre del 1898 gli Anofeli di Maccarese infettarono soltanto di terzane, ecc. ecc. L'argomento però vuol essere ripreso e ristudiato, sia perchè gli sperimenti da me fatti, specialmente quelli sulla quartana, sono insufficienti, sia perchè i dati riguardanti la distribuzione geografica delle singole specie di parassiti e il numero dei casi d'infezione primitiva nei varî paesi e nelle varie stagioni ancor non si conoscono con sufficiente precisione. * Te Gli sperimenti riferiti sotto il n. 1 confermano che l'abbassamento di temperatura riesce fatale ai parassiti nel tempo in cui sì trovano ancora nel lume dell'intestino dell'Arzopheles: penso che se la temperatura scende al di là di un certo limite essi vengono digeriti. Mentre sembra che la temperatura troppo bassa impedisca la forma- zione dei flagelli, ecc., essa può impunemente discendere fino ad un certo punto dopo che la fecondazione è avvenuta (e si è formato il vermicolo?). Ritengo perciò che un buon criterio, per determinare se le varie specie di paras- siti malarici presentino differenze nel minimo grado di temperatura necessario per il loro sviluppo nell’ intestino dell'Aropheles, sia fornito dallo studio della temperatura a cui i gameti si flagellano (ossia gli anteridi emettono le microspore). Con questo (4) Recentemente Koch ha trovato molti casi di quartana anche nei paesi tropicali. Bisogna perciò forse ritenere che il non aver noi ottenuto lo sviluppo della quartana a 30° fosse casuale, In ogni modo occorre rifare gli sperimenti. 3 — 152 — indinzzo si è messo al lavoro nel mio laboratorio il dott. Martirano. Egli ha redatto questo sunto delle sue ricerche. « Queste ricerche per istabilire colla maggior precisione possibile il grado più basso di temperatura a cui le semilune possono flagellarsi, furono fatte lungo il dicembre scorso sul sangue di un recidivo, che di tanto in tanto presentava accessì febbrili. Ecco le conclusioni a cui si è giunti: «I. Nel sangue rapidamente essicato non esistevano che le forme a semiluna; le forme rotonde si videro solo nel sangue non disseccato, dopo qualche minuto da che era stato estratto. L'arrotondarsi della semiluna preludeva il suo flagellarsi, quantunque non tutte le semilune, che si arrotondavano, si flagellassero. « II. Non fu mai osservata la flagellazione delle semilune ad una temperatnra inferiore a 17° quantunque si osservassero i preparati per molte ore. « III. Alla temperatura di 18° dopo circa 25'-30' si videro parecchie semi- lune flagellarsi. Fra i 18° e i 20° un gran numero di semilune si flagellò in 20'-30'. « IV. Si è costantemente osservato che solo wa parte delle semilune di un preparato si arrotondava e si flagellava; altre sì arrotondavano senza flagellarsi; mol- tissime non cangiavano forma. « V. Le semilune si comportavano nel modo suaccennato anche somministrando al malato forti dosi di chinino ». Purtroppo queste ricerche vennero interrotte e non estese alla terzana e alla quartana. i * LOx Nel corpo dell'Anopheles i parassiti malarici, terzanario e semilunare, compiono il loro ciclo, cioè arrivano fino alle ghiandole salivari in circa 8 giorni a tempera- tura costante da 28° a 30° C. (°). Nei mesi di luglio ed agosto a Roma in una camera rivolta a ponente e che di notte si teneva chiusa, lo sviluppo richiese 12-18 giorni; nel mese di settembre invece (prima metà) richiese 14 giorni. A temperatura più bassa lo sviluppo si ral- lenta proporzionalmente; gli abbassamenti alternantisi cogli elevamenti di temperatura producono rallentamenti e acceleramenti corrispondenti. 7. — Conseguenti considerazioni sull'andamento delle epidemie malariche (?). Le osservazioni riquardanti la temperatura necessaria per lo sviluppo dei pa- rassiti malarici negli Anopheles spiegano la legge empirica dell'influenza della (2) [Koch aveva sostenuto che per la maturazione dell’ 7aemamoeba (Proteosoma) occorre nella zanzara una temperatura uniforme di 24° c. o più. Recentemente Ruge ha osservato che essa accade anche a una temperatura che varia da 16° a 24° e, per il Proteosoma tedesco. L'osservazione di Ruge, per quanto io ho veduto, va applicata anche al Proteosoma italiano]. (2) [Su questo argomento ha fatto estese ricerche il dott. Dionisi: le sue conclusioni non sono ancora pubblicate. Siccome io misi a profitto molti dati da lui fornitimi, senza i quali non avrei potuto formulare le conclusioni a cui sono arrivato, riconosco fin d'ora ogni diritto di priorità al dott. Dionisi]. — 153 — temperatura sull'andamento dell’epidemia malarica (Vedi Capitolo II). Questa però viene regolata anche dalla quantità degli Anopheles, è quali in generale in aprile e fin oltre la metà di maggio sono molto scarsi. (Capitolo II e IV). Dalle mie ricerche nell'Italia media e meridionale risulta che la quantità di Anofeli infetti è relativamente molto più rilevante nei mesi più caldi dell'anno, giugno, luglio, agosto e settembre. Da questi mesì si passa ad altri, ottobre, novembre e dicembre, in cui il numero di Anofeli infetti in generale va gradatamente dimi- nuendo. Perchè non nascano equivoci occorre aggiungere due considerazioni: l'una rife- rentesi ai mesi più caldi, l'altra a quelli susseguenti. Quando parlo di numero rilevante di Anofeli infetti nei mesi più caldi, intendo che sì trova in generale un Anofele infetto nelle ghiandole salivari, cioè capace di infettarci, ogni cento che si arriva a catturarne. Questa percentuale a tutta prima sembra insignificante, ma in realtà non è tale perchè il numero degli Anofeli può essere enorme tanto che un individuo per mesi di seguito può esser punto da cen- tinaia di Aropheles ogni giorno; perchè un solo Anofele può infettare 5, 6 e più individui e infine perchè ai parassiti malarici toccò in sorte per arrivare a destina- zione un mezzo sicuro quale manca a moltissimi altri parassiti, cioè l'inoculazione diretta nel sangue. Durante i mesi susseguenti quelli più caldi, quando le osservazioni vengono limitate alle camere di individui malarici, può sembrare che la quantità degli Ano- feli infetti sia maggiore di quella di prima, specialmente se l'inverno decorre molto mite. Così negli ultimi di novembre 1898 ()(21) abbiamo trovato persino il 75°/, degli Anofeli infetti in alcune camere di Maccarese (vicino a Roma) dove tutti quelli che vi dormivano erano malarici. Anche nel dicembre dello stesso anno trovammo nelle stesse camere molti Anofeli infetti (in grandissima parte soltanto nello stomaco). Ciò sta in rapporto col fatto che gli Anofeli, quando la temperatura si abbassa, perdono quasi l'abitudine di mutar molto il luogo di ricovero; perciò gli Anofeli presi con- temporaneamente ai suddetti nelle stalle e nei pollai, dove si nutrivano per lo più di sangue di animali domestici, non si presentavano quasi mai infetti. Si tenga pre- sente che l'andamento della stagione influisce molto; perciò nel dicembre 1899, relativamente meno mite che nell'anno precedente trovai pochissimi Anofeli infetti (soltanto nello stomaco). Aggiungasi infine che la quantità di Anofeli in ottobre, no- x vembre e dicembre è sempre di gran lunga minore che nei quattro mesi precedenti. (2) A questo proposito mi permetto una piccola digressione. Gosio (20) osserva a me ed a’ miei collaboratori che «ad un marimum di Anofeli infetti constatato (a Maccarese) agli ultimi di novembre, anzichè un mazimum di nuove infezioni nello stesso novembre avrebbe dovuto cor- rispondere un mazimum di nuove infezioni su per giù nella prima quindicina di dicembre, meso in cui i detti autori vedono invece il fenomeno malarico già mitigato ». Veramente noi abbiame scritto un po’ differentemente: « in modo corrispondente i casi di nuove infezioni malariche furono molto numerosi in novembre e diventarono meno frequenti in dicembre ». Occorre tener conto anche degli effetti della temperatura bassa di cui si parla nel presente Capitolo, nonchè dell'ibernazione degli Anofeli della quale ho parlato nel Cap. II e V. Aggiungasi anche che in dicembre gli abi- tanti di Maccarese erano già quasi tutti infetti di malaria. 20 — 154 — Tutte queste circostanze spiegano come, nonostante le suddette osservazioni, io sostenga che il numero degli Anofeli infetti vada diminuendo in ottobre, novembre e dicembre. Nel 1899 ho trovato i primi Anofeli infetti a Maccarese nella parete dello sto- maco (stadi giovani e medi) in principio di giugno. Nel 1900 ho trovato i primi Anofeli infetti nelle ghiandole salivari al 14 giugno sì a Maccarese che nella piana di Salerno: si noti che precedentemente avevo in varie epoche esaminato le ghian- dole salivari di centinaia di Anofeli senza rinvenirvi mai gli sporozoiti e prima della fine di maggio centinaia di stomaci senza rinvenirvi gli amfionti. (Ciò coincide anche colle osservazioni di Martirano). [Nel 1901 dal gennaio al maggio esaminai più di 500 Anofeli provenienti da Locate Triulzi, da Maccarese e dalle Paludi Pontine; ne trovai soltanto due infetti mediocremente nelle ghiandoli salivari, uno in febbraio e l’altro in marzo; nel primo vi erano ancora, in corrispondenza allo stomaco, le capsule colle masse residuali. Questi due Anopheles provenivano dalle Paludi Pontine. Non trovai mai alcun amfionte in via di sviluppo. Quando i suddetti sporozoiti si fossero sviluppati è dif- ficile a dirsi]. In complesso risulta che nell’ Italia media e meridionale sino al principio di giugno tranne in casi eccezionali, non si trovano Anopheles capaci d' infettarci di malaria. Su questi fatti io prima d'ogni altro ho richiamato l’attenzione. Dopo di me vennero pubblicati anche da Koch con piccole differenze rispetto al tempo in cui gli Anofeli non sono infetti, che viene da lui (1899) esteso a otto-nove mesi. Recentemente anch'egli ha ammesso che questo tempo è maggiore estendendolo quasi fino ai limiti da me stabiliti. Conseguentemente fino al giugno non si danno che eccezionalmente infezioni malariche primitive, come ha per primo dimostrato il dott. Dionisi (33). Ciò con- corda perfettamente coll’ opinione del volgo il quale ha empiricamente stabilito che, per esempio, la campagna Romana diventa pericolosa dopo l' 8 giugno, la piana di Capaccio verso S. Antonio (13 giugno), ecc. L’insorgere annuale dell’ epidemia dev’ essere subordinato a recidive di infe- sioni contratte (") nell’anno precedente. Le recidive di terzana maligna devono avve- nire in generale dopo quelle di terzana ordinaria perchè in generale le nuove infezioni della prima avvengono dopo quelle della seconda. Non posso perciò accordarmi con Celli il quale scrive che « è strano che mentre per la quartana e la terzana lieve il numero dei recidivi sembra aumentare in vicinanza del nuovo rispettivo loro anno epidemico, pare avvenga il contrario per la terzana grave. È questo un punto che dev'essere ancora meglio illustrato ». [Nella recente epidemiologia della malaria pubblicata da Celli (Atti della So- cietà per gli studî della malaria, vol. II, 1901) si legge che ancora altri punti oscuri intorno alla vita degli emosporidi nell’ interno delle zanzare devono esser (4) Che i gameti possano ricomparire nel sangue senza dar luogo a sintomi è poco probabile: che però le recidive si possano ridurre a insignificanti febbriciattole, che talvolta spontaneamente scompaiono, è cosa certa, com'è certo che le bidue contratte in una epidemia possono recidivare durante l'epidemia successiva. (Relazione dell'esperimento fatto sotto la direzione del Prof. B. Grassi nella Piana di Capaccio. Milano, Tipografia Civelli 1901). — 155 — rischiarati con ulteriori osservazioni ed esperimenti prima di poter dire quali siano gl'intimi rapporti che corrono fra zanzare ed epidemia di malaria. Io credo che le incertezze che si sono affacciate a Celli dipendano dal non essersi egli reso chiara- mente conto dei seguenti fatti fondamentali : 1°. Tutti gli 4. claviger dell'anno precedente muoiono in primavera (presso a poco alla fine di marzo e in aprile); perciò in nessun modo gli Anofeli che sì sono infettati verso la fine della stagione malarica precedente possono esser presi in con- siderazione per spiegare l'insorgere delle terzane maligne (giugno e luglio) nella nuova stagione malarica. 2°. Come ho detto e ripetuto, in generale gli Anofeli di primavera sono molto scarsi presso a poco fin oltre la metà di maggio nell’ Italia media. Se invece fossero comuni senza dubbio la nuova stagione malarica dovrebbe incominciar prima; ciò sembra verificarsi in Lombardia (Celli), dove, per la presenza delle risaie, gli An0- pheles sono enormemente abbondanti e vennero da me trovati in buona quantità già alla fine di aprile. 3°. Nella Relazione dell’ esperimento di preservazione dalla malaria fatto sui ferrovieri nella piana di Capaccio sotto la direzione del prof. B. Grassi, 1901, sì leggono le seguenti osservazioni epidemiologiche redatte dal dott. F. Martirano: « In giugno si riscontrarono quasi soltanto terzane ordinarie, nella prima quindicina di luglio con gran prevalenza le terzane ordinarie, e poche febbri estivo-autunnali. Nella seconda metà di luglio e in agosto diminuirono a poco a poco le terzane ordinarie sino a dare luogo ad una grandissima percentuale di febbri estivo-autunnali, percentuale che si mantenne in settembre, e ancora più spiccatamente in ottobre, nel quale mese si trovarono semilune molto più abbondanti che precedentemente. Le quartane raris- sime in settembre, andarono diventando meno rare in ottobre, specialmente verso la fine del mese ». Io posso aggiungere che i casi sicuri di muove infezioni verificatesi nel luogo dell'esperimento si dimostrarono a grande prevalenza dapprima di terzana ordinaria e di terzana maligna successivamente. Perciò è, secondo me, certa la legge delle reci- dive che precedono le forme primitive, come ho esposto più sopra. Essa è del resto una necessaria conseguenza di fatti già ben stabiliti, a meno che si voglia supporre la trasformazione della terzana ordinaria in terzana maligna, supposizione già ina- missibile nel 1890 (Grassi e Feletti) e ora dopo gli esperimenti assoluti fatti da me, da Bignami, da Bastianelli, da Manson, ecc., risultata indiscutibilmente erronea. 4°. Come risulta dagli stessi dati di Celli, Marchiafava, Dionisi, ece., la terzana ordinaria presenta molte recidive, in marzo e in aprile; fortunatamente queste recidive non possono venire usufruite dagli Amopheles che sono scarsissimi, oltrechè la temperatura è piuttosto bassa. In ottobre le semilune sono molto più abbondanti che nei mesi precedenti; ancora fortunatamente il numero degli Aropheles è già molto diminuito e l'aria si è già rinfrescata. In conclusione, tutto deve diventare chiaro a chi al principio della nuova stagione malarica ha ben cura di tener separate le recidive dalle infezioni nuove. 5°. Perchè le recidive di terzana avvengano in certi mesi e quelle delle febbri estivo-autunnali in certi altri, perchè di primavera non si trovino che molto ecce- = — 156 — zionalmente recidive di febbri estivo-autunnali (Marchiafava, Celli ecc.), non si può spiegare altrimenti che facendo punto di partenza dal fatto che la maggior parte delle infezioni sono doppie (o miste che si vogliano dire) e ammettendo una sorta d'immunità temporaria per un dato parassita susseguente ad una certa durata del- l'infezione. Supponiamo che un individuo sia infetto delle due sorta di parassiti in discorso; per un certo tempo domina quello estivo-autunnale; a poco a poco l'orga- nismo acquista una certa immunità e allora viene a dominare quello della terzana; dopo che per questo pure l'organismo ha acquistato una certa immunità torna a pre- dominare quello estivo-autunnale. Perchè quello estivo-autunnale domini a gran prefe- renza in certe stagioni, donde appunto è stato nominato, è difficilissimo arguire; forse ciò è in rapporto colla circostanza che le forme estivo-autunnali trovano un ambiente più favorevole nei climi più caldi]. 8. — Malaria nei paesi tropicali. Ho sempre parlato della malaria in Italia e mi preme di qui far notare come presumibilmente gli stessi fatti si ripetano in tutta l' Europa meridionale, mentre nelle altre regioni e sopratutto nei paesi tropicali essi potrebbero svolgersi, fino ad un certo punto, in modo differente. Purtroppo le ricerche fatte finora nei paesi tro- picali sono incomplete e non dànno nemmeno la sicurezza che la malaria si pro- paghi soltanto cogli Anopheles. A questo riguardo è d'uopo ricordare che la storia dei parassiti a doppio ospitatore ci insegna come ciascuno dei due osti possa esser rappre- sentato da forme non affini l'una all'altra. Così la 7ueria leptocephala può maturare oltre che nei Mus eccezionalmente anche nell'uomo, mentre non matura mai in molti altri rosicchianti; fanno ad essa da ospitatore intermedio un lepidottero, alcuni cole- otteri e un ortottero, mentre molti altri lepidotteri, coleotteri e ortotteri non si mo- strarono almeno finora, capaci di ospitarla. 9. — Conclusioni. Riunendo assieme quanto ho esposto in questo capitolo dirò che dagli esperi- menti riferiti e oggi stati confermati da varie parti resta dimostrato come la ma- laria umana si propaghi in Italia esclusivamente per mezzo degli Anopheles infettatisi esclusivamente pungendo l’uomo. Tutte le specie italiane del gen. Anopheles s070 capaci di propagare la malaria umana. L’Anopheles claviger, essendo specie di gran lunga più comune delle altre e vivendo frequentemente nelle abitazioni, in particolare nelle camere e nelle stalle dove la temperatura di notte non s° abbassa molto, viene ad essere la principale causa della malaria. Le altre forme hanno molto minore importanza: esse pure, però, specialmente in certe località dell’ Italia media e meridionale portano il loro contributo all’ epidemia malarica. L'A. bi- furcatus ha speciale importanza per la malaria dei boschi. — 157 — CAPITOLO VII. Sviluppo dei parassiti malarici umani nel corpo degli Anofeli. In questo Capitolo mi propongo sopratutto di dimostrare che alle generazioni neutrali dei parassiti malarici che ritmicamente si succedono nel corpo dell’ uomo, s' intercala necessariamente, al momento opportuno, una generazione sessuata dentro il corpo dell’Aropheles. Ma prima di entrare nell'argomento ritengo necessario fare un cenno dei parassiti malarici dentro il corpo dell' uomo. 1. Premesse riguardanti i parassiti malarici nel corpo dell'uomo. A) OsseRvazioNE DI METScHNIKoFF. — Devo ricordare che per un certo tempo i parassiti malarici dell'uomo furono sospettati semplici alterazioni dei globuli san- guigni. Ein realtà sembrava che mancasse la prova rigorosa della loro natura paras- sitaria. Fu Metschnikoff il primo che pronunciò nel 1887 una parola importante sull’'ar- gomento. Egli intuì che i parassiti malarici fossero Sporozoi, basandosi specialmente sul corpi così detti flagellati simili ad altre forme da lui vedute nei Coccidi. Pur troppo queste forme dei Coccidi, che veramente trovano riscontro nei corpi flagellati, vennero trascurate e sfuggirono a coloro, me compreso, che dopo Metschnikoff affron- tarono l'argomento della malaria. Se fin dal 1887 si fosse tenuto presente questo confronto fatto da Metschnikoff certamente la questione della malaria avrebbe pigliato un altro indirizzo. B) Scoperte IraLiAane. — Nel 1889 Golgi distinse tre sorta di parassiti malarici (varzetà che forse potrebbero, secondo l’autore, trasformarsi l’una nell'altra, varietà d'una sola e medesima specie), una legata alle febbri irregolari, un'altra alla terzana e la terza alla quartana, ognuna con un cielo evolutivo e riproduttivo, il quale corrisponde mirabilmente coll’ andamento degli accessi febbrili. Egli asserì che spe- cialmente questi cicli regolari indicavano con lutta sicurezza che le forme scoperte da Laveran erano parassiti, e non prodotti di degenerazione. Nonostante la supposta trasformazione dei parassiti malarici (negata da me e da Feletti per i primi), nonostante l’' imperfezione dello studio delle febbri irregolari (approfondito poi da Marchiafava, Celli ecc.), le scoperte di Golgi sono di grandis- simo interesse, e tutti gli studiosi le hanno confermate e ammirate. — 158 — C) NUCLEO DEI PARASSITI MALARICI NEL CORPO DELL'UOMO. — Fin dal 1887 io esponevo a Celli il mio pensiero, che se il supposto parassita malarico è vera- mente tale, deve presentare molto probabilmente un nucleo. Che se non lo possiede, allora la sua natura parassitaria resta sempre più discutibile, perchè bisogna riferirlo ad una classe la cui esistenza va diventando sempre più incerta, cioè ai moneri. Quasi due anni più tardi Celli in collaborazione con Guarnieri pubblicava appunto una serie di interessanti ricerche in proposito fatte col bleu di metilene. I plasmodi pig- mentati presentano, secondo essi, un ectoplasma intensamente colorito, un entoplasma molto debolmente colorito (è scolorito affatto nelle belle figure che accompagnano il loro testo), ed un corpo a limiti netti, avente particolare struttura, perciò presentante, o una colorazione pallida uniforme, o su questa uno o due corpicciuoli più intensa- mente coloriti (sono, nelle figure, coloriti intensamente, come l’ ectoplasma), oppure la parte più colorita disposta come a reticolo. Alcuni di questi corpi si vedono altresì prima che si siano fatti immobili i plasmodi, dei quali possono seguire i movimenti, presentando così un certo grado di ameboidità. Questo carattere ed insieme il modo di colorazione e la sede, ove sono costantemente, cioè in mezzo all'entoplasma, fanno credere (sono parole degli A.) questi corpi veri e propri nuclei, quali si trovano, alle identiche condizioni, in molti Missomiceti. « Nei plasmodi senza pigmento spiccano talora punti più colorati che potrebbero essere il principio del differenziamento del nucleo ». « Ciò si può notare anche nelle spore. » Le precedenti particolarità di struttura non si osservano più quando i plasmodi passano alla fase riproduttiva. Collo stesso mezzo di colorazione i suddetti A. hanno veduto che nelle forme semilunari spesso colorasi un corpo rotondo, verso il mezzo e vicino alla massa di pigmento (un tal corpo, secondo gli A., nei Coccidi è considerato come nucleo). Nelle figure il corpo in discorso è rappresen- tato colorito intensamente come una parte del citoplasma. D'altra parte è d'uopo notare che gli A. non hanno ottenuto alcun risulta- mento colle solite sostanze che si adoperano per colorire i nuclei (carminio, ema- tossilina). Come si rivela da queste imparziali citazioni, Celli e Guarnieri hanno dichiarato entoplasma il succo nucleare, ed hanno descritto come nucleo il nodetto nucleoliforme (Grassi e Feletti). Il loro nucleo non si coloriva più intensamente del citoplasma, eccetto nei giovani plasmodi e nelle spore, dove però essi sovente non lo distingue- vano bene, o non lo trovavano, come risulta dal testo e dalle figure. Al momento più importante lo perdevano di vista e perciò nulla osservarono che indicasse la parte presa da questo nucleo nella riproduzione. Poco prima di Celli, Golgi aveva riscontrato nelle spore della quartana, « un corpicciuolo splendente a fresco, più spiccatamente colorabile colle aniline, visibile specialmente nel momento in cui si compie la segmentazione, che potrebbe essere interpretato quale un nucleo. Tale corpicciuolo non si vede nei globetti della terzana, per altro è verosimile che siffatta differenza sia esclusivamente da riferirsi al diverso diametro. » Crediamo dunque (scrivevamo io e il collega Feletti nel 1890) autorizzata la conclusione che la descrizione e le figure di Celli e di Guarnieri, e la descrizione — 159 — di Golgi lasciassero intravedere l'esistenza di un nucleo, ma non lo dimostrassero con quella sicurezza che richiedevasi. Perciò io e Feletti riprendevamo la quistione concludendo che esiste nei paras- siti malarici un nucleo, come in molti altri protozoi, caratterizzato da un pecu- liare nodetto nucleoliforme. Questo nucleo piglia la parte dovuta nei fenomeni di riproduzione e precisamente, per quanto noi abbiamo veduto, si moltiplica per divisione diretta. Successivamente Mannaberg ha in sostanza confermato i nostri risultati. Anche egli ha distinto un nucleo, la peculiare disposizione del citoplasma, la separazione di questo in due strati ad un dato periodo di sviluppo, ecc. Anch'egli, come noi, ammette molto verosimile che la divisione sia diretta. Però secondo Mannaberg il nodetto nucleoliforme, ad un certo momento, sparirebbe; lo che noi invece neghiamo. Quasi contemporaneamente a Mannaberg, Romanowsky, interpretava con noi l'en- toplasma di Celli come succo nucleare; però riscontrava nel nodetto nucleoliforme una rete cromatica formante più tardi un gruppo di cromosomi; la moltiplicazione doveva essere perciò cariocinetica. Le conclusioni suddette non trovarono favore nella scuola di Roma. Recentemente Ziemann riprese il metodo di Romanowsky e con esso confermò in grandissima parte ciò che io e Feletti avevamo scoperto ; ma non avendo consultato il nostro lavoro in esteso, credette di aver osservato cose del tutto nuove e si limitò a citarci parecchie volte, sempre trovando a ridire. Egli fece risaltare in modo par- ticolare come il metodo da noi proposto non meritasse fiducia, ciò che era anche opinione di altri. Voglio qui riportare questo nostro metodo e discuterlo alquanto. Si mette sul vetrino portoggetti una goccia di soluzione allungata di bleu di metilene, o di fucsina (una goccia di soluzione aicoolica satura in tant'acqua distillata quanta ne contiene un comune vetro da orologio); indi raccolta una piccola goccia di sangue malarico sul vetrino coproggetti, si lascia cadere questo sopra la goccia del liquido colorante. Per mescolare i due liquidi basta sollevare da un lato il vetrino coproggetti e la- sciarlo ricadere. Il preparato è ben riuscito quando appare del tutto trasparente. Così si ottiene di solito il nodetto nueleoliforme intensamente colorato. Il citoplasma può comparire colorato, o no; il succo nucleare resta incoloro. In ogni caso il no- detto nucleoliforme viene assai più intensamente colorato del resto. Noi non sappiamo spiegarci come agisca sui parassiti malarici il liquido che viene a formarsi aggiungendo al sangue la suddetta soluzione acquosa di un colore d'anilina. Certo è che si può contare su di essa per dimostrare il nucleo, come pro- vavano già nel 1890 i raffronti da noi fatti, osservando a fresco, ovvero osservando preparati eseguiti con altri metodi, od anche sperimentando il nostro metodo su altri protozoi parassiti. Fin d'allora però avvertivamo che il nostro metodo non sembrava commen- dabile per lo studio delle fine particolarità di struttura del nucleo. Infatti col metodo da noi proposto, la soluzione acquosa di un colore d'anilina veniva applicata senza previa fissazione; ciò doveva alterare le minutissime strutture, ma non poteva tuttavia creare il nucleo se non fosse esistito. D'altra parte i fissatori anche molto — 160 — delicati, come ha dimostrato recentemente Fischer, producono essi pure delle gravi alterazioni; perciò un metodo non può giudicarsì 4 prz0r:, ma prima dev'essere con- trollato razionalmente con altri metodi. Nel nostro caso questi controlli non mancarono e quelli di Ziemann specialmente vennero molto a proposito. Recentissimamente Bignami e Bastianelli confermarono in complesso ciò che aveva veduto Ziemann, e, pur differendo parzialmente nelle interpretazioni si persuasero che veramente conviene definitivamente abbandonare la loro distinzione di citoplasma cromatico, di citoplasma acromatico, e di granulo cromatico, per tornare al nostro concetto di citoplasma e nucleo con nodetto nucleoliforme (9). Se io confronto le conclusioni di Ziemann, colle nostre del 1890 debbo rilevare: 1°. Egli ha confermato essenzialmente quel modo di riproduzione del nucleo che noi avevamo descritto fino dal 1890. Ho qui perciò riportate alcune figure di Ziemann (I. 96, 98, 99) e alcune del nostro lavoro del 1890 (I. 102-104). 2°. Evidentemente il suo corpuscolo cromatico corrisponde al nostro nodetto nucleoliforme, come risulta confrontando le figure or citate. 3°. Ziemann ha aggiunto che il corpuscolo cromatico compatto nei parassiti piccoli, man mano che il parassita ingrossa, acquista una struttura spongiosa. 4°. La membrana nucleare da noi ammessa non esiste, secondo Ziemann. Alcune volte però, soggiunge Ziemann, ho veduto nella zona acromatica un finissimo reticolo; qualcosa di simile è già stato descritto da noi nel citato lavoro. Non farebbe poi meraviglia che la membrana del nucleo col metodo del dissec- camento adottato da Ziemann sparisse. Certo è che già a fresco si può talvolta rilevare attorno al nucleo un evidente con- torno che permette di parlare di una membrana nucleare (Grassi, Feletti e Mannaberg). Col metodo da noi proposto essa sì distingue con sicurezza, benchè /enwiss/ma, come l'abbiamo definita fin dal 1890; ma chi può escludere che essa sia una produzione artificiale? La circostanza che il pigmento col nostro metodo non penetra mai dentro il succo nucleare, a mio avviso, può far pensare all’ esistenza reale di uno stra- terello ispessito attorno al nucleo, straterello che, per analogia, dobbiamo interpretare come membrana nucleare per quanto delicatissima. La presenza di una membrana nucleare sembra anche confermata dalla circo- stanza che il nucleo, col metodo da noi proposto, pur mantenendosi sferico, rigonfia, il che dimostra che vi penetra acqua. Debbo inoltre osservare che nei preparati fatti col metodo del Romanowsky si trovano non di rado dei grossi parassiti col nucleo sporgente dal protoplasma nel globulo rosso: in questi casi parrebbe proprio che esistesse una tenuissima membrana. 5°. Singolarissima poi è l'opinione di Ziemann che il nodetto nucleoliforme nelle semilune scompaia. Per dimostrarne la presenza altri ha dovuto ricorrere ai vapori d’acqua (Sacharoff); e così invece di trattare direttamente il sangue con una soluzione acquosa d'un colore d'anilina, lo si espone ai vapori d'acqua; ma sopra questo argomento tornerò più avanti. (4) Anche noi avevamo osservato che l'individuo giovane può contenere frammenti di globulo rosso (Grassi e Feletti). — 161 — Ciò che ho detto fin qui sul nucleo dei parassiti malarici trova alla sua volta piena giustificazione in quanto noi sappiamo di altri Protozoi e sopratutto degli Sporozoi. Specialmente le ricerche di Schaudinn hanno illuminato questo punto. Negli altri Sporozoi ciò che io ho denominato a suo tempo nodetto nucleoliforme viene oggi denominato cariosoma (un tempo si sarebbe denominato nueleolo). In conclusione io e Feletti abbiamo dimostrato per primi in modo sicuro che i parassiti malarici hanno veramente un nucleo, il quale trova riscontro in quello di altri protozoi. Ciò viene oggigiorno generalmente ammesso. Era mio desiderio ristudiare la struttura dei parassiti malarici dell’uomo colle sezioni del sangue e degli organi conservati coi noti metodi citologici invece che col disseccamento. Purtroppo me ne è mancato il tempo; qui mi limito perciò ad alcune osservazioni fatte col metodo di Romanowsky. Nei preparati fatti col metodo di Romanowsky qualche volta il nodetto nucleo- liforme (I. 110) appare nettamente diviso in cromosomi che possono essere disposti in doppio ordine in guisa da far pensare a una doppia piastra nucleare, e perciò ad un processo di cariocinesi, quale presso a poco è già noto in altri Protozoi. In pro- posito veggansi anche le fig. 4 e 7, tav. I della recente Memoria (5) di Bastianelli e Bignami. Certamente si tratta di stadi di moltiplicazione. Il loro valore è difficile a stabilirsi. Importa (I. 111) notare che si possono trovare stadi simili in cui i ero- mosomi di ciascuna piastra sono tra loro fusi assieme o per un piccolo tratto, oppure quasi in totalità. In tutti questi casi si potrebbe pensare sempre ancora, benchè l'in- terpretazione sia un po’ artata, a un processo di cariocinesi; ma contro questa inter- pretazione sta il fatto che in altri casi si ha una tipica divisione diretta, semplice o multipla, del corpuscolo nucleoliforme. Fornisco alcune figure di Grassi — Feletti e Ziemann, nelle quali questi processi sono evidenti (I. 96-106). Se si interpreta il nodetto nucleoliforme come un unico cromosoma, interpre- tazione già immaginata da me e da Feletti fin dal 1890, è forse possibile anche in questi ultimi casi di ricondurre il processo a una sorta di cariocinesi; ma questa inter. pretazione è collegata a tante altre questioni citologiche, sulle quali tornerò più avanti. D) NOMENCLATURA RIGUARDANTE I VARI STADI DEI PARASSITI MALARICI ANCHE NEL CORPO DELL'ANOPHELES. — Il sopra accennato processo conduce alla ben nota sporulazione scoperta da Golgi. Questo termine di sporulazione oggi giorno vuol essere cambiato, come pure sono diventati necessarî altri termini nuovi per gli Sporozoi. Trovo perciò fin d'ora opportuno proporre questa nomenclatura, attenendomi sopra tutto ad Haeckel, il quale nella sua « Filogenia sistematica » ha introdotto una quan- tità di neologismi, di cui molti felicissimi. Nel far le mie proposte parto anche dalla considerazione che occorre uniformare, fin dove è possibile, la nomenclatura dei vari stadî evolutivi dei parassiti malarici e degli Sporozoi a quella generale degli esseri unicellulari. Come ho detto, i parassiti malarici possono riprodursi per generazione neutrale (non sessuale) e per generazione sessuale. Il primo modo di generazione, che è ap- punto quello che riscontrasi nel corpo dell’uomo, denominasi monogonia, l'altro, che riscontrasi nel corpo dell’ Arzopheles, denominasi amfigonia. 21 » — 162 — Queste due sorta di generazione dunque si alternano; si dice perciò che i pa- rassiti malarici presentano la citometagenesi (per questo nome vedi più oltre). Il processo di monogonia si verifica appunto con quella modalità speciale che denominasi sporulazione, 0 più esattamente sporogonia (°) conitomica o conitomia (per polverizzamento). Schaudinn propose per lo stesso processo il termine schzs0- gonia che mi sembra superfluo: egli riserba invece il nome di sporogonia per l'am- figonia che si verifica pure per sporogonia conitomica. I prodotti della sporogonia conitomica, sì nel corpo dell'uomo che in quello dell’'Aropheles, denominansi secondo la nomenclatura già molto in uso sporozozti e mi sembra inutile un nome speciale (merozozti) per gli sporozoiti derivati dalla mono- gonia quale venne proposto da Simond e da Schaudinn. È più ragionevole la proposta di termini speciali per l'individuo della genera- zione amfigonica e monogonica. I termini che io propongo di monorte per l' indi- viduo della generazione non sessuata e di 47fionte per l'individuo della generazione sessuata sono adoperabili anche per gli altri Protozoi, oltre che per gli Sporozoi (Schaudinn denomina il mio mononte, sehizonte, e il mio amtionte, copula, oocinete, oocisti ecc.). Certi mononti si trasformano in gameti, i quali restano sterili nel corpo dell'uomo, e spetta a Mac Callum il merito di aver dimostrato che le cosidette semilune sono appunto gameti. Io e Dionisi abbiamo riuniti insieme i fatti noti in altre forme di Emosporidi e conchiuso che anche in esse si formano gameti simili, già noti coi nomi di forme adulte non sporulanti, ovvero grossi corpi pigmentati liberi o forme sterili della ter- zana e della quartana (’); la nostra era soltanto un’induzione, la cui esattezza suc- cessivamente ho dimostrato con Bignami e Bastianelli. I gameti sono di due sorta e precisamente nel corpo dell'uomo distinguiamo soltanto una macrospora detta anche o0ide (macrogamete di Schaudinn) e un ante- ridio (microgametogeno di Grassi, microgametocito di Schaudinn, ece.). Una rivista critica di Lihe nel Centralbl. f. Bakt. u. Parasit. F. Abt. (56) ed il Report (1900) (77) di Ross mi dimostrano la necessità di aggiungere il seguente prospetto della nomenclatura da me proposta, seguendo Haeckel, in confronto a quella proposta da Schaudinn, da Ray Lankester, da Ross seguendo Herdman ed infine da Koch. Per maggiore chiarezza ho aggiunto anche la nomenclatura usata dagli autori precedenti (Marchiafava, Celli, ecc.). Sono contento di constatare che Lang nella nuova edizione del suo Zehrbueh der vergl. Anat. (1901) segue essenzialmente la nomenclatura Haeckel-Grassi indicata nel seguente prospetto (pubblicato già nel 1900): () Schaudinn ha cambiato il senso del termine sporogonia, ciò che non mi sembra accettabile. (2) Celli aveva richiamato molto l’attenzione su queste forme; le aveva descritte anche negli uccelli e le aveva paragonate alle semilune: tutte osservazioni esattissime, delle quali oggi è mu- tata soltanto l’interpretazione. Già Manson (59) parecchi mesi prima di noi aveva parzialmente preveduto il fenomeno da me e da Dionisi ulteriormente precisato. _, n I II II. IV. LA VI. HAECKEL-GRASSI SCHAUDINN RAY LANKESTER Ross KocH Nere 1) Monogonia (genera-| Schizogonie - _ Endogene Entwicke-| sporulazione zione neutrale) per lung sporogonia conito- mica o conitomia. 2) Mononte Schizont Oudeterospore (4) Amoebula or Myxo- _ Plasmodio, Ameba pod — Sporocyte 3) Sporozoito (mono-| Merozoit Nomospore Spore _ Spora, Amebula, Gin- gonico) (1). nespora do AO e DI 4) Macrospora (o| Makrogamet Gynospore Macrogamete Weibliches Indivi-| Ze # SEas zo Ooide, v Ma- 5 duum - Weibliche| $ 5 SESSTE Sa ..| crogamete) 3 Parasit. TILCne pria & © efgaf 080% S È ) ESSSSEDLSE 5) S( Anteridio (2) | Mikrogametocyt 2° di _ Minnliche Parasit BCE 225 * e) 6) Microspora (o) Mikrogamet Androspore Microgamete Spermatozoon (Mànn-| Flagello Spernoida, 0) liches Individuum) icrogamete) (5) Amfigonia (generazio-| Sporogonie _ e Exogene Entwicke- _ ne sessuale) per spo- lung rogonia conitomica 0 conitomia. 8) Amfionte (3) (quan-| Copula, Ookinet, 00-| Gametospore Zygote Wiurmchen und Coc- do è mobile chia- cyste cidienartige Ku- masi: vermicolo) gel 9) Sporozotto (amfigo-| Sporozoit Gametoklast or Ga-| Blast Sichelkeime _ nico). metoblast (1) Invece di sporozoito potrebbe usarsi il termine di ginnospora (Grassi e Feletti 1890). (2) Nelle Note preliminari usai il termine: microgametogeno. (3) Nelle Note preliminari usai anche il termine s:gote che ora ritengo superfluo. (4) Any spore which is not differentiated so as to be male or female. (5) Koch (47) pag. 17 e Lihe (57) pag. 61. E) PARTENOGENESI DEI GAMETI? — Io suppongo che la macrospora e for- s'anche la microspora siano capaci di moltiplicarsi partenogeneticamente con quelle modalità di riproduzione che sono note coi nomi di divistone e gemmazione, luna tanto affine all'altra. Questi che seguono, sono gli argomenti in favore della mia supposizione (°): I. Osservazioni dirette. — Una riproduzione che può interpretarsi come parte- nogenetica è già stata accennata da varî autori. La prima osservazione, per quanto io so, è stata fatta da me e da Feletti. « Ab- biamo trovato a fresco, nel sangue non colorito, delle semilune con nucleo a cifra otto e talvolta nettamente con due nuclei, amendue circondati da pigmento. Qualche rara volta notavasi uno strozzamento della stessa semiluna con due nuclei: allora uno di (4) In realtà è mia soltanto la forma scientifica della supposizione in discorso, essendo state da alcuni medici già riferite le recidive alle semilune. — 164 — essi trovavasi al di qua e l'altro al di là dello strozzamento. Queste figure, a nostro parere, preludiano alla riproduzione ». Il fatto venne confermato da Mannaberg, che ha veduto anche la divisione totale, e ha conchiuso che la moltiplicazione per divisione delle semilune è sicura; ed è stato, infine, osservato pure da Ziemann, che però ha notato ancora uno stretto ponte di riunione tra i due nuovi individui. Riguardo ai parassiti della terzana e della quartana manchiamo di dati precisi, come pure per le Haemamoebae degli uccelli. Nei gameti quartanari e terzanari è stata però osservata una sorta di gem- mazione che potrebbe forse mettersì in rapporto col processo sopradetto. Essa fu notata anche nelle semilune. Osservazioni simili vennero fatte per le Haemamoebdae degli uccelli (Celli, Sanfelice) (°). Labbé ha descritto nell'Wu/ter:dium un processo di sporulazione, il quale non è stato confermato nè da Mac Callum nè da Opie nè da Laveran, e neppure da me; egli è stato evidentemente tratto in inganno da figure simili alla 104 del mio lavoro con Feletti. Già nella nostra spiegazione di questa figura si legge che essa sembra una figura di sporulazione, ma in realtà non lo è. Ci pare în conclusione che nell’ Hal- teridium siano soppresse le generazioni neutrali. In esso non fu riscontrato finora altro modo di riproduzione all'infuori di quello per divisione dei gameti (partenoge- nesi ?) (°). II. Argomenti per analogia cogli Sporozoi. — Nella Adelea ovata (83) Siedlecki ha dimostrato che i gameti, siano di sesso maschile che di sesso femminile, danno luogo a una o più generazioni per sporogonia conitomica (generazioni endogene) che si potrebbe ritenere con Giard (17), partenogenetiche (°). Vuolsi notare però che gli individui maschili dell’Adelea generano soltanto individui maschili, e i femminili quelli femminili. Non ci deve sorprendere di trovare in gruppi affini, cioè, come ho detto nel- l'Halteridium, la soppressione di un ciclo di sviluppo. Lo stesso Siedlecki ha dimo- strato nella Beredenia la soppressione delle suddette generazioni endogene dell’Adelea. (4) Questa interpretazione, cade se si ammette che le così dette semmule prodotte dai gameti siano corpuscoli direttivi, ossia di riduzione (Vedi più avanti). (2) « Nel sangue periferico del piccione e del passero abbiamo trovato Halteridium giunti al massimo sviluppo, i quali si strozzavano nel mezzo, venendo così ogni metà ad acquistare una metà del nucleo. Non è raro d’incontrare Zalteridium simili già divisi in due, ogni metà con un nucleo ». (Grassi e Feletti 1890). Ciò ha confermato recentemente Laveran (50). La figura di divisione fornita da questo autore riguarda un individuo di sesso femminile; egli ha osservato che il nucleo prende la debita parte nel processo in discorso. Ultimamente poi lo stesso autore (52) emise l'ipotesi che anche nel parassita in discorso si verifichino le generazioni neutrali, ma i fatti da lui avanzati per appog- giarla sembrano finora inconeludenti. (°) Schaudinn per altro ammette che la generazione da me supposta partenogenetica nell’Adelea rappresenti una generazione non sessuata come quelle che si verificano nei Coccidium, colla sola differenza che nell’Adelea già nella generazione non sessuata si verificherebbe la distinzione degli individui nei due sessi. — 165 — III. Argomenti per lontana analogia coi Sarcodini. — Per ulteriori schiari- menti riporto due schemi, l'uno riguardante i cicli di sviluppo dei parassiti malarici secondo il mio modo di vedere (parte destra della Tav. V), e l’altro riguardante un Rizopodo studiato da Schaudinn, il Zrichosphaerium Stieboldi (°) (fig. 16). ia| S3 Amfionte in sporogo- = nia conitomica 3 < E con (i Ei . x “mp cares se = s > 6 7 dò = Ì > = da 2 E î < >) © DI s i 6 5 È Ci È < 1 2 9 6 = = ° È E Sa) i + e = ° Ci 2 e DI n Z E | S g DE 12 ur (o È > o —_—r rT- m 3 ETA Mononte in sporogonia EN 5 © conitomica 65 5 2 Ea SA (o) IS _ ce La i=} Be 8 n° oo È 71 Ci Fic. 16. — 7richosphaerium Sieboldi: rappresentazione schematica del suo ciclo evolutivo (secondo Schaudinn). Dallo schema riguardante il 7richosphaerium risulta che anch'esso, come 1 pa- rassiti malarici e come molti altri, e molto probabilmente tutti i Protozoi, presenta necessariamente il fenomeno della fecondazione (1 e 2) e quindi una generazione amfi- gonica (3-7) la quale alterna con generazioni monogoniche (8-12). (2) Gioverà qui richiamare anche quanto riferisco più avanti a proposito del Volvox (pag. 188). p Vi Nè le generazioni monogoniche nè quelle amfigoniche sono uniformi potendo esse avvenire per divisione, per gemmazione e per sporogonia conitomica (6', 6”, 6” e 7, Li Li ll'iasl2B): Se paragoniamo questo ciclo del 7richosphaerium con quello dei parassiti malarici, nonostante le molte e gravi differenze, evidentemente risulta che nell'ultimo non sono rappresentate le riproduzioni per gemmazione e per divisione; non ci dovrebbe perciò troppo meravigliare se queste maniere di riproduzione venissero riscontrate anche nei parassiti malarici. Riunendo tutt’assieme, da una parte i fatti positivi osservati nei parassiti malarici, dall'altra gli argomenti d'analogia coll’Adelea, col Trichosphaerium, col Volvox e in generale con tutti gli altri Protozoi, mi permettono di ammettere prov- visoriamente l'ipotesi — ipotesi di lavoro — che anche nei parassiti malarici abbia luogo la riproduzione partenogenetica, cioè dei gameti, per gemmazione e per divisione. Probabilmente su questo argomento getterà molta luce lo studio della quartana, nella quale i corpi flagellati sono scarsissimi, mentre i corpi che non si flagellano (ma- crogameti?) sono molto meno scarsi (°). La mia ipotesi spiegherebbe benissimo il singolare fenomeno delle recidive a lunghi intervalli tanto comuni nella malaria; vale a dire che la generazione partenogenetica si verificherebbe quando gli individui, apparentemente risanati, vengono assaliti da un nuovo accesso febbrile. La recidiva succede qualche volta dopo un breve intervallo e in questo caso una spiegazione è ovvia (”). Non si può dire lo stesso quando la recidiva sì verifica settimane od anche mesi dopo l'ultimo accesso febbrile. Per spiegare come possa avvenire tale fenomeno, senza ricorrere all'ipotesi della riproduzione partenogenetica dei gameti, si può far capo ad altre due ipotesi: o ammettere che i mononti per un tempo molto lungo sospendano il loro sviluppo, ciò che sarebbe molto strano, oppure ammettere che cessate le febbri restino ancora nel sangue alcuni mononti, le cui successive generazioni in gran parte andrebbero perdute perchè l’ospitatore non oftrirebbe loro un ambiente opportuno: a poco a poco l’ambiente ridiventerebbe op- portuno, i parassiti ridiventerebbero abbondanti e giungerebbero alfine a produrre un nuovo accesso. Questa seconda ipotesi non può venire respinta @ priort. Non voglio lasciar l'argomento senza accennare che nel nostro lavoro del 1890 trovo alcune notizie le quali, a mio avviso, possono servire a chi svolgerà ulteriormente l'ipotesi dei gameti partenogenetici : « i possibile che un individuo apiretico, il quale presenta semilune, guarisca senza che sorvengano mai accessi febbrili. Però abbiamo osservato molte e molte volte, nei casi di febbre a lunghi intervalli, che le semilune aumentavano man mano che si approssimavano nuovi accessi. Qualche volta le semilune diventavano molto abbon- danti per parecchi giorni prima di questi nuovi accessi, durante i quali diminuivano (2) Vi sono nella letteratura dei casi di febbre malarica sperimentale prodotta dall’iniezione di sangue contenente soltanto semilune. Occorre ripeterli escludendo qualunque fonte d'errore. (2) Vedi gli studî sull’ infezione malarica del 1594 di Bignami e Bastianelli. Per ispiegare le recidive a lunghi intervalli essi ricorrono ad ipotetiche spore con membrana. — 167 — molto, fino quasi a scomparire del tutto. Appena, in rarissimi casi, vedemmo scom- parire le semilune senza che insorgessero accessi febbrili ». F) Dove E COME SVILUPPANO I GAMETI. — Sotto parecchi aspetti sarebbe im- portante poter determinare le condizioni in cui si sviluppano i gameti. Fin dai primi momenti in cui cominciai a riflettere su questo argomento mi sorrise l'ipotesi che i gameti si producessero in organi speciali, e a questo riguardo il prof. Marchiafava ri- chiamò la mia attenzione sopra il midollo delle ossa. Recentemente Bastianelli e Bignami sostennero appunto che i gameti semilunari originassero nel midollo delle ossa; ora io non so se, dopo queste osservazioni, sì debba annullare quanto essi scrissero nel 1890 intorno alla formazione dei gameti stessi. Nel 1890 Bignami e Bastianelli descrivevano la formazione delle semilune come segue: « Il settimo ed ottaro giorno di malattia nel sangue estratto dalla milza ed eccezionalmente in casi, in cui il reperto parassitario è abbondantissimo, anche nel sangue del dito, sì ritrovano corpicciuoli pigmentati ovoidi o fusati endoglobulari, dei quali si può seguire lo sviluppo sino alla semiluna adulta. Mentre il sangue della milza nei primi attacchi febbrili, specialmente se la puntura è eseguita intorno al- l’inizio dell'accesso, suol dimostrare la presenza di corpicciuoli rotondi endoglobulari con pigmento centrale e di sporulazioni provenienti da questi; dopo un numero varia- bile di attacchi un certo numero di corpicciuoli con pigmento centrale, in luogo di avviarsi alla sporulazione, assume la forma ovoide o fusata, e si sviluppa fino al corpo falciforme ». Nel 1899 invece descrivono la formazione delle semilune nel midollo delle ossa, come segue: Essi premettono che le più piccole tra le forme giovani delle semilune « e in quantità non paragonabile si trovano nel midollo delle ossa soltanto. È giusto dunque ritenere che le semilune (come abbiamo stabilito altrove) si formano nel midollo delle ossa ». « Le forme più piccole, che possiamo dire con certezza che appartengono alla fase semilunare, sono già pigmentate, anzi contengono relativamente molto pigmento quando il loro volume è di poco maggiore di quello dei piccoli anelli: se dunque la semiluna in principio poco differisce dalla comune ameba, presto si differenzia ed assume caratteri morfologici e biologici particolari ». « Da queste forme giovanissime, che possiamo riconoscere con certezza come d'ori- gine semilunare, comincia la nostra descrizione. Sono grandi poco più di un'ameba senza pigmento, o con granulini, hanno contorno netto, rifrangenza più forte e carat- teristica: il pigmento è disseminato o raccolto in gruppi di aghi del tipico aspetto di quelli che si vedono nelle semilune adulte. Il pigmento aumenta col crescere del parassita, ma non in tutti gl'individui in quantità eguale, sicchè si hanno infine semilune con molto pigmento, semilune con poco pigmento. Nei preparati colorati (che sì possono ottenere sezionando il midollo delle costole una mezz'ora dopo l' esito letale, negli individui morti di perniciosa subito dopo l' ingresso all’ ospedale) con l'ematossolina, il corpo semilunare giovane prende un colorito bleu un po’ più forte È tie x alla periferia, ed al centro è molto pallido; col metodo di Romanowsky il corpo pro- toplasmatico si colora in bleu pure più intensamente alla periferia e nella parte pallida sta la cromatina in forma di bastoncelli più o meno vicini; questa disposi- zione della cromatina a cromosomi distinti è costante nelle semilune, mentre nei paras- siti dell'altro ciclo solo nelle fasi di moltiplicazione si può riconoscere che la cro- matina è fatta di filamenti ». Già fino dal 1890 io e Feletti notavamo che l’ opinione allora espressa da Bignami e Bastianelli ci sembrava fondata sopra un equivoco ed infatti, soggiungevamo: « la semiluna ha il suo pigmento attorno al nucleo, ed invece l' Emameba quando ha il pigmento accumulato al centro, presenta già varî nuclei ». Io non ho potuto fare altre ricerche sulla sede dove si sviluppano i gameti. Ad ogni modo, dalle ricerche recenti di Bignami e Bastianelli, risulta confermato quanto era già stato ammesso, che gameti semilunari si sviluppano nel midollo delle ossa, dove peraltro si trovano anche mononti in varî stadî di sviluppo tra cui molti anche in conitomia. Ciò dimostra con sicurezza che /a produzione dei gameti non è conseguenza dello sviluppo dei parassiti in certi organi, perchè in questi stessi organi maturano e si moltiplicano anche î mononti proprio contemporaneamente. Esclusa pertanto la possibilità di riferire la produzione dei gameti a una peculiare sede, si deve cercare un'altra spiegazione. Studiando la letteratura, si sarebbe tentati di attribuire la produzione dei gameti ad una certa immunità che l'organismo fino ad un certo punto va acquistando contro la malaria col ripetersi degli accessi febbrili; senonchè molti altri fatti dimostrano che la produzione dei gameti comincia già dopo i primi accessi febbrili, cioè tanto precocemente che non si può ancora parlare d' immunità. Tutti i fatti finora noti tendono invece a farci credere che la produzione dei gameti o è fenomeno ereditario, come la produzione delle cellule germinative nell'em- brione d'un metazoo, ovvero trova la sua ragione nelle condizioni di vita poco favo- revoli in cui si trovano quei parassiti che diventano gameti. Forse vi contribuiscono tutt’ e due queste cause, come dimostra da una parte la suddetta comparsa dei gameti dopo i primi accessi febbrili e dall'altra l’ abbondante produzione di gameti semilu- nari che si verifica quando il chinino viene amministrato in dosi piccole, o quando si usa invece del chinino il fevrolo, il succo di limone, ecc. (Gualdi e Martirano). Anche riguardo al modo di produzione dei gameti esistono molte incertezze. Bignami e Bastianelli hanno descritto la produzione dei gameti semilunari, come sopra si è detto, in due modi differenti nel 1890 e nel 1899. L'ultimo modo a tutta prima sembra il più probabile; ma se si paragonano le figure della Tav. II della Memoria di Marchiafava e Bignami (61) con quelle della Tav. I del recente lavoro di Bastianelli e Bignami (5), il eriterio della quantità di pigmento (rileggasi il principio della cita- zione), col quale questi distinguono i giovani gameti, sembra non del tutto certo, ed io credo che l'argomento richieda nuove ricerche. Che nel primo momento di vita del parassita siavi già una differenza tra il mo- nonte e il gamete non è ammissibile, mancando qualunque prova diretta o indiretta. Forse il differenziamento può cominciare in differenti stadî; certamente avviene durante la fase vegetativa e non è più possibile quando è cominciata quella riproduttiva. — 169 — G) Come sI RIconoscono I GAMETI. — Mentre i gameti della Laverania malariae per la loro forma semilunare sono facilmente differenziabili dai mononti, riesce difficile distinguere quelli della terzana e della quartana e praticamente sì è assolutamente sicuri di aver sott'occhio dei gameti soltanto quando si vedono uscir fuori gli spermoidi (flagellarsi), ovvero si trovano dei mononti, non avviati alla spo- rogonia, che hanno consumato tutto il globulo rosso e persistenti senza segmentarsi non ostante il succedersi degli accessi febbrili o la mancanza degli accessi stessi. A fresco, servono, non sempre forse, con tutta la sicurezza desiderabile, altri criterî che accenneremo più avanti nella descrizione delle singole specie dei parassiti malarici umani. Nei preparati coloriti col metodo di Romanowsky le incertezze di diagnosi mi sembrano maggiori. Il dott. Martirano recentemente fece molti preparati di un sangue terzanario ric- chissimo di parassiti: le forme presentanti ancora alla periferia un orlo fatto dal glo- bulo rosso non interamente consumato che secondo le fig. 19 e 21 della tav. II di Bastianelli e Bignami (1899) dovevano giudicarsi gameti, erano molto abbondanti: nessuna invece si flagellò per quanto egli usasse tutte le cautele desiderabili. (Erano forse troppo giovani?) In base alle ricerche di Celli, Dionisi ecc. ritengo che si possa giudicare gamete terzanario o quartanario ogni parassita grande che ha consumato tutto il globulo rosso, senza entrare nella fase riproduttiva solita. Tenendo presenti le accuratissime ricerche di Ziemann, sorge spontanea la sup- posizione che si debbano ritenere gameti maturi quelle forme nelle quali non sì riesce a colorire il nodetto mucleoliforme (cromatina, come oggi si dice generalmente) col me- todo di Romanowsky, senza ricorrere a speciali artifici (esporre il sangue al vapore acqueo, esaminarlo poco dopo che è stato succhiato dall’Azopheles, ecc.) (I. 109). (I. 108 rappresenta un gamete quasi maturo ?). I gameti sono di due sorta: maschili e femminili, ossia anteridi o microsporociti, e macrospore. Essi si differenziano per la quantità di cromatina che è molto maggiore negli anteridi (I. 2 e 4); in questi il protoplasma pare meno denso e perciò assume meno intensamente il bleu col metodo di Romanowsky (Bignami, Bastianelli, ecc.). H) CARATTERI ZOOLOGICI DELLE SINGOLE SPECIE DURANTE IL CICLO UMANO. — Come ho detto precedentemente nella parte storica, distinguiamo nell’ uomo per lo meno tre parassiti malarici. I caratteri di questi parassiti meritano di essere brevemente riassunti. Plasmodium malariae. Quando è piccolo, emette lentamente pseudopodi di solito lunghi e sottili. Le correnti protoplasmatiche (indicate dai corpuscoli di pigmento) o sono torpide, o non sono rilevabili; il pigmento risulta di granelli grossolani, o di bastoncelli, ed è di colore bruno oscuro. A poco a poco questo mononte ingrandisce, aumentando anche la quantità di pig- mento. e perde la mobilità presentandosi perciò costantemente loboso dapprima e poi tondeggiante. 22 #1 — 170 — Esso produce di solito 9-12, talvolta soli 6, tal altra perfino 14 sporozoiti. Il globulo rosso invaso conserva i suoi caratteri. Il mononte già adulto, ma, nell’osservazione a fresco senza reagenti, non mostrantesi ancora avviato alla sporo- gonia, di solito ha invaso quasi tutto il globulo rosso, ne lascia libero, cioè, uno stra- terello periferico, riconoscibile dal suo colore: questo straterello a sporogonia com- piuta di solito non sì rileva più. Il suo ciclo evolutivo (compresa la sporogonia) richiede 72 ore. Questo ciclo compiesi nel sangue circolante senza che i parassiti si accumulino di preferenza nel letto vasale di alcuni visceri; lo si può perciò seguire facilmente anche studiando soltanto il sangue estratto colla puntura del dito. I gameti scarsi, rotondi, distinti dai mononti adulti sopratutto per la grande mobi- lità del pigmento, sparso per tutto il loro corpo, sono di varie grandezze, da meno di un globulo rosso (di solito) a due volte lo stesso. Arrivati ad una certa grandezza non mostrano più traccia del globulo rosso. La specie in discorso è causa della quartana. P. vivax. Si distingue specialmente per i movimenti ameboidi più vivaci anche nelle forme ingrandite; le correnti protoplasmatiche sono pure più vivaci; i corpuscoli di pigmento sono più fini, più granellosi e di color bruno più chiaro che nel P. malarzae. Questo mononte produce di solito 15-20, perfino 25 sporozoiti. Il globulo rosso, che ospita il parassita, sî rigonfia e scolorisce. Il mononte adulto, ma non ancora a fresco e senza reagenti, accennante alla sporogonia di solito lascia libero uno straterello periferico del globulo rosso. Di questo straterello a spo- rogonia compiuta, di solito non rilevasi più traccia. Il mononte raggiunge una volta e mezzo la grandezza di un globulo rosso. Ciclo in 48 ore. Nonostante che i mononti adulti, o in sporogonia avanzata tendano ad accumu- larsi nella milza, può tuttavia seguirsi tutto il ciclo studiando il sangue estratto dal dito. Gameti piuttosto abbondanti, rotondi, distinti dai mononti adulti per il pigmento a granelli più grossolani, o a forma di bastoncelli e per il movimento di solito molto più vivace del pigmento stesso. Possono raggiungere la. grandezza di due-tre volte un globulo rosso. Arrivati ad una certa grandezza non mostrano più traccia del glo- bulo rosso. Non sì distinguono da quelli del P. malariae (Ziemann). È causa della terzana. Laverania malariae. Si distingue questa specie perchè è più piccola delle altre, sicchè il mononte adulto, che a fresco senza reagenti non mostra ancora traccia di sporogonia, tutto al più raggiunge la metà circa del globulo rosso e a sporogonia compiuta conservasi ancora almeno un terzo del globulo rosso. — 71 — Il mononte quando è in riposo, sembra spesso di forma annulare o discoide ed ha contorni più netti del parassita della terzana e della quartana in modo che spicca più chiaramente sul globulo rosso; esso fa vivaci movimenti ameboidi. Il suo pigmento di raro presentasi in movimento ed è in granuli finissimi, bruni o quasi neri e relativamente scarsi; si dispone per lo più sul margine del parassita. Il globulo rosso tende a rimpicciolirsi, a raggrinzarsi, mentre il colore dell’ emo- globina si fa carico. Talvolta questi fenomeni sono spiccatissimi. Gli sporozoiti sono più piccoli che nelle altre forme e di solito meno numerosi (7, 10, 12, raramente 15-16, perfino 25). Ciclo di durata non ben stabilito perchè i mononti adulti e in sporogonia si ac- cumulano nei vasi di alcuni visceri tanto che si riscontrano difficilmente, o mancano affatto nel sangue periferico. Probabilmente compiesi in 48 ore. Gameti semilunari col pigmento disposto per lo più attorno al nucleo invece che sparso per il corpo (°). Produce essenzialmente una terzana ad attacchi molto prolungati; essa viene accompagnata spesse volte da fenomeni perniciosi, non però in tutte le località (ter- zana maligna, quotidiana e febbri estivo-autunnali di Marchiafava e scolari; bidua e quotidiana di Baccelli; tropica di Koch ecc.). N. B. Io distinguo nella Zaverania malariae due varietà: mztis e immitis; la immitis rara assai nell'Italia settentrionale e nei dintorni di Catania. Come ho già accennato (33) fin dal 1899, finora sono distinguibili con sicurezza l’una dall'altra sol- tanto dal punto di vista clinico. Infatti, come Feletti ed io abbiamo stabilito nei dintorni di Catania, e come io ho notato anche nell'Italia settentrionale, le febbri malariche prodotte dalla Zaverania malariae (distinte dalle altre per la prima volta da Golgi) sono ostinate, ma quasi sempre relativamente miti, mentre le febbri ma- lariche prodotte dalla stessa specie di parassita diventano nell'Italia media e meri- dionale spesso gravi, degenerando in perniciose (distinte per la prima volta sopra- tutto da Marchiafava). Ciò viene confermato anche recentemente da Celli (9) il quale rende noto come nella gran valle del Po vengano volgarmente distinte come febbri agostane quelle che io ho detto osfinate, ma miti. Veramente Celli, che non mi cita, definisce le febbri agostane come gravi anche nell’ Italia settentrionale; rileva tuttavia a differenza di quanto sì verifica nel Lazio la grande rarità delle perniciose letali e la maggior abbondanza che nel Lazio dei casi che pur lasciati senza chinino non si aggravano rapidamente. Quanto alla rarità delle perniciose mortali Celli sog- giunge che occorrono nuovi studî, essendo certo che ne sfuggono sotto la diagnosi di meningite, tifoide, ecc. Egli richiama anche l'attenzione sul fatto che nell'Italia settentrionale si usa più largamente il chinino. A me sembra che queste osserva- zioni abbiano piccolo valore non potendosi ritenere che in Sicilia si faccia maggior uso del chinino che nel Lazio e non potendosi, sopratutto per Pavia e per Milano, invocare errori diagnostici nei dati di clinici o di patologi autorevoli. Debbo infine (“) A questo riguardo riporto due righe della mia Memoria eon Feletti (1890): « Che le semi- lune siano invece forme degenerate e sterili è una ipotesi contro la quale parla il loro nucleo, la loro forma caratteristica e tutto quanto noi sappiamo dalla storia naturale degli esseri ». PE — 172 — aggiungere che almeno a Locate Triulzi si denominano agostane tutte le febbri osti- nate e non soltanto quelle prodotte dalla Zaverania malariae. 2. L'Amfionte nell'Anopheles. Seguiamo ora il parassita malarico nell'intestino dell'Aropheles, prendendo come tipo la Zaverania malariae (detta comunemente forma semilunare). Quanto alla nomenclatura, mi riferisco a ciò che ho detto nel paragrafo primo. Debbo qui premettere che nel precedente lavoro da me pubblicato con Bignami e Bastianelli (21), si trovano molte notizie sulle forme che i parassiti malarici assu- mono nel corpo dell'Anofele: il presente lavoro le completa in non pochi punti e le sviluppa in modo speciale per quanto riguarda la fina struttura. Sui primi stadî però io ho pubblicato una Nota, una Memoria e una Nota hanno pubblicato Bi- gnami e Bastianelli: confrontando i nostri lavori il lettore noterà le divergenze. A) L'AMFIONTE NEL LUME DELL' INTESTINO MEDIO. — Come io con Dionisi ho indotto e come poi ho dimostrato con Bignami e Bastianelli, nell’ intestino medio dell'Aropheles non si sviluppano che i gameti. Nel lume dell'intestino medio gli anteridi producono le microspore, le quali fecondano le macrospore. Il fenomeno della fecondazione può essere sorpreso sotto al microscopio osser- vando il sangue a fresco. (Mac Callum). D'estate si osserva facilmente che i gameti bidui in gran parte diventano rotondi. Com' è noto, un certo numero di questi corpi rotondi (anteridi) si fornisce di flagelli (4-6, raramente 7). Una volta comparsi i flagelli, il corpo rotondo da cui sono fuorusciti (massa residuale) si presenta più piccolo degli altri corpi rotondi non fla- gellatisi: in esso il pigmento appare sparso. Col metodo di Romanowsky è facile persuadersi che alla produzione dei flagelli sono precedute moltiplicazioni dirette del nucleo (‘) (I. 5), che i nuclei così formati si portano verso la superficie e che i singoli nuclei crescono in direzione radiale diven- tando lunghi fili circondati da pochissimo protoplasma (Schaudinn). Questi sono i cosidetti flagelli. Come ha precisato Schaudinn, i flagelli maturi constano di un fila- mento assile cromatico che a distanze più o meno regolari presenta ispessimenti a forma di nodi; il filamento assile è ravvolto in una sottilissima membrana plasma- tica Il filamento assile, che si colora fortemente, rappresenta un nucleo allungato. Schaudinn si domanda se i suddetti ispessimenti si riscontrano soltanto nei prepa- rati conservati. Io credo che sì riscontrino anche a fresco, ma non posso asserire che non rappresentino figure che si allontanano dalle condizioni normali. Questi flagelli (4) Già fin dal 1890 io e Feletti notavamo che il nodetto nucleoliforme delle semilune in aleuni casi è piccolo, in altri relativamente grande, in altri accenna a dividersi in due o si è già diviso ed in altri infine si è diviso in quattro. Ciò è stato da noi osservato col nostro metodo e quindi si riferisce a condizioni delle semilune verificantisi nel sangue circolante; la qual cosa dimostra che macrospore e anteridi sono già distinti, come ho detto, nel sangue circolante nel corpo dell’ uomo, e che quivi è già iniziata la formazione delle microspore. — 173 — sono in realtà delle microspore (I. 6), che fanno vivaci movimenti serpentini per effetto dei quali alla fine si distaccano dal corpo, che li ha prodotti e si muovono in mezzo ai corpuscoli sanguigni. Altri corpi diventati rotondi, invece di presentare il pigmento sparso, lo conser- vano in generale nella posizione che aveva quando erano ancora semilunari, cioè di- sposto apparentemente ad anelio. Questi corpi non si flagellano, e sono le macrospore (ooidi); il loro nucleo (I. 2 e 3) si conserva qual era nella forma semilunare. Qualche volta si osserva l'emissione dai corpi rotondi di piccole masse (spesse volte 2-3) di cromatina che farebbero pensare a corpuscoli polari e a fenomeni di riduzione della cromatina: io l'ho peraltro osservata sì nelle macrospore che negli ante- ridi, in preparati tenuti in camera umida. Considerando le molte alterazioni che in questi preparati si verificano e anche le anomalie per es. per la formazione delle mi- crospore, non mi credo autorizzato a considerare il suddetto fenomeno come normale: tutto ciò in accordo con Bignami e Bastianelli. Come ha scoperto Mac Callum, le microspore girano attorno, finchè si avvici- nano a una macrospora: una vi penetra dentro in una parte, dove si scorge un pic- colo cono d'attrazione, e produce un vivo movimento del pigmento. Quando una è entrata dentro, nessun’ altra viene accettata, così che, se si trovano altre microspore in vicinanza, si vedono urtare invano contro la macrospora fecondata. Questi fatti si possono verificare sul sangue fresco da 20 minuti a 1 ora dopo che il preparato è stato allestito. Pochi istanti dopo entrata la microspora, il pigmento diventa immobile e la ma- crospora fecondata, che prende il nome di copula o di zigote, 0, con termine più ge- nerale, di amfionte subisce uno sviluppo che si può dividere in due periodi: il primo libero dentro il lume dell'intestino medio, il secondo nello spessore della tunica ela- stico-muscolare dell'intestino stesso. Durante il primo periodo l'amfionte da tondeggiante si trasforma nel così detto vermicolo (oocineto di Schaudinn); questa trasformazione si presenta nelle sue varie fasi osservando il sangue estratto dall'intestino dell’Anophe/es per es. 10 o 12 ore dopo che è stato succhiato. Facendo il preparato in formalina o nelle soluzioni sopra- dette di cloruro di sodio, ovvero di cloruro di sodio e albume, a fresco si vedono molte forme che fanno pensare alle larve dei Trematodi vedute a piccolo ingrandi- mento. Ve ne sono di quelle che hanno figura di miracidio, altre che hanno figura di sporocisti, altre infine che hanno figura di cercaria. Si tratta certamente di amfionti già divenuti o in via di divenire vermicoli (III. 1). Nel sangue succhiato da 28 a 40 ore (“) si trovano soltanto i vermicoli (III. 2). I più giovani tra gli stadî di formazione dei vermicoli sono quelli che, continuando il confronto colle larve dei trematodi, hanno la forma di cercaria; constano, cioè, di una massa globosa, fornita di coda. In essi il pigmento è più, o meno sparso. Nei preparati fatti col metodo di Romanowsky si riscontrano questi stessi stadî. Io ho figurato una serie di forme (I. 7-11, 13) conducenti appunto a quella di cer- (4) Sperimenti fatti nel colmo dell'estate in una camera a tramontana, ma punto riparata dal caldo. - ava caria (I. 12). E notevole il fatto che mentre nei preparati a fresco, come sopra si disse, il pigmento si presenta più o meno diffuso per il corpo, invece nei preparati col metodo di Romanowsky appare raggruppato; credo che ciò sia artificiale. A fresco si veggono dei vermicoli di larghezza quasi uniforme e altri che si presentano a un'estremità più assottigliati che all'altra. Per quanto io ho veduto, i primi (III.24ec) sono più adulti degli altri: essi sono in generale più lunghi e relati- vamente sottili; la massima lunghezza da me osservata è di 20 micron. Il pigmento nei preparati a fresco è di solito sparso per il corpo; talvolta invece è quasi limi- tato ad una metà di esso o anche raggruppato. Certi vermicoli adulti a fresco si presentano nettamente fusiformi (III. 28). Nei preparati fatti col metodo di Romanowsky osservasi che in generale una metà è più sottile dell'altra (I. 29); la parte più sottile termina spesso ottusa, mentre la parte più grossa presenta all'estremo, in generale, una breve punta. A questo estremo si trova di solito ammassato il pigmento; si ripete perciò quella stessa dif- ferenza in confronto coi preparati a fresco, che sopra ho accennato per i vermicoli ancora in via di formazione (I. 22-28, 29 ecc.). Nei vermicoli si trova per lo più un vacuolo. Gli amfionti fecondati di recente e in via di trasformarsi in vermicoli, ovvero già trasformati (I. 7, 8, 14 ece.) possono presentare due nuclei che si colorano anche differentemente e di cui uno può rassomigliare al nucleo della macrospora. Sorge perciò spontanea l'interpretazione di uno di questi due nuclei come nucleo femminile e dell'altro come nucleo maschile; disgraziatamente il metodo di Roma- nowsky imperfetto da un lato, dall'altro lato l'estrema piccolezza dell'oggetto, non mi permisero di approfondare ulteriormente l'argomento. Forse si potrà ciononostante venire a una conclusione, impiegando in tali ricerche un tempo maggiore di quello che io ho potuto dedicarvi. Dall'esame di molti preparati sono stato indotto a ritenere che la fusione dei nuclei maschili e femminili (cariogamia) possa avvenire in stadî varî dal principio fino alla completa formazione del vermicolo e che in questi stadî si verifichino forse anche dei fenomeni di riduzione della cromatina. Le sezioni di intestini di Aropheles uccisi 32 ore dopo che si erano nutriti (T. 31), mi mostrano i vermicoli sotto forme che trovano riscontro in quelle or ora descritte; soltanto, evidentemente per effetto della preparazione, appaiono più piccoli e per lo più il pigmento è in gran parte raccolto in una massa ad una estremità e in pic- cola parte sparso in vicinanza ad essa. Sono notevoli certe forme a fuso, come nei preparati a fresco. Ho potuto osservare che il vermicolo fa dei movimenti di progressione. Nell’estre- mità che resta anteriore il pigmento può mancare o essere più scarso. Il vermicolo sì curva, sì distende e fa anche dei movimenti di rotazione’ per quanto io ho veduto imperfetti: del resto i movimenti sono difficili a osservare e a studiare anche usando tutte le cautele, tra cui principale è la diluizione del sangue tolto dall’ intestino dell’Anopheles colla soluzione di cloruro di sodio e albume. Koch crede che il vermicolo esca fuori dal corpo rotondo lasciando indietro tutto il suo pigmento; più tardi formerebbe nuovo pigmento. Soltanto nei preparati per — 175 — strisciamento del contenuto intestinale a fresco a me è accaduto (parlo dei parassiti umani) di trovare qualche rarissima volta dei vermicoli senza pigmento (I. 26). Si potrebbe spiegare questa divergenza considerando che Koch ha sperimentato non coi parassiti dell’uomo, ma con quelli degli uccelli, che potrebbero comportarsi in modo differente; io però sono persuaso che nei suoi preparati, per condizioni sfavorevoli, i vermicoli abbiano abbandonato il loro pigmento Qualcosa di simile accade spesso in altri Protozoi. La mia persuasione è basata sul fatto che io e Basili ripetendo le osservazioni sui vermicoli dei parassiti malarici degli uccelli formati dentro l'inte- stino del Cu/ew, li trovammo sempre forniti di pigmento. Ciò risulta fino ad un certo punto dimostrato confrontando le ricerche di Koch con quelle di Mac Callum. Infatti Koch ha visto i vermicoli far soltanto dei picco- lissimi movimenti (lentissimo estendersi e curvarsi, lente rotazioni). Mac Callum in- vece nei vermicoli della stessa specie, ma che a differenza di quelli ottenuti da Koch avevano conservato il pigmento, ha osservato un movimento di locomozione (l’ estre- mità senza pigmento resta anteriore) facilmente superante ostacoli; ha inoltre veduto i movimenti di rotazione e una sorta di movimento peristaltico producente delle con- torsioni veramente considerevoli. I vermicoli perciò osservati da Mac Callum erano senza dubbio in condizioni migliori di quelli studiati da Koch. B) L'AMFIONTE DENTRO LA PARETE DELL'INTESTINO MEDIO FINO ALLA SUA MA- TURANZA. — I. Migrazione dell'’amfionte nella tunica elastico-mu- scolare. Suasede precisa. Sua forma e massima grandezza. — Quando la digestione nell'intestino medio è avanzata, i vermicoli cominciano a entrare nella parete dello stesso, sebbene io ne abbia trovati di liberi ancora, quando era già vuoto di sangue. Come penetrino, è molto difficile poterlo osservare; sui tagli è tuttavia possibile trovare dei vermicoli nel margine cuticolare dell'epitelio (I. 31) od anche nello spessore dell'epitelio o alla base di esso (III. 38). Prontamente, cioè prima che siano passate 40 ore dal succhiamento del sangue, si possono trovare già alcuni individui nello spessore della tunica che denomineremo elastico-muscolare. È molto difficile formarsi un concetto di questa tunica e quindi della posizione precisa occupata dai parassiti. Certo è che la parete dell'intestino medio dell’Amopheles consta di uno strato epiteliale interno e di uno strato amorfo esterno; questo strato amorfo deve essere elastico per potersi adattare alle varie condizioni di riempimento, o meno, dell’ inte- stino. Esistono inoltre delle fibre muscolari, le quali peraltro non formano uno strato continuo. Esse sono circolari (interne) e longitudinali (esterne); le circolari in complesso sono più sviluppate delle longitudinali. Queste due sorta di fibre vengono a formare una rete a maglie larghe. È un fatto che a tutta prima sorprende il poter facilmente isolare lo strato amorfo insieme con la rete muscolare senza che le fibre sì spostino. Ma lo studio delle sezioni dà la spiegazione del fatto. Le fibre muscolari sono in realtà saldate allo strato amorfo. Infatti le fibre, sezionate trasversalmente e osservate a fortissimo ingrandimento, appaiono immerse nello strato amorfo che presenta perciò delle sporgenze lineari in corrispondenza ad esse. Si direbbe che lo strato amorfo, lungo il decorso delle tibre, si fosse sdoppiato = — 176 — per accoglierle. Nelle sezioni trasversali le fibre, quando l'epitelio intestinale pre- sentasi alto (intestino vuoto), possono invece apparire come aventi un involuero separato dallo strato amorfo: ciò potrebbe interpretarsi come effetto di una sorta di pieghettatura dello strato stesso. Ritengo perciò che le fibre muscolari formino collo strato amorfo un unità e denomino questo e quelle tunica elastico-muscolare, lasciando impregiudicata la questione se la sostanza amorfa in corrispondenza alle fibre non assuma caratteri speciali. Lunghe ricerche mi inducono a ritenere che gli amfionti (II. 27a, 275, 27c e III. 39) assumano con lo strato amorfo gli stessi rapporti che ho ammesso per le fibre muscolari. Essi vengono a trovarsi nello spessore della tunica elastico-muscolare che fornisce loro un’ ottima capsula. Che questa capsula sia ottima, lo induco dalla circostanza che attraverso la tunica elastico-muscolare passa il chilo preparato nel- l'intestino e che questa tunica non è sfornita di trachee. L'amfionte, dunque, non si circonda di una capsula (citecio) propria, sibbene di una capsula amorfa avventizia fornitagli dall’oste. Questa singolare disposizione spiega perchè in nessun caso si osservi mai il di- staccarsi dei parassiti dalla parete intestinale, anche quando, come dirò più avanti, sporgano molto e apparentemente vi aderiscano per breve tratto, che può assumere anche la forma di peduncolo. A lungo ho per contrario supposto che la capsula fosse propria del parassita; ma ho dovuto rinunciare a questa opinione dopo di aver veduto molti tagli, nei quali si poteva stabilire con sicurezza la continuità tra la capsula del parassita e la tunica elastico-muscolare, e dopo di aver determinato che la capsula si comporta colle sostanze coloranti, nello stesso modo con cui si comporta la parte amorfa della tunica. Una volta in amfionti di media grandezza ho potuto fare osservazioni sull'aspetto della capsula. Ho veduto che alla superficie, cioè sulla faccia esterna, si presentava finissimamente punteggiata (III. 7 4); alla faccia interna, invece, cioè tangente il paras- sita, si presentava come fornita di tante creste in parte riunite a reticolo (III. 7 e e 8). Il significato di questa disposizione vuol essere oggetto di nuove ricerche. Aggiungasi infine che lo spessore della capsula non cresce spiccatamente col crescere del parassita, e che in qualunque stadio essa si mantiene sempre trasparente. Giacchè sto parlando della posizione occupata dal parassita, completerò l’argo- mento supponendo che il lettore già conosca quello che dirò più avanti, che, cioè, il pa- rassita diventa relativamente molto grosso rimanendo sempre nella posizione indicata. In generale sì osserva che man mano che ingrossa, va, per dir così, isolandosi dalla parete in- testinale, sporgendo fuori di essa nel lacunoma occupato dall'organo adiposo e dall’ovario. A questo riguardo però si noti che probabilmente tra gli organi or nominati e l’inte- stino trovasi una lacuna che permette di isolare l’' intestino senza che nella grande maggioranza dei casì vi resti attaccata alcuna cellula adiposa (II. 27a, 27% e 27e). Non è raro che qualche parassita si sviluppi sporgendo pochissimo esternamente. In questo caso, come dimostrano i tagli, esso fa anche una sporgenza interna, cioè verso il lume dell'intestino (III. 40). In corrispondenza all'amfionte, sopratutto in quest'ultimo caso, l’epitelio inte- stinale si presenta appiattito; e questo appiattimento appare maggiore o minore a se- — 177 — conda che l'intestino è disteso o contratto, e perciò a seconda che l’epitelio del- l'intestino in generale si presenta basso (intestino disteso), o alto (intestino con- tratto). Da quanto ho detto risulta evidente che di regola l’' amfionte ingrandisce facendosi posto in mezzo all'organo adiposo, o anche spostando gli ovarioli. Gli amfionti non invadono indifferentemente tutto l'intestino medio; essi si limitano alla parte dilatata, anzi occupano di essa soltanto i due terzi posteriori; ra- ramente se ne trova qualcuno più avanti. Qualche volta eccezionalmente sono più ab- bondanti nel terzo medio che nel terzo posteriore. Lasciando in disparte questi casi eccezionali si può dire che stanno in quella parte d'intestino medio nella quale si trovano raccolti i corpuscoli sanguigni suc- chiati dall'Anofele. Il numero degli amfionti in un singolo Anofele può essere superiore a cinque- cento. Si vedono in questo caso qua e là addossati gli uni agli altri come dimostra la figura (III. 40). L'amfionte di recente entrato nella parete intestinale conserva i caratteri che presentava, quando era ancora nel lume dell'intestino (I. 32; si osservi il parassita in basso a sinistra). Prontamente diventa quasi fusato, poscia ovalare, o tondeggiante (I.32 e III. 3.4, 2, c, d). I più piccoli individui già ovalari, da me riscontrati, avevano l’asse maggiore di circa 5 « e quello minore di circa 4. Anche più tardi si pre- sentano tondeggianti od ovalari, qualche volta un po'appiattiti. La grandezza massima a cui arriva il parassita varia entro limiti molto estesi; i più piccoli individui maturi da me osservati avevano un diametro di circa 30 w; raramente il diametro supera i 60 w. Io ne ho veduto uno di 70 w e un altro di quasi 90. Queste misure sono state fatte a fresco, nella soluzione di albume e cloruro di sodio; nella soluzione di formalina i parassiti rigonfiano molto. Individui in uguale stadio di sviluppo possono avere differenti grandezze. Negli Anopheles che sono stati poco nutriti durante lo sviluppo dei parassiti, questi in generale mi apparvero più piccoli. Nel corpo del Culew pipiens che ha succhiato una volta sola sangue d' uccello infetto di Yaemamoeba, gli stadi di sviluppo degli amfionti possono essere più o meno differenti. Lo stesso può verificarsi molto verosimilmente negli Aropheles per i parassiti malarici umani. II. Amfionti osservati a fresco. — Veniamo ora allo studio minuto del- l'amfionte dentro la parete intestinale. Osservato a fresco, esso è molto trasparente, incoloro, se si eccettua il pigmento di cui parlerò più avanti, e delicatissimo; ricorda le uova trasparenti di molti animali marini. Si altera con grandissima facilità ancorchè sì osservi l'intestino in liquidi cosidetti indifferenti. Molte volte, nei primi istanti in cui facevo le osservazioni serven- domi di liquidi indifferenti, i parassiti, anche maturi o quasi, erano così trasparenti che io non rilevavo in essi alcuna struttura; essa si distingueva soltanto dopo pochi secondi. Aggiungasi che si verificano senza dubbio molte differenze individuali ed è anzi difficile trovare due individui perfettamente uguali. 23 si) — 178 — Infine ho ragioni di ritenere che, a seconda dei varî stadî di digestione in cui si trova l’Anopheles, i parassiti si presentino con aspetti diversi: ciò ch'è, del resto, naturale quando si consideri la posizione, che ho descritta, dei parassiti. Per le esposte ragioni si comprende come sia difficilissimo eseguire dei disegni che li rappresentino senza che sieno punto alterati. Nelle figure non colorite annesse al mio lavoro ho rappresentato varî stadî co- piati il più rapidamente possibile da preparati a fresco nella miscela di formalina e cloruro di sodio (III. 5, 6, 7,9 e 10); altri disegni invece mostrano come si presenta il parassita osservato colla maggior rapidità possibile nella soluzione di cloruro di sodio (III. 8), o nella formalina (III. 4 e 11). Il parassita osservato nella soluzione di cloruro di sodio e albume, specialmente nei primi istanti, spesse volte appare in complesso quasi omogeneo; altre volte mostra un accenno di vacuoli numerosi e piuttosto grandi, ovvero un accenno di pochi vacuoli grandi, ovvero anche un sol vacuolo che può essere molto grande. Un sottile strato periferico, appare sempre più denso, come l'ectoplasma di molti protozoi (III. 4-11). Quando abbiamo stadî avanzati possiamo osservare gli sporozoiti, che sono tanto più evidenti quanto più sono sviluppati (III. 12, 134 e 13 2). Questi sporozoiti appaiono quasi raggruppati parallelamente in tante serie disposte in vario ordine. Evidentemente lo strato superficiale è quasi dapertutto formato di sporozoiti. Nell'interno, però, essi lasciano vuoti degli spazi svariati che per lo più appaiono ton- deggianti (III, 132) In uno stadio, che giudico il più maturo, gli sporozoiti assumono una posizione quale presso a poco prenderebbero se fossero trascinati da una corrente rotatoria; per lo più verso il centro, si notano alcune masse speciali già ben note negli sporozoi col nome di masse residuali (III. 14). Osservando il parassita nella soluzione di cloruro di sodio, qualche volta appare indistintamente granuloso (III. 8). La diluzione di formalina rende molto vacuolizzato il parassita (III. 11). Nei primi stadî fa molte volte spiccare un peculiare vacuolo la cui esistenza ritengo normale (III. 4c, 44 e 6). Negli stadî avanzati, ma non maturi, specialmente la for- malina produce fenomeni osmotici tumultuosi che alterano profondamente il parassita. (Vedi Capitolo III). Ho dato anche alcune figure di preparati ottenuti conservando l'intestino col sublimato e poi passandolo in alcool e finalmente montandolo in glicerina. Tranne la perdita della trasparenza, i parassiti mi apparvero ben conservati (III. 29-32). A fresco si possono rilevare nel corpo dell’ amfionte due sorta di inclusioni: corpuscoli di pigmento e granuli incolori. I granuli sono (III. 8, 10, 11 ecc.). splendenti, molto rifrangenti, per lo più ton- deggianti, di varia grandezza, ma sempre molto piccoli: i più grandi superano di poco 1 «. In complesso compaiono molto precocemente; dapprima pochissimi, crescono di numero man mano che il parassita ingrandisce, ma si mantengono sempre scarsi; talvolta sono riuniti a due a due; qualche volta possono anche mancare. Li ho os- servati ancora quando il parassita era poco lontano dalla maturanza, o maturo. Sulla loro natura non posso pronunciarmi. Il pigmento, che il parassita ha portato seco entrando nella parete intestinale, — 179 — è per lo più visibile in qualunque stadio di sviluppo del parassita (III.4,5,6,7,9, 10, 32 ecc.). Nei primi stadî il pigmento si trova nettamente vicino alla superficie, non di raro immediatamente sotto quella parte che sembra ectoplasma. Esso presenta per lo più una disposizione tipica: è riunito di solito in gruppetti più o meno nettamente qua- drangolari i quali presentano nel loro insieme ora la figura di un cerchio, ora quella di un semicerchio, qualche volta la figura di una lettera ti maiuscola, qualche rara volta invece il pigmento si presenta quasi raccolto in una massa. Negli stadî successivi il pigmento appare per lo più molto fino, più o meno scolorito, ridotto di quantità e qualche volta non si trova più. Esso si presenta più o meno scostato dalla superficie, qualche volta poco lontano dal centro. III. Amfionte sezionato e colorito. — Passiamo allo studio dell'amfionte sezionato e colorito. Questo studio è veramente molto arduo per le seguenti ragioni: 1° difficoltà di procurarsi il materiale in una certa quantità quale è neces- saria per sperimentare comparativamente i varî metodi di conservazione; 2° prontissima alterazione profonda del parassita nei mezzi che ordinariamente sì mostrano quasi indifferenti (vedi sopra); 3° differente modo di presentarsi dei parassiti ancorchè conservati collo stesso metodo; ciò che è riferibile a variazioni individuali, e in parte, come già si è accen- nato, anche alle condizioni differenti di digestione dell'oste e quindi anche del pa- rassita, nonostante che questo si nutra soltanto di sostanze liquide; 4° difficoltà di colorire i nuclei; loro estrema piccolezza, donde la necessità di fare sezioni anche di 1 w e meno, ecc. Per dare un'idea delle alterazioni e precisamente dell'enorme vacuolizzazione che si verifica nei preparati previamente trattati colla formalina, ho riprodotto (I. 71) una figura tolta dal lavoro da me pubblicato con Bignami e Bastianelli: pare di aver sott'occhio un essere del tutto differente da quelli che or ora descriveremo. Per la conservazione ho trovato opportuno sopratutto il sublimato col cloruro di sodio e il sublimato alcoolico acetico, benchè anche con questi metodi di conser- vazione qualche volta abbia avuto prove evidenti di alterazioni, prodotte da rag- grinzamento. Non credo che i miei preparati mi permettano di interloquire nella questione della struttura del protoplasma nonostante che abbia avuto sott'occhio i più begli alveoli, e non poche volte. Avendo confrontato criticamente i risultati ottenuti, seguendo varî metodi, non soltanto coi parassiti malarici umani, ma anche coll’Haemamoeda nel corpo del Culex, io sono in grado di fornire una descrizione dello sviluppo del parassita che molto si avvicina alla realtà. L'amfionte arrivato nella tunica elastico-muscolare forma un enorme numero di sporozoiti (I. 59): secondo i calcoli da me fatti un amfionte può sviluppare più di diecimila sporozoiti; il loro numero però è molto vario a seconda della grandezza massima dell'amfionte, della quantità delle masse residuali, dei vacuoli che sì svilup- pano nel parassita, ecc. In certi casi il loro numero certamente si riduce perfino a 3 n 480 — poche centinaia. L’amfionte primitivamente ha un sol nucleo: ogni sporozoito pre- senta un proprio nucleo derivato dal nucleo primitivo per divisioni dirette. Il processo che dà luogo alla formazione degli sporozoiti è, almeno nelle sue linee generali e fino a un certo punto, facile a comprendersi, tenendo sott'occhio le molte figure annesse al mio lavoro. Le difficoltà sorgono quando, come qui io tento di fare, si voglia scendere a minuti particolari, trattandosi di un processo, che non sì può seguire direttamente, ma soltanto ricostruire per mezzo di confronti e combi- nazioni di molti stadî, i quali si presentano senza ordine determinabile e con nume- rosissime variazioni individuali. a). Come si comportano i nuclei fino alla formazione degli sporozoitoblasti. — Cominciamo a descrivere una sorta di nucleo caratteristico (I. 72-75 ecc.) (lo denomino nucleo della prima sorta) che si può riscontrare tanto nell’ amfionte ancora uninu- cleato, quanto negli amfionti giovani che presentano già alcuni nuclei o anche molti. Nel secondo caso la struttura caratteristica, di cui parlo, trovasi in un nucleo solo, oppure in un certo numero di nuclei o fors' anche in tutti. Questo nucleo della prima sorta, benchè ben delimitato, non presenta una mem- brana distinguibile con sicurezza. Una gran parte di esso, maggiore o minore a se- conda dei varî casì, viene occupata da un corpo speciale che denominerò, come nei mononti (parassiti malarici dentro il corpo dell’uomo), nodetto nucleoliforme. Da questo nodetto, che presenta una figura più o meno spiccatamente poligonale, ov- vero anche fusata, a superficie più o meno irregolare, possono dipartirsi e sì di- partono forse sempre, alcuni fili che vanno verso la periferia del nucleo (Parte sinistra di V. 9; riguarda l’Aaemamoeba). Il resto del nucleo è occupato dal succo nucleare che forma perciò un alone più o meno ampio attorno al nodetto nucleoliforme. Nel nodetto nucleoliforme si distingue una parte centrale, che si colora quasi come il protoplasma (I. 38-40, 72-75 ecc.) e una sottile parte periferica, che si com- porta come la cromatina; questa parte periferica ora sembra quasi omogenea, ora invece è rappresentata soltanto da minutissimi frammenti di cromatina più o meno discosti gli uni dagli altri. I frammenti di cromatina qualche volta, a quanto sembra, si estendono anche lungo il tratto centrale dei fili che, come dissi, si dipartono dal nodetto nucleoliforme portandosi verso la periferia e che per se stessi non sembrano capaci di assumere il colore della cromatina. La parte centrale del nodetto nucleoliforme non si presenta mai individua- lizzata rispetto alla cromatina, assieme colla quale sembra invece fusa. I nuclei degli amfionti, oltre che della sorta ora descritta, possono essere anche di un'altra sorta (nuclei della seconda sorta) di cui subito accenno i caratteri dif- ferenziali in confronto coi precedenti. Tutti, o molti dei nuclei di un amfionte, pos- sono presentarsi di dimensioni minori rispetto ai nuclei della prima sorta e hanno il nodetto nucleoliforme molto più piccolo, non solo assolutamente, ma anche rela- tivamente alla grandezza del nucleo a cui appartengono; per conseguenza il succo nucleare è relativamente più abbondante, ossia l'alone chiaro appare relativamente più ampio. Nel nodetto nucleoliforme di questi nuclei non sono riuscito a distinguere le due parti che ho descritto nella prima sorta di nuclei (I. 51-56 ecc.). Attorno al — 181 — nodetto nucleoliforme trovasi (sempre?) una zona, per lo più sottile, che si colora meno intensamente (I. 83, 88, 94 ecc.) (9). Ho parlato di due sorta di nuclei: in realtà essi sono gli estremi di una sola serie, perchè tra le due sorta di nuclei qui descritti esistono molte forme che possono ritenersi intermedie. (I. 50, 74 ecc.). Cerchiamo ora di decifrare il processo di moltiplicazione dei nuclei. Evidentemente si tratta di una moltiplicazione diretta. Un attento studio di tutti i vari stadi ci fa ©redere che questa moltiplicazione diretta possa essere non soltanto in due, ma anche în parecchi nuelei. Dimostra la divisione diretta in due un complesso di figure che si possono interpretare come stadî progressivi succedentisi nel seguente ordine: 1°. Il nodetto nucleoliforme è allungato a guisa di bastoncello (I. 52). 2°. Si riscontrano due nodetti nucleoliformi certamente derivanti dalla divi- sione in due del nodetto nucleoliforme allungato a bastoncello (I. 52). 3°. Attorno a ognuno dei due nodetti nucleoliformi, allontanatisi più o meno l'uno dall'altro, si è formato un alone chiaro (succo nucleare) e si hanno così due nuclei (I. 53, 54, 78, 79, 83 e 84. In alcune figure distinguesi nel nodetto una zona periferica colorantesi molto meno). Queste figure indicanti la divisione diretta in due si riscontrano facilmente nei nuclei della seconda sorta. In quelli della prima sorta, invece, non ho mai veduto niente di simile. Alcune figure mi fanno supporre che la divisione diretta in due si verifichi anche nei nuclei che ho detto intermedî tra quelli della prima e della seconda sorta. La divisione diretta in parecchi nuclei, da tre fino a forse dieci e più nuclei, viene indicata, a mio avviso, da un altro complesso di figure che si possono ripar- tire in due gruppi: l'uno riguardante il nucleo della seconda sorta e l'altro riguar- dante il nucleo della prima sorta. Espongo i fatti seguendo l'interpretazione più verosimile. Comincio dal gruppo riguardante la divisione del nucleo della seconda sorta in parecchi nuclei. Questo sruppo si riannoda a quello precedente, indicante la divisione diretta in due soli nuclei, col quale probabilmente ha comuni i primi stadî e del quale può ritenersi in certo modo continuazione. Le varie figure del gruppo in discorso fanno ritenere con fondamento che il nodetto nucleoliforme si divida e suddivida fino a raggiungere un numero di nodetti nucleoliformi uguale a quello dei nuclei che si devono formare. Si arriva alla loro formazione raccogliendosi attorno a ogni nodetto nucleoliforme una certa quantità di succo nucleare (alone chiaro) (I. 54 e 76, 81, 82, 85-94). Si sono così formati tanti piccoli nuclei simili a quello maggiore da cui hanno avuto origine. (®) Migliori preparati ottenuti coll’ 7uemamoeda dentro il Culex (parte sinistra di V. 8,9 e 11) mi dimostrano costantemente nelle varie sorta di nuclei la presenza di fili dipartentisi radialmente dal nodetto nucleoliforme e raggiungenti la periferia del nucleo. Ritengo che esistano sempre anche negli amfionti dei parassiti malarici umani. : — 182 — Occorre accennare che ad ogni divisione del nodetto nucleoliforme precede forse il suo allungamento a bastoncello. Notiamo anche come si comporta il succo del nucleo primitivo durante il processo di divisione. Esso si distingue ancora quando si sono già formati alcuni nodetti nucleoli- formi, i quali in esso appunto appaiono immersi; più tardi diventa indistinto. Questo processo di divisione diretta in parecchi nuclei da parte del nucleo della seconda sorta, può certamente presentare varie modalità. Vi sono delle figure che tenderebbero a farlo definire come una sorta di gemmazione. Vengo ora al gruppo di figure riguardanti la divisione diretta in parecchi nuclei del nucleo della prima sorta. Esse ci conducono alla convinzione che i frammenti di cromatina, i quali, come ho detto nella descrizione del nucleo in discorso, stanno alla superficie del nodetto nucleoliforme, si portano alla periferia del nucleo e la sorpassano (I. 45, 47, 48, 49, 50 ecc.). Si hanno, così, tanti nodetti nucleoliformi simili a quelli del caso precedente riguardante il nucleo della seconda sorta; ognuno si circonda poi del succo nucleare (alone chiaro). Si deve perciò ritenere che nel nucleo della seconda sorta lo stadio, in cui la cromatina forma quasi una massa omogenea periferica del nodetto nucleoliforme, sia antecedente a quello in cui essa si presenta nettamente suddivisa in tanti frammenti. Mentre i frammenti di cromatina si portano, come sopra ho detto, alla periferia, il succo nucleare scompare e la sostanza componente la parte centrale del nodetto nucleoliforme diventa indistinta: io non mi sono potuto persuadere che essa assuma una parte speciale nel processo di divisione in discorso. Ho parlato fin qui di divisione diretta perchè in nessun caso sono arrivato ad ottenere una figura che potesse con sicurezza rientrare tra le figure cariocinetiche. Non posso abbandonare l'argomento senza far notare che mentre da un lato i muclei degli amfionti malarici, essendo enormemente piccoli, mal si prestano alle ricerche citologiche, dall'altro lato alle volte mi parve di vedere un accenno di fuso che invano cercai di mettere in evidenza. Molte volte ho notato tra i nodetti nucleoliformi un cordon- cino (I. 79, 80, 81, 82, 87, ecc.) delicatissimo, che li riuniva; esso è di difficile inter- pretazione. Ciò nonostante parlo soltanto di divisione diretta perchè mi sento sostenuto dalle ricerche sopratutto di Schaudinn sugli altri Sporozoi. Per effetto dei processi che ho descritto, il numero dei nuclei aumenta man mano che il parassita ingrandisce; quando i nuclei sono diventati piuttosto numerosi, non raggiungono più quel volume, a cui potevano arrivare quando erano scarsi. Si può dire in generale che i nuclei man mano che aumentano di numero, diminuiscono di volume. Del resto le variazioni individuali sono facilissime a verificarsi. Appena i nuclei hanno raggiunto il numero definitivo, specialmente se sono molto numerosi, sì presentano enormemente piccoli (I. 58). Evidentemente e, come già ho detto, quel corpo che io e Feletti abbiamo deno- minato nodetto nucleoliforme nei parassiti malarici dentro il corpo dell’ uomo, ossia nei mononti, trova riscontro nel nodetto nucleoliforme degli amfionti. Due sorta di nuclei come negli amfionti, si osservano anche nei mononti, ciò che risulta già dal — 183 — lavoro da me pubblicato con Feletti, ma assai più esattamente da quello di Ziemann. I modi di divisione nucleare degli amfionti sono essenzialmente uguali a quelli dei mononti (I. 96-106). Non ho fatti in mano per poter discutere il significato fisiologico del nodetto nucleoliforme (cariosoma di Schaudinn). Da un punto di vista generale si può dire che esso presenta molte varietà tra le quali è compresa anche quella dei parassiti malarici. b). Come si comporta il citoplasma prima della formazione degli sporozoi- toblasti. — Nell'amfionte man mano che va ingrandendo e che contemporanea- mente i nuclei, i quali si trovano sparsi più o meno regolarmente per tutto il suo corpo, vanno moltiplicandosi fino a raggiungere il numero definitivo, può manifestarsi un processo molto interessante. È molto difficile rendersi esatto conto di questo pro- cesso. Fatto sta che il citoplasma, in molti tratti, relativamente lontani dai nuclei, diminuisce notevolmente di densità, diventa sempre più ricco di succhi nutritizi, va insomma diventando sempre più liquido fino a dar luogo a vacuoli, a lacune più o meno strette, a fenditure ecc. Talvolta formasi un vacuolo unico centrale molto grande, talvolta parecchi, ma piccoli. Spesse volte il pigmento appare come raccolto in un vacuolo che può essere tondeggiante, o di forma molto irregolare. To devo ammettere che il suddetto processo di rammollimento e liquefazione del citoplasma non si manifesti contemporaneamente nei varî individui; e che può ritar- dare molto (Vedi c).). Per effetto di questo processo sui tagli il citoplasma non rammollito appare raccolto attorno ai nuclei; questi appaiono, cioè, circondati da una zona distinta di citoplasma (l'aspetto naturalmente muta (I. 45, 47, 48, 49) quando i nuclei si mol- tiplicano). Sembra perciò talvolta di avere sott'occhio tante cellule (I. 50-54) che possono apparire congiunte insieme da ponticelli qualche volta complicati. Riassumo il processo in questi termini: L’'amfionte in generale finisce per ripartirsi in tante masse di svariatissime forme, talvolta tendenti più o meno alla tondeggiante, tal’ altra alla poligonale, alla trabecolare, ecc. Nel mezzo di queste masse vengono a trovarsi i nuclei (nuclei centrali); 672 certe masse riscontrasi molto probabilmente un sol nucleo. Qualunque forma assumano le masse, queste non sono mai del tutto isolate, comunicando una coll’altra per mezzo di ponti che possono essere anche stretti e complicati. Tra le masse riscontrasi citoplasma molto acquoso o anche vacuoli, lacune più o meno anguste, fenditure, ecc. Quando formasi un solo vacuolo grande e centrale, il cito- plasma coi relativi nuclei lo delimita, facendo talora dentro di esso tante sporgenze contenenti evidentemente un nucleo (I. 46). Il processo qui descritto dal punto di vista morfologico, tenendo presente con Lang ciò che si verifica negli amfionti dei Coccidiida può definirsi di sporoblasta- sione incompleta; le masse, di cui sopra si è parlato, possono definirsi sporoblasti imperfettamente distinti. Le denomino perciò sporoblastotdi. Avviene anche nei Gregarinida una ripartizione del citoplasma in masse, che a tutta prima richiama quella che si veritica negli amfionti; sembra tuttavia molto più ovvio il confronto coi Coccidiida. NI — 184 — c). Formazione degli sporozoitoblasti, loro trasformazione in sporozoîti e maturazione degli sporozoîti. — Questi stadi si rannodano a quello precedente quando si sono formati gli sporoblastoidi. Il numero dei nuclei è diventato di gran lunga maggiore e si può ritenere definitivo (IL. 58); in generale essi sono enormemente piccoli e sembrano formati soltanto di un piccolo corpuscolo di cromatina con 0 senza evidente alone chiaro. ssî non si trovano più nel mezzo dello sporobla- stoide: man mano che sì moltiplicavano, si sono spostati alla sua periferia (nuclei periferici), come s'intende confrontando le figure (I. 54-59) (parte sinistra di V.12; riguarda l'HYaemamoeba). Molte circostanze m' inducono a credere che i nuclei periferici si formino col suddetto processo di divisione del nucleo in pa- recchi nuclei. Anzi può darsi che siffatta divisione sia limitata a questo stadio: vero è che ho trovati amfionti molto piccoli presentanti, a mio avviso, questo processo di divisione, ma ho trovati del pari amfionti già maturi benchè ancor molto piccoli. Sui tagli invece di tanti sporoblastoidi con uno o più nuclei centrali relativa- mente grandi, finiamo per trovare altrettanti sporoblastoidi alla cui superficie si veg- gono sparsi molti nuclei enormemente piccoli. Questi nuclei non si limitano agli sporoblastoidi là dove presentansi ampi, ma si estendono anche nei tratti in cui essi sono più o meno sottili, quando questi tratti sono distinti. Negli sporoblastoidi tanto dove sono più o meno sottili, come dove sono più o meno ampi riscontransi dei punti in cui i nuclei mancano. Tra gli sporoblastoidi notansi lacune più o meno strette (spazi chiari nelle figure). Talvolta nel centro di uno sporoblastoide conservasi un nucleo piuttosto grosso (°). Debbo aggiungere: 1° che il processo che conduce alla formazione degli sporo- blastoidi può in tutto l'amfionte o in certe parti di esso ritardare (Vedi b).) e compiersi invece contemporaneamente a quello che conduce alla sistemazione dei nuclei alla periferia degli sporoblastoidi stessi; 2° che la forma e la grandezza degli sporobla- stoidi aventi i nuclei alla periferia è soggetta a molte modificazioni in rapporto al sempre crescente volume dell'amfionte; 3° che avendo sott'occhio soltanto lo stadio in discorso sarebbe più giusto parlare, piuttosto che di sporoblastoidi, di un unico sporoblasto irregolarissimo per la presenza di fenditure e di vacuoli. Come ho detto, alla periferia degli sporoblastoidi sono apparsi numerossimi nuclei, in generale molto piccoli. Attorno a ognuno di essi diventa evidente molto presto una piccola zona di citoplasma molto meno granuloso di quello che costituisce il resto degli sporoblastoidi. Si vengono così a formare attorno agli sporoblastoidi tante cel- luline, le cui basi sono fuse cogli sporoblastoidi stessi (I. 59, verso il margine destro). Giunti a questo stadio, possiamo denominare le celluline sporosozzioblasti (*) e il resto dello sporoblastoide massa residuale. Le masse residuali hanno evidentemente una grande importanza per la nutrizione. (2) Questo nucleo appare formato da una massa di cromatina con un alone chiaro. Negli am- fionti dell’ Zuemamoeba la cromatina si presenta spesse volte frammentata ciò che può verificarsi anche pei parassiti malarici umani. (2) Primitivamente venne usato il termine sporo2lasto per indicare le cellule che formano le spore (cistospore) dentro le quali si sviluppano gli sporozoiti; esso venne poi esteso anche alle cellule che for- mano direttamente uno sporozoito. Io propongo di denominare queste ultime sporozostoblasti. — 185 — Nella formazione degli sporozoitoblasti si dànno molte modalità (I. figure varie) riguardanti non soltanto il numero degli sporozoitoblasti, ma anche la grandezza, il numero e la forma delle masse residuali. Il numero degli sporozoitoblasti è piccolo, quando si sviluppano da un amfionte pochi sporozoiti. Le masse residuali possono essere in gran parte ridotte a lamelle o a trabecole; le variazioni possono anche riguardare i vacuoli (9) dei quali parlerò estesamente più avanti. Gli sporozoitoblasti, allungandosi, si trasformano in sporozoiti. Dapprima la loro forma è uguale a un mezzo fuso, cioè sono rigonfiati verso l'estremità che si continua nella massa residuale; in questa parte rigonfiata si trova il nucleo (?) (I. 60, 63 e 64). A poco a poco acquistano la forma definitiva di fuso molto allungato, quasi di filo (I. 65-70). Fino a maturanza completa gli sporozoiti restano attaccati, dirò meglio saldati, alle masse residuali, come si può dimostrare facilmente nei preparati per semplice dilacerazione conservati e coloriti col metodo di Romanowsky (II. 11). In questi pre- parati se gli amfionti non sono maturi, non si ottengono quasi mai sporozoiti isolati ; essi incontransi, per contrario, attaccati tutti attorno alle masse residuali. Perciò appunto, quando si osservano a fresco gli amfionti non maturi, riscontransi gli sporozoiti disposti in un ordine complicato ma mirabile, quasi impacchettati nel miglior modo, per occupare il minor spazio possibile. Così riscontransi anche sui tagli. Quando gli sporozoiti sono maturi, non aderiscono più alle masse residuali e perciò assumono quella disposizione quasi a vortice, di cui è già detto più sopra a proposito delle osservazioni a fresco (II. 9). Il nucleo negli sporozoiti allungati viene a trovarsi circa a metà della loro lunghezza. Esso diventa ovale allungato, man mano che gli sporozoiti si al- lungano. Nei primi stadî di sviluppo degli sporozoiti come negli sporozoitoblasti, il nucleo mi apparve formato soltanto di un corpuscolo di cromatina. Negli sporozoiti vicini a maturare, o maturi (IT. 10, 11, 12), usando la colorazione col metodo di Romanowsky, ho distinto granuli di cromatina, qualche volta due, allontanati uno dall’ altro, qualche altra volta tre, quattro, disposti per lo più in una fila, ecc. Eccezionalmente, in certi amfionti, gli sporozoiti presentavano tutti un nucleo apparentemente risultante di un'unica massa di cromatina. Gli sporozoiti raggiungono la lunghezza di circa 14 w con una larghezza mas- sima di circa 1 u. Come in tutti gli altri sporozoiti il loro citoplasma non è rivestito di membrana, ma è denso, rifrangente, apparentemente omogeneo, presso a poco come quello degli sporozoitoblasti e come in generale l’ ectoplasma dei protozoi. Faccio infine rilevare che gli sporozoiti si sviluppano tutti nello stesso tempo e maturano contemporaneamente. (4) Noto fin d’ora che quando le masse residuali sono ridotte a lamelle o a trabecole, i vacuoli sono molto abbondanti (I. 68, 67, 65 ecc.). (2) In questo stadio gli sporozoitoblasti rassomigliano agli sporozoiti della AhRaddospora thé- lohani Laguesse. 24 > — 186 — d). Masse residuali. — Consideriamo ora le masse residuali. Su di esse pos- siamo meglio orientarci, se cominciamo a studiarle, quando gli sporozoiti le hanno abbandonate come spiego a pag. 189-190 (III. 17, 18. e II. 13). Talvolta se ne distingue una sola voluminosa, ovalare o tondeggiante; di solito se ne distinguono parecchie totalmente divise una dall'altra, parimenti più o meno ton- deggianti, o ovalari, uguali tra loro o di differenti dimensioni; qualche volta sono molte e molto piccole: talora poche e molto piccole. Non si può escludere che pos- sano mancare del tutto: ciò che però io non ho verificato. Risalendo fino alla formazione degli sporozoitoblasti, si trova che quanto meno maturi sono gli amfionti, tanto maggior volume hanno le masse residuali (I. 61, 66). Evidentemente esse impiccoliscono, servendo di nutrizione agli sporozoiti man mano che questi ingrandiscono. Non è però soltanto questione di nutrimento, ma è anche questione di spazio, perchè lo spazio lasciato libero da esse mentre impiccoliscono, viene occupato in complesso dagli sporozoiti. Le masse residuali sembrano granulose e dentro di esse si possono trovare dei corpuscoli, che si comportano come la cromatina, e talvolta sono circondati da un alone chiaro. (II. 3, 4, 5, 7). Alle volte però essi sono scarsissimi; su intere sezioni non si vedono affatto e forse possono mancare in tutto il parassita (II. 2, 9) (9). Evidentemente questi corpuscoli si devono ritenere derivati da quei nuclei che, come ho detto più sopra (Vedi c).) restavano nelle masse residuali, quando si erano for- mati gli sporozoitoblasti (I. 59, 60). In un punto di una massa residuale si trova accumulato il pigmento, che l'am- fionte ha portato seco nello spessore delle pareti intestinali; come sì è detto, questo pigmento, in generale, viene a trovarsi più o meno lontano dalla periferia. Non è raro il caso che si possa facilmente mostrarne la presenza anche negli amfionti con sporozoiti maturi. Esso tanto negli amfionti maturi che in quelli in via di maturare consta di pochi granuli che hanno talvolta conservato ancora presso a poco l'ordine (p. es. a semicerchio) in cui erano disposti negli amfionti giovanissimi (I. 70, 63 e IL. 17). Nelle masse residuali possono trovarsi in maggiore o minor numero, quei gra- nuli incolori di cui ho precedentemente fatto cenno (pag. 178). Scendo ora, per quanto mi è possibile, a più minuti particolari intorno alle masse residuali. Il trovare sovente a sviluppo completo parecchie masse residuali totalmente distinte l'una dall'altra richiede di stabilire quando e come esse s' individualizzano. Lo studio di molte sezioni di amfionti malarici sì dell’uomo che degli uccelli, le osservazioni a fresco, le alterazioni prodotte nei preparati che a fresco hanno subìto l’azione della formalina, tutto insomma mi conduce a credere che l’ individualizza- zione di diverse masse residuali avvenga relativamente tardi, man mano, cioè che queste masse vanno riducendosi contemporaneamente all'allungamento degli sporozoiti. Quei ponti più o meno stretti, che riunivano le masse residuali (Vedi b).c).), finirebbero per distruggersi, ma le divisioni conducenti alle masse residuali separate l'una dall'altra (4) Molta cromatina residua anche negli amfionti dell’ Haemamoeba (Proteosoma) dei passeri (parte sinistra di V, 15). — 187 — potrebbero avvenire anche dove le masse sono ampie. Le masse residuali forse dopo che si sono separate totalmente l'una dall'altra, diventano più o meno tondeggianti. Certo è in ogni caso che io ho trovato spesso individui quasi maturi, nei quali la massa residuale era ancora unica, ma la sua superficie era per lo più molto irre- golare per rilievi e avvallamenti, in parte molto spiccati, fino a congiungersi gli avvallamenti opposti formando quasi una galleria. Uno di questi casi è rappresentato appunto nella serie di sezioni di uno stesso parassita, che ho riprodotta (II. 15 4-}; v. anche V. 13-16). Brevemente, possiamo dire che le masse residuali, durante lo sviluppo degli sporozottoblasti e degli sporosoiti, in realtà formano un corpo unico: questo corpo per lo più si presenta o con tanti avvallamenti e rilievi relativamente considere- voli e irregolari, ovvero diviso incompletamente in tante zolle di forme svariate che sui tagli appaiono tondeggianti, ovalari, allungate, a ferro di cavallo, ovvero anche trabecolari, lamellari, ecc. Spesso in ogni amfionte ancora non maturo, s'incontra una sezione în cui ap- pare una massa residuale avente la forma di ferro di cavallo (II. 3), e sezioni in cui le masse residuali appaiono più 0 meno tondeggianti, producendo così un particolare ordinamento degli sporozoiti (II. 1). A un certo momento, cioè quando l’amfionte è quasi maturo, le masse resi- duali possono apparire come tanti corpi, separati l’uno dall'altro totalmente. e). Disposizione degli sporozoiti. — Faccio ora qualche osservazione sulla dispo- sizione degli sporozoiti negli amfionti non maturi. Certamente, pur conservando sempre l'ordinamento quasi parallelo in serie, varia però molto la disposizione delle serie stesse. Alle volte gli sporozoiti mostrano, dirò così, un orientamento, perchè in una serie di tagli di uno stesso individuo restano quasi tutti sezionati nel medesimo senso. È molto importante di aggiungere che le masse residuali, come si dimostra con sicurezza sui tagli, non sono sempre coperte di sporozoiti in tutta la loro superficie libera, perciò molte volte, tra una massa e l'altra, invece di una doppia serie di spo- rozoiti ne troviamo una semplice (II. 1), aderente tutta ad una delle masse. Nei casi in cui gli sporozoiti sono pochi, spicca la loro tendenza a svilupparsi nella parte periferica dell’ amfionte. Si può ritenere che tutto lo strato superficiale dell’amfionte si riveste di spo- rozoiti (IT. 8, 4 e 5). Eccezionalmente il rivestimento è qua e là interrotto per modo che la massa residuale arriva alla periferia (II. 2). Il caso si verifica più facilmente se gli sporozoiti sono scarsi. Del resto le masse residuali possono presentarsi, in qua- lunque parte, non rivestite da sporozoiti, come fu già accennato, ciò che è in rapporto col fatto che quivi non si sono sviluppati gli sporozoitoblasti (Vedi c).). f). Vacuoli di due sorta: cioè rivestiti e non rivestiti di sporozoiti. — Ve- niamo ora a considerare i vacuoli. È un fatto ben sicuro che le masse residuali possono presentarsi più o meno vacuo- lizzate, alle volte con vacuoli relativamente grandi (III. 31). In questi vacuoli sta un liquido che può coagulare. Questi vacuoli alle volte mancano. Quando esistono, sì possono distinguere facilmente negli amfionti vicini, ovvero avviantisi alla maturazione. — 188 — È facile incontrare sui tagli, vacuoli più o meno numerosi, rivestiti da sporozoiti, più o meno avanzati di sviluppo (I. 65). Questi vacuoli forse talvolta si formano dentro le masse residuali; poi per spostamenti delle masse residuali e dei relativi sporozoito- blasti o sporozoiti, accompagnati da riduzione parziale delle masse stesse vengono a trovarsi circondati soltanto di sporozoiti. In generale si deve ritenere che i vacuoli circondati da sporozoiti rappresentano dilatazioni locali di lacune più o meno anguste che compaiono dove si sviluppano gli sporozoiti (lacune che nelle figure sono lasciate in bianco) (I. 58-65) (Vedi c).). Alle volte nell’ amfionte maturo, o quasi, si trova un enorme vacuolo che ne occupa una gran parte: è circondato dagli sporozoiti e dalle masse residuali molto ridotte e fornite di piccoli vacuoli (I. 67). Il grande vacuolo può apparire in comunicazione con quelli piccoli. In generale quando si formano pochi sporozoiti i vacuoli assumono grande sviluppo. ———- EA TN (735 1, Wes Ja Fic. 17. — Schema della formazione degli sporozoiti. I 4 quadranti FiG. 18. — Amfionte quasi maturo uscito fuori (a, è, c, d) rappresentano quattro stadi successi vi. da una rottura artificiale della capsula. Sî vede la massa residuale (di colore oscuro nella figura) a cui stanno attaccati gli sporozoiti. Come ho detto precedentemente, è facile trovare vacuoli anche negli amfionti lontani dalla formazione degli sporozoiti. Da questi devono derivare, almeno in parte, i vacuoli or ora descritti negli stadî ulteriori. g). Riassunto (fig. 17 e 18 nel testo). — Riassumendo, nell'amfionte dei parassiti malarici non sono distinte le fasi di accrescimento e di riproduzione. Questa si inizia quando l’'amfionte è ancora molto piccolo. Essa conduce alla formazione di un numero di sporozoiti quasi sempre enorme. Nell’amfionte, man mano che ingrandisce, i nuclei, moltiplicandosi sempre per divisione diretta (divisione in due: sempre?) diventano numerosi, inentre în svariate parti ad un certo momento il citoplasma va diventando molle e finisce a dar luogo a vacuoli, lacune più 0 meno anguste, fenditure, ecc., ripiene di un liquido. Così è che il citoplasma viene a suddividersi non però mai completamente, — 189 — cioè în tante zolle di forma svariatissima, subtondeggiante, trabecolare, lamellare, ecc. ma tutte e sempre anastomizzate più 0 meno ampiamente l’una coll’ altra — sporoblasti imperfetti o sporoblastoidi —. / nuelei che da principio si trovano nel mezzo di questi sporoblastoidi — nuclei centrali — moltiplicandosi per divisione diretta (molteplice: sempre?) finiscono per spostarsi alla periferia degli stessî — nuclei periferici — estendendosi anche per i tratti che stabiliscono le anastomosi tra uno sporoblastoide e l'altro. La formazione degli sporoblastoidi spesso ritarda e accade contemporaneamente 0 quasi alla sistemazione dei nuclei nella parte periferica degli sporoblastoidi formantisi. Comunque sia, finiamo per avere tanti sporoblastoidi contornati di nuelei molto piccoli; intorno a ciascuno di essi si differenzia un po’ di citoplasma. Sti formano così delle celluline — sporozoitoblasti — che allungandosi, si trasfor- mano în sporozoiti. Da quanto ho detto risulta chiaramente che le zolle — masse residuali — a//a cui periferia si sono sviluppati gli sporozoiti, formano in realtà una massa unica (fig. 18 nel testo) e irregolare. Man mano che gli sporozoiti ingrandiscono, in complesso le masse residuali sì riducono e viene un momento în cui si possono totalmente separare l'una dall'altra. (Gli sporozoiti fino alla maturanza restano tutti attaccati alla massa residuale. Quando sono maturi si staccano e allora appaiono come disposti a vortice attorno alla massa residuale. In qualche raro caso în cui si sviluppano pochi sporozoiti, la divisione in sporoblastoidi è soppressa e gli sporosoîti si formano solo alla periferia, lasciando una massa residuale unica e centrale (parte sinistra di V. 16: riguarda l’Haemanoeba). Nella massa residuale al momento della formazione degli sporozoiti, qualche raro nucleo può restar centrale; successivamente può anche moltiplicarsi (nuclei delle masse residuali, che vanno perduti). A completare questa descrizione debbo aggiungere che nelle masse residuali possono formarsi dei vacuoli e che le lacune tra gli sporoblastoidi, in certe parti, possono ampliarsi in vacuoli; abbiamo perciò vacuoli senza sporozoiti (nelle masse residuali) e vacuoli rivestiti di uno strato di sporosoiti. Nelle masse residuali restano dei nuclei paragonabili ai nuclei del tuorlo delle uova a segmentazione parziale. La capsula che involge gli amfionti è avventizia, cioè formata dall’ospita- tore e non dal parassita (°). h). Rottura della capsula. — Quando l' amfionte è maturo, la capsula si apre lasciando uscire gli sporozoiti nelle lacune del corpo, nelle quali circola il sangue (lacunoma). Oltre agli sporozoiti escono anche le masse residuali. La deiscenza della capsula potrebbe avvenire come si ammette per le Gregarinide, in seguito al rigonfia- mento della massa residuale. Certo è però che, quando gli amfionti sono maturi, osser- (2) Questo processo era stato descritto in modo del tutto rudimentale da Ross e da Koch per il Proteosoma. — Dn vandoli al microscopio, facilmente lasciano uscire a poco a poco gli sporozoiti da piccole fenditure che si formano qua e là, o anche in quantità da un'ampia fenditura; in quest'ultimo caso come se fosse avvenuto uno scoppio (III. 15). Non di raro in alcune capsule resta un certo numero di sporozoiti e altre volte anche qualcuna o tutte le masse residuali (III. 17 e 18). La capsula, svuotata in tutto o in gran parte, rimane avvizzita tranne in qualche rarissimo caso (III. 16). Evidentemente essa subisce un processo di riassorbimento perchè dopo qualche giorno non se ne trova più traccia. IV. Corpi bruni e corpi giallo-bruni (forme d'involuzione). — Gli sporozoiti e le masse residuali che restano nelle capsule possono presentarsi rav- volti da una sostanza bruna (involucro bruno) (III. 20 e 21). Si hanno allora le spore nere (°) di Ross, dette meglio corpi bruni (Grassi, Bignami e Bastianelli). Essi sono essenzialmente di due sorta: gli uni a forma più o meno spiccata di bastoncello derivati appunto dagli sporozoiti; gli altri più o meno tondeggianti e di dimensioni molto varie derivati invece dalle masse residuali. Qualche volta il numero degli sporozoiti contenuti in una capsula coll'involuero bruno è relativamente considerevole (30 o 40), di solito è scarso (6-8-10-12 ece.). In una stessa capsula si possono formare involucri bruni tanto attorno a un certo numero di singoli sporozoiti, quanto intorno a singole masse residuali; altre volte una capsula presenta solo sporozoiti, ovvero soltanto masse residuali coll’involucro bruno. Talora si trovano aderenti all'intestino, senza che sia distinguibile la capsula del- l’amfionte, alcuni sporozoiti coll’involuero bruno, più o meno irregolare (III. 22 e 23). Talvolta l'involucro bruno sembra che sia formato attorno a un frammento di sporozoito, ad uno sporozoito immaturo o rimpiccolito. La qui descritta origine dei corpi bruni spiega un fatto già notato nella mia pubblicazione con Bignami e Bastianelli, che, cioè, compaiono alcuni giorni dopo la maturazione degli sporozoiti. Io li studiai in un Aropheles che avevo infettato artificialmente colle semilune e li vidi piuttosto di raro anche in individui presi in vita libera. Tanto nel primo che nei secondi, le ghiandole salivari erano piene di sporozoiti (vedi più avanti), mentre l'intestino presentava anche parecchie capsule avvizzite e svuotate. Negli amfionti dell’ Yaemamoeba i corpi bruni si formano molto più frequente- mente: io li ho trovati in amfionti ancora ripieni di sporozoiti: perciò già formati prima della rottura della capsula (parte sinistra di V. 17). Parecchie volte si trovano degli Arzopheles in cui i corpi bruni presentano caratteri un po diversi sì che il loro modo di formazione non è ben evidente (”) (III. 28 e II. 17). Più esattamente si tratta di corpi ora gialli, ora giallo-bruni, talvolta anche bruni. Per brevità li denomino corpi giallo-bruni. Come i corpi bruni, si possono distinguere in varietà. Gli uni sono allungati, certamente provenienti da sporozoiti, gli altri più o meno irregolarmente tondeggianti riferibili in parte a masse residuali, in parte probabilmente o a sporozoiti immaturi, o a sporozoiti in via di involuzione, o a frammenti di sporozoiti ecc. A sporozoiti in condizioni simili sono pure riferibili pro- (4) Ross le ha descritte nel Proteosoma. (®) Sono figurati anche nel lavoro con Bignami e Bastianelli (tav. I, fig. 15, 16, 17). — 191 — babilmente altre forme a dastoncello corto, a pera, o somiglianti a blastomicete gemmanti, senza però poter escludere che alcune di queste forme appartengano invece a masse residuali. I corpi allungati hanno una tinta gialla, presentano parecchi strozzamenti e di raro lasciano trasparire in parte lo sporozoito; alcuni di essi sono molto sottili. Questa varietà di corpi è relativamente poco abbondante. I corpi a bastoncello corto, o a pera, o rassomiglianti a blastomiceti gemmanti sembrano in parte frammenti dei corpi allungati con cui perciò hanno comuni pa- recchi caratteri, quali il colore, l'aspetto. In qualcuno di essi la traccia di sporozoito è evidente, ma sembra colorata d'un giallo un po' più scuro. Altri corpi a bastoncello o a pera o rassomiglianti a blastomiceti gemmanti, ovvero aventi forme più o meno tondeggianti, invece che gialli sono giallo-bruni, per lo più a strati gialli e bruni succedentisi (spesso sono evidenti due strati, talvolta tre) con una parte centrale tondeggiante o irregolare, incolora. Qualche volta invece della parte incolora centrale, il corpo presenta un infossamento occupato appunto da sostanza incolora. La parte centrale ha però non di raro una tinta più o meno leg- gera tendente al rosso. Le parecchie varietà di corpi giallo-bruni si trovano mescolate assieme dentro un medesimo amfionte in numero di 2-3 fino a 40-50, di solito però soltanto in nu- mero di 15-20, in mezzo a una massa tondeggiante, per grandezza simile ad un ordi- nario amfionte maturo, e granulosa a granuli più o meno fini. Questa massa è tanto più abbondante quanto più scarsi sono i corpi; qualche volta essa presenta altri corpi tondeggianti, molto rifrangenti, incolori. Attorno alla massa trovasi una capsula uguale a quella degli amfionti. Questa capsula non è punto raggrinzata. Di queste capsule con corpi giallo-bruni in un Aropheles se ne possono trovare da 1a 12 e forse più. In qualcuna di queste capsule si trova una massa centrale d'aspetto particolare, nella quale si rileva evidente il pigmento del parassita malarico e si possono co- lorire molti corpicciuoli che sembrano nuclei. È naturale d’interpretarla come massa residuale (II. 17). ) In quegli stessi individui che presentavano le capsule coi corpi giallo-bruni ho trovato capsule avvizzite contenenti o no masse residuali, e sporozoiti più o meno abbondanti nelle ghiandole salivari. Tenendo presente tutte queste circostanze è naturale di ammettere che i corpi giallo-bruni sì formino precisamente come i corpi bruni. Già nel mio lavoro con Bignami e Bastianelli, tanto i corpi bruni, quanto i giallo-bruni venivano da noi giudicati « alterazioni regressive del parassita ». Questo nostro giudizio era basato sulla irregolarità di forma dei corpi in discorso, sulla loro rarità e sulla circostanza che processi simili si verificano in altri parassiti dei Culicidi: esso riceve una nuova conferma fondamentale dallo osservazioni da me fatte, le quali precisano questo processo involutivo e, dimostrando che esso comprende non soltanto gli sporozoiti, ma anche le masse residuali, esclude qualunque ipotesi ten- dente a spiegare i corpi bruni e giallo-bruni come fasi progressive. — 192 — Il processo d'involuzione è evidente sopra tutto nei corpi giallo-bruni (frammen tazioni, irregolarità, stratificazione dell'involucro). In alcuni casi ho trovato attorno a singole capsule coi corpi giallo-bruni una massa protoplasmatica contenente un nucleo, massa che non ho potuto studiare esattamente (fagocito ?). Se i corpi giallo-bruni rappresentino una fase ulteriore d’involuzione rispetto ai corpi bruni, è una questione che non posso decidere con sicurezza, perchè potreb- bero invece rappresentare un processo regressivo alquanto differente da quello dei corpi bruni (°). Sarebbe interessante poter determinare in quali condizioni si formano i corpi in discorso. Avendo io trovato i corpi giallo-bruni soltanto d'inverno, in Amopheles presi in vita libera, suppongo che l'abbassamento di temperatura possa avere un'influenza sulla loro formazione, ma non ho potuto fare osservazioni sufficienti per asserire la cosa con certezza. Con la suddetta conclusione rispetto alla natura dei corpi bruni e giallo-bruni, come ho già pubblicato con Bignami e Bastianelli, concordano i fatti epidemiologici da un lato e dall'altro gli esperimenti. Mi spiego. Se questi corpi fossero stati realmente spore, come supponeva nel 1898 Ross, avrebbero avuto una grande importanza, perchè avrebbero dimostrato l’ esistenza di un nuovo ciclo di sviluppo dei parassiti malarici. Essi dopo la morte dell’ Aropheles avrebbero dovuto subire una delle seguenti destinazioni: 1° infettare l’uomo per la via del tubo intestinale; 2° infettare l'uomo per le vie aeree; 3° infettare le larve degli Aropheles, che perciò potrebbero essere già in- fetti quando diventano alati. La prima destinazione veniva già resa inverosimile da considerazioni epidemio- logiche (l’acqua non è veicolo d'infezione malarica).Essa venne assolutamente esclusa cogli esperimenti diretti, avendo io in differenti epoche ingoiati e fatti ingoiare da altri i corpi in discorso, sempre impunemente. La seconda destinazione viene esclusa dal fatto che i corpi di cui si tratta, hanno un involucro che a priori li fa ritenere incapaci di infettare per mezzo delle vie aeree. La terza destinazione venne esclusa: 4) con ripetuti esperimenti diretti sia ad infettare le larve degli Aropheles coi corpi bruni e coi corpi giallo-bruni, sia ad infettar l’uomo cogli Aropheles neonati (vedi parte sperimentale); è) con molteplici osservazioni sulle larve e sulle ninfe degli Aropheles per rintracciarvi i corpi in discorso e le loro fasi ulteriori di sviluppo. Tanto gli esperimenti 4) che le osser- vazioni 5) diedero invariabilmente risultato negativo. C) PASSAGGIO DEGLI SPOROZOITI NELLE GLANDULE SALIVARI. — Gli sporozoiti fuorusciti spontaneamente dalla capsula, quando si osservano in soluzione di albume e cloruro di sodio, si vedono talvolta isolati. Io non ho avuto tempo di studiare i loro movimenti: ho visto però che, senza evidentemente locomoversi, possono fare dei movimenti serpentini, sì piegano a esse o a cerchio. (2) Ross (1899) suppose senza fondamento che i corpi bruni fossero funghi parassiti. — 199 — Specialmente gli sporozoiti usciti da capsule che si aprono per effetto della pres- sione mentre si fa l'osservazione al microscopio (si noti che si aprono soltanto quando gli amfionti sono maturi o quasi), si presentano riuniti in fasci da una minima quan- tità di sostanza la quale è di certo appiccaticcia e gelatinosa. La presenza di questa sostanza richiama quanto ha osservato Schaudinn negli sporozoiti dei Coccidi; essi, cioè, secernono, come le Gregarine, su tutta la superficie del loro corpo, una sostanza appiccaticcia e gelatinosa la quale li fa locomuovere in avanti. È presu- mibile che anche gli sporozoiti dei parassiti malarici abbiano la capacità di far movi- menti di locomozione, che però non ho avuto occasione di osservare con sicurezza. Gli sporozoiti sono incolori, relativamente rifrangenti, appaiono per lo più fili- formi, colle estremità assottigliate e spesse volte difficilmente visibili (III. 19). Essi si spargono per tutto il corpo, non posso stabilire con sicurezza se attiva- mente, in virtù di movimenti proprî, ovvero, come è più probabile, passivamente, cioè, trascinati dalla corrente sanguigna. Dopo poco tempo (forse bastano poche ore) si raccolgono tutti attorno alle ghiandole salivali, dentro le quali penetrano. Ritengo che l’entrata nelle ghiandole salivali sia attiva. 1 Qualche volta s'incontrano accumulati attorno ai tuboli delle ghiandole salivali, in masse considerevoli. Questo fatto si controlla anche sui tagli (II. 24). Quando gli sporozoiti sono in piccol numero, si vedono con chiarezza aderenti ai tuboli. Gli sporozoiti si raccolgono nelle cellule delle ghiandole salivali e precisamente nella parte delle cellule stesse contenente il secreto; emigrano anche nel lume dei tuboli pieno di secreto. Nel lume del tubolo intermedio, che è molto ampio (II. 19-21), possono accumularsi in grandissima quantità, ma io non posso però asserire che va- dano in questo tubolo a preferenza che negli altri tuboli (come accade per l'Yae- mamoeba nel Culex (Koch, Ruge, Grassi)). Questi ultimi (II. 18, 22 e 23), nel lume, che è più ristretto, possono contenerne meno; ne possono raccogliere invece una quan- tità maggiore dentro le cellule, che sono molto grandi, e ciò a differenza di quel che avviene nel tubolo intermedio dove le cellule sono più piccole. Anche quando gli sporozoiti sono in poca quantità, di solito si trovano in tutti e tre i tuboli, quasi egualmente distribuiti (II. 25). Qualche volta però (specialmente nelle zanzare infette che hanno già punto?) si trovano limitati a un tubolo, o a una porzione di un tubolo. In complesso mi pare che invadano a preferenza la parte posteriore dei tuboli. Ritengo che i tuboli pieni di sporozoiti siano più fragili degli altri. Nella parte ingrossata del tubolo intermedio, sui tagli, gli sporozoiti si presentano isolati e ricurvi in vario senso (II. 19-21); nei tuboli laterali invece si presentano per lo più dritti e anche in fasci (II. 18), come dentro l’amfionte. In modo simile sì presentano in corrispondenza al collo del tubolo intermedio (II. 24). È notevolissimo il fatto che gli sporozoiti invadono le differenti parti dei tuboli delle ghiandole salivali, nonostante che questi, come ho detto in altro capitolo, pre- sentino differenti secreti. L'entrata degli sporozoiti nelle ghiandole salivali sì deve interpretare, secondo le attuali conoscenze, come un fenomeno di chemotropismo: or a tutta prima sembra strano che secreti diversi esercitino la stessa azione chemotropica; la cosa si può 25 — 194 — spiegare ammettendo che vi sia in essi una sostanza comune attiva verso gli sporozoiti, unita ad altre sostanze, diverse nei diversi tuboli. In un caso ho trovato sporozoiti dentro le cellule epiteliali dell'intestino anteriore (II. 26). Nel 1900 avendo avuto a mia disposizione una certa quantità di Culex pipiens infetti di Zaemamoeba ho potuto fare ulteriori osservazioni sugli sporozoiti nelle glandole salivari. Le mie osservazioni sono state fatte d'estate nelle ore calde (37) (V. 19 parte sinistra). Mi aveva destato una certa meraviglia il loro presentarsi sotto forme differenti. Questa varietà di forme è subordinata ai loro movimenti che ho potuto rilevare, benchè mi mancasse il tempo per molto addentrarmi in questo argomento. Distinguo come Schandinn negli sporozoiti dei Coccidi, tre sorta di movimenti: contrazioni, incurvature e movimenti di progressione. Per effetto di movimenti di contrazione ho visti gli sporozoiti allungarsi assottigliandosi anteriormente, e accorciarsi o ingrossando posteriormente, o ingrossando uniformemente in tutta la lunghezza, ovvero anche prendendo forma quasi di cavatappi. Alle volte gli sporozoiti presentansi curvi a C e la metà anteriore della C fa movimenti non nello stesso piano della metà posteriore, non rovesciandosi però mai all'indietro. La traslazione avviene spesso con semplice scivolamento quasi come nelle Gre- garine: talvolta essi scivolano tremolando, ecc. Questi movimenti si osservano dissezionando le ghiandole salivari nella solita soluzione di cloruro di sodio. Aggiungendo al cloruro di sodio una gocciolina di sangue di passero, si vedono gli sporozoiti locomoversi insinuandosi tra i globuli rossi con movimenti complicati; toccano spesse volte i leucociti, restano alquanto vicino ad essi, ma poi se ne allontanano. Sembra talvolta che facciano quasi dei movimenti per penetrare nei globuli rossi. Probabilissimamente gli sporozoiti fanno i movimenti sopradeseritti anche quando sono liberi nel lacunoma: ritengo che comincino a muoversi quando sono ancora dentro la capsula. Ciò che ho detto per il Proteosoma vale probabilmente anche per i parassiti malarici umani (°). Quando l’Aropheles punge, gli sporozoiti escono fuori dalle ghiandole salivali e vengono eliminati insieme colla saliva. Un mio esperimento sembrava che avesse provato che gli sporozoiti possono uscire tutti con una sola puntura quando presumi- bilmente sono in poca quantità. Quest’ esperimento è restato isolato e senza conferma. Ho invece stabilito con sicurezza che quando gli sporozoiti sono in molta quantità, ne possono restar dentro moltissimi anche dopo ripetute punture. Nel 1900 con una serie di esperimenti ho dimostrato in modo sicuro che un Culex pipiens che ha punto un passero molto infetto una sola volta, può infettare (4) I movimenti degli sporozoiti vennero recentemente osservati anche da Ruge (Central0l. f. Bakt. I Ab. XXIX Bd.). Le piccole differenze tra le nostre osservazioni si possono spiegare in parte colle differenti temperature a cui vennero fatte. — 195 — almeno 6 o 7 passeri, senza aver totalmente liberate le ghiandole salivari degli spo- rozoiti. Si deve ammettere che lo stesso fatto si verifichi anche per gli Anofeli e questo permette di spiegare il diffondersi della malaria umana non ostante il piccolo numero di Anofeli che si trovano infetti. Siccome l’Anofele specialmente se ha punto un individuo malarico varie volte, può presentare parassiti malarici in diversi stadî di sviluppo, così è presumibile che le ghiandole salivali possano svuotarsi e riempirsi parecchie volte di sporozoiti. D) AMFIONTI DELLE VARIE SPECIE DI PARASSITI MALARICI. — Tutto ciò che ho fin qui esposto per i parassiti della terzana maligna, ossia della bidua (Zave- rania malariae), si può in complesso ripetere per i parassiti della terzana (Plasmo- dium viva) (*) e, per quanto no veduto, anche per quelli della quartana (P/asmodium malariae). Soltanto il vermicolo mi apparve relativamente più grande nella terzana che nella terzana maligna (I. 30) e conseguentemente più grande anche l'amfionte appena arrivato nello spessore della parete intestinale. Finchè l’amtionte è arretrato nello sviluppo, il pigmento, meno oscuro e molto più sparso nella terzana, mi ha permesso fino ad un certo punto di distinguerlo da quello della terzana maligna (III. 33-37). Più tardi questa distinzione non mi è più riuscita con sicurezza. Posso dire soltanto con una certa verosimiglianza che i parassiti della terzana, più frequentemente di quelli della bidua, presentano i vacuoli molto sviluppati. Per quante osservazioni io abbia fatte, non sono giunto a confermare le diffe- renze stabilite da Bastianelli e Bignami tra gli amfionti della terzana e quelli della terzana maligna. Queste differenze esistono certamente nei loro preparati,” ma secondo me, essi hanno paragonati stadî alquanto diversi e preparati, più o meno alterati dalla formalina. Questa sostanza, secondo che agisce per un tempo più o meno lungo, secondo il suo grado di concentrazione rigonfia più o meno la cromatina, e altera più o meno gli amfionti già piuttosto avanzati nello sviluppo ecc. Posso del resto aggiungere che la formalina è molto utile per mostrare rapida- mente le notevoli differenze presentate da una stessa specie di parassiti malarici in uno stesso stadio di sviluppo. Ciò riesce evidente nei preparati di intestini 7 olo conservati in formalina e poi coloriti opportunamente. In questi preparati si distin- guono benissimo le forme ialina e vacuolata, già osservate da Ross, e si vede che le forme vacuolate presentano pochissimi nuclei (raccolti talvolta a preferenza verso la parte centrale) in confronto alle forme ialine. Non si creda che questa vacuolizza- zione sia del tutto artificiale: come ho detto più sopra, in realtà esistono vacuoli che la formalina ingrandisce. Di tutte queste circostanze si acquista un’ idea chiara, paragonando le figure da me pubblicate insieme con Bignami e Bastianelli a quelle che pubblico nel presente lavoro. (3) Perciò nell’illustrare gli amfionti della bidua ho richiamato parecchie volte indifferente- mente anche figure di P. vivaz. — 196 — E possibile che avendo a disposizione molto materiale, ora che si conoscono i mezzi per una buona conservazione, col tempo si possano trovare delle piccole differenze tra gli amfionti delle varie specie di parassiti malarici. Si trovino o no, le specie restano sempre buone e a differenziarle con sicurezza bastano già i gameti. Dal confronto delle figure risulterebbero alcune differenze tra l'amfionte del- l'Haemamoeba (V. parte sinistra) e quello dei parassiti malarici umani (I. II e III), differenze che io non ardisco precisare. E) ALTRI sPoROZOI PARASSITI DEI CuLIcIDI. — Per molto tempo io, Bignami e Bastianelli sospettammo che potessero essere in rapporto coi parassiti malarici due altri parassiti appartenenti al gruppo degli Sporozoi, che si trovano non di raro negli Amopheles. Questi due Sporozoi possono forse offrirei un'arma per ridurre la quantità di Anopheles. Quanto alla sistematica, qui mi limito a dichiararli di sede incerta, nella legione dei Myrosporidia, nella quale comprendo anche i mal noti Serumsporzidia. Darò una brevissima descrizione di questi parassiti, che ho studiato solamente quanto era necessario per poter escludere che appartenessero al ciclo dei parassiti malarici. La prima specie abita nel lacunoma dell’Anofele, libera, od aderente ai più svariati organi (differenti parti dell'intestino, ghiandole salivali, vaso dorsale). Scendo a qualche particolare. In uno stadio (probabilmente giovanile) (III. 24c) si presenta sotto la forma di masse plasmiche libere, che facilmente nei preparati a fresco appaiono subtondeg- gianti: non ho potuto constatare in esse veri movimenti ameboidi. In queste masse plasmiche sui tagli ho riscontrato numerosi nuclei differenti tra loro per la forma, per la grandezza e per la cromatina. Qualche volta esse contenevano anche dei gra- nuli giallastri. Due volte mi occorse di osservare a fresco in cloruro di sodio molte masse pla- smiche libere nelle quali si trovavano tanti corpi più o meno nettamente ovalari con un corpuscolo centrale splendente (III. 25). Questi corpi rassomiglianti a sporozoiti erano mobili: si vedevano infatti uscire dalle masse plasmiche e muoversi nel campo del microscopio. Io li credetti sporozoiti dei parassiti malarici; più tardi, però, ebbi occasione di rettificare la mia opinione, essendomi persuaso che ne sono totalmente differenti. Nei My:xosporidia non è stato ancora riscontrato uno stadio simile e perciò l’'or detto fenomeno da me osservato ha molto interesse, perchè apre la strada a ulteriori ricerche. Molto comunemente i parassiti in discorso (III. 24 4) sono aderenti ai varî organi testè nominati sotto forme svariate, alle volte di tuboli, alle volte di globi irrego- lari, alle volte di ampolle. In questi casi mostrano lo strato periferico ispessito a guisa di cuticola: il contenuto è una massa plasmica enormemente infarcita di spore aventi una membrana ben definita. In queste spore non ho potuto riscontrare le capsule — 197 — polari che, però, non ho ricercato a sufficienza. È importante osservare che questi sporozoi vanno incontro a un processo di involuzione simile a quello che ho descritto per gli sporozoiti e per le masse residuali dei parassiti malarici (formazione di un involuero bruno). (III. 244, 248", 248"). Non esiste certamente alcun rapporto tra i parassiti malarici e i parassiti in discorso, come dimostra, oltre la riportata descrizione, una lunga serie di esperienze. Le uova degli Azopheles si trovano non di raro infette da un altro sporozoo, riferibile probabilmente ancor esso alla legione dei Myzosporidia. Talvolta tutte le uova di un Aropheles ne sono infette, talvolta soltanto poche. Nelle uova mature, o quasi, il parassita in discorso presenta un’ enorme quantità di spore in via di forma- zione, oppure già formate. In quelle in formazione distinguo una massa plasmica con due, quattro, otto nuclei (III. 26); in quelle già formate una capsula con otto spo- rozoiti (III. 27). Anche questo parassita vuol essere ulteriormente studiato, essendo le mie cogni- zioni in proposito evidentemente tanto imperfette, che avrei tralasciato di parlarne, se non avessi trovato necessario di persuadere il lettore che esso non ha nulla a che fare col parassita malarico, come dimostrano, oltre ì suddetti caratteri del parassita, anche numerose prove sperimentali (°). Nei Culex, siano larve, ninfe o insetti perfetti, si può trovare un parassita che senza dubbio appartiene ai Myrosporidia, come dimostrano le sue spore. In certe specie di Cu/ex esso è enormemente comune. In principio sospettai che appartenesse al ciclo dei parassiti malarici; ma più tardi dovetti escluderlo, sia per i suoi caratteri, sia perchè non si trova nell’ Aropheles, sia, infine, per molti esperimenti riusciti tutti negativi. F) INESISTENZA DI UN ALTRO cIcLo. — In conclusione è assolutamente certo che i parassiti malarici non assumono nel corpo dell’Aropheles altre forme oltre quelle che ho descritte. Una gran parte del mio tempo è stata appunto consumata per questo lato nega- tivo della questione. Io non ho soltanto escluso dal ciclo dei parassiti malarici i sud- detti parassiti, ma ho fatto ricerche estesissime nelle uova, nelle larve, nelle ninfe degli Azopheles; ho esaminato moltissimi Aropheles neonati, o no, e infetti, o no, non limitandomi soltanto all’ intestino e alle ghiandole salivali, ma prendendo in esame tutti i varî organi. Dopo essermi persuaso che i parassiti in condizione atta a infettar l’uomo non si potevano trovare che nelle ghiandole salivali, originati dagli amfionti sviluppatisi nell’ intestino, intrapresi anche una serie lunghissima di esperimenti (vedi Cap. VI), che raffermarono le mie convinzioni. (4) Nell Anopheles claviger sia allo stadio larvale che allo stadio d’insetto perfetto si trova spesso un Trematode incistato. Noto anche un Acaro ectoparassita della stessa specie di Anopheles allo stadio di insetto perfetto. — usi — 3. Considerazioni generali. Possiamo ora tornare alle due altre sorta di generazioni che i parassiti malarici presentano nel corpo dell’uomo e dell'Anofele. Richiamo perciò lo schema che ho già precedentemente accennato. (Tav. V. Schema). In tutti i Protozoi, forse in tutti gli esseri unicellulari, le generazioni si succe- dono in maniera tale da potersi graficamente rappresentare come una catena chiusa formata da tanti anelli: un anello rappresenta la generazione sessuata (amfigonia), e gli altri le generazioni non sessuate (monogonie). In complesso alterna una genera- zione amfigonica con molte monogoniche. (Esito di entrare nella discussione interes- santissima sollevata da R. Hertwig intorno all'indipendenza della fecondazione dalla riproduzione). Omai questa conclusione si impone così fortemente che se nei parassiti malarici non fosse nota la generazione sessuata, allo stato attuale delle nostre conoscenze, si potrebbe dichiarare con sicurezza che il ciclo presenta un'interruzione, che manca un anello della catena. Invece, trovato questo anello, la catena forma un circuito chiuso. A questo riguardo mi permetto una digressione. Negli Schizomiceti, se si eccettua una notizia non ben sicura di Férster sul Cromatium (15) finora non conosciamo fenomeni di fecondazione. Ho, perciò, la con- vinzione che noi non conosciamo interamente il ciclo evolutivo di nessun Batterio (2). Quest'argomento merita tutta l’attenzione degli igienisti perchè potrebbe condurre a scoperie di fondamentale importanza. Così p. es. il non essere diventato indigeno in Europa il colera, potrebbe trovare la spiegazione nel fatto che in Europa mancano le condizioni necessarie perchè avvenga la generazione sessuata. Colla stessa man- canza della generazione sessuata si potrebbe spiegare lo spegnersi, per esempio, delle epidemie di influenza e fors'anche molti fatti di contagiosità maggiore o minore di un medesimo Batterio. L'argomento è molto interessante ed è sperabile che venga prontamente affrontato da qualche batteriologo. * x x Torniamo alle generazioni dei parassiti malarici. Paragoniamo per maggiore chiarezza le generazioni dei parassiti malarici colle generazioni presentate dal Volvo, quella forma singolare che gli zoologi pongono tra i Flagellati. La catena è essenzialmente eguale nei due casi. Infatti nel Vo/vox un am- fionte si divide in due individui, che, come mononti, continuano a dividersi per un numero grandissimo di volte, formando una colonia (cenobio) di molte migliaia d' indi- vidui, riuniti gli uni agli altri da ponti protoplasmatici. La grandissima maggioranza degli individui di questa colonia non va mai in- contro a una riproduzione sessuale; singoli individui soltanto subiscono una differen- ziazione sessuale e mostrano una grandissima somiglianza con uova tipiche e con sper- matozoi: precisamente singoli individui si trasformano in una macrospora, o in un fascio (4) La generazione sessuale dovrebbe essere quella che forma le spore durature. — 199 — di microspore. La macrospora fecondata dalla microspora costituisce l’amfionte che forma una nuova colonia. Evidentemente abbiamo nel Volvox come nei parassiti malarici dell’uomo, molte generazioni non sessuate e una sessuata, colla sola differenza che nel caso del Vo/vox i mononti restano riuniti in colonia, mentre si separano gli uni dagli altri nel caso dei parassiti malarici; ciò che del resto si verifica per moltissimi altri Protozoi. I casi di generazione amfigonica intercalata a un numero maggiore, o minore di generazioni monogoniche vengono denominati di generazione alternante: sarebbero pre- cisamente casi di generazione alternante in senso stretto, ossia progressiva, fenomeno denominato anche metagenesi, o metagonia. Anteridi Fr. 19. — Rappresentazione schematica di una colonia di Volvor. I numerosissimi mononti, rappresentati dalle pal- lottoline piccole, non sono stati richiamati nella figura. In proposito occorrono però alcuni schiarimenti. L'Uomo stesso, come tutti i Metafiti e i Metazoi, si comporta precisamente come ì Protozoi. Il ciclo è essenzialmente uguale; se noi richiamiamo che ogni cellula del nostro corpo notoriamente equivale ad un Protozoo, il confronto diventa semplicissimo. L'uovo fecondato (amfionte) si segmenta (generazione amfigonica) in due cellule che si riproducono un enorme numero di volte senza che intervenga una nuova fecondazione (generazioni monogoniche): viene così costituito il nostro corpo (para- gonabile a un cenobio di Protozoi). La grandissima maggioranza delle cellule che costituiscono il nostro corpo, come nel Vo/vo.r e come nei parassiti malarici, non si riproducono altrimenti che per generazione monogonica; soltanto relativamente poche — 200 — È cellule subiscono una differenziazione sessuale formando uova e spermatozoi (para- gonabili alle macrospore e alle microspore del Volvox e dei parassiti malarici). Se, perciò, sì ammette che î Protozoi e în generale tutti gli organismi uni- cellulari presentano la metagonia, si deve ammettere che anche tutti î Metazoi e i Metafiti la presentano. Senonchè altro è in realtà questa metagonia degli orga- nismi unicellulari, altro è quel processo che tutti gli zoologi denominano metagonia di un Metazoo (richiamo per es. l’echinococco, le salpe, ecc.). La metagonia degli organismi unicellulari trova invece riscontro nella metagonia delle cellule, e perciò appunto propongo sia per l'uno che per l’altro fenomeno, essenzialmente identici, il nome di citometagonia. Così considerato, il ciclo dei parassiti malarici, diventa naturale, mentre considerato separatamente sembra strano e singolare. Esso presenta soltanto una particolare modalità rispetto alla sede degli anelli della catena. Uno di essi, quello che rappresenta la generazione amfigonica, invece che trovarsi come gli altri, nel sangue dell'uomo, sì trova nel corpo dell’Amopheles, in rapporto colla circostanza che l’Aropheles si nutre di sangue. L'Aropheles pungendo l’uomo prende dall'uomo i gameti, ripungendolo dopo un determinato tempo gli rende un enorme numero di sporozoiti, capaci di dar luogo nel corpo dell’uomo a moltissime generazioni monogoniche e a nuovi gameti. Messo così nei suoi veri termini il ciclo evolutivo dei parassiti malarici, ognuno vede quanto sia oziosa la questione se sia l’uomo che primitivamente infettò l’Ano- pheles, 0 l'Anopheles che primitivamente infettò l'uomo. Una questione simile si potrebbe sollevare per tutti gli altri parassiti che hanno due ospitatori, uno definitivo e l'altro intermedio (p. es. le tenie). Ho giudicata oziosa la questione dal punto di vista pratico; teoricamente invece merita di essere discussa. Facendo punto di partenza dalla teoria dell'evoluzione, risalendo, cioè, a un'epoca in cui i parassiti malarici erano specie differenti dalle attuali, possiamo discutere se sia più verosimile che primitivamente il progenitore dei parassiti malarici si svilup- passe soltanto nel corpo dell’uomo o dei suoi progenitori, ovvero che si sviluppasse invece soltanto in quello dell’Anofele o dei suoi progenitori. Schaudinn crede di aver dimostrato che certi Emosporidi degli Amfibi (Drepa- nidium) si sviluppino come i Coccidi, senza cambiamento di ospitatore e che l’ infezione avvenga come in questi, per mezzo del tubo intestinale. Conseguentemente egli sup- pone che il cambiamento di ospitatore negli Emosporidi dei Vertebrati a sangue caldo sia stato acquisito secondariamente. Schaudinn perciò ritiene presso a poco che i parassiti malarici primitivamente esistessero nell'uomo o ne’ suoi progenitori. Siccome sopratutto nello stato attuale delle nostre conoscenze non abbiamo sufficienti motivi per respingere od accogliere l'opinione di Schaudinn, così non ritengo necessario en- trare in discussione sopra questo punto e mi limito a notare che, sia perchè i paras- siti debbono supporsi derivati da forme libere, sia perchè come prima tappa delle forme diventanti sporozoi, deve ritenersi l'intestino, io mi domando se non abbia grande importanza la fase presentata dall’ amfionte quando libero si muove nel tubo intestinale (vermicoli). — Sb Nella Nota pubblicata con Dionisi si trova espressa l'opinione che l’ Anopheles sia l’ospitatore definitivo e l’uomo l'ospitatore intermedio. Abbiamo denominato l’A70- pheles ospitatore definitivo perchè in esso avviene la generazione sessuata. Koch dice che la zanzara è l'ospitatore intermedio dei parassiti malarici (senza tener conto della pubblicazione fatta da me con Dionisi) (*). Ciò troverebbe secondo Lilhe una certa giustificazione nella circostanza che nel cambiamento di ospitatore tra un invertebrato e un vertebrato, il vertebrato vien detto in generale ospitatore definitivo e l'invertebrato, per contrario, ospitatore intermedio. Io credo che nella definizione di ospitatore intermedio e definitivo il criterio del vertebrato e dell'inver- tebrato non entri, e ritengo che la distinzione di ospitatore intermedio e definitivo per i parassiti malarici, come è stata da me fatta, sia utile e non possa far nascere alcun equivoco. Convengo del resto nell'ammettere che i termini intermedio e defi- nitivo sono convenzionali e si potrebbe ugualmente bene parlare di ospitatori alter- nanti, o, meglio ancora, di ospitatori per le generazioni sessuali e non sessuali. Torniamo alla catena formata dai parassiti malarici. Indiscutibilmente essa forma un circuito: ora si tratta di stabilire se sia un semplice circuito regolare, ovvero un circuito, che presenti delle curve secondarie; vale a dire, se le generazioni nell'uomo siano o no uniformi. Come ho detto precedentemente, è possibile che avvengano generazioni speciali, partenogenetiche, in rapporto colle recidive. Queste generazioni rappresenterebbero una curva secondaria che, continuando i confronti fatti sopra col Vo/vox e coi Metazoi, tro- verebbe in essi un certo riscontro. Nel Volvox le macrospore e le microspore si formano essenzialmente nella sta- gione autunnale; nelle stagioni precedenti invece delle macrospore e delle mierospore, compaiono degli individui detti partenoidi i quali si comportano come la macrospora fecondata: formano, cioè, nuove colonie. Si dànno così anche nel Vo/vor delle spe- ciali generazioni partenogenetiche paragonabili a quelle che ritengo possibili per i parassiti malarici. Nei Metazoi (s'intende che ciò che dico per i Metazoi vale anche per i Metafiti) a queste generazioni partenogenetiche sono paragonabili le generazioni partenogenetiche degli elementi femminili e maschili (2) Per rendere la questione più chiara credo opportuno, continuando il confronto, di far risaltare che gli sperma- tociti dei Metazoi trovano riscontro negli anteridi dei parassiti malarici. Riunendo tutto insieme risulta il seguente prospetto : METAZOI. PARASSITI MALARICI. 1° Cellule non sessuali (somatiche) moltipli- Mononti moltiplicantisi molte volte senza cantisi molte volte senza fecondazione. fecondazione. (4) Recentemente Koch ammette che sarebbe più esatto denominare l’uomo ospitatore inter- medio e la zanzara ospitatore definitivo. 26 Sede METAZOI. PARASSITI MALARICI. 90 Elementi femminili e maschili (?) molti- Macrospore e anteridi moltiplicantisi plicantisi partenogeneticamente. partenogeneticamente (?) 3° Spermatociti. Anteridi. 4° Spermatozoo. Microspora (mierogameto). 50 Uovo maturo (corpuscoli polari). Macrospora matura (corp. polari 2) (*). È qui forse opportuno, per mostrare tutti gli aspetti della questione, far rilevare che resta ancora da stabilire se anche nei parassiti malarici abbia luogo il fenomeno della morte naturale, cioè per senescenza. Mi spiego. Nei Metazoi, come nei Me- tafiti (°), le cellule che non trasformandosi in cellule genitali diventano incapaci di andare incontro alla fecondazione e così ringiovanirsi, sono destinate a morire, come tutti sanno. Nel Vo/vox tutti gl'individui che non diventano macrospore, miero- spore o partenoidi sono pure destinati a morire. Si domanda ora se anche nel succe- dersi delle generazioni monogoniche dei parassiti malarici compaiano individui desti- nati a morire, oa produrre prole destinata a morire, perchè incapaci di trasformarsi essi stessi in gameti o inetti a produrre altri individui capaci di trasformarsi in gameti. Questo problema si collega con l'altro riguardante il modo di sviluppo dei gameti e per ora non è solubile. D'altra parte giova riflettere che l’uomo infetto di malaria può per anni e anni andar soggetto a febbri (monogonia e parteno- genesi (?) dei parassiti malarici) senza che si esponga ad una nuova infezione. Aggiungasi che iniettando un po' di sangue di individuo malarico ad individuo sano gli si produce una infezione malarica che può durare per anni. Tutto ciò dimostrerebbe una grande tenacità nelle generazioni monogoniche e partenogenetiche (?). Ne risulta che le generazioni monogoniche nei parassiti malarici, si ripetono tanto a lungo da potersi dire indefinite di numero. Un'altra curva secondaria del circuito dei parassiti malarici deve essere costituita dalla moltiplicazione degli sporozoiti iniettati dall’ Aropheles nel corpo dell’ uomo. (3) Chi volesse completare il confronto dovrebbe anche richiamare la circostanza che la pro- liferazione dell’amfionte dentro il corpo dell'Anopheles in realtà non equivale a una sola generazione, ma ad una serie successiva di generazioni, come risulta da quanto ho detto precedentemente. Potrà a tuluno sembrar strano ch'io parli di partenogenesi degli elementi maschili, ma, come ha osservato arditamente Giard (55), omai possediamo le prove che si dà anche una partenogenesi maschile sì nei Protozoi (Adelea) che nei Metazoi (Echinus, Lanice, Dentalium). [Da un articolo di Boveri (Anat. Anzeiger, 23 Marz 1901) rilevo che prima di Giard, Verworn ha già parlato di partenogenesi maschile nei metazoi, che Boveri stesso dapprima e Delage dappoi hanno confutato quest’ ipotesi. Io non posso qui entrare in discussione, molto più che mì sono limitato ad accennare un'ipotesi con parecchi punti interrogativi]. (*) Delle eccezioni riscontrabili per es. in certi vegetali non è qui il caso di occuparcene. — 203 — Certamente questi sporozoiti, come dimostra il loro nucleo, non sono trasformabili direttamente in sporozoiti delle generazioni monogoniche ordinarie (cioè, delle genera- zioni entro il corpo dell’uomo). Deve avvenire perciò almeno una generazione con caratteri particolari. Veniamo così ad avere un’ altra sorta di generazione. (Tav. V. Schema: fig. 1 e 2?). Ricapitolando: nel ciclo dei parassiti malarici umani due sorta di generazioni sono state vedute, l'una m0nogonica per sporogonia (I) ripetentesi col ripetersi degli accessi febbrili nel corpo dell'uomo, l’altra amfigonica per sporogonia (II) verificantesi nel corpo dell’.Aropheles. Nel corpo dell’uomo se ne deve verificare una terza (III) in rapporto col principio del periodo d'ircubdazione, cioè subito dopo l’inoculazione degli sporozoiti; se ne potrebbe verificare una quarta (IV) in rapporto colle recidive. (Tav. V. Schema fig. 51? e 5). Quest'ultima presumibilmente avverrebbe per divisione o per gemmazione. Se am- mettiamo che la III avvenga nello stesso modo, o anche, ciò che è più probabile, che avvenga per peculiare sporogonia, otteniamo uno schema che trova qualche riscontro fino a un certo punto in quello del 7richosphaerium: abbiamo un circuito con due curve secondarie nell’uno e nell'altro caso (fig. 16 nel testo, pag. 165). In conclusione quattro sono i periodi in cui può dividersi l'infezione malarica; probabilmente ad ognuno dei quattro periodi corrisponde una peculiare forma di gene- razione, come risulta dal seguente prospetto (Tav. V. Schema): A) INFEZIONE DELL’ANOFELE I. — Generazione amfigonica per conitomia (fig. 7-17). B) InrEZIONE DELL’ Uomo a) — INCUBAZIONE II. — Generazione monogonica per conitomia (?) degli sporozoiti derivati dall'amfionte? (fig. 1-29). b) — AccESSI FEBBRILI III. — Generazioni monogoniche per conitomia (sporulazione di molti autori). (fig. 3, 4, 5a!-5 a"). e). — RECIDIVA A LUNGHI INTERVALLI IV. — Generazione partenogenetica ?? (fig. 512-5!?). Dopo queste spiegazioni risulta chiaramente distinto ciò che è provato e ciò che rimane ancora ipotetico nel ciclo dei parassiti malarici; resta pertanto tracciata la via per proseguire nelle ricerche ulteriori, = 0 = Tutte queste spiegazioni insieme coi fatti precedentemente esposti, conducono inoltre alla convinzione scientifica che i parassiti malarici umani possono trovarsi sol- tanto nell'uomo e nell’ Anopheles, che non possono passare che dall’ Aropheles all'uomo, e dall'uomo all’Anopheles e che bisogna escludere assolutamente il natu- rale passaggio diretto da uomo ad uomo o da Aropheles ad Anopheles. * * * Dopo quanto ho finora esposto non occorre spendere alcuna parola per confutare l'opinione di Ross, Laveran e Manson intorno al ciclo evolutivo dei parassiti mala- rici cioè « que le parasite du paludisme n'a chez l'homme qu'un héòte accidentel « et qu'il doit se réproduire dans le milieu extérieur (probablement è l’état de pa- « rasite du moustique) sans que son passage dans le sang humain soit indispensable ». Resterebbero da trattare i rapporti dei parassiti malarici cogli altri Sporozoi. Nello stato attuale delle nostre cognizioni, ancora assai imperfette per molte forme, questo è un punto molto difficile e pericoloso a discutersi, perchè da un momento all’altro possono venire alla luce nuovi fatti capaci di modificare profondamente o distruggere le più belle ipotesi. Certamente non esiste lo stretto rapporto che prima dei nostri lavori Ross aveva ammesso tra l’Haemamoeba (Proteosoma) e î Coccidi : com’ è noto, egli denominava addirittura Coccidi gli amfionti dell’Yaemamoeba. La citometagenesi degli Yaemosporidia (tra i quali sono compresi i parassiti malarici), come abbiamo accennato per primi io e Dionisi e come ha estesamente spiegato Schaudinn, trova riscontro nei Coccidzida. Su questo argomento mi permetto alcune osservazioni. Il fenomeno della cito- metagenesi per sè stesso non ha valore sistematico verificandosi molto probabilmente anche nei Gregarinida e in generale in tutti gli esseri vivi. L'importante è determi- nare se, tenuto calcolo delle differenze derivate dalla loro ripartizione in uno piut- tosto che in due ospitatori, negli Haemosporidia siano rappresentati gli stessi stadi che occorrono nella citometagenesi dei Coccidiida. Io ritengo che ciò in realtà si verifichi, come aveva già presagito Schaudinn precedentemente alla pubblicazione della prima edizione del presente lavoro. Il ciclo descritto in questo lavoro per gli Haemosporidiida è facilmente rappor- tabile a quello dei Coccidiida, ove si tenga conto di queste considerazioni: I. I Coccidiida invece di propagarsi per un ospitatore intermedio si propagano passando nell'ambiente esterno: perciò l’amfionte non passa attraverso lo stadio di vermicolo, segrega una capsula di protezione (oocisti) e forma delle spore incapsu- late (cistospore). II. Nella generazione amfigonica degli Haemosporidiida, notasi un accenno alla formazione di sporoblasti. Mentre è possibile stabilire dei punti di ravvicinamento tra i due gruppi in confronto, non riesce di fare altrettanto tra gli HMaemosporidiida e i Gregarinida; questi ultimi però sono ancora troppo poco noti e sarebbe perciò prematuro un giu- dizio definitivo. Nello stato attuale credo giusto mantenere l'ordine Yaemosporidiida (Sinonimo Hemosporidies Danilewsky (1886)) in senso lato. Comprendo perciò negli Sporozoi, 2 0 — come Labbé, due legioni: i Cy/osporidia e i Mywxosporidia. Comprendo nei Cytospo- ridia tre ordini: 1° Gregarinida. 2° Coccidiida. 3° Haemosporidiida. Indiscutibilmente gli Aaemosporiditda (nel senso da me accettato) hanno paren- tele tanto coi Gregarinida quanto coi Coccidiida: per quanto oggi sappiamo, le pa- rentele coi Gregarinida appaiono molto più lontane che coi Coceidiida. CAPITOLO VIII. Obiezioni alla dottrina degli Anofeli. Omai tutti ammettono che la malaria venga propagata dagli Anofeli. Che ciò possano fare anche altri insetti succhiatori di sangue ci autorizzano ad escluderlo le esperienze precedentemente esposte. Ciò nonostante da svariate parti sorge sempre la domanda se, oltre agli Aropheles, non vi siano altri veicoli di propagazione della malaria. Con questa domanda si collegano parecchie obiezioni delle quali debbo tenere il massimo conto e che mi propongo perciò di svolgere nel presente capitolo. 1. Luoghi malarici senza, o quasi senza mosquitos (Anofeli)? È stato asserito da varie parti e qualcuno ancora oggigiorno insiste nel rite- nere che si diano località o senza o almeno con pochi mosquitos, e ciò nonostante gra- vemente malariche. In Italia io fui spesse volte avvertito di speciali paesi, dove ci sarebbe stata malaria senza mosquitos; talvolta quest'asserzione proveniva da competenti autorità mediche. Una visita sul luogo indicatomi mi condusse però costantemente e subito alla conclusione che si trattava di notizie attinte di seconda mano e messe in giro primitivamente da persone, le quali sì limitavano a raccogliere le parole del volgo. Avendo già toccato l'argomento nel Capitolo II, qui citerò soltanto un caso che può servire da esempio istruttivo: in varie provincie dell'Italia meridionale le zanzare vengono denominate tafani; se quivi si domanda se vi sono zanzare, tutti rispondono di no, e si può così essere indotti a credere che manchino le zanzare in luoghi nei quali ve n'ha invece un grandissimo numero. Sta il fatto che vi sono luoghi malarici con poche zanzare, le quali sono allora, quasi sempre, tutti Anofeli. Vi sono pure altri luoghi malarici dove sono pochi Anofeli, mentre vi abbon- dano le altre zanzare: uno di questi ultimi luoghi è Grosseto dove appunto Koch ha fatto le sue osservazioni. Nel colmo della stagione malarica in 49 abitazioni malariche della città di Grosseto, l'A. claviger, non ostante le più accurate ricerche, è stato trovato dalla spedizione Koch 8 volte e anche soltanto in pochi esemplari, nessuno dei quali era infetto. Perciò secondo Koch nella città di Grosseto regnerebbe la malaria senza un'adeguata quantità di Anofeli: ovvero, con altre parole, gli Anofeli non basterebbero a spiegare tutti i casi di malaria di Grosseto. — 207 — A questo riguardo mi permetto di riferire in esteso la risposta da me fatta alla gravissima obiezione di Koch già nel 1899. Mi recai a Grosseto il 24 settembre e vi restai fino al 4 ottobre. Le mie osser- vazioni furono da me riassunte presso a poco come segue (34 e 35): « Nella città di Grosseto in generale si trovano non numerosi A. claviger e abbondanti €. pipierns. In complesso gli Anofeli preferiscono la periferia della città e le abitazioni vicine a giardinetti, orticelli, cortili con pozzi ece.. In qualche casa, dove degevano individui malarici, o dove c'erano stati casi di malaria, non riscontrai Anofeli alla prima visita: ne trovai quasi sempre qualcheduno nelle visite successive, specialmente quando si fecero le ricerche molto accuratamente. In generale, vicino alle abitazioni in cui c'erano o c'erano stati casi di malaria verosimilmente autoctona, trovai acqua contenente larve in varî stadî e ninfe di A. claviger, alle volte anche numerose. Citerò alcuni luoghi dove si trovavano questi focolai di Anofeli: il magazzino Sellari in via Mazzini per la casa demaniale in via Bertani; la troniera Molino a vento e il cortile annesso alla casa Scotti, per la casa Scotti, via Mazzini n. 41; l'orto annesso a casa Ferri per la stessa casa Ferri, corso Carlo Alberto n. 11; l'orto dell'Ospedale della Misericordia, per l'Ospedale stesso ecc. Nelle stalle vicine alle case, in cui si era verosimilmente sviluppata la malaria, ho trovato costante- mente più o meno abbondanti A. elaviger, qualche A. pseudopictus e qualche A. bifurcatus. Avendo comunicato questi risultati, contraddicenti quelli di Koch al dott. Pizzetti, ufficiale sanitario che era stato ed è a disposizione di Koch, ne ebbi per risposta che in realtà da qualche tempo gli Anofeli si trovavano da per tutto, mentre invece mancavano quasi da per tutto quando Koch si trovava in Italia. « Non potendo ciò ammettere io cercai di spiegarmi come fossero sfuggiti a Koch. Visitai perciò la passeggiata lungo le mura di Grosseto e più particolar- mente le troniere e vi trovai nascosti negli arboscelli un certo numero di A. ela- viger. Il 27 settembre, alla stazione ferroviaria, verso le ore 18, sotto gli Zuca- lyptus, in pochi minuti vennero a pungerci, oltre a molti Cu/ex, tre A. difurcatus e un claviger. « Questi fatti voglionsi collegare colle abitudini estive dei Grossetani, i quali, invece di tapparsi in casa, come si usa in certi paesi malarici, al tramonto sino a notte avanzata se la spassano vicino alle loro case, gironzando qua e là lungo il Corso illuminato da luce elettrica, nel viale verso la stazione, sulla piazzetta fuori di Porta Vecchia ecc. Vi sono qua e là delle panchette ove essi siedono riposandosi a lungo. Se ora si richiama che gli Anofeli pungono specialmente al tramonto e nelle prime ore della sera, ognuno capisce che difficilmente si troveranno nelle camere dove Koch, a quanto sembra, pretendeva di trovarli a preferenza. Perchè dovrebbero entrare nelle camere, se pungono fuori di esse e se non pochi Grossetani fanno il possi- bile perchè non vi entrino? Che in queste camere cerchino di rifugiarsi i C. pipiens non fa meraviglia perchè essi sono essenzialmente notturni e spesso per pungerci aspet- tano che siamo coricati: aggiungasi che molti nascono nelle stesse abitazioni di Gros- seto, sopratutto dalle fogne, e che sono molto numerosi. Anche una certa quantità di A. claviger, dove essi sono numerosi, come lo sono a Grosseto i C. pipiens, arriva- sempre a penetrare nelle camere. u 0A « Gli Anofeli, che produssero i casi di malaria a Grosseto quando vi soggiornava Koch, dopo di aver punto, probabilmente si riparavano dovunque: nelle stalle, negli orticelli, nei giardinetti, nelle troniere, negli arboscelli delle mura, in angoli remoti i più svariati ecc. « Del resto, le ricerche negative di Koch possono essere anche in parte spiegate colla circostanza che gli Anofeli dopo di aver prodotto l'infezione malarica fossero fuorusciti dalle abitazioni per depositar le uova. Infatti in un casello vicino a Mac- carese, in agosto, gli Anofeli erano abbondantissimi; essi diventarono molto scarsi fino a mancare nella prima metà di settembre e infine tornarono ad essere abbondantissimi nella seconda metà di settembre. « Anche ammesso dunque che la spedizione Koch abbia cercato gli Aropheles con tutta l'accuratezza, resta per me inaccettabile la conclusione di Koch che a Grosseto essi non bastino a spiegare i casi di malaria che vi si verificano. È doloroso che Koch non abbia pubblicata la sua conclusione prima del 15 di settembre; altrimenti sarei intervenuto prima e avrei spiegato con tutti i particolari deside- rabili l'equivoco. Invece di limitarsi a cercare nelle case e a mettere delle lam- pade con trappole per prendere le zanzare, egli avrebbe dovuto, nelle giornate in cui l’aria è perfettamente tranquilla, sedersi al tramonto e nelle ore successive davanti alle case, in vicinanza della Stazione ecc., raccogliendo tutte le zanzare che venivano a pungere. Così avrebbe potuto formarsi un'idea della frequenza degli Anofeli. Nes- suno vide mai Koch od altri a fare questo lavoro, che dalle mie precedenti pub- blicazioni risultava necessario, anche perchè gli A. pseudopictus e bifurcatus soltanto eccezionalmente si fermano nelle abitazioni. « Che del resto, in certi luoghi mediocremente malarici come Grosseto, gli An0- pheles siano scarsi, l'ho segnalato io pure, prima che conoscessi le pubblicazioni di Koch. In questi luoghi può darsi che non si trovi neppur un €. pipiens. Cito per esempio Magliana e alcuni caselli tra s. Paolo e Magliana nel settembre e in principio di ottobre del corrente anno. Sono questi i famosi luoghi, dove chi os- serva superficialmente dice che c'è malaria senza zanzare. « Koch nelle sue ricerche ha dato troppo poca importanza a ciò che la pratica ha insegnato da molti secoli; non ha tenuto nel debito calcolo soprattutto le due seguenti circostanze : 1°. In generale è più facile prendere la malaria, passando la serata all’ aperto che chiudendosi in casa. 2°. La malaria diventa tanto più intensa quanto più ci avviciniamo al padule. Perciò nella città di Grosseto predominano i C. pipiers e sono piuttosto scarsi gli Anopheles: cresce alquanto il numero degli Aropheles nelle vicine fattorie della tenuta Ricasoli; al Deposito dei cavalli, nelle vicinanze dell'infermeria e della farmacia, i C. pipiens sono già relativamante scarsi e abbondanti gli Amopheles ; infine nelle vicinanze del padule i €. pipiens sono quasi mancanti e sovrabbondano gli Anopheles anche nelle abitazioni, per esempio, alla casina Cernaia. Questa esatta proporzione tra la intensità della malaria e la quantità degli Anofeli deve essere sfuggita al Koch, il quale, per quanto si può giudicare dalla sua breve relazione, avrebbe ritenuto la malaria di Grosseto molto più grave di quello che sia in realtà — 209 — e avrebbe considerato come forme primitive molti casì di recidive. Un criterio che serve per giudicare della gravità della malaria in un dato luogo è l'infettarsi di molti individui già nel primo anno che vi soggiornano. Orbene a Grosseto sembra che ciò accada piuttosto raramente; per esempio non si è verificato per nessuna delle nove suore che attualmente si trovano a quell’Ospedale. Invece, se veramente il C. pipiens propagasse la malaria, Grosseto dovrebbe essere un centro gravissimamente malarico, quale in realtà non è ». A questa mia pubblicazione seguirono due pubblicazioni di Gosio (20) e di Testi (85). Essi riferiscono le loro ricerche sulle zanzare raccolte a Grosseto nell'agosto e nel settembre 1900. Gli Aropheles nelle case di Grosseto sarebbero mancati total- mente dal 14 agosto al 10 settembre e dal 28 settembre al 21 ottobre: invece vi sarebbero stati dal 10 al 27 settembre, però in piccolissimo numero. Infatti se ne raccolsero soltanto undici; questo numero così piccolo dimostra che le ricerche non erano condotte con sufficiente accuratezza. Io non so spiegarmi come i ricercatori di Gosio non si accorgessero della grande abbondanza degli Anofeli nelle case immedia- tamente fuori di Porta Vecchia, fatto del quale non feci cenno nella mia precedente pubblicazione perchè ritenevo che queste case non venissero comprese dalla spedi- zione tedesca nel computo della malaria cittadina di Grosseto. Gosio a proposito dei suddetti dati riguardanti le suore di (Grosseto aggiunge una rettifica che ora in seguito a spiegazioni da lui stesso gentilmente fornitemi, per me è risultata infondata. Credo perciò inutile riferire qui minuziosamente nomi e date. Devo invece insistere molto sulla questione delle recidive perchè il lavoro di Gosio mi ha persuaso che veramente la spedizione tedesca ha preso per forme primitive molti casi di recidive (vedi Cap. VI). Prima di entrare in qualunque discussione occorre consultare i quadri e i dati statistici che illustrano il lavoro dello stesso Gosio. Purtroppo nel terzo quadro (pag. 23) nel quale sono indicati i casi di recidiva e quelli primitivi mancano i dati dal 23 giugno al 31 luglio. Per fortuna a pag. 8 si legge che nelle prime cinque settimane dopo il 28 giugno, ossia presso a poco nel suddetto intervallo dal 28 giugno al 31 luglio, si esaminarono 223 casì di cui 17 soltanto erano recidivi, ma anche quest’ indicazione è incompleta perchè non si tien conto separatamente delle recidive di terzana e delle recidive di estivo-autunnali. Ciononostante siccome risulta dal secondo quadro (pag. 22) che di 211 casi verificati dal 20 giugno al 31 luglio, 62 furono di terzana e 149 di estivo-autunnali (20 di estivo-autunnali dal 20 giugno al 30 giugno, 51 dal 1° al 10 luglio ecc.), si può conchiudere che dal 20 giugno al 81 luglio sì ebbe, secondo la spedizione tedesca, un grandissimo numero di febbri estivo-autunnali primitive. Questi dati contrastano grandemente con quelli esposti nel primo quadro (pag. 22) dai quali risulta che dal 24 aprile al 22 giugno si verificarono soltanto tre febbri estivo-autunnali (dal 24 aprile al 3 maggio due, dal 3 al 12 giugno uno). Se le cose stessero veramente nei termini qui riportati si dovrebbe ammettere un subitaneo scoppio grave di febbri estivo-autunnali primitive alla fine di giugno e al principio 27 —. ib di luglio ciò che riescirebbe inesplicabile perchè agli Azopheles sarebbe mancato il modo d'infettarsi e quindi la possibilità d'infettare l’uomo. Il fenomeno, invece, non presenterebbe più nulla di strano se si ammettesse che, come io ritengo, un gran numero di febbri estivo-autunnali verificatesi dopo il 20 giugno, siano stati casi di recidive invece che d'infezione primitiva. Per definire possibilmente se debba accettarsi il mio modo di vedere o quello di Koch e Gosio, occorre esaminare i eriterî sui quali questi due autori basarono il loro giudizio di infezione nuova. Nel lavoro di Gosio, a pag. 37, si legge in proposito quanto segue: « Studiando invece le recidive in località infetta, urtiamo, per lo più, contro lo scoglio della difficoltà di discernere se trattasi di vera recidiva o non piuttosto di una muova én- fezione. In singoli casi, il dubbio è facile a togliersi, per la differenza del reperto (ad es. un infermo già guarito di terzana, che sì ripresenta coi parassiti di un estivo autunnale o viceversa....); negli altri casi, a stretto rigore, non sarebbe possibile conchiudere, se non in via di probabilità. Cotali incertezze, per altro, non hanno nel nostro caso, che un'importanza teoretica e trovano conveniente riparo: 1° perchè le deduzioni emergono da un gran numero di osservazioni; 2° perchè si computarono come recidivi soltanto i casi, in cui l’accesso, supposto recidivale, fosse avvenuto entro cinque mesi dalla pregressa guarigione; 3° perchè di fronte ai casi curati ne stavano moltissimi lasciati a sè, e che, perciò fungevano da opportuni controlli. Si tratta, insomma, di leggi a base di grandi numeri e di molti confronti, come si esige per un'applicazione pratica ». A vero dire, gli argomenti di Gosio mi sembrano affatto insufficienti per le se- guenti ragioni: 1° Leggi a base di grandi numeri e di molti confronti possono essere pros- sime al vero, ma anche grandemente erronee, a seconda dei casi. 2° È accertato che le recidive possono avvenire anche dopo cinque mesi: si dànno inoltre, specialmente di primavera recidive lievissime che cessano senza cura e facilmente vengono dimenticate dai pazienti che perciò in buona fede ci ingannano. 3° La differenza del reperto non conchiude, potendo un individuo avere un’ in- fezione mista e a intervalli presentare il reperto di forme diverse. Nella prima edizione della presente opera ho aggiunto altre ricerche fatte a Grosseto nei mesi di ottobre e novembre 1899 e confermanti quelle già sopra esposte. Nei detti due mesi ebbi Anophe/es, sebbene in piccol numero, provenienti da varie case di Grosseto dove degevano dei malarici. Come in molti altri luoghi malarici, in novembre non si trovarono più le larve di 4. claviger. Benchè i Culea pipiens continuassero a pungere in certo numero, cominciando dalla fine di settembre, per quanto ho potuto appurare, nella città di Grosseto non si verificarono più casi primitivi di infezione malarica, mentre invece fuori della città, al Deposito dei cavalli per es., tutti e tre gli individui componenti una famiglia tornati dall'estatazione (fatta sui monti nativi dell'Abruzzo), dopo il solito periodo d’incubazione, caddero preda della malaria: si noti che in questa località gli Aropheles erano numerosi mentre vi si trovavano in minima quantità i Culez. — 211 — Nel 1900 ripresi le mie ricerche a Grosseto fin dal mese di maggio. Nel mese di maggio non è riuscito ai miei impiegati di trovare Anofeli nella città di Grosseto, eccetto che nella stazione ferroviaria fuori di Porta Nuova e nelle case fuori di Porta Vecchia; in queste ultime essi erano molto abbondanti, special- mente alla fine del mese. Le stesse condizioni sì mantennero ai primi di giugno; all'11, per la prima volta, trovammo una discreta quantità di Anofeli in svariate parti della città, cioè nell'ufficio daziario di Porta Vecchia, nelle case di piazza del Mercato, di via Mazzini, di piazza Vittorio Emanuele, della parte di via Aurelio Saffi vicina alla via Andrea Bruto, di via Andrea Bruto, di piazza dell’ Indipendenza, di via Ginori, di via Fanti, ecc. In complesso si trovarono Anofeli più specialmente in tutte quelle case in cui l’anno prima Koch aveva riscontrato casi di malaria cit- tadina di prima infezione, sì che la carta dei casi di malaria redatta da Gosio sotto la guida di Koch, corrispendeva quasi perfettamente a quella della distribuzione degli Anofeli da noi redatta, eccetto per la Fortezza, dove gli Anofeli mancavano. Gli Ano- feli si trovavano sopratutto abbondanti in quel luogo dove Koch aveva riscontrato l'anno scorso il primo caso di malaria cittadina di prima infezione, cioè in via Andrea Bruto, nonchè nei ripostigli della troniera vicina a questa via. Nei giorni successivi andarono man mano diffondendosi nelle varie parti della città; il 9 luglio erano pervenuti anche nella Fortezza, dove Koch non trovò casi di malaria che tardivamente. Si mantennero assenti e molto scarsi presso a poco soltanto in quella parte di Grosseto, dove Koch non riscontrò che rarissimi casi di malaria. Le ricerche fatte nelle case, nelle quali indiscutibilmente si svilupparono casi nuovi di malaria nel 1900, diedero sempre risultati positivi, tanto che in poco tempo si raccoglievano 20 o 30 Anofeli. Gli Anofeli si conservarono relativamente abbondanti in Grosseto per tutto il mese di agosto e nella prima metà di settembre. Questi fatti confermano quanto avevo già dichiarato molto verosimile l’anno precedente, che, cioè anche a (Grosseto alle febbri malariche si associano come ovunque gli Azopheles. Quanto al perchè nel- l'anno scorso la spedizione non ne abbia trovati che pochissimi posso completare la spiegazione fornita antecedentemente e sopra riportata. Tutt'al più si può ritenere che nel 1899 gli Anofeli in Grosseto si trovas- sero in minore quantità, essendo stati anche i casì di malaria meno numerosi che nel 1900. Certamente però gli Anofeli non erano sempre in numero scarsissimo, come pretendeva la spedizione Koch, e l’averne rinvenuti solo pochissimi in parte devesi attribuire alla poca pratica nella ricerca, e in parte non piccola al luogo in cui la ricerca era fatta. Infatti, a quanto sembra, si cercavano poco nei luoghi dove sì na- scondono a gran preferenza cioè nelle stalle, negli entroni delle case e in complesso a pianterreno. Non sì rinvengono che rari, o scarsi e talvolta mancano del tutto nelle camere perchè, come dissi già l’anno scorso, a cagione della noia che recano, gli abitanti hanno gran cura di tenerli lontani, e se ne veggon qualcuno entrato per caso, tosto lo discacciano con speciali spazzole e lo uccidono con appositi ordigni; nelle camere q — 212 — dove queste cautele non si usano, p. es. in quelle abitate da famiglie nuove alle Maremme, si trovano facilmente gli Anofeli. Di sera, nelle stanze dove si cena entrano gli Anofeli dalle finestre aperte, ma dopo aver punto, non trovando angoli oscuri per annidarsi, di regola ritornano fuori. A Grosseto, come si verifica anche altrove, gli Anofeli sono più numerosi al pian terreno, al primo piano sono già più scarsi, ai piani superiori si riscontrano piuttosto raramente. Sta anche il fatto che gli abitanti del pian terreno e del primo piano sono più soggetti alla malaria di quelli dei piani superiori. Ho verificato de visu che gli abitanti dei piani superiori molte volte vengono punti di sera, mentre scendono sulla porta per godere il fresco. Certamente gli Anofeli, si potrebbero innalzare anche ai piani superiori delle case: a pian terreno però incontrano, a mio avviso, migliori condizioni di vita. Nelle stalle si trovano in abbondanza le ragnatele che costituiscono il loro appoggio predi- letto; di giorno le stalle, per lo più vuote e gli entroni offrono agli Anofeli un am- biente meno secco e più oscuro di quello dei piani superiori. Occorre inoltre far rilevare come il risultato negativo avuto dalla spedizione Koch, ispezionando le case al primo annunzio di qualche caso nuovo di malaria non abbia valore speciale perchè non è affatto giusta la credenza di molti che gli Ano- feli, dopo aver punto, si fermino sul luogo, almeno fino a quando le uova sono ma- ture. Soltanto a stagione inoltrata, quando la temperatura è più bassa, e l’iberna- mento si può dire cominciato, gli Anofeli restano fissi nei locali dove pungono; nei mesi caldi, invece, mutano facilmente. Questo fatto spiega come i casi di malaria in Grosseto siano spesse volte sal- tuarî nelle più differenti case. Se in certe abitazioni si verificano molti più casi che in altre in generale è duopo ammettere che esse, per la loro posizione, siano più facilmente raggiungibili dagli Anofeli e offrano loro miglior ricetto. L’aver trovato poi, come ha fatto la spedizione Koch, molti casi di una stessa specie di parassiti malarici in una data abitazione, può essere un fenomeno fortuito. Ritornando sulla quantità degli Anofeli riscontrabili nella città di Grosseto, ai piccoli focolai di sviluppo degli Anofeli nei varî orti dentro la città, e nelle troniere lungo le mura, di cui ho parlato l’anno scorso, debbonsi aggiungere gli sgrondi che si riscontrano negli orti immediatamente adiacenti alle mura, e sopratutto il Canale di abbeveraggio poco fuori di Porta vecchia, il quale costituisce il più ampio e perciò il più pericoloso focolaio di Anofeli per la città di Grosseto. Gli Anofeli della città di Grosseto non provengono quindi soltanto da abitazione foveale (come io ritenevo l'anno scorso), ma anche da abitazione prettamente palustre. Si deve inoltre am- mettere con molta verosimiglianza che in parte provengano anche dalle paludi che si trovano non lontane dalla città. Un quesito che io ripetutamento mi proposi riguarda la via tenuta dagli Ano- feli per entrare in città. È noto che la città di Grosseto ha figura esagonale, ed è circondata da alte mura che presentano soltanto due porte d’entrata, opposte l'una all'altra. Certa- — 213 — mente molti Anofeli possono entrare da queste due porte, ma una gran quantità entra senza dubbio sorpassando le mura. Tornando all'ipotesi di Koch, ancora recentemente da lui sostenuta, che il caso di Grosseto richiegga per spiegare la malaria oltre all'intervento degli Amopheles anche quello dei Cu/ex, io devo dichiarare che questa ipotesi è infondata (?). * x Recentemente Schwalbe ha riunito insieme tutto quello che venne scritto finora sulla pretesa mancanza o scarsità di mosguitos in differenti regioni malariche. Pur troppo si tratta per lo più di osservazioni staccate, isolate, non precise e esposte sommariamente, sicchè mal si prestano ad una minuta disanima. Mi limiterò perciò ad accennarle facendole seguire da brevi osservazioni dirette a provare che i fatti opposti alla dottrina degli Aropheles sono suscettibili di una spiegazione conforme a questa. Schwalbe cita prima di tutto Federico Plehn secondo il quale a Kamerun i mosquitos dànno tanto poco disturbo che egli non ha mai avuto bisogno di zanzariera. È verosimile che a Kamerun vi siano poche zanzare e che esse siano tutte o quasi del gen. Aropheles, scriveva io nella prima edizione del precedente lavoro. Più tardi Ziemann (89) comunicò che a Kamerun si trovano non meno di 13 specie di Mosquitos appartenenti ai gen. Culex e Anopheles. ll dott. Johnson ha raccontato a Schwalbe che in una stazione di missionari a circa 75 miglia inglesi da Kamerun e posta in montagna, non vi sono mosquztos e invece si verificano moltissimi casi di malaria nei negri. Osservo a questo riguardo che probabilmente i negri s' infettano di malaria lavo- rando al piano, od altrove. Anche Bannerman raccontò a Schwalbe di una stazione del Congo francese (Foula bi Foum Angom) dove la malaria è terribile, ma non ci sono mosquztos, avendoli distrutti interamente una sorta di libellula. Oppongo io: probabilmente questa libellula non li avrà distrutti tutti! Duggan osserva che alla costa occidentale dell’Africa i mosquitos sono rari e durano pochissimo tempo. Schwalbe cita anche Thin: questi nel 1895 comunicò che a Sierra Leone la febbre malarica è terribile mentre i mosquztos sono pochi. Io credo, conchiude Schwalbe, che questi dati siano sufficienti per dimostrare che in luoghi i quali sono in fama di terribilmente infetti di malaria, come, ad esempio, la costa occidentale dell’Africa, i mosquitos non possono essere i propagatori della malaria. Fortunatamente proprio mentre Schwalbe scriveva il suo opuscolo, la missione inglese presieduta da Ross dimostrava che a Sierra Leone vi sono gli Anopheles in sufficiente quantità per render conto della malaria che vi domina! Dodd, citato da Schwalbe, serisse che a Talas nell'Asia Minore c' è malaria e non mosquitos. Dopo quanto ho or ora riferito, questo preteso fatto, per ora non control- labile, non può certamente pesare sulla bilancia! (4) [Recentissimamente anche Koch ha ammesso che la malaria umana viene propagata esclu- sivamente dagli Aropheles]. — 214 — Il Dottor Taylor curò in Sag Harbor una donna di 82 anni, che da 4 anni non aveva abbandonato la casa, eppure era affetta di malaria, coi parassiti nel sangue; ciò nel cuore dell'inverno; subito dopo si ammalò la figlia della stessa malattia. La malattia potè venir guarita soltanto coll’ allontanare dalle camere certi vasi con piante. In un'altra casa si ammalò un fanciullo che ugualmente guarì allontanando i vasi con piante. Lo stesso dottore esaminò in quattro differenti luoghi non paludosi il sangue di giardinieri che avevano serre, riscontrandovi il parassita della malaria. Questi non erano malati, ma non erano mai stati bene del tutto; il chinino in grande quantità migliorò la loro salute. In tutti questi casi, scrive Schwalbe, non poteva parlarsi di mosquitos. Molte osservazioni si possono fare sui fatti riportati da Taylor: le piante ser- vono di nascondiglio agli Anofeli; nelle serre calde certamente essi possono essere infetti anche d'inverno. Nei giardini si trovano spesso vasche che sono piccoli focolai di Anopheles. Schwalbe cita anche Schimmer il quale in Griinberg trovò i minatori infetti di malaria, mentre gli altri individui ne erano esenti. Anche questo fenomeno dovrebbe essere meglio studiato: d’altra parte mi è noto che gli Aropheles hanno l'abitudine di ripararsi nelle grotte e nelle gallerie delle miniere dove la temperatura può mantenersi relativamente elevata ecc. Schwalbe cita anche un fatto di Simon. A bordo di un bastimento da guerra in alto mare, scoppiò un'epidemia di malaria; i marinai da lungo tempo non erano stati su terra ferma. Una visita dimostrò la presenza di fango in un punto del ba- stimento vicino al quale dormivano i marinai. L'epidemia scoppiò dopo che si ebbe occasione di riscaldare uno spazio vicino al fango, il quale perciò ebbe a subire un elevamento di temperatura. Ai mosquitos, dice Schwalbe, qui non si può pensare. Osservo io invece che se per caso gli Anopheles si fossero riparati sul bastimento quando esso era vicino a terra, molto probabilmente avrebbero potuto moltiplicarsi in qualche pozzanghera in mezzo al fango. Manca inoltre la sicurezza che sì trattasse veramente di malaria ecc. Recentemente ho appreso che furono trovate zanzare a bordo di un bastimento, che da settimane si era allontanato da terra. Hirsch ha raccolto, secondo Schwalbe, altri casi di malaria scoppiati su basti- menti, casi che ugualmente depongono contro i mosquztos. Anche a quest'ultimo punto, del resto appena accennato da Schwalbe, si può rispondere colle considerazioni precedenti. Schwalbe cita anche il fatto che il dormire 1-2-3 metri sopra il suolo protegge moltissimo dalla malaria. Nei luoghi malarici più svariati io però ho potuto con- statare che queste piccole altezze non giovano punto. Schwalbe parla pure di movimenti del suolo, che produrrebbero malaria senza che si formino paludi, le quali possano servire allo sviluppo dei mosquitos. L'asserzione di Schwalbe è facile; io, però, desidererei che la dimostrasse. Nei movimenti di terreno che diedero luogo allo sviluppo di malaria, per quanto risulta dalle notizie da me raccolte, si formarono sempre degli impaludamenti, sebbene talora piccolissimi. Di regola non può accadere diversamente in un terreno ricco = die = d'acqua più o meno superficiale, come è in genere quello malarico (vedi del resto il $ 5 di questo Capitolo). Schwalbe accenna anche al suolo completamente coperto di acqua che disseccato diventò fonte di malaria; così i pol/ders in Olanda vennero spesse volte formati nell'estate, ma si svilupparono tali epidemie malariche che si dovette inondare di nuovo la località, ottenendo per effetto la cessazione della febbre (Sebastian: 1815). Perciò, esclama Schwalbe, quando c'era acqua che favoriva lo sviluppo dei mosquztos, non c'era febbre! Orbene, i grandi bacini d’acqua senza alcuna vegetazione superficiale sono sfavo- revoli allo sviluppo degli Anofeli, da ciò la salubrità di molte località nei dintorni dei laghi, per es. del nord d'Italia. Forse le acque della località dove si erano for- mati i polders, erano come quelle dei nostri laghi lombardi. Per effetto del suddetto prosciugamento saranno restati dei piccoli acquitrini, nei quali favoriti dalla vegeta- zione palustre rigogliosa, gli Aropheles avranno potuto prosperare. Fors' anche lavo- rarono al prosciugamento alcuni operai già infetti di malaria, e questi diedero luogo al diffondersi della malattia, per mezzo degli Anofeli. In Costarica nell'alta valle di San José, Schwalbe non osservò mosquitos ma molti casi di malaria, anche in fanciulli che non avevano abbandonato la detta località. Tutti questi fatti, dopo quanto ho sopra esposto, perdono moltissimo del loro valore; io sono persuaso che, riveduti da persone che conoscano i nuovi studî, potrebbero facilmente spiegarsi, senza sollevare alcun dubbio contro la teoria dei mosquztos. Il fatto di Sierra Leone, sopra esposto, giustifica pienamente questa mia presunzione. To ho trovato un altro oppositore in Alberto Plehn. Egli cita la stazione Iossplatte dove le zanzare sono scarsissime e la malaria è gravissima; aggiunge che a Kribi devono mancare interamente. Queste osservazioni si riferiscono ancora all'Africa occidentale e vale per esse quanto ho detto precedentemente (°). 2. Malaria propagata coll’acqua? Secondo alcuni la malaria si potrebbe propagare anche per mezzo dell’acqua. Si citano a proposito molte autorità e molti fatti. Ha trovato favore presso molti il fatto riferito da Boudin (1848). Questo rino- mato epidemiologista francese descrisse minutamente una epidemia malarica scop- piata sopra una nave da guerra, e prodotta apparentemente dall'acqua bevuta. Il fatto di Boudin per fortuna è stato vagliato dai più eminenti studiosi di malaria; ed essi conclusero col ritenere che l'osservazione di Boudin non è provativa, so- pratutto perchè non si può escludere che i soldati avessero potuto infettarsi prima di imbarcarsi sulla nave e non si può dimostrare che si trattasse veramente di malaria. (4) Nel secondo rapporto della Spedizione Koch per la malaria, si leggono altri fatti a confu- tazione della supposta esistenza di luoghi malarici senza zanzare. — 216 — Bisogna tener presente che se la malaria sui bastimenti potesse venire propa- gata dall'acqua, casi simili si sarebbero verificati moltissime volte e oramai non ci sarebbe più nessun dubbio in proposito. Ugualmente dubbia è quell'epidemia di malaria che si sarebbe osservata a Ver- sailles in un reggimento di cavalleria che aveva bevuto acqua palustre. Le società ferroviarie Italiane fecero gravi sacrifici per fornire aì loro impiegati delle zone malariche buona acqua potabile costantemente e in una certa quantità, trasportandovela da luoghi non malarici. Non ebbero però il piacere di riscontrare in alcun caso una sensibile diminuzione dei casi di febbre malarica (Blessich ecc). Si po- trebbe, è vero, osservare che la maggior parte degli impiegati delle zone malariche per gli usi domestici adoprano l’acqua del luogo e quindi pur non bevendola, indiret- tamente ne introducono nello stomaco una certa quantità; sì può andare oltre e osser- vare che in realtà la malaria sulle linee ferroviarie è in diminuzione; ma questa dimi- nuzione, che si verifica dappertutto si deve spiegare col largo uso della chinina che oggi riconosciamo essere non soltanto un mezzo curativo ma anche un mezzo preven- tivo e colla circostanza che molti acquitrini e stagni vicini alle ferrovie vennero a poco a poco soppressi con grande vantaggio degli impiegati ferroviari. Se qualcuno serba ancora nell'animo un po’ d'incertezza, ricordi il seguente fatto citato da Celli: « Lungo la linea ferroviaria Roma-Tivoli, la quale con quella di Civi- tavecchia gode nel Lazio il triste primato della malaria, ad ogni casello ferroviario fu portata, con una conduttura speciale, una fonte perenne d’acqua Marcia, nella speranza che con un'acqua così buona sarebbero scomparse le febbri. Ma invece l'estate scorso del personale ferroviario ammalarono tutti, salvo tre, i quali rimasero immuni, per la loro speciale resistenza individuale ». Altro fatto interessante è il seguente. Nel grande reclusorio di Castiadas in Sar- degna l'acqua potabile è ottima, eppure la malaria vi infierisce! Furono eseguite anche esperienze su larga scala, facendo ingerire acque di luoghi malarici ad uomini di luoghi sani. Così Celli, Brancaleone, Zeri e Salomone Marino dimostrarono che con l’ingestione di acqua paludosa non si prende mai la febbre malarica. Alle stesse conclusioni giunsero fuori d' Italia ì medici forestieri. All'isola di S. Tom- maso (Guinea), si ha ottima acqua potabile e gravissima malaria. L'acqua del Nilo nonostante che il fiume provenga da luoghi terribilmente malarici non produce punto malaria nelle regioni del deserto che attraversa. Nella città di New-York negli anni 1865, 66, 67 v'erano parti sane e parti malariche, nonostante che l’acqua potabile fosse comune a tutta la città ecc. (Schwalbe). Alla costa occidentale dell’Africa ì bianchi bevono o acqua minerale importata o acqua piovana bollita, ciononostante si ammalano spesso di malaria. Alla stessa costa occidentale dell’Africa si è notato lo sviluppo della malaria in molte persone, che non avendo abbandonato mai il loro bastimento, avevano bevuto soltanto l’acqua della quale questo era provvisto. In tale caso la malaria dovevasi ascrivere alla circostanza che il bastimento si era troppo avvicinato alla costa (F. Plehn). Norton ha dimostrato che in molte fortezze americane, in cui la malaria è ende- mica, non si ottenne nessun vantaggio coll’ introduzione di acqua potabile buona. — 217 — Restano a favore dell'acqua gli esperimenti di Ross: ma oggi lo stesso Ross non mostra più di aver fede in essi! Potrei continuare a esporre una serie lunghissima di fatti, se non temessi di annoiare il lettore. Dirò soltanto che anche l'acqua dei luoghi malarici, come pure la rugiada (raccolta con palloni di vetro pieni di ghiaccio), amministrate per le vie digerenti, si sono mostrate incapaci di propagare la malaria. Che però nei luoghi malarici tutti siano persuasi che l’uso di acqua non buona, sia fomite di malaria, è un fatto innegabile, ed io, per quanto non abbia avuto tempo di raccogliere una serie lunga di fatti, credo di appormi al vero spiegandomi questa persuasione colla circostanza che nei malarici l'acqua di cattiva qualità, producendo disturbi intestinali, occasiona molti casi di recidiva. Soltanto così posso rendermi conto di una serie di osservazioni fatte anche da medici degni di fede. Rac- comando perciò ai clinici l’ ulteriore svolgimento di questo interessante problema. Dietro mia preghiera il dott. Occhiuzzi ha studiato i casi, in cui le febbri mala- riche sarebbero diminuite, in seguito al cambiamento dell’acqua potabile. Gli è risul- tato che veramente vi sono dei luoghi in cui la malaria si è sensibilmente attenuata dopo l'introduzione di buona acqua, però è da rilevare che contemporaneamente nella piana, ove i contadini si recavano a lavorare, fu introdotto l'uso di macchine agricole, che hanno abbreviato di molto i lavori della campagna. Si aggiunga che in questa piana la malaria è andata diventando meno frequente anche per opere di bonifica. Le prove sperimentali riportate più sopra per dimostrare che la malaria non può avere per veicolo l’acqua potabile, sono, dirò così, grossolane ed empiriche: esse vengono confortate molto dalle seguenti ricerche da me compiute seguendo il nuovo indirizzo. I parassiti malarici, in qualunque stadio si trovino, sia nel corpo dell’ uomo, sia nel corpo dell’Aropheles, appena messi nell'acqua prontamente si alterano e muoiono. L' osservazione venne da me fatta e ripetuta le cento volte. Ciò del resto era già ammissibile @ prz0rz, vista la struttura dei parassiti in discorso, la man- canza di una propria cisti, la mancanza di vacuoli contrattili, ecc. I confronti z0o- logici con gli altri sporozoi forniscono un’ altra controprova, non essendovi alcuno sporozoo capace di vita libera senza essersi previamente incistato. Aggiungasi che anche la prova di mangiare Anofeli infetti fu da me fatta e ripetuta senza alcun risultato. Potrei con l'esposizione di tutti questi esperimenti riempire qualche pagina, ma sarebbe opera inutile. Dirò soltanto che specialmente colle così dette spore brune ho molto insistito nelle prove, ancorchè fossi persuaso che rappresentino fenomeni d' involuzione. 3. Acquazzoni malariferi? È ferma credenza di tutti i frequentatori de’ luoghi malarici che gli acquazzoni nella stagione malarica producano molti casi d' infezione. Quando d'estate il cielo si oscura in una zona malarica, la povera gente guarda le nubi con terrore dicendosi: se oggi piove, domani non basteranno i carri per condurci all’ ospedale! 28 Fi — 218 — In realtà, se si tien dietro, come io ebbi occasione di fare molte volte, nella scorsa stagione malarica, agli effetti degli acquazzoni, si constata che ben spesso si riversano sulle spalle dei poveri campagnoli torrenti d'acqua senza che s'ammalino di febbri palustri (°). Qualche volta, al contrario, dopo un acquazzone, in meno di 48 ore, parecchi individui cadono in preda delle febbri malariche. I medici pratici raccontano dei casi in cui numerosissimi individui, per es. quasi tutti gli operai d’ una tenuta, s'ammalarono in seguito a pioggie che li infradiciarono. Come si spiegano questi fatti? Mentre piove, gli Anofeli non pungono: che c'entrano dunque gli Anofeli? Evidentemente la pioggia può essere occasione dello sviluppo di una malaria latente, che forse senza la pioggia non si sarebbe sviluppata; molte volte poi essa può occasionare delle recidive. Nel mio inserviente, che non era mai stato malarico, la febbre si manifestò 24 ore dopo ch’ egli era stato sorpreso in aperta campagna malarica da un acquazzone; sta però il fatto che precedentemente era stato punto dagli Anofeli. Anche su me si ro- vesciò l’acquazzone; ma ic. non essendo stato precedentemente punto dagli Anofeli, me la cavai con un semplice raffreddore. Anche altri miei impiegati furono ripetu- tamente sorpresi in aperta campagna malarica da rovesci d'acqua senza che nes- suno andasse incontro alla malaria, contro la quale c' eravamo premuniti, non lascian- doci pungere dagli Anofeli. In breve si può dire che gli acquazzoni possono essere l'occasione di far svilup- pare la malaria che sia già in incubazione, ovvero, ciò che accade più frequente- mente, di far recidivare individui ancora malarici, benchè da tempo non febbricitanti. Perciò chi crede che gli acquazzoni siano malariferi ha confuso la causa con una occasione, o concausa che si voglia dire. Ciò che nel suddetto caso del mio inserviente ha fatto l'acquazzone, l'hanno fatto in altri i bagni freddi, l'abuso del ghiaccio ece. La clinica nè in questi casi, nè in alcun altro è in contraddizione colla dottrina degli Anofeli. Occorre soltanto che essa ricorra agli zoologi per aver la completa spiegazione dei fatti. A 4. Malaria per mezzo dell’aria? « La malaria sì propaga per mezzo dell'aria, come dice il nome. È l’aria cattiva (dicono gli abitanti dei luoghi malarici) son gli eftluvi delle paludi, la putrefazione delle piante palustri che producono la malaria. La malaria si sprigiona, dal terreno che, disseccandosi nei mesi estivi, si spacca! Volete conoscere la vera natura della ma- laria? Badate all'odore che d'estate manda la terra riarsa quando cadono quattro gocce di acqua: è un’esalazione speciale, foriera di numerose infezioni malariche! » Queste credenze sono così radicate nei luoghi malarici che, per quanto facciate e diciate, ve le sentite ripetere su tutti i toni senza la menoma esitanza. Esse rap- (4) Il dottor Dionisi ha fatto per suo conto simili osservazioni, ma molto più precise. — 219 — presentano la più grande difficoltà che noi incontreremo nel mettere in pratica la nuova dottrina. La più importante controsservazione che io possa fare a questa obiezione deriva dal fatto che i parassiti malarici in nessun momento della loro vita possono entrare nell’ aria atmosferica, se non come corpi morti. Il disseccamento produce infatti la morte dei parassiti malarici in qualunque stadio di sviluppo si trovino nel corpo dell'uomo o in quello dell’Anofele. Ho però fatto anche molte prove dirette. Nel 1898 io portai a Rovellasca luogo non malarico, una certa quantità di Aropheles pigliati a Locate Triulzi, luogo molto malarico, nell'epoca in cui la malattia ancora infieriva, e li lasciai liberi in camere da letto di individui sani. Quivi morirono, disseccarono e andarono in polvere senza che si avesse a lamentare alcun caso di malaria. L'esperimento venne da me ritentato nelle più svariate condizioni durante l’anno scorso e posso dire con sicurezza che gli Anofeli infetti, disseccati e polverizzati in un ambiente sano, non propagano la malaria. Ad ulteriore riprova citerò i seguenti fatti: Io e non meno di altre nove persone, in molte occasioni durante la stagione delle febbri (1898-99), ci esponemmo all'aria malarica senza che mai nessuno di noi si ammalasse, perchè evitavamo le punture degli Anofeli. Ciò che ci accadde a Francavilla-Angitola in Calabria l’ 11 settembre, è par- ticolarmente degno di considerazione. Nella Calabria la credenza che il dormire in certi luoghi malarici sia causa d'infezione domina tanto che, se, per esempio, vi addormentate di giorno in una stazione, chiunque si crede in dovere di destarvi, avver- tendovi del pericolo a cui andate incontro. Ciò nonostante, nel meriggio del suddetto giorno che era afoso e rannuvolato, io e due miei aiuti, non potendo resistere al sonno, dormimmo saporitamente per un paio d'ore al margine di quel piccolo pantano che si trova vicino alla linea ferroviaria, presso il fiume Angitola. Prima di addor- mentarci avevamo osservato che nel posto dove riposavamo (esposto alla luce e alquanto discosto da alcuni alberi) gli Aropheles non venivano a pungere, mentre invece annoiavano terribilmente i Culex penicillaris e malariae. Quando ci destammo, avevamo le tracce di numerosissime punture: per rassicurarci che fossero di Cu/ex, esaminammo una per una tutte le zanzare che avevamo catturato prima di addor- mentarci e non trovammo un sol Anofele tra circa 200 Cu/erx. Nessuno di noi si ammalò, nonostante che prima di ritornare alla stazione ci sorprendesse un'acqueru- giola che ci penetrò fino alle ossa, senza che potessimo aver l'occasione di mutarci gli abiti. Aggiungasi che, in assenza del capo stazione, non ci permisero di ripararci nella sala d’aspetto, lasciandoci così esposti alla pioggia quasi per mezz'ora. Un cacciatore che s'era soltanto bagnato aspettando, come noi, fuori della Stazione, con vero ter- rore pensava alla dimani, sicuro che la malaria l'avrebbe invaso, perchè Francavilla- Angitola negli annali della malaria gode una triste celebrità! Un altro esperimento era stato fatto da me nell’anno 1898: Una donna con tre bambini, appartenenti a famiglia che abita in parte a Rovellasca (paese non malarico) e in parte a Locate Triulzi (paese malarico), doveva per ragioni d'affari trasportarsi appunto da Rovellasca a Locate Triulzi. Cogliendo = = la bella occasione al balzo, proposi alla donna suddetta di preservar lei e i tre bam- bini dalle punture delle zanzare almeno fin dove era possibile. Essa si sottopose alle mie prescrizioni, che consistevano nel chiudersi co' suoi bambini nella camera da letto, ove accendevo parecchi zampironi, da poco prima del tramonto a qualche tempo dopo, ossia nelle ore in cui le zanzare pungono moltissimo. Prima e dopo non si usava alcuna cautela tranne quella di evitare possibilmente le punture delle zanzare, allontanan- dole quando si avvicinavano per pungere o riparando con un velo i bimbi quando dormivano, accendendo zampironi ecc. Non ostante tutte le attenzioni, non si è potuto però impedire che uno dei bam- bini ricevesse per lo meno 4 o 5 punture di Culex penicillaris. La prova durò 15 giorni, passati i quali la madre dovendo tornare a Rovellasca gentilmente acconsentì a ricondursi seco anche i bambini. La madre e due dei tre bimbi non s’infettarono di malaria; un bimbo, precisamente quello che ricevette le 4 o 5 punture, al nono giorno dopo che era tornato a Rovellasca, ebbe forse una leggera febbre, all’undicesimo giorno un accesso indiscutibilmente febbrile. Al dodicesimo giorno io esaminai il sangue del bimbo, ma il reperto riuscì negativo. Sarebbe stato interessante seguire ulteriormente questo caso, ma io ritenni mio dovere di ammini- strare ripetutamente il chinino, senza verificare ulteriormente la natura della febbre. Dovendo partire da Rovellasca per tornare a Roma, pregai di avvertirmi se la febbre fosse riapparsa; non avendo ricevuta notizia, credetti che non si fosse ripetuta come appunto pubblicai nella prima Nota ai Lincei. Più tardi seppi che la febbre in realtà era ritornata, ma seguìta da eruzione morbillosa, che pochi giorni dopo invase gli altri due bambini; ed essendo il morbillo evidentissimo, non si era creduto opportuno di avvertirmi. Il primo dei bambini non prese altro chinino; gli altri due non ne pre- sero affatto; tutt'e tre suarirono rapidamente. Evidentemente dunque si trattava di morbillo e non di malaria. La suddetta prova acquista importanza quando si pensi che al dodicesimo giorno della prova cadde affetto di febbre malarica un altro bambino della stessa famiglia, che sì trovava già a Locate, che quest'anno non aveva avuto febbre, ma che non si era sottoposto alla suddetta cura preventiva ed era perciò stato punto da molte zanzare palustri. La prova durò dal 27 agosto al 11 settembre. Circa dieci anni fa la stessa donna, presso a poco nella stessa epoca, era andata a Locate con altri quattro ragazzi; s'era fermata pressa poco 15 giorni tornando a Rovellasca coll’infezione malarica essa e tre dei quattro ragazzi! Molto importante è quest'altro esperimento. Dal giorno 3 all’11 agosto 1899, io e i coniugi Mancori coi loro 5 figli, abbiamo dormito impunemente al casello 35, il primo dopo la stazione di Maccarese per chi viene da Roma. Occupavamo due camere del piano superiore, quelle della parte del casello opposta alla stazione di Maccarese. Il giorno precedente all'esperimento avevo preso tutti gli Anofeli che si erano potuti trovare (circa una sessantina) nelle camere suddette; poscia in esse, tenendo chiuse le imposte, avevo acceso molto zolfo al momento di uscire. Passavamo la giornata in Roma; arrivavamo a questo casello alle ore 18 !/, circa e ripartivamo il mattino alle 71/, circa. La prima sera non avevamo messo una tenda nella camera, a cui corrispondeva — 221 — la porta del nostro appartamento, nè avevamo acceso zampironi prima d’ entrarvi. Forse per queste trascuranze, avendo bruciato dello zolfo, dopo che eravamo entrati nelle nostre camere vedemmo comparire sui vetri una trentina tra Cu/ex e Anopheles, che vennero uccisi. Alla sera del secondo giorno non trovammo più alcuna zanzara nella camera; tuttavia sul far del giorno seguente il Mancori sentì un ronzìo. Aven- domi avvertito alle ore 6 dopo minuziosissime ricerche, trovai 2 Aropheles pieni di sangue succhiato di recente. Esaminatili a Roma, fortunatamente constatai che non erano infetti. La notte seguente catturammo nelle nostre camere ancora due Azopheles rimpinzati di sangue e uno vuoto; nei giorni successivi non se ne trovarono più. È d’uopo aggiungere che dormimmo sempre colle finestre aperte, protette sol- tanto dalla rete metallica. L'esperimento fu di breve durata, ma ciò nonostante non ha piccolo valore quando si pensi che nella località dove fu fatto e nei dintorni, notoriamente, la sta- gione malarica era cominciata dalla metà di giugno e sì erano verificati molti casi, e molti altri si sarebbero verificati, se gli abitanti non fossero emigrati in gran parte in luoghi sani. In vicinanza al casello, contemporaneamente a noi si trovava una famiglia di spigaroli (padre, madre e due figli), che dormivano in una capanna. Restarono sul luogo circa 10 giorni; tornati a Roma si ammalarono tutti, almeno i due figli per infezione primitiva. Anche parecchi pagliaroli, che lavoravano vicino a noi, si ammalarono nei giorni in cui noi ci trovavamo al casello (infezione pri- mitiva?); uno però probabilmente si era prima infettato ad Ostia. La stessa famiglia Mancori passò altri dieci interi giorni nel mese di ottobre dentro il casello suddetto; soltanto il marito veniva di tanto in tanto a Roma. In quell'epoca la malaria era in diminuzione, ma ancor ben lungi dal cessare. Nessun individuo della famiglia in discorso si ammalò. Tutti questi fatti, riuniti assieme, hanno riconfermato in me la convinzione che la malaria non si può prendere con l’aria. Quest'anno ho fatto un esperimento molto più esteso e assolutamente decisivo (Vedi Capitolo X). 5. Malaria da sterri? Vengono citati molti esempi di sterri che diedero luogo a gravi epidemie di malaria (ho già più sopra toccato quest' argomento). Restarono sopratutto memorande in Italia quelle che si svilupparono all’epoca in cui sì costruirono le nostre principali linee ferroviarie e all’epoca in cui Roma, diventata capitale d'Italia, fu ampliata e rie- dificata in molte parti. È difficile invece oggigiorno trovare in Italia una buona occasione di seguire un'epidemia malarica collegata con movimenti di terra. A me non si è ancora pre- sentato nessun caso simile; tuttavia dopo aver assunto informazioni in luoghi svaria- tissimi e anche presso impresarî di opere pubbliche eseguite a Roma e nei dintorni specialmente verso il 70, credo di poter seriamente spiegare il fenomeno nel seguente modo. — 222 — I movimenti di terra nei luoghi malarici o nei luoghi risanati sono molto spesso accompagnati da formazione di acquitrini, di pozzanghere, nelle quali facilmente sì sviluppa la vegetazione palustre. Gli sterri così dànno luogo ad ambienti favore- voli allo sviluppo degli Anofeli, i quali vi accorrono sopratutto nei mesi estivi, quando l'acqua è scarsa. Si capisce pertanto come si formino dei focolai di malaria e come la malattia possa diffondersi facilmente, anche per il fatto che tra gli operai non sogliono mai mancare alcuni che già ne sono affetti. Ad avvalorare la mia spiegazione, aggiungerò : 1. Che sono notissimi molti casì di sterri, i quali diedero veramente luogo alla formazione di paludi. Nel 1869 Baccelli scriveva: « I grandi diboscamenti per le costruzioni ferroviarie, le colmature dei terreni sui quali poggiano le linee, colmature operate scavando lateralmente, hanno organizzato il padule conducendolo di tal guisa sino entro la cinta delle nostre mura. E le febbri da malaria toccarono in questi ultimi tempi ad una frequenza e ad una intensità inusitata ». Tutti gl’ impresarî ricor- dano fatti simili e basta che noi stessi percorriamo le ferrovie italiane e sopratutto le ultime costruite per trovare altre prove dello stesso genere. Oggigiorno essendo omai troppo noti i gravi danni dei suddetti impaludamenti, gli impresarî di opere pubbliche cercano di evitarli, anche facendo uso di pompe, almeno in vicinanza ai centri popo- lati, dove perciò la malaria da sterri si fa di solito sentire molto meno. 2. Che nei recenti scavi compiuti nel Foro Romano, in Roma, ho potuto consta- tare veramente la comparsa delle larve di A. claviger alla fine di agosto, in certa acqua chiara vicino alla cosidetta tomba di Romolo (°). Richiamo poi l’attenzione anche sulle seguenti circostanze : I. Non tutti i casi di malaria che sono stati attribuiti agli sterri debbono accogliersi come indiscutibili. Molto verosimilmente non poche volte si trattava non già di febbri primitive, ma di recidive, come dimostrava la mancanza del solito periodo d' incubazione. In altri casi infine si è certamente attribuito agli sterri la malaria presa indipendentemente da essi. II. Gli sterri non accompagnati dalla formazione di pozzanghere di qualche durata non dànno luogo allo sviluppo di malaria, perciò la recentissima costruzione del fognone di Roma a S. Paolo riuscì veramente innocua, come io ho potuto assi- curarmi, con informazioni prese direttamente dai lavoratori. III. I movimenti di terra, fatti in luoghi sani a parecchi chilometri di di- stanza dai luoghi malarici, non sono occasione, almeno in generale, di febbri mala- riche, perchè gli Anofeli non possono arrivarvi. IV. Ho già accennato che tra gli operai, che lavorano agli sterri nei luoghi malarici, ve n' è spesso qualcuno già da principio in preda all’infezione. Esso infetta gli Anofeli che si trovano nella località e questi alla lor volta gli operai sani. Sor- gono così, in luoghi quasi disabitati e ritenuti non molto infestati di malaria, delle gravissime epidemie di questa malattia. (4) Non c’era vegetazione palustre, vivevano però ancora in parte delle piante terrestri che si trovavano già sviluppate sulle pareti prima che le bagnasse l’acqua. DI RON e dat Riunendo tutto insieme, possiamo asserire senza tema di errare che gli sterri in quanto favoriscono la vita degli Anofeli e dànno a questi occasione di infettarsi, co- stituiscono un fomite di malaria. 6. Malaria in luoghi disabitati. Si narra di viaggiatori che s'infettarono di malaria entrando in luoghi da tempo immemorabile disabitati, dove fors' anco l’ uomo non aveva mai messo piede. Contro questa obiezione oppongo le seguenti osservazioni: 1. I cugini Sarasin nel loro celebre viaggio nell’ isola Celebes avrebbero osservato, per quanto mi dissero, che in verità la malaria si prende a preferenza in vicinanza ai luoghi abitati. 2. Si può ritenere che gli Anofeli accompagnino i viaggiatori nelle loro tappe e li infettino (vedi Capitolo II). 3. Basta inoltre che tra i viaggiatori vi sia un malarico, perchè gli Anofeli possano infettarsi anche in un luogo deserto a qualunque distanza da un centro abitato; una volta infettatisi naturalmente possono alla lor volta infettare gli uo- mini ecc. ecc. 7. Malaria presa in treno. Si obbietta che talvolta si prende la malaria viaggiando per ferrovia. Il povero professore Achille Costa, poche ore prima di chiuder gli occhi per sempre, mi faceva una visita per informarsi delle zanzare malariche e mi diceva in tutta buona fede che per lui le zanzare non bastavano a spiegare la malaria, perchè gli constava di sicura scienza che un individuo viaggiando in ferrovia col diretto da Reggio Cala- bria a Napoli si era buscato la malaria. Questo fatto, sino ad un certo punto sor- prendente, m' invogliò ad assumere informazioni, e seppi che il caso citato dal pro- fessore Costa, benchè molto raro, non è affatto unico. Naturalmente ne tenni conto come di un'obiezione seria, sperando una volta o l'altra di trovarne la spiegazione. Difatti nel mese di gennaio 1899, viaggiando da Metaponto a Potenza, mentre il treno era fermo nella stazione di Bernalda, vidi entrar nel vagone un Anopheles claviger, che purtroppo non potei prendere. Naturalmente sospettai di aver mal ve- duto; se non che pochi giorni dopo, viaggiando di notte nel vagone letto Roma-Mi- lano-Berlino, per caso (eravamo vicini a Pisa) mi accorsi che in un angolo del mio camerino posavano alcuni A. cl/aviger e infatti ne catturaî tre. Dove e quando fossero entrati è difficile dirlo; che fossero entrati però è certo. Un viaggiatore che avesse dormito in questo camerino, se gli Anofeli fossero stati infetti, avrebbe potuto uscirne infetto di malaria! Nel maggio 1899 il mio inserviente catturò parecchi Aropheles elaviger mentre viaggiava in un vagone di seconda classe da Terracina a Roma. Sulla stessa linea al tramonto in maggio e giugno parecchie volte entrarono degli Anofeli nel vagone in cui io viaggiavo, non ostante che il treno fosse già in moto. — "Rpg Fatti simili ho potuto verificare successivamente nelle più differenti parti d'Italia. Se al tramonto il treno si ferma in una stazione malarica anche per pochi mi- nuti, i viaggiatori che si affacciano agli sportelli, vengono spesso assaliti dagli Ar0- pheles. i Bastano questi fatti per spiegarci ad esuberanza la malaria presa in ferrovia. 8. Risanamento colla coltura intensiva? Si dice che la coltura intensiva fa scomparire o attenua la malaria. Mi si domanda se ciò può mettersi in rapporto cogli Aropheles. Rispondo colle seguenti osservazioni : 1. La coltura intensiva può riuscire dannosa o utile contro la malaria a se- conda dei casi. Nella Lombardia è cosa facilmente dimostrabile che la coltura in- tensiva accompagnata da irrigazione favorisce lo sviluppo della malaria e quello degli Anopheles, che vi diventano talora abbondantissimi. 2. La coltura intensiva non accompagnata da irrigazione riesce utile: cito per esempio i vigneti, il cui impianto e mantenimento fornisce l'occasione di soppri- mere dei piccoli impaludamenti e quindi di ridurre il numero degli Anofeli fino a farli scomparire. 5. La coltura intensiva anche irrigua può favorire la scomparsa della ma- laria, ove l'acqua che serve per irrigare, venga mossa tanto da ostacolare lo sviluppo degli Anofeli. Questo è probabilmente il principal motivo per cui gli orti non sono che pochis- simo malariferi. 4. La coltura intensiva può richiedere necessariamente una mutazione nel regime delle acque. Ho veduto io stesso la riduzione di un terreno qua e là palu- doso e sparso di alberi in una campagna fertile coltivata a grano; questa coltura richiese l’incanalamento delle acque, dirigendole fino al fiume ecc. ecc. Special- mente nei primi anni quando i canali sono ancora in buone condizioni, cioè scarsi di vegetazione e ben arginati, per modo che l’acqua corra, sfavorevoli perciò allo sviluppo degli Anofeli, il vantaggio che se ne risente riguardo all’ infezione malarica, è molto notevole. 9. Risanamento colle costruzioni? Si è osservato che molti luoghi, man mano che andarono popolandosi e perciò vennero coperti di edifizi, selciati ecc., risanarono, se non totalmente, almeno in grado notevole. L'osservazione è esatta e trova la sua ragione principale nel fatto che contem- poraneamente vennero regolati i corsi delle acque e soppressi gl'impaludamenti. Così l'ambiente diventò sfavorevole allo sviluppo degli Anofeli e quindi anche a quello della malaria. , [at9) (9) Ut 10. Epidemie malariche tardive. Si danno specialmente in certe parti della Regione Pontina (a Sermoneta, a Sezze ecc.), epidemie malariche a tardo autunno e al principio dell'inverno (ottobre- novembre), mentre ivi la malaria infierisce poco nei mesi estivi. Si domanda se si possano incolpare fondatamente gli Azopheles, anche in queste epidemie. Io ho verificato (1899) che contrariamente a quanto a tutta prima si supporrebbe, gli Amopheles infetti abbondano durante le epidemie in discorso. Quanto all'epoca insolita, le ricerche debbono essere approfondite: posso fin d’ora richiamare 1’ attenzione sulla circostanza che nella regione delle Paludi Pontine si sviluppa in settembre e in ottobre un enorme numero di Anofeli, che si riparano probabilmente nelle case di Sezze e Ser- moneta per svernare e, prima dell’ibernazione, producono un'epidemia malarica tar- diva (Vedi Capitolo Il). 11. Spontanea attenuazione della malaria. In molti luoghi la malaria nel nostro secolo è andata diventando sempre meno intensa nonostante che non siano state intraprese opere di bonifica. Giustino Fortunato, che si è molto occupato di questo argomento, mi ha assicurato che non si tratta di una semplice credenza popolare, ma sibbene di un fenomeno indiscutibile, da lui stesso constatato ampiamente. Questo fenomeno lungi dal costituire un’ obie- zione alla dottrina degli Anofeli la conforta molto autorevolmente, perchè è evidente che la malaria andò diminuendo coll’ estendersi dell’uso del chinino, il quale, come oggigiorno sappiamo, non è soltanto utile per guarire un individuo malarico, ma serve anche indirettamente a preservare lo stesso individuo dalle reinfezioni e i sani dal- l'infezione malarica, come risulterà chiaramente dal Capitolo sulla profilassi. 12. Insetti succhiatori funzionanti da veicolo passivo della malaria? Essendo stato dimostrato che inoculando ad un uomo sano minime quantità di sangue appena tolto da un uomo malarico, gli conferiamo direttamente la malaria, a tutta prima si può supporre che tutti gli animali succhiatori di sangue (sangui- sughe, pulci, cimici, zanzare ecc.) passando da un uomo malato ad uno sano, spe- cialmente coll'apparato succhiatore ancora intriso di sangue, possano direttamente trasmettere la malaria. Se questa supposizione avesse fondamento, noi dovremmo verificare casi numerosi di malaria anche in luoghi sani, perchè anche in essi vivono molti animali che si cibano del nostro sangue e frequentemente vi abitano uomini affetti di febbri mala- riche prese in luoghi malarici. Inoltre è bene osservare: I. Che i suddetti animali, dopo che hanno succhiato, non mostrano in ge- nerale l'apparato succhiatore intriso di sangue. 29 — 226 — II. Che essi non ripetono mai il loro pasto senza un intervallo, almeno di alcune ore, durante le quali il parassita malarico notoriamente muore. III. Che ancor che abbiano sangue con parassiti malarici vivi nel loro inte- stino, non possono, per la speciale organizzazione di questo, emetterlo ed inocularlo alla loro vittima. Si aggiunga che le più piccole quantità di sangue malarico dimostrate capaci di infettare un uomo sano sono sempre enormi (poco più di '/10 di eme. di sangue) rispetto alla quantità di sangue che potrebbe inoculare un insetto succhiatore. Infine molti dati sperimentali negativi documentano contro l'obiezione in discorso, la quale deve dunque ritenersi del tutto infondata. [13. Inoculazione artificiale della malaria. Baccelli si domanda: « quando Gerhardt a Berlino ed io a Roma riproducevamo le febbri malariche, inoculando il sangue di un uomo infermo nell'uomo sano, o le zanzare non vi erano 0 le zanzare eravamo noi? Basterebbe questo solo fatto per dimostrare logicamente inamissibile l'afferma- zione che la febbre intermittente malarica non si prenda se non per la puntura dell'Anofele ». Non v'ha alcun dubbio che la febbre malarica si possa pigliare anche coll'ino- culazione di sangue malarico fatta dall'uomo. Se non ho considerato questo modo d'infezione è stato perchè ritenevo che fosse ormai finito il tempo di queste prove scientifiche, mentre niente di simile può avvenire in natura! Quel che Baccelli ci insegna per la malaria vale del pari per l’echinococco. Così Dévé nei « Comptes rendus de la Société de Biologie », Tome LIII, 1901, nn. 5 e 11, riferisce che innestò nel coniglio l'echinococco (frammenti di cisti madri, di vescicole proligere, di vescicole figlie, scolici, ecc.) ottenendone per effetto l’attecchimento e l'acere- scimento; nessuno per questo potrebbe ardire di supporre un altro modo di propaga- zione dell’echinococco oltre a quello già noto. 14. Chi infetta l’uomo e la zanzara. Baccelli si domanda: « Ma se la zanzara infetta l’uomo e l’uomo la zanzara, chi infetta tutti e due? » Noi obbiettivamente ignoriamo l'origine prima dei paras- siti malarici, ma ignoriamo del pari quella di tutti gli esseri vivi; sappiamo sol- tanto che adesso la zanzara e l’uomo s'infettano reciprocamente l' una coll’ altro, come sappiamo che simile modo d'infezione avviene per quasi tutte le Tenie, com- presa la Tenia echinococco, per molti Nematodi, ecc. 15. Località non malariche e con Anopheles. A questa obbiezione è già stato risposto nel Cap. II]. | DO [N9] -J | 16. Casi singolari. Contro la dottrina degli Anofeli vennero portati molti fatti speciali, che potrebbero definirsi piuttosto curiosità che vere obiezioni. Cito a modo d'esempio uno di quelli già riferiti in un Opuscolo popolare (1899): « Nel mese di gennaio un individuo partì da un luogo sano della Lombardia e a piccole tappe venne fino a Roma. Naturalmente lungo il suo viaggio dormì ripetutamente in luoghi malarici; arrivò a Roma in preda ad una perniciosa di cui morì. « Mi si disse: In gennaio non vi sono zanzare; che c’ entrano dunque le zanzare ? « Un anno fa anch'io avrei fatto plauso a questa obiezione che oggi giudico addi- rittura vana. È vero che se voi in gennaio (nell'Italia media) domandate notizie agli abitanti dei luoghi malarici, vi rispondono che non ci sono più zanzare; ma se voi entrate nelle loro abitazioni e cercate, trovate quasi sempre un certo numero di Ar0- pheles, alcuni carichi di sangue umano succhiato di recente. Così vi persuadete che nei luoghi malarici, quando si dice che non ci sono zanzare, si intende dire che ce ne sono poche, ma eventualmente capaci di infettarci ». [Nell'anno 1900 fecero molto rumore e diedero luogo a svariati commenti certi casi di febbri probabilmente sviluppatesi nel bel mezzo di Roma da tutti ritenuta oggigiorno libera dalla malaria. Anche a me i suddetti casi apparvero strani, perchè riteneva che nella parte centrale di Roma mancassero gli Aropheles. La mia mara- viglia però cessò dopo che ebbi notizia dei seguenti fatti. Il 30 novembre 1900 il sig. Luigioni, ufficiale telegrafico e distinto coleottero- logo, verso sera raccolse una zanzara che s'era attaccata al pollice del signor Lom- bardi, impiegato intento a scrivere nella stanza per il Protocollo generale del Palazzo del Ministero delle Poste e Telegrafi. Questa zanzara che venne a me portata era un bell'Aropheles elaviger. Anche il dottor Marantonio prese il 2 gennaio 1901 nella sua abitazione via Firenze n. 43 piano quinto un Aropheles elaviger. Perciò nel cuore di Roma sì nella parte alta che nella bassa si possono trovare rarissime zanzare malarigene e possono occorrere, come sembra infatti che siano occorsi, ra- rissimi casi di malaria]. 17. Conclusioni. Chiudo l'esame di questa serie di obiezioni esprimendo la mia convinzione che esse sieno tutte infondate. Certamente molti misoneisti continueranno a ripetere per molto tempo l’assurdo scientifico che la malaria si propaga non soltanto cogli Anofeli. Purtroppo agli occhi di molti sembra che la malaria, questa colossale potenza finora misteriosissima, la terribile Dea febbre, che annuncia il suo apparire col mi- sterioso brivido e che è capace di abbattere in breve tempo l'uomo più robusto, venga, a così dire, degradata dalle umili zanzare. Essi ritengono perciò incompetente la causa da noi invocata e hanno bisogno di credere che le zanzare rappresentino un sol episodio della grande tragedia. — 228 — Da parte mia invece, quando rifletto che lo studio dei parassiti malarici fuori del corpo dell’uomo dimostra in modo evidente che la malaria non può propagarsi se non per mezzo degli Azopheles e che i parassiti malarici dell'uomo sono a lui specifici; quando di fronte a questi fatti, dirò così, teorici ne pongo altri pratici, che cioè, non ho trovato in molti mesi di ricerche un sol caso di malaria nel quale si potessero escludere le punture degli Anofeli; quando contemplo la larghis- sima base di fatti che oggi possediamo, debbo confessare che coloro, i quali oltre agli Anofeli invocano a//re cause ignote d'infezione malarica, mi sembrano fuorviati da preconcetti teorici, come quei fisiologi che di fronte alle scoperte moderne tornano ad invocare l'archeo. = pop — CAPITOLO IX. Profilassi della malaria. Le premesse fatte nei precedenti capitoli permettono di imprendere una profi- lassi scientifica della malaria, combattendo questo terribile morbo con nuove armi. Non è mio scopo di penetrare molto addentro in questo argomento, che troppo mi allontanerebbe dal mio campo di studî; non voglio però neanche traseurarlo, perchè credo che lo zoologo possa più facilmente del medico guidar la profilassi, almeno fino a che si saranno tracciate con sicurezza le norme fondamentali. Il prof. Celli in una Nota datata dal 29 settembre 1900, dice che le esperienze di profilassi furono da lui per il primo iniziate due anni or sono e « poi condotte innanzi secondo i criterì che ho già esposto nel giugno 1899 (Za malaria secondo le nuove ricerche, 2* edizione, 15 giugno 1899), e che in mezzo alle altrui esage- razioni e contradizioni, rimangono immutati » (9). A parte l'errore tipografico di citare la seconda edizione invece della prima, io non trovo nelle pubblicazioni di Celli esperienze profilattiche iniziate nel 1898; io riconosco che anche Celli prontamente, ma ron prima di me (vedi pag. 219), cercò di tradurre in pratica i nuovi dettami della scienza: le sue proposte, corollarî delle nuove scoperte, erano molteplici, ma poco determinate come appare evidente a chiunque confronta le due edizioni (1899 e 1900) dell’opera di Celli sulla malaria, il mio opuscolo popolare del 1899 (33) e la prima edizione del presente lavoro. 1. Cura obbligatoria della malaria sopratutto nell'epoca precedente l'epidemia. Da quanto ho detto nel Capitolo VI risulta che in complesso dal gennaio (com- preso) al giugno (non compreso) in Italia gli Anofeli infetti sono rarissimi. Su questo fatto io ho, prima d'ogni altro, richiamato l'attenzione; esso è di fondamentale importanza risultandone che per cinque mesi circa di ogni anno i germi dell'infezione devono trovarsi, quasi esclusivamente nell'uomo, il quale perciò venne da me definito fin dall'agosto 1899 depositario dei germi malarici per la nuova stagione. La nuova dottrina dunque si riassume così: Za malaria non esiste nel senso stretto della parola. Esistono soltanto germi malarici nell’Uomo e negli Anofeli; nell’ Uomo per tutto l'anno, negli Anofeli quasi soltanto negli ultimi sette mest dell’anno. — 230 — Con altre parole, nei primi cinque mesi dell'anno non si trovano, tranne in casi eccezionalissimi, zanzare malarifere capaci di infettarei, ma soltanto uomini in cui persiste l'infezione acquisita nelle precedenti stagioni malariche. Soltanto quelli tra essi che dopo i cinque mesi non malarici, cioè d’ interruzione dell'epidemia, entrano ancora infetti nella successiva stagione malarica, sono capaci di infettare gli Anofeli; si deve perciò ammettere la possibilità di perpetuare la detta interruzione. In breve, nei primi cinque mesi dell'anno il luogo malarico si trasforma in complesso in un sana- torio. Se noi ne approfittiamo per curare tutti i malarici, possiamo far sì che nella stagione malarica alle zanzare malarifere manchi l'occasione di infettarsi e di infet- tare alla lor volta l’uomo. Contro quei casi che nonostante la cura fatta du- rante l'epoca non malarica potessero verificarsi nella stagione malarica, cioè dal giugno al dicembre, noi opponiamo ancora la cura (nonchè la protezione: vedi pa- ragrafo 2). Da queste premesse emerge il seguente corollario pratico: Gli individui infetti di malaria nei luoghi malarici dal giugno al dicembre sono da riguardarsi come contagiosi, per quanto il contagio sia indiretto richiedendo l'intervento delle zanzare malarifere, e devono considerarsi come pericolosi. Occorre curare con ogni attenzione gli uomini malarici sopratutto in quel tempo nel quale essi sono infetti, mentre non lo sono ancora le zanzare malarifere. La guarigione di un individuo prima o all'inizio della nuova stagione malarica riesce più efficace di cento guarigioni durante la stagione malarica (s'intende in luoghi non protetti). Si può asserire senza tema di venire smentiti che quella stessa quantità di chinina che si consuma in Italia nella seconda metà dell'anno ove venisse consumata nella prima metà, farebbe quasi scomparire per incanto la malaria dal paese. La cura dei malarici, ossia il bonificamento umano (così detto da Gosio in opposizione al bonificamento del suolo), è dunque la via maestra che ci deve gui dare nella profilassi. Perchè questa cura riesca allo scopo, occorre tener presente le cinque seguenti circostanze : . I. Gli Anofeli si infettano, come si è dimostrato, coi gameti che trovano nel sangue dell'uomo. Ora sta il fatto che i gameti si trovano anche in individui che non hanno più febbre. Anzi il dott. Dionisi ha dimostrato che nonostante la presenza dei gameti, l'individuo malarico si ricostituisce, assumendo le apparenze dell’ uomo non infetto. Se ne deduce che possono essere pericolosi anche individui apparentemente quariti. Fortunatamente i gameti della terzana raramente, e forse mai, durano nel sangue (periferico) al di là di 10 giorni dopo la cessazione della febbre; da parte mia spesse volte li ho veduti scomparire col cessare delle febbri. I gameti semilunari persistono molto più a lungo nel sangue (periferico), ma tutt'al più 10 o 12 giorni dopo l'ultima febbre, perdono la capacità di svilupparsi negli Aropheles. Questo fatto si è ripetuto sotto i miei occhi alcune volte: se sia costante resta da dimostrare. Notevole è però che i malarici recidivarono nonostante che le loro semilune non si sviluppassero più negli Anofeli. — 231 — II. I gameti si sviluppano nel corpo degli Amopheles ad onta che l'individuo malarico sia tenuto chinizzato (Gualdi, Martirano ecc.). Se ne deduce che possono essere pericolosi anche individui chinizzati. III. Il clinico, specialmente dopo le nuove scoperte, ha dovuto riconoscere che in pratica riesce spesso molto difficile distinguere la recidiva dalla reinfezione Egli non ha ancora studiato sufficientemente dopo quanto tempo un individuo che ebbe le febbri malariche possa andare soggetto ancora a nuovi attacchi indiscutibili delle stesse febbri, senza che venga di nuovo punto da zanzare infette. Si riferiscono casi di recidive dopo anni, ma per lo più non vi si presta fede. A Grosseto, Koch ha fatto prevalere l'opinione che la febbre sorta dopo un in- tervallo di 4 o 5 mesi debbasi ritenere primitiva, cioè attribuire a muova infezione. Questo concetto non è peraltro conforme alle conclusioni che si inducono studiando il modo di insorgere delle nuove epidemie (Capitolo VI). D'altronde se la recidiva può accadere dopo cinque mesi, nulla si oppone a che possa accadere dopo un anno; ed è questo precisamente che mi risulta con molta verosimiglianza (°). Dico con molta verosimiglianza, ma non con certezza, perchè riesce molto difficile stabilire che un individuo nel frattempo non abbia avuto in modo assoluto qualche breve e lieve attacco febbrile. Se ne deduce che individui apparentemente guariti da molto tempo possono, recidivando, diventare pericolosi. IV. Specialmente chi vive nei luoghi malarici, dove il sentirsi bene è un’ec- cezione, non suole tener conto che degli accessi febbrili di qualche intensità. A ciò aggiungasi l'abitudine molto diffusa di prendere chinina quando per qualche sintomo, sì teme l'insorgenza della febbre. Se ne deduce che possono essere în realtà pericolosi anche individui che pre- tendono di non aver avuto febbri malariche da uno 0 più anni. V. Le recidive possono verificarsi anche in individui che hanno fatto prolun- gate cure di chinina. Se ne deduce che possono essere pericolosi anche individui che si siano curati nel miglior modo. Per l'una o per l’altra delle cinque circostanze qui esposte taluno ha creduto che sia impossibile estinguere focolai di malaria con la sola cura degli uomini infetti. To non divido una tale opinione e posso soltanto ammettere che le cinque circo- stanze suddette rendono il compito dell'igienista alquanto più complicato e il fine raggiungibile in un tempo relativamente un po’ più lungo. Queste che seguono sono le ragioni che giustificano la mia fede nella cura degli uomini infetti di malaria: I. È notorio che le recidive, più ci allontaniamo dall’epoca dell’ infezione, in ge- nerale, più facilmente si vincono e sempre a più lunghi intervalli si ripetono. (4) Voglio aggiungere che, se è vero che facilmente si danno recidive negli individui che vanno da un luogo malarico ad un luogo sano, è vero pure che per lo meno altrettante se ne dànno negli individui che vanno da un luogo sano ad un luogo malarico. L'anno scorso infatti ebbi a notare nel mio inserviente due gravissime recidive tutte e due in rapporto immediato con una gita di una giornata a Cisterna e dintorni, d'onde ritornò a Roma in preda alla febbre. Ammaestrato da questi fatti mi informai di molti altri casi consimili e mi persuasi che il fenomeno dev'essere tut- t'altro che raro. L'argomento è molto interessante e merita uno studio più accurato. — 232 — II. Indipendentemente dall'azione della chinina sui gameti sta il fatto che più malarici guariamo, minore va diventando la quantità di gameti disponibile per le zanzare malariche. III. La somministrazione pronta e sufficiente della chinina all’ insorgere delle prime febbri impedisce che si formino i gameti, o almeno li riduce notevolmente (Marchiafava e scolari). Da quanto ho detto risulta che icombde evidentemente allo Stato il dovere di assumere la cura obbligatoria di tutti î malarici, perchè i malarici sono pericolosi non soltanto a se stessi (nuove infezioni), ma ancora agli altri, ed una delle fonda- mentali funzioni dello Stato è quella di garantire i cittadini dai pericoli di qualunque genere, almeno fin dove sia possibile (‘). Questa possibilità nel caso della malaria è ammissibile, perchè contro di essa possediamo rimedî sicuri, mezzi diagnostici infallibili e d'altra parte la malaria non è malattia che si voglia tener segreta. È però di fondamentale importanza ritenere che sospetto d' infezione malarica deve considerarsi non soltanto colui che ha, o ha avuto febbri malariche, ma chiunque ha avuto febbri malariche nell'ultimo biennio e perfino chiunque nel- l'ultimo biennio è stato in luogo malarico, nonostante ch' egli pretenda di non aver avuto febbri. L'esperienza da me fatta nel 1900 alla piana di Capaccio dà affidamento che lo Stato se vorrà far tesoro di questi dettati della scienza ne ricaverà prontamente grandissimo vantaggio. Per le ragioni che ho esposte il bonificamento si deve fare preferibilmente dal gennaio agli ultimi di luglio: quanto tempo debba durare resta da stabilire coi nuovi esperimenti. i Esso deve consistere: I. Nella cura ricostituente, cioè nella somministrazione di arsenico e ferro. II. Nella cura rigorosa e molto prolungata di qualunque recidiva anche insignificante, 0 incerta. III. Nella somministrazione di 1 gr. di chinina di buon mattino ogni sette giorni, sperando, così, di colpire una volta o l’altra il parassita in momento op- portuno per impedire la recidiva. Ritengo che a queste misure terapeutiche si potrebbero vantaggiosamente sosti- tuire tre cure possibilmente complete e regolari di quel preparato di chinina, arse- nico e ferro che va in commercio col nome di esazofele (una cura in gennaio, una in marzo, una terza nella prima metà di giugno), non che una cura soprannumeraria dopo ogni recidiva (vedi più avanti: pag. 266). Questi modi di bonificamento risultano di indiscutibile valore pratico dalla rela- zione del già citato mio esperimento nella piana di Capaccio (Cap. X). L' esperienza degli anni-venturi suggerirà modificazioni ulteriori al metodo di bonificamento da me adottato. Certamente dovranno anche provarsi nel nostro paese i metodi usati dai tedeschi (4) In casi particolari sì potranno ottenere grandi risultati escludendo durante la stagione ma- larica dai luoghi malarici tutti gli individui che negli ultimi due anni furono in luoghi malarici. — 12393 — nei paesi tropicali per prevenir le recidive: dare cioè un grammo di chinina per due giorni consecutivi, ogni decimo e undicesimo giorno, o anche ogni ottavo e nono giorno, od ogni nono e decimo giorno; ovvero dare da un grammo e mezzo a due di chinina per due giorni consecutivi con pause di nove giorni. Io non ho esperienza particolare sulla chinina somministrata come profilattico a individui sani. Quanto all’euchinina recentemente proposta da Celli mi sembra che i risultati incompleti ottenuti (Mori) somministrando mezzo grammo di euchinina al giorno per più di cinque mesi non rappresentino nulla che per ora almeno possa rite- nersi traducibile in pratica, molto più che niente dimostra, o accenna almeno a di- mostrare che l'euchinina come profilattico sia di efficacia maggiore della chinina, nè che sia una sostanza immunizzante contro la malaria. Sembra che essa agisca come il chinino, uccidendo i microbi anche quando sono tuttora in piccolissima quantità. È importante tener presente che vi sono in commercio dei succedanei al chi- nino, quali il fevrolo e il succo di limone, che hanno un'influenza temporanea sulla febbre, ma, come hanno dimostrato Gualdi e Martirano, facilitano molto la produ- zione dei gameti, ciò che è evidente sopratutto per quelli semilunari. Devesi perciò proibire l'uso di questi succedanei. Tornando alla cura obbligatoria, conchiudo che essa è il precipuo corollario dei nostri studi sulla malaria. 2. Reti (reticelle, tele) metalliche e zanzariere. (Tav. VII e VIII. L'uomo ha in ogni tempo cercato di sottrarsi alla molestia delle zanzare, adot- tando mezzi meccanici e mezzi chimici. Dei mezzi meccanici mi occupo in questo paragrafo. Essi consistono nelle zan- zariere (applicate ai letti) e nelle tele, o reti di filo vegetale o metallico applicate alle finestre. Le zanzariere vengono usate molto di frequente, mentre le reti sono pochissimo in uso: esse sono preferite soltanto da coloro che vogliono sottrarsi anche alla molestia delle mosche. Fin da quando cominciai a frequentare i luoghi malarici mi accorsi che le zan- zariere poco potevano servire, perchè le zanzare malariche pungono a preferenza ai crepuscoli, ossia in momenti in cui nessuno s' induce a coricarsi sotto la zanzariera. Io non conosceva alcun luogo nel quale si usassero le reti. Fortunatamente in principio del 1899 ebbi occasione di osservare le reti metal- liche applicate alle finestre a Chiarone nel caseggiato della tenuta Pescia Romana affittata ai fratelli Franceschetti. Da essi appresi che veramente erano utili contro le zanzare, come dimostrava loro l’esperienza di molti anni. Subito mi persuasi che le reti metalliche dovevano rendere mirabili servigi per proteggerci dalla malaria. La mia persuasione venne divisa dall'egregio dott. Blessich che, per poter met- tere in pratica queste reti nella nuova stagione malarica, sì rivolse alla direzione delle Ferrovie Mediterranee. 30 — 2394 — Da parte mia le applicai, alla Torre di Maccarese, per il primo contro la ma- laria, fin dalla primavera del 1899, per riparare me e î miei impiegati da quel- l'epidemia malarica primaverile, che allora tutti ammettevano in modo positivo. Di questo uso da me fatto delle reti a Maccarese certamente hanno conservato me- moria ì colleghi prof. Santoro, Dionisi, Versari, l'avv. Angeletti, ecc. Quanto ho qui riferito risulta anche dalle mie pubblicazioni precedenti, nelle quali si trova citato il caso della tenuta Pescia Romana. Contrariamente a quanto altri ha voluto far credere. io non ho dunque preteso di aver scoperto l’uso delle reti metalliche contro le zanzare o le mosche; pretendo invece di aver per il primo proposto per difenderci dalla malaria l'uso delle reti metalliche, d’averle per il primo preposte alla sansariera e ai meszi chimici e di averle per il primo adottate. Nel mio opuscolo popolare, uscito il 1 settembre 1899 si legge: « tre sono i consigli preziosi che io posso fin d'ora suggerire: la cura obbligatoria, I’ istruzione pratica e popolare sugli effetti malefici degli Anofeli e l'applicazione delle reti me- talliche alle finestre » Già nel 1899 le ferrovie Mediterranee lungo la linea dell'Ofanto dietro le insi- stenze di Blessich e mie (lettere del maggio 1899), applicavano le reti metalliche a quattro caselli, essenzialmente nei modi da me usati nel 1900 nella piana di Salerno, tranne il padiglione, di cui si parlerà più avanti. Purtroppo i caselli suddetti resta- rono disabitati per ragioni da noi indipendenti. Nel 1899 Celli, a cominciare dal mese di luglio, usò per le finestre, invece delle tele metalliche, la tela amidata; si servì inoltre di un telaio di rete metallica alla porta, e di altro telaio simile alla sommità della scala di ogni casello. La pro- filassi usata da Celli consisteva però oltre che nella protezione meccanica (3), anehe nell'uso della zanzolina per distruggere le zanzare (°). Nel 1900 Celli abbandonò la zanzolina e adoitò essenzialmente le reti metalliche colle stesse modalità da me usate nella Piana di Capaccio. Premessi questi dati storici, entrerò in alcuni particolari riguardanti la prote- zione meccanica. Nella prima edizione dell'opera presente io notavo che i quadretti delle reti metalliche non devono aver lati maggiori di 2 mm. circa escluso il filo, aggiun- gevo, però, che occorrevano in proposito più esatte ricerche. Queste ricerche vennero da me fatte nel corrente anno e mi persuasero che se si vuole escludere in modo assoluto anche i più piccoli Anofeli (essi appartengono alla specie A. di/urcatus var. migripes) si deve ricorrere a reticelle, i cui quadretti abbiano lati da mm. 1,3 a mm. 1,5, escluso il filo. Il filo delle reticelle metalliche migliore da me usate aveva in generale uno spessore di 2/10 di mm. e di 3/10-3,5/10 compresa la tinta. I lati dei quadretti perciò erano non maggiori di mm. 1,85 compreso il filo. S7 contavano per lo meno undici maglie (delle quali una non era sempre del tutto intiera) ogni due em., în qualunque direzione si misurasse la rete. (4) Celli usò questo metodo nell’esperimento del 1899 del quale faccio cenno al principio del Cap. X. à — 235 — Spesso le reticelle del commercio sono a maglie irregolari: servono ugualmente bene purchè non contengano maglie troppo ampie. Posso assicurare che una rete fitta come qui suggerisco, non fa scuro: pronta- mente ci si abitua e non si accorge più che ci sia (‘). Il filo metallico può essere di rame, di bronzo, di ferro o di ferro zincato. Quello semplicemente di ferro è molto più economico e riesce anche di lunga durata, se si ha cura di tingerlo con minio già prima di metterlo in uso e successivamente di ritin- gerlo ripetutamente con biacca. La tinta consolida molto la reticella. La reticella metallica dovrà venir applicata con precisione alle finestre e ai camini, come a qualunque altra apertura delle abitazioni. Alle finestre si applica per mezzo di telai di legno e di ferro (in quest'ultimo caso per la saldatura si adope- rano peculiari striscie di zinco, come ho visto praticare dall'ing. Pompei). Le im- poste (antescuri) preferibilmente saranno interne rispetto alle reticelle metalliche, potranno tuttavia usufruirsi ancorchè esterne, ove si adottino certi piccoli ripieghi rap- presentati nelle figure (tav. VIII). Si può fare per qualche finestra un piccolo padi- glione di rete metallica che riesce comodissimo. La tela metallica della finestra tal- volta deve esser messa doppia, specialmente dove vi sono ragazzi, i quali facilmente sì divertono ad allontanarne i fili. Le reticelle dei camini devono venir battute o spazzolate ogni dieci giorni, altri- menti restano otturate dalla fuliggine. Le porte ordinarie, la cui chiusura nei mesi estivi sarebbe intollerabile, vengono raddoppiate da porte di reticella metallica con intelaiatura leggera; queste ultime devono restare chiuse e per facilitarne la chiusura vengono fornite di molla a spirale e di speciale saliscendi (quest'ultimo possibilmente a tale altezza che non vi arrivino i ragazzini). Si aggiunge al suolo anche un peculiare legno di sicurezza. Le porte che comunicano coll'esterno e vengono aperte spesse volte, devono essere difese non soltanto dal telaio di rete metallica (che si aprirà all'esterno), ma anche da uno stretto padiglioncino che si avrà cura di costruire più alto delle porte. Così se all'atto dell'apertura qualche Anofele eccezionalmente arriva ad entrare, si ferma quasi sempre nel padiglioncino, a preferenza nella parte più alta. Ad ogni abitazione viene annesso un ampio padiglione di rete metallica (Blessich) per passarvi le serate calde. Se il padiglione verrà fatto in corrispondenza della porta principale d'entrata nella casa, si dovrà curare che la porta del padiglione abbia una porticina: quella di solito resterà chiusa, mentre di questa si farà abitualmente uso. Si tureranno accuratamente tutti i buchi d'onde possono entrare le zanzare, quali per esempio le feritoie dei fili telegrafici nelle stazioni ferroviarie, i fori che servono per l'apertura e chiusura delle imposte ecc. Per dimostrare quanto si debba essere accurati, noterò che in principio dell'espe- rimento fatto nella piana di Capaccio non avevamo messo il chiodo d'appoggio (c) al (4) Le reticelle metalliche raggiungono anche altri scopi igienici, non lasciando libera entrata alle mosche, trattenendo la polvere sospesa nell'aria, rompendo le correnti d’aria, ecc. Io ritengo perciò che a poco a poco esse verranno estesamente adottate anche in luoghi non malarici. — 236 — nottolino delle finestre (figurato nella tavola VIII); il nottolino cadeva e per il foro a entravano le zanzare. Occorrerà giornalmente far la caccia a quegli Anofeli che per qualche inavver- tenza fossero riusciti a entrare, cercandoli anche sotto al letto, sotto ai tavoli, tra le tende, nei sottoscala ecc. Nè la caccia riesce difticile perchè sono di dimensioni relativamente ragguardevoli; e tanto meno difficile se si accendono i soliti zampironi, foglie fresche di eucalipto, polvere di piretro o anche semplicemente un po’ di zolfo. Il fumo spinge gli Anofeli verso le finestre, dove si possono facilmente uccidere. È raccomandabile di accendere qualche foglia fresca di eucalipto sopra una candela o anche, in mancanza d'altro, qualche po’ di paglia umida prima d'entrare nelle ca- mere. Infatti basta la piccola quantità di fumo in tal modo prodotta per evitare il pericolo che vi si introduca qualche Anofele. Quest'avvertenza è inutile quando le case sono ben protette. La protezione meccanica viene completata da un velo stretto attorno al cappello per mezzo di un elastico, o cucito ad esso, e da un paio di guanti di cotone pesanti e a maglia molto stretta (2). Chi fuma potrà tenere rialzato il velo in modo che protegga soltanto la nuca; chi lo tiene abbassato trova comodo di nascondervi le mani invece di portare i guanti. Di giorno ognuno può liberamente, senza guanti e senza velo, attendere alle proprie occupazioni, dovunque; quando però uno vuol riposare, o dormire, deve ripararsi nell'asilo, ossia nell'ambiente protetto dalle reticelle metalliche. Quivi tutti devono ritirarsi dal tramonto fino a sole levato; tuttavia quelli che per ragioni di servizio od altro, vogliono uscire per qualche tempo, possono farlo, purchè si servano del velo e dei guanti. Ognuno comprende di leggeri gli ostacoli che incontrano queste precauzioni spe- cialmente nei primi tempi, ma spesso basta qualche esempio che dimostri la loro efficacia, per persuadere anche i più ignoranti. A questo riguardo è d’ uopo notare come per fortuna l'efficacia dei mezzi proposti si dimostra facilmente già nel primo mese dell’ epidemia malarica, quando però si sia fatto il bonificamento nel periodo premalarico, altrimenti le recidive possono venir scambiate con casi di infezione primitiva. Purtroppo la protezione meccanica è molto più difficilmente applicabile nei luoghi di malaria mite, o anche non molto grave, dove non sì trovano soltanto casolari come si verifica nei luoghi di malaria molto grave, ma sorgono spesso centri abitati con contrade strette e case molto alte (Grosseto, Sermoneta, Sezze, Albanella, Capaccio ecc.). Quivi la popolazione, d'estate, sente il bisogno di riversarsi al tramonto e di sera sulle vie, o anche all'aperto per sottrarsi all’afa opprimente. Costruire dei padiglioni, come si fa nelle località gravissimamente malariche, non è sempre possibile e invano si tenterebbe di persuadere la gente a ritirarvisi. Riesce perciò molto più facile in generale riparare dalla malaria gli abitanti di un luogo gravissimamente malarico, (3) Una sorta di cappuccio e guanti vennero per la prima volta usati, per quanto io so, dal prof. Fermi nel 1898 in un esperimento non reso di pubblica ragione. — 237 — che riparare quelli di un luogo non gravemente infetto. Quivi, per debellare il morbo, sarebbe forse necessario abbandonare gran parte delle abitazioni attuali ed erigerne altre secondo i nuovi dettami della scienza, ciò che importerebbe enormi danni. Io mi lusingo che possa però bastare la sola cura obbligatoria. In ogni modo, sta la regola che riparandoci specialmente con le reticelle me- talliche dalla puntura delle sanzare malarifere ci difendiamo dalla malaria e gli individui ancora malarici cessano di essere contagiosi. Allo Stato, perciò, s'impone un altro dovere, quello di rendere obbligatoria fin dove è possibile la protezione dalla malaria. In breve: DIFESA OBBLIGATORIA @ CURA OBBLIGATORIA, ecco ? due grandi precetti (*). 3. Distruzione degli Anofeli. Gli Anopheles claviger, e si ricordi che essi indiscutibilmente producono la maggior parte della malaria in Italia, svernano dentro le nostre case. nell'Italia settentrionale, e qualcuno, oltre che nelle case, dentro le grotte, nell'Italia media e meridionale. Bisogna adunque distruggerli andandoli a cercare in tutti gli angoli remoti da loro prediletti (nelle cantine, nelle stalle, nei pollai, tra le fenditure, sulle ragna- tele, sui soffitti, ece.). Ogni femmina svernante uccisa equivale a migliaia uccise nei mesi malarici. Bisogna però non illudersi nè credere di poter così distruggere la specie: come ho detto altrove, nell'inverno 1898-99, per parecchi mesi non riuscii a trovare un solo individuo alato di Cu/ex penzeiMaris, nè di C. verans nonostante le più minute ricerche. Certamente il numero degli individui alati (’) di queste specie doveva essere diventato enormemente esiguo. In maggio invece in certi luoghi essi erano già abbastanza numerosi. Al principio di luglio si potevano dire abbondanti e nella seconda metà di luglio a Maccarese svolazzavano già in orde sterminate tanto che, per esempio, in un quarto d'ora un ragazzo ricevette 85 punture. Da questi fatti, ragionando per analogia, si può indurre che anche pochi Aro0- pheles sopravissuti nell'inverno basteranno per infestare i luoghi malarici nell'estate e nell'autunno. È probabile però che dalla distruzione debba risultare un vantaggio, se non nel luogo stesso in cui è avvenuta, almeno nei dintorni. In proposito si richiami che, a quanto sembra, maggiore è il numero degli Azopheles prodotto da un focolaio palustre, maggiore viene ad essere il raggio del territorio circostante che essi inva- dono per potersi procurare l'alimento. Diminuendo perciò il numero degli Anopheles, localmente l'influenza potrà non essere grande, ma si dovrà far sentire nei dintorni, dove potranno anche in casi speciali scomparire gli Aropheles e quindi anche la malaria. (4) [A ciò hanno in parte provveduto due leggi recentemente votate]. (?) D'inverno non ho mai trovato larve di queste specie. — 238 — Ho voluto accennare a queste considerazioni, perchè se dovessi giudicare dalla sola esperienza fatta, dovrei arguire che la distruzione delle femmine ibernanti di Anopheies claviger non ha alcun effetto: tant'è vero che l'inverno 1898-99 a Mac- carese noi ne abbiamo fatto una continuata ed estesa distruzione, quale certamente riuscirà difficile di ripetere, senza ottenere nell'estate e nell'autunno una sensibile diminuzione del numero degli stessi Azopheles claviger. La Scuola d'Igiene di Roma si è molto occupata di distruggere gli Anofeli nelle case con sostanze chimiche. Celli aveva seritto nel 1899: « di tutti gli odori e di tutti i fumi provati e riprovati in laboratorio od in grande, corrisponde meglio una polvere da bruciare, composta essenzialmente di fiori chiusi di crisantemi, di radice di valeriana e di Larvicid (della casa Weiler-Ter-Mer di Uerdigen) ». Questa polvere è stata messa in commercio dalla Società chimico-farmaceutica italiana di Roma col nome di zarzolina; purtroppo, però, senza risultato e venne ormai abban- donata, per quanto a me consta. La miglior sostanza per preservare dalle punture delle zanzare è sempre il fumo di piretro () sotto forma di polvere, coni (Zampi- roni) ecc. (Barba). Si dovrà certamente tentare di distruggere le larve nell'acqua, ed anche per questa distruzione la Scuola d’'Igiene di Roma, dopo molti esperimenti, fece proposte così riassunte dal direttore prof. Celli: « Per la distruzione delle larve e quindi per la disinfezione delle acque che le allevano, tenuto conto della dose necessaria, della praticità e del prezzo, restano in campo le polveri vegetali (fiori chiusi di eri- santemi di Dalmazia), aleuni colori di Anilina (Larvicid) e il petrolio », quest'ultimo già proposto in America. A questo proposito devo dichiarare d'essere a poco a poco venuto nell'opinione che alla distruzione delle larve può esser riservato un avvenire più grande di quanto io non ritenessi in principio; infatti ho notato che in molti luoghi leggermente mala- rici il numero degli Azopheles è relativamente così limitato che anche i focolai donde provengono, devono essere senza dubbio facilmente aggredibili. In ogni modo non è già il compito gravissimo di distruggere la specie quello che noi ci propo- niamo; basterà già diminuire il numero degli Aropheles, per ottenere un notevole vantaggio per la salute pubblica e forse perfino la scomparsa della malaria. Vi sono poi delle località che sì prestano in modo singolare alla distruzione; così p. es. i piccoli stagni dell'Asinara dove sembra appunto che Fermi abbia ottenuto risultati brillantissimi. Conosco anche sul continente italiano, in vicinanza delle ferrovie, parecchi stagni, l'acqua dei quali non servendo per alcun uso speciale può essere messa senza alcun inconveniente in condizione da non dar luogo allo sviluppo degli Aropheles. Gioverà possibilmente impedire qualunque raccolta temporaria di acqua anche (4) Sarebbe opportuno render comune la coltura del piretro in quei luoghi malarici dove essa è possibile. Occorre perciò avere dai coltivatori della Dalmazia e del Montenegro il seme di buona qualità e le istruzioni opportune, ciò che non si otterrà facilmente temendo essi di perdere la spe- cialità per tale coltura molto proficua. +— 239 — in botti, vasi, ecc. nei luoghi malarici o vicino ad essi, perchè specialmente nei mesi in cui l’acqua è scarsa, possono diventare focolai di Aropheles (*). [Avendo cercato di mettere in pratica la distruzione delle larve di Amopheles, mi sono accorto che la bisogna è molto più difficile che non paia a tutta prima, perchè le acque in cui si sviluppano gli Azopheles sono spesse volte in continuo rinnovamento per quanto lentissimo ]. 4. Profilassi individuale (privata). Sì la cura (Vedi 1 di questo Capitolo) che la protezione (Vedi 2) e la distru- zione (Vedi 3) entrano nella profilassi privata; mi sembra che su questi punti non occorra ora ritornare. Voglio invece accennare come io mi sia persuaso fin dal 1899 che si otterranno incalcolabili vantaggi diffondendo nel popolo la conoscenza delle nuove scoperte intorno alla origine della malaria: così che tutti sappiano distinguere gli Amopheles e sap- piano guardarsi dalle loro punture. Molti individui vengono punti perchè non si curano di allontanare gli Anofeli che li assalgono, o perchè si espongono ad essi riposando per qualche tempo in luoghi ombrosi, nelle stazioni ferroviarie, ecc. Chi si trova obbligato a dormire in un luogo malarico non protetto da tele metalliche, deve bruciare nella stanza da letto polvere di piretro, razzìa, zampironi, ecc. Chi è costretto a dormire all'aperto deve provvedersi di una sorta di zanzariera che si può attaccare a due alberi, a due pali, ecc. La pratica certamente insegnerà molti altri mezzi di difesa; così, per esempio, i ventilatori elettrici, che in alcuni luoghi sono usati con profitto per allontanare le mosche, potranno forse servire con vantaggio anche contro le zanzare. To so per esperienza che una famiglia può, senza trascurar le proprie faccende, guardarsi efficacemente dagli Anofeli. I bambini in modo speciale possono facilmente venir preservati. Certamente se una qualunque puntura bastasse per infettarci di malaria, il peri- colo sarebbe così grande da poter essere difficilmente evitato. Al contrario esso è di solito, relativamente assai minore, perchè è difficile, in generale, che in un centinaio di Anofeli esaminati nell'epoca in cui la malaria è più grave, se ne trovino più di uno colle ghiandole salivali infette e quindi capace di infettarci; perciò molte punture possono riuscire innocue. Ciò spiega come certi individui prontamente s' infettino, ed altri per anni e anni riescano a sfuggire alla malaria; uno può avere la disgrazia alla prima pun- tura di avere inoculati i germi malarici, come può aver la fortuna di essere punto sol- tanto da Anofeli con le ghiandole salivali non infette e di sfuggire quindi all’ infezione. Una grande difficoltà incontrarono l’anno scorso alcuni, che cercarono di guardarsi dalle punture degli Azopheles: e ciò derivò dalla circostanza che in certi luoghi ma- () Risulta, da quanto ho detto, che io sono ben lontano dal seguire Gosio il quale giunge ad asserire che « non è sulla zanzara che dirigiamo la nostra lotta, anzi è a suo beneficio: infatti intendiamo preservarla dalla malaria. » (!) — 240 — larici pullulano anche i €. pipiens, per es., nelle stazioni ferroviarie. Ho dovuto perciò persuadermi che non si otterrà che gli individui si guardino dagli Aropheles, se non faremo prima scomparire i Culex pipiens i quali costituiscono spesse volte, là dove sono presenti, la gran maggioranza delle zanzare che ci pungono. La cosa è troppo naturale: guardarsi in un giorno da una dozzina di Amopheles è facile: ma se questi siano commisti con un centinaio di Cx/ex (non facilmente distinguibili in lontananza), la bisogna riesce difticilissima, quasi impossibile. Fortunatamente, come ho detto altrove, i focolai di Cu/ex pipiens in non poche località sono fino ad un certo punto limitati (per es. latrine, vasche, ecc.) e quindi l’opera di distruzione può essere intrapresa efficacemente da chiunque, servendosi del petrolio. L'efficacia di questa misura è risultata evidente nel 1899 dalle belle sperienze fatte da Fermi a Sassari ed è stata anche da me confermata specialmente alla stazione di S. Nicola Varco (presso Battipaglia). Uno dei principali vantaggi, che dobbiamo aspettare dalla scoperta degli Ano- feli malariferi, è senza dubbio la possibilità di affrontare impunemente il paese ma- lario per coltivarlo intensivamente. Prima della scoperta degli Anofeli, una famiglia che avesse ardito stabilirsi in un luogo malarico andava incontro a certi e gravi ma- lanni. Oggigiorno, adottando le norme indicate, essa può affrontare il pericolo sicura di riuscirne vittoriosa. Quando si pensi che il più grande ostacolo alla cultura intensiva è la malaria, la quale così viene a impedire il progresso di gran parte d'Italia, tarpando le ali a qualunque iniziativa, sorge nell'animo la profonda convinzione che, essendosi trovato modo di domare il morbo, saranno concesse anche all’ Italia ora malarica le gioie della fertilità. Certamente ai proprietarî incombono nuovi oneri, ma essi verranno compensati dalla agricoltura intensiva sostituita a quella estensiva presentemente in uso. A loro spetta di provvedere i contadini di abitazioni protette; deve cessare l'attuale uso di dormir nelle capanne improvvisate all'epoca della mietitura e della trebbiatura del grano, deve cessare l'uso di dormire nei pagliaj, ecc. A questo paragrafo, che si legge quasi tal quale nella prima edizione della presente opera aggiungerò che l'esperienza, fatta nell'ultima stagione malarica, ha dimostrato come veramente si possa aspettar molto dall'iniziativa individuale. La utilità del bonificamento umano e della protezione risulta a così breve scadenza e così evidente che basta l'esempio di una famiglia, la quale si mantenga sana per persuadere migliaia di increduli ed anche la gente più ignorante. Il proprietario una volta che siasi persuaso della verità delle nuove scoperte, s'adatta facilmente a proteggere e a curare i contadini i quali, una volta che hanno preso le febbri, lavo- rano poco e fiaccamente e mandano in lungo anche i lavori più urgenti. Gli stessi contadini, che alla tine della stagione vedono molto falcidiata la mer- cede della loro opera per tante giornate di febbri e che spesso devono consumare ogni loro risparmio per curare sè stessi e le loro famiglie attlitte dalla malaria, sì rassegnerebbero facilmente a indennizzare il proprietario delle spese, che occorrereb- bero per la preservazione. — 24l — 5. Bonifiche. Si domanda se di fronte ai nuovi mezzi, di cui si è parlato nei precedenti pa- ragrafi, le bonifiche restino sempre il metodo classico per liberarci dalla malaria. Veramente anche prima delle nuove scoperte si distingueva bonifica da bonifica, essendo risultato che i drenaggi, le colmate per mezzo delle terre portate dai fiumi e le colmate con acqua a livello costante riuscivano sempre efficaci, ancorchè si trat- tasse di luoghi gravemente malarici, mentre in questi luoghi i semplici scoli con canali scoperti e il prosciugamento degli stagni con macchine idrovore erano spesso di poca o nessuna utilità. Le ragioni per le quali alcune bonifiche riuscivano ed altre no, venivano cer- cate da Tommasi Crudeli e da' suoi scolari nel suolo che si considerava come fomite della malaria. Infatti ancora il 1° dicembre 1898 Celli pubblicava: « La malaria si sviluppa dalla terra e non dall'acqua: è quindi un pregiudizio che malaria e pa- lude siano sinonimi, che per togliere quella basti solo asciugar questa ». Perciò la bonifica in molti luoghi si riteneva difficilissima, anzi spesso impos- sibile, tanto che Giustino Fortunato, nel discorso del 6 dicembre 1890 ai suoi elettori, diceva: « Siamo in regioni tra le meno propizie, per difficili condizioni telluriche e climatologiche; nè oggi, dopo le ultimi indagini della scienza, può sorridere più a noi financo il sogno che ci ha sedotti fino a ieri: il gran sogno di redimere tanta parte del territorio dal fato della malaria ». Oggi la scienza ha dimostrato infondati questi giudizi che erano in realtà sem- plici induzioni: oggi abbiamo le prove più assolute che è fomite di Anofeli e quindi mantiene la malaria soltanto l’acqua scoperta, ferma o lentamente moventesi, bassa e più o meno ricca di vegetazione (a preferenza alghe) (per i focolai avventizi di Anofeli, vedi Capitolo II e V). Il suolo perciò non entra che indirettamente nel man- tener la malaria, per esempio in quanto esso non essendo permeabile facilita le rac- colte superficiali di acqua. Queste cognizioni spiegano facilmente perchè certe bonifiche, come quelle sopra citate non riescano. Basta infatti visitare la piana di Capaccio per constatare che l’acqua dei canali scoperti nei mesi caldi diventa scarsa, rallenta molto il suo corso e si trasforma in una palude, nella quale si riproducono rigogliosamente gli Anofeli. Lo stesso avviene nei canali scoperti di Ostia, dove si applica il prosciugamento con le macchine idrovore. Aggiungasi che molte bonifiche sono riuscite incompletamente perchè si credet- tero senza importanza i paludelli e i piccoli impaludamenti che in realtà sono straor- dinariamente propizi alla moltiplicazione degli Anofeli. In breve fin qui si bonificava soltanto empiricamente perchè non si conosceva donde provenisse il nemico da vincere; mentre oggi, invece, si può bonificare scien- tificamente, perchè il nemico è stato identificato in un animale macroscopico qual'è l'Anofele. fe È molto evidente che l'attuazione delle bonifiche e il loro successivo manteni- mento deve essere modificato concordemente col nuovo aspetto che ha assunto la que- stione dopo le recenti scoperte. Pagliani, in un recentissimo articolo, ha precisato le nuove massime a cui devono uniformarsi le bonifiche, con le seguenti parole: « Intenti precipui che si devono proporre le bonifiche dei terreni malarici secondo il concetto attuale della malaria, saranno dunque in singoli diversi casi: di rimuovere gl' impedimenti al movimento delle raccolte di acque stagnanti di qualsiasi impor- tanza; di attivare con ogni migliore mezzo tale movimento, quando si verifichi, ma troppo lento; di sistemare le sponde dei bacini lacustri, fluviali o palustri, che si prestino alla formazione di sottili strati di acqua, sia temporanei che permanenti, senza sufficiente ricambio; di prosciugare i depositi di acqua stagnante che non sì possono correggere in uno dei modi sopra indicati; di abbassare le falde acquee sotterranee, dove arrivino troppo vicine al suolo ». Le bonifiche, per quanto ho fin qui detto, acquistano dunque un'importanza su- periore a quella che avevano in precedenza, perchè oggi sappiamo eliminare gl’ incon- venienti, che fin ora si deploravano in non pochi casi. Bisogna tuttavia concedere che per questa eliminazione occorrono spese ingenti: i canali scoperti, per esempio, dovranno essere in muratura e forniti sul fondo di un cunicolo dove l'acqua scorra durante la magra, come mì ha suggerito il prof. Fichera. Sta tuttavia il fatto che sia perchè richieggono enormi capitali, sia perchè du- rano anni e anni, le bonifiche vengono ad essere cambiali a lunghissima scadenza, mentre la cura e la difesa contro gli Anofeli sono di effetto immediato. Si potrebbe perciò seriamente discutere il progetto di abbandonare le bonifiche se queste non avessero grande importanza dal lato agricolo. In realtà le opere di bonifica non sono soltanto utili all'igiene, ma sottraendo il terreno alle acque e, rego- larizzandone il corso, favoriscono grandemente l'agricoltura intensiva. La bonifica deve dunque compiersi anche senza che lo richiegga l'igiene, e ciò vuolsi ben fissare affinchè non nascano equivoci. Inoltre è d'uopo stabilire che non esiste alcuna essenziale contraddizione tra la bonifica agraria e la bonifica igienica, tranne in casi eccezionali, quale, ad esempio, la risicoltura, la quale, però, come mi osservava il competentissimo ing. Cerletti, è di- ventata così poco proficua che nessuno potrebbe proporla come nuova coltura nelle parti d'Italia, dove essa ancora non si usa. Per qualunque altra coltura raccoman- dabile in Italia, osserva sempre Cerletti, basta durante la stagione malarica, ogni tre settimane circa, una buona pioggia, ovvero una corrispondente quantità di acqua di irrigazione; il terreno deve inzupparsi, ma non è necessario che l’acqua si rac- colga, o sosti in alcun punto. Orbene costituendo invece le acque stagnanti, o quasi, il focolaio dal quale si sviluppano le zanzare malarifere, risulta che se nei luoghi dove l'agricoltura è intensiva, si sviluppa malaria, ciò devesi a mancanza di cautele, ma non è conseguenza necessaria dell'agricoltura. A proposito della bonifica agricola devo aggiungere che nei primi tempi io cre- detti che si potesse ottenere grande vantaggio dalla drr/gazione intermittente. Pur- troppo però le ricerche di Celli e Casagrandi vennero prontamente a disilludermi, — 2 = avendo essi dimostrato che le larve e sopratutto le ninfe degli Anofeli trovano assicurata la vita anche nelle paludi intermittenti, perchè sopravvivono parecchi giorni nel terreno più o meno umido. In conformità a queste osservazioni Celli verificò che gli Anofeli si sviluppano anche in quelle risaie, la cui sommersione dura appena due o tre giorni della settimana, mentre negli altri giorni vengono tenute all’ asciutto. Mi restava però ancora una speranza, che potesse giovare, cioè, l'irrigazione intermittente, con frequentissimi intervalli, purchè, s' intende, non desse luogo a poz- zanghere. Io mi basavo su un lavoro del Bonizzardi pubblicato nel 1889 (7). Egli sostiene che nei poderi di S. Maria a Pralboino la coltivazione del riso è diventata meno funesta perchè un più razionale mezzo di coltivazione fa sì che dall'epoca della mondatura fino a quella della falciatura la sommersione del riso corra in modo affatto intermittente, alternando quotidianamente la sommersione notturna coll’ asciugamento diurno. Per spiegarmi l'osservazione empirica di Bonizzardi io supponeva chè le uova di Anofele non potessero svilupparsi per effetto appunto dei prosciugamenti quotidiani ; io ritenevo, cioè, che le uova degli Anofeli fossero molto meno resistenti delle larve e delle ninfe. Pare che anche Celli e Casagrandi siano stati dello stesso avviso, e perciò non ne abbiano saggiata la resistenza ai varî agenti naturali. Mi fece perciò meraviglia di leggere nel Report (76) di Ross e colleghi queste parole: « Uno di noi fece un'osservazione tendente a dimostrare che le uova di Anofele resistono per parecchi mesi al disseccamento; ma ciò richiede conferma. ». Rileggendo più tardi le riviste di Nuttall (65) appresi che l'osservazione, di cui qui si parla, era stata fatta da Ross. Si trattava di uova di Anofeli che erano state messe in una provetta alla metà di febbraio. Esse vennero tenute completamente asciutte fino alla metà di luglio, poi messe in acqua dalla quale nacquero larve, le quali più tardi morirono tutte. La circostanza però che la spedizione Ross dell’ estate scorsa non ha portato alcun nuovo fatto in appoggio della suddetta osservazione di tanta importanza, sembrava deporre contro di essa e fu soltanto un eccesso di scrupolo che mi mosse a tentar qualche prova insieme con Noè. Con nostra meraviglia verificammo che le uova di A. cla- viger possono resistere notevolmente al disseccamento. Abbiamo dimostrato che le uova deposte da poche ore vanno avanti a svilupparsi producendo larve vitali, perfino dopo essere essere state 12 giorni (dal 4 al 16 aprile) a temperatura ordinaria del- l'ambiente, in una provetta di vetro asciutta alla quale erano restate appiccicate. (Noi non abbiamo potuto confermare questo fatto per le uova deposte da un tempo maggiore). Ciò che vale per l'A. elaviger potrebbe anche valere per altre specie di A40- pheles e in particolare per le specie tropicali; queste potrebbero benissimo soprav- vivere durante la stagione asciutta nel terreno allo stadio di uovo, come lascia pre- sumere la riportata osservazione di Ross (°). (2) Fatti simili sono già noti per i crostacei inferiori di acqua dolce (P%ky/lopoda), le cui uova possono resistere non solo al disseccamento, ma anche al congelamento, come probabilmente avverrà anche per quelle di Anofele. Ser odi a Comunque sia, il fatto positivo sopra esposto fa diminuire molto la fiducia nel- l'irrigazione anche a brevissimi intervalli e perciò anch'io, insieme ad altri, giudico soverchiamente ottimiste le tendenze di Bonizzardi. Ben poca speranza, perciò, si può riporre nella irrigazione intermittente. Invece si otterranno forse buoni risultati anche con un piccolo ma costante mo- vimento degli strati superficiali dell'acqua, rendendola così disadatta alla vita degli Anofeli. Questa mia opinione è basata sulla circostanza che non ho trovato larve di Anofeli nei bacini in cui cadono zampilli d’acqua, anche se tali bacini erano situati in luoghi dove gli Anofeli abbondavano. Questa è di certo la ragione per cui le fontane che adornano i giardini, non favoriscono lo sviluppo della malaria. La pratica solo può dimostrare fino a che punto sia attuabile il lieve, ma con- tinuo movimento dell’acqua, che io suggerisco. Rammento qui occasionalmente che il dottor Peglion ha richiamato la mia at- tenzione sul vantaggio che verrebbe all'agricoltura se si potesse impedire la molti- plicazione delle piante palustri nei corsi d'acqua, facendoli percorrere di tanto in tanto da speciali macchine. In questo modo l'irrigazione verrebbe ad essere molto meno costosa. Io sono d'avviso che ciò porterebbe anche un non lieve vantaggio all'igiene, ostacolando lo sviluppo degli Anofeli. [Il tener le acque pulite da ogni vegetazione riesce utilissimo contro la malaria, come dimostra il risanamento estivo del fiume Oreto vicino a Palermo (Relazione di Celesti. Palermo, Tip. Virzì. 1901)]. Non posso abbandonare l'argomento della bonifica agraria senza tornare ai casì eccezionali, in cui la bonifica agraria è in contraddizione con quella igienica. Ho già nominato la risicoltura che certamente non può venir proibita laddove è in uso; citerò anche il caso di molti latifondi dove la malaria proviene da pochi impaludamenti che non possono venir tolti o senza grande spesa, o senza privare di erba fresca il be- stiame nei mesì più caldi. In questi e in simili casi il dissidio tra l'agricoltura e la bonifica igienica può esser deciso a favore dell'agricoltura, purchè si adottino la boni- fica dell'uomo e la sua difesa. Mi permetto anzi di aggiungere come io sia convinto che tra non molti anni per effetto della bonifica dell’uomo e della sua difesa non occorrerà più temere i focolai di Anofeli, perché questi non troveranno più malarici con cui infettarsi. 6. Riassunto. La redenzione dell’ Italia malarica dopo le nuove scoperte è diventata pos- sibile con mezzi differenti da quelli a cui precedentemente si ricorreva: con altre parole si può vincere la malaria invece che colle bonifiche del suolo e colla con- seguente coltura intensiva, colla bonifica dell'uomo combinata colla protezione. Questo metodo nuovo ha di fronte all’ antico il grande vantaggio di essere applicabile immediatamente con immediati effetti e con sacrifici pecuniari relati- ed vamente molto esigui. Le bonifiche del suolo non possono tuttavia venir trascurate perchè spesse volte senza di esse non è possibile la coltura intensiva tanto neces- saria per il benessere economico del nostro paese. I nuovi dati della scienza permettono di condurre a termine le bonifiche del suolo senza quei sacrifici di vite umane che finora esse richiedevano; insegnano a regolar le bonifiche in modo che riescano completamente allo scopo dal lato igienico e a raggiungere questo scopo, ancorchè esse siano imperfetto. ame CAPITOLO X. Breve Relazione dell’ esperimento fatto sui ferrovieri nella Piana di Capaccio in provincia di Salerno nel 1900 sotto la direzione del prof. B. Grassi (). I. Concetti direttivi dell'esperimento. Chiunque ha letto la prima edizione di questa Memoria sa che io in parte da solo, in parte in collaborazione, sono arrivato alla conclusione fondata su ricerche dirette microscopiche e sperimentali che la malaria viene propagata esclusivamente da peculiari zanzare, ossia dagli Anofeli. Questa conclusione non era accompagnata da una controprova dimostrante irrefragabilmente che, evitando la puntura degli Ano- feli, si evitavano in modo assoluto le febbri. Era questa una prova empirica, la quale tuttavia per il pubblico e per gli stessi medici non addentro nello studio delle scienze naturali, aveva fondamentale importanza, affine di sfatare la tanto ripetuta opinione che la malaria si propagasse non soltanto per mezzo degli Anofeli, ma anche per altri mezzi. Del resto una tale prova riusciva anche dal punto di vista pratico, molto utile perchè valeva anche come esperimento di profilassi contro la malaria secondo le nuove scoperte. Già due anni fa (settembre 1898) avevo fatto un piccolo esperimento incompleto, ma incoraggiante (27). Nel 1899 ne avevo fatto un altro più provativo (33) e avevo dato per il primo l'esempio di dormire d'estate in luogo gravissimamente malarico colle finestre aperte, protette soltanto dalle reticelle metalliche. Nello stesso anno 1899 il prof. Celli con intendimento, però, esclusivamente profilattico, fece un altro esperimento, sul personale delle ferrovie, di molto maggior durata. I risultati di questo esperimento, secondo l'ispettore sanitario Baldi, si potevano dire soddisfacenti e incoraggianti (3). Un esperimento tendente a dimostrare che la malaria viene propagata esclusi- vamente dalle zanzare aveva fatto anche il prof. Di Mattei (11). Esso è stato di maggior (2) Questo capitolo è un riassunto della Relazione estesa pubblicata dalla Società Ferroviaria Mediterranea. Milano, Tipografia Civelli 1901. Per questa Relazione collaborarono i Dottori Marti- rano e Gilblas. — 247 — durata del mio ed è certamente interessante, per quanto fatto in una stagione (dal 7 ottobre all'8 novembre), nella quale l'epidemia malarica è, per lo più, già mitigata (*). Non bisogna dimenticare un altro esperimento, fatto dal prof. Fermi insieme al dott. Tonsini (14), all'isola Asinara, il quale pure aveva dato risultati soddisfacenti. Bisogna confessare che tutti questi esperimenti, per quanto interessanti e fatti da persone autorevoli, non potevano ritenersi decisivi e non bastavano a persuadere il pubblico medico, il quale, a furia di fare obiezioni, aveva finito per far nascere perfino nel mio animo, forse troppo inclinato al dubbio, un vago sospetto, direi quasi una sorta d’incubo che restasse ancora a svelare qualche lembo del mistero, onde era avvolto il modo di prendere le febbri. Del resto il pubblico ha ben ragione di essere scettico quando ricorda le tante delusioni patite in casi simili! Tenendoci nello stretto campo della malaria in rapporto con le ferrovie, non mancano esempi di speranze riuscite fallaci, così la piantagione di eucalipti, così la profilassi arsenicale. Si ricordino a riguardo di questa ultima gli esperimenti, che sembravano decisivi, fatti, per esempio, alla stazione di Bovino dove su 39 ferrovieri trattati con arsenico 36 rimasero immuni e 3 ebbero soltanto febbri lievi, mentre altri 39 ferrovieri di controllo nella stessa località caddero malati di febbre. Questo esperimento ripetuto in altri punti, serive Celli, ebbe un risultato ugualmente favo- revole. Ciò non ostante, Celli stesso, uniformandosi all'opinione universalmente accet- tata, ne induce solamente che la profilassi arsenicale potrebbe essere di qualche utilità. D'altra parte nè la breve esperienza fatta da me l’anno scorso, nè i dati forniti dai miei illustri colleghi bastavano a rendermi cognito di 4utfe le difficoltà che s' in- contrano in pratica vivendo nei luoghi malarici, quando si vuol preservarsi dalle febbri. Questi ed altri motivi secondarî che qui sarebbe inutile riportare, mi persuasero a intraprendere un esperimento, del quale si rende conto in questo lavoro. To sapevo che sopratutto per iniziativa dell'instancabile prof. Celli, contempo- raneamente al mio si sarebbero fatti parecchi altri esperimenti di profilassi. Se ciò nonostante persistetti nel mio proposito ad onta dei gravi sacrifizi, a cui andavo incontro, fu per i seguenti motivi: 1°. Io avevo bisogno di togliere dal mio animo quell’incubo, di cui sopra ho fatto cenno. 2°. Io intendevo di condurre l'esperimento con criterî miei proprî: fare un solo esperimento, ma seguirlo in tutti i suoi particolari. 3°. Mi tenevo sicuro che un simile esperimento fatto da uno zoologo avrebbe messo in luce qualche lato, che sarebbe stato trascurato dall'igienista; in quella stessa maniera che l'igienista avrebbe potuto rilevare qualche cosa che sarebbe sfuggita allo zoologo. (*) Non mi sembra di meritare l'appunto, mossomi dall’egregio collega, di aver fatto il mio esperimento senza le cautele necessarie a dargli un carattere strettamente scientifico. Penso che il traduttore tedesco abbia male interpretato il pensiero del prof. Di Mattei anche perchè gli fa dire che il suo esperimento è contemporaneo al mio, mentre in realtà il mio è precedente di qualche mese. — Lola Riserbando alla Relazione speciale, che segue questa mia introduzione, di entrare nei particolari, voglio fin d'ora richiamare l’attenzione sopra le due norme fondamen- tali che mi hanno guidato. La prima consisteva nella cura scrupolosa degli individui ancora malarici nella stagione non malarica, vale a dire nell'epoca in cui gli Anofeli non sono ancora infetti. Come ho dimostrato nel Capitolo IX, la guarigione di un individuo prima o all’ i- nizìo della nuova stagione malarica, riesce più efficace di cento guarigioni durante la stagione malarica (s'intende in luoghi non protetti). L'altra norma fondamentale consisteva nella preservazione dalle punture degli Anofeli durante la stagione malarica, con mezzi meccanici, specialmente con l’ uso delle reticelle metalliche, da me per il primo proposto e messo in pratica. A me sembra che questa norma fosse alquanto differente da quella seguita da Celli nel 1899 non soltanto per l’uso della tela metallica invece di quella amidata, ma anche perchè io non ricorreva, che in via tutto affatto secondaria, ai mezzi chimici di protezione. Sul Giorno del 26 agosto 1900 il dott. Alfredo Garofalo fece un resoconto delle esperienze del prof. Celli nell’agro romano. Questo resoconto mi persuase a farne un altro dell’ esperimento da me diretto, però a stagione molto più inoltrata, cioè il 16 set- tembre 1900. Il 20 ottobre uscì un resoconto ulteriore degli esperimenti fatti e promossi dal prof. Celli, il quale quest'anno ha, come me, adottato la protezione colle reti metal- liche, abbandonando, a quanto sembra, la zanzolina. Con piacere ho preso notizia dei risultati da lui annunziati, aventi certamente grande valore pratico. Per poterli convenientemente valutare occorre però una rela- zione minuta e non un sommario, come quello che finora abbiamo sottocchio. [Abbiamo sottocchio la Relazione definitiva del prof. Celli, nella quale non viene — affatto detto che gl’'individui preservati, durante l'esperimento non abbiano usato chinina; del pari non risulta che essi fossero così minuziosamente sorvegliati da esclu- dere qualunque fonte di errore. Il grande valore pratico dell'esperimento di Celli resta però indiscutibile]. Non devo infine dimenticare l'esperimento fatto dagli Inglesi nell'ultima stagione malarica (1900), vicino a Roma. Quattro persone adulte passarono impunemente circa tre mesi (circa dal 15 luglio al 15 ottobre) in luogo gravissimamente malarico, proteg- gendosi soltanto dalla puntura delle zanzare. È mio obbligo di qui mettere chiaramente in luce che se l'esperimento da me diretto è riuscito si deve in parte non piccola all'opera de' miei collaboratori i quali, chi in un modo chi nell'altro, mi vennero in aiuto. Essi sono il dott. Martirano, vice- direttore dell'esperimento, il dott. Blessich, il dott. Gilblas e il dott. Druetti. È d'uopo segnalare che l'esperimento venne fatto in parte notabile a spese della Società ferroviaria Mediterranea, in parte col concorso della Società contro la malaria, all'uopo sussidiata dal Ministero dell’ Interno e dal Ministero di Agricoltura, Indu- stria e Commercio, in parte infine col provento della conferenza da me tenuta il marzo 1900 alla presenza di S. M.Jla Regina d'Italia. A tutti porgo i più vivi ringraziamenti e mi compiaccio di nominare in particolar modo il Direttore Generale della Mediterranea Comm. avv. Oliva, l'ing. Zanotti, che — 249 — tanto s'interessò per la buona riuscita dell'esperimento, il Comm. Ing. Maraini, il Comm. Avv. Scolari, e il Comm. Galli, tutti pure della Mediterranea: S. E. Berto- lini, S. E. Carcano e S. E. Saracco: l'On. Fortunato e l'On. Celli, della Società contro la malaria. II. Resoconto dell'esperimento (°). L'esperimento ebbe dunque un duplice scopo: I. — Provare in modo assoluto ciò che il microscopio aveva già rivelato, vale a dire che la malaria si prende esclusivamente colla puntura di peculiari zanzare: gli Anofeli. II. — Vincere le difficoltà che possono incontrarsi nel mettere in pratica i nuovi dettami della scienza, desumendone le norme da adottarsi per liberare in pochi anni l'Italia della malaria. Si doveva anzitutto determinare su chi e dove fare l'esperimento. Siccome esso veniva in gran parte fatto a spese della Società Ferroviaria Mediterranea, era natu- rale che il beneficio, che se ne attendeva, andasse a profitto dei ferrovieri che furono perciò preferiti. Quanto alla scelta della località dopo molte considerazioni, udito sopratutto il parere dell’ Ispettore Sanitario Blessich che conosce esattamente le zone malariche della Mediterranea, si è deciso di preferire la piana di Capaccio, nella provincia di Salerno. Questa regione, che comprende anche Pesto, è tristamente famosa: il volgo la dice malaricissima. Durante la stagione malarica tutti quelli che possono, se ne allontanano, anche a costo di gravissimi sacrifici. Non migrano dalla piana soltanto le famiglie dei pro- prietarî e dei loro ministri, ma anche quelle dei contadini e dei ferrovieri. Il pro- prietario, o ministro del proprietario, che ha affari urgenti, il cantoniere che deve prestare servizio diurno, vengono alla piana o in carrozza, o in ferrovia, quando il sole è già levato e se ne vanno possibilmente prima del tramonto. È uno spettacolo che stringe il cuore il vedere tanti poveri contadini incamminarsi, quando il sole è ancora piuttosto alto, verso le colline; si recano ad Eboli, ad Altavilla, ad Albanella, a Ca- paccio e fino ad Ogliastro, percorrendo faticosamente otto, dieci, quindici chilometri di strada in salita per poter pernottare in una località, non sana, ma relativamente poco malarica. Il mattino seguente le stesse carovane si vedono comparire alla piana dopo la levata del sole. Nonostante questi sacrifici, non pochi contadini punti, per lo più strada facendo, dalle zanzare malarifere, cadono preda delle febbri, che non risparmiano neppure i proprietarî, i loro ministri, i cantonieri, ecc., benchè si espon- gano meno dei contadini e facciano molto uso di chinina. Che dire poi di quelli che, spinti dalla fame, affrontano giorno e notte, per tutta la stagione malarica, il clima immite della piana? Essi vergono dilaniati dalla ma- (4) Nella citata Relazione sì trovano tutti i più minuti particolari. Questo RESOCONTO È srATO REDATTO DA ME IN COLLABORAZIONE COL DOTT. MARTIRANO. 32 — laria dn modo orribile. In breve si può asserire che Pesto e Capaccio hanno con- servato quella trista fama per cui erano già tanto temuti all'epoca dei Romani. La ragione di queste tristissime condizioni risalta evidente a chiunque percorre la piana in discorso. Questa presenta infatti un ambiente favorevolissimo allo sviluppo delle zanzare malarifere, sia per le condizioni geologiche del terreno propizie alla formazione di paludi, sia peri corsi d'acqua che danno luogo ad estesi straripamenti e allagamenti per mancanza di sistemazione del loro corso e della loro foce, sia per i canali di bonificamento mancanti di sufficiente pendenza, sia per le cave di prestito delle ferrovie, sia infine per le conseguenze del diboscamento dei monti. Noi avevamo perciò la sicurezza che se anche l'annata fosse stata in generale di malaria poco intensa, come nell’anno passato, il nostro esperimento sarebbe stato tuttavia provativo, perchè, come dice il volgo, i santi protettori della piana #7ngoro tutti senza eccezione, in qualunque annata. La località da noi scelta è insomma tra le più malariche d'Italia. La lontananza della nostra residenza era certamente una condizione sfavorevole, ma essa veniva compensata dal trovarsi il nostro campo di esperimento nel cuore dell’Italia meri- dionale, dove 4 priori si supponeva che le difficoltà da vincere per guardarsi dagli Anofeli potessero essere maggiori, sia per la temperatura più elevata, sia per la possibile presenza degli Aropheles bifurcatus e superpietus, oltre all''Aropheles claviger. L'esperimento (Tavola VI) si fece dunque sulla linea Battipaglia-Reggio di Ca- labria e si limitò agli abitanti di dieci caselli, della fermata (stazione) di S. Nicola Varco e della stazione di Albanella, dal km. 5,024 al km. 17,117 (9). Lasciammo indietro i caselli precedenti il 5,024 a chi viene da Battipaglia, perchè secondo il giudizio molto attendibile degli ingegneri di riparto e del medico consor- ziale, in essi la malaria non è di grado superlativo. L'esperimento venne interrotto dall'altro estremo al casello limitrofo alla stazione di Capaccio, non già perchè la malaria quivi diminuisca, ma perchè nella nostra zona d'esperimento erano già cer- tamente incluse località di malaria non meno intensa di quella di Capaccio e delle vicine località (Pesto e Ogliastro). Noi contavamo di aver compreso nell'esperimento non meno di 50 persone. Come esporremo subito, il numero fu invece più del doppio perchè non pochi, lusingati dalla promessa di premi se ci avessero obbediti e suggestionati dalla nostra assicurazione di poterli preservare, si fermarono sul luogo, pronti però a partire al primo caso di febbre di qualche importanza che si fosse verificato. Come risulta dagli allegati annessi alla Relazione in esteso, gli agenti ferroviarî insieme con le rispettive famiglie nella zona di esperimento, che diremo per brevità zona protetta, erano 104. Aggiungasi che settimanalmente io ho passato sul luogo durante la stagione malarica circa tre giorni, dormendo due notti ogni settimana colla finestra aperta alla stazione di Albanella, ciò che fecero pure per una durata minore il dott. Mar- tirano e il dott. Blessich. Il dott. Gilblas ha visitato giornalmente tutto il personale, (4) Il casello 15,405 restò sempre disabitato. — 251 — dormendo ad Albanella perfino quattro o cinque notti per settimana. Anche il cav. Druetti è stato sul luogo parecchi giorni alla settimana, talvolta anche pernottandovi. Inoltre uno studente di medicina soggiornò dal 24 luglio al 10 agosto alla stazione di Alba- nella. Così fece anche dal 7 agosto al 2 ottobre un cocchiere, e un agente del ha- rone R. dal 15 luglio al 15 settembre. Gli individui in esperimento furono dunque in tutto 112, tacendo di alcuni altri, che fecero sul luogo un soggiorno molto breve, o intervennero soltanto a stagione molto inoltrata. Tenendo presente che i bambini sono colpiti a preferenza dalle febbri, è bene far rilevare che tra i 112 individui erano compresi 32 bambini al di sotto degli 11 anni. A questi 112 individui vennero applicate le due norme fondamentali, bonifica- mento, cioè, nella stagione non malarica e preservazione dalla puntura degli Anofeli durante la stagione malarica. La stagione malarica nella piana di Capaccio comincia, a detta del popolo, verso la festa di S. Antonio che cade il 13 giugno. Questo dato coincide presso a poco con quello riguardante la Campagna Romana che, a detta pure del popolo, diventa pericolosa dopo la prima settimana di giugno. Per cercare di dare una base positiva a questi dati empirici, durante la stagione non malarica sopratutto nella seconda metà di maggio e nella prima di giugno, ven- nero esaminati moltissimi Anofeli provenienti sì dalla Campagna Romana che dalla piana di Capaccio; e presso a poco conformemente a quanto io aveva trovato fin dall'anno scorso, il primo Anofele con le ghiandole salivari infette fu trovato sì nella Campagna Romana (a Maccarese) che nella piana di Capaccio il 14 giugno, ossia il giorno seguente la festa di S. Antonio. Data la grande difficoltà di distinguere i casi primitivi dalle recidive, sopratutto quando si tratta di terzana ordinaria, non possiamo fissare con sicurezza quando siasi verificato il primo caso d’infezione nella piana di Capaccio, nella quale erano in molto piccol numero gl'individui, che non avessero avuto febbri nell'ultima stagione mala- rica. Fatto sta che il 26 giugno si manifestò la terzana ordinaria nella figlia di un guardiano abitante vicino a Pesto, cioè a qualche chilometro di distanza dalla nostra zona di esperimento. La ragazza in discorso proveniva da un luogo sano e non aveva mai sofferto di malaria. Questo caso, certamente primitivo, è stato per noi il segno sicuro che l'epidemia malarica era cominciata. Ciò era stato, del resto, da noi quasi previsto, calcolando i giorni necessarî per l'incubazione, quando il 14 giugno tro- vammo il primo Anofele infetto nelle ghiandole salivari. Cominciamo a render conto del borificamento umano nella stagione non ma- larica. Il bonificamento umano del nostro esperimento cominciò troppo tardi, cioè a partire dal 25 marzo. A quell'epoca si trovavano già sul luogo molti (cioé 82) degli indi- vidui che formarono oggetto dell'esperimento. Per gran parte erano in preda alle — 252 — conseguenze della malaria degli anni precedenti; in parecchi le febbri si ripetevano di tanto in tanto (evidenti recidive). Lo spettacolo che ci presentava questa gente prima che cominciasse il bonificamento, era rattristante; sopra tutto facevano pietà quelle famiglie, le quali avevano passato sul luogo tutta la stagione malarica del- l’anno scorso. La cura ricostituente fu applicata soltanto a 61 individui; si trascurarono quelli che si riteneva non avessero avuto febbri da anni, o che allora intendevano allonta- narsi dal luogo d'esperimento durante la stagione malarica. Più tardi in diversi mesi arrivarono gli altri 22 individui che mancavano all'esperimento; di essi 8 fecero la cura ricostituente, ma molto incompleta. La somministrazione settimanale della chinina venne applicata a cominciare dal 25 aprile soltanto a coloro che dicevano di aver avuto febbri presumibilmente malariche durante l'inverno. Essi erano in numero di 38; 3 di essi (“) invece di prendere la chinina fecero una cura completa di esanofele. Si può ritenere per certo che la maggior parte di questi 38 individui fece scrupolosamente la cura della chinina, o dell’esa- nofele. La cura delle recidive fu, in generale, troppo breve e qualche volta, special- mente in casi di un semplice attacco febbrile non ripetutosi, purtroppo venne tra- scurata. Il bonificamento essendo stato, come si disse, incominciato tardi, venne continuato fino a stagione malarica iniziata, cioè fino al 25 giugno, anzi a 5 persone, che avevano avuto recidive dopo il 25 marzo, la somministrazione della chinina fu continuata per altre due settimane. In ogni modo, il bonificamento è stato incompleto in molti individui. Su altri non venne fatto, mentre invece come è detto nel Capitolo IX, dovevasi appli- care a tutti gli individui, che nell’ ultimo biennio avevano soggiornato în luogo malarico. In marzo sì ebbero 8 recidive, in aprile 18, in maggio 7, circa nella prima metà di giugno 7; in tutto recidivarono durante il periodo di bonificamento 29 individui, alcuni ripetutamente. Su questo numero delle recidive si può fare qualche discussione essendosi spesso somministrato la chinina prima che l'esame del sangue avesse dato risultato positivo. In ogni modo se vi può essere stato qualche errore nel computo delle recidive, se ne è contata qualcheduna di più, ma nessuna di meno. Le cure ricostituenti e la chinina al finire del bonificamento (25 giugno) avevano prodotto in generale quei notevoli effetti, che già altre volte nella sua lunga esperienza aveva avuto campo di osservare l'ispettore sanitario Blessich, vale a dire che se si eccettuano alcuni casi di malattie totalmente estranee alla malaria, tutti gli indi- vidui in esperimento stavano bene, benchè le traccie delle febbri subìte precedente- mente non fossero scomparse, ma soltanto più o meno attenuate. Non vogliamo però attribuire tutti questi benefici al bonificamento, perchè, com'è notorio, nei mesi in cui si fece il bonificamento che sono quelli più lontani dall'ultima epidemia malarica, (“) Due vennero dimenticati nel resoconto sommario dell’esperimento, — 253 — si suole notare nei paesi malarici un certo progressivo miglioramento anche senza alcuna cura speciale. È qui d'uopo aggiungere che il bonificamento venne esteso ad un certo numero di caselli precedenti e susseguenti (91 persone circa) quelli del nostro esperimento. Alcuni dei 104 individui in esperimento non avevano mai in vita loro sofferto di febbri malariche. Dobbiamo confessare che il numero di questi individui in principio era da noi ritenuto superiore a quello che venimmo a determinare più tardi, di mano in mano che escludemmo tutte le fonti di errore. Oggi sappiamo che dei 104 indi- vidui di cui sopra abbiamo parlato, soltanto dieci con certezza non avevano mai avuto febbre; tuttavia molto verosimilmente non l'avevano avuta altri otto circa. Passiamo ora al periodo in cui infierì l'epidemia malarica. Questo periodo viene da noi compreso fra il 26 giugno e il 14 ottobre. Sulla data 26 giugno non occorrono ulteriori spiegazioni. La data 14 ottobre è invece arbitraria, essendo certo che la ma- laria continua a farsi sentire sino alla fine di dicembre (nella Campagna Romana). Noi però abbiamo creduto di chiudere, almeno fino ad un certo punto, l'esperimento al 14 ottobre perchè mentre da una parte per giudizio di tutti l'esperimento si poteva giudicare compiuto e splendidamente riuscito, dall'altra io non potevo più concedere ad esso la mia direzione continua. Esponiamo dunque i principali fatti che abbiamo verificato dal 25 giugno al 15 ottobre. I 112 individui compresi nell'esperimento godettero sempre buona salute con pochissime eccezioni che passiamo a precisare. Distinguiamo i casi di malattia certamente non di natura malarica da quelli di natura malarica. I primi casi, tacendo di alcune indisposizioni insignificanti, furono quattro (bronco-polmonite, bronchite, reumatismo, gastro-enterite). Possiamo assicurare che la febbre che accompagnò in parte queste malattie, ci mise in un allarme che si dimostrò infondato collo studio del malato, colla curva termometrica, coll’ esame microscopico del sangue prolungato e ripetuto a brevi intervalli e infine anche colla cura, dalla quale si escluse in modo assoluto la chinina. 1 casi di febbre malarica furono cinque; in un caso però si fece la cura prima che il reperto microscopico del sangue fosse indiscutibilmente positivo. Tutte cinque questi casi ebbero brevissima durata e guarirono senza alcuna recidiva. Nei Prospetti dell'Allegato A della citata Relazione in esteso si legge la storia di questi casi di cui qui perciò daremo soltanto un brevissimo cenno. Cominciamo a costatare che quattro dei cinque casi riguardano individui, che non avevano fatta la cura della chinina, e l’altro riguarda una bambina che il 7 giugno aveva avuto un piccolo accesso di febbre estivo-autunnale, allora non stata diagno- sticata e perciò non curata. I. Il primo caso si verificò il 27 giugno e consistette in un semplice accesso di terzana ordinaria, che durò tre ore. L'accesso si sviluppò ventiquattro ore dopo gravi strapazzi. — 254 — Il paziente in marzo, nonostante che presentasse grosso tumore di milza, ei aveva assicurato di non aver avuto febbri da tre anni e mezzo, mentre successiva- mente apprendemmo che non molto tempo prima ne aveva sofferto. — Perdette un giorno di lavoro. II. Il secondo caso, verificatosi il 24 luglio, è stato sotto parecchi aspetti simile al primo e si limitò pure quasi a un semplice accesso tipico di febbre lersana estivo-autunnale, in seguito a ripetuti strapazzi. Si trattava di un individuo che aveva tumore di milza, ma si vantava di non aver mai sofferto di malaria, mentre più tardi si seppe che aveva avuto qualche febbre anche l’anno scorso. Prima di questo accesso aveva in diverse epoche pernottato ad Eboli, località ‘dove eccezio- nalmente quest’ anno la malaria non fu lieve. Venne sollecitamente curato, guarì subito della febbre, non recidivò, nè presentò semilune nel sangue. — Perdette due giorni di lavoro. III. In agosto non si verificò alcun caso di febbre. Invece nella prima decade di settembre abbiamo avuto un caso estivo-autunnale, col tipo di quotidiana senza brivido iniziale in un individuo che era venuto nella zona d'esperimento soltanto l' 11 maggio. Egli aveva sofferto molto di febbri di tipo quotidiano, che non l'avevano mai lasciato del tutto, ma le nascondeva temendo l’uso della chinina, alla quale i medici avevano attribuito certi suoi disturbi visivi. Del resto è persona che spesso non avverte nem- meno l'aumento di calore e colla febbre a 39° dice di star bene. Dopo parecchi giorni di febbre fu curato, non recidivò, nè presentò semilune nel sangue. — Mon perdette alcun giorno di lavoro. IV. Il quarto caso riguarda la bambina, di cui abbiamo già fatto cenno. L'in- verno precedente aveva sofferto a lungo le febbri, che avevano fatto grande impressione al suoi genitori, perchè si ripetevano due volte al giorno, spesso tutte e due le volte precedute da brividi. Il 7 giugno ebbe un accesso di febbre da noi non presenziato e non ripetutosi ad onta della mancata cura. Si fecero allora i preparati di sangue a secco, ma si tralasciò di esaminarli. Dal 22 al 24 settembre presentò accessi di febbre estivo-autunnale, che si possono dire di tipo uguale a quelli di cui aveva sof- ferto l'inverno precedente. Esaminati allora i preparati del giugno si constatò in essi la presenza dei parassiti estivo-autunnali. Anche questa bambina curata prontamente, guarì subito della febbre, non recidivò, nè presentò semilune nel sangue. V. Il quinto caso cominciò il 2 ottobre; è stata una febbre quotidiana tipica in un ragazzo, in seguito a lavori più faticosi e di più lunga durata del solito. Il 4 ottobre venne chinizzato nonostante che l'esame del sangue non fosse sicuramente positivo; guarì subito della febbre e non recidivò ulteriormente. È molto importante rilevare che tutti e cinque gl'individui in discorso in seguito alla cura prolungata (chinina e esanofele), non soltanto guarirono, ma acquistarono un aspetto florido, quale non avevano mai avuto nei mesi precedenti, il che farebbe supporre, che allora in questi individui la malaria fosse latente. Che sia stato vera- mente così, viene dimostrato dalle seguenti circostanze : 1° quattro di essi non avevano subìto il bonificamento colla chinina e uno l'aveva subìto incompleto; 2°. nessuno di essi recidivò ulteriormente; 5°. tre presen- tarono febbre quotidiana, tipo febbrile, che si riscontra nelle forme primitive soltanto — 255 — dopo l'amministrazione della chinina; 4°. due di essi presentarono il tipo febbrile di cui avevano ultimamente sofferto, mentre degli altri tre sono oscuri i precedenti. Da queste ragioni deduciamo che tutti e cinque î casi da noi verificati tra gli individui protetti siano stati recidive. Una dimostrazione assoluta però, com'è naturale, manca. In ogni modo a togliere a chi non è addentro in questi studi qualunque scrupolo, noteremo che i cinque individui in discorso furono tra î più disobbedienti e non ci sarebbe stato nulla da meravigliarsi se avessero avuto attacchi di febbre primitiva, ciò che però noi escludiamo in modo positivo per le sopra esposte considerazioni. Nè furono questi soli cinque a disubbidire; malgrado la nostra sorveglianza inces- sante, tutti disobbidirono dal più al meno e, se nonostante nessuno si ammalò, fu una vera fortuna, molto più che qualche Aropheles riuscì anche a penetrare negli ambienti protetti. Benchè gli Aropheles infetti nelle ghiandole salivari, cioè capaci di inocularci la malaria, si trovassero soltanto in proporzione di circa uno per cento, poteva darsi benissimo che proprio quest'uno avesse punto. In breve si può dire che lasciando in disparte questi piccoli inconvenienti, la salute degli individui di tutta la zona protetta fu veramente buona ed è lecito ritenere che con ogni verosimiglianza quegli individui che recidivarono, avrebbero recidivato anche se avessero vissuto in una zona non malarica. Siccome gl'individui dell'esperimento venivano visitati due o più volte al giorno e, perchè nulla sfuggisse, anche il più piccolo malessere veniva accortamente sor- preso e accuratamente studiato, così possiamo assicurare che nessun accidente si verificò all’infuori di quelli qui riportati. Insistiamo sopra queste circostanze perchè siamo certi che sensa la nostra continua sorveglianza forse tutti e cinque i casì di recidiva, dei quali abbiamo fatto cenno, sarebbero sfuggiti al nostro resoconto, avendo i ferrovieri l'abitudine di prender chinina in abbondanza al primo malessere, o quando viene la prima febbre, senza interrompere il loro servizio, e di ricorrere al medico soltanto quando le febbri si fanno pertinaci, o gravi. Concludendo, nella zona protetta non si verificò alcun caso di infezione malarica primitiva: si ebbero soltanto cinque brevissime recidive, non ripetutesi in alcun caso. Le cose andarono ben diversamente in tutta la zona circostante a quella protetta. Gettando uno sguardo alla Tav. VI, si rileveranno segnate in vermiglione le abi- tazioni protette e in verde quelle non protette, che furono prese in considerazione per i necessarî confronti. Si può dire che la zona da noi protetta è una striscia: ai due estremi e lungo i lati di essa vi sono abitazioni non protette e perciò di confronto, alcune anche a brevissima distanza da quelle protette come, per esempio, il Barizzo a pochi metri dalla stazione di Albanella, la stazione di Capaccio quasi limitrofa al casello 17,117. Parecchie di queste abitazioni di confronto, com' è segnato nella Tavola, stanno ad un livello alquanto superiore di quelle più vicine protette, ossia in con- dizioni migliori rispetto alla malaria. Tutte queste circostanze, aggiunte alla cognizione di fatto che le abitazioni da noi protette sono sempre state temuti focolai di malaria, indicano che i nostri con- fronti hanno un valore assoluto, non potendosi invocare contro di essi quelle varie intensità della malaria anche a piccole distanze, che si possono verificare altrove. — 256 — Tutt' insieme gl' individui non protetti che servirono di confronto sommano a 415, dei quali 91 abitanti in stazioni e caselli ferroviari; essi andarono tutti quanti (°) soggetti alle febbri malariche, in non pochi casi da noi diagnosticate anche con l’esame microscopico del sangue. Queste febbri in nessun caso si limitarono ad un solo accesso, raramente a pochissimi; in generale furono insistenti e una volta incominciate si ripeterono ad intervalli più o meno brevi, nonostante che 324 degli individui, che ne erano infetti, consumassero una enorme quantità di chinina, cioè non meno di 4 Kg., mentre agli altri 91 provvide in gran parte l’ Amministrazione ferroviaria (taccio di molte cure di esanofele). La chinina venne presa possibilmente secondo le ben note regole. Certamente si dovettero verificare moltissimi casi, in diverse epoche, di successive nuove infezioni malariche in un medesimo individuo. I 91 individui non protetti ma bonificati, non presentarono vantaggi spiecati sugli altri, nonostante che 28 di essi abitassero in caselli (1,426 - 2,458 - 3,765) che negli anni di malaria ordinaria sono tra î meno cattivi, motivo per cui furono esclusi dal nostro esperimento. Certissimamente la stagione fu tra le più malariche che si siano date a me- moria d'uomo, essendosi per caso combinate insieme le condizioni più favorevoli alla moltiplicazione degli Anofeli (abbondantissime pioggie primaverili) e allo sviluppo dei parassiti malarici nel corpo degli Anofeli (estate molto calda). La quantità degli Anofeli specialmente nella seconda metà di giugno e nella prima decade di luglio fu veramente enorme: a nugoli si affacciavano ai padi- glioni, quando le serate erano favorevoli: al crepuscolo serale del 2 luglio si arrivò a contare sopra un sol padiglione perfino 600 Anofeli. (IL loro numero andò diminuendo, ma molto lentamente, nel resto di luglio e nei mesi successivi. Alla fine di settembre erano già diventati relativamente scarsi). (4) Do un prospetto degli individui in discorso ripartiti secondo le loro abitazioni Taverna presso S. Nicola Varco 52 Taverna presso Capaccio . 4 Ambrosta . È 29 C. del Napoletano 3 M. Anna Grazia . 10 Casello in legno 3 C. S. Nicola Varco . 6 C. Fornelli . 7 T. Paladina . Sede E 1 Casello 1,426 8 CMVerdesca”se, ace 6 Casello 2,453 12 Torre Corcione 6 Casello 3,765 8 Papaleone 6 Stazione di Capaccio 10 C. Vacche SORIA STATS 5 Casello 18,570 . 4 MU. Taverna nuova (compreso S. Vito) 64 Casello 20 6 C. del Barizzo e C. Buffaloria del Barizzo 84 Fermata di Pesto . 2 Contrada Grumola AR BEG; Casello 21 6 C. Lo Cerro. " 16 Casello 22 1 C. Lisena e Belelli . 11 Casello g2zene. SET. 2 C. Felletti 4 GCasellolieot. e Mit, 6 C. Precuazi . site 5 Casello 27 12 C. Capozzoli e Belelli . 4 Casello 28 , 14 N. B. Essi si sono ammalati tutti prima del 30 7mbre, eccetto due cachettici che furono colpiti in principio di 9mbre. — 257 — Perciò come tutti hanno rilevato, il nostro esperimento non poteva esser fatto in un'annata più opportuna. Traducendo in brevi parole i dati statistici, possiamo dire che mentre in principio tutti ci guardavano con diffidenza e presagivano che noi stessi, colti dalle febbri, saremmo stati î primi a fuggire da questo ambiente inospitale, poco a poco si fece strada la fede nel successo e si finì con un vero trionfo rico- nosciuto non soltanto dai protetti, ma anche da tutti i forestieri che passarono lungo la linea, perchè tutti poterono toccare con mano lo stridente contrasto che presentava la zona protetta rispetto a quella non protetta. Là sempre tutti sani, come dice il popolo, qui sempre tutti ammalati, mentre negli anni precedenti tutti si ammalavano ovunque. Il nostro esperimento dimostra che quel malessere, quel senso di stanchezza, quella pesantezza di capo, onde si dicono tormentati coloro che vivono in un luogo malarico (perfino già dalle prime ore della loro dimora), debbono ritenersi imma- ginarî, in quanto non sono i prodromi dell'infezione malarica in via di sviluppo. Alla tanto temuta stazione di Albanella, d'orde, come dicono 1 ferrovieri, s070 uscite parecchie casse da morto, se sì evita la malaria, si sta benissimo, non meno bene che nei luoghi più salubri d'Italia. La malaria nel senso stretto della parola non esiste. Veniamo ora a dire come abbiamo conseguito i nostri brillanti risultati. Certamente vi contribuì la bonifica di cui sopra abbiamo parlato, ma essa da sola era del tutto insufficiente, come si sapeva 4 priori e come del resto dimostra- rono anche i 91 individui bonificati dei caselli non protetti. Il grande risultato, al quale siamo giunti, non si deve punto ai medicinali in quanto che dal termine della bonifica fino al 14 ottobre, epoca in cui cessò l'esperimento, i nostri individui pro- tetti, se si eccettuano i cinque casi di recidiva, consumarono appena 15 gr. di chinina. Di questi 15 gr. la maggior parte venne somministrata a sei individui (tutti adulti, eccetto uno) che avevano conservate più spiccate le stigmate dell in- fesione malarica lungamente patita prima dell’ esperimento, e fu loro data în quei pochi giorni di agosto, in cui si ebbe un improvviso cambiamento di temperatura, per timore di possibili recidive, malgrado che non presentassero traccia di febbre e che non lamentassero alcun disturbo. Gli altri pochi grammi di chinina vennero consumati, naturalmente senza effetto, da adulti i quali, sentendosi indisposti (reumatismi, disturbi gastrici ecc.) attribuivano queste indisposizioni alla mancanza della chinina cui erano avvezzi. In agosto fece la cura dell’ esanofele una donna con grande tumore di milza, che altrimenti si sarebbe allontanata dal luogo d’ esperimento per fare i bagni di mare. 33 — 258 — In agosto, dovendosi assoggettare a lavoro molto pesante, fece metà della cura d’esanofele anche un individuo che avrebbe dovuto fare a suo tempo la cura della chinina. In settembre fece la cura dell’ esanofele, senza ricavare alcun speciale van- taggio, anche un individuo affetto di reumatismo e principiò la cura stessa, preso dal panico, il padre della bambina che recidivò, come sopra abbiamo detto. Lo stesso panico si ripetè nel padre del ragazzo che si ammalò in principio di ottobre e, per contentarlo, venne esso pure assoggettato alla cura dell’ esanofele. Certamente, all'infuori delle or dette eccezioni, nessuno prese chinina, avendo noi, con opportune cautele, fatto in modo che nessuno ne avesse, 0 trovasse con- venienza a procacciarsela sotto qualsiasi forma 0 composto. Nei suddetti casi la chinina 0 l’esanofele fu somministrato senza che ci fosse stata traccia di febbre. Possiamo insomma assicurare che la buona riuscita del nostro esperimento è stata affatto indipendente dalla cura della chinina o dell’esanofele, dei quali rimedi si usò una quantità che può definirsi del tutto insignificante di fronte @ quella veramente enorme usata invano dagli individui non protetti della zona cir- costante alla zona protetta. La buona riuscita del nostro esperimento si deve invece essenzialmente all'ap- plicazione della seconda delle norme fondamentali, in base alle quali s' intraprese l'esperimento: preservazione dalle punture degli Anofeli durante la stagione mala- rica con messi meccanici (Tavole VII e VIII). La protezione nella nostra zona d'esperimento era già completa alla fine di maggio, eccetto i camini che furono riparati nella prima decade di giugno. Le garette (G. Tav. VI) vennero riparate soltanto alla fine di giugno e al principio di luglio. Ognuno comprende di leggieri gli ostacoli che incontrarono le precauzioni da noi prescritte specialmente nei primi tempi, quando nessuno credeva alla loro effi- cacia. Per farle seguire si ricorse a tutti i mezzi possibili, tra i quali si mostrò molto utile la promessa dei premî. Ciò nonostante, come si è già detto più sopra, le disob- bedienze, talvolta anche involontarie, non mancarono mai. In quasi tutte le abitazioni, benchè di rado, entrò qualche Anofele o nei momenti in cui si aprivano le porte, o per qualche guasto del reticolato metallico; ben pochi arrivarono a pungere, i più vennero catturati ancora digiuni. Non così efficace riuscì la protezione contro i Culea pipiens, che penetrarono talvolta per fenditure inaccessibili agli Anofeli. Fortunata- mente si confermò anche quest'anno la innocuità della loro puntura. Da quanto si è esposto risulta nettamente provato: 1° Che la malaria si propaga esclusivamente per meezo delle punture degli Anofeli. 2° Che si può vivere benissimo nei luoghi malarici, purchè si evitino le punture degli Anofeli, il che riesce molto più facile di quanto si possa credere a tutta prima, ove si disponga di un ambiente protetto da reticelle metalliche. — 259 — 3° Che è commendabilissimo il bonificamento nella stagione premalarica. n- discutibilmente esso previene le recidive, come è dimostrato dai seguenti fatti: nessuno degli individui da noi bonificati e protetti, recidivo; dei cinque casi di recidiva da noi lamentati tra gli individui protetti, quattro riguardavano individui che non avevano fatto la cura della chinina; nel quinto individuo una recidiva în principio di giugno non era stata curata. Noi raccomandiamo molto il bonificamento unche per il motivo che gl’ indi- vidui protetti, se nel principio della stagione malarica si ammalano di recidive, non sapendo distinguerle dalle febbri primitive, facilmente si sfiduciano. Notevole è il fatto che. mentre dal 27 giugno al principio di settembre, ossia in 65 giorni circa corrispondenti al massimo dell'epidemia malarica, si ebbero sol- tanto due recidive, dal principio di settembre al 14 ottobre, ossia nei 40 giorni circa successivi se ne ebbero tre, tutte e tre febbri quotidiane. Per un momento ci siamo domandati se sì trattasse di una speciale forma di malaria, ma le osservazioni di chi ci ha preceduti in questo genere di studî ci autorizzano a respingere qualunque altra spiegazione, che non sia quella delle recidive. Queste recidive ci persuasero che in parecchi tra gli individui da noi protetti, l'infezione degli anni precedenti non doveva essersi ancora del tutto esaurita. Perciò invece di troncare senz'altro l'esperimento, diecé giorni dopo l'ultima recidiva, io sottoposi ad una cura completa d'esanofele (°) tutti quegli individui facenti parte del nostro esperimento (sommavano a 84) che non si potevano con pienissima sicu- rezza ritenere liberati dalla malaria contratta negli anni precedenti, eccezione fatta tuttavia degli individui che già erano stati trattati collo stesso esanofele. La cura durò dal 14 al 29 ottobre. Nè durante questa cura nè successivamente si ebbero febbri (tranne in un caso scoppiato il 29 dicembre in un ragazzo; purtroppo questo caso non si è potuto studiare e non si sa se attriburlo a recidiva, o a forma primitiva). Questi fatti, a mio credere, hanno valore anche per la riconferma del giudizio di recidiva per i cinque casi occorsi come si è detto, tra gli individui della zona protetta. Prima di finire metterò in rilievo un altro fatto. Se si paragonava in ottobre la zona protetta a quella non protetta circostante, si notava quel contrasto conside- revole di cui sopra si è parlato. Ma se poi si confrontava la zona non protetta ma stata da noi curata per mezzo della chinina, con zone, a cui le nostre cure nou erano arrivate, sorgeva un altro contrasto vivo, essendo in queste ultime le condi- zioni sanitarie molto peggiori. Un altro contrasto si riscontrava (’) intine in settembre e nella prima metà di ottobre tra la zona curata colla chinina e quella curata coll’ esanofele, con vantaggio spiccato per quest’ ultima. (4) Agli esperimenti sull’esanofele non prese parte il dott. Martirano, () Il dott. F, Martirano non prese parte a queste ricerche, — 260 — In conclusione si potevano stabilire le seguenti proporzioni: 1° zona bonificata e poi protetta: condizioni ottime; 2° zona non protetta, ma curata coll’esanofele (Taverna Nuova): condi- zioni discrete; 3° sona non protetta e curata soltanto colla chinina: condizioni piuttosto cattive ; 4° zona non protetta e malcurata: condizioni pessime (Pesto e S. Marco presso Agropoli). Risulta da questa gradazione che dal punto di vista igienico ha un valore anche la sola cura assidua. Le conclusioni pratiche, che scaturiscono dal nostro esperimento sono così chiare e così concordanti cogli altri esperimenti intrapresi contemporaneamente per opera specialmente del prof. Celli, che non occorrono commenti. Siamo sicuri che le Am- ministrazioni ferroviarie se vorranno mettere in pratica su vasta scala î nuovi dettami della scienza, ampiamente confermati dalle prove esperimentali, faranno opera umanitaria non solo, ma anche finanziariamente proficua. Nè il nostro esperimento ha valore soltanto per le ferrovie, come hanno guustamente riconosciuto tutti i proprietari della zona circostante a quella da noi protetta. Uno di essi il principe Torlonia — lo citiamo a titolo d'onore — sta già applicando le reticelle metalliche a un fabbricato di nuova costruzione nella tenuta Cioffi, mentre gli altri si accingono ad imitarlo. E i contadini alla lor volta di- chiarano che se i proprietari non li proteggeranno, penseranno a proteggersi essì stessi a loro spese. Brevemente s1 può dire che dal nostro esperimento non si potevano aspettare migliori effetti. Aggiunta riguardante l’esanofele. () Va in commercio sotto il nome di esanofele un prodotto il quale è a base di chinina, arsenico, ferro e estratti vegetali amari. L'azione dell’ esanofele dovrebbe teoricamente spiegarsi calcolando l'efficacia dei singoli componenti. Benchè non mi credessi competente a tentare questa spiegazione, alla preghiera di sperimentare questo prodotto risposi positivamente per le seguenti ragioni : 1° nell’esanofele è contenuta una quantità relativamente molto considerevole di chinina (il malato viene a prendere un grammo di chinina al giorno); 2° le molte sperienze fatte coll’arsenico tendono a dimostrare che esso pre- viene le recidive; a (4) Io non ignoro le vivissime polemiche intorno a questo prodotto; avendomi esse confermato nel mio giudizio sul suo valore intrinseco, non esito ad esporre francamente ciò che io penso, senza preoccuparmi del lato economico della questione, il quale non mi riguarda punto. — 261 — 3° la mistura di Baccelli a base di chinina, arsenico e ferro ha notoriamente dato ottimi risultati in febbri ribelli alla sola chinina; 4° molti medici pratici riferiscono casi nei quali la chinina da sola si è evidentemente mostrata meno efficace della chinina aggiunta a decotti amari. Per questi motivi pensai che l’ esanofele avrebbe potuto giovare, se non altro, come tante altre preparazioni e, non essendo un rimedio di composizione segreta, lo sottoposi a esperimento. Le mie osservazioni si riferiscono a centinaia di casi di cui non pochi seguiti per parecchi mesi. Ho somministrato l'esanofele sempre, sì nei casi acuti che nei cronici nel modo prescritto (condizione necessaria per raggiungere lo scopo), cioè sei pillole al giorno per gli adulti, due alle ore 5 circa, due alle $ circa, due alle 11 circa per quin- dici giorni di seguito, qualche volta anche per ventitre giorni. Ho notato che l'esanofele presenta i seguenti vantaggi: I. Esso viene tollerato molto bene nella gran maggioranza dei casi anche dai bambini e dalle donne gracili, in qualunque condizione si trovino: qualche disturbo vien talora lamentato nei primi due o tre giorni, ma quasi mai successivamente a meno che gli individui curati non si abbandonino a stravizî. Ho provato a darlo contemporaneamente a parecchie famiglie, cioè a 84 persone: tutte sono arrivate alla fine della cura senza alcuna difficoltà. L'esanofele, dunque, è un rimedio lodevole per la facilità colla quale viene tollerato. IT. Esso è anche lodevole per la facilità, con cui le pillole si sciolgono nello stomaco. III. I malarici prendono a lungo, quanto piace al medico, le pillole di esanofele che sono oscure e di composizione a loro ignota, mentre non fanno altrettanto colla chinina, contro la quale esistono molti pregiudizi. IV. Le etichette dell'esanofele servono mirabilmente a diffondere la cognizione che la malaria è prodotta dalle punture degli Anofeli. Tutti questi vantaggi non meriterebbero di essere presi in considerazione, se l’esanofele non si mostrasse efficace contro le febbri malariche. Dapprima io l'ho usato esclusivamente nei casi cronici. A poco a poco mi son fatto coraggio e ne ho esteso l’uso anche ai casi acuti. Una volta, per necessità di cose, mi trovai costretto a usarlo in un caso di febbri gravi e il risultato mi invo- gliò a ritentarlo parecchie volte. In tutti i casi la febbre cessò dopo 1-2-3 giorni. Ho seguito e fatto seguire per oltre due mesi da persone degne di fede, cin- quanta casi più o meno recenti curati coll’ esanofele (90 pillole) in agosto e in set- tembre in luoghi o non malarici o lievemente malarici: in un solo caso di un individuo abitante in luogo lievemente malarico le febbri si ripeterono (dopo ultimata la cura). Di 72 individui curati durante la seconda metà di agosto e la prima metà di settembre in luogo gravemente malarico (Masserie di Taverna nuova, di S. Vito e di Santa Cecilia presso Albanella sulla linea Battipaglia-Reggio Calabria), 23 rieb- bero le febbri prima del novembre; secondo ogni verosimiglianza si doveva trattare — 262 — in parte, di reinfezioni. Infatti di 40 altri curati pure in luogo gravemente malarico (Masseria detta Taverna del Comandante presso S. Nicola Varco sulla linea Battipaglia- Reggio Calabria) ma nella seconda metà di ottobre, cioè quando la malaria era già in diminuzione, 5 soli riebbero la febbre prima della tine di dicembre. Molti tra i casi di febbre venuti dopo la cura dell’esanofele ebbero decorso breve e mite sì nel primo che nel secondo esperimento; taluni guarirono anche spontaneamente e altri soltanto con un'altra mezza cura di esanofele o con qualche grammo di chinino. Nei varì mesi della stagione malarica ebbi occasione di curare sei individui infettatisi nelle stagioni malariche precedenti ed abitanti in luogo gravemente mala- rico, ma protetto dalle reti metalliche; nessuno di essi riebbe la febbre (31 dicem- bre 1900). Mentre curavo coll’ esanofele tutti gli individui della masseria di Taverna Nuova (Vedi sopra) curavo colla chinina quelli delle altre masserie. Evidentemente per pa- recchie settimane gli individui di Taverna Nuova, cioè quelli curati coli’ esanofele, presentarono in complesso condizioni molto migliori di quelli delle altre masserie: fu come una sorta di tregua nel mezzo della stagione malarica, che richiamò forte- mente l'attenzione, anzi destò l'invidia degli altri contadini abitanti nei dintorni. Debbo aggiungere che per quanto avessi usato ogni cura non ero riuscito a far pren- dere a lungo e regolarmente la chinina nelle masserie di confronto, a motivo dei pregiudizi già accennati. [Durante l’intermittenza epidemica del 1901 ebbi occasione di rilevare sol- tanto una piccola percentuale di recidive miti dopo lunghi intervalli, in individui curati coll’ esanofele]. Tutto sommato, a me sembra certo che l'esanofele più efficacemente del chi- nino preservi dalle recidive. Di fronte ai risultati qui riferiti io non posso mettere l'esanofele insieme con le solite specialità: io sono obbligato a ritenerlo come una preparazione molto com- mendevole, anzi a quei medici che hanno molti malarici da curare e a quegli igie- nisti che fanno la guerra contro la malaria, dichiaro che non vorrei più trovarmi in una campagna malarica senza l'esanofele che definisco non un rimedio nuovo, ma una felice formula farmaceutica di rimedî già noti. E torno a ripetere al Governo Italiano ciò che scrissi alla Commissione della Camera dei Deputati incaricata di riferire sul progetto di legge della chinina, che cioè, nella crociata contro la malaria, occorrono anche pillole di composizione simile a quella dell’esanofele, pillole che lo Stato potrebbe fabbricare su vasta scala. — 263 — Conclusione, Dopo aver trattato separatamente nei singoli Capitoli le distinte quistioni relative all'andamento del fenomeno malarico, mi sembra ora conveniente gettare uno sguardo complessivo su tutta l'opera e raccogliere e collegare con una rapida esposizione quei fatti che, esposti isolati, forse a tutta prima potrebbero apparire quali membra sparse, piuttosto che parti di un tutto organico. Indicherò dunque al lettore il concetto che mi ha guidato nel lavoro. Prima d'ogni altra cosa, com'era dovere, ho voluto riferire con tutta esattezza la storia relativa alla nuova scoperta per separare nettamente quanto deve attribuirsi a me ed ai miei collaboratori, da quanto era stato già fatto e si è andato di mano in mano compiendo in proposito. Ho fatto spiccare quale vantaggio io abbia tratto dalla teoria dei mosquztos come agenti propagatori della malaria, teoria che, espressa già da lungo tempo, quando cominciai i miei studî era stata rimessa sul tappeto per esser fondata su dati sperimentali. Ma invece di cominciare le ricerche senza una strada determinata e alla ventura, ho compiuto un lungo lavoro d'induzione diretto dall'idea fondamentale che la nuova teoria, per essere giusta, doveva spiegare tutti quei fatti relativi all'andamento del fenomeno malarico, che già da secoli una dolorosa esperienza aveva reso noti, e so- pratutto doveva rendere ragione di una delle proprietà caratteristiche dell'infezione malarica, vale a dire della sua limitazione in località nettamente definibili ed evi- dentemente non corrispondenti alla distribuzione geografica dei mosquztos. Ragionando su questi dati empirici, ho concluso che se la malaria era veramente inoculata all'uomo da qualche animale, non tutti gli animali suechiatori dovevano ritenersi ugualmente sospetti, ma la nostra attenzione doveva rivolgersi più partico- larmente alle specie, che mi parvero esclusive di quei luoghi che sono tristemente famosi come focolai del morbo. Questo lavoro induttivo è stato sopratutto importante, perchè, mentre, pren- dendo in esame tutti gli animali che succhiano sangue all'uomo ha abbracciato il problema in tutta la sua estensione, ha permesso poi di ridurre enormenente il numero delle forme che con fondamento potevano ritenersi propagatrici della malaria umana. Passate così in rassegna tutte le forme incriminabili e determinate tutte quelle più o meno sospette, su queste ultime io e i miei collaboratori abbiamo diretto a gran preferenza le osservazioni e gli esperimenti. Per essere facilmente seguito dal lettore, supponendo per un momento di aver già dimostrato che le sole specie di zanzare capaci di propagare la malaria siano gli Anopheles, ho esposti in uno speciale Capitolo i metodi usati per le ricerche e scelti — 264 — come i migliori dopo lunghissime prove, ed ho dedicato allo studio degli Arnopheles due altri Capitoli. Nel primo mi sono occupato della loro sistematica e della loro anatomia, nel secondo ho trattato dei loro costumi. Premesse queste cognizioni, sono venuto poi a riferire gli esperimenti com- piuti per dimostrare che tutti gli Aropheles propagano la malaria dopo di essersi infettati pungendo l’uomo e che nessun altro animale succhiatore di sangue può fare altrettanto. Questa parte negativa delle esperienze è stata la più lunga e la più difficile e ritengo che non sia la meno importante. Per quanto io sappia che in generale poco valore si deve attribuire alle prove negative, le quali lasciano sempre il dubbio che un giorno un risultato contrario possa venire a distruggerle, pure in questo caso le indagini sono state così numerose, l'esito sempre così costantemente uniforme che mi pare si possa riporre in esse la nostra fiducia. Queste prove negative valgono a dimostrare che la questione degli animali succhiatori di sangue è stata studiata completamente sotto tutti gli aspetti, e tolgono il timore che si possa ancora irovare qualche fatto capace di diminuire l’importanza dei risultati ottenuti. I dati degli esperimenti avrebbero avuto un carattere empirico se non fossero stati accompagnati e seguiti costantemente dalle osservazioni dirette a seguire il ciclo evolutivo dei parassiti malarici umani nel corpo delle zanzare malarifere. Ho potuto pertanto stabilire che il parassita malarico compie nel corpo della zanzara soltanto la sua generazione sessuata, facendo così rientrare anche i parassiti della malaria sotto la legge generale che governa la riproduzione di tutti gli esseri. In un Capitolo successivo ho: raccolto tutte le obiezioni, che mi sono state mosse. Di tutte ho tenuto conto e coi fatti alla mano ho cercato di rispondere ad esse nel miglior modo. Infine accennando alla profilassi, ho fatto spiccare come si potranno ottenere immensi vantaggi curando l uomo specialmente nei mesi in cui non vi sono Amopheles infetti, ma non ho taciuto che almeno nel momento attuale, non bisogna affidarsi unicamente a questo mezzo e conviene ricorrere anche alla protezione con mezzi meccanici. Ho infine fatto rilevare come i metodi di bonifica debbano informarsi ai muovi dettami della scienza. Questo è l'ordine che ho seguito nell'esporre i risultati dei miei studî; certa- mente parecchie ripetizioni sono riuscite inevitabili, ma mi lusingo che quanto ho voluto dimostrare appaia evidente. Nella prima edizione (uscita il 4 giugno 1899) io concludeva indicando la ne- cessità di portare nel campo pratico la nuova scoperta senza ritardo, cioè già nella prossima stagione malarica. Ciò fu fatto da me e da altri, ottenendo resultati che non potevano essere migliori. Occorre perciò nel prossimo anno, proseguire l'opera incominciata e imprendere il risanamento di tutta l'Italia. Che questa impresa si solleciti: ecco l'augurio col quale termino questo lavoro, frutto di lunghe fatiche non scompagnate da dispiaceri e da soddisfazioni. — 265 — LETTERATURA FINO AL 31 DICEMBRE 1900 (9). La prima edizione del presente lavoro è uscita come estratto dalle Memorie dei Lincei il 4 giugno 1900. Lo Awovimo. Liverpool Malaria Expedition to Nigeria. Brit. Med. Jour., 14 luglio 1900. 2. Anonimo. Z'he malaria Expedition to Sierra Leone. Brit. Med. Jour., 26 agosto 1899, pag. 568; n 2 settembre, pag. 608; 9 id. pag. 674; 16 id. pag. 746; 23 id. pag. 798; 30 id. pag. 869; 14 ottobre, pag. 1033. . Banpr. Suppl. al Policlinico, Anno VI, n. 17, 1900. . Bianami e BastranELLI, Stud? sull''infezione malarica. Bullettino della R. Accademia medica di Roma. Anno XX, 1893-94, . In. In. 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(2) Io mì limito a citare quei lavori che hanno più particolare importanza per le quistioni svolte nella presente Mono- grafia. Bibliografie complete si leggono nei lavori citati di Nuttall e di Lihe: ad essi rimando spesse volte il lettore. 34 29. 24. 39. Sd 35. 36. 37. 08. 39. 40. 4l. 42. — 266 — . Grassi, Bienami e BastraneLLI. Ciclo evolutivo delle semilune nell'Anopheles claviger ed altri studi sulla malaria. Atti della società per gli studî della malaria. Roma, 1899. . In. In. In. Coltivazione delle semilune malariche dell'uomo nell’ Anopheles claviger Fabr. (sinonimo Anopheles maculipennis Meig.). R. della R. A. dei Lincei, Classe di scienze fis, mat, nat., vol. VII, 2° sem., ser. 5°, fasc. 11° (Seduta del 4 dicembre 1898). Ip. Ip. In. Ulteriori ricerche sul ciclo dei parassiti malarici umani nel corpo del zanzarone. R. della R. A. dei Lincei, Classe di scienze fis., mat., nat., vol. VIII, 1° sem, ser. 5°, fasc, 1°. (Seduta dell’ 8 gennaio 1899). 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Quasi contemporaneamente all'edizione tedesca del presente lavoro (che vide la luce il 12 agosto 1901) il Celli insieme al Gasperini pubblicava un articolo inti- tolato: Paludismo senza malaria (Policlinico, supplemento, anno VII, fase. 42; Roma, 17 agosto 1901). Scrivono gli Autori: « Da lungo tempo in tutte le latitudini sono ben noti i casi di paludismo senza la malaria; nessuno però ha intrapreso a studiarli dal punto di vista delle nuove teorie epidemiologiche, ciò che tentiamo far noi, profittando che di simili casi v'è abbondanza in Toscana. I luoghi nei quali s' aggirano le nostre ricerche sono: paduli di Fucecchio e di Bientina; lago di Massaciuccoli e terreni paludosi circostanti; pianura littoranea da Collesalvetti e Livorno a Viareggio e Pie- trasanta..... Questi luoghi anche ai tempi medicei erano fieramente malarici..... Invece nell'ultimo quarto del secolo scorso, qui come altrove, è avvenuto un salutare e progressivo cambiamento, sebbene rimangano tali e tante e così estese le plaghe paludose..... Si coltivano a Massarosa le più rigogliose risaie ..... » « Le zanzare, altrove specifiche, sono a miriadi. Non mancano i casi di febbri recidive, qualcuna autoctona, altre provenienti da fuori; il che esclude si tratti di immunità organica acquisita per cernita naturale da questa popolazione, la quale basta si allontani dal luogo nativo per contrarre le febbri dove queste dominano ». « Il chinino certamente non si è dato e non si dà nè più, nè meglio, nè da più lungo tempo che altrove dove la malaria persiste ». « Trattasi dunque d’una indiscutibile e finora inesplicabile eccezione alla nuova teoria etiologica ed epidemica della malaria; cioè vi sono località palustri senza pro- pagazione di malaria, ad onta della presenza di anofeli, e dell'arrivo di malarici dal di fuori, e dello scoppio di qualche raro e per lo più isolato caso di febbre .....» « Certo in epidemiologia non è nuovo il caso di malattie, le più tipicamente contagiose, come peste bubonica e lebbra, che, quando si attenuano, si riducono a casi sparsi e isolati, senza più la possibilità di contagio ». « Altrove, come in Francia, Germania, Inghilterra, questo fortunato periodo del- l'attenuazione della malaria è già trascorso, e gli anofeli che permangono dove non c'è più malaria ne sono forse un documento storico ». « Per altre epidemie non si è ancora tentato di trovare sperimentalmente la chiave dell’enigma di così benefico evento. Per la malaria abbiamo in corso osser- — 270 — vazioni comparative ed esperienze di zoologia sperimentale. Certo si apre un'altra lacuna da colmare nel campo delle nostre conoscenze epidemiologiche attuali su questa epidemia, e si accenna forse qualche nuova orientazione profilattica ». A Celli e a Gasperini sono sfuggite le mie ricerche per spiegare il fenomeno del paludismo senza malaria (pag. 51 e seguenti della prima edizione di questa mia Opera e altri punti delle mie Note preliminari, dove fo cenno dell'argomento in discorso). Per verificare se i risultati delle mie ricerche precedenti e delle altre aggiunte in questo volume (pag. 79-83) fossero sufficienti a spiegare anche il fenomeno osser- vato da Celli e Gasperini, intrapresi altre ricerche speciali in una delle località da loro esplorate. Veramente io mettevo mal volontieri il piede in tali località, perchè sospettavo che ivi per motivi di interessi regionali si tendesse a negare l'esistenza della malaria. A questi sospetti alludevo già nella mia prima Nota pubblicata nel 1898 quando scrivevo: « Nel padule di Fucecchio, vicino ai bagni di Montecatini, m' era stato assicurato che non si davan casi di malaria. Io trovai in questa località l’ Ano- pheles claviger, ma conobbi anche una famiglia che abita in mezzo al padule, la quale ebbe a lottare non poco colla malaria ». Anche il caso delle risaie di Massarosa sopra accennato mi era noto, essendo io stato pregato nella primavera scorsa di far ricerche in proposito, ricerche che per varie ragioni avevo trascurate. La pubblicazione di Celli e Gasperini mi decise a non differirle più oltre, sembrandomi che il concetto dell’attenuazione della malaria, messo innanzi da questi Autori, potesse riuscire pericoloso e fatale nella lotta contro la malaria, ove non venisse dimostrato da sperimenti diretti. Ora qui espongo i risultati ai quali io sono finora pervenuto. Occorre premettere che il Consiglio Comunale di Viareggio (a 8 chilometri da Massarosa) l'inverno scorso emise un voto per l'abolizione delle risaie all’ intorno della città, voto contro il quale fu presentata al Prefetto di Lucca una petizione fir- mata da duemila lavoratori, i quali fanno osservare come l'abolizione delle risaie sarebbe una suprema iattura, perchè intiere popolazioni resterebbero affamate, e aggiungono: « ... Nè deve dar ombra il pensiero che durante il lavoro in risaia si possa da noi contrarre il germe della malaria, imperocchè le nostre abitazioni risiedono tutte sui monti, ove l’aria è purissima e l'orario del lavoro in risaia decorre dalle 7 del mat- tino alle 5 circa della sera; mentre è ormai certezza acquisita dalla scienza speri- mentale che la zanzara Aropheles, trasmettitrice della malaria non esercita la sua terribile opera di distruzione che nelle ore vespertine e notturne .....». Quasi contemporaneamente i proprietari presentavano allo stesso Prefetto di Lucca un'altra petizione (manoscritta) dalla quale tolgo i seguenti appunti. «..... Sin d'ora giova asserire che non già in Viareggio città soltanto, ma in tutta la plaga circostante che comprende anche i territori dei Comuni di Camaiore e Massarosa, nei quali la coltura del riso è estesa e va man mano estendendosi, la febbre malarica: 4) non esiste assolutamente in forma epidemica; 4) si manifesta annualmente in pochissimi casi sempre in forma mite; c) ciò che più monta, mal- grado l'estendersi della coltura del riso, va man mano decrescendo ». — 271 — A conferma di questa asserzione si riportano certificati dei dottori Francalanci e Calcinai, medici condotti del Comune di Massarosa. Il dott. Francalanci, nella di cui condotta la coltura del riso predomina (circa 5/10 del territorio sono coltivati a riso) asserisce che in questi ultimi quattro anni sono totalmente scomparsi quei cinque o sei casi di febbre malarica, che precedentemente si avveravano in forma sempre lieve. L'altro medico condotto, il dott. Calcinai, dichiara di non aver curato nel passato che pochissimi casi di malaria (8 o 4 l’anno) sempre di forma lieve e che nel 1899 non ne constatò che un unico caso importato dalla Corsica. Nella petizione in discorso viene riportato anche il seguente brano d'una Rela- zione del dott. Francalanci, che giace manoscritta nell'archivio del medico provin- ciale di Lucca. «..... Da tutto questo si conclude che l'istituzione delle risaie nel Comune di Viareggio e quindi ora nel Comune di Massarosa fu tanto benefica da far scompa- rire le forme più gravi di malaria là dove esistevano e come pure le altre forme, avendosi avuto sempre con l'andare degli anni diminuzione progressiva notevolissima. È da considerarsi pure che essendo a queste popolazioni aggiunto un maggior cespite di guadagno, cominciarono a nutrirsi ancora in modo migliore di prima e con alimenti più sostanziosi e più sani ». Insomma il dott. Francalanci in base a ricerche storiche, a dati raccolti dai colleghi e a sue proprie osservazioni, è convinto che se mon esistessero più le risaie e si abbandonasse a sè il padule, la malaria tornerebbe grave. I proprietari fanno inoltre osservare che i terreni coltivati a risaia sono paludosi, in gran parte sommersi e che la coltura del riso ha fugata la malaria, probabil- mente anche perchè per la coltivazione del riso si immettono ovunque nei paduli quasi perennemente ed in grande abbondanza acque sorgive fresche, defluenti dai monti circostanti e però immuni di malaria; per l'immissione di queste acque sorgive ven- gono messe in maggior movimento quelle del padule di per sè stesse stagnanti, oltrechè ne viene la necessità che le fosse in cui esse hanno a defluire, siano conti- nuamente tenute spagliate e ripulite dalle male erbe. I fatti fin qui esposti sono ben singolari e veramente a tutta prima sembrano in contraddizione con quanto finora è stato stabilito: che, cioè, le risaie sono fomite di malaria perchè, com’io ho per primo osservato (settembre 1898), costitui- scono un abitacolo enormemente propizio per la moltiplicazione degli Anopheles. Tutte queste circostanze mi erano presenti quando visitai per la prima volta il Comune di Massarosa. Quivi appresi che la Società delle Ferrovie Mediterranee, che esercisce la linea Viareggio-Massarosa, ossia la linea che attraversa il padule, estesamente ridotto a risaia, del Comune di Massarosa, passa ai suoi impiegati l'in- dennità di seconda zona, ossia di malaria grave. La circostanza che questa linea ferroviaria è di recente costruzione, ossia data da soli circa dieci anni, fa a tutta prima pensare che se la Società, di cui sono note le tendenze all'economia, si è decisa a concedere l'indennità di malaria grave, questa deve esistervi incontrasta- bilmente. A Massarosa feci la conoscenza del gentile e bravo dott. Francalanci: egli mi ripetè a voce quello che aveva già scritto, che. cioè a Massarosa la malaria è scomparsa. — dt — Feci a Massarosa estese ricerche e devo dichiarare che finora non sono riuscito a riscontrarvi alcun malarico e ciò in conformità di quanto asserisce il dott. Franca- lanci. Non posso però tacere che la popolazione del Comune di Massarosa è così preoccupata dalla possibilità dell'abolizione delle risaie che, se vi fosse qualche caso di malaria autoctona, probabilmente lo nasconderebbe in tal modo da rendere impos- sibile rintracciarlo. D'altra parte è certo però che attualmente, se nel Comune di Massarosa si danno casì di malaria, questi non debbono essere punto numerosi, perchè altrimenti non potrebbero venir tenuti celati. Ciò che sorprende si è che tutti, dai trent'anni in su, confermano di aver sofferto la terzana fino a venti o venticinque anni fa. Non sono rari quelli che dicono di averne sofferto fino all'ultimo decennio: tutti asseriscono che da dieci anni a questa parte la malaria è scomparsa. Il dott. Francalanci mi disse che egli viene chiamato frequenti volte per febbri da intossicazione intestinale, le quali guariscono tutte senza chinino. Quest’ ultima circostanza tende ad escludere che si tratti di malaria, esclusione che in due casi da me osservati ho potuto ammettere con sicurezza dietro l'esame microscopico del sangue. Dopo la mia prima gita a Massarosa, comparve edita a Viareggio (Tipografia Ciani), in data del 27 agosto, anche una Nota del dott. Francalanci sulla malaria del Co- mune di Massarosa. Annuncia ch'egli ha fatto in quest'anno nel Comune di Mas- sarosa la ricerca degli Anopheles e che vi ha trovato gli A. claviger e pseudopiclus, dei quali parecchi furono da lui presentati ai dottori Puccinelli e De Hieronymis che confermarono la diagnosi delle specie. Egli aggiunge di averne consegnati dopo qualche tempo altri al prof. Celli, in occasione di una visita che questi gli fece in unione al prof. Gasperini. Anch'io posso confermare l'osservazione di Francalanci che gli Azopheles abbon- dano a Massarosa in padule, nelle risaie, nelle case coloniche e non solo in quelle a quasi due passi dal padule stesso, ma anche nelle più interne del paese, civili o coloniche che siano. La quantità di Aropheles che vengono a pungere nella stazione di Massarosa è così grande da potersi confrontare soltanto con quella dei luoghi più malarici d'Italia. Più singolare a primo aspetto sembra il fatto già considerato dal dott. Fran- calanci nel suddetto opuscolo, che ogni anno dal Comune di Massarosa, in primavera parecchi agricoltori migrano temporariamente in Corsica e alcuni altri migrano in Algeria. « A seconda delle condizioni di salute che trovano in tali paesi vi dimorano del tempo, dei mesi cioè, pronti sempre a fuggire appena sono colti dalle febbri malariche. Una massima parte di questi emigranti temporanei torna in generale am- malata di febbri, essendo rari quelli che ne tornano immuni =. Il dott. Francalanci aggiunge che in quest'anno cinque individui sono ritornati ammalati di febbre malarica. Nelle abitazioni di questi malarici venuti da fuori egli ha trovato numerosi Aropheles. Il Francalanci conchiude « malgrado questi casì non si ha malaria nel territorio di Massarosa in modo da sembrare che gli Anopheles qui non comunichino la malaria ad altri individui ». — 273 — Insomma è certo che a Massarosa gli Aropheles sono molto abbondanti come lasciava prevedere la condizione del territorio e che la malaria o manca, od è in minima quantità. Il dott. Francalanci mi ha messo sott'occhio dei documenti storici molto impor- tanti e precisamente la Memoria: Delle risaie in Italia ecc., di Puccinotti (Livorno, Tipografia Bertani, Antonelli e C. 1843) e la Memoria di Carlo Luigi Farini]: Sw//e quistioni sanitarie ed economiche agitate in Italia intorno alla risaie (Firenze, Ti- pografia Galileiana, 1845). Da questi documenti rilevo che il marchese Antonio Maz- zarosa lesse una Memoria al Congresso scientifico di Padova Sulle risaie del lucchese e loro effetti e scrisse in proposito una lettera al Puccinotti. Orbene Mazzarosa riferisce che il Senato della repubblica di Lucca proibiva l' 11 maggio 1612 di col- tivare il riso per tutto lo Stato. Si noti che la coltivazione del riso era allora assai estesa e che ad essa si attribuivano effetti sommamente nocivi. Secondo Mazzarosa nei quindici anni precedenti il 1841 furono a Massarosa le terzane così rare da contarsene al più sei od otto casi all'anno e neppur sempre. Nel 1840 si riprese la coltura del riso che si raddoppiò nel 1841 e si triplicò nel 1842. Nel 1841 dalla metà di settembre in poi si ebbero 150 terzane; nel 1842 le febbri comparvero in luglio e in quell'anno si ebbero fino a 800 terzane; nel 1843 i feb- bricitanti si contarono a centinaia. Farini (°) riporta contro i dati di Mazzarosa, dati comprovanti un incremento della popolazione in rapporto coll’introduzione delle risaie e il fatto che il farmacista di Massarosa dichiara di aver venduto due libbre di più di solfato di chinina nei cinque anni precedenti l'introduzione delle risaie, di quelli venduti nei cinque anni susse- guenti. A me sembra che nè l'incremento della popolazione, nè la dichiarazione del far- macista, di fronte ai fatti positivi e precisi citati da Mazzarosa, possano avere alcun valore, e credo perciò dimostrato che già a Massarosa altra volta la malaria abbia infierito e poi sia scomparsa, e poi di nuovo sia tornata ad infierire e oggi di nuovo sia scomparsa. Come si spiegano questi fatti? Due ipotesi si affacciano innanzi: 1° Dalle mie ricerche precedenti risulta che certi Anopheles elaviger sono immuni dalla malaria: potrebbe darsi che gli Azopheles di Massarosa costituissero attualmente una razza tutta immune e quindi veramente non trasmettessero la malaria. 2° Potrebbe darsi che il fatto di Massarosa costituisse una sorta di paradosso basato sopra una proposizione vera ed esplicabile per un complesso di circostanze combinantisi per produrre un effetto inaspettato (°). Per vedere quali fondamenti avesse la prima di queste due ipotesi, ho fatto prendere a Massarosa una quantità di Azopheles e ho procurato che pungessero un (4) Purtroppo non ho più sott'occhi l'opuscolo di Farini, che debbo citare a memoria. (2) Il caso della malaria a Massarosa sì ripete anche per altre malattie a ospitatore intermedio. Così la trichina manca in Italia ad onta che vi si trovino gli ospitatori (ratti, maiali, uomo); in Francia, poi, manca nel maiale e nell'uomo ad onta che i ratti trichinati non siano rari. 35 — 274 — individuo semilunare in buone condizioni. Il risultato fu il seguente: di quattro Anopheles pigliati ad Ostia e che punsero il semilunare in buone condizioni, uno si infettò moltissimo, mentre gli altri non si infettarono punto: di dodici Aropheles presi a Massarosa e che punsero contemporaneamente lo stesso semilunare, se ne infettarono quattro, due moltissimo e due poco (questi ultimi due avevano punto senza aver inte- ramente digerito il succo di frutta, che avevano preso durante il viaggio da Mas- sarosa ad Ostia, e perciò avevano succhiato poco sangue) (“). Io ho veduto gli amfionti quasi maturi nella parete dello stomaco degli Arophel/es. Quanto prima compariranno certamente gli sporozoiti nelle ghiandole salivari di altri Aropheles di Massarosa, che tengo vivi in laboratorio. Con questi Aropheles potrei facilmente farmi pungere, ma io ritengo l'esperimento superfluo. Per me è importante stabilire che non sono immuni dai parassiti malarici nè gli uomini, nè gli Aropheles di Massarosa. Che gli uomini non siano immuni lo dimostra il fatto che quelli di Massarosa quando vanno in paesi infestati dalla ma- laria cadono in preda a questa malattia, come risulta dai dati del dott. Francalanci. Che gli Azopheles non siano immuni, lo dimostrano gli esperimenti da me fatti. Resta così eliminata la prima ipotesi ed è giuocoforza ricorrere alla seconda, non essendomi possibile di immaginarne alcun’altra verosimile. È questa seconda l'ipotesi che io sostengo e della quale io voglio qui sommariamente ragionare. Il dott. Francalanci e il prof. Celli fanno risaltare che ogni anno nei mesi di estate e d'autunno vengono nelle varie località senza malaria e con molti Anopheles, individui infetti di malaria e perciò nei suddetti mesi i parassiti malarici nel sangue non mancano. A questo riguardo mi permetto osservare che il trovare individui infetti di malaria e anche parassiti malarici nel sangue non implica affatto la presenza di gameti capaci di svilupparsi negli Aropheles. Io, che ho avuto occasione di fare mol- tissimi esperimenti di infezione degli Aropheles, so che è relativamente difficile tro- vare un ammalato capace di infettarli. Queste difficoltà spiegano i tanti tentativi di infettar gli Aropheles riusciti vani a Ross e a Koch. Molte volte si esaminano individui, il cui sangue si supporrebbe pieno di semilune, mentre invece non ne presenta alcuna. Per fare l'esperimento suddetto di Massarosa dopo molte ricerche mi procurai tre individui con semilune abbondanti, due di questi non infettarono alcun Aropheles nè di Massarosa, nè di Grosseto, nè di Ostia. Perciò il piccolo numero di individui che, come dice Francalanci, vanno in luogo malarico e vi dimorano dei mesi, pronti sempre a fuggire appena sono colti dalle febbri malariche, forse per un caso fortunato, non tornano a Massarosa in condizioni opportune per infettare gli Armopheles, nè queste condizioni opportune si verificano più tardi perchè vengono curati con molto impegno dai bravi medici condotti. Francalanci mi assicura che a Massarosa la temperatura è relativamente più fresca che a Pisa; purtroppo mancano dati precisi. Anche questa circostanza, però, potrebbe portare il suo contributo contro alla diffusione della malaria. Una parte notevole degli Anopheles di Massarosa è costituita dalla specie pseudopictus, che in generale vive in aperta campagna, dove nella notte si verifica un (4) Noto di passaggio che gli Anopheles, benchè rimpinzati di sangue, possono succhiare frutta, contemporaneamente eliminando dall’ano il sangue. — 275 — forte abbassamento di temperatura, il quale rende difficile la propagazione dei pa- rassiti malarici (9). Senonchè a Massarosa gli Aropheles pseudopictus, come aveva riscontrato il Celli nel Vercellese, vivono anche nelle case (dove, a differenza dei cla- viger, sì trovano per lo più sulla parte bassa delle pareti). Si può tuttavia sup- porre che restino per pochissimo tempo nelle case e passino poscia in aperta cam- pagna, andando incontro all’ abbassamento di temperatura, come sopra ho detto. La circostanza principale, però, che a mio avviso spiega il paradosso di Mas- sarosa, è il fatto che la popolazione di Massarosa è quasi assolutamente stabile e non le mancano punto le cure da parte dei medici locali. Nei paesi dell’Italia media e meridionale dove la malaria continua ancora ad infierire, la popolazione è invece nomade per grandissima parte e sinora l’opera del medico è arrivata ad essa man- chevole, od è stata nulla. Si potrebbe opporre che nell'Italia settentrionale, per esempio a Locate Triulzi, la malaria infierisce nonostante le cure mediche. Quivi però le condizioni sono molto peggiori che a Massarosa. Locate Triulzi giace in un piano in mezzo alle risaie, mentre Massarosa sta in gran parte appoggiata sopra una collina, ai cui piedi trovansi le risaie; questa circostanza può in certo modo diminuire la propagazione della malaria per il fatto che gli Aropheles spesse volte, prima che gli sporozoiti siano maturi, abbandonano le località dove trovano il nutrimento per portarsi là dove trovano l’acqua per deporvi le uova; da questa località dopo l’'ovificazione tornano nelle abitazioni umane, più facilmente se queste sono in piano che se sono in collina. Resta sempre il fatto che la malaria a Massarosa una volta infieriva, mentre circa nell’ ultimo ventennio è lentamente scomparsa; ciò però può esser messo in rapporto con l’uso sempre più diffuso della chinina e coll’assistenza medica sempre più accurata. Concludo. Da molto tempo io mi domandavo come mai la malaria si potesse mantenere ad onta della difficoltà enorme che incontrano gli Aropheles per arrivare ad essere in condizione da poterci infettare; mi pareva che la chinina avesse dovuto riuscire più efficace di quel che sia riuscita in realtà. Il fatto di Massarosa invece di essere in stridente contrasto con la dottrina degli Amopheles, fa svanire anche l'or detto mio dubbio e mi persuade sempre più che essa spiega tutti i fenomeni malarici. Molte circostanze favorevoli e certamente anche un po' il caso hanno fatto sì che Massarosa non sia più malarica, o lo sia in grado leggero. Niente però esclude che Massarosa possa ridiventare un gravissimo focolaio malarico (°). Ciò, mi affretto (4) La vita degli Anofeli d'estate dev’ essere certamente di solito molto breve, altrimenti il loro numero dovrebbe in molti luoghi crescere enormemente in settembre, ciò che in realtà non si verifica. D'altra parte si tenga presente che a Roma quest'anno in settembre in camera chiusa e ben esposta gli amfionti non erano ancora maturi dopo 20 giorni (dal 9 al 29 settembre). (0) Ciò è accaduto per es. in Dalmazia. Il sig. dott. Battara mi comunica che all'isola Zuri (a poco più di 20 km. dalla costa dalmata) dove a memoria d'uomo non vi era mai stata malaria, quest'anno si è sviluppata una grave epidemia di terzana e febbri estivo-autunnali (controllata coll’esame del sangue), che ha colpito metà della popolazione. Si è constatato che la malaria era stata importata da un individuo di Zuri che si era infettato sulla costa Dalmata. — 276 — a dirlo, forse non potrebbe essere evitato sopprimendo le risaie, le quali lascerebbero indietro luoghi palustri e sommersi, capaci per proprio conto di permettere una enorme propagazione degli Anofeli. Devesi invece continuare nella cura sollecita e scrupolosa di qualunque caso di malaria, cura che occorrerebbe fare in un ospedale riparato da reticelle metalliche. ( Il fenomeno del paludismo senza malaria, quale si verifica in una parte della Toscana, a mio avviso, dimostra soltanto che, mi si permetta la frase, la malaria è un colosso dai piedi di creta; colle reticelle metalliche applicate seriamente e colla cura scrupolosa potremo in breve tempo abbatterlo (°). II. — À PROPOSITO DELLE OBIEZIONI DI KOCH CONTRO LA PROFILASSI MECCANICA. (30 settembre 1901). Koch (Revista de Medicina tropical, agosto de 1901) torna a manifestare la sua antipatia contro le reticelle metalliche e si ripromette la distruzione della malaria dall'uso della chinina. Appunto prevedendo che la grande autorità di Koch avrebbe potuto riuscire dannosa al metodo profilattico meccanico da me per il primo proposto, a beneficio del metodo di profilassi chimica, da me pure per il primo proposto, benchè Koch con- tinui a dirlo suo metodo, ho quest’ anno voluto fare un esperimento di profilassi chimica, lasciando in disparte quella meccanica. A me sembrava che l'esperimento fatto da Koch nella piantagione di tabacco di Stephansort (nella baia Astrolabe della Nuova Guinea), la quale conta una popolazione di circa 700 persone, non rilevasse punto le difficoltà che incontrerebbe in Italia Ja cura colla sola chinina. Infatti nella baia Astrolabe la vita si svolge in villaggi che non hanno alcun rapporto l'uno coll’ altro, quasi fossero circondati da una muraglia, a tal segno che gli abitanti dei diversi villaggi non si possono intendere l'uno coll’ altro essendo i loro linguaggi profondamente differenti (Koch). In Italia, invece, le popo- lazioni comunicano ampiamente e moltissimi braccianti scendono dal monte sano al piano malarico, in determinate epoche dell’anno per i diversi lavori della campagna. Ho scelto come località d'esperimento la tanto temuta Ostia; come metode di cura ho adottato l'esanofele, a favore del quale stavano i risultati ottenuti l’anno scorso. L'esanofele mi venne fornito gratuitamente dal sig. Bisleri, che si assunse anche tutte le spese dell’ esperimento (°). (4) Siccome gli Anopheles propagano colla puntura anche la /ilaria immitis (Grassi e Noè), così riusciva interessante sapere se a Massarosa i cani fossero infetti di filaria immitis: ho perciò fatto delle ricerche che mi diedero prontamente risultato positivo. (?) Veramente quest'anno io sognavo il risanamento del Comune di Grosseto, che mi avrebbe dato occasione di sperimentare l’esanofele estesamente e comparativamente colla chinina e coll’ eu- chinina. Tutto era pronto per la grande impresa, della cui riuscita io mi teneva sicuro, quando S. E. Giolitti pensò bene di affidarne il compimento al prof. Gosio coll’ordine di non accettare di- scussioni con altri scienziati. L'impresa di Grosseto fu condotta essenzialmente col metodo che propone Koch. Il successo, se dì successo si può parlare, fu di gran lunga inferiore a quello che si poteva — 277 — L' esperimento fu da me diretto e venne eseguito essenzialmente dal dott. Barba, vice-direttore dell’ esperimento stesso, dal dott. Pittaluga, dal dott. Noè e dal prepa- ratore dell’ Istituto di Anatomia comparata, sig. Riccioli. Di questo esperimento i nominati dott. Barba e Pittaluga stenderanno una sceru- polosissima e minuziosa relazione, la quale, posso dirlo con certezza, confermerà il grande valore pratico dell’esanofele, usato, sia come preservativo dalle febbri malariche primitive, sia come preservativo dalle recidive. Questo metodo è di gran lunga più comodo della soluzione di chinina proposta e fatta usare da Koch (°). I risultati ottenuti coll’ esanofele sono senza dubbio splendidi, ma quando si tratta di valutare il metodo profilattico chimico dal punto di vista pratico bisogna riconoscere che questo metodo presenta difficoltà molto superiori a quelle presentate dal metodo mec- canico. L'applicazione delle reticelle non richiede l'intervento di alcun medico, ba- stando comuni operai per tenerle in ordine e distruggere quei pochi anofeli che casual- mente possono penetrare nelle abitazioni. Se le reticelle si applicano per bene, come si fa da chi ha fede nel loro valore, si ottengono risultati sempre splendidissimi, ma anche male applicate esse danno risultati buoni, come ho potuto vedere in pratica. È vero che l’esanofele viene preso molto facilmente ed è tollerato senza il me- nomo inconveniente per mesi e mesi; ciò nonostante, se von vi è una persona che si occupi di somministrarlo, molti non si curano di prenderlo (altrettanto farebbero però per qualunque altra medicina), senza aggiungere che non sono pochi coloro i quali si mostrano ribelli a questa, come a qualunque altra cura, finchè si credono sani. Mi preme di aggiungere che ho incontrato tante difficoltà nella profilassi chimica ad onta che io l'abbia relativamente semplificata, mettendo in seconda linea tutti quegli esami del sangue che secondo Koch sarebbero indispensabili prima di passare alla cura del malarico; questi esami sciupano un tempo prezioso e hanno in generale per effetto di ritardare la cura di qualche giorno, lasciando così che i parassiti malarici sì propaghino enormemente, rendendo più difficile la guarigione, facilitando la produ- zione dei gameti, ecc. Nei casi di terzana o di quartana di regola la diagnosi si può fare senza l'esame del sangue: essa riesce più difficile quando si tratta delle febbri estivo-autunnali, ma, anche nei casi solamente sospetti di questa infezione, il medico deve intraprendere al più presto la cura specifica, che non arrecherebbe alcun danno, anche se la febbre non fosse di origine malarica. Come si vedrà dalla relazione del suddetto esperimento di Ostia, l'esame del sangue da noi costantemente fatto ci ha raggiungere adottando il piano che io avevo elaborato, come dimostrerò a tempo opportuno. Koch, però ebbe la soddisfazione di poter pubblicare che anche in Italia si fa delle reticelle un uso molto limitato! Certamente nel Comune di Grosseto se ne fece un uso molto limitato: esso diede però un risultato discreto, nonostante che l'applicazione fosse fatta per lo più in modo irrazionale e deplorevole. In sostanza Koch ha veduto continuati i suoi esperimenti a spese dei contribuenti italiani, mentr'io se volli completare le mie ricerche sulla malaria, dovetti ricorrere alla generosità di un privato. Ciò per la storia! (4) Uno dei molti vantaggi delle pillole d’esanofele corsiste nel facile modo d'amministrarle; se ne danno due alle ore cinque, due alle sette e due alle nove, per i quindici giorni prescritti senza curarsi dell'andamento delle febbri. — 278 — servito per le deduzioni scientifiche che volevamo trarre dal nostro esperimento, ma non ha che molto secondariamente influito sulla cura dei casi che ci sì presentavano. Dirò di più: io mi sono convinto che per combattere la malaria, date le cognizioni che attualmente possediamo, piuttosto che coorti di medici, servono pochi medici e molti infermieri ai quali si può affidare, oltre all'incarico di distribuire la medi- cina specifica, anche quello di tenere in buon ordine le reticelle; tali infermieri po- trebbero essere scelti fra i militari, come ho già altra volta proposto. Io credo insomma che, se si vuol veramente debellare la malaria, nella gran maggioranza dei casi sia preferibile un metodo misto e, cioè, la profilassi meccanica opportunamente unita alla profilassi chimica (°). III. — L'ARSENICO E L'ESANOFELE CONTRO LA MALARIA (30 settembre 1901). Come è noto, esiste un'intera letteratura sull'uso della chinina per prevenire le febbri malariche primitive o recidive. Due sono i metodi: o prendere giornalmente piccole dosi di chinina, ovvero prenderne una dose maggiore ad intervalli di un certo numero di giorni (”). Invece della chinina si può usare l’euchinina ad intervalli (A. Plehn), ovvero giornalmente (Celli, Mori, ecc.). Io non so perchè tutto ad un tratto si sia messa quasi in disparte la cura arse- nicale, tanto patrocinata specialmente dal nostro Tommasi-Crudeli per ottenere la bonifica dell’uomo (°) nei paesi malsani. Ame sembra che le numerose prove fatte in svariate parti di Italia da Ricchi, da Cervello, da Magnani, ecc., dimostrino che l’uso continuato di piccole dosi quotidiane di acido arsenioso protegge l'organismo umano talvolta totalmente dalla febbre malarica, più spesso parzialmente, cosicchè quando uno ne viene colpito, essa decorre assai mite e può essere vinta facilmente da moderate dosi di chinina. Queste ricerche mi invogliarono a rintracciare la storia dell'uso dell’ arsenico contro le febbri malariche. Io non voglio qui estendermi sull'argomento: dirò soltanto che la letteratura in proposito è così ricca di fatti ben accertati e di esperimenti serupolosi da convincere i più increduli che veramente nella lotta contro la malaria deve avere una parte importante anche l’arsenico (°). Si può in certo modo dire che nella cura della malaria il valore dell’ arsenico sta a quello della chinina, quasi come nella cura della sifilide il valore dell’ ioduro () Parlo per l’Italia; per i paesi tropicali mi manca qualunque esperienza. (2) Questo secondo metodo fu inaugurato, per quanto io so, da Alberto Plehn; attualmente egli amministra '/a grammo di chinina o di euchinina ogni quinto giorno (Weîteres ber Malaria, Jena 1901). (€) L'espressione dorifica dell’uomo non è recente: Gosio (pag. 280 del presente lavoro) la rimise in onore (dornificamento umano). (4) Arsenicum in febribus intermittentibus adhibitum omnes cas dotes possidere, quibus optima remedia praedita esse debent (Frick). — 279 — di potassio a quello del mercurio. Sarebbe stoltezza voler curare la sifilide soltanto col mercurio e, a mio avviso, sarebbe ugualmente irragionevole voler insistere, come fa Koch, nella cura della malaria attenendosi alla sola chinina, lasciando in disparte l'arsenico. È indiscutibilmente risultato da tutti gli esperimenti che l'arsenico in molti casi è più attivo della chinina contro le recidive. Mi piace di soggiungere che lo studio della letteratura sull’arsenico, a mio avviso, spiega come l'azione dell'esanofele che contiene chinina e arsenico, possa riuscire superiore in tanti casi di febbri malariche a quella della sola chinina. A quanto ho detto in proposito dell’esanofele a pag. 260 e seg. aggiungasi ora che somministrato giornalmente a piccole dosi si è dimostrato ad Ostia indiscutibilmente attivo per prevenire le febbri sia primitive che recidive. Considerando che la maggior parte degli abitanti dei luoghi malarici, hanno sofferto le febbri in un tempo più o meno prossimo, mi sembra che pure come mezzo preventivo l'esanofele, contenendo anche arsenico e ferro, debba riuscire più efficace della chinina e dell’ euchinina. /r ogni modo è assolutamente certo che l’esanofele somministrato come rimedio pre- ventivo ha per lo meno gli stessi vantaggi dell'euchinina (°). In conclusione nel momento attuale l’esanofele rappresenta un mezzo molto commendevole per bonificare luomo e per preservarlo dalle febbri e chi dice il contrario o non ha sperimentato seriamente, o non dà un giudizio sereno. Chi predica al popolo che, ad eccezione della chinina, tutti gli altri specifici giovano solo perchè contengono chinina, va contro ai dati della scienza. È assurdo limitarsi a provvedere di chinina gli abitanti dei luoghi malarici, insegnando loro che nei casi ostinati il medico (in certi luoghi i poveretti non vedono mai il medico!) ordinerà colla chinina anche arsenico e ferro, quasi che non fosse già invalsa in un tempo non lontano l'abitudine, purtroppo omai abban- donata, di provvedere di arsenico gli abitanti dei luoghi malarici. E se si deve fornirli di chinina, arsenico e ferro, per qual motivo si daranno questi medicamenti separati o in mistura di pessimo sapore, quando noi disponiamo di ottime pillole che contengono tutti questi medicamenti? Questa è la verità che io proclamo, sicuro di fare il bene del mio paese. IV. — LE RICERCHE EPIDEMIOLOGICHE DEL PROF. A. DIONISI. (4 ottobre 1901). Mentre correggo le ultime pagine del presente lavoro, Dionisi gentilmente mi permette di leggere le bozze di stampa di una sua Memoria contenente una par- ticolareggiata esposizione delle ricerehe da lui fatte a Maccarese nel 1900. Questo poderoso lavoro, che dovrebbe venire imitato, ci mette in grado di for- marci un'idea esaéta dell'andamento di un'epidemia malarica in base a copiosissimi e serupolosi dati, che giustamente l'Autore sottopone al lettore con tutti i desidera- bili particolari, prima di trarne alcuna conseguenza. (4) Dedico queste parole all'Autore anonimo della noterella « Una nuova orientazione nello studio della malaria » (Riforma medica-giovedì 22 agosto 1901, p. 540). — 280 — L'A. ritiene che le sue osservazioni non dimostrino con sicurezza la verità del- l'ipotesi delle recidive da me sostenuta per spiegar l'insorgere delle febbri estivo- autunnali nel nuovo anno epidemico (pag. 152 e seg. della presente opera). Questa sua conclusione è logica e conforme ai fatti da lui osservati. Da parte mia vi aggiungo le considerazioni e i fatti da me esposti nelle pagine or ora citate. Considero inoltre: 1) che dopo le ricerche di Dionisi l'insorgere delle infezioni malariche primitive non si può più paragonare nè a scoppio, nè a rapido incendio; 2) che, se mi si permette l’espressione, per l'intestino degli Anofeli passa una quantità di sangue molto superiore a quello che è potuto passare sotto l'occhio di Dionisi, non ostante che questi abbia dedicato alle sue ricerche molti mesi di lavoro; e che perciò gli Anofeli potrebbero aver trovato delle semilune sfuggite alle pazientissime ricerche di Dionisi; 3) che i primi casi di infezione estivo-autunnale osservati da Dionisi riguar- dano individui, che avevano abitato per anni e anni in luoghi malarici e che all’as- serzione di alcuni di essi di non aver avuto febbri da anni, non si può prestar intera fede (vedi pag. 231 del presente volume). Tutto sommato mi sento sicuro nella mia convinzione che l’ insorgere di nuove infezioni estivo-autunnali dev’ esser preceduto da recidive. — 281 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tutte le figure, tranne alcune per le quali fornirò indicazioni speciali, furono copiate con la camera lucida, a livello del tavolo su cui poggia il microscopio. Le più difficili furono scrupolosamente disegnate dal mio abile preparatore sig. Giuseppe Riccioli. Nella spiegazione di tutte le figure: S.= Laverania malariae, detta comunemente parassita semilunare. È il parassita delle febbri estivo-autunnali, dette anche terzana maligna, bidua, tro- pica, perniciosa. T.= Plasmodium vivax, ossia parassita della terzana, detta anche ter- zana mite o primaverile, o comune. Q.= Plasmodium malariae, ossia parassita della quartana. Le figure si riferiscono a preparati ottenuti coll'A. claviger; le eccezioni si no- tano a parte. Per brevità le figure vengono richiamate col semplice numero. Quando devo ri- chiamare varie figure in ordine progressivo indico i soli numeri estremi della serie, separandoli con una linea. Così per es. 2-30 richiama tutte le figure da 2 a 30. I numeri che si trovano tra parentesi dopo le singole figure indicano i giorni e le ore in cui il parassita è restato nel corpo dell’Azopheles, o del Culer a tem- peratura varia da circa 24° a circa 30° C. Se si tratta di giorni, dopo la cifra ho messo la lettera g.; se di ore, la lettera 0. ‘Ad LIA Din A 5A ero ob. il f; Did ty 'efga] 9% if ili Joy À i ti st901g. stiro al oe Ia, at VOGTOLE IR sl i, ulatasi è. alte or, D rs ui. sh altri ib. 60 Mrer: ij gi darà lO sa 1g vt ALe” ian È i det iucende 4 ‘ deli i » di cita 102 Md = LE sl ita -naglt (sit A sont DIETULILA si 19) tr; ud Reato || y ca foi = atte adfdoî 55196. bDYLN qouit sita BA di Ù dono. è ali tore dà, Mati aelb once a Let - } Da TI a N ROGBHI @ @GKODEITOHM IR steel onor uit dl gia 190 Sagl) ti a noso & toni e. smo. #90 asti ab — 283 — Tavola I. Le figure furono copiate dal microscopio Koristka: Ob. apoc. 2 mm./,.,4; tubo chiuso (accorciato) — Oc. 8 comp., eccetto le figure da 72 a 95 (comprese) che vennero copiate coll’ Oc. 12 comp., e le figure da 96 a 111 (comprese). 1-29, 96-101 e 106-111. Metodo di Romanowsky. 102-105. Metodo di Grassi-Feletti (riportate dalle figure del 1890). Le altre figure sono tolte da sezioni dell'intestino medio (parte dilatata dello stomaco), conservato quasi sempre col sublimato e cloruro di sodio: le sezioni sono state colorite coll'emallume, o coll’ ematossilina ferrica con, ovvero senza eosina. 32-95 rappresentano sezioni dei parassiti (amfionti). 96, 97, 98, 99, 101 e 109 sono tolte da Ziemann. In generale nelle figure le masse residuali appaiono colorite. 1. S. Semiluna con due nuclei (citopartenogenesi?). Dal sangue umano. 2. S. Macrospora (macrogamete). Dal sangue umano. 3. S. Macrospora diventata tondeggiante. (!/s 0.). 4. S. Anteridio (microgametogeno, microgametocito). Dal sangue umano. 5. S. Microspore (flagelli, microgameti) in formazione. ('/s 0.). 6. S. Microspore pronte a distaccarsi dal residuo dell'anteridio. ('/» 0.). 7-29. S. Amfionte ancora libero nel lume dell'intestino. Formazione del vermicolo e vermicolo (oocinete). 7-13. (12! 0.). 14-25. (24-0.). 26-29. (32 0.). Nella fig. 29 i vermicoli sono in mezzo al sangue in digestione avanzata. 30. 7. Vermicoli, in mezzo al sangue in digestione avanzata. La figura è stata fatta combinando insieme varie sezioni. (32 0.). 31. S. Vale la dicitura della figura precedente. ep. int. = epitelio intestinale. cavt. înt. = contenuto intestinale. Si vedono due parassiti già penetrati nel margine cuticolare. Per brevità, di una cellula epiteliale è stato disegnato quasi solamente il nucleo, — 284 — Le figure da 32 a 95 rappresentano amfionti nella parete dell’intestino. 32. S. Sezione quasi orizzontale, superficiale. ep. int. = epitelio intestinale. par. = parassita, cioè amfionte. Uno dei due amfionti richiamati da par. sembra fuori dell'intestino, perchè sporgente da esso. Si distingue un altro amfionte non richiamato da par.; esso rassomiglia ancora molto ad un vermicolo. (2 g.). 33-36. S. (2 9.). 37-50. S., eccetto 45 e 49 molto probabilmente riferentisi a 7. lim. par. int. = limite della parete intestinale. La figura 47 rappresenta la prima sezione del parassita (la quale ha figura di calotta). Le lacune, specialmente nella fig. 44, sono probabilmente esagerate, per effetto della preparazione. (3-3 !/» g.). 51-54. S par. = parassita (amfionte). lim. p. int. = limite della parete intestinale. La sezione rappresentata dalla fig. 54 non fu copiata intera. (4-4°/, g., eccetto il parassita (par.) più piccolo della fig. 53 che è di 2 g.). 55-60. S. Anche queste sezioni furono copiate soltanto in parte. In alcune figure si trova indicata per intero la capsula che involge il parassita. (5-6 g.). 61. 7. In questa come nelle figure seguenti: vac. = vacuolo. mas. res. = massa residuale. (6 9.). 62. 7.? L' Anopheles da cui proviene era stato preso libero. 63. S. Da una sezione trasversale di un Aropheles. par. = parassita. e. ad. = corpo adiposo. (7 9). 64. 7. (79). 65. 7.? Da un Amnopheles restato parecchi giorni a circa 19°-22°, senza nutrirsi. (Figura alquanto schematizzata). 66-68. 7. (9 9.). 69185 (90959! UO (Ep) 71. S. (Trattamento con formalina ed ematossilina ferrica). Dalle figure pubblicate con Bignami e Bastianelli. (4 g.). 72-75. S. Le figure 75 4 e » rappresentano due strati di un'unica sezione. (3 g.). 76-94. S. Piccolissimi tratti di sezioni per mostrare come si moltiplica il nucleo. (3-5 g.). — 289 — 95. S. Parte di una massa residuale contenente il pigmento (4 9). 96-I11. Dal sangue umano. 96. 7. Si confronti questa figura di Ziemann (metodo di Romanowsky) con la fig. 102 (metodo di Grassi e Feletti). 97. Q. Mononte nell'inizio della sporogonia conitomica (sporulazione). 98. 7. id. Questa figura di Ziemann è stata ripetutamente ottenuta anche da me. 99. 7. Si confronti con le fig. 103 e 104 ottenute col metodo di Grassi e Feletti. 100. Q. Mononte in sporogonia conitomica (sporulazione). 101. 7. Mononte in sporogonia conitomica (sporulazione). 102-106. @. La fig. 105 rappresenta la sporogonia conitomica (sporulazione). Si con- fronti questa figura ottenuta col metodo di Grassi e Feletti con la se- guente (106) ottenuta col metodo di Romanowsky. 107. 7. Gamete in maturazione? 108. 7. Gamete quasi maturo? 109. 7. Gamete maturo? 110, 111. @Q. Mononti. (4) otti UH E OI Lacie art © +. Bertone fostire (rd aut ‘ab ada tiro iv Hjewransci ala 4, oblio niglt citdoloi 7 iano ufo all id sotadito LOTTA BR gt E gi a Une ded caio o) di podio fonia n rare i i cretini ss man d0 (and etiniaat antmvaLia e R I anglo KMSloT ieant) i ohotenr (60 ad Cappà eterope Lina CIA È PIA AL A Vle drobiaRi io tit: Luino 1005) ni Da. fin if, fe Lalla delie parita "nun si n i, ed 17 cuppranentò in: pia’ snovionò Do calata) Te lacana vipetttlazebie a eri | bpora i, Min atidto. dalla preparate > tisaobia n di: 4 Ka Pal, pe pardaerio (ginlrazta) è i go Lai ca, luna i ta: porta io lan tane ; E ae RAfetito della fe hd pina 16° diede id ., Accatto Li pardusiià, Pit): (MU pionio ( + et queste coztoni Trame subb dala de pis Premi lor dica ber, siate = Ba fiid dise 3 Li pr semi v.le pila ne noli Saro. 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Formalina; emallume. (9 g.?). 9. S. Amfionte maturo. Sublimato; ematossilina. 104. S. Sporozoiti usciti dalle capsule nel lacunoma. Metodo di Romanowsky. 100. S. Uno degli sporozoiti, di cui a fig. 10 4., copiato coll’ Oc. comp. 12. 11. ,. Porzione di un amfionte quasi maturo, dilacerato, disseccato e quindi colo- rito col metodo di Romanowsky. 12. .S. Sporozoiti contenuti nelle ghiandole salivari. Metodo di Romanowsky. 13. S. Sezione della capsula di un amfionte contenente ancora masse residuali (12 g.). 14 a-e. T. Alcune sezioni di uno stesso parassita. Ob. 8; Oc. 4; Koristka; tubo accorciato. (9 g.). 15 a-j. S. Serie di sezioni di uno stesso parassita. Ob. 8; Oc. 4; Koristka; tubo accorciato. (9 9.) 16 a-e. S. Alcune sezioni di uno stesso parassita. Ob. 8; Oc. 4; Koristka; tubo accorciato. (9 g.). 17. 7.? Capsula contenente ancora una grande massa residuale col pigmento, e corpi giallo-bruni. 18-24. S. Sezioni di ghiandole salivari contenenti sporozoiti. c. ad. = corpo adiposo. cu. © cut. = cuticola tappezzante il lume del tubulo. lac. art. = lacuna artificiale, cioè dipendente dalla preparazione. sec. = secreto delle ghiandole salivari o ancora dentro le cellule o già libero nel lume del tubulo. — 288 — Sublimato alcoolico-acetico; emallume. Parte di una sezione di un tubulo dorsale poco dopo la metà. Sezione di un tubulo intermedio nel tratto dilatato. Altra sezione di un tubulo intermedio nel tratto dilatato. 18. 19. 20. 25. 24. Parte 21. Parte di un'altra sezione di un tubulo intermedio nel tratto dilatato. 22. Parte di una sezione della metà prossimale di un tubulo ventrale. di una sezione della metà distale di un tubulo ventrale. Sezione della parte distale del collo di un tubulo intermedio. 25. S. Parte di una sezione subfrontale di un Azopheles. Ob. 6; Oc. 4; tubo accorciato. C. adiae= Mu. SUC. dtd io Di = (td == VI corpo adiposo. muscolo. stomaco succhiatore. tubulo dorsale d'una glandola salivare. tubulo intermedio della stessa. tubulo ventrale della stessa. trachea. Gli sporozoiti sono scarsi. Sublimato alcoolico-acetico; emallume ed eosina. 26. S. Da una sezione dell'intestino anteriore: sporozoiti nella parete. 27a,b ec. S. Sezioni della parte dilatata dello stomaco per mostrare la posizione dell’ amfionte (par.) Si distingue l'epitelio (ep. ér4.) e la tunica elastico- muscolare. = forme = corpo adiposo. fibre muscolari. — 09 — Tavola III. Tutte le figure per le quali non sono date indicazioni speciali, sono copiate a fresco dal microscopio Zeiss: tubo accorciato; Ob. Koristka '/13 Semiapoc.; Oc. 4. 1 a-l. S. Vermicoli in via di formazione o già formati. Soluzione di cloruro di sodio e albume. (24 0.). 2 a-c. S. Vermicoli. Soluzione di cloruro di sodio e albume. (835 0.). Gli amfionti rappresentati nelle figure da 3 in poi stavano nella parete intestinale. 3 4-d. S. Amfionti. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (48 0.). 4 a-d. S. Amfionti. Formalina. Le due figure 4 % rappresentano differenti piani di uno stesso individuo (60 0.). 5, 6. S. Amfionti. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (3-3 1/3 g.). 7 a-d. S. Amfionti. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (5 g.). a. porzione dell'amfionte. b. un tratto del reticolo alla faccia interna della capsula. c. alcune creste alla faccia interna della capsula. d. punteggiatura della superficie esterna della capsula. 8. S Porzione di un amfionte. Soluzione di cloruro di sodio. (5 g.). 9. .S. Porzione di un amfionte. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (5 g.). 10. S. Porzione di un amfionte. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (5 g.). 11. S. Porzione di un amfionte. Formalina. (5 g.). 12. 7. probabilissimamente. Porzione di un amfionte ancora piuttosto lontano dalla maturanza. Soluzione di cloruro di sodio e albume: vapori di acido osmico. 13 a, b. T. probabilissimamente. Sezioni ottiche di un amfionte quasi maturo. Solu- zione di cloruro di sodio e albume: vapori di acido osmico. a. strato superficiale. b. strato medio. i 14. 7. probabilissimamente. Amfionte maturo. Soluzione di cloruro di sodio e albume: vapori di acido osmico. 15. S. Capsula apertasi, dalla quale fuoriescono gli sporozoiti. Soluzione di cloruro di sodio e albume: vapori di acido osmico. (10 g.). 16. S. Capsula, nella quale sono restati soltanto pochi sporozoiti. Formalina. (11 g.). 37 = — 290 — 17, 18. S. Capsule nelle quali sono restate masse residuali (una sola nella fig. 18). Formalina. (11 g.). 19. 7. Sporozoiti diventati liberi dilacerando una ghiandola salivare. Formalina Ob. Semiapoc. 1/,;; Oc. 2; Koristka; tubo accorciato. 20. S. Capsula contenente i corpi bruni. Formalina; glicerina. (11 9.). 21. S. Una parte dei corpi bruni di una capsula. Formalina; glicerina. 22, 23. 7. Alcuni corpi bruni trovati liberi nel lacunoma. Formalina; glicerina. (13 g.). 24, 25. Parassita innominato che si riscontra nel lacunoma dell’Aropheles. 24 a-c. Porzioni di un parassita aderente alla parete intestinale. Ob. apoc. 2/1.4; Oc. comp. 4; Koristka; tubo accorciato. a e c: sublimato e sale; poi emallume (tralasciato il colore). de b': a fresco, in formalina. ep. int. = epitelio dell'intestino medio. 25. Massa plasmica libera da cui sono usciti parecchi sporozoiti; altri sono ancora dentro. Soluzione di cloruro di sodio. Ob. semiapoc. 1/13; Oc. 2; Koristka; tubo accorciato. 26, 27. Parassita innominato delle uova. Ob. apoc. 2/,.1; Oc. comp. 4; tubo accorciato. 28. 7.?. Porzione di una capsula contenente i corpi giallo-bruni. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. 29-52. S. Amfionti trattati col sublimato e poscia passati in glicerina. Quello rap- presentato dalla fig. 31 mostra un'enorme massa residuale con tanti vacuoli, circondata da scarsissimi sporozoiti. Quello rappresentato dalla fi. 32 mostra gli sporozoiti come se fossero tutti allo stesso livello, mentre invece per vederli come sono figurati, occorre muovere la vite micrometrica. 35-57. 7. Amfionti in soluzione di cloruro di sodio e formalina. 39. (50 0.). 34 e 35. (3 g.). 36 e 37. (4 g.). 8. S. Amfionte (par.) tra le cellule dell'epitelio dell’ intestino medio. 9. Sezione semischematica dell'intestino per mostrare i rapporti dell'amfionte con la tunica elastico-muscolare. Dell'amfionte (par.) non è stata rappresentata che una parte del contorno. dI dI ep. int. = epitelio dell'intestino medio. f. m. = fibra muscolare. lac. art. = lacuna artificiale tra l'epitelio dell'intestino medio da un lato, la capsula e la tunica elastico-muscolare dall’ altro. 40. .S. Sezione trasversale dell'intestino medio presentante gli amfionti in differenti stadî di sviluppo. Ob. 4; Oc. comp. 4; Koristka; tubo accorciato. 41. S. Superficie esterna dell'intestino medio (piccolo ingrandimento). par. = amfionte. tr. = trachea. — 201 Tavola IV. 1, 2. Amfionti quasi maturi di //uemamoeba relieta (Proteosoma del passero). For- malina 10 °/ e acido osmico. Koritska: tubo accorciato; Oc. comp. 4; Ob. apoc. °/,.1. Vale l'osservazione fatta per III. 32. 3. Uova di A. difureatus. (L'uovo è lungo */, di mm. circa). 4. Uova di A. elaviger. (L'uovo è lungo presso a poco come quello di A. difureatus). 5. Uovo di A. elaviger deposto da poche ore. Ob. 4; Oc. 3; Koristka (tubo accor- ciato). 6. Larva di A. claviger veduta dalla faccia dorsale. Ob. 2; Oc. 2; Pratzmosky (tubo accorciato). vent. = ventaglio. pap. an. = papille anali. set. an. = setole anali 7. Estremità posteriore di una larva di A. clav:ger veduta dalla faccia dorsale, a più forte ingrandimento che nella figura precedente. st. = stigma. pet. = pettine. 7b. Pettine fortemente ingrandito (v. fig. 7). 8. Ninfa di A. claviger. 9. Spaccato longitudinale schematico di Aropheles per mostrare la posizione del- l'intestino. es. = esofago. gl. sal. = glandola salivare. suc. acc. = stomaco succhiatore accessorio (laterale). sue. prince. = stomaco succhiatore principale (ventrale). col. st. = collo dello stomaco. p. dil. st. = parte dilatata dello stomaco. t. mal. = tubi malpighiani. ATEI col. = colon. ret. = retto. sam. = zampe. 10. Parte anteriore dell’ intestino veduta dal lato ventrale (stomaco succhiatore prin. cipale spostato). far. = faringe. es. = esofago. a — 292 — suc. acc. = stomaco succhiatore accessorio. suc. prine. = stomaco succhiatore principale. cech. = cechi dello stomaco. col. st. = collo dello stomaco. 11. Apparato boccale di A. claviger. Ob. a8; Oc. 1; Zeiss; tubo accorciato. ipof. = ipofaringe. L. inf. = labbro inferiore. l. sup. = labbro superiore. mand. = mandibola. mas. mascella. pal. palpo (sono state tralasciate le squamme). 12. Sezione trasversa dell'apparato boccale di A. claviger (semplici contorni). ipof. = ipofaringe (la linea retta è per errore litografico restata interrotta, perciò il canaletto dell'ipofaringe appare erroneamente aperto come una doccia). l. inf. = labbro inferiore. l. sup. = labbro superiore. mand. = mandibola. mas. = mascella. pal. = palpo. 13. Sezione subfrontale del capo (semplici contorni). far. = faringe. oc. = occhio composto. t.esc. = dotti escretori secondari (pari) delle ghiandole salivari. HA, = trachea. 14. Una ghiandola salivare (in un Anofele ve ne sono due). Ob. Dj Oc. 3; Zeiss. Cloruro di sodio e formalina. Da un individuo digiuno da varî giorni. d. eser. = dotto escretore secondario (pari). t. int. = tubulo intermedio. 14 a. Pseudosporozoiti. Ob. 1/,;; Oc. 4 comp.; Koristka; tubo alzato di un em. Soluzione di cloruro di sodio e formalina. (Si trovano in altri casi pseudo- sporozoiti nettamente a forma di bastoncello, che sembrano agglutinati tra loro; essi non vennero qui figurati). 15-18. Setole angolari (s. 429.) e mediali (s. med.) delle varie larve di Amopheles. La setola angolare è rappresentata da un lato solo. Ob. 5; Oc. 3; Koristka; tubo accorciato. 15. A. claviger. 16. A. pseudopictus. 17. A. superpictus. 18. A. bifurcatus. 19. Larva di Culex (per mostrare le differenze con quella di Azopheles; vedi sopra- tutto il tubetto respiratorio). 28. — 293 — . Ala di A. difureatus. La lineetta accanto all’ala in questa e nelle figure se- guenti indica la lunghezza reale dell'ala. . Ala di A. celaviger. . Palpi, antenne e proboscide di A. cl2vi9e7 femmina (artificialmente spostate le parti). . Palpi, antenna e proboscide di 4. claviger maschio (artificialmente spostate al- quanto le parti). . Ala di A. pseudopictus. . Palpi, antenne e proboscide di A. pseudopictus femmina (artificialmente spostate le parti). ). Ala di A. superpictus . Palpi, antenne e proboscide di A. superpictus maschio (artificialmente spostate alquanto le parti). Ala di C. mimeticus. 29-33. Palpi, antenne e proboscide di Cu/ex (un po’ spostate le parti). 29 e 33 femmine. 30, 31 e 32 maschi. 29 = (€. mimeticus. 30 = C. pipiens. 31 = (. nemorosus. 32= C. spathipalpis. 39 = C. albopunetatus. 34. Anopheles claviger ingrandito. "e tiltog | blofaoga adoemi pina i) A ciprioti “ panta zà tb gb foga Asa, te siisimtalof. niy cldotem "agio. id abissod Ls | ee VE a du i i Iutzionilia) astiercotal ptaeclnsate RIS abibendon: 4 agastage du Ana i bu) di e'uperta) PA il > ale nja elautalsinliftni aidsasa: vaiataena ao d) fn oli x Ù Mis) Stio ad est, Ali Li “tolga ni; mata 16 di Lante (RT rina SÒ 9 Ta va DICOS CI, 20 GRA ER iù OUSTIOCI M (os du seopattnte I a FR CA Rig Ara a +0 14 LI xd * Gu i} iniuata tribuna Metal iMahaonk LE — 295 — Tavola V. Parte sinistra (fig. 1-6: 29/1). 1. Anopheles elaviger (femmina). 2. Ala di A. difurcatus. 3. n» A. pseudopictus. 4. n n A. superpictus. 5. » » Anopheles delle coste del Niger. G. » » Culex mimeticus (Noè). 7-17 dal Culex pipiens (Amfionti dell’ Haemamoeba, 0 Proteosoma del passero). 7-11. Ob. apoc: 2 mm/,.4; Oc. comp. 12. Microscopio Koristka, tubo accorciato. 12-17. idem; ma Oc. comp. 8. 7-15. Sezioni di stadi successivi. I Cu/ez erano stati conservati é toto col subli- mato alcoolico-acetico (3!/-65/, g.). La figura 7 presenta un vacuolo; la figura 8 ne presenta due; la fisura 9 tre; le figure 10-11 mostrano il pigmento in un vacuolo; nelle figure 15 e 15 i granuli che si vedono in mezzo alla massa residuale con- stano di cromatina. 6. Piccolo amfionte maturo con una sola massa residuale, nella quale si vede il pigmento. 17. Amfionte maturo nel quale si vedono, oltre a moltissimi sporozoiti, alcuni corpi bruni. I corpi bruni nel Cu/ez sono molto più comuni che nell''Aropheles. 18. Da un preparato a fresco delle ghiandole salivari di Aropheles in formalina e cloruro di sodio. In una cellula si vedono gli pseudosporozoiti. 19. Varie forme che assumono gli sporozoiti amfigonici dell’Huemamoeba a fresco nella soluzione di cloruro di sodio e albume. Certuni hanno una estremità assottigliata, precisamente quella anteriore. id Parte destra (Schema). Rappresentazione schematica del ciclo evolutivo dei parassiti malarici. Ciò che non è accertato vien tenuto distinto da ciò che è accertato, per mezzo di punti interrogativi. Le due sorta di generazioni ben note, amfigonica (nel corpo dell Anofele) e monogonica (nel corpo dell’ Uomo durante il periodo delle febbri), sono state richia- — 296 — mate nello schema stesso, e in proposito non occorrono quasi spiegazioni; come ognuno può rilevare la generazione amfigonica (sessuale) è rappresentata dalle fig. 7-17 (amfionti nei loro varî stadî), e quella monogonica (neutrale = per sporulazione), dalle tig. 3, 4, 5a'-5a" (mononti nei loro varî stadî). L'anteridio (semiluna trasformabile in corpo flagellato ecc.) e la formazione delle microspore (microgameti = flagelli) sono rappresentati dalle fig. 5b!-5b!'; la ma- crospora (macrogamete = semiluna non trasformabile in corpo flagellato ecc.), dalle fig. 5c' e 5e. Gli stadî 5b' e 5c' si trovano nell’ Uomo, gli altri (5b", 5!" e 5e") nell’ Anofele. La fig. 6 rappresenta la fecondazione (che avviene nel corpo dell’ Anofele); ad essa segue l'amfigonia, rappresentata dalla fig. 7 e successive. Non essendo determinato con sicurezza il modo di sviluppo della macrospora e dell’anteridio, viene indicata la loro origine probabile da un mononte di media grandezza con un punto interrogativo. La fig. 2? rappresenta la prima generazione degli sporozoiti amfigonici nel corpo dell'Uomo (periodo d’ incubazione). Questo stadio non è stato ancora osservato, ma certamente deve verificarsi, probabilmente come io l'ho indicato. Le fig. 5!? e 54? rappresentano la supposta generazione partenogenetica (7eci- dive a lunghi intervalli), la quale si verificherebbe sì per le macrospore come per gli anteridi. La generazione partenogenetica per divisioni successive (sporogonia politomica ?) dovrebbe condurre a figure simili alla fig. 5aV. 21 Milia ini cavbint è ì Nasi = A E = MN Ricerche di uno zoologo sulla malaria. Ti. 1. x 46. 45. £ dim. part. MU Wyzz, die Werner & Winter Francoforte *M. Grassi. Ricerche di uno zoologo sulla malaria. Tav 1. 47. co iii lit _ ri Vi G N) I) 7 {MINO \